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Azienda Pubblica
Teoria ed esperienze di management
2.2010
Rivista trimestrale
anno XXIII
numero 2
aprile • giugno
2010
Direttore responsabile
Paolo Maggioli
Direttore
Eugenio Anessi
Condirettori
Paola Adinolfi
Luca Del Bene
Ileana Steccolini
Coordinatore editoriale
Nicola Bellé
[email protected]
Comitato Editoriale
Luca Brusati
Alessandro Capocchi
Enrico Guarini
Marco Ferretti
Andrea Francesconi
Rosalba Martone Filosa
Antonio Nisio
Daniela Preite
Massimo Sargiacomo
Ileana Steccolini
Segreteria di redazione
Chiara Peverelli
Comitato scientifico
(riportato nell’ultima pagina)
Redazione
Milano 20136
Via Röntgen, 1
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Fax 02-5836.2598
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Comitato di indirizzo
Riccardo Mussari
Eugenio Anessi Pessina
Elio Borgonovi
Renato Mele
Luca Anselmi
Marco Meneguzzo
Antonello Zangrandi
Eugenio Caperchione
Giuseppe Farneti
Stefano Pozzoli
Aldo Pavan
Luigi Puddu
Lidia D’Alessio
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Rivista
Accreditata
AIDEA
Ambiti e missione della rivista Azienda Pubblica
Sono sempre più forti le esigenze di modernizzazione e di riforma delle amministrazioni
pubbliche e di tutti i soggetti che operano nell’interesse pubblico a seguito di stimoli derivanti
dai cambiamenti dei valori individuali e collettivi, dell’apertura della società e dei mercati,
della maggiore mobilità delle persone e dei beni, dell’innovazione tecnologica e delle forme
organizzative in cui si svolge l’attività sociale ed economica, dei media, ecc.
AZIENDA PUBBLICA si propone di contribuire a dare risposte a tali esigenze concentrando l’attenzione sulla migliore utilizzazione delle risorse economiche (dimensione
dell’efficienza), per dare risposte di alto livello qualitativo e quantitativo ai bisogni di singoli
cittadini, famiglie, imprese e altri corpi intermedi della società (dimensione dell’efficacia e
della funzionalità), della soddisfazione, mantenendo condizioni di equilibrio economico di
lungo periodo (dimensione dell’economicità). La Rivista intende farlo partendo dal profondo
convincimento che solo le persone sono in grado di promuovere e realizzare il cambiamento
sostanziale. I metodi, gli strumenti e le tecniche giuridiche, economiche, aziendali e manageriali esistono, sono anche molto affinati. Ma sono i valori, le conoscenze, le motivazioni,
i reali comportamenti delle persone che consentono un loro corretto uso con la finalità di
migliorare il benessere e la qualità di vita di comunità locali, nazionali, sovranazionali.
Occorre aumentare il numero delle persone per le quali esercitare una funzione e garantire i diritti significa acquisire la cultura del “servizio”, inteso sul piano dei valori e sul
piano dell’operatività e renderle maggioranza rispetto a quelle che ancora si richiamano
a modelli di amministrazione validi nel passato ma non più coerenti con i problemi posti
oggi dalla società o rispetto a quelle che difendono privilegi o interessi particolari. Una via
efficace per raggiungere questo obiettivo è quella di presentare ad amministratori di carica
politica, dirigenti, personale che opera in varie posizioni nel settore pubblico, risultati di
ricerche rigorose sul piano scientifico, rilevanti rispetto ai problemi quotidiani dei Lettori,
influenti in senso migliorativo sui processi decisionali e operativi.
Nella convinzione che non vi sia nulla di più pratico di una buona teoria, a condizione
che le teorie siano costruite sui fatti, Azienda Pubblica si caratterizza come una Rivista che
accoglie sia articoli di contenuto teorico che aiutino gli operatori a sistematizzare e a consolidare le proprie esperienze e competenze concrete, sia i risultati di ricerche empiriche
basate su rigorose metodologie quantitative e qualitative.
Una Rivista accademica capace di aprirsi e dialogare con decisori delle politiche,
manager e operatori del settore pubblico e dei settori privati che hanno fini di pubblico
interesse.
Tramite un rigoroso sistema di referaggio secondo gli standard internazionali, la Rivista
intende pubblicare contributi di alto valore scientifico che siano comprensibili da chi ogni
giorno deve far funzionare al meglio le istituzioni che garantiscono una società libera, in
cui siano rispettate le regole, tollerante nei confronti della multiculturalità e della molteplicità
di valori ed interessi, democratica in senso sostanziale.
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Azienda Pubblica
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Teoria ed esperienze di management
Rivista trimestrale
anno XXIII
numero 2
aprile • giugno
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Sommario
Editoriale
Elio Borgonovi
Amministrazioni pubbliche e sostenibilità
economica
173
Saggi
Pina Puntillo,
Paolo Tenuta
Le determinanti del financial risk assessment
negli enti locali
181
Paolo Ricci,
Paolo Esposito,
Tiziana Landi
L’Accountability per il fronteggiamento
dello State Capture nel management
delle amministrazioni pubbliche locali
205
Mariafrancesca Sicilia
La contrattazione formale e relazionale
a supporto dei processi di esternalizzazione
dei servizi pubblici locali
233
Esperienze innovative
Nunzio Angiola,
Roberto Marino
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni
pubbliche. La progettazione del modello bottom-up 253
Simona Bonetti
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali
nell’ambito del New Public Management
Approach: alcune riflessioni
277
Fonti di approfondimento
Spoglio riviste
311
In libreria
313
Cambia la governance di Azienda Pubblica
Raggiunta la fase del consolidamento e diventata ormai un punto di riferimento per gli studiosi di economia aziendale e di management applicati
alle amministrazioni pubbliche e per gli operatori del settore, è giunto per
Azienda Pubblica il momento del cambiamento della propria governance sul
piano editoriale e scientifico. Ciò con lo scopo di rispondere sempre meglio
alle esigenze di un ambiente economico, sociale e istituzionale in rapido
cambiamento, dell’apertura all’internazionalizzazione e del rispetto dei requisiti per l’accreditamento AIDEA ottenuto nel 2009. La nuova governance
prevede i seguenti organi decisi dal Comitato Scientifico che si è riunito a
Roma il 24 marzo in occasione del 4° Workshop della Rivista:
-
-
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-
Direttore
Comitato Editoriale
Comitato di Indirizzo
Comitato Scientifico
La funzione di Direttore è stata assunta da Eugenio Anessi dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore, nominato all’unanimità.
A far parte del Comitato Editoriale sono stati chiamati, oltre al Direttore, i
Co-Direttori Paola Adinolfi, Università di Salerno, Luca Del Bene, Università
Politecnica delle Marche, Ileana Steccolini, Università Bocconi.
Nicola Bellè, Università Bocconi, svolgerà la funzione di coordinatore
del Comitato Editoriale e Chiara Peverelli, Università Bocconi, quella di
assistente allo stesso.
Il Comitato di Indirizzo, presieduto da Riccardo Mussari, Università di Siena,
è composto da Docenti che rappresentano principali poli di studi aziendali
applicati alle amministrazioni pubbliche presenti nel sistema universitario
italiano. Di esso fanno parte Riccardo Mussari – Università di Siena, Eugenio Anessi Pessina – Università Cattolica del Sacro Cuore, Elio Borgonovi
– Università Bocconi, Renato Mele – Università di Salerno, Luca Anselmi –
Università di Pisa e Scuola Superiore di Pubblica Ammministrazione, Marco
Meneguzzo – Università Tor Vergata Roma, Antonello Zangrandi – Università
di Parma, Eugenio Caperchione – Università di Modena, Giuseppe Farneti – Università di Bologna, Stefano Pozzoli – Università Parthenope, Aldo
Pavan – Università di Cagliari, Luigi Puddu – Università di Torino, Lidia
D’Alessio – Università di Roma3.
Il Comitato Scientifico è composto da Docenti di ruolo, Ordinari e Associati,
che si sono dedicati in termini significativi e prevalenti agli studi di economia
aziendale e di management applicati alle amministrazioni pubbliche e da
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Docenti e Ricercatori stranieri con i quali la comunità scientifica del nostro
Paese ha instaurato stabili contatti. Esso è composto da Fabio Amatucci,
Michael Barzelay, Maria Bergamin Barbato, Carmine Bianchi, Massimo
Bianchi, Geert Bouckaert, Armando Buccellato, Roberto Cafferata, Dario
Cavenago, Jim Chan, Giovanni Costa, Mariano D’Amore, Mario Del Vecchio, Fabio Donato, Peter Eichhorn, Bill Eimicke, Marco Elefanti, Giovanni
Fattore, Giorgio Fiorentini, Andrea Francesconi, Giuseppina Gandini,
Andrea Garlatti, Lucia Giovanelli, Katia Giusepponi, Giuseppe Grossi,
James Guthrie, Luciano Hinna, Federico Lega, Francesco Longo, Lawrence
R. Jones, Nancy Kane, Walter Kickert, Davide Maggi, Francesco Manfredi,
Giuseppe Marcon, Ludovico Marinò, Antonio Matacena, Mario Mazzoleni,
Paola Miolo Vitali, Marcella Mulazzani, Roberto Negri, Paola Orlandini,
Stephen Osborne, Fabrizio Panozzo, Niccolò Persiani, Fabrizio Pezzani,
Cristopher Pollit, Adriano Propersi, Gianfranco Rebora, Christoph Reichard,
Angelo Riccaboni, Paolo Ricci, Paolo Rondo Brovetto, Renato Ruffini, Massimo Sargiacomo, Kuno Schedler, Barbara Sibilio, Alessandra Storlazzi,
Jeffrey D. Straussman, Sebastiano Torcivia, Emidia Vagnoni, Giovanni Valotti, Francesco Vermiglio, Alfred Vernis, Stefano Zambon, Mara Zuccardi
Merli, Elena Zuffada.
Il nuovo Comitato Editoriale è composto da Ricercatori che uniscono la ancor
giovane età ad una pluriennale esperienza didattica in Corsi di Laurea, di
Laurea Specialistica, Master di primo e secondo livello, Master post esperienza, Corsi Executive e di ricerca di base ed applicata. Ciò consentirà loro
di selezionare i contributi sulla base del criterio di rigore metodologico e di
capacità analitica ed interpretativa dei problemi reali nonché un processo di
referaggio realizzato con il criterio del doppio anonimato (double blind).
Al Comitato di Indirizzo è attribuita la difficile ma innovativa e stimolante
funzione di realizzare un network italiano di ricerca in grado di alimentare
la Rivista con contributi di qualità sempre più elevata nonché quella di
collaborare con il Comitato di Direzione nella definizione dei programmi
editoriali della Rivista.
I componenti del Comitato Scientifico sono chiamati a svolgere il delicato
compito di referaggio nonché a proporre articoli propri e dei propri collaboratori in grado di assicurare continuità e prestigio alla Rivista.
L’Editore Maggioli, che ha condiviso il nuovo assetto di governance e i
piani per il futuro, si è impegnato ad un’azione di sostegno della Rivista
nelle forme e con le modalità che saranno concordate nei prossimi mesi
con gli organi scientifici.
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Editoriale
Amministrazioni pubbliche e sostenibilità economica
Elio Borgonovi
Nei giorni 25 e 26 marzo 2010 si è svolto a Roma il IV Workshop della
rivista Azienda Pubblica, sul tema “Il sistema delle amministrazioni pubbliche
per un modello economico sostenibile”. La formulazione del titolo è stata
influenzata dalla crisi finanziaria ed economica scoppiata nel 2008, ma
i cui sintomi, in generale sottovalutati, si erano già manifestati negli anni
precedenti. Già dal titolo appare chiara l’ipotesi forte su cui i ricercatori
sono stati chiamati a confrontarsi: un sistema economico sostenibile non
può prescindere da modificazioni significative strutturali del sistema delle
amministrazioni pubbliche. Va immediatamente chiarito che oggetto del
convegno non sono stati gli interventi diretti o indiretti delle amministrazioni (sovranazionali, statali, regionali, locali) nel salvataggio di banche
e imprese, nelle politiche di welfare e di tutela dell’occupazione tramite
ammortizzatori sociali, né le politiche di incentivi ai vari settori, quali sgravi
fiscali o contributi finanziari per la sostituzione di beni durevoli o sostegno
al potere di acquisto delle famiglie come è il caso della social card, delle
garanzie per il credito al consumo, di servizi gratuiti o a tariffe fortemente
calmierate per le famiglie in difficoltà. L’attenzione è stata posta soprattutto
sugli aspetti di funzionamento delle amministrazioni pubbliche da cui dipende in misura significativa l’effettiva, e non solo auspicata, sostenibilità.
L’aumento dell’efficienza della qualità nello svolgimento delle funzioni
pubbliche e nella produzione/erogazione dei servizi, infatti, consente da
un lato un minore assorbimento di reddito prodotto da parte del settore
pubblico (a parità di risposta ai bisogni pubblici e di pubblico interesse) e
dall’altro riduce i “costi della burocrazia” per le imprese contribuendo ad
aumentare la competitività del sistema Paese. Concetti ampiamente noti e
scontati, è stato detto nella sessione di apertura; nella quale tuttavia sono
stati sottolineati tre aspetti meritevoli di essere portati all’attenzione dei lettori
e dell’opinione pubblica:
1. il titolo, in quanto la specificazione “sistema delle amministrazioni pubbliche” e non “pubblica amministrazione” o “settore pubblico”, ha lo scopo
di evidenziare l’articolazione del settore, la numerosità, eterogeneità e
specificità di migliaia di amministrazioni ed enti territoriali, enti funzionali,
agenzie, imprese caratterizzate da differenti forme giuridiche e grado di
autonomia operativa, organizzativa ed economica;
2. il riferimento al contesto economico (crisi), sociale (attenzione e pressione
della opinione pubblica), politico (consenso raccolto dai partiti e dai movimenti
che dimostrano impegno nell’affrontare e risolvere i problemi concreti delle
comunità locali e nazionali), istituzionale (approvazione di riforme), che oggi
genera una richiesta di cambiamento molto più forte rispetto al passato;
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Editoriale
3. l’esigenza di ridurre in modo decisivo e in tempi rapidi la distanza
tra il mondo della ricerca sulle amministrazioni pubbliche e coloro che
in esse operano.
Sul primo punto è stato ricordato che a livello di sistema è opportuno porre
solo regole (poche), principi (chiari), criteri (trasparenti), indirizzi (idonei
a premiare comportamenti virtuosi), mentre la difficoltà consiste nel far
calare regole, principi, criteri, indirizzi in migliaia di contesti nei quali la
capacità di produrre cambiamento effettivo dipende dalla presenza o meno
di persone in grado di governare complesse relazioni tra politici, dirigenti,
altro personale professionale o tecnico operativo, sindacati, gruppi di
pressione esterni. Temi sui quali Azienda Pubblica si è soffermata più volte
negli editoriali e in numerosi articoli. Su questi temi oggi esistono, rispetto
al passato, condizioni più favorevoli per rompere schemi e comportamenti
tradizionali, passando dall’analisi critica all’applicazione diffusa di metodi
e strumenti di buona gestione.
Innanzitutto, ed è stato il secondo tema conduttore, i vincoli e le pressioni
esterne impongono scelte coraggiose e impediscono i rinvii e i ritardi del
passato, manovre finanziarie che consentivano di posticipare il raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario (e non di quello puramente
contabile), l’uso del decentramento di funzioni per aumentare la spesa senza
assunzione delle correlate responsabilità. Sono stati presentati alcuni esempi
di amministrazioni “virtuose” che hanno eliminato sprechi e hanno ridotto
il personale e il numero dei dirigenti con politiche di sostituzioni “mirate”
del turnover con persone dotate di professionalità più elevate richieste dalle
nuove funzioni. Oggi anche le amministrazioni pubbliche sono chiamate
alla duplice sfida di premere sul freno (della spesa, per il personale e per
l’acquisto di beni e servizi, di trasferimenti che non siano motivati da credibili
piani di efficiente impiego da parte dei destinatari) e sull’acceleratore (di
alcune spese che servono da stimolo allo sviluppo economico, alla riqualificazione urbana o di aree degradate, alla creazione di capitale sociale). Il
principio che deve guidare il cambiamento nelle amministrazioni pubbliche
è quello di avere meno quantità (numero di dipendenti, ammontare assoluto
della spesa) e più qualità (maggiore professionalità, migliori servizi, più
elevato rapporto benefici costi).
Investire in capitale sociale significa aumentare la spesa per istruzione e
formazione a tutti i livelli (da quella primaria all’università), salute, sicurezza, servizi sociali, servizi per persone non autosufficienti, per gli anziani,
casa, trasporti e altri servizi a rete, ma anche incentivi, servizi e garanzie
a favore delle imprese che devono riconvertirsi o di chi vuole avviare nuove
imprese.
Per i politici è sempre più difficile promettere e vendere illusioni e l’idea
che si possa “fare tutto per tutti”. Anche per molti di loro, specie a livello
locale, sembra giunto il momento della verità che consiste nel definire le
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Editoriale
priorità in termini più o meno precisi a seconda della fase del ciclo elettorale
nel quale si trovano.
Per i burocrati di cultura tradizionale è sempre più difficile trincerarsi
dietro vincoli formali di leggi e procedure obsolete. Ciò è ancor più vero
dopo i vari provvedimenti di snellimento attuati dal Ministro Calderoli e con
la manovra finanziaria approvata a fine giugno di cui, peraltro, dovranno
essere attentamente monitorati gli effetti concreti.
Per i manager provenienti dal privato o che proponevano fino ad alcuni
anni fa il puro e semplice trasferimento di metodi o tecniche privatistiche, è
giunto il momento di coniugare l’attenzione ai risultati, alle decisioni rapide,
al “fare”, con il rispetto della legalità sostanziale e con il recupero del concetto di interesse pubblico. Esso non può essere inteso come sommatoria o
compromesso di interessi particolari ma deve essere inteso come insieme di
condizioni che generano vantaggi per tutta (o per la maggior parte) della
popolazione, il che diventa sempre più difficile in una società con molteplici
culture e attese nei confronti dell’azione pubblica.
I processi nella direzione di maggiore trasparenza hanno fatto progressi,
molte volte con fatica, ma rendono sempre più difficile nascondere e difendere rendite di posizione. È possibile agire contestualmente sul freno (della
spesa improduttiva) e l’acceleratore (di quella produttiva) se si mettono in
campo strumenti già disponibili quali piani e programmi sottoposti ad analisi
di fattibilità, inventario e valorizzazione delle risorse patrimoniali, programmazione dei flussi di entrata e di spesa, mappatura delle professionalità del
personale, misurazione dei livelli di produttività e dei costi.
Con riguardo al terzo punto, rapporto ricerca e mondo delle amministrazioni,
sono emerse riflessioni critiche e autocritiche. È stato evidenziato che le amministrazioni non possono essere considerate prevalentemente “oggetto” di
studio, ma devono diventare i primi “destinatari” e “fruitori” di conoscenze
applicabili. D’altra parte è stato sottolineato che le amministrazioni pubbliche non sembrano in grado di autoriformarsi poiché sono prigioniere della
stratificazione della cultura della ricerca del puro consenso politico, degli
adempimenti formali, delle soluzioni astrattamente ottimali, ma non possono
nemmeno essere cambiate solo imponendo interventi dall’esterno, salvo i
casi di traumi istituzionali o di rivoluzioni. Occorre produrre un cambiamento
della cultura e dei comportamenti tramite un mix di immissione di nuove
persone, di valorizzazione e motivazione di chi è già inserito, di strumenti
valutativi idonei a riconoscere e premiare il merito. Perciò la ricerca deve
partire dai problemi concreti di amministrazioni che devono rinnovarsi e
deve produrre risultati comprensibili per gli operatori.
Entrando nel merito delle varie sessioni tematiche è possibile sintetizzare
quanto emerso dai numerosi e ricchi contributi presentati.
Innanzitutto il concetto di “governo delle amministrazioni pubbliche” deve
essere ripensato nella prospettiva innovativa non solo della governance ma in
senso più ampio della governabilità (governmentability). In effetti il concetto
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Editoriale
inglese è di difficile traduzione in italiano e tuttavia si può dire che si tratta di
un concetto che riguarda sia i contenuti che il metodo di governo. Per quanto
riguarda i contenuti viene ripreso quanto affermato da più leggi anche nel
nostro Paese secondo cui bisogna passare da un’amministrazione centrata
sugli atti e sui procedimenti a un’amministrazione “orientata ai cittadini, alle
imprese, in generale ai bisogni”. Questo concetto sembra ormai largamente
accettato e proposto dagli studiosi ed è ormai presente in molte dichiarazioni
di politici e di manager pubblici; tuttavia esso è meno presente sul piano
applicativo, anche se nel Convegno sono stati presentati significativi casi di
buone pratiche ed efficaci metodi per le “analisi dei bisogni”. Per quanto
riguarda il metodo occorre da un lato passare dalla semplice informazione
al cittadino al miglioramento dell’accessibilità ai servizi e dall’altro passare
dalla semplice consultazione di soggetti esterni alla condivisione di scelte.
Ciò vuol dire che gli organi politici devono sviluppare la loro capacità di
elaborare proposte “convincenti” per un vasto numero di soggetti esterni,
sulle quali è possibile aggregare energie e risorse finanziarie provenienti
dalla società. Governabilità significa non solo decidere in modo razionale
e con prospettive di lungo periodo ma anche stimolare comportamenti di
molti soggetti convergenti verso interessi comuni. Significa ancora proporre
“politiche pubbliche” credibili e, in quanto tali, capaci di mobilitare molti
soggetti nella società e incentivarli ad assumere, ognuno per la sua parte,
il rischio del cambiamento.
Rispetto al concetto di governance, la “governabilità” implica un passo
avanti in quanto include anche la propensione a raccogliere suggerimenti
da parte della società circa proposte di legge, politiche di intervento, miglioramento dei servizi. Non è sufficiente acquisire un vasto consenso tramite le
elezioni, né realizzare momenti di concertazione con le forze economiche
e sociali presenti nel territorio, come previsto dalla maggior parte degli
statuti di enti locali. Occorre andare oltre e utilizzare le nuove tecnologie
informatiche e della “rete” per raccogliere dai cittadini e dalle imprese,
da associazioni e altri corpi intermedi della società civile suggerimenti su
come migliorare l’amministrazione, secondo la logica open government che
incomincia a diffondersi anche nel nostro paese.
Un secondo filone di contributi ha riguardato la misurazione e la valutazione delle performance. Molti sono gli schemi concettuali e le metodologie
di valutazione delle performance proposte dagli studiosi e applicati da enti
di vario livello (locale, regionale, statale e, recentemente, dalle istituzioni
internazionali). Il concetto è recepito anche dal decreto legislativo 150/2009
(decreto Brunetta) che presenta in modo articolato il ciclo di definizione
degli obiettivi, misurazione e valutazione delle performance, incentivi
collegati alle valutazioni. In questo editoriale si ritiene utile ricordare che
occorre distinguere la valutazione delle performance del singolo ente (Comune, Provincia, Regione, Ministero), di settori, servizi o unità operative,
di singoli dirigenti. Mentre la valutazione riferita ai dirigenti, alle posizioni
organizzative ed eventualmente a tutto il personale ha l’obiettivo di corriAzienda Pubblica 2.2010
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Editoriale
spondere la parte di retribuzione variabile, la valutazione delle performance
dell’amministrazione o di parti di essa può essere utilizzata soprattutto per
confronti con altre amministrazioni e per individuare gli spazi di miglioramento. Sicuramente, è utile tener conto delle performance generali dell’ente
o parti di esso anche nelle valutazioni delle performance individuali per
stimolare lo spirito di collaborazione. Ad esempio se gli obiettivi individuali sono definiti includendo il 30-40% degli obiettivi generali, si potranno
evitare sistemi che spingono i singoli dirigenti e operatori a raggiungere
obiettivi individuali anche a danno degli obiettivi generali. L’incentivazione
individuale è importante, ma se essa provoca un’eccessiva competizione
interna, le amministrazioni rischiano di essere spinte verso situazioni che i
matematici definiscono di “ottimi parziali che non corrispondono all’ottimo
generale” del sistema aziendale. Ciò contrasta con l’esigenza della società
di avere un’amministrazione efficiente e funzionale nel suo complesso e non
in settori e funzioni particolari.
Su questo tema sono stati presentati contributi che hanno sottolineato un
altro aspetto che oggi appare rilevante: il concetto di perfomance va sempre
più declinato in termini di misurazione della soddisfazione dei “destinatari,
degli utenti finali dell’azione amministrativa”. Molti enti utilizzano indicatori
di efficienza interna, un numero più limitato utilizza strumenti per la valutazione della qualità delle prestazioni dei servizi, mentre un numero ancor
troppo limitato si spinge allo stadio equivalente alla customer satisfaction
delle imprese che operano sul mercato. Sono stati peraltro sottolineati i
rischi che varie metodologie di citizen satisfaction possono determinare, ad
esempio le famose macchinette introdotte dal ministro Brunetta con le quali
il cittadino poteva esprimere la sua soddisfazione/non soddisfazione per
il servizio ricevuto. Applicando il principio, poco etico ma molto pratico,
molte amministrazioni hanno incaricato alcuni dipendenti o persone amiche
di premere con una certa frequenza il bottone della soddisfazione rendendo poco significativi i risultati delle rilevazioni. Allo stesso modo i risultati
di questionari di vario tipo, utilizzati da servizi sociali di enti locali o da
strutture sanitarie, sono condizionati dal momento della somministrazione e
anche da certe “distorsioni strutturali”. È noto, infatti, che nel nostro paese,
sono presenti due tendenze:
- quella di essere molto critici nei confronti di tutto ciò che è pubblico anche
quando le disfunzioni dipendono da comportamenti degli stessi individui che
criticano le amministrazioni o da imprese private che gestiscono i servizi
per conto delle stesse;
- quella contraria di valutare positivamente le amministrazioni con le quali
vi è un’affinità di carattere politico o ideologico, tendenza questa peraltro
in netta diminuzione.
Un terzo filone ha riguardato i sistemi di accountability per la qualità e la
trasparenza delle informazioni e delle azioni. In questa sessione è stata
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Editoriale
sottolineata soprattutto l’importanza di chiarire in modo preciso i destinatari
delle informazioni. Infatti, affinate metodologie di rilevazione contabile ed
extra contabile e la disponibilità di potenti tecnologie informatiche consentono di raccogliere ed elaborare una quantità enorme di informazioni utili
sia per la gestione interna sia per la comunicazione esterna. I punti critici
sembrano essere quelli della “convenienza” dei vari soggetti a comunicare
le informazioni e la “capacità” di utilizzare le stesse. Sono ormai numerose
nel nostro paese ma anche nelle realtà più avanzate, quali Nuova Zelanda,
Regno Unito, Canada, ecc., le esperienze di bilanci inviati alle famiglie in
forma semplificata e facilmente comprensibile, e di “bilanci sociali” ossia che
completano le informazioni economico-finanziarie con quelle sulla qualità
dei servizi e sugli effetti positivi o negativi per la società. Tuttavia in molte
di queste esperienze è stata rilevata una limitata utilizzazione dei dati ai
fini di promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione
della cosa pubblica. Si può dire che oggi anche nelle amministrazioni vi è
un’ampia disponibilità di informazioni, mentre sono meno diffuse le capacità
di “selezionare” le informazioni più significative e di trarne le conseguenze
in termini decisionali sia all’interno che da parte di soggetti esterni. Quindi
gli sforzi maggiori dovranno essere concentrati sullo sviluppo di processi
idonei a rendere la trasparenza e la qualità dell’informazione fattori di
reale cambiamento.
Un quarto filone ha riguardato le modalità di erogazione dei servizi.
I contributi si sono concentrati sulle diverse forme giuridiche, gestionali e
organizzative adottate per la produzione e l’erogazione dei servizi di pubblica utilità. Su questo fronte preme sottolineare che le scelte dovrebbero
tener conto dei seguenti principali aspetti:
a) evitare che la costituzione di enti funzionali, agenzie e imprese a controllo
pubblico (maggioritario e di minoranza) sia utilizzata come escamotage
per superare vincoli di vario tipo quali il patto di stabilità interna o i vincoli
sulle remunerazioni dei manager pubblici;
b) ridurre il rischio che l’obiettivo positivo di perseguire una “gestione più
imprenditoriale” di servizi pubblici sia annullato dall’effetto negativo di
un’eccessiva frammentazione che impedisce di coordinare le politiche e
gli interventi adottati da comuni, province, regioni e dalle loro aziende
autonome;
c) predisporre metodi e tecniche per realizzare bilanci consolidati “del gruppo pubblico”, operazione che implica la soluzione di complessi problemi
tecnici quando si è in presenza di bilanci redatti secondo il principio della
competenza finanziaria (per gli enti capogruppo) e competenze economicopatrimoniali per le imprese costituite in forma s.p.a. o s.r.l.
Mentre i primi due aspetti riguardano soprattutto la sfera politica, e perfino
quella etica, il terzo presenta complesse problematiche tecnico-contabili e di
raccordo tra diversi sistemi informativi. Il dibattito è stato ricco e articolato
Azienda Pubblica 2.2010
178
Editoriale
sia su temi di carattere generale sia su aspetti più puntuali. Agli studiosi,
come si è scritto all’inizio di questo editoriale, spetta ora la responsabilità
di rendere le proprie conoscenze maggiormente operative sia per i propri
studenti (al fine di promuovere una nuova cultura per le amministrazioni del
futuro) sia nelle iniziative di formazione e nei progetti di ricerca e intervento
e consulenza per le amministrazioni, al fine di produrre in tempi brevi il
cambiamento richiesto dal Paese.
Un impegno, questo, che proseguirà per gli studiosi che si confronteranno il 20 e 21 ottobre presso l’Università Bocconi nell’annuale convegno
di AIDEA (Accademia Italiana di Economia Aziendale) sul tema “Amministrazioni pubbliche & non profit per un mercato responsabile e solidale”.
Si può dire che il 2010 è per gli studiosi di economia aziendale applicata
alle amministrazioni pubbliche l’anno del definitivo superamento della tradizionale separazione o contrapposizione tra sistema pubblico e sistema
di mercato.
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Azienda Pubblica 2.2010
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali *
Pina Puntillo
Ricercatrice di Economia Aziendale – Università della Calabria
Paolo Tenuta
Assegnista di Ricerca in Economia Aziendale – Università della Calabria
Sommario: 1. Introduzione. 2. La dimensione finanziaria del management pubblico locale. 3. I principali modelli
quantitativi predittivi del rischio finanziario. 4. Le determinanti del financial risk assessment da trattare come variabili
esplicative nei modelli econometrici predittivi del rischio finanziario. 5. I rischi derivanti dai derivati. 6. I rischi derivanti
dai debiti fuori bilancio 7. I debiti fuori bilancio e i derivati: un’analisi quantitativa. 8. La teoria della diversificazione
del portafoglio finanziario per gli enti locali.
Fino agli anni Novanta dello scorso secolo la gestione finanziaria degli enti locali poteva definirsi di tipo
passivo, in quanto la certezza e la stabilità delle entrate pubbliche locali, costituite prevalentemente da trasferimenti erariali, lasciavano poco spazio all’analisi del fabbisogno finanziario e delle fonti di copertura.
Le riforme degli anni novanta (culminate nella modifica del titolo V della Costituzione) hanno modificato
l’assetto economico-finanziario degli enti locali affermando il principio dell’autonomia finanziaria per
tutti i livelli di governo per garantire la copertura delle funzioni pubbliche loro attribuite, a seguito dell’attuazione dei principi di sussidiarietà. Il sistema di finanza pubblica si sta pertanto evolvendo verso un
modello decentrato caratterizzato dalla progressiva riduzione dei trasferimenti statali, dal superamento
del criterio della spesa storica a favore del criterio della spesa attesa per i livelli essenziali di assistenza
e di prestazioni, e dal peso sempre maggiore che avranno le risorse proprie e la capacità di trovare
fonti di finanziamento diversificate.
La disciplina meno garantista e il modello di finanza autonoma impongono pertanto agli enti locali
di sviluppare una maggiore “sensibilità al rischio”, e di individuare una metodologia appropriata di
financial risk assessment.
Scopo del presente lavoro è individuare e analizzare le principali tipologie di rischio delle quali occorre tener conto nella definizione di un modello di valutazione del rischio finanziario degli enti locali.
Until the nineties of last century, the financial management of local authorities could be called passive type,
since the certainty and the stability of local government revenue, consisting mainly transfers from revenue,
leaving little room for analysis of financial needs and sources of coverage. The reforms of the nineties (which
culminated in the amendment of Title V of the Constitution) have changed the economic and financial structure
of local affirming the principle of financial for all levels of government to ensure coverage of public functions
devolved upon them, following the implementation of the principles of subsidiary. The system of public finance
is therefore moving towards a decentralized model characterized by the progressive reduction of transfers
state, more than the criterion of historical expenditure for the expenditure criterion waiting for essential levels
of assistance and benefits, and weight increased resources that will and their ability to find diverse sources
of funding. Discipline less guaranteed and the model of self-finance necessary therefore to local to develop
a greater “risk sensitivity”, and to identify an appropriate methodology of financial risk assessment.
The purpose of this study is to identify and analyze the main types of risk which must be taken into account
in formulating a model of financial risk assessment of local authorities.
L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare
e programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università
di Salerno – Università degli Studi del Sannio, giugno 2008.
* Sebbene sia frutto di uno studio congiunto i paragrafi 1, 2, 3, 4 e 8, sono attribuibili a Pina Puntillo e i paragrafi
5, 6 e 7 a Paolo Tenuta.
Parole chiave: financial risk assessment – enti locali
Key words: financial risk assessment – local government
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Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
1. Introduzione
Il presente studio si focalizza sugli strumenti che possono offrire un valido
supporto alla previsione di difficoltà e crisi finanziarie degli enti locali.
A tale scopo verrà analizzato il tema del risk measurement, focalizzato
sullo sviluppo di un insieme di misure finalizzate a individuare il livello di
performance soggetta a rischio. Dopo una attività preliminare di review delle
disposizioni normative dell’ultimo ventennio in materia di finanza locale,
tesa ad individuare i parametri ritenuti più eloquenti in sede di previsione
di situazioni di disequilibri finanziari, si analizzeranno i fattori di rischio
finanziario per gli enti locali generati da indicatori di bilancio e dalle decisioni di natura strategica ed operativa connesse alla gestione finanziaria
dell’ente. Tali fattori di rischio costituiscono le variabili esplicative da inserire
nei modelli quantitativi di stima del rischio di insolvenza.
2. La dimensione finanziaria del management pubblico locale
Fino agli anni Novanta dello scorso secolo la gestione finanziaria degli enti
locali poteva definirsi di tipo passivo, in quanto la certezza e la stabilità
delle entrate pubbliche locali, costituite prevalentemente da trasferimenti
erariali, lasciavano poco spazio all’analisi del fabbisogno finanziario e
delle fonti di copertura.
Nel sistema di finanza pubblica derivata i trasferimenti statali e i finanziamenti della Cassa depositi e prestiti venivano infatti erogati e concessi a
condizioni indifferenziate rispetto al grado di rischio dei singoli beneficiari
(Mori, 2001: pp. 485-501), alimentando la convinzione che fosse superfluo
valutare la meritevolezza di credito degli enti locali in quanto soggetti poco
rischiosi se non addirittura privi di rischio creditizio.
Questo clima ha, di fatto, impedito l’instaurarsi di una “cultura del rischio”
accanto alla “cultura del risultato” che va sempre più consolidandosi.
Le riforme degli anni Novanta (culminate nella modifica del titolo V della
Costituzione) hanno modificato l’assetto economico-finanziario degli enti
locali affermando il principio dell’autonomia finanziaria per tutti i livelli di
governo per garantire la copertura delle funzioni pubbliche loro attribuite
a seguito dell’attuazione dei principi di sussidarietà. Il sistema di finanza
pubblica si è pertanto evoluto verso un modello decentrato caratterizzato
dalla progressiva riduzione dei trasferimenti statali, dal superamento del
criterio della spesa storica a favore del criterio della spesa attesa per i livelli
essenziali di assistenza e delle prestazioni (Borgonovi, 2009: p. 15; Paoloni
et al., 2007: pp. 577-615).
In tale sistema avranno un peso sempre maggiore le risorse proprie e la
capacità di trovare fonti di finanziamento diversificate mediante il ricorso al
mercato dei capitali. Il sistema di finanza locale autonoma produce infatti
effetti di responsabilizzazione con riguardo alla qualità delle scelte interne
e di competizione fra enti (Borgonovi, 2005: p. 162).
Azienda Pubblica 2.2010
182
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Il monitoraggio di tutto ciò che produce riflessi sull’assetto finanziario
dell’ente diventa pertanto fondamentale per la sopravvivenza degli enti
locali (Mele et al., 2005: p. 487).
La disciplina meno garantista che si profila in materia di finanziamento
impone pertanto agli enti locali di sviluppare una maggiore “sensibilità al
rischio” (Speca, 2002: pp. 772-821), e di individuare una metodologia
appropriata di financial risk assessment.
Se l’azione di contrasto avverso disfunzioni, sprechi e illeciti a danno dei
conti pubblici si è finora realizzata prevalentemente attraverso la repressione
e l’applicazione di norme penali e amministrative, la prevenzione necessita
invece di un disegno più articolato, da sviluppare su molteplici fronti con
l’ausilio di competenze tecniche specialistiche e di strumenti quantitativi di
analisi.
