Perché - stangherlin

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Perché - stangherlin
Festivaletteratura di Mantova
SCRITTURE GIOVANI CANTIERE – 2012
Perché
di Sara Stangherlin
Ho ventisette anni compiuti e da poche settimane ho messo l’apparecchio ai denti.
Avete letto bene, ventisette, non sette o diciassette e sì…apparecchio.
Lo so, sarei un po’ in ritardo con i tempi, ma a volte, e per fortuna, le cose importanti
della vita seguono percorsi inconsueti.
Non sono certo sola: da quando lo uso, noto molto di più tutti quelli che ce l’hanno,
nonostante non siano più così adolescenti.
Un buon 70% della mia generazione l’ha portato tra le medie e le superiori e ho fatto
una lista di cose ben peggiori che potevano capitarmi, per convincermi che alla fine,
ne sarebbe valsa la pena. Ma la maggior parte della gente che mi vede con questa
nuova ferramenta in bocca mi chiede: “Perché? Perché ora?”
E allora ve lo spiego, una volta per tutte.
Innanzitutto perché quando ero più piccola i miei genitori pensavano che non fosse
troppo importante e che i miei denti non fossero così storti. C’erano altre priorità in
famiglia e i miei complessi da brutto anatroccolo, dopo tutto, erano ancora modesti.
Poi mia madre ha i denti ancora più storti dei miei e mia nonna, al tempo, non le ha
fatto mettere l’apparecchio - anche se, mi ha confessato, se ne è pentita.
E questo nonostante i consigli della maestra delle elementari dell’epoca: correva
l’anno 1965.
Alla fine mia madre si è sposata lo stesso, ha e continua ad avere una vita del tutto
serena, quattro figli e un lavoro statale, ma nelle foto del matrimonio ha quasi sempre
la bocca chiusa e il sorriso un po’ tirato. Un vero peccato.
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Quando sono cresciuta , dopo aver coltivato la bellezza interiore, non potendo fare
tanto altro, ho cominciato a preoccuparmi un po’ di più anche del mio aspetto fisico.
Così ho realizzato che per lo meno volevo i denti dritti e che non mi sarebbe
importato quando, per quanto tempo e come. Me li meritavo. E poi al mio eventuale
matrimonio avrei voluto ridere con la bocca aperta, senza misteriosi sorrisi alla
Monna Lisa.
Anche mia sorella più piccola ha ereditato questo difetto dei denti storti - che invece
ha inspiegabilmente graziato i maschi di casa - e credo sia giusto che le dia il buon
esempio, spianandole anche la strada dal dentista e tenendo aperto il conto di famiglia
con lo studio odontoiatrico. E anche se ha già un mezzo fidanzatino, questo non vuol
dire proprio nulla. Verrà periodo di vacche magre anche per lei.
Poi l’ho messo per ragioni del tutto ovvie: perché semplicemente ho la bocca
piccola, il palato stretto e di conseguenza gli incisivi stavano rientrando sempre di
più. Così, prima di procedere, ho dovuto estrarre tutti e quattro i denti del giudizio,
che non riuscivano a spuntare - non ce l’avrebbero mai fatta, perché erano messi in
orizzontale - e al pensiero ancora rabbrividisco. Anche se il dentista cercava di
distrarmi con complimenti in merito ai miei occhi, non è stato sufficiente a lenire i
dolori e il gonfiore dei giorni dopo. In seguito ho dovuto portare un apparecchio
notturno per due anni, in modo da allargare per bene il palato. Vi assicuro che andare
a dormire con una impronta di plastica che mi spingeva sul palato ha qualcosa di
magico, perché le prime volte ho fatto sempre dei sogni assurdi.
E quindi ora, sono giunta alla fase finale, di finishing, in gergo.
Non potevo mollare adesso…
Ma sono fiduciosa perché il dentista mi ha detto che i miei denti sono ancora molto
mobili, nonostante l’età, e quindi potrebbero bastare solo sei mesi di tortura guidata.
E cosa sono in fondo sei mesi? Nemmeno un anno accademico, la durata standard di
uno stage non retribuito, meno di una gravidanza.
Ho voluto farlo anche perché, al giorno d’oggi, sappiamo tutti che per essere
competitivi sul mercato non basta una buona laurea, con ottimi voti, certificati di
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lingua e esperienze all’estero, ma anche un bel sorriso e i nostri politici non hanno
mai smesso di dimostrarcelo.
E poi mi da un tocco ancora più naïf, anche se, a dire il vero, non ne avrei bisogno.
Nei vari appuntamenti, mentre sfogliavo le classiche riviste che si trovano solo nelle
sale d’attesa del mio dentista (anche del vostro?!) - piene di sorrisi finti, vacanze
caraibiche, di tette e cellulite dei vip - pensavo… “c’è chi si fa il botox, i trattamenti
di acido ialuronico, la chirurgia plastica…e
chi, invece,
come me, si mette
l’apparecchio…per sembrare più giovane e spensierato”.