È evidente che il monitoraggio del rischio finanziario non rientra nella
fattispecie del controllo finanziario di competenza della Corte dei conti,
controllo, quest’ultimo, che si risolve in un sindacato successivo ed esterno
alla amministrazione, di natura imparziale e nella sua manifestazione in
un referto.
Il controllo finanziario appartiene al genus dei controlli di legittimitàregolarità di natura amministrativo-contabile: esso ha per oggetto la conformità della esposizione e della informazione finanziaria ai canoni di legge,
regolamentari e ai principi contabili, ricavabili direttamente o indirettamente
dalla normativa. Il controllo finanziario ha quale esito una valutazione in
termini di correttezza, attendibilità, chiarezza e trasparenza; in particolare
si estrinseca in un giudizio di corretta rispondenza dei fatti amministrativi
e gestori di un certo periodo temporale (generalmente l’anno solare) alla
loro illustrazione nelle scritture contabili ufficiali.
Diversamente il monitoraggio del rischio finanziario non è un’attività di
natura amministrativa che ha per oggetto la verifica della legittimità e/o
conformità dell’azione di governo alla normativa giuscontabilistica.
Il rischio finanziario è definito come la possibilità che un intermediario
non adempia puntualmente la propria obbligazione finanziaria, e si presenta come un problema dei sistemi evoluti. Esso può riferirsi alla incapacità
assoluta di adempiere (rischio di credito), oppure temporanea (rischio di
liquidità); può inoltre riguardare la posizione debitoria maturata nei confronti di una controparte (rischio di controparte) o del sistema (rischio di
regolamento).
Il processo di analisi dei rischi, generalmente denominato risk assessment,
può essere articolato in tre fasi:
• identificazione dei rischi;
• analisi e valutazione dei rischi;
• allocazione dei rischi.
L’attività di risk assessment consiste, quindi, nell’identificare, selezionare,
misurare e gestire i fattori di rischio (Martiniello, 2005: pp. 678-689).
L’identificazione e la classificazione delle fonti di rischi è quindi
183
Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
indispensabile per la loro corretta gestione.
Al fine di individuare una metodologia appropriata di risk assessment
può essere opportuno osservare i sistemi adottati dagli organismi operanti
sul mercato dei capitali per accertare la solvibilità degli enti debitori.
I rating delle agenzie specializzate costituiscono da tempo un importante strumento per gli investitori, soprattutto nei Paesi in cui il mercato dei
capitali rappresenta un ampio canale di finanziamento per le imprese.
Il principale motore alla base dei giudizi di rating risiede certamente
nell’analisi della situazione economica e finanziaria della società (Cannata, 2001: pp. 37 e ss.).
Le stesse agenzie di rating sottolineano la centralità che i dati bilancio
rivestono nella valutazione dell’affidabilità complessiva di un’azienda;
d’altra parte gli studi condotti sull’argomento hanno dimostrato l’esistenza
di relazioni significative tra rating e variabili quantitative.
Pur nella consapevolezza che la metodologia di analisi che le società
specializzate seguono nell’attribuzione dei giudizi si presenta come una
combinazione di valutazioni quantitative e qualitative, non tutte catturabili
da algoritmi matematici, l’analisi quantitativa costituisce una fase di assoluta
centralità.
Evidentemente anche nella valutazione del rischio finanziario di un ente
locale hanno un peso rilevante sia variabili economico-finanziarie, sia variabili politiche. L’analisi delle variabili economiche-finanziarie tuttavia è più
oggettiva in quanto poggia direttamente sulle informazioni di bilancio. (1)
L’attendibilità di tali dati costituisce condizione necessaria (anche se
non sufficiente) per la validità dei modelli quantitativi predittivi del rischio
finanziario. Assumono, in tal senso, particolare rilievo il Postulato della
veridicità ed attendibilità del sistema di bilancio, ed il Principio contabile
n.1 “Programmazione e previsione nel sistema di bilancio”, (2) emanati
dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, istituito
presso il Ministero dell’interno, laddove sottolineano, rispettivamente, che
per essere utili le informazioni devono essere attendibili, e l’importanza di
una consapevole e seria attività di programmazione.
Come sottolinea, infatti, l’autorevole dottrina, la programmazione serve
a razionalizzare il processo decisionale in condizioni di incertezza (Farneti,
2009, p. 277).
Subentrano inoltre fattori esterni riconducibili a variabili macroeconomiche
1 Numerosi sono in dottrina gli studi sugli indicatori negli enti locali. Fra gli altri si vedano
Farneti G., Padovani E., Il check-up dell’ente locale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2003; M. Bellesia, Enti locali. Analisi di bilancio, Milano, Ipsoa, 1998; L. Gallo, M. Simonetto, Gli indicatori
di bilancio per l’ente locale, Rimini, Maggioli Editore, 2004; A. Ziriuolo, Il supporto informativo – contabile degli enti locali nel processo di programmazione e controllo, Torino, Giappichelli, 2000; Farneti G., Mazzara L., Savioli G., Il sistema degli indicatori negli enti locali, Torino, Giappichelli Editore, 1996; Mulazzani M., Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, vol. II, Padova, Cedam, 2006; Mazzoleni M., L’analisi di bilancio negli enti pubblici territoriali, in Azienda Pubblica, n. 2/1989; Puntillo P., Gli indicatori per l’analisi della
dinamica finanziaria degli enti locali, Milano, Franco Angeli, 2007.
2 Per approfondimenti si veda Farneti G., 2009, Il principio contabile n. 1. La programmazione nel sistema di bilancio, in Azienditalia, vol. 16, fasc. 6 – Supplemento.
Azienda Pubblica 2.2010
184
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
e congiunturali. Anche nelle aziende profit oriented l’attribuzione del rating
finale dipende dallo stato di salute economico-finanziaria opportunamente
rettificato in funzione dei rischi ambientali e politici (Ferrara, 2003: pp.
89).
Di conseguenza il financial risk assessment non è una procedura di natura
statica ma dinamica, che si evolve in funzione di fattori endogeni, quali la
situazione economica e finanziaria dell’ente, la sua struttura organizzativa, l’assetto socio-economico del territorio in cui l’ente opera, e di fattori
esogeni, quali il quadro economico e istituzionale nazionale (Scaramucci,
2005: pp. 245).
La richiesta di assegnazione del rating è un’operazione comunque costosa alla quale gli enti ricorrono, generalmente, in occasione dell’emissione di
prestiti obbligazionari (Piscino, 2004: p. 109). Generalmente gli enti locali
non possiedono al loro interno le competenze tecniche idonee ad analizzare
in termini prospettici, attraverso elaborazioni particolarmente sofisticate, il
proprio assetto finanziario al fine di valutare la propria solvibilità.
Tuttavia lo scenario che va prefigurandosi con la piena attuazione del
federalismo fiscale impone un’attenta valutazione del rischio di insolvenza
e l’utilizzo di modelli idonei allo scopo.
Dato lo stato attuale della finanza pubblica, assumono pertanto rilevanza
i modelli quantitativi predittivi del rischio di insolvenza delle aziende pubbliche. La capacità di individuare prontamente una potenziale situazione di
crisi, consente, infatti, l’adozione di efficaci misure correttive. Generalmente
le variabili quantitative utilizzate in tali modelli sono rappresentate da dati
di natura sia contabile che extracontabile.
Partendo da queste premesse nel prosieguo del lavoro saranno esaminati da un punto di vista teorico i modelli predittivi del rischio finanziario,
e successivamente le principali tipologie di fonti di rischio finanziario che i
modelli predittivi devono catturare, e che da un punto di vista metodologico
rappresentano le variabili esplicative dei modelli.
3. I principali modelli quantitativi predittivi del rischio finanziario
Dato il contesto appena illustrato, si propone l’utilizzo di modelli quantitativi
al fine di identificare tempestivamente i rischi di insolvenza.
Si percepisce chiaramente l’importanza di utilizzare modelli quantitativi,
in grado di rilevare una situazione di crisi in modo rapido e oggettivo. Le
stesse autorità di vigilanza, variamente intese, hanno sempre avvertito l’esigenza di servirsi di strumenti in grado di evidenziare la fragilità finanziaria
delle imprese, al fine di prevedere l’evoluzione delle sofferenze e quindi
monitorare la stabilità del sistema economico.
In questo studio si illustrano brevemente alcune delle principali tecniche
di analisi econometrica impiegate per stimare il rischio di insolvenza delle
aziende, le ipotesi che devono essere esplicitate nei modelli, e il ruolo delle
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Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
variabili esplicative da utilizzare. (3) Questi ultimi due aspetti, congiuntamente al profilo metodologico, sono importanti affinché il modello di stima
abbia efficacia predittiva.
Gli obiettivi dei modelli predittivi del rischio di insolvenza nelle aziende
certamente sono correlati alle analisi per indici e per flussi, storiche e prospettiche, che tipicamente sono impiegate allo scopo di rilevare tempestivamente situazioni di crisi prima della loro manifestazione evidente. La ratio
dell’impiego di tali tecniche di analisi è ravvisabile nel fatto che situazioni
di crisi, interne o esterne, inevitabilmente determinano dei riflessi sui valori
di bilancio. (4)
Il valore aggiunto dei modelli di stima del rischio di insolvenza, in quanto
modelli econometrici, rispetto alle analisi di bilancio, è rappresentato dalla
capacità di astrarre un giudizio sintetico sulla singola azienda mediante
un sistema di equazioni che connette la misurazione del fenomeno che si
intende spiegare ai valori assunti da una serie di variabili che, secondo la
teoria economica, misurano il fenomeno oggetto di indagine.
Quando il modello economico prende la forma di relazioni matematiche,
è possibile utilizzare i dati disponibili sul fenomeno studiato per verificare
la rispondenza del modello stesso alla realtà osservata.
I modelli predittivi costituiscono un’applicazione dei modelli di regressione che non verifica la stima degli effetti causali, ma la probabilità che un
evento si verifichi. Si tratta di modelli di regressione che forniscono previsioni,
anche se i loro coefficienti non hanno un’interpretazione causale.
I modelli predittivi utilizzano le serie temporali per prevedere eventi futuri
(Stock, Watson, 2005, p. 422).
L’efficacia di un modello di previsione delle insolvenze è direttamente
proporzionale all’accuratezza metodologica dell’analista, sia nella scelta
della tecnica statistica (compresa la definizione del campione di stima) che
nella selezione delle variabili esplicative (dette anche regressori).
Fra i diversi modelli che la letteratura propone per individuare la crisi
aziendale (5) in questo studio si sostiene la validità dei modelli di regressione
con variabile dipendente binaria. La regressione con variabile dipendente
3 Variabile è una proprietà di cui sia stata data una definizione operativa, permettendo cosi
di trasformare una serie di situazioni reali (stati) in una serie di dati vettore (Marradi, 1993,
p.10).
4 Sulle potenzialità informative dell’analisi di bilancio si veda Montrone A., Elementi di metodologie e determinazioni quantitative d’azienda, Milano, Franco Angeli, 2002; Montrone
A., Il sistema delle analisi di bilancio per la valutazione dell’impresa, Milano, Franco Angeli,
2005; Brunetti G., Coda V., Favotto F., Analisi, previsioni, simulazioni economico-finanziarie
d’impresa, Milano, EtasLibri, 1990.
5 Le principali tecniche utilizzate a tal riguardo sono: 1. l’analisi univariata, tecnica molto
semplice che classifica un’azienda come “sana” se il valore assunto da un indice di bilancio
è superiore ad un valore critico, detto punto di cut off, determinato opportunamente; al contrario l’azienda viene considerata problematica se l’indice individuato è inferiore al punto di cut
off. 2. Modelli di scoring soggettivi, caratterizzati dall’individuazione di un indice composto,
in grado di ponderare, sulla base delle valutazioni dell’analista, diversi indicatori di rischio.
3. Probability linear model. 4. Logit model; Probit model. Questi ultimi tre modelli, di tipo econometrico, saranno descritti nel testo. Per approfondimenti si veda R. Barontini, La valutazione
del rischio di credito. I modelli di previsione delle insolvenze, Bologna, Il Mulino, 2000.
Azienda Pubblica 2.2010
186
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
binaria consente di interpretare la regressione come un modello della probabilità che la variabile dipendente sia uguale a uno. In altri termini la Y è
una variabile dummy o dicotoma (nel senso che assume soltanto due valori,
1 oppure 0).
Il modello di regressione più semplice utilizzabile, quando la variabile
dipendente è binaria, è il modello lineare di probabilità. Lineare perché
è una retta, e modello di probabilità perché modella la probabilità che la
variabile dipendente sia uguale a uno.
Siccome la variabile dipendente Y è binaria, la funzione di regressione
della popolazione corrisponde alla probabilità che la variabile dipendente sia uguale a 1, data X. Il coefficiente β1 associato ad un regressore X
è la variazione nella probabilità che Y = 1 associata ad una variazione
unitaria in X.
La formula del modello lineare di probabilità è quella del modello di
regressione lineare multipla.
Yi = β0 + β1X1i + β2X2i +…. + βkXki + ui;
dove Yi è binaria, cosicché
Pr(Y = 1|X1;X2;…. ;Xk) = β0 + β1X1i + β2X2i +…. + βkXki + ui
La linearità che rende il modello lineare di probabilità facile da usare è
anche il suo maggior difetto. Questi modelli presentano infatti problemi di
inferenza, e le assunzioni di normalità/omoschedasticità degli errori sono
violate (cioè i residui sono dicotomi e eteroschedastici).
Per affrontare questi problemi sono più adatti i modelli non lineari specificamente disegnati per variabili dipendenti binarie: i modelli di regressione
probit e logit.
In altri termini la relazione tra la probabilità che l’evento si verifichi e
le variabili esplicative è, nella maggior parte dei casi, non lineare. Per tale
ragione si ricorre a funzioni di distribuzione cumulata logistica (nei modelli
logit) o normale (nei modelli probit).
Siccome una regressione con una variabile dipendente Y binaria modella la probabilità che Y = 1, è ragionevole adottare una formulazione non
lineare che costringa i valori predetti ad assumere valori tra zero e uno.
Nelle regressioni logit e probit si utilizzano pertanto le funzioni di ripartizione (c.d.f., acronimo dall’inglese cumulative distribution function), poiché
producono probabilità tra zero e uno: la funzione di ripartizione normale
standard per la regressione probit; la c.d.f. logistica per la regressione logit,
anche detta regressione logistica.
Il modello di regressione probit con regressori multipli assume la seguente
forma:
Pr(Y = 1|X1,X2, ……Xk) = Ф (β0 + β1X1 + β2X2 +…. + βkXki)
187
Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
Dove Ф è la funzione di ripartizione normale standard.
Se β è positivo, allora un aumento di X fa aumentare la probabilità che
Y = 1.
Se β è negativo allora un aumento di X fa diminuire la probabilità che
Y = 1.
Il modello di regressione logit con regressori multipli assume la seguente
forma:
Pr(Y = 1|X1,X2, ……Xk) = F (β0 + β1X1 + β2X2 +…. + βkXki) =
= 1/ 1+e -(β0 + β1X1 + β 2X2 +…. + β kXki)
Dove F è la funzione di ripartizione logistica standard.
Se β è positivo, allora un aumento di X fa aumentare la probabilità che
Y = 1.
Se β è negativo, allora un aumento di X fa diminuire la probabilità che
Y = 1.
Le regressioni probit e logit producono frequentemente risultati simili. (6)
Nell’analisi del rischio di insolvenza degli enti locali i modelli logit e
probit possono essere utilmente impiegati, a parere di chi scrive, proprio
perché consentono di stimare la probabilità che si verifichi una crisi, dati i
valori assunti dalle variabili di bilancio, che costituiscono le variabili esplicative del modello (cioè le X).
Lo scopo di questa ricerca è individuare quali sono le variabili esplicative, e quindi quali sono gli indici di bilancio, da inserire in un modello
econometrico di stima del rischio di insolvenza.
Lo sviluppo futuro di questo studio è rappresentato dall’applicazione
empirica del modello econometrico su un campione stratificato. Dopo
aver individuato gli enti locali che hanno dichiarato dissesto in un dato
intervallo temporale, si selezionano in maniera random altrettanti enti
locali che possono essere invece considerati “sani”, nel senso che rilevano
una gestione finanziaria che non presenta caratteri di disequilibrio. Si
misurano quindi i valori di bilancio degli enti individuati, che nel modello
saranno pertanto i regressori, al fine di costruire la matrice su cui misurare la stima. La fase successiva sarà pertanto costituita dalla stima del
modello (probit o logit) cioè dalla stima dei parametri incogniti; seguirà
quindi la validazione del modello attraverso le opportune procedure di
carattere statistico.
L’impiego delle informazioni prodotte dalla contabilità per fini decisionali
6 Per approfondimenti sui modelli econometrici illustrati si rimanda a Stock J. H., Watson
M.W., 2005.
Azienda Pubblica 2.2010
188
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
richiede sempre un’attività di analisi e di interpretazione (Mussari R.,
2003, p. 599). L’utilizzo dei modelli econometrici per la stima del rischio
di insolvenza rende tale attività sicuramente più laboriosa e complessa,
ma fornisce, tuttavia, risultati più attendibili in quanto le ipotesi testate sono
desunte dall’evidenza empirica.
Nel paragrafo che segue ci si focalizzerà, pertanto, sui fattori di rischio
finanziario da considerare come variabili esplicative nei modelli econometrici
di stima del rischio di insolvenza.
4. Le determinanti del financial risk assessment da trattare
come variabili esplicative nei modelli econometrici predittivi
del rischio finanziario
La politica tributaria e tariffaria
Nella valutazione del rischio finanziario degli enti locali le politiche, tributaria e tariffaria, si rilevano sotto due profili. Innanzitutto la presenza di ingenti
entrate tributarie e tariffarie indica che l’ente locale è dotato di flessibilità
finanziaria per far fronte ad eventuali pressioni di bilancio.
Poiché l’accertamento e la riscossione sono due fasi giuridiche distinte
dell’iter di acquisizione delle entrate, assumono inoltre importanza le modalità e i tempi della riscossione. La regolarità delle riscossioni è infatti un
elemento determinante della valutazione della qualità creditizia degli enti
locali (Mussari, 2002: pp. 27-77).
Un sistema di riscossione poco efficace genera residui attivi. Se i
residui attivi non si trasformano in entrate di cassa in tempi ragionevoli
generano residui passivi, e possono altresì inficiare il significato e il
valore del risultato di amministrazione. A tal proposito si rileva che,
secondo il Principio contabile n. 2 Gestione nel sistema di bilancio emanato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, i
funzionari incaricati della gestione delle entrate sono responsabili della
sana e corretta riscossione delle potenziali entrate loro affidate, e sono
direttamente responsabili delle omissioni che potrebbero causare danni
all’ente.
La riforma autonomistica degli enti territoriali è approdata al riconoscimento e alla valorizzazione della loro potestà regolamentare con
riferimento alla gestione delle entrate. Ciò implica che gli enti locali
possono provvedere alla riscossione diretta delle proprie entrate tributarie oppure possono rivolgersi ad un agente della riscossione. Nel
primo caso la responsabilità diretta della riscossione produce effetti sul
grado di prevedibilità dei flussi di cassa in entrata, (Carnevale, 2001:
pp. 39-343) ma anche implicazioni di carattere organizzativo (predisposizione di procedure, personale, logistica), e eventuali costi legati
alle procedure coattive.
Nello specifico per i crediti non riscossi l’ente potrà valutare la
189
Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
convenienza a procedere ad una riscossione coattiva oppure cedere il
proprio credito tributario. (7)
Attraverso l’istituto del factoring gli enti locali possono effettuare la
cessione dei crediti a terzi abilitati. Complessivamente per l’ente locale i
vantaggi del factoring sono così sintetizzabili (Piscino, 2005):
• riduzione del rischio di insolvenza;
• economie di contenzioso;
• semplificazione operativa della gestione contabile;
• semplificazione della fase della riscossione;
• miglioramento del coefficiente di liquidità,
• riduzione del fabbisogno di capitale di credito;
• riduzione del ciclo di rotazione del capitale circolante;
• miglioramento delle capacità di programmazione finanziaria.
Il ricorso ad un agente della riscossione comporta invece costi legati al
servizio, ma evita i costi connessi alla riscossione coattiva. È evidente che
l’ente dovrà fare una corretta analisi costi/benefici in entrambi i casi.
Ne deriva che nel modello econometrico tra le variabili esplicative si
devono includere l’indice di autonomia finanziaria e la velocità di riscossione
delle entrate proprie.
La situazione debitoria
L’entità e la struttura del debito contratto dagli enti locali e le risorse di bilancio a copertura del rimborso del debito sono fra i parametri più importanti
tra quelli presi in considerazione per l’analisi del rischio finanziario degli
enti locali. L’analisi del grado di indebitamento consente infatti di verificare
il complessivo profilo di rischio in relazione al grado di dipendenza dalle
fonti di finanziamento esterne.
A parità di altre condizioni, un elevato livello di indebitamento rispetto
alle entrate di natura corrente implica un maggior livello di rischio, per
la maggiore rigidità che imprime al bilancio dell’ente, e per le maggiori
probabilità di dover ricorrere ad un rinnovo del prestito.
L’esposizione debitoria comprende: tutto il debito a breve (8) e a lungo
7 I crediti sono attività finanziare caratterizzate da un differente grado di incertezza sull’an
e sul quantum, a causa della probabile insolvenza del debitore. La loro monetizzazione comporta la necessità di calcolare il valore attuale del credito stesso. Il factoring si pone come
operazione di finanziamento in quanto l’ente acquisisce, prima della scadenza, il valore attuale dei crediti ceduti, ossia l’ammontare al netto delle commissioni del factor; esso rappresenta inoltre una sorta di assicurazione sui crediti stessi, in quanto per l’ente locale l’operazione deve avvenire con clausola pro soluto, il che comporta l’assunzione da parte del factor
del rischio di insolvenza del debitore. Questo aspetto rappresenta il principale vantaggio di
tale operazione per gli enti locali, e che lo identifica come un sistema di riscossione migliore
rispetto per esempio ai ruoli ex d.P.R. 602/1973.
8 Sebbene il legislatore abbia precisato che non costituiscono indebitamento le operazioni
che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo
stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare
spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio (per es. aperture di credito nelle more di alienazioni patrimoniali e anticipazioni di cassa del Tesoriere), ai fini dell’analisi
Azienda Pubblica 2.2010
190
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
termine dell’ente locale; le obbligazioni di debito emesse dall’ente locale per
conto di aziende controllate, oppure emesse dalle aziende controllate stesse
anche in assenza di garanzie da parte dell’ente locale; il debito garantito
dall’ente locale; gli strumenti assimilabili a debito, come i leasing finanziari,
le operazioni di partnership pubblico-privato (public-private partnership o
PPP) e le operazioni di cartolarizzazione. (9)
Il livello di indebitamento deve essere posto in relazione con gli indici
relativi alla capacità di rimborso, e l’esposizione all’indebitamento a breve
termine e a tasso variabile. Il ricorso a questo tipo di indebitamento richiede
di prendere in considerazione i rischi di rifinanziamento e di accesso al
mercato, e comporta inoltre la necessità di valutare l’esposizione dell’emittente al rischio del tasso d’interesse e la sua capacità di adeguamento a
variazioni sfavorevoli dei tassi. Maggiore è la componente di indebitamento
a breve termine e a tasso variabile, superiore è il grado di incertezza sui
costi futuri; e quindi sull’adeguatezza del flusso di entrate alla copertura
del servizio del debito.
Il tasso fisso comporta un elevato rischio di natura economica legato alla
possibilità di sostenere costi superiori a quelli di mercato, i tassi variabili
comportano invece rischi per gli equilibri di bilancio di parte corrente negli
esercizi in cui si registrano gli aumenti. Infatti, un aumento della spesa per
interessi passivi non previsto, e quindi non stanziato in bilancio, determina
un aumento delle spese correnti, che se non coperto dall’aumento delle
entrate correnti o dalla riduzione di un’altra spesa corrente per un uguale
ammontare, determina un disequilibrio di parte corrente.
Anche il rischio di cambio generato da posizioni debitorie in valuta
estera deve essere opportunamente valutato. Il debito in valuta estera, sebbene non costituisca necessariamente un aspetto negativo dal punto di vista
creditizio, espone gli enti locali al rischio di cambio, e quindi a potenziali
variazioni nel servizio del debito. A parità di altre condizioni, gli enti locali
con un’ampia percentuale di debito in valuta estera risultano esposti a rischi
maggiori nella copertura del servizio del debito qualora si verifichino shock
negativi di origine esterna o interna, come un aumento dei tassi d’interesse
a livello internazionale o brusche oscillazioni dei tassi di cambio.
Fra i diversi strumenti di debito a cui possono ricorrere gli enti locali,
il mutuo rimane la forma di finanziamento prevalente per gli investimenti
(Coppola et al., 2005: pp. 66-89).
A tal proposito si osserva che la sensibilità degli oneri passivi calcolati
sul debito pregresso, è funzione dell’ammontare dei mutui contratti a tasso
variabile e della tipologia del piano di ammortamento scelto. La combinazione tra peso dei mutui indicizzati e variazione dell’andamento dei tassi,
del rischio finanziario devono essere ricomprese fra i debiti anche le aperture di credito temporanee e le anticipazioni di cassa, in quanto generano interessi passivi che necessitano di
opportuna copertura finanziaria.
9 La definizione degli swap come soli strumenti di “gestione” del debito è riconfermata dal fatto che in nessuna delle norme in materia di indebitamento si fa menzione degli strumenti derivati, i quali non sono pertanto configurabili come operazioni di indebitamento.
191
Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
determina perciò un diverso impatto sul limite di indebitamento.
Fra gli strumenti di debito si annoverano le operazioni di cartolarizzazione, mediante le quali l’ente locale può ridurre/trasferire alcuni rischi
modificando la struttura del proprio attivo di bilancio.
Le operazioni di cartolarizzazione ai fini della valutazione del grado
di rischiosità sono valutate in termini prudenziali. Le agenzie di rating a tal
proposito, infatti considerano i debiti della società veicolo che fa da tramite
per la cartolarizzazione come se fossero passività dell’ente locale.
Sempre in tema di politiche dell’indebitamento rileva la c.d. gestione
attiva dell’indebitamento (Liability Management).
Per gestione attiva dell’indebitamento si intende quell’insieme di operazioni attraverso cui l’ente locale modifica le proprie posizioni debitorie e,
tramite il cambiamento di alcune o di tutte le condizioni cui le stesse erano
state contratte, riesce ad avvantaggiarsi delle particolari condizioni presenti
sul mercato per raggiungere un beneficio economico che libera risorse in
bilancio ed apporta liquidità aggiuntiva (Speca, 2002: pp. 772-821).
Gli obiettivi che si vogliono perseguire tramite una gestione attiva sono
pertanto: ottimizzare il costo dell’indebitamento; minimizzare i rischi ad
esso connessi.
Gli strumenti di ristrutturazione del debito tradizionali (che riguardano il
solo debito residuo) sono la rinegoziazione e l’estinzione anticipata; entrambi
hanno una diversa disciplina a seconda che siano riferibili ai mutui contratti
con la Cassa depositi e prestiti (Cassa dd.pp.), o ai mutui contratti con istituti
di credito ordinari. Gli strumenti innovativi (che si estendono al debito da
attivare nell’immediato futuro) sono rappresentati da prodotti derivati, tra cui
rientrano gli swap, (10) le cartolarizzazioni, e il project financing.
Sono tipiche operazioni di ristrutturazione del debito pregresso la conversione dei mutui contratti collocando titoli obbligazionari di nuova emissione o
rinegoziando le condizioni dei mutui esistenti. Sebbene si tratti di operazioni
realizzabili solo a condizione che comportino una convenienza economica
per gli enti stessi, esse presentano due tipologie di criticità:
1) non è prevista una quantificazione del livello minimo di convenienza economica che possa giustificare l’operazione di ristrutturazione (per cui è praticabile
anche un’operazione che preveda, ad esempio, un risparmio di un euro);
2) l’immediata conseguenza del punto precedente è che, nel caso in cui
l’operazione di ristrutturazione comporti una trasposizione consistente nel
tempo della scadenza del debito attuale, ciò possa comportare un conseguente trasferimento dell’onere di estinzione alle generazioni future.
La gestione attiva dell’indebitamento assume particolare rilievo se buona
parte delle fonti di finanziamento esterno dell’ente sono ancorate a tassi di interesse variabili. In tal caso infatti le oscillazioni del mercato dei tassi di interesse
avranno non poche ripercussioni sui bilanci degli enti locali, con effetti positivi o
negativi a seconda dell’andamento seguito dalla curva dei tassi di interesse.
10 Si rinvia al paragrafo 5.
Azienda Pubblica 2.2010
192
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
La scelta fra tasso fisso e un tasso variabile presenta vantaggi e svantaggi
in entrambi i casi (vedi sopra).
Il calcolo della convenienza per l’una o per l’altra forma non è agevole
per il fatto che mentre il tasso fisso è sempre confrontabile (si possono, infatti,
conoscere e confrontare i tassi fissi applicati dalla Cassa depositi e prestiti
o da istituti di credito privati), il tasso variabile non è omogeneo, perché
calcolato in maniera diversa a seconda della tipologia di finanziamento
considerata, e quindi, non è confrontabile.
Nel modello econometrico tra le variabili esplicative si devono includere
l’incidenza dei prestiti, l’incidenza degli interessi passivi e la rigidità della
spesa per l’indebitamento.
La gestione dei residui
La gestione dei residui si pone certamente come fattore critico della gestione
finanziaria degli enti locali. L’analisi dei residui attivi al fine di individuare i
crediti esigibili, di dubbia esigibilità, e quelli inesigibili, unitamente all’analisi
dei debiti contratti, è, infatti, di innegabile rilevanza.
L’analisi puntuale delle posizioni creditorie e debitorie è fondamentale
per ovviare ad irregolarità nella determinazione delle risultanze consuntive,
e quindi ad una loro inattendibilità che porterebbe inevitabilmente a squilibri
finanziari nelle gestioni future. È particolarmente importante che i residui attivi
mantenuti in bilancio siano certi ed esigibili, in quanto si tratta di valori che
vanno ad alimentare il risultato di amministrazione, e conseguentemente, se
sovrastimati, producano l’effetto di gonfiare l’avanzo di amministrazione o
di ridurre l’entità del disavanzo, con evidenti ripercussioni sull’equilibrio di
bilancio dell’esercizio successivo.
Il monitoraggio dei residui è fondamentale inoltre con riferimento alla
natura del debito contratto, infatti, se i debiti sospesi dessero luogo ad
interessi moratori, l’eccessivo allungamento dei tempi di smaltimento genererebbe costi finanziari e successive uscite che potrebbero minare l’equilibrio
economico-finanziario dell’ente. Nel modello econometrico la gestione
dei residui può essere sintetizzata utilizzando come variabili esplicative i
seguenti indici: l’indice di efficienza delle procedure di spesa; l’indice di
efficienza delle procedure di entrata; il tasso di smaltimento dei residui attivi;
il tasso di smaltimento dei residui passivi.
L’applicazione dell’avanzo di amministrazione
La normativa in materia di applicazione dell’avanzo di amministrazione è
abbastanza puntuale. Si distingue, infatti, la fase di applicazione dell’avanzo
al bilancio da quella di utilizzo dello stesso o di attivazione delle spese con
esso finanziate. (11)
11 Recenti disposizioni del legislatore hanno introdotto la possibilità di utilizzo dell’avan193
Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
È evidente, ai fini dell’analisi del rischio finanziario derivante dall’applicazione dell’avanzo, che i maggiori pericoli sono connessi all’attendibilità
di tale posta contabile, e perciò ad errori nella valutazione e/o calcolo
del risultato. L’attendibilità del risultato di amministrazione è strettamente
connessa alla gestione dei residui, la quale è il frutto di una serie di operazioni soggette ad una certa discrezionalità, riconducibili alla mancata
cancellazione di residui attivi di dubbia esigibilità, e di residui passivi
caduti in prescrizione o per i quali non ci sono le ragioni giuridiche di
mantenimento in bilancio.
In tal senso un annacquamento dell’avanzo di amministrazione, causato da errori materiali nel calcolo del fondo cassa finale, o da errori di
valutazione della esigibilità dei residui attivi e passivi, causerebbe squilibri
finanziari a carico degli esercizi futuri. Una riduzione invece dell’avanzo,
creerebbe delle riserve occulte, da non considerarsi ugualmente positive
se non utilizzate. (12)
Nel modello econometrico si può utilizzare l’incidenza dell’avanzo di
amministrazione come variabile esplicativa che sintetizza il risultato della
gestione finanziaria.
5. I rischi derivanti dai derivati
Gli enti locali molto spesso effettuano operazioni con gli intermediari finanziari investendo in particolari strumenti di finanza innovativa, i “derivati”
(nella maggioranza dei casi contratti swap).
I derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende da variabili c.d.
sottostanti. Tali variabili possono avere diversa natura: il valore di un derivato
può dipendere, ad esempio, dal corso di un titolo, dal valore di mercato
di un altro derivato ovvero di una merce, dall’andamento di un tasso di
interesse o dalla quotazione di una valuta (Puddu, 2005: p. 44).
Nati come strumenti di copertura di rischi (il rischio di cambio, quello
del tasso d’interesse, il rischio di oscillazione dei prezzi, o il rischio di
credito) legati ad una attività, ben presto sono diventati strumenti speculativi, volti a nascondere e traslare in avanti perdite di bilancio difficilmente
fronteggiabili. (13)
zo di amministrazione anche per l’estinzione anticipata di prestiti, (sia mutui che prestiti obbligazionari) oltre per la copertura di debiti fuori bilancio riconoscibili a norma del articolo 194 del Tuel.
12 Per approfondimenti sul risultato di amministrazione si veda Giovannelli L., Il sistema di bilancio come strumento di governo dell’ente locale, in Anselmi L., (a cura di) Principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali. L’azienda comune, Milano, Giuffrè, 2005.
13 È possibile individuare quattro principali tipologie di derivati:
• gli interest rate swap sono contratti attraverso i quali due soggetti si scambiano pagamenti periodici di interessi su un capitale di riferimento e per un periodo prestabilito.
Di tali contratti la tipologia più conosciuta e semplice è denominata plain vanilla swap
e prevede che una parte effettui pagamenti a tasso variabile e riceva pagamenti a tasso fisso per l’intera durata del contratto;
• i contratti forward sono derivati che prevedono un accordo di comprare o vendere
un’attività ad una certa data futura e ad un prezzo prestabilito;
• i contratti futures sono anch’essi contratti a termine. Anche in questo caso vi è un acAzienda Pubblica 2.2010
194
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Concretamente l’operazione in derivati può svolgersi come di seguito
indicato:
• un ente locale con un indebitamento preminente a tasso fisso e
previsioni di discesa dei tassi di interesse potrebbe stipulare uno
swap “fisso contro variabile”. Il tasso fisso relativo all’indebitamento
dell’ente sarà pagato dalla controparte dell’ente locale che, a sua
volta, pagherà il tasso variabile sull’indebitamento contratto dalla
controparte. Naturalmente se il tasso variabile pagato dall’ente risultasse inferiore a quello fisso pagato dalla controparte, l’ente locale
otterrebbe un risparmio di oneri finanziari;
• un ente locale con un indebitamento preminente a tasso variabile e
previsioni di ascesa dei tassi di interesse potrebbe stipulare uno swap
“variabile contro fisso” non essendo esposto, nel caso le previsioni
dovessero avverarsi, ad un più elevato onere per interessi;
• se un ente locale si è indebitato a tasso variabile, ma con una forma
di indicizzazione poco conveniente potrebbe trovare beneficio nella
stipulazione di uno swap “variabile contro variabile” che gli consente
di modificare i parametri di indicizzazione cui è legato il proprio
finanziamento;
• un ente locale che detiene passività a tasso variabile e vuole porre un
limite superiore all’onerosità per interessi cui è soggetto può acquistare
un interest rate cap. Questo strumento derivato consente all’ente locale, qualora il tasso variabile crescesse al di sopra di un livello fisso
predefinito, di contenere il costo dell’indebitamento che risulterebbe
pari al predetto tasso fisso; il differenziale tra quest’ultimo ed il tasso
variabile verrebbe in questo caso versato dal venditore del cap, ossia
dalla controparte dell’ente locale nella transazione (Oriani, 2003).
Ulteriori possibilità sono poi offerte da altri strumenti derivati quali opzioni, future, e così via.
I derivati possono costituire, per gli enti locali italiani, un importante strumento di gestione finanziaria in quanto consentono di ottenere una maggiore
diversificazione dei rischi, più flessibilità nella gestione del bilancio e una
riduzione del servizio del debito. I ‘guadagni’ da derivati possono essere
utilizzati, inoltre, per creare nel bilancio dell’ente dei fondi di riserva a
protezione dalle fluttuazioni di mercato. Il problema principale rimane però
quello dell’elevata esposizione alla volatilità dei tassi di interesse che, in un
contesto di bilanci rigidi e non ancora strettamente correlati con l’economia,
può compromettere gravemente la posizione finanziaria dell’ente locale.
Da qui l’importanza, di una valutazione accorta del rischio che richiede
cordo di comprare o vendere un’attività ad una data futura e ad un prezzo stabilito. La
differenza rispetto ai contratti forward consiste nella negoziazione che avviene usualmente in borsa;
• il contratto di opzione è una compravendita a termine in base alla quale una parte si
riserva la possibilità di eseguire un acquisto o una vendita a termine in base alle condizioni che si verificheranno alla data stabilita, in cambio di un premio alla controparte (Tenuta 2008).
195
Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
un’analisi puntuale del contesto economico, della situazione di bilancio
dell’ente e dell’impatto del derivato sul bilancio stesso.
Nella realtà, inoltre, gli enti locali hanno spesso utilizzato gli strumenti
derivati non per coprire rischi di tasso o di cambio, bensì per perseguire
obiettivi di tipo speculativo, ovvero, più prosaicamente, per “fare cassa”. In
questo modo diversi comuni, sia di grande che di piccola dimensione, hanno
ottenuto liquidità immediata traslando il debito alla Giunta successiva. Ciò
avviene di solito con il ricorso agli swap con opzioni corredate da premi di
liquidità che consentono al sottoscrittore di ottenere risparmi immediati, in
cambio di una perdita maggiore in caso di andamento negativo dei tassi
d’interesse. È evidente che gli strumenti finanziari intesi sotto questa logica,
servono a produrre benefici immediati ai quali corrispondono forti rischi di
maggiori oneri futuri difficilmente quantificabili.
Il rischio delle operazioni in derivati è quindi un rischio reale, e di ciò se
ne è accorto anche il legislatore. Già la legge finanziaria del 2007 aveva
previsto l’invio al Dipartimento del tesoro di tutti i contratti sottoscritti dagli
enti locali, al fine di attuare un controllo preventivo sull’operazione prima
della stipula. I contratti stipulati in violazione di questa norma devono essere
inviati alla Corte dei conti per l’adozione dei provvedimenti necessari.
I dati diffusi dal Dipartimento del tesoro, mostrano un fenomeno in crescita, del quale è perfino difficile capire la misura, e le motivazioni sono
da ricercare nelle disposizioni antecedenti la legge finanziaria del 2008.
Infatti, il mark to market, ovvero la perdita potenziale alla fine del contratto,
non dava luogo a spesa nel triennio di programmazione, né a contabilizzazioni nel conto del bilancio, con rischi e perdite potenziali ignorate dai
documenti di bilancio (Pozzoli, 2007).
La finanziaria 2008 ha disciplinato il ricorso ai derivati predisponendo
un doppio livello di trasparenza.
Innanzitutto demanda ad un decreto del ministro dell’economia e delle
finanze, da emanare sentite la Consob e la Banca d’Italia, il compito di
indicare le informazioni che devono recare i contratti su strumenti finanziari,
anche derivati, sottoscritti da regioni ed enti locali nonché il compito di specificare le indicazioni secondo le quali tali contratti devono essere redatti.
Il Ministero dell’economia e delle finanze sarà quindi tenuto a verificare
la conformità dei contratti ai modelli di cui al predetto decreto ministeriale.
Inoltre stabilisce che la regione o l’ente locale sottoscrittore dello strumento
finanziario deve attestare espressamente di aver preso piena considerazione
dei rischi dello strumento proposto e delle caratteristiche dello strumento
proposto, evidenziando in apposita nota allegata al bilancio gli oneri e gli
impegni finanziari derivanti da tali attività. I contratti stipulati in violazione di
quanto previsto saranno oggetto di comunicazione alla Corte dei conti per
l’adozione dei provvedimenti di competenza. Inoltre, l’art. 62 del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, a voler ulteriormente indicare la pericolosità
di tali strumenti, ha posto il divieto per gli enti locali di sottoscrivere derivati
finché il Ministero dell’economia sentite la Banca d’Italia e la Consob non
Azienda Pubblica 2.2010
196
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
provvederà ad individuare un regolamento da seguire nella sottoscrizione
di tali strumenti (Tenuta, 2008). Tali disposizioni rappresentano un passo
avanti sotto il profilo della conoscenza di quegli aspetti fondamentali delle
operazioni in derivati, quali: il prezzo di estinzione (mark to market), i flussi
differenziali generati a partire dalla stipula, i flussi potenziali previsti per
i successivi tre anni, il mark to market su base trimestrale, e una relazione
sull’andamento dell’operazione (Pozzoli 2008).
Inoltre, il Dipartimento del tesoro del Ministero dell’economia e delle
finanze ha di recente emanato lo schema di regolamento ministeriale di
attuazione dell’art. 62 del d.l. 112/2008, convertito nella legge 133/2008,
come modificato dall’art. 3 della legge 203/2008. Lo sforzo riscontrabile
nel regolamento suddetto è volto, già a partire dall’art. 1, a rendere più
chiara e accessibile la disciplina dei derivati sia sul piano finanziario che
su quello normativo.
Da una parte, vengono elencate le quattro tipologie di derivati consentiti
(IRS, FRA, cap, collar), dall’altra, viene esclusa la possibilità di “combinazioni
di operazioni che consentono il passaggio da tasso fisso a variabile e viceversa
al raggiungimento di una soglia predefinita o passato un tempo predefinito”
e le “operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito”.
È previsto, per la prima volta, l’obbligo di evidenziare la simulazione
numerica dei processi stocastici utilizzati dalle banche. Inoltre, a maggior
tutela delle pubbliche amministrazioni l’art. 5 del regolamento suddetto
prevede la possibilità per l’ente di far valere alcune ipotesi di nullità del
contratto stipulato (Benedetti, 2009).
Nei modelli predittivi dovrebbero essere incluse fra le variabili esplicative
l’incidenza delle perdite generate dalle operazioni in derivati.
6. I rischi derivanti dai debiti fuori bilancio
Un altro fattore di rischio di natura finanziaria è certamente legato alla
contrazione di debiti fuori bilancio.
Quando l’ente non rispetta il procedimento di spesa discostandosi dai
principi ordinamentali previsti a presidio della struttura del bilancio annuale,
l’impegno erroneamente contratto prende il nome di debito fuori bilancio
(Nobile, 2004).
Si tratta di partite non legittimate dal bilancio che costituiscono una
violazione dei principi di veridicità e universalità, costituite, come rileva
l’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, da obbligazioni pecuniarie, relative al conseguimento di un fine pubblico, valide
giuridicamente ma non perfezionate contabilmente.
La normativa riguardante i debiti fuori bilancio è strettamente connessa
a quella degli equilibri di bilancio. Il legislatore, in tal modo, ha voluto garantire il rispetto degli equilibri di bilancio dell’ente, non solo nella fase di
previsione, quanto in tutta la fase di gestione fino alla chiusura dell’esercizio
finanziario. Per tale motivo gli enti locali sono stati obbligati ad effettuare
197
Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
periodicamente e comunque almeno una volta all’anno, entro il 30 settembre,
la verifica degli equilibri di bilancio, in modo da apportare i correttivi necessari. L’ente che, appurata la presenza di debiti fuori bilancio, non provvede
al loro ripiano, si trova in una posizione che è equiparata alla mancata
approvazione del bilancio di previsione e, inoltre, si trova impossibilitato
ad assumere impegni e pagare spese per servizi non espressamente previsti
per legge, escluse le spese i cui impegni risalgono ad esercizi precedenti.
L’art. 194 Tuel attribuisce all’organo consiliare dell’ente locale la capacità di riconoscere la legittimità delle fattispecie di debiti fuori bilancio e di
ricondurli nell’ambito del bilancio.
Le tipologie di debiti fuori bilancio riconosciute dall’art. 194, comma 1,
derivano da sentenze esecutive, dalla copertura di disavanzi di consorzi, di
aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto,
convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio
del bilancio di cui all’art. 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione e
sia riconducibile alla copertura dei costi che derivano dall’applicazione di
prezzi politici e di tariffe (artt. 31 e 114), dalla ricapitalizzazione di società
di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali, dalle procedure
espropriative o di occupazione di urgenza per opere di pubblica utilità
giuridicamente concluse (d.P.R. n. 327 del 2001), dall’acquisizione di beni
e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191
(qualsiasi spesa, anche se erroneamente effettuata, purché abbia soddisfatto
esigenze fondamentali dell’ente e nei limiti del valore acquisito al patrimonio,
costituisce debito fuori bilancio suscettibile di riconoscimento).
La presenza di debiti fuori bilancio presuppone l’obbligo del riconoscimento della legittimità del debito e del suo contestuale finanziamento.
La deliberazione del consiglio dell’ente locale rappresenta l’ultima parte
di un processo, che è volto ad individuare la presenza di tutti gli elementi
necessari al fine del riconoscimento del debito fuori bilancio e le sue cause
generatrici, siano spese di investimento o spese correnti.
Per quanto attiene al finanziamento dei debiti fuori bilancio l’art. 193
del Tuel stabilisce che possono essere utilizzate per l’anno in corso e per i
due successivi tutte le entrate e le disponibilità, ad eccezione di quelle provenienti dall’assunzione di prestiti e di quelle aventi specifica destinazione
per legge, nonché i proventi derivanti dalla alienazione di beni patrimoniali
disponibili (Tenuta, 2007).
Nel modello econometrico sarebbe di grande utilità inserire tutti i debiti
fuori bilancio. Tuttavia si tratta di un’informazione non facilmente acquisibile,
pertanto si può inserire fra le variabili esplicative l’incidenza dei debiti fuori
bilancio riconosciuti.
7. I debiti fuori bilancio e i derivati: un’analisi quantitativa
Nel corso dell’anno 2007 sono stati riconosciuti dai comuni italiani debiti
fuori bilancio per un totale di 451,665 milioni di euro. Le regioni più
Azienda Pubblica 2.2010
198
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
massicciamente coinvolte nel fenomeno sono: la Sicilia con 239 comuni,
che hanno riconosciuto debiti fuori bilancio per un ammontare complessivo
di 126,520 milioni di euro, la Campania con 225 comuni con 70,771
milioni di euro, la Puglia con 134 comuni con 57,699 milioni di euro ed il
Lazio con 106 comuni con 47,724 milioni di euro.
Per quanto attiene alle tipologie riconoscibili di debiti fuori bilancio,
quelle derivanti da sentenze esecutive rappresentano la parte più consistente
dei riconoscimenti con 318,257 milioni di euro, pari al 63,82% dell’ammontare complessivo dei debiti fuori bilancio riconosciuti dai comuni e dalle
province. La seconda tipologia riguarda, invece, i debiti per l’acquisizione
di beni e servizi (135,421 milioni di euro), che hanno inciso per il 27,16%
sul totale dei debiti fuori bilancio riconosciuti dai comuni e dalle province
nel 2007 (498,661 milioni di euro). Mentre meno rilevanza hanno i debiti
derivanti da procedure espropriative e di occupazioni di urgenza (26,253
milioni di euro) che gravano solo per il 5,26% sul totale, i debiti relativi
alla copertura dei disavanzi dei consorzi, delle aziende speciali e delle
istituzioni e quelli relativi alla ricapitalizzazione di società costituite per la
gestione di servizi pubblici che rappresentano rispettivamente l’1,27% e il
2,49% del totale dei debiti riconosciuti (Sferra, 2008).
La presenza costante e significativa dei debiti fuori bilancio nelle masse
passive di tutti gli enti che hanno dichiarato dissesto finanziario, fino a
rappresentare oltre il 70% del totale delle passività accumulate da tali enti
chiarisce la motivazione che ha spinto il legislatore a considerare la presenza
di debiti fuori bilancio, per i quali non si sia trovata copertura finanziaria,
uno dei parametri di deficitarietà strutturale.
Tavola 1 – Percentuale di debiti fuori bilancio riconosciuti nel 2007 dalle province italiane per tipologia
4,73%
4,04% 0,82%
Sentenze esecutive (69,45%)
Acquisizione
beni
e servizi
(20,97%)
20,97%
Ricapitalizzazioni
(4,73%)
Espropri (4,04%)
69,45%
Disavanzi (0,82%)
Fonte: Adattata da Sferra G. (2008), Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali, cit.
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Azienda Pubblica 2.2010
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Tavola 2 – Percentuale di debiti fuori bilancio riconosciuti nel 2007 dai comuni italiani per tipologia
2,49%
5,26%
1,27%
Sentenze esecutive (63,82%)
Acquisizione beni e servizi
(27,16%)
Ricapitalizzazioni (2,49%)
27,16%
Espropri (5,26%)
63,82%
Disavanzi (1,27%)
Fonte: Adattata da Sferra G. (2008), Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali, cit.
Per quanto riguarda la diffusione dei derivati, l’assenza di standardizzazione dei prodotti e l’articolazione delle operazioni ne rende difficile la
misurazione.
A giugno dell’anno 2004 il controvalore nozionale delle posizioni in
derivati detenute da intermediari italiani nei confronti di imprese ed enti
locali risultava pari a circa 146 miliardi di euro, con perdite medie da parte
degli enti locali molto più elevate di quelle delle imprese (circa 430.000 euro
contro 76.000 per le imprese, anche a causa della dimensione media dei
contratti più elevata – circa 12 milioni di euro di valore nozionale, contro
i 2,6 milioni di euro delle imprese).
Alla fine dell’anno 2006 le regioni, le province e i comuni italiani avevano un’esposizione in derivati verso banche italiane stimabile in circa 13
miliardi di euro di nozionale, pari al 36% dell’indebitamento totale verso
intermediari residenti.
I dati pubblicati dal Dipartimento del tesoro mostrano un fenomeno in
evoluzione, infatti, fino al 31 dicembre 2007 sono stati più di 900 i derivati
firmati da 559 enti (497 Comuni, 44 Province e 18 Regioni), con un mark
to market (il valore di mercato) negativo per oltre un miliardo, ossia circa
il 2,9% dell’indebitamento per cassa.
Tavola 3 – I derivati negli enti locali
Informazioni
Regioni
Province
Comuni
capoluogo
Comuni non
capoluogo
e Comunità
montana e isolana
Totale
Numero di enti interessati
18
44
50
447
559
3,2%
7,9%
8,9%
80%
100%
3.775.584.884
35.276.487.781
% di numero
di enti interessati
Nozionale complessivo (€) 16.554.684.946 3.387.454.699 11.558.763.251
% sul nozionale
complessivo
Nozionale medio
dei contratti per tipologia
di ente (€)
46,9%
9,6%
32,8%
10,7%
100%
192.496.337
26.057.344
63.509.688
6.453.991
35.886.559
Fonte: Dipartimento del tesoro, Ministero dell’economia e delle finanze.
Azienda Pubblica 2.2010
200
Saggi
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Il fenomeno ha assunto dimensioni maggiori se si tiene conto che tali
dati non conteggiano il ricorso, da parte degli enti locali, ad intermediari
stranieri per i quali non si possiedono dati certi (Scianca, 2008).
8. La teoria della diversificazione del portafoglio finanziario
per gli enti locali
Nell’ottica di ridurre il livello complessivo di rischio, l’obiettivo del risk
assessment è stabilizzare l’equilibrio finanziario instaurando una migliore
corrispondenza temporale tra i flussi monetari prodotti dalle attività e i flussi
monetari prodotti dalle passività in modo che non si creino situazioni di
mancanza di liquidità. L’insufficiente liquidità rende necessario il ricorso ad
anticipazioni di tesoreria che comportano il pagamento di interessi passivi,
irrigidendo ulteriormente il bilancio.
In tal senso è opportuno valutare le poste di bilancio sulla base della
loro “sensibilità”, cioè sulla base della reattività che tali poste presentano
rispetto alle variazioni del tasso di interesse di mercato, con riferimento ad
un periodo di tempo prefissato. Dovranno in tal senso essere considerate
sensibili tutte quelle attività e/o passività che, nel periodo di riferimento
considerato, o sono in scadenza, e generano, quindi, una conseguente
entrata e/o uscita monetaria per l’ente, o sono sottoposte ad una revisione
contrattuale avente ad oggetto il tasso di interesse attualmente applicato
(Speca, 2002: pp. 772-821).
Conoscendo ed analizzando il saldo tra attività e passività sensibili l’ente
può agire attivamente ed in maniera integrata per raggiungere gli obiettivi
di copertura che si è prefissato. Per classificare correttamente come sensibili
le poste finanziarie è necessario raccogliere tutte le informazioni utili relative
alla composizione, alla scadenza, ai tassi di mercato, ecc. Quindi si deve
determinare l’effetto di possibili variazioni dei tassi di interesse.
Alla luce dell’analisi fin qui svolta sembra potersi opportunamente proporre anche per gli enti locali la teoria della diversificazione del portafoglio
finanziario.
Diversificare significa scegliere la combinazione del proprio indebitamento in modo da minimizzare i rischi legati alle diverse fasi della politica
monetaria, per diminuire la volatilità dei flussi per interessi e scadenze.
Tramite la diversificazione si combinano insieme prodotti a tasso fisso
e prodotti a tasso variabile, scadenze adeguatamente combinate, in modo
che la struttura dell’indebitamento risulti caratterizzata da un livello di rischio
economicamente e socialmente sopportabile.
Una struttura del passivo “ottimale” dal punto di vista finanziario, economico e temporale consente la riduzione del peso complessivo degli oneri
relativi dell’indebitamento e la minimizzazione dei costi opportunità.
Le oscillazioni di mercato comporteranno per alcune posizioni un aumento del costo, per altre una sua diminuzione e l’effetto complessivo sarà
quindi nullo perché gli effetti si distribuiranno in maniera sostanzialmente
201
Azienda Pubblica 2.2010
Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali
Saggi
equilibrata tra le varie posizioni in essere e pertanto si avrà la neutralizzazione e l’immunizzazione dalla volatilità dei tassi.
Per ottenere lo scopo voluto occorre, naturalmente, che le posizioni
debitorie siano adeguatamente scelte e graduate fin dalla loro origine, in
modo da avere una composizione, in termini percentuali, “ottimale” tra le
differenti passività.
La diversificazione del passivo può essere realizzata in vari modi,
rispetto all’Istituto finanziatore, alla scadenza, alla tipologia di prodotto.
Tutti perseguono uno stesso obiettivo, non far dipendere le poste passive
da un solo parametro.
Una gestione dell’attivo oculata deve invece preoccuparsi di ricercare
il mix ottimale tra le fonti di finanziamento, scegliendo ognuna di esse sulla
base del rapporto finalità/convenienza, e monitorare continuamente la
composizione quantitativa e temporale delle risorse in modo da assicurare
un turnover che generi adeguata liquidità.
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Azienda Pubblica 2.2010
204
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management
delle amministrazioni pubbliche locali *
Paolo Ricci
Professore Ordinario di Economia delle Aziende e delle Amministrazioni Pubbliche – Università degli Studi del
Sannio
Paolo Esposito
Dottore di Ricerca – Università Roma Tor Vergata – Roma
Tiziana Landi
Dottoranda di Ricerca – Università degli Studi del Sannio – Benevento
Sommario: 1. Introduzione: la rilevanza del tema di ricerca. – 2. Metodologia della ricerca. – 3. “Bacco, Tabacco
e Venere”: quali strumenti manageriali per una gestione pagana? 4. Introduzione e commento al questionario. – 5.
Conclusioni e implicazioni gestionali.
Scopo del presente lavoro è analizzare le situazioni patologiche di distorsione che si manifestano sempre più frequentemente nella gestione di un ente pubblico locale e verificare relazioni,
correlazioni, dirette e indirette, tra livello di accountability che una P.A. può implementare e
consolidare e presenza o assenza di queste situazioni perverse di corruttela o addirittura di
State Capture. Attraverso una analisi empirica si vuole verificare come, ponendo un filtro (accountability e dovere di rendere il “conto” dei risultati conseguiti) agli attuali sistemi di governo
nella gestione delle amministrazioni pubbliche in particolare l’azienda pubblica locale, si possa
ovviare a persistenti situazioni di discrezionalità decisionale, arbitrio e abuso di potere politico,
nel rispetto delle nuove esigenze di controllo, di rendicontazione e di monitoraggio imposti
dal legislatore nazionale e internazionale per una crescita sostenibile e trasparente della P.A.
The purpose of this paper is to analyze the existence of a relationship between the level of accountability that a P.A. can demonstrate and consolidate, and the presence or absence of corruption or
even perverse situations of State Capture. Through an empirical analysis is verified if placing a filter
(accountability) to the current systems of local government, we could overcome persistent situations
of arbitrage and abuse of public power, rather than in the new needs for reporting and monitoring
required by national and international legislation relating to transparency and sustainable P.A.’s
development.
L’articolo è una elaborazione del paper presentato al IV Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Il sistema delle
amministrazioni pubbliche per un modello di crescita economica sostenibile, Università di Roma Tor Vergata, 25-26
marzo 2010.
* Pur essendo il paper frutto di un lavoro comune, il paragrafo 1 è a cura di Paolo Ricci, il paragrafo 2 è opera di
Tiziana Landi, il paragrafo 3 è opera di Paolo Esposito, il paragrafo 4 a cura di Paolo Esposito e Tiziana Landi,
mentre il paragrafo 5 è frutto della ricerca congiunta dei 3 autori.
Parole chiave: Accountability – Public governance – State Capture – corruzione
Key words: Accountabiliy – Public governance – State Capture – corruption
205
Azienda Pubblica 2.2010
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Saggi
1. Introduzione: la rilevanza del tema di ricerca
La Pubblica Amministrazione (in seguito anche P.A.) è chiamata ad assolvere un ruolo cruciale nel processo di sviluppo e di innovazione che sta
interessando l’economia moderna a livello nazionale e internazionale. Già
negli anni ‘90, gli interventi legislativi comunitari e nazionali erano rivolti
alla creazione di istituzioni più efficienti e responsabili per il miglioramento
dello Stato democratico, nonché per la regolamentazione dell’economia e
della gestione della macchina amministrativa. (1)
Ad oggi è possibile ricondurre alla P.A. l’assolvimento di tre grandi
macro-attività che si sostanziano nell’attuazione di (D’Alessio L., Vermiglio
C., Virginillo M., 2008):
• politiche per lo sviluppo, al fine di garantire un adeguato livello della
qualità della vita in relazione alla crescente richiesta di benessere
da parte dei cittadini;
• politiche di ridistribuzione della ricchezza prodotta nell’interesse di
tutte le classi della comunità amministrata;
• politiche di stabilizzazione in caso di squilibri congiunturali (inflazione, disoccupazione, crisi finanziarie, instabilità politica), quegli
stessi squilibri che da diversi anni caratterizzano l’andamento della
nostra economia.
Questo evidenzia la forte correlazione che esiste tra l’attività svolta dalla
P.A. e la crescita, la competitività del Paese in una economia di mercato
sempre più dinamica e difficilmente prevedibile.
Un Governo proteso allo sviluppo dell’interesse collettivo, infatti, organizza una P.A. capace di monitorare efficacemente i fenomeni sociali, erogare
adeguati servizi pubblici, dirimere conflitti e tensioni sociali, definire politiche
soddisfacenti per l’intera comunità. È legittimo pertanto considerare la P.A.
come “tecnostruttura” (Borgonovi, 2005) su cui poggia l’intero sistema delle
istituzioni pubbliche, le quali perseguono come obiettivo ultimo e finalizzato
quello di coordinare i diversi attori per fare emergere strategie sociali di
successo allo scopo di conciliare interessi spesso divergenti e promuovere
e migliorare la qualità della vita della comunità amministrata. (2) Si passa in questo modo dal Welfare State (Glaeser, Schleifer, 2001; Bresser
1 Grindel Merilee S. (2000), Ready or Not: The Developing World and Globalization in Joseph S. Nye and John D. Donahue (eds) (2000) Governance in a Globalizing World, Washington, DC: Brookings Institution Press, p. 189. Nel Rapporto sullo Sviluppo la Banca Mondiale
sul finire degli anni ’90 espone infatti: Uno Stato efficace è essenziale per lo sviluppo, le giuste regole e le buone istituzioni permettono ai mercati di prosperare ed alle persone di condurre una vita sana, una vita più felice. Senza di essa, lo sviluppo sostenibile, sia economico
che sociale, è impossibile. Lo Stato è fondamentale per lo sviluppo economico e sociale, non
come un fornitore diretto di crescita, ma come partner, catalizzatore e facilitatore. Cfr. O.E.
Hughes, Public management and Administration. An introduction, third edition, New York: Palgrave MacMillen, 2003, p. 229.
2 Sarebbe infatti corretto parlare di istituzione pubblica quale sistema organizzato che esercita un potere sovraordinato sui soggetti insediati in un determinato territorio, in E. Borgonovi, L.
Fattore, E. Longo, Management delle istituzioni pubbliche, Milano: Egea, pp. 11-15.
Azienda Pubblica 2.2010
206
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Pereira,1999; Scott, 2003), da uno Stato sociale, ad uno Stato dei servizi
(Borgonovi E., Fattore L., Longo E., 2009), caratterizzato dalla forte diversificazione di funzioni e di attività che la P.A. si trova a dover assolvere
(Meneguzzo M., Rebora G., 1990). Il delicato equilibrio tra ricchezza creata
e poi distribuita alla comunità in un’ottica di generale interesse pubblico,
consente di perseguire uno sviluppo sostenibile a durare nel tempo (Giannessi
E., 1961) che, come vuole la tradizione aziendale, si sostanzia nel principio
di economicità, che insieme all’efficienza ed all’efficacia, rappresentano
gli assunti di base del movimento riformatore del New Public Management
(Meneguzzo M.,1996, 1997; Meneguzzo M., Lega F., 1999) volto ad una
gestione manageriale della macchina amministrativa. (3) L’esigenza, sempre
più ricorrente, di innovare il sistema della P.A. italiana può essere ricondotta
a fattori provenienti dall’ambiente esterno (esogeni) ma anche a ragioni di
natura “dimensionale” (D’Alessio L. et al., 2005). (4) Spostando il campo
di osservazione a livello locale, sugli enti pubblici territoriali, la spinta al
cambiamento deriva non solo da fattori esterni ma anche e soprattutto da
fattori interni alla stessa organizzazione.
Tra i principali fattori esterni, determinante è stata l’azione di decentramento amministrativo con l’attribuzione di nuove e più incisive funzioni
agli enti locali dove, la stessa elezione diretta del sindaco, crea un forte
legame tra l’ente e la sua comunità di riferimento, diventando propulsore
e promotore dello sviluppo e della competitività locale. È il Comune infatti
a decidere sulla destinazione delle risorse pubbliche raccolte, sui livelli di
tassazione e di redistribuzione della ricchezza prodotta, sull’efficienza dei
servizi offerti, e a garantire con il proprio concorso, al contenimento della
spesa pubblica attraverso il rispetto del Patto di stabilità interno. Basti pensare
ai servizi sanitari e socio-assistenziali, o ancora di più, ai servizi pubblici
locali, il settore dell’acqua, dei rifiuti, del trasporto pubblico, tutto rimesso
al potere ed alle decisioni del “politico di turno”. L’operare e l’agire delle
istituzioni pubbliche locali esprimono quindi l’identità di quel territorio e della
comunità che sono chiamati ad amministrare. I fattori interni di cambiamento
a livello locale discendono invece proprio dalla cattiva gestione sia delle
nuove che delle tradizionali funzioni che competono all’ente locale. L’attività
della P.A. rappresenta “l’anello di congiunzione” tra le richieste dei cittadini
e le istituzioni pubbliche (dello Stato), le uniche capaci di dar seguito a tali
necessità, anche mediante l’esercizio dei propri poteri sovraordinati. Pierre,
3 Per un approfondimento sui principi e gli assunti di base del New Public Management si veda
Mussari R., Public sector financial management reform in Italy, in J. Guthrie et al. (a cura di), International public financial management reform: progress, contradictions, and challenges, Information Age Publishing Inc., 2005; Pollitt C., Bouchaert G., La riforma del management pubblico, Università Bocconi Editrice, Milano, 2002; Jones L.L., Thompson F. , L’implementazione strategica del New Public Management, Azienda Pubblica, n. 2, 1997; James P., Kenneth K., Public
Management: Public and Private Perspectives, Mayfield Publishing Company, 1983.
4 Confronta anche ASTRID, Semplificare l’Italia, a cura di Bassanini F., Castelli L., Passigli Editore, Firenze: 2008, Il sistema istituzionale italiano è macchinoso (…). La ripartizione dei compiti e poteri è disordinata e in molti casi irrazionale, con duplicazioni di funzioni e sovrapposizioni di competenze. Ciò rende sempre più lungo l’iter decisionale e sempre più complesso
l’elefantiaco sistema della P.A. sia a livello nazionale che locale.
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L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Saggi
studioso francese, nel 1995, considera infatti la P.A. come “output linkage”
perché consente allo Stato di trasmettere i suoi output alla società civile,
cioè informazioni e risorse, e alla società civile di trasmettere input ovvero
richieste e domande verso lo Stato. Le istituzioni vengono costituite per far
fronte a specifici bisogni socio-economici; in base a questi bisogni vengono
poi definiti degli obiettivi e acquisiti gli input necessari allo svolgimento delle
attività per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. I processi sono tutte le
attività che la P.A. svolge per generare output intermedi e outcome finali.
L’intervento pubblico passa quindi dal livello di singola organizzazione
pubblica (“micro”) e di sistema di aziende e di organizzazioni pubbliche
(“meso”) a quello di governance (Cepiku D., 2005) del livello “macro” relativo all’intero sistema socio-economico in cui la P.A. è responsabile delle
performance di un sistema complesso di organizzazioni (Meneguzzo M.,
1997) in cui soggetti e istituzioni si influenzano vicendevolmente. In particolare, autorevole dottrina (Borgonovi et al., 2009), sintetizza in tre sistemi
le regole chiave da cui discende l’attività concreta della P.A.:
- il sistema istituzionale, nel quale si definiscono le “regole del gioco”, diritti e doveri delle istituzioni pubbliche nell’esercitare poteri e
funzioni “sovraordinate”, il sistema elettorale, gli organi e i rispettivi
ruoli;
- il sistema politico, da cui discendono le nome per regolamentare
il confronto tra rappresentati e rappresentanti, il rapporto tra maggioranze e minoranze, le modalità e le forme tramite cui acquisire,
conservare, aumentare il consenso politico;
- il sistema aziendale, da cui discendono le regole e i comportamenti
tramite i quali perseguire e mantenere una equilibrata razionalità
economica nella gestione delle risorse collettive disponibili da cui
trarre il maggior beneficio possibile.
Dai tre sistemi, che interagiscono e sono in continua correlazione, nasce
il complesso processo decisionale della P.A., cosiddetta black box (Pasquino
C., 2004), da cui scaturiscono le politiche, le decisioni, le azioni pubbliche
(output) e gli effetti sociali ad essi collegati (outcome). L’assetto istituzionale
definisce i caratteri di trasparenza dell’azione pubblica, la struttura organizzativa, il tipo di rapporti tra quest’ultima e gli organi politici; il sistema
politico definisce gli obiettivi dell’intervento pubblico e le modalità del loro
perseguimento (Pavan A., Reginato E., 2004) intrecciando, grazie alle regole
ed alla presenza del sistema aziendale, i cosiddetti “valori theta” (equità ed
onestà) con i valori di tipo “sigma” (efficienza, efficacia, economicità) senza
sacrificare quelli di tipo “lampada” (sicurezza ed elasticità). (5) Ciò significa
quindi che a livello di P.A., sia essa centrale che locale, è importante individuare soluzioni non necessariamente “ottimali” sul piano dell’efficienza,
della produttività, del contenimento della spesa e del disavanzo, ma che
5 Hood C., Jackson M.W., Administrative argument, Dartmouth, Aldershot, 1991.
Azienda Pubblica 2.2010
208
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
siano invece in grado di creare un miglioramento, una crescita compatibile
con il corretto funzionamento delle istituzioni, sostenibile sul piano sociale
e del consenso, coerente con le dinamiche politiche attuali e potenziali
(Borgonovi et al., 1999). In un modello ideale di P.A. democratica le istituzioni pubbliche dovrebbero reggersi a loro volta su un adeguato sistema di
governance e di accountability (Pezzani F., 2003; Ricci P., 2006; Esposito
P., 2006; Cardillo E., 2008) per programmare prima e rendicontare poi, i
risultati e gli obiettivi da perseguire nel medio/lungo periodo.
Tabella 1 – L’importanza del ruolo svolto dalla Pubblica Amministrazione
WORLD BANK
Uno Stato efficace è essenziale
per lo sviluppo, le giuste regole e
le buone istituzioni permettono ai
mercati di prosperare ed alle persone di condurre una vita sana,
una vita più felice.
Senza di essa, lo sviluppo sostenibile, sia economico che sociale, è
impossibile. Lo Stato è fondamentale per lo sviluppo economico e
sociale, non come un fornitore diretto di crescita, ma come partner,
catalizzatore e facilitatore.
LETTERATURA
INTERNAZIONALE
LETTERATURA NAZIONALE
La P.A. come “output linkage”
perché consente allo Stato di
trasmettere i suoi output alla
società civile, cioè informazioni
e risorse, e alla società civile di
trasmettere input ovvero richieste
e domande verso lo Stato.
La P.A. è un catalizzatore della comunità amministrata attuando:
- politiche per lo sviluppo, al fine di
garantire un adeguato livello della qualità della vita in relazione
alla crescente richiesta di benessere da parte dei cittadini;
- politiche di ridistribuzione della
ricchezza prodotta nell’interesse
di tutte le classi della comunità
amministrata;
- politiche
di
stabilizzazione
in caso di squilibri congiunturali
(inflazione, disoccupazione), quegli stessi squilibri che da diversi
anni caratterizzano l’andamento
della nostra economia.
Fonte: Nostra elaborazione
Secondo autorevole dottrina (Moore N. H., 1995) i manager pubblici e
le loro organizzazioni svolgono un ruolo di primo piano nella “creazione
di valore pubblico”, inteso non solo come produzione di beni e servizi efficienti ed efficaci capaci di aggiungere valore alla società amministrata, ma
anche e soprattutto come perseguimento di finalità e di obiettivi di natura
strettamente sociale, etica (Masini C., 1970) quale attività istituzionale di
qualsivoglia istituzione pubblica. Il soggetto pubblico deve rappresentare il
garante dell’interesse pubblico, mettendo il benessere dei propri cittadini/
utenti/clienti prima di ogni interesse personale. Nell’attuale sistema della
P.A. italiana, però, la gestione della “macchina amministrativa” è tutt’altro
che ispirata a principi di equità, socialità ed etica (Borgonovi E., Giavazzi
F., 1994; Cavalieri E., 2002); si sono create nel tempo alterazioni e distorsioni a causa di uno squilibrato rapporto tra il riconoscimento di maggiore
autonomia e potere alle autorità locali, e l’attribuzione delle conseguenti
responsabilità nella gestione delle risorse pubbliche. Il perseverare di questi
squilibri ha prodotto negli ultimi anni distonie e lacerazioni profonde, al punto di corrodere alle “radici”, i processi di pianificazione, amministrazione,
209
Azienda Pubblica 2.2010
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
gestione e finanche controllo, delle “cosa pubblica” e dei poteri sovraordinati ad essa riconducibili. L’effetto più comune di questo fallimento dei
meccanismi di gestione della P.A., è la corruzione, allorquando si manifesta
il disprezzo per il bene comune e si ritiene preferibile trasformare gli affari
pubblici in affari privati, e le organizzazioni pubbliche in beni personali.
La corruzione è un fenomeno diffuso, capillare, troppo spesso trascurato o addirittura giustificato e perdonato. Solo di recente sembra si
stia diffondendo la consapevolezza della gravità e degli effetti negativi
che questo fenomeno può comportare in tutti i settori in cui si manifesta:
nell’economia, nella società, nella politica. Ne è dimostrazione della
diffusa consapevolezza del governo attuale il decreto-anticorruzione (6)
che introduce “l’ineleggibilità alle cariche di deputato e senatore per
coloro che sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per
i reati di cui alla lett. b) dell’art. 58 del Tuel (ossia quelli sulla corruzione,
ndr) per un periodo di 5 anni” ed è articolato secondo tre principali
direttrici di intervento (vedi tabella n. 2):
Tabella 2 – Decreto-Anticorruzione
I Direttrice
II Direttrice
III Direttrice
il Piano nazionale anticorruzione, predisposto dal
Dipartimento della funzione
pubblica sulla base dei singoli
Piani di azione
Una Rete nazionale anticorruzione, formata dai referenti individuati dalle diverse amministrazioni,
che fornirà al Dipartimento della funzione pubblica elementi per valutare
l’idoneità degli strumenti adottati e
monitorare l’effettiva attuazione dei
singoli Piani di azione
Presso il Dipartimento della funzione
pubblica viene istituito l’Osservatorio
sulla corruzione e gli altri illeciti
nella Pubblica Amministrazione,
con compiti di analisi e informazione
In attuazione del d.lgs. 150/2009
(Riforma Brunetta) valorizzando il
ruolo dell’AULP (Autorità e Vigilanza Lavori Pubblici) con particolare
riguardo a:
a)autorizzazione o concessione;
b)scelta del contraente per l’affidamento dei lavori, forniture e
servizi, anche con riferimento
alla modalità di selezione prescelta;
c)concessione ed erogazione di
sovvenzioni, contributi, sussidi,
ausili finanziari;
d)concorsi e prove selettive per
l’assunzione del personale e
progressioni di carriera.