Quando sono andata a montare l’impalcatura l’assistente alla poltrona mi diceva di
continuo, con sguardo materno e tono infantile: “Sei stata bravissima tesoro, sai?”.
Nessuno direbbe che ho l’età che ho e io di conseguenza, il più delle volte, credo che
la maggior parte delle persone con cui ho a che fare siano più grandi di me, anche
quando effettivamente non è così. Posso certo trarne dei vantaggi, ma il risultato è
che sembro sempre una pivella alle prime armi.
Perché ho messo l’apparecchio proprio adesso?
Perché quando ero “ricca”, avendo lavorato part-time mentre ero studentessa, ho
prestato dei soldi ai miei (assurdo, vero?! Non siamo forse noi i giovani sfigati e
mammoni!?!) per saldare dei debiti urgenti. Ora, che ho finito di studiare, e quindi
non lavoro più, ergo sono povera, è giunto il tempo di rivendicare il mio credito,
facendomi pagare dai miei le spese dentistiche.
Inoltre da quando uso l’apparecchio, individuo con un colpo d’occhio tutte le
persone adulte che lo portano e stringo amicizia con loro molto facilmente, come se
facessimo parte dello stesso circolo del libro o dello stesso club di appassionati di
bonsai. Anche qualche sera fa, durante una festa di carnevale, ho conosciuto una
coccinella con l’apparecchio (io ero una farfalla)! Ci siamo abbracciate e abbiamo
fatto una foto insieme, con le nostre ali colorate e i nostri sorrisi metallici e grotteschi
a trentadue denti. Una fotografia che sarebbe piaciuta molto a Tim Burton!
Un altro motivo?
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Finora ho fatto sempre tutto in ritardo nella mia vita: non sono mai stata precoce in
nulla, forse solo nell’aver imparato a leggere e nell’aver finito l’università per tempo.
In ritardo rispetto alla media dei miei coetanei: ho perso tardi i denti da latte, non
parliamo del primo bacio, ho dovuto affrontare l’acne durante l’università, i fidanzati
sono stati tutti a rilento, la prima volta a letto dilazionata, il lavoro è ancora un
miraggio, il servizio civile nell’ultimo anno utile …e quindi questo apparecchio in età
matura, mi si addice, è assolutamente nel mio stile!
Perché sono disposta ai sacrifici e alla fatica a piccole dosi, ma costante, per ottenere
dei validi risultati: l’apparecchio è la perfetta metafora della mia filosofia di vita e mi
sta dando ragione. È la goccia che scava la roccia, la pazienza di saper attendere il
germoglio di quel che si è seminato tempo addietro, che sottoterra pare morto, ma
non lo è. È l’umiltà di riconoscere i propri limiti e difetti, saper accettare un periodo
di incubazione in un bozzolo e poi spiccare il volo. Non grandi risultati
impressionanti e improvvisi, ma piccoli passi persistenti verso la soddisfazione di sè e
la maturità. Questo fa la differenza, anche se in controtendenza.
C’è anche un altro perché…volevo verificare quello che mi aveva detto una volta un
amico: che l’apparecchio aveva un lato sexy, intrigante come una fila di piercing ai
denti. La cosa un po’ mi tirava su il morale, ma non ci credevo davvero, ed ero
pronta a sopportare stoicamente gli ennesimi sei mesi di astinenza forzata. Ma in
effetti, dopo aver messo la ferraglia, molti sguardi sono stati catalizzati dalla mia
bocca, concentrati in quelle gemme di energia metallica. E inevitabilmente hanno
fatto convergere verso di me uomini dalle indubbie qualità magnetiche.
Con la scusa che tutti si chiedono se si riesce a baciare lo stesso e com’è…va a finire
che qualcuno inevitabilmente ci prova (sì, si riesce a fare tutto, ve lo garantisco, non
cambia nulla). Così grazie a questo feticcio metal, un venerdì sera, ho attirato gli
sguardi di un giovane medico, mentre chiedevo una birra al bancone di un locale.
– Porti l’apparecchio da poco? – mi ha abbordato.
– Sì, ma come lo sai? – ero perplessa.
– Si nota.
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– Come lo sai?
– Sono un medico. E ti fa ancora male?
– Mi dà un po’ fastidio, alle volte.
– Vuoi che te lo sistemi, di là in bagno?
– Cosa?!
– Hai capito bene. E non passarti la lingua sulle labbra che mi provochi! – mi ha
detto ammiccando.
Ipnotizzata dal suo sguardo, mi sono messa d’istinto una mano sulla bocca, per
nasconderla, ma non è servito a nulla.
Dopo mezz’ora che ci conoscevamo non ha resistito a mordermi il labbro inferiore e
poi a baciarmi, sostenendo che, nonostante le mie ritrosie, potevo farlo e potevo farlo
bene. E aveva ragione. La conquista più rapida della mia vita!
E ancora volete sapere perché l’apparecchio?
Perché con lui è iniziato il periodo più felice della mia vita, di quella che io chiamo la
mia seconda adolescenza di riscatto.
Perché rido più spesso anche se, e forse proprio perché, mi sento irresistibilmente
ridicola!
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