Ha il compito di informare il Governo, il
Parlamento, gli organismi internazionali
nonché la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle Pubbliche Amministrazioni riguardo a:
a)le statistiche della delittuosità, originate grazie al Sistema di indagine
del Ministero dell’interno: fotografano il numero dei casi denunciati da parte di tutte le forze di polizia, la regione nella quale è stato
accertato l’illecito, il genere e l’età
dell’autore;
b)le statistiche sulla criminalità o giudiziarie predisposte dal Ministero
della giustizia e dall’Istat, con l’indicazione dei dati relativi all’esercizio dell’azione penale e alle condanne;
c)l’attività in materia di responsabilità svolta dalla Corte dei conti.
In attuazione dell’articolo 5
della Convenzione ONU contro la corruzione (ratificata
con legge n. 116 del 3 agosto 2009). Esso prevede che
le amministrazioni pubbliche
debbano:
a)valutare e ‘mappare’ il
livello di corruzione dei
diversi uffici
b)definire misure idonee a
presidiare il rischio corruzione e prevenire le
potenziali minacce all’integrità del sistema
c)integrare i programmi di
formazione continua con
azioni informative dedicate.
6 D.d.l.-Anticorruzione approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 marzo 2010.
Azienda Pubblica 2.2010
210
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Anche le organizzazioni internazionali cercano di recente di monitorare e
prevenire il verificarsi di questi fenomeni. Transparency International (7) presenta
ogni anno il ranking mondiale dell’indice di percezione della corruzione (CPI)
su 180 Stati, grazie alla presenza di istituzioni (World Bank, ONU, Asian Development Bank) che svolgono sistematicamente indagini riguardanti la corruzione
negli Stati o in specifiche aree geografiche. Data la suggestività dei dati statistici
e degli indicatori di corruzione percepita, sarebbe opportuno che tali valori
fossero comprovati da contributi scientifici assolutamente indipendenti.
Per rendere l’idea di quanto è oramai diffuso solo in Europa il fenomeno
della corruzione si riporta il ranking per l’anno 2009 (tabella n. 2): (8)
Tabella 3 – Classifica CPI (Corruption Perceptions Index) 2009 in Europa
Rank
Regional
Rank
2
3
5
6
6
8
11
12
14
14
16
17
21
21
27
27
27
32
35
45
46
49
52
52
56
56
63
71
71
71
1
2
3
4
4
6
7
8
9
9
11
12
13
14
15
15
15
18
19
20
21
22
23
23
25
25
27
28
28
28
Country/
Territory
Denmark
Sweden
Switzerland
Finland
Netherlands
Iceland
Norway
Luxembourg
Germany
Ireland
Austria
United Kingdom
Belgium
France
Cyprus
Estonia
Slovenia
Spain
Portugal
Malta
Hungary
Poland
Czech Republic
Lithuania
Latvia
Slovakia
Italy
Bulgaria
Greece
Romania
Confidence Interval
CPI 2009
Surveys
Score
Used
Lower bound Upper bound
9.3
9.2
9.0
8.9
8.9
8.7
8.6
8.2
8.0
8.0
7.9
7.7
7.1
6.9
6.6
6.6
6.6
6.1
5.8
5.2
5.1
5.0
4.9
4.9
4.5
4.5
4.3
3.8
3.8
3.8
9.1
9.0
8.9
8.4
8.7
7.5
8.2
7.6
7.7
7.8
7.4
7.3
6.9
6.5
6.1
6.1
6.3
5.5
5.5
4.0
4.6
4.5
4.3
4.4
4.1
4.1
3.8
3.2
3.2
3.2
9.5
9.3
9.1
9.4
9.0
9.4
9.1
8.8
8.3
8.4
8.3
8.2
7.3
7.3
7.1
8.9
6.9
6.6
6.2
6.2
5.7
5.5
5.6
5.4
4.9
4.9
4.9
4.5
4.3
4.3
6
6
6
6
6
4
6
6
6
6
6
6
6
6
4
8
8
6
6
4
8
8
8
8
6
8
6
8
6
8
7 Organizzazione non governativa no-profit fondata nel 1993 con lo scopo specifico di combattere la corruzione nel mondo collaborando con le istituzioni internazionali, gli Stati e le imprese.
8 Per la tabella completa dell’indice di percezione della corruzione nel mondo consultare inoltre
il sito: www.transparency.org/policy_research/surveys_indices/cpi/2009/cpi_2009_table.
211
Azienda Pubblica 2.2010
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Saggi
Sui fenomeni di corruttela nelle amministrazioni pubbliche locali ed
i problemi di sviluppo e crescita economica del nostro Paese, robusta è
l’attenzione di organizzazioni e istituti di ricerca come l’Istat ed il Cnel. In
particolare il Cnel, attraverso l’Osservatorio socio-economico sulla criminalità, ha posto al centro della sua attività di studio e di ricerca sin dalla metà
degli anni ’90 la pervicacia dei fenomeni di corruttela nella gestione delle
amministrazioni pubbliche (1996), evidenziando inoltre i rischi di infiltrazione della criminalità organizzata nei finanziamenti comunitari (legge 488),
nelle grandi opere ed anche in diversi enti locali del nord del nostro Paese
in una conquista silenziosa di pezzi di economia legale.
Recente è inoltre il rafforzamento delle strutture di indagine e della Dia
anche attraverso protocolli d’intesa e accordi di collaborazione interistituzionale con il Cnel e l’Alto Commissario per le prevenzione ed il contrasto
della corruzione e di altre forma di illecito nella P.A. (organismo successivamente soppresso) e i chiari indirizzi anche da parte di organizzazioni
rappresentative come Confindustria attraverso l’espulsione dagli organi
associativi di imprenditori ed industriali che non denunciano fenomeni di
pizzo alimentando la cultura dell’illegalità e del silenzio dell’illegalità.
“La presenza della criminalità organizzata nell’economia della penisola
rende necessari e non più rinviabili una serie di provvedimenti”, primi tra
tutti quelli sugli appalti: per il Cnel (Rapporto 2010), (9) servono “un attento
controllo e monitoraggio della realizzazione delle grandi opere del Nord
Italia”, “una griglia molto stretta per l’assegnazione degli appalti e subappalti”, “il monitoraggio della rete dei subappalti con elenchi preventivi
delle aziende che si occupano di edilizia” e “il ripristino della tracciabilità
dei pagamenti relativi al progetto con pagamento elettronico”.
Al riguardo la legge 13 gennaio 2003, n. 3 ha istituito nel nostro
ordinamento l’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della
corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della Pubblica Amministrazione.
L’articolo 68, comma 6, del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008,
ha successivamente soppresso l’Alto Commissario. Con D.P.C.M. del 5
agosto 2008 le relative funzioni sono state attribuite al Dipartimento per
la Pubblica Amministrazione e l’innovazione che ha istituito il Servizio
anticorruzione e trasparenza.
2. Metodologia della ricerca
Oggetto di analisi del presente studio sono i meccanismi perversi che si
manifestano nella gestione di un ente locale nell’assolvere a quelle funzioni
che la stessa Costituzione ritiene di legittima competenza degli enti locali,
e quali possono essere gli strumenti, le proposte delle recenti riforme istituzionali e strutturali per ovviare il più presto possibile a questa persistente
9 Dal sito www.portalecnel.it
Azienda Pubblica 2.2010
212
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
situazione di corruzione o addirittura cattura dello Stato che caratterizza in
maniera sempre più frequente, il contesto socio-economico delle istituzioni
locali ormai dissacrate e delegittimate.
L’abuso del potere politico e la continua ricerca del consenso elettorale
attraverso interventi ad personam, oscurano completamente il più generale
interesse pubblico che dovrebbe invece rappresentare il “filo conduttore”
di tutte le scelte e le decisioni di una P.A. che si dichiari democratica. Il
prevalere in questi ultimi decenni di interessi particolari a tutto discapito di
quelli generali, va ad inquinare, ad inficiare anche il più noto e fondante
principio costituzionale dell’“imparzialità e della buona amministrazione”
(art. 97 Cost.) assumendo sempre di più i caratteri e la forma di una
vera e propria piaga della società moderna (in Italia riguarda non più
solo il Mezzogiorno, ma anche “i santuari” della buona amministrazione
dell’area centro-settentrionale). La studio parte dalla consapevolezza che
sia la letteratura teorica, sia la letteratura empirica italiana riguardo questi
fenomeni corruttivi, è molto scarsa, se non del tutto assente, mentre nel
resto d’Europa è già possibile parlare di Anti-Corruption Management
(Esposito P., Cillo V., Landi T., 2009). L’obiettivo è quello, non solo di
evidenziare la rilevanza e l’importanza del tema, ma anche sensibilizzare
la letteratura aziendalistica italiana a trovare un rapido rimedio a tali situazioni di squilibrio e abuso di potere pubblico attraverso politiche mirate
e soprattutto una diffusione della cultura della trasparenza democratica,
della ricostruzione del sistema fiduciario e del sistema valoriale di riferimento, del senso di appartenenza alla nostra comunità, della lealtà, della
giustizia ed equità. Il successo dei programmi anti-corruzione dipendono
da informazioni disponibili al pubblico, da un’abile leadership politica,
da azioni collettive, dal supporto dei mass-media e attraverso il cosiddetto
“effetto annuncio” (Borgonovi E., 2004).
Al quesito di ricerca, è premessa pertanto la convinzione che si potrebbe effettivamente dare una svolta a tale sistema perverso attraverso
un modello di Public Governance capace di porre un freno allo sperpero
di risorse pubbliche, ai monopoli politici, migliorando i livelli di trasparenza e di accountability dei soggetti chiamati a gestire e a dirigere la
macchina amministrativa in un’ottica di crescita sostenibile (Anselmi L.,
2003). Lo scopo del presente lavoro è pertanto verificare l’esistenza di
correlazioni, dirette e indirette, tra livello di accountability che una P.A.
può manifestare e consolidare, e presenza o assenza di situazioni perverse di corruttela, di lacerazione del rapporto fiduciario elettore-eletto
o addirittura State Capture. (10)
10 La cattura dello Stato è la collusione da parte di attori privati con pubblici ufficiali o
politici per ottenere un reciproco beneficio privato. In questa forma di corruzione, il settore privato “Cattura” lo Stato, cioè il potere legislativo, esecutivo, giudiziario e gli strumenti
pubblici (risorse, uffici, ecc.) per il perseguimento di propri fini. La cattura dello Stato quindi potrebbe essere considerata una particolare forma di corruzione che caratterizza ormai
la società moderna. Cfr. A. Shah, Performance accountability and combating corruption, The
Work Bank, Washington DC, 2007, pp. 235 e ss.
213
Azienda Pubblica 2.2010
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Saggi
Ponendo un filtro agli attuali sistemi di governo nella gestione delle
aziende pubbliche in particolare l’azienda pubblica locale, è possibile
ovviare a persistenti situazioni di arbitrio e abuso di potere pubblico, nel
rispetto invece delle crescenti esigenze di controllo, di rendicontazione
e di monitoraggio imposti dal legislatore nazionale e internazionale in
materia di P.A. e servizi pubblici locali. Attuando processi decisionali e
amministrativi semplici e trasparenti, lasciando ai cittadini la possibilità
di controllare le azioni politiche, comparando i risultati con standard predefiniti, sarebbe più difficile “infiltrarsi” in una sana e corretta gestione
pubblica. L’obiettivo della ricerca è capire se realmente a maggiori livelli
di accountability degli enti che si andranno ad osservare corrisponda un
maggior grado di rigore e trasparenza dell’azione pubblica limitando in
tal modo, comportamenti opportunistici ed elusivi di una “buona e corretta
amministrazione”.
Il contributo che si vorrebbe dare e le valutazioni propositive sono incentrate su di una proposta di modello generale di Public governance (Meneguzzo M., 1997; Cepiku D., 2005) nel cui ambito le funzioni decisionali,
di amministrazione, di programmazione e di controllo siano incentrate su
alti livelli di accountability e trasparenza dell’azione amministrativa posta
in essere nell’interesse di tutti gli stakeholders, e non per il soddisfacimento di alcune esclusive categorie di interessi o lobby. Le riflessioni critiche
afferiscono al ruolo cruciale ed al contributo che un adeguato sistema di
accountability, inteso come capacità dell’ente pubblico di “render conto”
della gestione e dell’impiego delle risorse pubbliche (Ricci P., 2005) potrebbe apportare alla gestione della “cosa pubblica” ed alla creazione di un
valore aggiunto per tutti i fruitori e i destinatari dell’azione amministrativa,
stimolando riflessioni sul tema dell’Anti-Corruption Management anche nella
letteratura economico-aziendale italiana.
A tal fine oggetto di osservazione sono quei Comuni campani sciolti per
presunta infiltrazione mafiosa ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 267/2000
e con una popolazione superiore ai 15 mila abitanti, in quanto obbligati
alla redazione dei documenti contabili di programmazione disciplinati dal
Testo Unico degli enti locali (PGS, RPP, BPP). Data la diffusione capillare
del fenomeno, come precedentemente accennato, l’universo di riferimento
si presenta molto esteso (circa la metà, precisamente il 44,3%, dei provvedimenti di scioglimento adottati in Italia dal ’91 ad oggi, ha interessato enti
campani, sessanta in tutto, dodici dei quali sciolti ben due volte).
Il fenomeno osservato, già previsto nella legge 221/1991, legge
che consentiva di sciogliere i Consigli comunali e provinciali quando
emergevano elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli
amministratori stessi, tali da comprometterne la libera determinazione
degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e
provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati
ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per
Azienda Pubblica 2.2010
214
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
lo stato della sicurezza pubblica (art. 2, comma 1), è oggi interamente
disciplinato dall’art. 143 del Tuel. Tale articolo prevede (comma 2) che,
con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero
dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, si può avere
lo scioglimento degli organi elettivi. L’obiettivo del provvedimento è evidentemente proprio quello di coinvolgere i massimi organi costituzionali
dei diversi poteri dello Stato al fine di garantire maggiore trasparenza e
partecipazione a tutti i livelli di governo.
3. “Bacco, Tabacco e Venere”: quali strumenti manageriali per
una gestione pagana?
Verrebbe immediatamente da chiedersi da cosa nascono questi comportamenti opportunistici e perversi? La risposta a tale fenomeno è piuttosto complessa:
il controllo del territorio in concorrenza con l’autorità statale tanto da arrivare
a definire questo filone sotterraneo e nascosto come una autorità parallela che
opera e si organizza con gli stessi strumenti della P.A. tradizionale, ovvero
legittimità, risorse pubbliche, sovra-ordinazione verso quei soggetti ormai
inficiati e cooptati nel circolo vizioso della corruzione. (11) La “zona grigia”
tra le due autorità si è ampliata a dismisura in questi ultimi anni testimoniata
da una crescita vorticosa dei reati per corruzione e concussione. È la mala
gestione della cosa pubblica a preparare il terreno alla corruzione. La corruzione è un tumore maligno che avvolge il tessuto più vitale e operoso del
paese e non accenna neppure lentamente a dissolversi. (12) Questo fenomeno
non risente neanche dell’influenza di squilibri congiunturali in quanto proprio
nelle situazioni di maggiore crisi e confusioni, il patrimonio delle organizzazioni criminali dilaga. L’instabilità segna una veloce e significativa usura
del sistema politico-istituzionale e “ara il terreno” per la crescita di gruppi,
lobbies, interessi particolari, leciti e soprattutto illeciti (Cavaliere C., 2004).
La cattiva gestione in sanità, gli inquadramenti illegittimi, la crescita delle
procedure negoziate, l’opaco sistema degli appalti pubblici, e ancora le
frodi alla Ue e le truffe interne della riscossione dei tributi, gli affidamenti dei
servizi pubblici locali che fin dagli anni ’70 hanno sempre rappresentato in
maniera eclatante forse il più evidente tra i cosiddetti “costi della democrazia”, in quanto tali imprese, a totale o prevalente partecipazione pubblica,
sorrette dai politici, hanno generato scandali finanziari e strategie industriali
fallimentari (Gallino L., 2005) al fine di coltivare clientele politiche in grado
di determinare continuità amministrative grazie a durevoli e collaudati cartelli elettorali. Si potrebbe rappresentare tale forma di corruzione seguendo
questo schema (figura n. 1):
11 Lo stesso Procuratore generale della Corte dei conti, presenta così l’Italia di oggi alla cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario 2010: la corruzione – ha detto – è ormai una patologia e va vista come una nebbia che sovrasta e avvolge il tessuto più vitale e operoso della
società, Tratto da Il Sole24Ore del 18 febbraio 2010, p. 6.
12 Inaugurazione dell’anno giudiziario 2010, il Presidente Lazzaro.
215
Azienda Pubblica 2.2010
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Figura 1 – Le possibili forme di corruzione nell’erogazione di un servizio pubblico
PAR TITI
POLITICI
Regolatore
F ornitore/PA
committente/
Politic o
Processo regolatorio
Fornitori
Relazione di committenza
Erogazione del servizio
Produttore/Erogatore del servizio
Produttori concorrenti
Cittadino - Utente
Fonte: adattato da Borgonovi E., Fattore G., Longo F., Management delle istituzioni pubbliche, 2009.
I casi presi in esame dalla magistratura contabile, rappresentano esempi
di scarsa responsabilità pubblica e soprattutto politica o come li definirebbe
ancora Gallino, esempi di irresponsabilità sociale (Gallino L., 2005) che mai
come per la cosa pubblica, la responsabilità sociale dovrebbe essere invece
una virtù innata (Borgonovi E., 2005). La crescente rilevanza del sistema dei
partiti politici (leggi elettorali) con le degenerazioni gestionali nelle situazioni
patologiche suddette (appalti pubblici, gestione dei servizi pubblici) non
trova giustificazione di alcun tipo nell’art. 49 della Costituzione il quale
recita espressamente: tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente
in partiti politici per concorrere con metodo democratico a determinare
la politica nazionale. Il diritto costituzionale della libera associazione in
partiti politici, componente essenziale del sistema politico, è frutto di una
idea positiva e protettiva del legislatore repubblicano volta a garantire il
superamento dell’oggettiva impossibilità per il soggetto economico “cittadino” (utente/elettore) di imporsi individualmente (Ricci P., 2010). Il partito
politico, “luogo” in cui si organizza il soggetto economico pubblico, esercita
di fatto il potere supremo sull’azienda (dimensione sostanziale). Il soggetto
economico “partito politico” dovrebbe però esprimere una volontà davvero
superiore, ampiamente condivisa e generale, e allo stesso tempo interpretare e rappresentare, in modo trasparente e controllabile, la maggioranza
delle esigenze e dei bisogni dei cittadini, consentendo alle amministrazioni
pubbliche locali di funzionare secondo una logica ispirata all’efficienza e
all’efficacia, attraverso scelte manageriali realizzate per mezzo di un management aziendale selezionato sulla base delle proprie competenze.
Tale meccanismo o sistema di governo (vedi figura n. 2) presenta però anche
Azienda Pubblica 2.2010
216
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
elevati rischi di “sovversione” dei principi di sana gestione aziendale. Il soggetto
economico pubblico (il partito politico, i suoi dirigenti o i suoi leader), per rafforzare ancora di più il proprio consenso e per mantenere ed accrescere il proprio
potere politico sulla comunità di riferimento, può assumere decisioni – generando
vere e proprie patologie – che si discostano notevolmente dall’interesse generale,
piegandosi alla dimensione personale o all’interesse particolare, snaturando la
P.A. nei suoi valori e nelle sue finalità (Ricci P., Landi T., 2009).
Figura 2 – Sistema di governo delle aziende pubbliche italiane
SISTEMA
POLITICO
SISTEMA
POLITICO
PARTITI POLITICI
SISTEMA
ISTITUZIONALE
CITTADINI/
UTENTI/ELETTORI
(Political Power)
PARTITI POLITICI
(Political Power
)
AZIENDE e AA.
PUBBLICHE
Fonte: Nostro adattamento
Le riflessioni fatte, ci inducono a considerare il processo di reclutamento
e selezione della classe dirigente del nostro Paese “assolutamente inadeguato” (Cavaliere C., 2004), con eccessiva enfasi alle riforme ed all’aspetto
normativo tralasciando invece i processi di selezione e di formazione della
classe politica.
Pensare infatti di aumentare le sanzioni elettorali e accrescere l’autonomia
degli esecutivi (attraverso l’elezione diretta o il federalismo fiscale) senza migliorare la qualità del personale politico può generare gravi effetti perversi: attribuire
più forza ai soggetti di discutibile livello culturale e morale, tanto da renderli più
inclini all’opportunismo ed alle lusinghe di “truffatori e faccendieri”, altri politici,
dirigenti, imprese (come li definiva Schumpeter a proposito delle democrazie di
successo) va a tutto discapito degli interessi collettivi (13) (vedi figura 3).
Figura 3 – Dalla corruzione alla cattura dello Stato
• Il modello di relazione politico-tecnica “Corruttiva”
PIANIFICAZIONE/
PROGRAMMAZIONE
CORRUZIONE
AMMINISTRATORI
GESTIONE
CONTROLLO
CATTURA
DELLO STATO
RIGIDA
SEPARAZIONE
TRA
IMPRESE
DIRIGENTI
DETERMINAZIONI DIRIGENZIALI
programmazione,
gestione e controllo
LO “STATE CAPTURE” NEL PROCESSO
DECISIONALE SEQUENZIALE
DI TIPO RAZIONALE,
SEPARABILE NELLE DIVERSE FASI
Fonte : P. Esposito
13 C. Trigilia, I cervelli giusti per le riforme, da Il Sole24Ore del 2 gennaio 2010, p. 13.
217
Azienda Pubblica 2.2010
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Saggi
Il sistema politico italiano, è purtroppo ancora ispirato ad un modello di
divisione del lavoro in cui i politici possono godere di ampi margini di autonomia
e discrezionalità nell’interpretare i bisogni della comunità e non ad un modello
di responsività (responsivness), quindi la cultura che prevale è troppo spesso il
“compromesso a tutti i costi” e la “mediazione in ogni caso” (Ricci P., 2007).
Afferma Pezzani nel suo Patto di Lucidità: andrebbero sostenute strenuamente nuove politiche di gestione del personale, finalizzate a rafforzare
la componente professionale nella selezione e valutazione e a diffondere
un nuovo sistema di valori condiviso e legato a principi di natura etica e
morale (Pezzani F., 2008). Sarebbe quindi legittimo pensare ancor prima
di un Patto di lucidità ad un Patto di moralità (Ricci P., 2010), per diffondere
la cultura dell’etica e della responsabilità morale.
Altro elemento determinante ma fortemente inadeguato nel nostro Paese è
il sistema di programmazione e controllo in un’ottica di completa separazione
tra indirizzo politico e autonomia gestionale (vedi figura n. 3). Nella realtà non
avviene mai una netta separazione tra organo politico e management pubblico,
anzi, la stessa letteratura (Mussari R., 1994; Sancino A., 2009) ha abbondantemente superato tale dicotomia, in quanto, se pur i politici, espressione degli
elettori, sono deputati ad interpretare i bisogni della collettività, traducendoli in
obiettivi e il management pubblico solo a tradurre gli stessi obiettivi in risultati,
quest’ultimo resta sempre legato al primo da un rapporto critico di fiducia e di
nomina (sistema dello spoil system). La chiusura e l’alta informalità nelle procedure di selezione associate ad un basso livello di concentrazione della struttura
del potere (Sancino A., 2009) identificano un modello di contingency spoil
system (Jacobsen J. K., 2006). Ne deriva che le decisioni vengono assunte non
in base a criteri di convenienza economica (come dovrebbe essere in ambito
manageriale) bensì in funzione dei “tempi” della politica (durata dei mandati
elettorali). La dipendenza dei tempi e dei ritmi della gestione dai tempi e ritmi
istituzionali (Borgonovi E., 2005), comporta un forte orientamento della gestione
al breve periodo. I politici assumono decisioni anticipandone i benefici e differendone i costi, attentando così al principio di equità intergenerazionale, ma
salvaguardando invece quello del consenso politico. (14) In un modello corretto
e trasparente la complementarietà sistemica tra politica e burocrazia consente
invece di distinguere senza equivoci le funzioni di indirizzo e di controllo da
quelle di gestione inducendo ciascuno a svolgere il proprio ruolo con chiarezza,
competenza, professionalità e soprattutto responsabilità delle proprie azioni
(Mussari R., 1994). Si tratterebbe in questo caso di un modello di applicazione
14 Interessante a tal riguardo l’opinione di Graham T. Allison Jr, il quale sostiene che: i tentativi di tracciare una linea netta tra “politica” e “amministrazione”, come i più recenti sforzi di
segnare un simile spartiacque tra “policy-making” ed “implementazione”, riflette una comune ricerca di una semplificazione che permetta di porre i problemi di valore della politica da
una parte (chi fa cosa, quando, come), e focalizzare il più limitato problema di come assolvere i compiti più efficientemente. Ma può qualcuno realmente negare che il “come” influenza sostanzialmente il “chi”, il “che cosa” e il “quando”? in R. Mussari, Il management delle
aziende pubbliche. Profili teorici, Padova: Cedam, 1994, nota p. 118.
Azienda Pubblica 2.2010
218
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
dello spoil system di tipo accountable e competitivo (Sancino A., 2009), che
presenti appunto un alto grado di formalità, apertura e competitività nel processo di nomina dei dirigenti pubblici (Amado L., 2001; Borgonovi E., 2002;
Panozzo F., 2007). In un contesto organizzativo, quale quello della P.A. oggi,
è ricorrente il fatto che tutti fanno tutto e nessuno è responsabile di ciò che solo
lui dovrebbe fare (Farneti G., 2008), non c’è responsabilità, moltiplicando
burocrazie, conflitti di competenza, complicazioni procedurali, duplicazione di
costi e strutture. Il problema della deresponsabilizzazione alimenta in maniera
esponenziale il proliferare di occasioni e situazioni di corruzione, sempre più
spesso, infatti, gli scandali economici e politici non vengono rilevati dal buon
funzionamento della magistratura o dei sistemi di controllo interni ma vengono
denunciati direttamente da coloro che ne sono stati vittime o talvolta da coloro
che non hanno potuto trarre alcun vantaggio personale dal fatto doloso. (15)
4. Introduzione e commento al questionario
L’osservazione del fenomeno indagato è avvenuta mediante la somministrazione di un questionario nell’ottica di recuperare informazioni tra loro
omogenee e comparabili secondo una logica di semplicità, agilità, neutralità
e comprensibilità dei quesiti onde evitare equivoci e soprattutto per invogliare
i destinatari a rispondere velocemente ed in modo corretto.
Dati i requisiti della ricerca, ovvero indagare i sistemi di gestione, controllo e rendicontazione (governance e accountability) dei Comuni campani
sciolti ex art. 143 del Tuel con una popolazione superiore ai 15.000 ab.,
dall’universo di riferimento è emerso un campione di 29 Comuni concentrati
nelle province di Napoli e Caserta (vedi figura n. 4):
Figura 4 – Composizione campione osservato
14%
Napoli (86%)
Caserta (14%)
Benevento
Avellino
Salerno
86%
Sulla base degli obiettivi della ricerca, si è proceduto poi alla puntuale
definizione dei dati da richiedere agli enti ponendo particolare attenzione a
far emergere dalle risposte raccolte (risposte multiple guidate) le correlazioni
tra sistemi e strumenti di controllo e rendicontazione adottati e predisposizione ad un comportamento responsabile, aperto e partecipativo verso i propri
cittadini. Il questionario è stato strutturato nelle seguenti sezioni:
15 Pezzani F., Il patto di lucidità. Come avvicinare istituzioni e paese reale, cit., p. 22.
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Azienda Pubblica 2.2010
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Saggi
DATI ANAGRAFICI DELL’ENTE
QUESTIONARIO
COMUNE DI __________________________ PROVINCIA DI _______________________
DATI ANAGRAFICI DELL’ENTE LOCALE
Indirizzo:________________________________
Popolazione
Nome e Cognome del compilatore ___________________________________________
Telefono: _____________ fax: ____________ E-mail: ___________________________________
Posizione __________________________________________________________________
Consiglio Comunale sciolto ex art. 43 Tuel nell’anno/i ________________________________
CONTROLLI INTERNI
A) CONTROLLI INTERNI
CONTROLLO STRATEGICO
1) Indicare se:
previsto
in corso di predisposizione
istituito ma non attivo
attivato (indicare l’anno) _________
CONTROLLO DI GESTIONE
8) Il controllo di gestione ex artt. 197 e ss. è:
previsto
in corso di predisposizione
istituito ma non attivo
attivato (indicare l’anno) _________
REGOLARITÀ AMMINISTRATIVA E CONTABILE
14) Qual è il ruolo che il collegio revisori assume nel vostro ente locale:
mero controllore
collaborativo
entrambi
altro (specificare) ______________________________
VALUTAZIONE DEI DIRIGENTI
35) Ai dirigenti/apicali responsabili di servizio è applicata la valutazione dei dirigenti:
sì (indicare l’anno) _________
no
Azienda Pubblica 2.2010
220
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
SISTEMI CONTABILI E DI RENDICONTAZIONE SOCIALE
B) SISTEMI CONTABILI E RENDICONTAZIONE SOCIALE
42) Quali tipologie di Sistemi Contabili vengono utlizzate dall’Ente, per la rilevazione
degli accadimenti gestionali?:
solo Contabilità Finanziaria
Contabilità Finanziaria e Contabilità Economico-Patrimoniale
Contabilità Finanziaria e Contabilità Economico-Patrimoniale con rilevazione degli
accadimenti attraverso il metodo della partita doppia
43) Realizzate percorsi di Rendicontazione sociale:
sì
no
44) A quali Linee Guida è stato ispirato il Vs. percorso di rendicontazione sociale:
nessuna
direttiva baccini
Gruppo di studio sul Bilancio Sociale
Linee Guida dell’Osservatorio sulla contabilità e la finanza degli enti locali
ALTRE QUESTIONI PER IL COMPLETAMENTO DELLA RICERCA
C) ALTRE QUESTIONI PER IL COMPLETAMENTO
DELLA RICERCA
49) Conoscete il significato di State Capture:
sì
no
50) Se sì, registrate fenomeni di questo tipo nel Vs. Ente:
sì
no
51) A quale organo li denunciate:
politico
manageriale
forze dell’ordine pubblico
Alto Commissariato competente
Corte dei conti
Altro (specificare autorità giudiziaria) _______________________________
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L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Saggi
Come tecnica di indagine si è preferito contattare i Comuni (unità statistiche)
del campione selezionato tramite invio del questionario per posta elettronica
(prevalentemente indirizzate al segretario generale). Con tale metodo di
rilevazione, il rispondente riceve il questionario sulla propria casella di posta
elettronica in formato Word, lo compila nelle parti di sua competenza e lo rinvia
allo stesso indirizzo e-mail. I vantaggi di tale metodo sono evidenti: rapidità di
lettura e compilazione da parte del rispondente; rapida raccolta dei questionari
compilati. In realtà questa prima fase di somministrazione non ha prodotto i
risultati sperati: molte e-mail sono addirittura tornate indietro perché rigettate
dal server del destinatario (probabilmente intasato di e-mail non lette).
Anche questo elemento è stato per noi oggetto di analisi: si evidenzia infatti
la scarsa attenzione ai mezzi di comunicazione e la repulsione all’utilizzo delle
nuove tecnologie. Questo è indice di scarsa trasparenza e di poca apertura al
cambiamento e all’innovazione. Successivamente infatti, verrà proposto come
elemento caratterizzante di un comportamento accountable e responsabile anche l’impiego apprezzabile delle tecnologie nei processi di comunicazione.
Si è pensato quindi di passare ad una modalità di rilevazione alternativa, ovvero l’invio dei questionari a mezzo fax contattando preventivamente
i Comuni telefonicamente per richiamare la loro attenzione e recandoci, in
alcuni casi, di persona presso gli enti per interviste dirette.
Primi risultati della ricerca
Dall’indagine condotta, i risultati della ricerca sono alquanto limitati data
la resistenza di risposta da parte del campione esaminato. Dopo ripetuti
tentativi di contatto, anche diretti con i dirigenti e con i segretari generali, la
percentuale di risposta allo stato attuale si attesta al 20,7%. Questo evidenzia
la mancanza di una cultura della trasparenza e la scarsa, se non assente,
predisposizione al confronto ed al dialogo. Da altri studi esaminati prima di
avviare la presente ricerca, avente ad oggetto bad practices, è emerso che
anche le best practices sono difficili da ricercare a causa del disinteresse da
parte di questi enti a ricerche di mercato, interviste, analisi di banchmarking.
Dalle risposte ottenute si è cercato di far emergere il grado di conoscenza
e di utilizzo da parte di questi enti, di specifici strumenti manageriale di
programmazione prima e di controllo e rendicontazione dopo la gestione.
L’obiettivo del presente contributo è capire se l’adozione di questi strumenti
e sistemi manageriali, che potrebbero, se effettivamente adottati, salvaguardare l’ente da comportamenti illeciti, illegali e fraudolenti nella gestione delle
già scarse risorse pubbliche, è propria di un processo culturale interno, o
è la determinante di scelte pubbliche di esternalizzazione.
Per quanto riguarda l’attività di programmazione è stato esplicitamente
chiesto ai Comuni del campione statistico, quali documenti vengono predisposti in fase di previsione della gestione oltre il Bilancio Annuale e Pluriennale di Previsione (Piano Generale di Sviluppo, Programma di Mandato e
Relazione Previsionale e Programmatica).
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Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Tabella 4 – Nel processo di programmazione l’ente utilizza i seguenti documenti
90,00%
80,00%
70,00%
60,00%
50,00%
No
40,00%
Sì
30,00%
20,00%
10,00%
0,00%
P.G.S.
P.M.
R.P.P.
Dai risultati ottenuti si evidenzia una generale tendenza al rispetto della norma, ma non una sistematica attività di programmazione di lungo periodo.
La bassa percentuale di risposte positive alla domanda sulla predisposizione del Piano Generale di Sviluppo, evidenzia la poca attenzione alla
pianificazione strategica. Questo documento, infatti, dovrebbe rappresentare
l’intelaiatura dell’intera attività di programmazione derivata dal Programma
di Mandato, al fine di evidenziare, per tutta la durata del mandato, le linee
di azione, il fabbisogno di risorse necessario e la compatibilità tra interventi
di sviluppo che si vogliono realizzare e le capacità operative dell’ente. Per
quanto riguarda la gestione e l’attività di controllo, interessanti sono i dati
relativi al sistema di contabilità adottato e se questo è utile per rilevare fenomeni corruttivi durante la gestione (tabella 5). Tutti i Comuni che hanno
risposto al questionario adottano un sistema di contabilità finanziaria (100%)
e solo il 33% di questi, ha definito la contabilità finanziaria utile per analizzare e monitorare la congruità tra il servizio reso e le risorse impiegate,
oltre che per rilevare eventuali fenomeni corruttivi.
Tabella 5 – Il sistema informativo contabile adottato è stato utile per rilevare
o registrare fenomeni corruttivi negli ultimi cinque anni?
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
No
Sì
Contabilità Finanziaria
223
Azienda Pubblica 2.2010
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Dalle considerazioni degli intervistati è emerso che il legislatore non ha
avuto la forza di imporre l’utilizzo della contabilità economica, lasciando ai
comuni la possibilità di scegliere il sistema che ritengono più idoneo per le
loro esigenze (art. 232 Testo Unico). Pertanto i Comuni non intendono adottare alcuna linea di cambiamento finché non verrà imposto per legge.
Passare ad un sistema di contabilità economico-patrimoniale richiederebbe sicuramente un impegno economico, ma, a parere di chi scrive,
consentirebbe all’ente di misurare la giusta correlazione tra input e output
andando ad intervenire laddove esiste un maggior spreco di risorse o dove
le risorse pubbliche vengano utilizzate in modo “improprio”.
Mancando un sistema di rilevazione contabile adeguato anche il controllo di gestione diventa difficile da implementare. I dati sull’adozione del
controllo strategico (tabella 6) confermano una scarsa visione di medio/
lungo periodo, mirando al raggiungimento di obiettivi di breve termine per
accrescere nell’immediato consenso e fiducia. Per il controllo di gestione,
sempre in risposta ad un mero adempimento normativo (art. 197 Testo Unico), si rileva un altro tasso di risposte positive ma, nella maggior parte dei
casi (70%), tale attività viene affidata completamente ad una organizzazione
esterna. Ciò evidenzia la mancanza di utilizzo di competenze professionali
interne all’organizzazione restando il Collegio dei Revisori l’unico organo
di controllo, interno all’ente stesso.
Tabella 6 – Adotta il controllo strategico e il controllo di gestione?
4,5
4
3,5
In corso di
predisposizione
3
2,5
2
No
1,5
1
Sì
0,5
0
Controllo
di gestione
Controllo
strategico
Anche i fenomeni corruttivi, vengono rilevati in tal modo, solo occasionalmente non essendoci un controllo concomitante.
Le irregolarità rilevate dall’organizzazione responsabile del controllo di
gestione o dal Collegio dei Revisori, vengono direttamente denunciate alla
Procura della Repubblica per avviare la conseguente attività investigativa
sui presunti casi di corruzione (70%).
Nella parte conclusiva del questionario, i quesiti posti sono volti ad
indagare il livello di infrastruttura etica di ogni ente, quale investimento
irrinunciabile per rinsaldare il grado di fiducia e di legittimità da parte della
Azienda Pubblica 2.2010
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Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
comunità amministrata e del senso di appartenenza ad essa da parte di tutti
i cittadini onesti, attraverso percorsi di trasparenza nel processo democratico
di amministrazione e di gestione.
Tabella 7 – Realizzate percorsi di rendicontazione e di responsabilità sociale?
7
6
5
4
No
3
Sì
2
1
0
Bilancio sociale
Codice Etico
Dalla rilevazione emerge che solo il 33% degli enti intervistati ha da
poco avviato percorsi di rendicontazione sociale seguendo prevalentemente
la Direttiva Baccini. Nessun ente intervistato ha invece adottato un codice
etico per definire e regolare comportamenti che si conformino all’etica
pubblica nel rispetto dei cittadini.
Per ovviare alle emerse situazioni di default informativo nei sistemi di
programmazione e controllo e di rendicontazione verso l’esterno, diventa
sempre più evidente la necessità per questi enti di attuare politiche di
direzione capaci di coniugare interessi, potenzialmente contrastanti, su
obiettivi comuni e condivisi, il cui grado di perseguimento venga comunque
continuativamente monitorato, attraverso un rinnovato disegno dei sistemi
di controllo interni ed esterni, e dimostrato all’esterno mediante innovativi
strumenti di accountability (Ricci P., Landi T., 2009). Infatti, la correlazione
tra livelli di accountability e presenza di fenomeni di corruttela emerge
dall’indagine complessiva, e in particolare con riferimento a:
a) utilizzo esclusivo della contabilità finanziaria, che non consente di
monitorare l’impiego delle risorse pubbliche e di rilevare eventuali
fenomeni di uso “improprio” di tali risorse;
b) rilevazioni e denunce dei fenomeni corruttivi vengono fatti alle Autorità
giudiziarie competenti direttamente dagli organi di controllo esterno,
spesso a seguito di interrogazioni consiliari da parte di partiti politici
e non a seguito di controlli manageriali.
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Azienda Pubblica 2.2010
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
Saggi
5. Conclusioni e implicazioni gestionali
La realtà della P.A. italiana si caratterizza per una visione di governo
multidimensionale, cioè orientato verso tutti quei fattori e quei soggetti che
ruotano intorno alla macchina amministrativa e che ne condizionano e ne
influenzano le decisioni e le scelte. Tale approccio, prende in Italia il nome
di Public Governance proprio perché caratterizzato da (Meneguzzo M.,
1997):
a) centralità delle interazioni con gli attori presenti ai veri livelli nel
contesto politico e sociale;
b) governo e coordinamento di network e reti;
c) orientamento all’esterno, in particolare verso l’ambiente economico
e sociale.
Data quindi la complessità del sistema e delle relazioni che si sviluppano
nella P.A. l’adeguatezza degli interventi volti ad affrontare e, si spera, risolvere
le situazioni patologiche innanzi descritte, si misura attraverso l’adozione di
un modello di governance capace di contemperare contemporaneamente
tutti i diversi interessi coinvolti (Garlatti A., 2004; D’Aries C., Sarcina S.,
2006) consentendo alla stesse istituzioni pubbliche locali di diventare stakeholder (portatore di interessi) del proprio sistema amministrativo (Mulazzani
M., 2005). Il concetto di governance introdotto e importato dalla letteratura
anglosassone, in Italia resta di non facile interpretazione dato il suo aspetto
multi-dimensionale. A detta di alcuni studiosi (Pierre J., Peters G. B., 2000),
il segreto del suo successo è dovuto proprio alla vaghezza concettuale e
alla flessibilità interpretativa che lo rendono “duttile” e adattabile a differenti
contesti e situazioni accrescendo di volta in volta la sua utilità. (16) Secondo
un’interpretazione prettamente anglosassone (Schick A., 2003) la governance
viene identificata con l’espressione governing without government che sta a
significare il superamento dello Stato-Nazione, ritenuto troppo distante dai
cittadini, appesantito da strutture burocratiche, insensibile alle esigenze dei
cittadini, troppo orientato al rispetto della norma e non dei risultati e incapace
di reagire agli stimoli dell’ambiente esterno (Cepiku D., 2005).
Secondo la dottrina di stampo olandese(Kickert W. J. M., 2004), sarebbe
corretto parlare di public governance intesa come influenza che la P.A. riesce
ad esercitare sui processi sociali che si sviluppano all’interno di reti complesse di attori autonomi ma allo stesso tempo interdipendenti tra loro.
In questo contesto nessun attore è dominante ma solo influente, compresa
la P.A. La differenza tra i due approcci, consiste proprio nell’apertura della
seconda impostazione (public governance) verso l’esterno, cioè verso tutti
quei soggetti coinvolti nelle attività decisorie. Questo è il tipico approccio
seguito anche dalla nostra tradizione italiana. Autorevole dottrina (Borgonovi
16 “A key reason for the popularity of this concept is its capability to cover the whole range
of institutions and relationship involved in the process of governing”. Pierre J., Peters G.B., Governance, politics and the State, cit.
Azienda Pubblica 2.2010
226
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
E., 2005) afferma infatti che la governance non è decidere sui problemi
in modo autonomo, dopo aver consultato altri soggetti ma determinare i
criteri e i processi per decidere sui problemi di interesse comune, tenendo
conto delle diversità, per adottare politiche, indirizzi e scelte capaci di far
convergere tutti gli interessi verso soluzioni reciprocamente accettabili. In
tal senso, la governance di impostazione italiana rappresenterebbe un
superamento del “paradigma” del NPM volta ad affinare gli strumenti di
coinvolgimento degli stakeholder nella definizione e implementazione di
politiche pubbliche e a migliorare gli aspetti di accountability della P.A.
verso i cittadini/utenti (accountability democratica). La public governace che
l’ente locale dovrebbe adottare nel particolare caso in esame, si estende e
si sviluppa su tre diversi livelli (Mulazzani M., 2008):
a) governance o governabilità interna, ossia il complesso di strumenti
e metodologie contabili e organizzative che consentono la gestione
efficiente ed efficace della struttura amministrativa;
b) governance o governabilità esterna, che consiste nell’insieme di
strumenti e criteri che regolano proprio i rapporti tra ente pubblico e
propri “bracci operativi” (società partecipate) preposta alla gestione
di quei servizi ritenuti meritori perché di interesse collettivo;
c) governance o governabilità inter-istituzionale, che va a definire regole, procedure e strumenti da attivare per facilitare l’integrazione
operativa e strategica di soggetti istituzionali che operano al servizio
della comunità di riferimento.
La funzione dell’ente locale è quindi di pianificare attività, risultati ed
effetti al fine di promuovere il progresso – in tutte le dimensioni – della collettività amministrata ed anche al fine di tutelare, trasformare, valorizzare il
territorio e le sue istituzioni per conservarne ed aumentarne il valore sia per
la generazione attuale sia per quelle future evitando situazioni perverse di
“infiltrazioni” esterne e illecite che possano “snaturare” il ruolo e le funzioni
di tali istituzioni.
Occorre, inoltre, poter contare su un efficace e pregnante sistema di
accountability che possa stimolare comportamenti di resa del conto verso
l’esterno, sia nei confronti delle altre istituzione sia nei confronti dei cittadini,
e che soprattutto sia in sintonia con il modello di governance adottato. Anche
il concetto di accoutability si presenta come termine camaleontico (Mulgan R.,
2000), ovvero variamente configurabile e coniugabile con altre espressioni
quali: responsability, responsivness (Uhr J., 1999). (17) Per lo scopo del presente lavoro l’accountability si inserisce nel rapporto di delega conferito dai
cittadini ai propri rappresentati politici per interpretare prima e soddisfare
efficacemente poi i bisogni dell’intera comunità mediante l’utilizzo e l’impiego
efficiente delle risorse pubbliche. (18) L’accountability dunque esprime il dovere
17 Sul concetto di accountability si vedano: Ricci P., 2005; Farneti F., 2004; Pezzani F., 2003;
Guthrie J. et al., 2001; Buccellato A., 1997.
18 Data l’esistenza di una delega ad amministrare, cui corrisponde, come un Giano bifronte, la coesistenza di autorità/responsabilità degli organi di governo e degli organi esecutivi
227
Azienda Pubblica 2.2010
Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
di rendere conto del proprio operato da parte di un soggetto nei confronti di
un altro soggetto allo scopo di definire responsabilmente e credibilmente le
relazioni esistenti tra programmazione – decisione – azione – controllo (Ricci
P., 2005). Quindi oltre alla delega politica, si crea tra accountor e accountee
un rapporto di fiducia da cui scaturisce l’obbligo morale e sociale di chi
amministra di rendere adeguatamente conto delle proprie azioni ai diversi
stakeholder per mantenere consenso e credibilità nei loro confronti. Non è
quindi una mera resa del conto ma è un concetto più ampio che include la
responsabilità e l’impegno morale di chi viene eletto (politicamente) a rappresentate la comunità. Per qualificare e misurare il grado di accountability
raggiunto rispetto ad un modello di governance interistituzionale notevolmente
mutato sarebbe necessario (Ricci P., 2005):
- un articolato e chiaro processo di programmazione
- una trasparente definizione delle responsabilità interne ed esterne;
- un adeguato sistema di rilevazione contabile;
- un efficace sistema interno di controllo e di valutazione;
- una periodica attività informativa sull’azione svolta;
- una significativa attività di benchmarking;
- un apprezzabile impiego della tecnologia nei processi di comunicazione.
A migliori condizioni di esistenza di tali fattori dovrebbero per tanto
corrispondere migliori processi non solo di valutazione delle azioni svolte ma
soprattutto di responsabilizzazione delle persone chiamate a svolgerle.
Graficamente potremmo rappresentare questi concetti attraverso un
ideal-tipo di “Tempio della democrazia” (vedi figura n. 5):
Figura 5 – Prototipo di una sana e corretta amministrazione
CITTADINI
ISTITUZIONI PUBBLICHE
Output
DEMOCRAZIA
BUONA
GOVERNANCE
SISTEMA DI
ACCOUNTABILITY
MANAGEMENT
BUROCRAZIA
Input
Outcome
STAKEHOLDERS
Fonte: Nostra elaborazione
sul comportamento aziendale, l’accountability è deputata a svolgere il ruolo di volano per il
mantenimento del consenso della comunità politico-amministrativa, e a garantire il necessario
coordinamento dell’azione pubblica (Pulejo, 2005).
Azienda Pubblica 2.2010
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Saggi
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
In questo modello tutte le componenti organizzative, compresa quella
politica, sono finalizzate al perseguimento di un interesse collettivo generale
che è interpretare prima e soddisfare poi le crescenti richieste della comunità
di riferimento; una società che si possa definire democratica (rispettosa dei
principi di equità, lealtà, legalità, trasparenza) poggia le sue basi su solidi
sistemi di accountability e su un adeguato modello di governance.
Contemporaneamente in questo modello, ad un graduale aumento della
cultura manageriale deve associarsi una riduzione della burocrazie. Il livello
di qualità e la buona amministrazione si misurano in termini di: grado di
soddisfazione dei cittadini, livelli di performance realizzate, outcome positivi
effettivamente prodotti.
Ciò detto le nostre proposte riguardano la possibilità di:
a) passare da un reclutamento della quantità ad un reclutamento per
merito, qualità e professionalità;
b) migliorare i meccanismi di controllo;
c) garantire la certezza della pena in caso di scarsa responsabilità e
di reati (legalità).
d) individuare standard di controllo su cui valutare l’efficacia delle azioni
realizzate;
e) creare task-force nelle fasi di previsione e programmazione degli
interventi di interesse politico.
Verificare la trasparenza dei processi di reclutamento pubblico, di affidamento delle consulenze, procedure di acquisto e affidamento degli appalti
e della gestione dei servizi pubblici diventano passaggi obbligati di una
P.A. democratica attenta ai bisogni ed alle esigenze dei propri cittadini/
utenti. È necessario se non indispensabile adottare:
1) una efficace programmazione democratica, intesa come programmazione realizzata con la partecipazione attiva delle forze politicosociali, degli enti pubblici locali e di tutti i soggetti portatori di interesse
che possono sicuramente contribuire alla definizione degli obiettivi
e delle priorità da perseguire (Ricci P., 2010);
2) un sistema di controllo di gestione nel rispetto delle competenze e
delle funzioni assegnate dal nuovo Codice delle Autonomie.
Con il concreto obiettivo di combattere il complesso e diffuso fenomeno
della corruzione, ancora una volta le Organizzazioni Internazionali sono
intervenute stipulando Convenzione Anti-Corruzione (UNCAC) contenente un
programma attuativo (vedi tabella n. 8) delle misure necessaria a prevenire
tali disfunzioni del sistema dalla P.A. (Nazioni Unite):
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Azienda Pubblica 2.2010
L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management...
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Tabella 8 – Le misure preventive previste dalla UNCAC
Settore Pubblico
Creazione organi di vigilanza
Riforma sistema retributivo del pubblico impiego
Riforma modalità accesso al pubblico impiego
Accordi di collaborazione interistituzionale
Approvazione codici di condotta per i funzionari pubblici
Approvazione legge sulle procedure di bilancio
Approvazione legge su appalti pubblici
Settore Privato
Adozione standard contabili
Promozione trasparenza e pubblicità bilanci
Fonte: adattato da Borgonovi E., Fattore G., Longo F., Management delle istituzioni pubbliche, 2009
La corruzione quindi si presenta sì come un fenomeno complesso e di
difficile delimitazione perché spazia del pubblico al privato, dalla vita
economica alla vita sociale, ma è una situazione che non può essere più
tollerata e sottaciuta. Grazie agli strumenti proposti in questo lavoro e attraverso la diffusione di una cultura della trasparenza e della responsabilità si
potrebbe davvero creare un sistema pubblico istituzionale non solo ispirato
ma realmente indirizzato verso una “sana e corretta amministrazione”,
ovvero quell’inviolabile principio della nostra Costituzione che nell’art. 97
racchiude tutti i nostri buoni propositi per combattere la corruzione ribadendo
l’imparzialità dell’azione amministrativa e l’indisponibilità delle istituzioni e
delle organizzazioni pubbliche per fini speciali o particolari.
Riferimenti bibliografici
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230
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Azienda Pubblica 2.2010
232
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
La contrattazione formale e relazionale a supporto dei processi
di esternalizzazione dei servizi pubblici locali
Mariafrancesca Sicilia
Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Analisi Istituzionale e Management Pubblico, Università Luigi Bocconi,
Milano
Sommario: 1. Introduzione. 2. Approccio formale e relazionale all’esternalizzazione dei servizi. 3. Obiettivi e metodo di
indagine. 4. L’esternalizzazione dei servizi di igiene urbana e del servizio di assistenza domiciliare per anziani. 5. La
contrattazione formale e relazionale come due meccanismi complementari. 6. Conclusioni. 7. Bibliografia.
A partire dall’inizio degli anni ‘80 si è assistito ad una rapida diffusione dei processi di esternalizzazione dei servizi pubblici. L’obiettivo del presente lavoro è investigare come gli enti locali
esercitano la loro funzione di “acquirenti” di servizi pubblici tramite meccanismi di contrattazione
formale e relazionale. Lo studio è stato condotto tramite un’analisi di casi multipli. I risultati che
emergono supportano l’idea che l’approccio formale e l’approccio relazionale alla contrattazione sono complementari, seppure esista un certo livello di varianza tra i casi, che sembra essere
giustificata da fattori legati alle caratteristiche dei servizi esternalizzati (misurabilità e programmabilità), all’interesse del fornitore a costruirsi una buona reputazione, alla natura del fornitore, alla
durata della relazione, alla distribuzione delle informazioni e delle responsabilità tra i contraenti.
Since the early Eighties the contracting out for the delivery of public services has been increasing
in different countries. The aim of this paper is to analyze how Local Authorities carry out their purchaser function through formal and relational contracting. The research is carried out by a cross
case analysis. Results show that formal and relational contracting are complementary, although a
certain degree of variance seems to emerge between the cases analyzed. The governance system
appear to be affected by public service characteristics (measurability and programmability), the
provider’s search for reputation, the nature of the provider, the length of the contractual relationship,
the distribution of information and responsibility between governments and their contractors.
Parole chiave: esternalizzazione – servizi pubblici – contrattazione formale –
contrattazione relazionale
Key words: public service outsourcing – formal contracting – relational contracting
233
Azienda Pubblica 2.2010
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Saggi
1. Introduzione
In molti Paesi, soprattutto in quelli occidentali, la gestione dei servizi pubblici
è interessata, da alcuni decenni, da ripensamenti e innovazioni (Hood 1991,
1995; Ferlie et al. 1996, OECD, 2005; West, 2005; Davis, 2007; Grossi,
Reichard, 2008; Brown, Potosky, 2003; Warner, Bel, 2008). I cambiamenti
in atto scaturiscono dalle critiche all’efficienza e all’efficacia dell’intervento diretto delle aziende pubbliche nella produzione dei servizi. A partire
dall’inizio degli anni ‘80 si è assistito ad una rapida diffusione di processi
di esternalizzazione dei servizi. Ciò ha comportato la crescente distinzione
fra responsabilità per lo svolgimento della funzione pubblica, che permane
in capo all’amministrazione pubblica, e responsabilità per l’erogazione del
servizio, che viene trasferita a soggetti esterni (Borgonovi, 2000). Osborne
e Gabler (1992) a riguardo parlano di “steering not rowing”, proprio a
sottolineare che le amministrazioni pubbliche sono chiamate a svolgere
un ruolo di governo strategico e di definizione delle politiche, liberandosi
progressivamente della gestione operativa dei servizi.
Gli studi condotti sino ad oggi sul tema hanno approfondito soprattutto
le ragioni sottese alla scelta di esternalizzare i servizi (Donahue, 1989; Savas, 1987; Sclar, 2000), evidenziandone i vantaggi (diminuzione dei costi,
incremento dell’efficienza, della qualità, della flessibilità, miglioramento delle
performance complessive, ampliamento dell’offerta) e gli svantaggi (incremento dei costi di transazione, riduzione della qualità dei servizi, perdita di
controllo sugli output). Minore attenzione è stata dedicata alle caratteristiche
dei meccanismi adottati per la gestione dell’esternalizzazione. Riguardo a
ciò, gli studiosi di contracting out hanno evidenziato la necessità di limitare
la perdita di controllo sulle attività di produzione enucleate dalla struttura
organizzativa aziendale (Milward et al. 1993) e di qualificare l’attività di
acquisto dell’azienda pubblica come “smart e prudent” (Kettl, 1993; Fossett
et al. 2000), proprio per evitare che i fornitori di servizi si comportino in
modo opportunistico.
Lo scopo del presente lavoro è investigare quale tipologia di contrattazione gli enti locali impiegano per esercitare la loro funzione di “acquirenti”
di servizi pubblici nell’ambito dei processi di esternalizzazione. A tal fine
nel paragrafo 2 è presentato il framework sviluppato da MacNeil (1978,
1985), che identifica due tipi di contrattazione: la contrattazione formale
e quella relazionale. Il metodo di analisi è approfondito nel paragrafo 3,
mentre i risultati sono presentati e discussi nei paragrafi 4 e 5. Infine il
paragrafo 6 trae alcune considerazioni conclusive.
2. Approccio formale e relazionale all’esternalizzazione dei
servizi
MacNeil (1978; 1985) individua due modelli per la gestione delle relazioni
che derivano da processi di esternalizzazione dei servizi: il modello formale
Azienda Pubblica 2.2010
234
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
e il modello relazionale. Ognuno dei suddetti modelli si basa su assunzioni differenti circa le relazioni tra i due soggetti coinvolti nello scambio.
L’approccio formale prevede una situazione di conflitto tra le controparti
con la conseguenza che la preoccupazione di chi esternalizza il servizio
(principale) diventa il contenimento dei comportamenti opportunistici (1)
dell’agente. Questo approccio si colloca nel solco della teoria dell’agenzia
(Jensen, Meckling, 1976; McAfee, McMillan, 1986): l’agente che agisce
per conto del principale non necessariamente condivide le sue stesse finalità e può utilizzare i propri margini di discrezionalità per massimizzare i
propri interessi. Tali comportamenti opportunistici derivano dall’esistenza di
asimmetrie informative (Alchian, Demsetz, 1972; Eisenhardt, 1989a; Jensen,
Meckling, 1976) e dipendono da fattori di contesto come le caratteristiche
dei servizi in termini di specificità degli investimenti e grado di misurabilità
(Williamson, 1981; Eisenhardt, 1989a).
I sostenitori dell’approccio formale suggeriscono (Wesemann, 1981;
Marlin, 1984; Savas, 1987; Kettl, 1993; Lavery, 1999; Romzek, Johnston,
2002; Hefetz, Warmer, 2004; Van Slyke, 2007) le seguenti prassi per
contenere l’emersione di comportamenti opportunistici: (i) elaborazione
di precisi e dettagliati contratti, (ii) controllo delle performance, (ii) ricorso
a meccanismi legali sanzionatori, (iv) limitazione della discrezionalità del
fornitore.
La completezza dei contratti risulta una questione dibattuta in letteratura
in merito a due dimensioni: la possibilità e l’opportunità di elaborare dei
contratti completi e gli aspetti che determinano la completezza dei contratti stessi. Per quanto riguarda il primo punto alcuni autori rilevano che
raramente è possibile riscontrare contratti completi (Bernheim, Whinston,
1998) data la razionalità limitata degli agenti economici. Con riferimento
ai contenuti, Lou (2002) individua due dimensioni rilevanti per la completezza del contratto: l’adattabilità ai cambiamenti e la specificazione dei
termini. La prima caratteristica fa riferimento alla necessità di contenere la
discrezionalità futura del fornitore definendo ex ante come agire nel caso
si dovessero presentare degli eventi la cui manifestazione non è certa. La
seconda dimensione riguarda il livello di dettaglio e precisione con cui sono
definiti i termini del contratto. In particolare, si fa riferimento alla chiara
definizione di ciò che si attende dalla controparte e delle modalità tramite
cui procedere alla valutazione delle performance realizzate (Wesemann,
1981; Marlin 1984; O’Looney, 1998; Savas, 2000; Romzek, Johnston,
2005; Brown et al., 2007). Un alto livello di specificazione risponde a due
finalità: da un lato chiarisce al soggetto chiamato a fornire il servizio le
attese circa le prestazioni da offrire, dall’altro supporta l’attività di controllo
dell’azienda pubblica (Fernandez, 2007).
Il contenuto dei contratti può essere definito in termini di obiettivi di
1 Un comportamento opportunistico si manifesta quando, nell’ambito di una relazione, un
soggetto, al fine di massimizzare il proprio interesse personale, sfrutta la vulnerabilità della
propria controparte (Williamson, 1985).
235
Azienda Pubblica 2.2010
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Saggi
performance che il fornitore deve perseguire o delle specifiche modalità
cui il fornitore deve attenersi nello svolgimento delle attività richieste. Nel
primo caso si parla di performance contracting, mentre nel secondo caso di
regulatory o conventional contracting (Donahue, 1989; Behn, Kant, 1999).
Strettamente connesso al livello di specificazione del contenuto del contratto
è il tema del controllo delle performance realizzate dal gestore del servizio
esternalizzato. Lo sviluppo di un sistema di controllo delle performance è
considerato fondamentale per il successo del contracting out. Infatti, l’assenza
di un attento e definito sistema di controllo sembra determinare un maggiore
livello di contracting back, ovvero di ritorno alla gestione diretta dei servizi
da parte delle amministrazioni pubbliche (Hefetz e Warner, 2004).
Un altro elemento critico nell’approccio formale è il ricorso a meccanismi
legali nel caso non venga ottemperato quanto previsto nel contratto. Rientrano in questa fattispecie l’applicazione di sanzioni pecuniarie e l’opportunità
di rescindere il contratto.
In contrasto, l’approccio relazionale prevede che tra le parti coinvolte
in una relazione di scambio non vi sia contrapposizione, ma allineamento
degli interessi secondo la teoria della stewardship (2) (Davis et al., 1997;
Van Slyke, 2007). Si tratta di un approccio che enfatizza la flessibilità, il
confronto e l’utilizzo di meccanismi non legali per risolvere eventuali conflitti. Esso si fonda sull’assunto che risultati migliori possono essere raggiunti
se le parti collaborano per individuare le soluzioni a eventuali problemi,
comunicano tra di loro frequentemente e rafforzano la fiducia reciproca. Le
comunicazioni frequenti e la collaborazione sono considerate un elemento
fondamentale per poter adattare l’originario contratto ai cambiamenti che
intervengono durante la gestione. La fiducia ha una connotazione sociologica, in quanto è un elemento che affonda le sue radici nelle specificità
della relazione di scambio. Essa può essere definita come la convinzione
che in una situazione a rischio un altro soggetto si comporterà in linea con
quanto atteso (Luhumann, 1979). Pertanto, la definizione di fiducia riguarda aspettative positive sul comportamento altrui (Gambetta, 1988). Dagli
studi condotti la fiducia ha effetti positivi sui processi di esternalizzazione
in quanto da una parte esercita un ruolo di deterrente rispetto a comportamenti opportunistici e dall’altra riduce i costi di transazione, ovvero i
costi legati all’implementazione di meccanismi di controllo (Arrow 1974;
MacNeil 1980; Williamson 1985; Zaheer, Venkatraman 1995; Bennett,
Ferlie 1996; Sclar 2000).
Tradizionalmente la contrattazione formale e la contrattazione relazionale sono stati considerati come meccanismi sostitutivi. Secondo questa
prospettiva l’utilizzo di uno dei due meccanismi inibirebbe l’utilità dell’altro (Larson, 1992; Gulati, 1995; Dyer, Singh, 1998; Macaulay, 1963;
Poppo, Zenger, 2002). L’esistenza di un rapporto sostitutivo tra i contratti
2 La teoria della stewardship “defines situations in which managers are not motivated by individual goals, but rather are stewards whose motives are aligned with the objectives of their
principals” (Davis et al., 1997: 21).
Azienda Pubblica 2.2010
236
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
formali e la contrattazione relazionale è da attribuire secondo alcuni autori
(Macaulay, 1963; Ghoshal, Moran, 1996; Bernheim e Whinston, 1998)
alla convinzione che il ricorso ai primi può avere degli effetti negativi sulla
nascita e lo sviluppo di atteggiamenti cooperativi. I contratti formali e i
relativi meccanismi di controllo e monitoraggio, venendo percepiti come
segnali di sfiducia, possono ostacolare comportamenti collaborativi. Macaulay (1963) evidenzia che alcune aziende non adottano consapevolmente
contratti eccessivamente dettagliati, poiché ostacolano lo sviluppo di un
rapporto cooperativo. Bernheim e Whinston (1998), invece, sottolineano
che è preferibile elaborare dei contratti quanto più possibile incompleti
qualora vi siano dei termini non ben specificabili, in modo da lasciare ad
aggiustamenti successivi la declinazione di ciò che è poco definibile ex ante.
Secondo Carson et al. (2006) la contrattazione formale e relazionale non
sono dei semplici sostituti. Dal loro studio emerge che ognuna delle due
forme è adatta a controllare fattori differenti tra quelli individuati come cause
di comportamenti opportunistici. In particolare, il contratto formale sembra
essere uno strumento più adatto nei casi ad elevata ambiguità (ovvero quando esistono difficoltà nella lettura ed interpretazione degli eventi presenti e
passati), mentre il contratto relazionale nei casi ad elevata volatilità (ovvero
di incertezza rispetto al futuro). Accanto alla letteratura che considera la
contrattazione formale e quella relazionale come sostitutivi, vi sono autori
che sostengono la loro complementarietà, poiché ritengono che l’adozione congiunta delle due logiche contrattuali sia più efficace per contenere
i comportamenti opportunistici e migliorare la performance complessiva.
Il rapporto relazionale è considerato complementare al contratto formale
in quanto capace di compensarne alcuni limiti. In particolare, il contratto
formale si caratterizza per la specificazione dei termini dello scambio e dei
meccanismi di controllo, ma non garantisce cooperazione, mutualismo e
continuità nel momento in cui sorgono conflitti (MacNeil, 1978). La contrattazione relazionale potrebbe intervenire proprio a controbilanciare questi
aspetti. Essa, da una parte, può conferire stabilità e flessibilità al rapporto
e, dall’altra, può favorire l’elaborazione di contratti più completi, facendo
leva sullo scambio e la condivisione di informazioni tra le parti (Sitkin, 1992;
Lorenz, 1999; Poppo, Zenger, 2002).
3. Obiettivi e metodo di indagine
Il processo di esternalizzazione nel nostro Paese si configura come un
fenomeno diffuso. Come dimostrano i dati di un’indagine (3) condotta dal
Dipartimento della funzione pubblica (2005) il 61% del totale degli enti
oggetto di studio entro il 2003 aveva affidato lo svolgimento di almeno
3 L’indagine è stata condotta presso un campione rappresentativo di amministrazioni pubbliche con più di 150 dipendenti. Sono state coinvolte 1.035 amministrazioni facenti parte del
livello centrale, regionale e locale.
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Azienda Pubblica 2.2010
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Saggi
un’attività ad un altro soggetto. (4) Data la rilevanza del fenomeno sembra
rilevante interrogarsi sui meccanismi utilizzati da parte delle amministrazioni
pubbliche per gestire la funzione di committenza nell’ambito dei processi
di esternalizzazione. Più in dettaglio, si intende investigare se e quando le
aziende pubbliche impiegano la contrattazione formale e quella relazionale.
L’analisi consente anche di contribuire al dibattito circa la relazione (di complementarietà o di sostituzione) tra contrattazione formale e relazionale.
Al fine di rispondere all’interrogativo di ricerca si è proceduto tramite
un’analisi di casi multipli, nella formulazione prospettata da Eisenhardt
(1989b) e Yin (1994). (5) La ricerca effettuata attraverso lo studio dei casi
agevola la connessione tra teoria ed evidenza empirica ed è indicata per
esplorare fenomeni contemporanei (Yin, 1994), realtà non troppo lontane
nel tempo che possono essere analizzate sia attraverso l’analisi documentale
sia attraverso questionari ed interviste con gli attori (Grandori, 1996).
La ricerca è stata sviluppata tramite l’analisi di tre realtà comunali. Si
è deciso di scegliere il livello locale in quanto gli enti locali appaiono le
amministrazioni più attive nell’esternalizzazione dei servizi, soprattutto di
quelli finali (Dipartimento della funzione pubblica, 2005). Per ogni comune
è stata analizzata la presenza della contrattazione formale e relazionale
per l’esternalizzazione dei servizi di igiene urbana e del servizio di assistenza domiciliare per anziani. Sono stati scelti i suddetti servizi al fine
di tenere sotto controllo alcune variabili che possono impattare, secondo
Brown e Potosky (2003), sulla possibilità di scrivere contratti dettagliati e
di controllare le prestazioni del fornitore dei servizi: il livello di misurabilità
e programmabilità. In particolare, i servizi di igiene urbana presentano un
elevato livello di programmabilità e misurabilità, mentre i servizi sociali un
basso livello. Inoltre, dall’indagine condotta dal Dipartimento della funzione
pubblica (2005) risulta che i comuni hanno esternalizzato soprattutto i servizi
di igiene e i servizi socio-assistenziali.
I comuni oggetto di studio sono stati selezionati attraverso un processo
articolato in due fasi (Patton, 2002; Flick, 2002). Innanzitutto, gli enti nel
corso del 2006-2007 dovevano avere esternalizzato sia i servizi di igiene
urbana sia il servizio di assistenza domiciliare a soggetti privati o non profit. Inoltre, al fine di neutralizzare l’impatto di alcune variabili ambientali
(Powell, 1985), sono stati scelti enti simili rispetto alla dimensione (25.000
- 40.000 abitanti) e rispetto al contesto normativo ed istituzionale (Regione
4 È da sottolineare che il concetto di esternalizzazione utilizzato nell’indagine non corrisponde a quello usato nell’ambito di questo lavoro. Infatti, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha inteso per esternalizzazione quei fenomeni che coinvolgono nella produzione dei servizi imprese private, imprese sotto controllo pubblico, altre istituzioni pubbliche, istituzioni non
profit private e anche pubbliche o sotto controllo pubblico. L’operazionalizzazione di esternalizzazione adottata nel presente lavoro non include i casi in cui il fornitore è sotto il controllo pubblico in quanto, essendoci una coincidenza tra il soggetto economico del titolare e
del fornitore dei servizi, non si configura la separazione tra funzione di produzione e titolarità (Savas, 1987; Longo, 2001; Borgonovi, 2000).
5 In questa sede lo studio dei casi è inteso come metodologia di ricerca in contrapposizione
all’utilizzo dei casi con finalità prevalentemente didattiche.
Azienda Pubblica 2.2010
238
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Lombardia). I comuni sono stati individuati a seguito di una breve indagine
effettuata tramite intervista telefonica volta ad investigare le modalità di
gestione dei servizi su cui il presente lavoro si focalizza. Le domande sono
state rivolte al responsabile dell’Ufficio Ambiente/Ecologia e al responsabile
dell’Ufficio Servizi Sociali. Alla luce delle risposte e della disponibilità ed
interesse manifestati dagli enti alla ricerca sono stati scelti tre comuni in virtù
del criterio di accessibilità dei dati (De Masi, 1885).
Per la raccolta dati si è proceduto tramite il ricorso a più fonti e metodi
al fine di realizzare la triangolazione dell’evidenza empirica e garantire la
validità interna attraverso la replicabilità dell’osservazione e dell’interpretazione (Stake, 1995). Si è fatto ricorso sia all’analisi documentale sia all’effettuazione di interviste. I documenti analizzati sono stati, oltre al contratto
di servizio e al capitolato di appalto, il regolamento del servizio, il Piano
Esecutivo di Gestione (PEG), la Relazione Previsionale e Programmatica
(RPP) ed eventuali documenti prodotti dal gestore del servizio. Le interviste
sono state condotte presso gli enti locali con il dirigente del servizio e/o
con il funzionario che gestisce il rapporto con il gestore.
Con riferimento all’approccio formale alla contrattazione sono stati
considerati i seguenti elementi:
• la specificazione dei risultati attesi (Lou, 2002) in termini di input,
output e outcome. È possibile distinguere tra performance e regulatory
contracts (Donahue, 1989; Behn, Kant, 1999). I primi dettagliano
gli output e gli outcome attesi, mentre i secondi gli input e i processi,
in linea con un approccio più burocratico (Borgonovi, 2000);
• il ricorso a meccanismi legali qualora non venga ottemperato quanto
previsto nel contratto. Si è considerato se gli enti hanno applicato
penali o fatto ricorso ad arbitrati per risolvere conflitti con i fornitori
(Jensen, Meckling, 1976; Dias, Maynard-Moody, 2007);
• il sistema di monitoraggio delle performance. A riguardo è stata considerata la tipologia di informazioni raccolte (input, output, outcome,
processi, costi, accuratezza delle fatture, lamentele dei cittadini);
• l’ampiezza della discrezionalità lasciata al gestore dei servizi. A tal
fine si è considerato se nel contratto sono identificati in modo esplicito i
destinatari dei servizi e se sono esplicitati i comportamenti da adottare
nel caso dovessero cambiare i fattori di contesto (Lou, 2002).
Per quanto, invece, attiene alla contrattazione relazionale sono stati
indagati i seguenti aspetti:
• la presenza di comunicazioni frequenti tra il comune e il fornitore dei
servizi per lo scambio di informazioni tramite incontri, telefonate ed
e-mail;
• la collaborazione tra le parti nell’individuazione dei problemi e nella
risoluzione degli stessi;
• la presenza di un sentimento di fiducia da parte dell’ente nei confronti
del gestore.
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Azienda Pubblica 2.2010
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Saggi
4. L’esternalizzazione dei servizi di igiene urbana e del servizio
di assistenza domiciliare per anziani
In questa sezione sono presentati i risultati emersi dallo studio prima con
riferimento ai servizi di igiene urbana e poi al servizio di assistenza domiciliare per anziani. I comuni analizzati sono indicati con i seguenti nomi:
Comune di B., Comune di S. e Comune di P.
L’esternalizzazione dei servizi di igiene urbana
Il Comune di S. e il Comune di P. hanno affidato la gestione del servizio a
società private, mentre il Comune di B. ad una società il cui capitale è di
proprietà di un comune limitrofo (tabella 1). Tutti i comuni hanno adottato,
come previsto dalla normativa, un contratto di servizio che definisce i servizi
attesi in termini di input, processi e output. Il Comune di S. e il Comune di
P. definiscono nel contratto anche gli outcome intermedi attesi in termini di
percentuale di raccolta differenziata che si propongono di raggiungere. I
contratti prevedono delle sanzioni nel caso il fornitore non adempia alle
previsioni in esso contenute, mentre non sono contemplati premi qualora
siano raggiunte le performance attese. Le sanzioni non sono impiegate dal
Comune di S., neppure qualora il gestore non adempia in pieno gli impegni
contrattuali: “Noi non applichiamo le sanzioni per non irrigidire il rapporto
con il fornitore”, afferma il referente per i servizi di igiene urbana. Si tratta,
quindi, di una scelta consapevole per evitare di ridurre gli spazi di collaborazione che si sono creati nel corso del tempo con il fornitore.
Tutti i comuni effettuano controlli formali sulle fatture ricevute per verificare che vi sia corrispondenza tra quanto richiesto in termini monetari e la
quantità di rifiuti raccolti. Settimanalmente sono effettuati controlli ispettivi
sul territorio da parte di personale comunale dedicato. Un’altra forma di
controllo è rappresentata dalla raccolta delle lamentele dei cittadini in merito
ai servizi erogati. A riguardo esistono dei comportamenti diversi tra i comuni.
Infatti, il Comune di S. raccoglie direttamente le lamentele dei cittadini e in
base ad esse contatta il fornitore perché ponga rimedio a situazioni non in
linea con quanto previsto nel contratto. Il Comune di P. e il Comune di B.
hanno attribuito al gestore dei servizi il compito di raccogliere le lamentele.
In entrambi i casi le società di igiene urbana hanno attivato dei numeri verdi
ad hoc. Tuttavia, il Comune di P. richiede alla controparte di produrre una
reportistica indicante l’elenco delle telefonate ricevute e il relativo contenuto,
al fine di tenere monitorate le indicazioni provenienti dai cittadini, in quanto
ritenute molto importanti per verificare la qualità delle prestazioni offerte
dal gestore dei servizi. Si evidenzia in tutti i casi la mancanza di analisi di
customer satisfaction strutturate.
La relazione con il fornitore dei servizi, seppure con diverse sfumature
tra i casi studiati, prevede anche degli elementi che ricadono nell’approccio
Azienda Pubblica 2.2010
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Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
relazionale. Innanzitutto, è da evidenziare che quotidianamente intercorrono
delle comunicazioni tra i comuni e le imprese che forniscono i servizi di
igiene urbana (“Si fanno dalle 10 alle 15 telefonate al giorno” afferma il
referente del Comune di P.). Le comunicazioni sono in gran parte stimolate
dalle segnalazioni dei cittadini e dall’attività di monitoraggio effettuata
dagli ispettori comunali sul territorio. Quest’ultima è volta a richiedere al
gestore di conformarsi a quanto previsto nel contratto. Tutti i comuni hanno
evidenziato che per far valere le loro richieste nei confronti del gestore è
importante avere un contratto dettagliato che espliciti i risultati attesi. Inoltre,
la comunicazione è il modo tramite cui “riempire” le maglie del contratto
laddove esso prevede che il comune possa richiedere l’erogazione di servizi
aggiuntivi dietro pagamento di un certo corrispettivo. Seppure da entrambe
le parti si ponga molta attenzione alla definizione dei costi aggiuntivi correlati a modifiche contrattuali, i gestori si mostrano abbastanza disponibili
a soddisfare le richieste comunali. Essi non richiedono a volte il pagamento
di un corrispettivo per gli interventi sporadici non contemplati nel contratto
(Comune di B. e S.). Tuttavia, mentre nel Comune di P. e S. al gestore sono
fatte richieste specifiche, nel caso del Comune di B. il gestore ha un ruolo
attivo nel definire il servizio. I referenti del Comune di S. e di P. riconducono
la disponibilità del gestore alla necessità di quest’ultimo di costruire e preservare una buona reputazione da poter spendere nei confronti dei comuni
limitrofi. Infatti, il referente dei servizi di igiene urbana del Comune di S.
afferma “Il comune è spesso chiamato in causa dai comuni della zona in
cui il fornitore partecipa alle gare di appalto per esprime un giudizio sulla
affidabilità e qualità dei servizi”. La contrattazione relazionale più intensa
si riscontra nel Comune di B, dove la collaborazione tra le controparti è
volta sia a risolvere situazioni contingenti sia a definire le caratteristiche del
servizio erogato. Ciò potrebbe essere spiegato in parte dalla natura del
fornitore, che, in quanto pubblico, è ritenuto “più affidabile rispetto ad un
fornitore privato”, come evidenzia il responsabile comunale del servizio, in
parte dal fatto che uno dei meccanismi di controllo, ovvero la raccolta delle
lamentele, è delegato. Avendo attribuito al gestore questa prerogativa e non
richiedendo una reportistica ad hoc, il gestore rappresenta il soggetto che
meglio conosce gli aspetti del servizio percepiti dai cittadini come critici e,
quindi, rappresenta un interlocutore fondamentale per il comune. In questo
caso sussiste il rischio che, se non adeguatamente gestito, il fornitore si
sostituisca al comune nello svolgimento della funzione di committenza.
241
Azienda Pubblica 2.2010
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Tabella 1 – I meccanismi della contrattazione formale e relazionale nell’ambito dei servizi di igiene
urbana
Comune di S.
Comune di P.
Comune di B.
Meccanismi di contrattazione formale
Specificazione
dei risultati attesi
- output con indicatori e
relativi target (correlati alla
frequenza delle diverse
tipologie di raccolta)
- outcome
intermedio(percentuale di
raccolta differenziata)
- output con indicatori
e relativi target (correlati
alla frequenza delle diverse
tipologie di raccolta)
- outcome intermedi (percentuale di raccolta differenziata
per tipologia di rifiuto)
Ricorso
a meccanismi
legali
le sanzioni non sono applicate come conseguenza di una
specifica scelta
le sanzioni sono applicate
“Non vogliamo irrigidire la
relazione con il fornitore”
Sistema
di monitoraggio
delle performance
- ispezioni sul territorio
- raccolta delle lamentele
- controllo delle fatture
- ispezioni sul territorio
- report sulle lamentele elabo- - ispezioni sul territorio
rato dal gestore del servizio - controllo delle fatture
- controllo della fatture
Discrezionalità
lasciata al gestore
dei servizi
il contratto non fa esplicito
riferimento alle azioni da
intraprendere in situazioni
particolari
il contratto non fa esplicito
riferimento alle azioni
da intraprendere
in situazioni particolari
il contratto non fa esplicito
riferimento alle azioni
da intraprendere
in situazioni particolari
- input (il numero di addetti
per specifiche attività)
- output con indicatori
e relativi target (correlati
alla frequenza delle diverse
tipologie diraccolta)
le sanzioni sono applicate
Meccanismi di contrattazione relazionale
Comunicazioni
le comunicazioni
sono frequenti
le comunicazioni
sono frequenti
le comunicazioni
sono frequenti
Collaborazione
le parti a volte cooperano
per risolvere situazioni
non previste nel contratto
le parti a volte cooperano
per risolvere situazioni
non previste nel contratto
le parti cooperano
per giungere ad una migliore
lettura dei bisogni locali
Fiducia
non esiste fiducia
nella controparte
non esiste fiducia
nella controparte
non esiste fiducia
nella controparte
L’esternalizzazione del servizio di assistenza domiciliare per anziani
In tutti i casi analizzati il servizio di assistenza domiciliare per anziani è
stato esternalizzato a cooperative, seppure sia rimasta in capo ai comuni
la responsabilità di selezionare, tra gli anziani che ne fanno domanda, gli
utenti del servizio (tabella 2). I comuni preferiscono agire direttamente nella
scelta degli anziani da assistere piuttosto che esplicitare dei criteri guida
per la cooperativa. Gli anziani bisognosi di assistenza presentano domanda direttamente all’ufficio servizi sociali del comune, che tramite proprie
assistenti sociali provvede a valutare il fabbisogno dei singoli anziani e a
predisporre una scheda individualizzata indicante le specifiche attività di
assistenza che l’anziano ha diritto di ricevere. La scheda individualizzata è
il frutto del lavoro congiunto delle assistenti sociali del comune con le operatrici della cooperativa sociale. Inoltre, sono previsti continui contatti con
la cooperativa sia telefonici sia tramite incontri. La frequenza degli incontri
Azienda Pubblica 2.2010
242
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
varia tra comuni: sono settimanali nel Comune di P. e quindicinali negli altri
due. In questi incontri si discutono gli aspetti organizzativi del servizio (ad
esempio il calendario con i turni degli operatori) e lo stato degli assistiti ed
eventuali aspetti critici. Le schede individualizzate, insieme con gli incontri
tra assistenti sociali comunali e operatori della cooperativa, rappresentano
gli strumenti tramite cui sono dettagliati i contenuti del contratto di servizio.
Nelle schede si trova l’esplicitazione delle ore di assistenza che la cooperativa deve erogare, mentre sono vaghi gli obiettivi di outcome. Essi non sono
mai corredati da opportuni indicatori. È possibile rintracciare nei contratti
una certa attenzione alle competenze degli operatori che si recano presso
gli anziani. Sono richiesti, infatti, il possesso di alcuni requisiti formali
(attestati, corsi, ecc.).
Sempre nel contratto si trovano indicazioni sulle sanzioni da adottare
qualora gli impegni non vengano rispettati. Il Comune di S. non ha mai
applicato sanzioni “perché la cooperativa lavora bene” ha commentato il
dirigente dei servizi sociali. Anche il Comune di B. non applica sanzioni,
ma il dirigente ha affermato “Non applichiamo le sanzioni perché il contratto è poco specifico. È difficile sanzionare su elementi che non sono stati
dettagliati ex-ante”.
Tutti i comuni controllano il gestore del servizio tramite il foglio firme,
che attesta le ore di assistenza prestate. Si tratta di un controllo finalizzato
a verificare la corrispondenza tra le cifre fatturate e le ore effettivamente
prestate. Nel Comune di P. vengono anche effettuate delle telefonate agli
utenti per controllare che nelle ore previste l’operatore si trovi presso il loro
domicilio. Accanto a questi controlli di natura più burocratica, in quanto
finalizzati a verificare solo l’adempimento formale di quanto richiesto, sono
previste delle visite da parte delle assistenti sociali del comune agli anziani
beneficiari del servizio per tenere monitorate le loro condizioni. È da notare
che per questo servizio non è applicabile il controllo basato sulla raccolta
dei reclami degli utenti: “Si tratta di utenti che anche per le loro condizioni
psico-fisiche non sono inclini a lamentarsi del servizio” ha evidenziato la
responsabile dei servizi sociali del Comune di P.
243
Azienda Pubblica 2.2010
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Tabella 2 – I meccanismi della contrattazione formale e relazionale nell’ambito del servizio di assistenza domiciliare
Comune di S.
Comune di P.
Comune di B.
- quantificazione delle ore
di assistenza acquistate
- outcome non corredati
da indicatori e standard
(ad esempio: procrastinare
il ricorso alle strutture residenziali; facilitare le dimissioni
protette da ospedali
o da altre strutture
in un continuum assistenziale
da proseguire al domicilio)
- quantificazione delle ore
di assistenza acquistate
- outcome non corredati
da indicatori e standard
(ad esempio: sostegno
delle dimissioni
da ospedali e da istituti;
riduzione del ricorso alle
strutture residenziali qualora
non sia indispensabile)
Meccanismi di contrattazione formale
Specificazione
dei risultati attesi
- quantificazione delle ore
di assistenza acquistate
- outcome non corredati
da indicatori e standard
(ad esempio: recupero
da parte del singolo
individuo della propria
autonomia al fine
di consentire la permanenza
nel proprio ambiente di vita)
Ricorso
a meccanismi
legali
le sanzioni non sono applicate perché “La cooperativa
le sanzioni sono applicate
lavora bene”
Sistema
di monitoraggio
delle performance
- ispezioni presso il domicilio
dell’utente
- foglio firme
- controllo delle fatture
- ispezioni presso il domicilio
dell’utente
- foglio firme
- telefonate al domicilio
dell’utente
- controllo delle fatture
- ispezioni presso il domicilio
dell’utente
- foglio firme
- controllo delle fatture
Discrezionalità
lasciata al gestore
dei servizi
il contratto non fa esplicito
riferimento alle azioni
da intraprendere
in situazioni particolari
il contratto non fa esplicito
riferimento alle azioni
da intraprendere
in situazioni particolari
il contratto non fa esplicito
riferimento alle azioni
da intraprendere
in situazioni particolari
le comunicazioni
sono frequenti.
Sono previsti anche incontri
settimanali formalizzati
le comunicazioni
sono frequenti.
Sono previsti anche incontri
quindicinali formalizzati
le sanzioni non sono applicate
“Il contratto è poco specifico.
È difficile sanzionare su
elementi che nono sono stati
dettagliati ex ante”.
Meccanismi di contrattazione relazionale
Comunicazioni
le comunicazioni
sono frequenti.
Sono previsti anche incontri
quindicinali formalizzati
Collaborazione
le parti cooperano
le parti cooperano
le parti cooperano
per giungere ad una migliore per giungere ad una migliore per giungere ad una migliore
lettura dei bisogni locali
lettura dei bisogni locali
lettura dei bisogni locali
Fiducia
non esiste fiducia
nella controparte
non esiste fiducia
nella controparte
non esiste fiducia
nella controparte
5. La contrattazione formale e relazionale come due meccanismi complementari
L’analisi empirica mostra che la funzione di acquirente nei processi di esternalizzazione è svolta tramite meccanismi propri sia dell’approccio formale
sia dell’approccio relazionale. I due approcci non sembrano essere tra di
loro sostitutivi, come hanno evidenziato alcuni autori (Larson, 1992; Gulati,
1995; Dyer, Singh, 1998; Macaulay, 1963; Poppo, Zenger, 2002), ma
complementari, seppure con alcune differenze (figura 1).
Azienda Pubblica 2.2010
244
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Figura 1 – La contrattazione formale e relazionale per il servizio di igiene urbana e assistenza
domiciliare per anziani
Contrattazione
relazionale
Alto
Medio
Contrattazione
formale
Basso
Alto
Comune S
Igiene urbana
Comune P
Basso
Comune S
Comune P
Comune B
Comune B
Assistenza domiciliare
per gli anziani
Medio
Comune S
Comune S
Comune P
Comune P
Comune B
Comune B
La contrattazione formale rappresenta il meccanismo utilizzato principalmente nella fase di definizione ex-ante dei termini dello scambio. Tuttavia,
si riscontra che il livello di dettaglio del contratto risulta essere maggiore
per i servizi di igiene urbana, per il quali sono individuati indicatori e standard sia in termini di input/processi sia di output e outcome. I contratti del
servizio di assistenza agli anziani risultano più generici, specialmente per
quanto riguarda gli outcome che sono enunciati prevalentemente in modo
descrittivo. Ciò sembra essere riconducibile alla diversa misurabilità dei
due servizi. Infatti, i servizi di igiene urbana sono identificati in letteratura
(Brown, Potoski, 2003) come più misurabili rispetto al servizio di assistenza
domiciliare, in quanto è più semplice identificare un set di indicatori che
consentono di verificare la qualità e la quantità delle prestazioni erogate.
La presenza di un contratto dettagliato è individuata dagli operatori comunali come un elemento che favorisce la loro attività di controllo e facilita il
rapporto con la controparte in quanto delimita i ruoli e le aspettative.
In generale, i contratti si presentano prevalentemente come performance
contract piuttosto che regulatory contract, in linea con le richieste del New
Public Management, che enfatizza la misurazione delle performance e il
controllo dei risultati.
La contrattazione relazionale si connota come meccanismo per meglio
specificare quanto scritto nel contratto di servizio e nel capitolato d’appalto.
È attraverso la comunicazione e la collaborazione che i comuni riescono ad
adattare il contratto alle contingenze emergenti. Il livello di contrattazione
informale presenta delle differenze tra i casi analizzati. In alcuni casi si
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Azienda Pubblica 2.2010
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Saggi
declina solo in termini di comunicazione tra le parti (vedi servizi di igiene urbana nel Comune di S. e di P.), mentre in altri come vera e propria
collaborazione, seppure nessuno degli intervistati abbia parlato di nutrire
fiducia nei confronti del fornitore. Appare che la relazione con i fornitori
dei servizi sia interpretata dai comuni secondo la prospettiva propria della
teoria di agenzia e, quindi, come caratterizzata dalla contrapposizione di
interessi. Ciò non impedisce lo sviluppo della comunicazione e di alcune
forme di collaborazione in quanto ritenute necessarie per rendere flessibile
il rapporto di contracting out. Assumendo la prospettiva dei fornitori dei
servizi, si osserva che essi si mostrano disponibili a scambiare informazioni
e a venire incontro anche a quelle richieste dei comuni che si discostano dal
contratto perché interessati a crearsi una buona reputazione da spendere
nelle procedure di aggiudicazione del servizio in comuni limitrofi (Comune
di S. e Comune di P.).
L’approccio relazionale alla contrattazione sembra rispondere a differenti
fabbisogni. Innanzitutto, la contrattazione relazionale è utilizzata per procedere alla declinazione ex post di quelle situazioni che si configurano come
poco prevedibili. Ciò è tanto più vero per il servizio di assistenza domiciliare
in quanto caratterizzato da minore programmabilità. Infatti, dai casi analizzati, si evince che la contrattazione informale risulta più strutturata per il
servizio di assistenza domiciliare con la previsione di incontri sistematici tra
comune e cooperativa, finalizzati alla specificazione delle quantità e della
tipologia di interventi da destinare ad ogni utente. Al momento della messa
a gara del servizio si quantifica solo l’ammontare complessivo delle ore di
assistenza acquistate, lasciando ad un secondo momento la destinazione
delle stesse a dati utenti in funzione del loro fabbisogno di assistenza.
La contrattazione relazionale sembra configurarsi anche come lo strumento tramite cui gestire situazioni in cui le informazioni sul servizio e su
come esso è percepito dagli utenti sono possedute principalmente da parte
del fornitore. Infatti, quando è il fornitore ad avere queste informazioni – in
quanto è il soggetto a cui è stato affidato l’onere di raccogliere i reclami
(servizi di igiene urbana nel Comune di B.) o in quanto ha relazioni dirette
e frequenti con gli utenti come nel contracting out dei servizi di assistenza domiciliare – si osserva un suo maggior coinvolgimento nei processi
decisionali del comune e lo sviluppo di forme di collaborazione. Il rischio
emergente in questa fattispecie è che il comune trasli inconsciamente sul
fornitore l’esercizio della funzione di committenza (Stewart, 1993).
L’approccio relazionale non sembra essere inficiato dall’impiego di
sanzioni da parte del comune qualora il fornitore non ottemperi a quanto
previsto nel contratto. Nei casi in cui le sanzioni vengono applicate (servizi di igiene urbana del Comune di B. e di P. e assistenza domiciliare
del Comune di S.) le relazioni tra le parti sono comunque sviluppate (vedi
figura 1). Di conseguenza, l’applicazione puntuale delle sanzioni non è
controproducente per il rapporto con la controparte in quanto non determina
necessariamente un irrigidimento sulle posizioni individuali e non inibisce
Azienda Pubblica 2.2010
246
Saggi
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
la flessibilità e la collaborazione. Per evitare che emergano conflitti tra le
parti quando si applicano le sanzioni è rilevante definire nel contratto le
situazioni in cui si può provvedere a sanzionare il fornitore, come enfatizza
il responsabile dei servizi sociali del Comune di B. Ciò sembra essere in
linea con i risultati della ricerca svolta da Fernandez (2007), secondo cui
le esperienze di contracting out di maggior successo si caratterizzano per
essere gestite in modo flessibile e cooperativo, senza, tuttavia, rinunciare
ai meccanismi sanzionatori.
Inoltre, se delimitiamo l’analisi ai casi di esternalizzazione del servizio
di igiene urbana al fine di neutralizzare l’effetto delle caratteristiche del
servizio (misurabilità e programmabilità) sul tipo di contrattazione impiegata, risulta che il livello di contrattazione relazionale è influenzato anche
dalla natura del fornitore e dalla durata della relazionale con il medesimo
fornitore. Nel Comune di B. la contrattazione relazionale più intensa rispetto
agli altri comuni è spiegata dal referente comunale del servizio come conseguenza della natura pubblica del fornitore, che è ritenuto più affidabile
di un fornitore con soggetto economico privato, perché meno incline a
comportamenti opportunisti e più propenso ad atteggiamenti cooperativi
(Brown, Potosky, 2003). Il livello medio-alto della contrattazione relazionale
nel Comune di S sembra suggerire che interfacciarsi nel tempo con lo stesso
fornitore favorisce la conoscenza reciproca e lo sviluppo di una maggiore
contrattazione relazionale.
6. Conclusioni
Il presente lavoro si è posto l’obiettivo di investigare i meccanismi utilizzati
dai comuni per svolgere la loro attività di committenza nei confronti di
soggetti terzi cui hanno esternalizzato i servizi di igiene urbana e di assistenza domiciliare agli anziani. Più in dettaglio, si è proceduto ad indagare
se e quando gli enti locali impiegano la contrattazione formale e quella
relazionale.
Dall’analisi effettuata è possibile trarre delle considerazioni sia di natura
teorica sia manageriale.
I risultati che emergono dalle interviste condotte supportano l’idea che
l’approccio formale e l’approccio relazionale alla contrattazione sono
complementari, seppure con differenze, che sembrano dipendere da fattori
legati alle caratteristiche dei servizi analizzati (misurabilità e programmabilità), all’interesse del fornitore a costruirsi una buona reputazione, alla
natura del fornitore, alla durata della relazione e alla distribuzione delle
informazioni e delle responsabilità tra i contraenti. Trattandosi di uno studio
di casi non è possibile giungere a delle conclusioni con valore generale. I
risultati emergenti possono rappresentare una base per lo sviluppo di alcune
ipotesi di ricerca da verificare tramite un’indagine quantitativa.
Da un punto di vista manageriale emerge che i comuni per esercitare il
loro ruolo di committenti dei servizi utilizzano un approccio prevalentemente
247
Azienda Pubblica 2.2010
La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione
Saggi
formale, ma impiegano anche strumenti tipici dei meccanismi relazionali per
seguire l’evoluzione dinamica del rapporto. Il solo contratto non si configura come adatto a orientare il comportamento del fornitore verso le azioni
necessarie per rispondere alle mutevoli condizioni ambientali. È preferibile
prevedere dei meccanismi che consentano di esercitare la committenza
pubblica in maniera dinamica ed evoluta. La contrattazione relazionale è
un mezzo tramite cui si riesce a meglio specificare il quadro delineato con
il contratto di servizio. Essa, basandosi sullo scambio di informazioni e
sulla collaborazione, consente di ridurre il rischio di ingabbiare la gestione entro vincoli che non necessariamente sono consoni al raggiungimento
degli obiettivi. La contrattazione relazionale dovrebbe essere adottata non
nella prospettiva di sostituzione dei meccanismi formali di controllo delle
attività esternalizzate, ma come meccanismo per sfruttare il know how del
fornitore del servizio nell’ottica del miglioramento e dell’innovazione degli
elementi critici dei servizi.
D’altronde la contrattazione relazionale presenta delle debolezze: proprio perché non si basa su documenti formali potrebbe configurarsi poco
trasparente e potrebbe determinare comportamenti collusivi tra le parti.
Pertanto, le due forme di contrattazione devono agire insieme. Guardando
alla contrattazione formale e relazionale come ai due poli di un continuum,
la soluzione ideale sembra essere la collocazione della governance dell’esternalizzazione in un punto intermedio. Questa soluzione, infatti, dovrebbe
consentire una gestione dinamica del contracting out di un servizio, evitando
che le previsioni contrattuali, che non sono in grado da sole di sostenere lo
scambio in itinere, siano considerate l’unico punto di riferimento. L’equilibrio
tra elementi della contrattazione formale ed elementi della contrattazione
relazionale dovrebbe essere dinamico in funzione del contesto di riferimento
(ad esempio in funzione delle caratteristiche del servizio), ma comunque
tale da consentire di massimizzare il valore dell’esternalizzazione per tutti
i soggetti coinvolti: ente locale, fornitore del sevizio e cittadini.
Infine, i risultati della ricerca suggeriscono implicazioni in termini di
formazione per coloro che si occupano di gestire le relazioni con i gestori
dei servizi pubblici esternalizzati. Essi hanno bisogno di formazione volta
a fornire le conoscenze sia per scrivere contratti puntuali e controllare le
performance dei fornitori sia per meglio gestire gli strumenti propri dell’approccio relazionale. Ciò affinché siano in grado di combinare strumenti
formali e relazionali al fine di catturarne i vantaggi per la produzione di
valore pubblico.
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Azienda Pubblica 2.2010
252
Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche. La progettazione del
modello bottom-up
Nunzio Angiola
Professore ordinario di Economia aziendale nell’Università di Foggia
Roberto Marino
Dottorando di ricerca in Scienze dell’economia e della gestione aziendale nell’Università di Foggia
Sommario: 1. Introduzione. 2. Review della letteratura e scopi della ricerca. 3. La progettazione: precisazioni in merito
a finalità, oggetto e strumenti del modello bottom-up. 4. Sintesi e conclusioni.
Il presente contributo invita ad una riflessione sul modello di valutazione del personale dirigenziale “dal basso verso l’alto” (bottom-up model), che coinvolge nel processo di valutazione delle
prestazioni dei dirigenti i loro collaboratori, ossia i dirigenti sott’ordinati se esistenti e il personale
di comparto.
Il lavoro si sofferma, in particolare, sul processo di progettazione del modello – attraverso l’analisi
delle finalità, dell’oggetto e degli strumenti – nel tentativo di colmare una lacuna delle ricerche
in materia di misurazione e valutazione delle performance nelle amministrazioni pubbliche.
This paper aims at analysing a model of public sector managers evaluation, according to the bottom-up
approach. The bottom-up model emphasizes the contribution that subordinates of the managers – other
managers if existing and the not executive personnel – can offer in the evaluation process.
Particularly, this paper focuses on the planning process of the bottom-up model – through the analysis
of the aims, of the object and of the tools – in attempting to fill a gap in the researches about the
measurement and the evaluation of the public administrations performance.
* Il presente lavoro è frutto dell’impegno comune degli autori che ne condividono appieno le responsabilità. Ai fini di una
ripartizione del lavoro, i paragrafi 1 e 4 sono attribuibili a Nunzio Angiola e i paragrafi 2 e 3 a Roberto Marino.
Parole chiave: valutazione dei dirigenti – modello bottom-up –
misurazione e valutazione delle performance
Key words: managers evaluation – bottom-up model –
measurement and evaluation of performance
253
Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
1. Introduzione
La valutazione del personale con incarico dirigenziale nelle amministrazioni
pubbliche costituisce uno dei controlli interni introdotti nel nostro ordinamento
con il d.lgs. 286/1999. (1)
Nell’impianto normativo risalente al 1999, la valutazione dei dirigenti si
fonda sui principi di seguito richiamati (d.lgs. 286/1999, art. 5; Paoloni,
Grandis, 2007: pp. 560-561):
1. occorre polarizzare l’attenzione su due componenti: le prestazioni
dei dirigenti, da un lato, e le loro competenze organizzative (spesso
si parla di comportamenti organizzativi), dall’altro. Le prime sono
correlate al grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati, le
seconde fanno riferimento invece alle “caratteristiche individuali di
un dirigente (conoscenze, capacità, valori, motivazioni) che, contrassegnandone lo stile di direzione, determinano in misura decisiva
l’andamento di un ufficio” (Pastorello et al., 2004: p. 86);
2. la valutazione deve avere cadenza annuale e fa affidamento – in
particolare per quanto attiene alle prestazioni – sulle conclusioni
raggiunte dal “controllo di gestione” che, pertanto, assume un ruolo
nevralgico ai fini della valutazione di cui si discute;
3. il decreto precisa che “il procedimento per la valutazione è ispirato
ai principi della diretta conoscenza dell’attività del valutato da parte
dell’organo proponente o valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica della valutazione da parte dell’organo competente
o valutatore di seconda istanza”;
4. la partecipazione al procedimento del dirigente valutato. Questa
previsione assolve ad una duplice finalità: da un lato, consente al
soggetto interessato di sottoporre eventuali osservazioni o rilievi a
conclusione del “ciclo generale” della valutazione (ossia a seguito
della formulazione del giudizio finale), ma anche in itinere, mentre
il processo si svolge; dall’altro, crea i migliori presupposti affinché
si instauri un clima di collaborazione e di fiducia, condicio sine qua
non, vincolo irrinunciabile per la riuscita di qualsiasi iniziativa in
materia di valutazione della dirigenza.
Se si focalizza l’attenzione sui soggetti coinvolti nel processo di valutazione, rileviamo che essi possono essere generalmente individuati nel dirigente
sovraordinato e nel Nucleo di valutazione. Il primo ha conoscenza diretta
del dirigente e assume il ruolo di soggetto proponente la valutazione o valutatore di prima istanza; il secondo di norma si fa carico della valutazione
1 Più precisamente, il decreto, che dispone il “riordino e il potenziamento dei meccanismi e
strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”, prevede quattro tipologie di controllo interno: il controllo
di regolarità amministrativa e contabile (c.d. controllo “burocratico”), il controllo di gestione,
la valutazione dei dirigenti e il controllo strategico (cc.dd. controlli “manageriali”).
Azienda Pubblica 2.2010
254
Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
finale, fungendo da valutatore di seconda istanza.
Pertanto, alla luce delle previsioni contenute nel decreto 286, l’intero
processo valutativo soggiace ad una logica top-down, dal momento che la
valutazione è essenzialmente collegata al giudizio espresso dal dirigente
sovraordinato. Si rammenta, infatti, che al Nucleo competono funzioni
di verifica o di approvazione dei giudizi espressi dal valutatore di prima
istanza.
Sebbene la metodologia valutativa testé descritta sia ampiamente diffusa
tra le aziende del comparto pubblico, non possiamo esimerci dal rilevare
che un approccio alla valutazione che si fondi essenzialmente sul parere
del dirigente sovraordinato è destinato, non di rado, a non intercettare
importanti driver del processo di creazione del valore pubblico. (2)
È questo il motivo per cui si va diffondendo la convinzione che la performance di un dirigente debba essere riguardata da diverse angolature. Il
superiore gerarchico, i colleghi (peers), i collaboratori del dirigente e – in
alcuni casi – i clienti/utenti possono offrire un contributo rilevante nell’ambito del processo valutativo. L’obiettivo è quello di fornire al soggetto cui è
demandata la responsabilità di formulare il giudizio finale un ampio spettro
di informazioni di diversa provenienza.
Va da sé che il modello di valutazione “multi-dimensionale” è utile – per
le informazioni che è in grado di fornire – anche e soprattutto al dirigente,
che potrà disporre di maggiori elementi per poter costantemente migliorare
la sua performance. Il dirigente viene, in altri termini, messo nella condizione
di avere “una visione globale (a 360 gradi) delle percezioni di altri soggetti
in merito alla sua prestazione di lavoro” (Mundell, 2001: p. 29). (3)
È appena il caso di notare che tali riflessioni sembrano trovare riscontro nei recenti provvedimenti legislativi che, direttamente o indirettamente,
impattano sulla valutazione della dirigenza. Ci si riferisce, in particolare,
alla legge-delega 15/2009 e al successivo d.lgs. 150/2009 di attuazione
(c.d. “Decreto Brunetta”) che introducono importanti elementi di novità “in
materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza
e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”.
Analizzando il contenuto dei provvedimenti richiamati, si fa osservare
che la legge 15 assegna al Governo il compito di “riordinare gli organismi che svolgono funzioni di controllo e valutazione del personale delle
2 Per approfondimenti sulla nozione di valore pubblico, si vedano: Hatry (2006: capp. 1-2);
Moore (2003: p. 83); Poister (2003: capp. 3-8); Pollitt (2003: pp. 112-126). Per la letteratura
italiana, si rinvia, tra gli altri, ai seguenti lavori: Anselmi (2003: pp. 8-12); Borgonovi (2004:
pp. 122-127); Del Vecchio (2001: pp. 76-87); Farneti (1995: pp. 7-15); Meneguzzo (2005: pp.
714); Mulazzani (2001: pp. 24-29, 49-55); Paletta (1999: p. 106); Rebora (1999a: p. 15-73);
Rebora (1999b: p. 25); Valotti (2005: p. 129-133); Zangrandi (1994: p. 245-246).
3 Il Comune di Ravenna ha sperimentato, tra i primi enti locali in Italia, un modello di valutazione della dirigenza “multi-dimensionale”. Tale modello – introdotto sin dal 1999 – collega
la formulazione del giudizio finale sulla performance manageriale sia alle percezioni del dirigente sovraordinato sia a quelle del dirigente valutato (c.d. autovalutazione) e dei suoi diretti collaboratori (di 8° e 7° livello; oggi si parla di categoria D). Per una approfondita disamina delle caratteristiche del sistema di valutazione del Comune di Ravenna si rimanda a Della
Rocca, Randi (2001) e Randi (2004).
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Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
amministrazioni pubbliche” (art. 4, comma 2, lett. e). Il decreto 150 abroga
l’art. 5 del d.lgs. 286/1999 (4) in precedenza citato e dà attuazione alla
delega affidando il processo di misurazione e valutazione della performance
– organizzativa e individuale – delle amministrazioni pubbliche a quattro
soggetti chiaramente definiti (art. 12): 1) la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CiVIT), 2)
gli Organismi indipendenti di valutazione (OIV), 3) l’organo di indirizzo
politico e amministrativo di ciascuna amministrazione, nonché 4) i dirigenti
di ciascuna amministrazione.
Inoltre, stando al decreto, gli Organismi indipendenti di valutazione
devono potersi avvalere – ai fini dell’espletamento dei loro compiti – anche
del giudizio formulato dai collaboratori del dirigente. A tal riguardo, l’art.
14, comma 5, del d.lgs. 150 così recita: “L’Organismo indipendente di
valutazione della performance, sulla base di appositi modelli forniti dalla
Commissione di cui all’articolo 13, cura annualmente la realizzazione di
indagini sul personale dipendente volte a rilevare il livello di benessere organizzativo e il grado di condivisione del sistema di valutazione nonché la
rilevazione della valutazione del proprio superiore gerarchico da parte del
personale, e ne riferisce alla predetta Commissione” (corsivo aggiunto).
Quest’ultimo aspetto assume particolare rilevanza ai fini del nostro
lavoro. Riteniamo, infatti, che i collaboratori siano interlocutori privilegiati
del dirigente e che, in quanto tali, siano titolati ad esprimere un giudizio
articolato e fedele in merito alla performance del dirigente stesso, riguardata
– com’è ovvio – dallo specifico versante dei comportamenti organizzativi. (5)
Infatti, i collaboratori osservano da vicino il comportamento del dirigente di
riferimento e sono in grado di elaborare convincimenti non meno pregni di
significato di quelli espressi dagli altri soggetti coinvolti o potenzialmente
coinvolgibili nel processo di valutazione (dirigente sovraordinato, colleghi
dirigenti, clienti/utenti).
Alla valutazione dei dirigenti da parte dei loro collaboratori – i dirigenti
sott’ordinati se esistenti e il personale di comparto – può essere assegnata
la denominazione di “valutazione bottom-up”. Mutuando un’altra locuzione
rinvenibile nella dottrina anglosassone, la valutazione “dal basso verso
l’alto” può essere anche denominata upward appraisal.
Nel paragrafo seguente si fornisce una sintetica panoramica dei principali contributi che la dottrina economico-aziendale – e non solo – ha fatto
registrare sull’argomento.
4 Si veda, a tal riguardo, l’art. 30, comma 4, lett. c), del d.lgs. 150/2009.
5 La Riforma Brunetta assegna un posto di assoluto rilievo al giudizio sui comportamenti organizzativi nel complessivo sistema di valutazione della performance manageriale. Scendendo nei dettagli, già l’art. 4 della citata legge 15/2009, che fornisce utili indicazioni in merito ai principi che devono ispirare la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, prevede l’”estensione della valutazione anche ai comportamenti organizzativi dei dirigenti”. In tale alveo si muove il d.lgs. 150/2009 di attuazione della legge 15 che include,
tra i vari criteri che devono ispirare il processo di misurazione e valutazione della performance del dirigente, anche “le competenze professionali e manageriali dimostrate” (art. 9, comma 1, lett. c).
Azienda Pubblica 2.2010
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Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
2. Review della letteratura e scopi della ricerca
Per meglio comprendere la rilevanza che può assumere un sistema di valutazione bottom-up, ricordiamo che, negli ultimi quaranta anni, registra non
pochi consensi la tesi secondo la quale la partecipazione dei collaboratori al
processo di valutazione dei dirigenti può contribuire a migliorare la qualità
del giudizio finale. Partendo da questa considerazione, diversi Autori focalizzano la propria attenzione sugli elementi caratteristici di tale approccio.
Tra gli aspetti esplorati più di frequente, si richiamano i seguenti:
- fattori che influenzano l’“onestà” del giudizio espresso dai collaboratori. A tal riguardo, in un recente studio del 2008, Smith e Fortunato
individuano otto elementi in grado di condizionare l’attendibilità del
feedback prodotto dai collaboratori (atteggiamento dei collaboratori
verso l’azienda in cui operano; finalità assegnata alla valutazione
bottom-up; conoscenza del processo di valutazione bottom-up da
parte dei collaboratori; fiducia dei collaboratori nell’utilità della
valutazione bottom-up; opportunità di osservare regolarmente il
comportamento del dirigente da valutare; percezione dei benefici
connessi all’implementazione di un sistema di valutazione bottomup; timore di ritorsioni da parte del dirigente che riceve un giudizio
negativo; grado di autostima del collaboratore); (6)
- esistenza di una correlazione tra i giudizi espressi dai collaboratori,
dai superiori gerarchici e dal dirigente medesimo. Dall’analisi delle
principali ricerche empiriche sull’argomento non emerge un orientamento univoco. Infatti, mentre alcuni studiosi (Mount, 1984) certificano
l’esistenza di una significativa correlazione tra i giudizi che promanano
dai collaboratori del valutato, dai suoi superiori e dal valutato stesso,
altri (Harris, Schaubroeck, 1988), al contrario, registrano una correlazione di modesta entità. Non mancano, poi, autori (London, Wholers,
1991) che analizzano la questione alla luce delle caratteristiche “personali” del soggetto valutato (sesso, inquadramento all’interno della
struttura organizzativa, ecc.), nonché delle scelte effettuate in sede di
implementazione del modello di valutazione (ad es. con riferimento al
numero di collaboratori da coinvolgere nel processo di valutazione).
I due autori dimostrano, tra le altre cose, l’esistenza di una correlazione tra i giudizi espressi dai collaboratori e quelli che discendono
dal processo di “autovalutazione” del dirigente valutato. L’intensità
della correlazione aumenta considerevolmente quando il valutato è di
sesso femminile e opera all’interno di organi di line; l’intensità della
correlazione aumenta, inoltre, al crescere del numero di collaboratori
coinvolti nel processo di valutazione;
6 Con riferimento ai fattori che influenzano l’onestà del giudizio espresso dai collaboratori,
ulteriori spunti di riflessione sono rinvenibili in Weinrauch, Matejka (1975).
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Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
- incidenza dell’upward appraisal system sulla performance futura
del dirigente. Diversi studiosi (Hegarty, 1974; Bush, Stinson, 1980;
Bernardin, Beatty, 1987; Walker, Smither, 1999; Heslin, Latham,
2004) concordano nel ritenere che il giudizio dei collaboratori
possa condurre ad un miglioramento significativo delle prestazioni
e del comportamento organizzativo del dirigente valutato. Si registrano, tuttavia, differenti convincimenti con riferimento ai tempi
necessari affinché il miglioramento concretamente si manifesti. A
titolo esemplificativo, si noti che mentre alcuni osservatori (Walker,
Smither, 1999) rilevano la presenza di cambiamenti significativi
nella performance manageriale soltanto a partire dal secondo anno
successivo all’implementazione del sistema di valutazione bottomup, altri (Hegarty, 1974; Heslin, Latham, 2004), al contrario, sono
convinti che il processo di miglioramento del dirigente possa avviarsi
in tempi sensibilmente più contenuti (secondo Hegarty, anche entro
10 settimane);
- profili di accountability nel processo di valutazione bottom-up, con
particolare riferimento alla possibilità di identificare il soggetto che
formula il giudizio. Se si volge lo sguardo ai principali contributi
che si propongono di analizzare tale aspetto (Klimosky, Inks, 1990;
London, Wholers, 1991; Antonioni, 1994; Brajkovich, 1995; Westerman, Rosse, 1997; Silva, Tosi, 2004) è possibile individuare
due orientamenti prevalenti: quello di chi ritiene che il giudizio dei
collaboratori debba essere formulato in forma anonima (per evitare
possibili ritorsioni sui collaboratori da parte del dirigente che riceve
un giudizio negativo) e quello di chi, al contrario, è convinto che il dirigente debba essere messo nelle condizioni di conoscere il feedback
di ciascun collaboratore che partecipa al processo di valutazione
bottom-up (nel tentativo di meglio tutelare il dirigente valutato);
- punti di forza e punti di debolezza della valutazione bottom-up. Gli
scritti che si soffermano su questi aspetti solitamente pongono enfasi
su due punti di forza: 1) i collaboratori sono in grado di osservare
più da vicino il comportamento del dirigente, rispetto a tutti gli altri
soggetti potenzialmente coinvolgibili nel processo di valutazione; 2)
taluni comportamenti possono essere osservati in modo più efficace
dai collaboratori del dirigente, piuttosto che dai dirigenti sovraordinati o dai colleghi del valutato (Bernardin, Beatty, 1987; Rubin,
1995). I punti di debolezza più di frequente citati sono i seguenti: 1)
i collaboratori possono non detenere le competenze necessarie per
valutare i propri dirigenti; 2) i collaboratori sono portati, in alcuni casi,
a formulare un giudizio tendenzialmente elevato per “compiacere”
il proprio superiore; 3) i dirigenti possono tentare di “influenzare” il
giudizio dei collaboratori; 4) la valutazione bottom-up può trasformarsi in una “gara di popolarità” tra i dirigenti valutati (Bernardin,
1986);
Azienda Pubblica 2.2010
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Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
- importanza dei comportamenti dirigenziali da valutare, dallo specifico punto di vista dei collaboratori. A tal proposito, Rubin (1995)
dimostra che i collaboratori pongono particolare enfasi sulla capacità
del dirigente di creare un clima organizzativo positivo all’interno
dell’azienda, nonché di assumere un ruolo di “guida”, in particolare
rispetto al proprio gruppo di lavoro;
- reazioni dei dirigenti ai feedback ricevuti dai propri collaboratori.
Secondo McEvoy (1990), i dirigenti sono propensi ad accettare l’esito
della valutazione bottom-up allorquando ad esso non siano collegate
conseguenze immediate sul piano “amministrativo” (connesse cioè
alla gestione di incentivi, trasferimenti e sanzioni). (7)
Alla luce degli elementi richiamati e della letteratura citata – di matrice
economico-aziendale e non solo – è possibile svolgere alcune considerazioni.
In primo luogo, notiamo che i contributi scientifici focalizzano l’attenzione
su aspetti di dettaglio; non si registrano, in dottrina, lavori che analizzano
in maniera sistematica il processo di progettazione di un modello di valutazione bottom-up. (8)
In secondo luogo, notiamo che non pochi studi ritengono possibile la
generalizzazione dei risultati delle ricerche effettuate – trattasi, per lo più,
di ricerche empiriche condotte nell’ambito di specifici contesti aziendali – a
tutte le categorie di aziende. Dal canto nostro riteniamo, invece, che i risultati
delle analisi che, di volta in volta, vengono esperite debbano essere interpretati alla luce della “cultura aziendale”, intesa come abitudini, opinioni e
schemi di comportamento consolidati all’interno dell’organizzazione (Zanda,
1984). In tale prospettiva, siamo convinti che l’approccio bottom-up – nel
caso in cui se ne studi l’eventualità di una sua introduzione – debba essere
“confezionato ad arte”, in base alla “cultura” che l’azienda ha potuto
sedimentare nel corso del tempo.
Sulla base di queste premesse, il presente lavoro si sofferma sul processo di progettazione di un modello di valutazione della dirigenza pubblica
secondo l’approccio bottom-up, polarizzando l’attenzione su alcuni aspetti
di fondamentale rilievo, quali le finalità da perseguire, l’oggetto della valutazione e gli strumenti di raccolta dei feedback. Precisiamo sin d’ora che
si tratta di ragionamenti sviluppati alla luce degli studi condotti – in Italia e
all’estero – sull’argomento nell’ultimo ventennio e che intendiamo “testare”
le nostre conclusioni a stretto giro. (9) L’analisi è ritagliata su misura rispetto
7 L’argomento sarà trattato più approfonditamente nel paragrafo seguente, al quale, pertanto, rimandiamo il lettore.
8 Degno di nota è invece il dibattito che si registra con riferimento alla progettazione e all’implementazione dei modelli di valutazione “multi-dimensionali” (c.d. “multi-source feedback o
“a 360°”) che, come in precedenza ricordato, si avvalgono della valutazione bottom-up.
9 Nella prospettiva descritta, abbiamo già preso contatti con i dirigenti delle amministrazioni provinciali e comunali della regione Puglia per ottenere la loro disponibilità a “testare” le
conclusioni cui perveniamo nel presente lavoro.
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Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
all’azienda-Regione e all’azienda dell’ente locale, accomunate – com’è
noto – dallo stesso CCNL.
3. La progettazione: precisazioni in merito a finalità, oggetto
e strumenti del modello bottom-up
L’implementazione di un modello di valutazione bottom-up deve essere opportunamente “progettata”, affinché sia in grado di intercettare importanti
driver del processo di creazione del valore pubblico.
In fase di progettazione dovranno essere approfondite le seguenti questioni cruciali:
- finalità che si intendono assegnare alla valutazione;
- oggetto della valutazione;
- strumenti di raccolta dei feedback.
Nelle pagine che seguono si analizzano i tre aspetti testé elencati.
Finalità della valutazione
Le finalità per cui le aziende si dotano di strumenti per l’apprezzamento
delle performance dirigenziali possono essere molteplici. Focalizzando l’attenzione sul comparto delle Regioni e degli enti locali, tali ragioni possono
essere così compendiate:
- la valutazione dei dirigenti fornisce validi elementi di giudizio per
riconoscere incentivi di natura economica; (10)
- la valutazione delle performance dirigenziali è collegata a decisioni
in materia di trasferimenti e sanzioni; (11)
- il programma di valutazione costituisce un valido strumento di miglioramento delle capacità manageriali del dirigente (Fedrigotti,
10 “L’amministrazione attribuisce la retribuzione di risultato ai dirigenti … sulla base del grado
di raggiungimento di predefiniti obiettivi e/o livelli di prestazione”. Art. 43, comma 2, Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro nell’area della dirigenza del Comparto Regioni e Autonomie
locali per il quadriennio normativo 1994-1997 e per il biennio economico 1994-1995.
11 Sul punto, appaiono eloquenti le parole di Zanda (1984: p. 22), secondo il quale «la valutazione dei dirigenti consente di impostare su basi uniformi e quanto più è possibile oggettive i provvedimenti relativi… ai trasferimenti interni e alle molteplici sanzioni previste per i
contributi negativi all’efficienza dell’impresa».
Anche la contrattazione collettiva sembra aver accolto l’orientamento in parola. A tal riguardo, si noti che, in base al disposto dell’art. 13 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
nell’area della dirigenza del Comparto Regioni e Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e per il biennio economico 2002-2003, “La valutazione del personale dirigenziale può condurre, in caso di esiti negativi, a:
a) riassegnazione alle funzioni della categoria di provenienza, per il personale interno
al quale sia stato eventualmente conferito, con contratto a termine, un incarico dirigenziale sempreché detto conferimento sia consentito dalla normativa vigente nell’ente;
b) affidamento di un incarico dirigenziale con un valore di retribuzione di posizione inferiore;
c) sospensione, nei confronti del personale a tempo indeterminato con qualifica dirigenziale, da ogni incarico dirigenziale per un periodo massimo di due anni;
d) recesso dal rapporto di lavoro, nei casi di particolare gravità”.
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Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
2007). (12) In questa prospettiva, la valutazione “è impostata in maniera costruttiva: e cioè volta a favorire la qualificazione e lo “sviluppo”
del personale mediante la scoperta e l’analisi dei suoi punti di forza
e di debolezza, l’individuazione dei cambiamenti necessari a livello individuale e di gruppo e l’accertamento continuo dei progressi
compiuti nel corso del tempo” (Zanda, 1984: p. 24).
Quelle sopra descritte sono le finalità che possono essere generalmente
assegnate alla valutazione dei dirigenti nelle Regioni e negli enti locali.
Tuttavia, secondo un’opinione piuttosto diffusa, non tutte possono essere
perseguite adottando un approccio bottom-up.
Diversi studi concordano, infatti, nel ritenere utile la valutazione dei
collaboratori soltanto quando non comporta conseguenze immediate sul
piano “amministrativo” (connesse cioè alla gestione di incentivi, trasferimenti e sanzioni), assolvendo, piuttosto, esclusivamente a finalità di “miglioramento individuale” del dirigente valutato. Tra le varie motivazioni che
contribuiscono ad avvalorare questo orientamento, ci limitiamo a riportare
le principali. (13)
In primo luogo, viene da più parti evidenziato che i collaboratori sono più
motivati ad offrire un contributo significativo alla valutazione quando il loro
giudizio è finalizzato ad individuare possibili percorsi di sviluppo individuale
del dirigente (Westerman, Rosse, 1997; Avis, Kudisch, 2000).
In secondo luogo, non è da sottacere che i dirigenti, allorquando non è
in discussione il livello di retribuzione, il ruolo e la reputazione di cui godono, sono più propensi ad accettare il feedback ricevuto dai collaboratori.
In questa prospettiva, particolare interesse suscita l’indagine condotta da
McEvoy (1990) su di un campione di 128 manager pubblici con riferimento
alle possibili applicazioni della valutazione bottom-up. È agevole constatare
che il maggior livello di consenso si registra nei confronti di un impiego «for
development only», mentre soltanto una percentuale di poco superiore al
15% dei dirigenti si dice favorevole ad assegnare alla valutazione bottomup il medesimo “peso” che viene attribuito ai giudizi elaborati dai dirigenti
sovraordinati (trattasi di giudizi che, generalmente, sono impiegati per
finalità di carattere “amministrativo”).
Un’altra parte della dottrina – meno ampia per la verità – non esclude,
12 A tal riguardo, si noti che alcuni sistemi di valutazione – in particolare, quelli della Regione Lombardia e della Regione Umbria – prevedono che gli esiti della valutazione costituiscano un importante supporto alle decisioni concernenti la formazione del dirigente. In questi casi, valutazioni poco soddisfacenti – soprattutto se reiterate nel corso del tempo – possono suggerire l’attivazione di percorsi formativi e/o di aggiornamento professionale ritagliati
su misura in base alle specificità del dirigente, al fine di colmare le lacune emerse durante il
processo di valutazione (Marcantoni, Veneziano, 2007: p. 109).
13 Con riferimento a tutti i processi valutativi, e non solo rispetto alla bottom-up, si registra
un’ampia convergenza sul principio che quando un sistema di valutazione delle performance
assolve a obiettivi di miglioramento del capitale umano è più probabile che i feedback prodotti dai rater siano “sinceri” (DeCotiis, Petit, 1978; DeNisi et al., 1983; Mohrman, Lawler, 1983;
Longenecker et al., 1987; Murphy, Cleveland, 1995; Tziner et al., 2001, 2002).
261
Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
invece, che la valutazione a 360° (14) e, nel suo ambito la bottom-up, possa
costituire un valido strumento di supporto anche per la gestione di incentivi,
trasferimenti e sanzioni.
Tra le varie motivazioni addotte a sostegno di questa tesi, si richiamano
quelle che appaiono le più incisive (Bracken, 1996; London, 2001):
1. la valutazione dei collaboratori consente di produrre informazioni
“di qualità” in merito al comportamento organizzativo dei dirigenti,
dal momento che i collaboratori rappresentano i soggetti che più da
vicino osservano il “modo di agire” del valutato;
2. la valutazione bottom-up è piuttosto dispendiosa in termini di tempo
e risorse, tanto nella fase di progettazione quanto nella fase di implementazione. Pertanto, è opportuno che le informazioni ottenute
vengano destinate a molteplici utilizzi, in modo da massimizzare i
benefici per l’azienda;
3. i collaboratori profondono un maggior impegno nella formulazione
del giudizio allorquando l’azienda assegna maggiore importanza
alle informazioni che da essi provengono;
4. quando la valutazione assolve soltanto a finalità di miglioramento
individuale del dirigente, è più probabile che quest’ultimo non prenda
in seria considerazione il feedback ricevuto.
Tra i due orientamenti in precedenza enucleati (quello che assegna alla
valutazione bottom-up finalità di “miglioramento individuale” e quello che
non esclude conseguenze sul piano “amministrativo”), riteniamo di poter
concordare con il secondo, seppur minoritario. Più precisamente, crediamo
che la valutazione dei collaboratori non debba assolvere soltanto a finalità
di miglioramento personale del dirigente, ma possa fornire, altresì, un utile
elemento conoscitivo nella formulazione del giudizio finale sulla performance
manageriale, anche nella prospettiva che in questa sede più ci interessa,
quella cioè della determinazione della retribuzione di risultato prevista dal
CCNL. (15)
14 Si veda la nota 8.
15 La retribuzione di risultato sta assumendo un “peso” sempre più consistente nell’ambito
della complessiva retribuzione del dirigente. A tal riguardo, si noti che l’art. 6 della legge
15/2009 individua un tetto “minimo” per tale componente, disponendo che, nel medio periodo, la retribuzione di risultato sia fissata “in una misura non inferiore al 30 per cento della
retribuzione complessiva”. L’art. 45 del d.lgs. 150 modifica l’articolo 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 prevedendo che: “1. All’articolo 24 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 1, le parole: “e alle connesse responsabilità” sono sostituite dalle seguenti: “, alle
connesse responsabilità e ai risultati conseguiti”;
b) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
“1-bis. Il trattamento accessorio collegato ai risultati deve costituire almeno il 30 per cento della retribuzione complessiva del dirigente considerata al netto della retribuzione individuale di
anzianità e degli incarichi aggiuntivi soggetti al regime dell’onnicomprensività.
1-ter. I contratti collettivi nazionali incrementano progressivamente la componente legata al risultato, in modo da adeguarsi a quanto disposto dal comma 1-bis, entro la tornata contrattuale
successiva a quella decorrente dal 1° gennaio 2010, destinando comunque a tale componente
tutti gli incrementi previsti per la parte accessoria della retribuzione. La disposizione di cui al
Azienda Pubblica 2.2010
262
Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Tuttavia, una precisazione ci sembra al riguardo doverosa. Crediamo
fermamente che l’attribuzione di un “peso” alla valutazione bottom-up nel
complessivo sistema di apprezzamento della performance dirigenziale
presupponga che l’amministrazione interessata sia pervasa da un “clima
organizzativo” positivo. Livelli soddisfacenti di “benessere organizzativo”
sono un vincolo irrinunciabile nella prospettiva dell’efficace implementazione
di un modello bottom-up: i collaboratori, da un lato, esprimono un giudizio
tendenzialmente sincero e costruttivo; i dirigenti, dall’altro, sono propensi
ad accettare la valutazione ricevuta, anche quando quest’ultima si attesta
su livelli tendenzialmente bassi.
Non si tratta di un aspetto scontato, di poco conto. È questa una questione rilevante e sostanziale, nella prospettiva dell’introduzione dell’upward
appraisal. Specifiche indagini rivelano, infatti, che diverse amministrazioni
pubbliche non “navigano in acque tranquille” sul piano dei rapporti che
intercorrono tra i dirigenti e i loro collaboratori. Più precisamente, agli occhi
dei collaboratori, i dirigenti appaiono spesso poco propensi al dialogo e non
costituiscono un reale punto di riferimento sul lavoro. I dirigenti, dal canto
loro, si sentono “distanti” dal proprio gruppo di lavoro, non riuscendo, di
frequente, ad esercitare proficuamente il proprio ruolo di leader (Avallone,
Bonaretti, 2003).
È questo il motivo per cui riteniamo che l’introduzione della valutazione
“dal basso verso l’alto” nel sistema di valutazione della dirigenza debba
essere preceduta da un’analisi – attenta e approfondita – del clima organizzativo aziendale.
Oggetto della valutazione
In questa sezione ci chiediamo in quale direzione il giudizio valutativo
dei collaboratori debba essere formulato. A tal riguardo, riteniamo che i
collaboratori non debbano esprimersi in merito al grado di raggiungimento
degli obiettivi, per una serie di motivazioni tra cui assumono particolare
rilievo le seguenti:
- la valutazione delle prestazioni dei dirigenti pubblici è un processo
che, avvalendosi anche delle risultanze del controllo di gestione, pone
enfasi sugli obiettivi raggiunti attraverso l’azione amministrativa. In
questa prospettiva, il giudizio sul grado di raggiungimento degli obiettivi deve essere affidato a soggetti “professionalmente qualificati”,
comma 1-bis non si applica alla dirigenza del Servizio sanitario nazionale e dall’attuazione
del medesimo comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
1-quater. La parte della retribuzione collegata al raggiungimento dei risultati della prestazione
non può essere corrisposta al dirigente responsabile qualora l’amministrazione di appartenenza, decorso il periodo transitorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, non
abbia predisposto il sistema di valutazione di cui al Titolo II del citato decreto legislativo”.
263
Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
dotati cioè delle competenze necessarie a presidiare le diverse fasi
di definizione degli obiettivi, verifica dei risultati, interpretazione
degli scostamenti, ecc. è opinione condivisa che i collaboratori non
possiedano i requisiti professionali richiesti; (16)
- il collaboratore non può avere una visione d’insieme sul grado di
raggiungimento degli obiettivi che vengono affidati al dirigente, dal
momento che “osserva” la performance manageriale soltanto dal
proprio angolo visuale, per sua natura ristretto e settoriale. (17)
Assegniamo, pertanto, ai collaboratori il compito di esprimere un giudizio soltanto sul comportamento organizzativo del dirigente, espressione
di conoscenze, capacità, valori e motivazioni che il dirigente stesso nel
tempo ha sviluppato.
A questo punto della nostra analisi, qualche approfondimento si rende
necessario per comprendere quali comportamenti debbano essere valutati
dal collaboratore.
A tal riguardo, occorre procedere ad una “selezione” delle competenze
che contraddistinguono un manager “efficace”, indicando, per ciascuna di
esse, una serie di comportamenti tipici in base ai quali è possibile “misurare”
il livello di competenza che il collaboratore riconosce al dirigente. Abbiamo
preferito prendere come punto di riferimento, tra i vari modelli disponibili
(McClelland, 1973, 1976; Boyatzis, 1982; Murlis, Fitt, 1991; Spencer,
Spencer, 1993, 1995; ecc.), il modello di Spencer e Spencer (1995). Gli
Autori, nel loro “Competenza nel lavoro”, individuano un modus operandi
che contraddistingue ogni manager “efficace”, a prescindere dal livello e
dall’organizzazione di appartenenza. (18)
Tra i vari comportamenti indicati dagli Autori, ci siamo sforzati di
individuare quelli che, più degli altri, si prestano ad essere analizzati da
parte dei diretti collaboratori dei dirigenti, precisando che, per ragioni di
ordine pratico, ai collaboratori potrà essere sottoposto un numero limitato
di quesiti.
È appena il caso di notare che l’analisi sull’“oggetto” della valutazione
(comportamenti organizzativi) è consequenziale all’analisi dei soggetti
cui verrà chiesto di esprimere un giudizio. (19) È possibile prospettare due
16 Sul punto, il Della Rocca (2001: p. 26) così si esprime: «il superiore diretto, per quanto riguarda le prestazioni, è riconosciuto come la figura più adatta a conoscere le prestazioni del
valutato e a proporre e valutare qualsiasi tipo d’ulteriore accorgimento».
17 “[S]ubordinates often lack experience in making formal performance evaluations. Subordinates may be in a position to see only a relatively small portion of their supervisors’ job performance”. (Hedge et al., 2001: p. 23).
18 L’elevato grado di dettaglio impiegato per descrivere le competenze manageriali rende,
a nostro avviso, il modello elaborato da Spencer e Spencer particolarmente utile ai fini della
presente ricerca. Gli Autori non si limitano ad elencare le competenze che contraddistinguono ogni manager “efficace”, ma si sforzano di declinare una serie di comportamenti organizzativi da associare a ciascuna di esse.
19 Si rammenta che nella pionieristica esperienza del Comune di Ravenna, soltanto alcuni
collaboratori – quelli più “qualificati” (di 8° e 7° livello; oggi si parla di categoria D) – venAzienda Pubblica 2.2010
264
Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
distinte soluzioni al riguardo:
- il dirigente viene valutato dai dirigenti sott’ordinati e dal personale
di comparto di livello più elevato (categoria D);
- il dirigente viene valutato da tutti i suoi collaboratori, dirigenti e
non.
A seconda della soluzione prescelta, si ripete, anche l’“oggetto” della
valutazione si atteggerà diversamente. Allorquando si decida di coinvolgere nella valutazione tutti i collaboratori del dirigente, bisogna ricercare
un “nocciolo duro” di comportamenti organizzativi che possano essere
valutati indistintamente da tutti i collaboratori. Diversamente, nel caso in
cui si voglia affidare la valutazione soltanto ai più diretti collaboratori del
dirigente – dirigenti sott’ordinati e personale non dirigente di categoria
D – è utile e opportuno ampliare lo spettro dei comportamenti sottoposti a
giudizio, dal momento che i soggetti coinvolti operano di frequente a stretto
contatto con il dirigente e sono in grado di osservare gli aspetti più intimi
e qualificanti del suo “modo di essere” dirigente.
Noi crediamo che ambedue le soluzioni siano percorribili. Va da sé che
allorquando la valutazione venga affidata a tutti i collaboratori indistintamente sia necessario acquisire informazioni in merito alla loro “autovalutazione”
sul grado di conoscenza del dirigente cui si riferisce la valutazione.
La tabella 1 riporta – in ordine decrescente di importanza – l’elenco delle
competenze proposto nello scritto di Spencer e Spencer. (20) A ciascuna
di esse è associata una breve descrizione, unitamente all’indicazione dei
soggetti cui – secondo il nostro parere – dovrebbe essere affidata la valutazione. Si richiamano, inoltre, alcuni “comportamenti tipici” associabili alla
specifica competenza. (21)
gono coinvolti nel processo di valutazione del dirigente.
20 Gli Autori individuano anche una serie di “requisiti di base” (“consapevolezza organizzativa”, “costruzione di rapporti”, “capacità tecnica/specializzazione”) che ogni individuo
dovrebbe possedere per ricoprire ruoli dirigenziali. Su tali elementi, i collaboratori non sono
chiamati ad esprimere un giudizio.
21 Si ribadisce che l’elenco delle competenze, i comportamenti tipici e i pesi sono mutuati
dallo scritto dei citati autori.
265
Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
Tabella 1 – L’oggetto della valutazione bottom-up
Peso
••••••
••••••
••••
••••
••••
•••
Valutatori
Competenze
Descrizione
Comportamenti tipici
- prevedere l’effetto che le
proprie iniziative avranno sugli
altri;
- fare continuo riferimento
a dati di fatto e cifre;
- usare esempi concreti, sussidi
audiovisivi, dimostrazioni
Tutti i collaboratori
Persuasività
e influenza
Capacità di avere
un’influenza o un effetto
specifico sugli altri, in modo
da convincerli o indurli a
collaborare per portare a
termine un progetto o un
impegno
Tutti i collaboratori
Orientamento
al risultato
Interesse a lavorare bene
e a misurarsi con standard
d’eccellenza
- lavorare per raggiungere gli
standard di risultato assegnati;
- fissare, per sé e per gli altri,
obiettivi “sfidanti” e adoperarsi
per raggiungerli
Lavoro
di gruppo
e cooperazione
Attitudine ad essere parte
di un gruppo, piuttosto che
a lavorare da solo o in
competizione con gli altri
- sollecitare idee e opinioni
utili per prendere decisioni
e/o assumere piani specifici;
- condividere informazioni
rilevanti;
- incoraggiare e responsabilizzare gli altri;
- riconoscere pubblicamente
agli altri la paternità di determinati successi
Dirigenti sott’ordinati
e personale
di categoria D
Pensiero
analitico
Capacità di comprendere le
situazioni, scomponendole
nei loro elementi costitutivi,
e di valutare le conseguenze in una catena di cause
ed effetti
- stabilire le priorità di lavoro
in ordine di importanza;
- prevedere ostacoli e preparare in anticipo le azioni per
superarli;
- identificare più soluzioni
e più criteri di valutazione
delle stesse
Tutti i collaboratori
Spirito
d’iniziativa
- rifiutare di arrendersi
Predisposizione ad agire,
di fronte ad ostacoli rilevanti;
realizzando più di quanto
- riconoscere e sfruttare
sia richiesto dalla mansione le opportunità che possono
presentarsi
Tutti i collaboratori
Tutti i collaboratori
Sviluppo
degli altri
Intenzione di promuovere
lo sviluppo di una o più
persone
- esprimere giudizi positivi
sugli altri, anche in situazioni
“difficili”;
- manifestare la convinzione
che gli altri possono imparare;
- offrire consigli “personalizzati” a fini di sviluppo;
- identificare le necessità di
sviluppo e provvedere alla
predisposizione di programmi
e materiali didattici per soddisfarle;
- delegare compiti e/o
responsabilità per sviluppare
le capacità degli altri
(segue)
Azienda Pubblica 2.2010
266
Esperienze innovative
Peso
••
••
••
••
••
Valutatori
Tutti i collaboratori
Tutti i collaboratori
Tutti i collaboratori
Tutti i collaboratori
Dirigenti sott’ordinati
e personale
di categoria D
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Competenze
Fiducia in sé
Descrizione
Comportamenti tipici
- dichiararsi fiduciosi della
propria abilità e capacità
di giudizio;
- esporre fermamente
Convinzione di poter
il proprio parere, anche quanassolvere un compito, di
do apparentemente in contraassumere decisioni o di
sto con quello degli altri;
reagire costruttivamente agli
- assumersi la responsabilità
insuccessi
di errori, insuccessi o inconvenienti;
- imparare dagli errori commessi
Capacità di far obbedire
gli altri ai propri ordini
- affrontare gli altri con fermezza per risolvere problemi
di rendimento;
- esigere dai subordinati elevati livelli di performance;
- fissare limiti ben precisi
al comportamento dei subordinati;
- impartire ordini precisi
e ben dettagliati
Desiderio di saperne
di più su fatti, persone o
questioni
- porre una serie di domande
per avere informazioni esatte
su specifiche questioni;
- ove necessario, effettuare
“ricerche sul campo”, analizzando in loco le situazioni
di lavoro
Leadership
del gruppo
Capacità di assumere il
ruolo di guida all’interno di
un gruppo
- impegnarsi affinché tutti
i componenti del proprio gruppo di lavoro ottengano
un trattamento equo;
- adottare strategie per risollevare il morale del gruppo;
- accertarsi continuamente che
gli altri seguano la missione
e gli obiettivi del leader
Pensiero
concettuale
- usare regole empiriche,
il senso comune e l’esperienza
per identificare problemi
e situazioni;
Capacità di riconoscere mo- riconoscere differenze
delli astratti o rapporti tra le
rilevanti tra le situazioni attuali
situazioni più complesse e
e i fatti già accaduti;
i loro elementi principali o
- applicare e modificare
sottostanti.
in maniera appropriata concetti e metodologie acquisite;
- identificare relazioni fra dati
complessi di aree non correlate
Attitudine
al comando/
assertività
Ricerca
delle informazioni
Fonte: adattato con modifiche da Spencer, Spencer (1995: 51, 56, 59, 71, 82-83, 86, 88, 93, 98-99, 113, 174).
267
Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
Il modello manageriale proposto da Spencer e Spencer costituisce un
utile supporto per la definizione delle competenze oggetto di valutazione
e dei comportamenti ad esse associati. È appena il caso di notare che il
Nucleo di valutazione (o l’Organismo indipendente di valutazione dove già
istituito) può proporre soluzioni diverse da quelle presentate, limitando o
ampliando la numerosità dei fattori di valutazione, enucleando comportamenti differenti da quelli su indicati, ordinando le competenze in base ad
un diverso ordine di priorità, ecc. (22)
A tal riguardo, riteniamo che l’attivazione – nei casi in cui ciò sia possibile – di un processo di definizione “partecipata” delle “regole del gioco”
della valutazione bottom-up possa creare i migliori presupposti per l’efficace
implementazione del modello. Va da sé che i criteri generali su cui poggia
il complessivo sistema di valutazione della dirigenza dovranno essere sottoposti, appena possibile, alla concertazione tra la rappresentanza di parte
pubblica e le rappresentanze sindacali dei dirigenti. (23)
Strumenti di raccolta dei feedback
In questa sezione riteniamo utile svolgere alcune riflessioni circa gli strumenti
di raccolta dei giudizi prodotti dai collaboratori. Tra le varie tecniche impiegate nella ricerca sociale per la raccolta di informazioni polarizziamo,
in questa sede, l’attenzione sul metodo del questionario.
Il questionario si compone di una sequenza prestabilita di domande,
invariabile per l’intero campione di riferimento, mediante il quale le risposte
fornite da ciascun individuo possono essere agevolmente comparate con le
risposte elaborate da ogni altro individuo del campione. Nel caso specifico
della valutazione bottom-up, il collaboratore è chiamato ad esprimere il
proprio “grado di condivisione” rispetto ad una serie di affermazioni che
attengono al comportamento del dirigente.
22 In base ai risultati di una recente indagine empirica (Marcantoni, Veneziano, 2007), in diverse amministrazioni regionali esiste già un “modello delle competenze”, elaborato dal Nucleo di valutazione – con il supporto dei dirigenti – ovvero da società di consulenza esterne all’ente. Di recente, anche l’Agenzia delle entrate ha sviluppato, nell’ambito del sistema
S.I.R.I.O. (Sistema Integrato Risultati Indicatori Obiettivi), un “Dizionario delle competenze”
per la valutazione dei comportamenti organizzativi dei propri dirigenti. Attraverso lo strumento in parola, viene definito un profilo di competenze che qualifica ciascun ruolo dirigenziale presente all’interno dell’Agenzia. È appena il caso di segnalare che l’elenco delle competenze riportato nel “Dizionario” (segnatamente assertività, empowerment e sviluppo dei collaboratori, flessibilità, iniziativa, integrità e coerenza, orientamento all’altro, pensiero ideativo,
persuasività, sicurezza di sé ed equilibrio, sviluppo e trasferimento del sapere, team leadership, tensione al risultato) presenta evidenti sovrapposizioni con quello proposto nel modello
di manager “efficace” di Spencer e Spencer. Il Dizionario può essere reperito in versione integrale sul sito dell’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.gov.it).
23 L’art. 14 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro nell’area della dirigenza del Comparto Regioni e Autonomie locali per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio
economico 1998-1999 prevede espressamente la concertazione dei criteri di valutazione
dei dirigenti tra la rappresentanza di parte pubblica e le rappresentanze sindacali. In base
al citato articolo, “gli enti adottano preventivamente i criteri generali che informano i sistemi di valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti nonché dei relativi risultati di gestione. Tali criteri, prima della definitiva adozione sono oggetto di concertazione”.
Azienda Pubblica 2.2010
268
Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Il giudizio viene espresso in base ad una scala di Likert a 5 gradi bilanciata con criteri antinomici Totalmente contrario e Pienamente d’accordo,
di seguito riportata.
totalmente
contrario
1
2
3
4
5
pienamente
d’accordo
A titolo meramente esemplificativo, la tavola 1 riporta alcuni esempi di
affermazioni con riferimento alle aree Sviluppo degli altri, Lavoro di gruppo e cooperazione, nonché Leadership del gruppo, partendo sempre dal
modello di Spencer e Spencer.
Tavola 1 – Il questionario di valutazione delle competenze organizzative
Quanto è d’accordo con le seguenti affermazioni? (esprima un’opinione barrando una casella)
Sviluppo degli altri
Il dirigente identifica le necessità di sviluppo e provvede alla predisposizione
di programmi e materiali didattici per soddisfarle; delega compiti e/o
responsabilità per sviluppare le capacità degli altri; offre consigli “personalizzati”
a fini di sviluppo
1
2
3
4
5
Il dirigente esprime giudizi positivi sugli altri, anche in situazioni “difficili”;
manifesta la convinzione che gli altri possono imparare
1
2
3
4
5
1
2
3
4
5
1
2
3
4
5
Lavoro di gruppo e cooperazione
Il dirigente sollecita idee e opinioni utili per prendere decisioni e/o assumere
piani specifici; condivide informazioni rilevanti; incoraggia e responsabilizza
gli altri; riconosce pubblicamente agli altri la paternità di determinati successi
Leadership del gruppo
Il dirigente si impegna affinché tutti i componenti del proprio gruppo di lavoro ottengano un trattamento equo; adotta strategie per risollevare il morale del gruppo;
si accerta continuamente che gli altri seguano la missione e gli obiettivi del leader
Nelle pagine precedenti si è detto che, nel caso in cui la valutazione
sia estesa a tutti i collaboratori del dirigente, è opportuno che, preliminarmente, questi ultimi si esprimano in merito al grado di conoscenza del
dirigente.
Tale giudizio è espresso in base ad una scala di valori compresa tra 0 e
3, dove:
0 = nessuna conoscenza;
1 = rapporti di lavoro sporadici;
2 = rapporti di lavoro abbastanza frequenti;
3 = rapporti di lavoro sistematici.
269
Azienda Pubblica 2.2010
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
Esperienze innovative
Tale informazione consente di “ponderare” i punteggi assegnati, attribuendo maggiore importanza alle risposte ottenute dai collaboratori che
dichiarano di conoscere più approfonditamente il dirigente.
È appena il caso di notare che, per i collaboratori che dichiarano di
avere una conoscenza pari a 0, non è richiesta alcuna valutazione e, se
formulata ugualmente, non verrà tenuta in considerazione.
Particolarmente delicata appare la scelta della metodologia di somministrazione del questionario. A tal riguardo, si noti che il collaboratore
può essere chiamato a compilare il questionario secondo due differenti
modalità: l’intervista personale e l’autocompilazione. Nel primo caso, un
“intervistatore” assiste personalmente il collaboratore durante la compilazione, provvedendo a dirimere i dubbi che possono sorgere in merito alla
comprensione delle affermazioni proposte. Nel secondo caso, il collaboratore procede autonomamente alla compilazione, nei tempi e nei modi che
ritiene più convenienti. (24)
Entrambe le modalità prospettate rappresentano validi strumenti di
somministrazione del questionario; entrambe, tuttavia, presentano pregi
e difetti.
A titolo meramente esemplificativo, si osservi che l’intervista personale
stimola la collaborazione da parte dell’intervistato, facilita la spiegazione di
aspetti che risultassero eventualmente oscuri, consente di meglio apprezzare
i profili più rilevanti; l’intervista è particolarmente adatta nel caso in cui si
voglia mostrare del materiale all’intervistato, nonché allorquando il questionario sia piuttosto lungo. Nel contempo, si noti che l’intervista personale può
richiedere costi elevati e condurre ad una dilatazione dei tempi necessari
per concludere l’indagine; non è da sottacere, inoltre, che la presenza
dell’intervistatore può influenzare le risposte del collaboratore.
Diversamente, l’autocompilazione richiede un minor dispendio
di risorse ed evita che vi possano essere condizionamenti da parte
dell’intervistatore; si noti, inoltre, che il collaboratore ha più tempo a
disposizione per “meditare” sui giudizi da assegnare al dirigente. È
agevole constatare, tuttavia, che l’autocompilazione è efficace soltanto
in presenza di questionari molto semplici (l’assenza dell’intervistatore
non consente di chiarire eventuali incomprensioni) e, tra l’altro, non
fornisce alcuna garanzia sulla reale identità del compilatore (Facchini,
2004; Fontana, Rossi, 2005).
La scelta della modalità di somministrazione dipenderà da svariati fattori, quali, ad esempio, la numerosità dei partecipanti alla valutazione e i
“vincoli di sistema” (tempo, risorse, informazioni).
24 In questa seconda ipotesi, è opportuno che il questionario sia accompagnato da una lettera che contiene le istruzioni per la compilazione. La lettera deve riportare anche un riferimento – telefonico o di posta elettronica – cui il collaboratore può rivolgersi per ottenere ulteriori
chiarimenti, nonché la deadline fissata per la restituzione del questionario.
Azienda Pubblica 2.2010
270
Esperienze innovative
La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
4. Sintesi e conclusioni
La locuzione “valutazione bottom-up” viene comunemente utilizzata per contrassegnare l’apprezzamento della performance dirigenziale da parte dei collaboratori del dirigente, ossia dai dirigenti sott’ordinati e dal personale di comparto. Si parla pure di valutazione “dal basso verso l’alto” e, più raramente, di
upward appraisal.
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, raccoglie non pochi
consensi la tesi che consegna un ruolo di importanza non trascurabile
al giudizio dei collaboratori nel complessivo sistema di valutazione
della dirigenza. Diversi studi analizzano aspetti cruciali dell’intera
discussione: dai fattori che influenzano l’onestà del giudizio espresso
dai collaboratori all’esistenza o meno di una correlazione tra i giudizi
espressi dai collaboratori, dai superiori gerarchici e dal dirigente medesimo (autovalutazione); dall’incidenza dell’upward appraisal system sulla
performance futura del dirigente ai profili di accountability nel processo
di valutazione bottom-up, con particolare riferimento alla possibilità di
identificare il soggetto che formula il giudizio; dai punti di forza e punti di
debolezza della valutazione bottom-up alle reazioni dei dirigenti ai feedback
ricevuti dai propri collaboratori, passando per l’analisi dei comportamenti
che i collaboratori considerano importanti nella valutazione dei dirigenti.
Si tratta di contributi scientifici che polarizzano l’attenzione su singoli
aspetti della problematica trattata. Di studi che si soffermino, in modo
sistematico, sul processo di progettazione di un upward appraisal system
non se ne registrano.
Inoltre, i lavori disponibili sulla valutazione bottom-up ritengono, per
lo più, possibile la generalizzazione dei risultati ottenuti, senza mettere in
adeguato risalto la circostanza che un modello di valutazione “dal basso
verso l’alto” debba essere sempre “confezionato ad arte”, in base alla
“cultura” che l’azienda ha potuto sedimentare nel corso del tempo. Non è
questo un aspetto scontato, di poco conto. È questa una questione rilevante
e sostanziale, nella prospettiva dell’introduzione dell’upward appraisal.
Con precipuo riferimento al processo di progettazione dell’upward appraisal, alcuni elementi debbono essere, secondo la nostra opinione, preliminarmente indagati. Ci riferiamo, in particolare, alle finalità che si intendono
assegnare alla valutazione, all’oggetto della valutazione e agli strumenti di
raccolta dei feedback dei collaboratori. Errori commessi in questa delicata
fase potrebbero, infatti, vanificare gli sforzi compiuti con notevole spreco
di energie, tempo e risorse finanziarie.
Per ciò che attiene alle finalità della valutazione, registriamo in dottrina
due distinti punti di vista: quello di chi ritiene che alla valutazione dei collaboratori non debbano essere associate conseguenze immediate sul piano
“amministrativo” e quello degli studiosi che al contrario non si sentono di
escludere che ciò possa verificarsi, che cioè la valutazione bottom-up possa
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La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
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rappresentare, altresì, un utile elemento conoscitivo nella formulazione del
giudizio finale sulla performance manageriale.
In ambedue i casi, vi è perfetto accordo sul fatto che la valutazione dei
collaboratori stimola il miglioramento individuale del dirigente.
Alla luce delle analisi effettuate, riteniamo di poter propendere per la
seconda tesi, purché l’amministrazione interessata sia pervasa da un “clima
organizzativo” positivo. Al fine di appurare i livelli di benessere organizzativo dovranno essere esperite indagini ad hoc.
Per ciò che attiene all’oggetto della valutazione, la dottrina economicoaziendale e non solo è piuttosto unanime nel ritenere che i collaboratori
debbano esprimersi con riferimento ai comportamenti organizzativi del
dirigente e non rispetto al grado di raggiungimento degli obiettivi programmati. I collaboratori, infatti, non possiedono i requisiti professionali
richiesti per presidiare le fasi di definizione degli obiettivi, verifica dei
risultati, interpretazione degli scostamenti, ecc., né possono formarsi un
giudizio d’insieme sull’operato del dirigente, potendolo osservare solo dal
loro angolo visuale.
Per ciò che attiene, infine, agli strumenti di raccolta dei feedback, nel
presente lavoro si è polarizzata l’attenzione sul metodo del questionario
che, nel caso specifico della valutazione bottom-up, offre grandi opportunità.
Particolarmente delicata appare la scelta della metodologia di somministrazione del questionario (intervista personale o autocompilazione).
Le analisi sviluppate nel presente lavoro prendono spunto dagli studi che
la dottrina economico-aziendale – e non solo – ha fatto registrare sull’argomento nell’ultimo ventennio. Intendiamo “testare” le conclusioni cui siamo
pervenuti appena possibile, raccogliendo il punto di vista dei dirigenti sui
diversi temi trattati. A tal fine, è nostra intenzione sottoporre ai dirigenti alcuni
quesiti che attengono alle finalità da assegnare alla valutazione bottom-up
(“amministrative” o connesse al miglioramento della performance del dirigente); all’opportunità di assegnare un “peso” alla valutazione bottom-up ai
fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato al dirigente; all’individuazione delle competenze che possono essere valutate da tutti i collaboratori,
nonché delle competenze che, al contrario, si prestano ad essere valutate
soltanto da una parte di essi; all’indicazione delle competenze che meglio
qualificano il profilo manageriale (cui assegnare, di conseguenza, maggiore
importanza ai fini della valutazione bottom-up); all’opportunità di portare a
conoscenza del valutato il giudizio espresso da ciascun collaboratore; alle
modalità di somministrazione del questionario da impiegare nel processo di
valutazione; all’utilità di diffondere i risultati finali della valutazione bottomup all’interno e/o all’esterno dell’ente.
Nella prospettiva descritta, abbiamo già preso contatti con i dirigenti
delle amministrazioni provinciali e comunali della Regione Puglia.
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La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche
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Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management
Approach: alcune riflessioni
Simona Bonetti
Dottore di ricerca in Economia e Strategia Aziendale presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca – Facoltà di
Economia – Dipartimento di Economia Aziendale e Cultore della materia presso l’Università degli Studi di Bergamo –
Facoltà di Economia – Dipartimento di Economia Aziendale
Sommario: 1. Introduzione. 2. L’emanazione dei principi contabili internazionali nell’ambito della riforma contabile
della pubblica amministrazione. 3. Principi contabili nazionali e internazionali a confronto: analisi di alcune differenze.
4. Riflessioni e proposte di revisione degli IPSAS e dei sistemi contabili degli enti locali. 5. Conclusioni.
L’introduzione in ambito pubblico di principi contabili internazionali suscita attualmente ampio
dibattito, soprattutto in merito alla potenzialità informativa legata ad un loro utilizzo.
Obiettivo del presente lavoro è indagare ed evidenziare i vantaggi, i limiti e gli effetti sul bilancio in
termini di informativa e accountability derivanti dall’adozione degli IPSAS attualmente previsti per
il settore pubblico, attraverso una disamina dell’impianto contabile proposto dai principi contabili
internazionali ed un confronto con quello scaturente dai principi contabili nazionali italiani.
Il contributo che tale articolo si prefigge è quello di suggerire una proposta di revisione dei sistemi contabili
degli enti locali, al fine di superare o migliorare i limiti informativi individuati nel corso della trattazione.
The introduction of International Public Sector Accounting Standards (IPSAS) is currently stirring up
a broad debate, particularly about the informative potentiality connected with their use.
In this work, we proceeded to compare the different accounting procedures provided for the representation of business transactions by the Italian accounting standards with the ones established by
the international accounting standards, emphasizing their advantages, their limits and their effects
on the financial statements in terms of disclosure and accountability.
Through this article we would like to suggest a proposal in order to review the accounting systems
of local authorities, so that the informative limits we emphasized in this discussion could be overcome or improved.
Parole chiave: principi contabili internazionali applicabili al settore pubblico –
contabilità finanziaria ed economico-patrimoniale – riforme dei sistemi contabili pubblici
Key words: International Public Sector Accounting Standards –
local government accounting – accruals and budgetary accounting
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L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
1. Introduzione
Il processo di “aziendalizzazione” che ha contraddistinto i sistemi amministrativi pubblici di molteplici Paesi occidentali a partire dagli anni settanta
del secolo scorso si è tradotto in un processo di acquisizione di criteri di
gestione economico-aziendali tipici del settore privato, comportando molteplici risvolti anche sotto il profilo contabile.
Coerente con tale fenomeno risulta essere l’operato dell’International
Public Sector Accounting Standard Board (IPSASB) che, attraverso l’emanazione dei principi contabili internazionali per il settore pubblico, sembra
perseguire come finalità quella di avvicinare i sistemi contabili e gestionali
degli enti locali a quelli di natura privatisitica, tenendo tuttavia conto delle
peculiarità proprie delle entità economiche pubbliche, al fine di diffondere
ed affermare una “cultura manageriale negli enti locali” (D’Aristotile, Rosa,
2004).
In merito a tale priorità, espressamente contenuta nella Preface to International Public Sector Accounting Standards, si può affermare che l’operato
dei primi anni di vita dell’IPSASB è stato contraddistinto quasi esclusivamente da uno sforzo di convergenza con i principi Ias/Ifrs previsti per il
settore privato, con alcuni adattamenti che tengono conto delle specificità
del contesto pubblico.
Per tale ragione, l’applicazione degli IPSAS presuppone il passaggio da
sistemi contabili basati sulla contabilità finanziaria “cash basis” a sistemi
contabili che fanno riferimento al principio della competenza economica,
denominati “accrual basis”, così come previsto nella Preface.
Alcuni studiosi hanno evidenziato come la convergenza con la contabilità ed i principi contabili del settore privato sia necessaria sotto molteplici
aspetti:
• in primo luogo, per garantire maggiore trasparenza informativa
nei confronti dei cittadini, che devono essere in grado di giudicare
l’operato della propria amministrazione, e nei confronti dei mercati
finanziari. Tale maggiore trasparenza rappresenta infatti “un’esigenza
molto sentita dai mercati finanziari, che trovano difficoltà nel comprendere i bilanci delle amministrazioni pubbliche, i quali rappresentano
tuttavia una quota importante degli investimenti finanziari” (Pozzoli,
2006; Farneti, 2003). A tale scopo si è assistito all’introduzione di un
sistema contabile e di un sistema di bilancio simile a quello previsto
per le imprese, più facilmente comprensibile dai cittadini e, pertanto,
in grado di consentire di disporre delle informazioni atte a “render
conto” della gestione della cosa pubblica;
• in secondo luogo, per armonizzare le “regole” contabili utilizzate in
ambito pubblico dai Paesi coinvolti nell’International Federation of Accountants (IFAC), configurando sistemi contabili pubblici standardizzati, al fine di consentire la comparazione dei risultati conseguiti da altri
Azienda Pubblica 2.2010
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Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
enti aventi caratteristiche simili sia a livello nazionale che internazionale. In altre parole, l’adozione dei principi contabili internazionali ha
permesso alle entità pubbliche dei Paesi implicati nell’IFAC di adottare
un linguaggio comune in ambito contabile, allo scopo di incentivare la
confrontabilità e la chiarezza nella gestione delle risorse pubbliche. (1)
Va tuttavia evidenziato come alcuni studiosi (Pozzoli, 2005a: pp.
64 – 66; Borgonovi, 2000) auspichino che il processo di armonizzazione coinvolga l’informativa esterna e non i processi contabili e
di gestione dell’ente, che deve essere libero di scegliere la contabilità
ed i modelli di management che ritiene maggiormente adatti in relazione alle proprie peculiarità e al proprio stile di amministrazione.
A loro avviso, infatti, esigere che tutte le amministrazioni pubbliche,
naturalmente ed irrimediabilmente diverse, seguano omogenee regole
di gestione contabile interna risulta inopportuno e discutibile sotto il
profilo della legittimità costituzionale e, per tale ragione, lo standard
setter deve “possedere la caratteristica di terziarietà rispetto agli enti
di cui deve regolamentare i documenti contabili”;
• in terzo luogo, per consentire la redazione del bilancio consolidato
(Terzani, 1993; Giaccari, 1996; Grossi, 2002), al fine di fornire
informazioni complete anche sulle attività esternalizzate dall’ente.
La tendenza ad assegnare la gestione di determinati servizi pubblici
ad aziende esterne o a società di diritto privato, partecipate da enti
della pubblica amministrazione che svolgono sulle stesse funzioni di
coordinamento (Anselmi, 2001: pp. 33-34; Anselmi, 2005: p. 130),
volta a slegare la gestione di tali servizi dai vincoli ed adempimenti
burocratici propri della pubblica amministrazione, ha reso infatti
necessaria la redazione di un bilancio consolidato, in grado di informare periodicamente la collettività amministrata sui risultati conseguiti
dall’intero gruppo. Tuttavia, la redazione di un bilancio consolidato
presuppone un’armonizzazione dei sistemi contabili, ossia la redazione di un bilancio da parte degli enti pubblici compatibile con quello
utilizzato in ambito privato dalle società partecipate, che gestiscono i
servizi ad esse affidati. Emerge anche sotto questo aspetto la volontà
di promuovere la convergenza con la contabilità del settore privato,
riconoscendo l’importanza di arrivare ad una informativa contabile
uniforme, al fine di assicurare maggiore trasparenza informativa a
vantaggio di tutti i destinatari coinvolti. (2)
1 “In una Europa che tende progressivamente alla standardizzazione, pensare di continuare
ad avere una frammentazione dei sistemi contabili a livello di pubbliche amministrazioni è irragionevole...”, Pozzoli, 2005b.
2 La scelta di ricorrere all’outsourcing non è stata, tuttavia, esente da critiche (Cristofoli, 2004:
pp. 102, 118; Anselmi, 2003: p. 111), in quanto in molti casi sembra non aver funzionato
affatto (Buratti et al., 2002: p. 202) e in quanto sembra limitarsi a sviare il problema del ritardo culturale ed economico tipico degli enti pubblici nella produzione ed erogazione dei propri servizi, problema che può essere risolto definitivamente alla radice solo modificando completamente gli atteggiamenti assunti da parte del cosiddetto “capitale umano”, agendo “prioritariamente sulla cultura dell’amministrazione” (Borgonovi, 1999: p. 63).
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L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
L’introduzione in ambito pubblico di principi contabili internazionali, che
ricalcano in buona sostanza quelli previsti per le imprese in ambito privato,
suscita, tuttavia, attualmente ampio dibattito, notevoli riflessioni e perplessità,
soprattutto in merito alla potenzialità informativa legata ad un loro utilizzo.
Obiettivo del presente lavoro è indagare ed evidenziare i vantaggi,
i limiti e gli effetti sul bilancio in termini di informativa e accountability
derivanti dall’adozione degli IPSAS attualmente previsti per il settore pubblico, ponendo a confronto i diversi trattamenti contabili prescritti per la
rappresentazione delle operazioni aziendali dalla normativa e dai principi
contabili nazionali italiani rispetto a quelli internazionali.
Il contributo che tale articolo si prefigge è quello di fornire al lettore, attraverso una disamina dell’impianto contabile proposto dai principi contabili
internazionali ed un confronto con quello scaturente dai principi contabili
nazionali italiani, spunti di riflessione sull’utilità legata all’applicazione degli
IPSAS, individuando proposte per superare o migliorare i limiti informativi
individuati nel corso della trattazione.
2. L’emanazione dei principi contabili internazionali nell’ambito
della riforma contabile della pubblica amministrazione
Il problema dell’insoddisfazione nei riguardi del funzionamento del settore
pubblico ha riguardato molte nazioni ad economia avanzata, rendendo indispensabile provvedere ad introdurre profonde innovazioni e riforme, volte a
migliorare le performance del settore pubblico, attraverso il recepimento da
parte degli enti pubblici di criteri di gestione economico-aziendali tipici del
settore privato, volti a conseguire “condizioni gestionali di competitività affini a
quelle delle imprese che operano nel mercato” (Cristofoli, 2004: p. 102).
Tali processi di rinnovamento (3) hanno implicato l’assunzione, anche in
ambito pubblico, di una cultura volta, in primo luogo, a raggiungere apprezzabili livelli di efficacia, ossia a massimizzare la soddisfazione dei bisogni
dei cittadini, visti come i “clienti” dell’azienda pubblica, fornendo agli stessi
le informazioni necessarie per controllare l’operato degli amministratori,
nel rispetto della logica del controllo democratico ed, in secondo luogo, a
ricercare condizioni di gestione efficienti, responsabilizzando maggiormente
i dirigenti al raggiungimento degli obiettivi prestabiliti.
La volontà di analizzare i fatti di gestione ed i risultati conseguiti dall’ente
in termini di economicità, efficienza ed efficacia ha reso inadeguati i tradizionali sistemi contabili, rendendo necessario procedere ad introdurre dei cambiamenti anche in ambito contabile (Caperchione, 2000: pp. 51-52, 70),
3 Definiti con la terminologia “diffusione del New Public Management Approach” (N.P.M.)
o “aziendalizzazione degli enti locali” (G. Farneti, S. Pozzoli, 2005: p. 3). Per una disamina degli elementi distintivi di tale approccio si veda: Lawrence e Thompson, 1997: pp. 567586; Meneguzzo, 1997: pp. 587-606; Gruening, 1998: pp. 669-691; tabella tratta da Larbi, 1999: pp. 14-15; Roots, 2001: pp. 317-329; Steccolini, 2002: pp. 137-154; Cepiku,
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Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
volti a sperimentare nuovi metodi di accountability, attribuendo maggiore
rilevanza ad approcci di contabilità “accrual basis”, basati sulla contabilità economica ed abbandonando o ridimensionando la contabilità “cash
basis”, ossia quella finanziaria, utilizzata in sede di autorizzazione politica
(bilancio di previsione). (4)
Coerente con il processo di acquisizione di criteri di gestione economicoaziendali tipici del settore privato risulta essere l’operato dell’IPSASB nei primi anni di vita, caratterizzato principalmente da uno sforzo di convergenza
con i principi Ias/Ifrs previsti per il settore privato, (5) al fine di avvicinare i
sistemi contabili e gestionali degli enti locali a quelli di natura privatistica.
Nella presente trattazione, appare utile provvedere ad inserire una
disamina dell’impianto complessivo proposto dai principi contabili internazionali, avendo particolare riguardo delle finalità e del sistema di contabilità
e bilancio che lo contraddistinguono, attraverso un confronto con l’impianto
previsto a livello nazionale in Italia dal documento intitolato “Finalità e i
postulati dei principi contabili per gli enti locali” emanato dall’Osservatorio
per la finanza e la contabilità degli enti locali.
In merito alle finalità perseguite, l’IPSAS 1 ritiene che il bilancio abbia
quale scopo principale quello di fornire ai destinatari di bilancio informazioni attendibili di tipo finanziario, economico e patrimoniale sulla società,
necessarie per prendere le decisioni più opportune e per individuare le
responsabilità all’interno dell’ente pubblico.
Il documento redatto dall’Osservatorio prevede, invece, delle finalità
del bilancio riconducibili a tre diverse funzioni: una funzione politicoamministrativa (il bilancio viene visto come uno strumento essenziale per
permettere all’organo politico di esercitare i poteri di indirizzo e controllo
sull’organo esecutivo), una funzione economico-finanziaria (il bilancio
fornisce informazioni di tipo finanziario che consentono di conoscere la
destinazione prevista per le entrate in sede di previsione e di verificare il loro
corretto impiego) e una generale funzione informativa, dando indicazioni
sotto l’aspetto finanziario, patrimoniale ed economico.
L’individuazione di tali finalità è in perfetta sintonia con le categorie di
stakeholder individuate e considerate dall’Osservatorio, e si presenta molto
più esaustiva e completa rispetto a quelle individuate dai principi contabili
internazionali, che tendono a privilegiare unicamente le esigenze informative
dell’investitore, visto quale stakeholder privilegiato.
Infatti, l’Osservatorio della finanza e della contabilità degli enti locali
ha elencato con chiarezza, al punto 19 dei principi contabili emanati dallo
stesso, i vari destinatari dell’informativa di bilancio, annoverando tra gli
4 Per una rassegna dei principali limiti del sistema contabile tradizionale, soprattutto in relazione alla limitata potenzialità informativa in termini di misurazione dei risultati, si veda: Borgonovi, 1988: p. 181; Borgonovi, 2000: pp. 252-261; D’Aries, 1997; Caperchione, 1999;
Caperchione, 2000: pp. 70-71; Farneti, 2000: p. 236; Anessi Pessina, 2000: p. 29; Mussari, 2005: pp. 39-40; Maurini, 2005.
5 Infatti, molti dei principi contabili internazionali previsti per il settore pubblico e, più precisamente, i primi 21, ricalcano, laddove possibile, quelli in vigore per le imprese (Ias/Ifrs).
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Azienda Pubblica 2.2010
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
stessi tutti i portatori di interesse, che utilizzano il bilancio per soddisfare le
proprie esigenze informative. Il quadro framework IPSAS non è altrettanto
esauriente nell’elencare i destinatari dell’informativa di bilancio: esso reputa quale destinatario privilegiato del bilancio il finanziatore, in quanto
rappresenta il soggetto che fornisce all’azienda il capitale di rischio (ne è
prova il fatto che, come ribadito più volte, gli IPSAS ricalcano, salvo alcuni
adattamenti, i principi Ias/Ifrs previsti per le imprese).
Tale atteggiamento non è tuttavia condiviso da molti autori (Ricci, 2005),
che hanno evidenziato il fatto che il vero soggetto economico di un ente pubblico, ossia il principale portatore di interessi di un ente locale, è il cittadino,
in qualità di utente dei servizi erogati, di elettore e di contribuente. (6)
In merito al sistema di contabilità, l’IPSAS 1 si riferisce esclusivamente
ad una contabilità economico-patrimoniale, prevedendo un bilancio molto
simile a quello prescritto per le imprese, composto da: Stato Patrimoniale,
Conto Economico, Rendiconto finanziario, Prospetto delle variazioni del
Patrimonio netto, Principi contabili e note al bilancio. Gli IPSAS tendono,
infatti, a privilegiare i documenti provenienti dalla contabilità economicopatrimoniale, tipica delle imprese, e ad attribuire maggiore importanza ai
documenti utilizzati in sede di rendicontazione, in grado di rappresentare i
risultati effettivamente conseguiti durante l’espletamento dell’attività pubblica
sotto il profilo patrimoniale, finanziario e economico e “più immediatamente
comprensibili, perché – a differenza della documentazione finanziaria – sono
pensati per un solo fine: informare i terzi” (Pozzoli, 2005a: pp. 56-61).
I principi contabili italiani previsti dall’Osservatorio, invece, fanno riferimento ai fondamenti dei sistemi finanziari autorizzatori. Tale aspetto è
ravvisabile, in primis, nella struttura di bilancio prevista da tale documento
per gli enti locali, caratterizzata:
- a livello preventivo, dalla redazione di tutti quei documenti tipici dei
sistemi contabili finanziari, costituiti dalla relazione previsionale e
programmatica, dal bilancio annuale di previsione, dal bilancio pluriennale, dal Piano esecutivo di gestione e dagli allegati al bilancio
di previsione (punto 11 del documento);
- solo a livello consuntivo viene prevista la redazione di documenti
che contengono dati di carattere economico-patrimoniale (conto
economico e conto del patrimonio), limitandosi tuttavia ad auspicare
un atteggiamento contabile più economico e invitando gli enti a predisporre una documentazione informativa supplementare di natura
patrimoniale ed economica da allegare alla relazione previsionale
e programmatica (punto 28 del documento).
Inoltre, il legislatore italiano ha lasciato i vari enti locali liberi di scegliere
il sistema contabile a loro più idoneo, limitandosi a prevedere come obbligatorio un sistema contabile economico di tipo minimale, senza prevedere
6 Da tale affermazione ne deriva l’importanza di alcuni strumenti, quali gli indicatori di qualità, volti a misurare il grado di “customer satisfaction” raggiunto (Giusepponi, 1993: p. 193;
Mazzara, 2000: pp. 459-468).
Azienda Pubblica 2.2010
282
Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
l’obbligatorietà della tenuta di un sistema di contabilità economica in partita
doppia giorno per giorno.
Ne deriva che il sistema contabile previsto dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali tende a privilegiare ancora tutti quei
documenti tipici della contabilità finanziaria.
La diversa rilevanza assunta dalla contabilità finanziaria e da quella
economica nel sistema informativo contabile di un Paese risulta fortemente
influenzata dal contesto politico e sociale del Paese stesso e dalle funzioni
attribuite agli enti locali in tale contesto: in merito a tale aspetto, alcuni
autori (Anessi Pessina, 2000: p. 35) hanno infatti evidenziato come la
rilevanza attribuita alla contabilità economico-patrimoniale sia maggiore
nei Paesi contraddistinti dalla presenza di enti locali che assumono sempre
più la veste di “holding” rispetto a quelli dove gli enti locali continuano
a tenere presso di sé le funzioni tradizionali. Nella prima ipotesi, infatti,
l’utilizzo della contabilità economica faciliterebbe la redazione di bilanci
omogenei a quelli utilizzati dalle aziende partecipate di diritto privato
e, conseguentemente, la redazione di bilanci consolidati in grado di
evidenziare la gestione del gruppo nel suo complesso, al fine di fornire
un “quadro fedele dell’entità economica costituita dal gruppo” (Terzani,
1993). Per tali ragioni, il passaggio a sistemi contabili di tipo “accrual
basis” sta avvenendo nelle varie nazioni in modi difformi e ha avuto inizio
in tempi diversi.
Le differenze nel passaggio a sistemi “accrual basis” riguardano prevalentemente i seguenti aspetti (Lüder, Jones 2003):
a) l’introduzione di un sistema “accrual accounting”, ossia di un sistema
di contabilità economica: in merito a tale aspetto, la tabella n. 1
mostra la diversa tempistica (Lüder, Jones 2003; Wynne, 2008: p.
118) con cui è avvenuto il passaggio a sistemi “accrual accounting” in
alcuni Stati europei, mettendo in evidenza come la riforma contabile
che ha caratterizzato il settore pubblico sia iniziata in talune nazioni
già negli anni Settanta, mentre in altre (quali l’Italia) riguardi, ancora
oggi, solo le amministrazioni locali (proprio in Italia, per le amministrazioni centrali risulta essere ancora applicata esclusivamente la
tradizionale contabilità “cash basis”);
Tabella 1 – Periodo di inizio del passaggio a sistemi contabili “accrual basis” in Europa
1978-1989
Local
Governments
Central
Governments
Svizzera
Paesi Bassi
Svezia
1990-1999
2000-2005
Spagna
Francia
Finlandia
Regno Unito
Germania
Italia
Spagna
Finlandia
Svezia
Regno Unito
Svizzera
Francia
2009
Germania
(riforma non
ancora
operativa)
Non ancora iniziate
Italia
Paesi Bassi
Fonte: (Lüder, Jones 2003; Wynne, 2008: p. 118)
283
Azienda Pubblica 2.2010
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
b) l’introduzione di un sistema di “accrual accounting and budgeting”:
l’aggettivo accrual può infatti far riferimento sia alla contabilità che al
bilancio di previsione. In merito a tale aspetto, è doveroso sottolineare
come in alcuni Paesi (quali, Svizzera e Regno Unito) l’introduzione
della contabilità economica abbia coinvolto anche l’attività di “budgeting”, potendo definire il loro sistema contabile con la terminologia
“Accrual Accounting and Budgeting”, mentre in altri sussista ancora
un sistema di “accrual accounting” e “cash budgeting”, rimanendo
la fase di previsione ancorata alla contabilità finanziaria (si pensi,
ad esempio, agli enti locali italiani) (Lüder, Jones 2003). (7)
Tale situazione risulta essere la diretta conseguenza della scelta compiuta
dai vari legislatori nazionali di:
- prevedere la coesistenza della contabilità finanziaria con quella
economica-patrimoniale, al fine di assicurare i benefici di entrambi i
sistemi di accountability, superandone nel frattempo i limiti (Farneti,
2000, Christiaens, Vanhee, 2002; Monsen, 2002);
- alternativamente, prevedere la sostituzione della tradizionale contabilità cash basis con quella economica.
A tal proposito, risulta doveroso evidenziare come in certi casi, quali il
Regno Unito, (8) il passaggio alla contabilità economica sia stato realizzato
integralmente, introducendo un sistema basato esclusivamente su criteri di
competenza economica, nei quali la contabilità economico-patrimoniale
ha sostituito e non solo affiancato quella finanziaria tradizionale. In altri
casi si è concretizzato solo parzialmente, prevedendo l’introduzione di un
sistema contabile di tipo misto, contrassegnato non dall’eliminazione della
contabilità finanziaria, che continua ad essere mantenuta in relazione alla
sua funzione autorizzatoria e di garanzia degli equilibri di bilancio tra entrate e spese, ma dalla sua integrazione con quella economico-patrimoniale
(Khan A., Mayes S., 2009: p. 2).
In Francia, ad esempio, nonostante in via formale il principio di rilevazione contabile da adottare per pervenire alla redazione del conto
economico e dello stato patrimoniale sia quello della competenza economica, l’applicazione di tale principio è prevista solo in sede di scritture di
assestamento alla fine dell’esercizio, mentre durante l’anno la contabilità
è guidata prevalentemente da logiche di cassa, con finalità autorizzatorie
giuridiche (Alvino, 2005; Caperchione, Steccolini, 2000).
Anche in Italia il legislatore ha preferito mantenere per le amministrazioni locali, la contabilità finanziaria, per la sua funzione autorizzatoria,
affiancando alla stessa una contabilità economica-patrimoniale, senza
7 Anche a livello di governo centrale, Lüder provvede a suddividere i Paesi nei quali è stata introdotta la contabilità economica in due parti: quelli caratterizzati da un sistema di “accrual and budgeting accounting”, costituiti dalla Svizzera e dal Regno Unito; quelli contraddistinti da un sistema di “accrual accounting” e “cash budgeting”, rappresentati dalla Spagna,
Francia, Finlandia, Svezia e Germania (benché in Germania la riforma contabile non sia ancora operativa a livello centrale).
8 Per un approfondimento si veda D’Amore, 2005.
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Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
tuttavia prevedere l’obbligo di adottare un sistema contabile economico e
patrimoniale da tenersi in corso d’anno, utilizzando il metodo della partita
doppia, ma limitandosi a prevedere come obbligatoria la tenuta di un sistema contabile minimale, caratterizzato dalla rilevazione delle operazioni
gestionali sotto il profilo economico solo al termine dell’esercizio, apportando
le modifiche necessarie ai dati finanziari rilevati in corso d’anno.
In Germania, la Conferenza permanente dei Ministri dell’interno dei
Länder (Stati), a cui compete l’emanazione delle leggi di contabilità, ha
evidenziato un orientamento di favore verso il passaggio al sistema di
competenza economica (Caperchione, 2005: p. 94), delegando agli Stati
(Länder) il compito di legiferare sui sistemi di rilevazione locali, scegliendo
tra due sistemi alternativi, in base alle proprie caratteristiche (9): un sistema
tipicamente economico-patrimoniale e un sistema misto, caratterizzato
dalla presenza contestuale di una contabilità finanziaria e una contabilità
economica.
Va tuttavia sottolineato che alcuni sostenitori della contabilità economica
hanno messo in rilievo talune perplessità legate alla previsione di un sistema
contabile di tipo misto, in quanto ritengono, in primo luogo, che la contabilità economica possa svolgere, come avviene già nei Paesi anglosassoni,
funzioni autorizzatorie, attraverso la redazione di un budget e, in secondo
luogo, in quanto sostengono che la previsione di due contabilità con orientamenti diversi possa provocare forte ambiguità, persino una profonda
contraddizione del sistema (Pozzoli, 2005a: pp. 59-60). Tale tematica sarà
trattata in maniera più approfondita nel successivo paragrafo 4.
Alcuni studiosi (Lüder, Jones 2003) hanno inoltre messo in evidenza come
gli IPSAS abbiano avuto un impatto limitato nelle riforme contabili dei Paesi
europei, dovuto principalmente ai seguenti fattori:
- le riforme contabili sono iniziate prima della disponibilità degli IPSAS;
- le traduzioni autorizzate dei testi in inglese non sono disponibili;
- gli IPSAS fanno riferimento a principi e regole del settore privato e,
pertanto, sembrano di limitato uso in ambito pubblico;
- nell’Europa continentale le regole contabili vengono tradizionalmente stabilite dalla legge e non da organismi esterni internazionali o
nazionali.
3. Principi contabili nazionali e internazionali a confronto:
analisi di alcune differenze
Dopo aver inquadrato l’emanazione di principi contabili internazionali
destinati al settore pubblico nell’ambito del processo di riforma contabile
della pubblica amministrazione, evidenziando le finalità perseguite con il
9 Ad esempio, negli Stati caratterizzati dalla presenza di enti di piccole dimensioni, quali la
Baviera, lo Stato lascerà probabilmente la possibilità agli enti locali di optare tra la contabilità economico-patrimoniale ed il cameralismo allargato.
285
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L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
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loro recepimento, appare doveroso procedere a focalizzare l’attenzione
sul confronto di tali principi contabili con quelli nazionali italiani, al fine
di cogliere alcune differenze, per poter sviluppare riflessioni e individuare
delle proposte in merito alla loro applicazione.
Sull’argomento, appare doveroso evidenziare il fatto che i principi contabili internazionali consentono a ciascun ente di presentare un bilancio in
base alle proprie esigenze e peculiarità, attribuendo allo stesso il potere
discrezionale di scegliere la struttura, l’ordine di esposizione delle voci contabili più consono e i criteri di valutazione di alcuni elementi patrimoniali.
Tale libertà è ravvisabile in molteplici IPSAS e viene schematicamente
messa in evidenza nella tabella 2, attraverso un confronto tra la normativa
ed i principi contabili italiani rispetto ai principi contabili internazionali in
ambito pubblico.
Tabella 2 – Differenze principali tra prospetti contabili previsti dai principi contabili internazionali e
italiani
IPSAS
Principi contabili nazionali italiani
Stato patrimoniale / Conto del patrimonio
1) Forma
del prospetto
L’IPSAS 1 lascia ampia libertà ai redattoForma obbligatoria a sezioni divise prevista
ri dei prospetti, prevedendo solo criteri
dal d.P.R. n. 194/1996
di massima a cui fare riferimento
2) Contenuto
del prospetto
L’IPSAS 1 non prescrive uno schema
rigido, né un ordine preciso da rispettare
nell’esposizione delle voci patrimoniali,
limitandosi a fissare il contenuto minimo
obbligatorio
1) Forma
del prospetto
L’IPSAS 1 non prevede una forma
obbligatoria da adottare, lasciando
ampia libertà ai redattori del prospetto
Il d.P.R. n. 194/1996 prevede
una forma scalare obbligatoria
2) Contenuto
del prospetto
L’IPSAS 1 si limita a prevedere
un contenuto minimo per tale prospetto,
lasciando ampia libertà ai redattori
del prospetto
Il d.P.R. n. 194/1996 prevede una struttura
rigida, nel senso che le voci contenute devono
essere le medesime per tutti gli enti e devono
essere evidenziate rispettando l’ordine
prescritto dalla norma
È prevista una struttura rigida, nel senso che
le voci contenute devono essere le medesime
per tutti gli enti e devono essere evidenziate
rispettando l’ordine prescritto dalla norma
Conto economico
È possibile scegliere se presentare
3) Criteri
un conto economico con i costi
di classificazione
classificati per natura oppure
dei costi
per destinazione
4) Esposizione
gestione
accessoria
Non statuendo una struttura rigida
di conto economico obbligatoria
da adottare, gli IPSAS consentono
di evidenziare separatamente
il contributo dato alla gestione operativa
dalla gestione caratteristica
e da quella accessoria
È prevista una struttura a costi e ricavi
della produzione ottenuta,
con una classificazione dei costi in base
alla natura dei fattori produttivi acquisiti
Il d.P.R. n. 194/1996 prevede un contenuto
del conto economico che consente di esprimere
i risultati della gestione operativa,
finanziaria e straordinaria, senza però
specificare il contributo dato alla gestione
operativa dalla gestione caratteristica
e da quella accessoria
(segue)
Azienda Pubblica 2.2010
286
Esperienze innovative
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IPSAS
Principi contabili nazionali italiani
Rendiconto finanziario/Conto del bilancio
1) Forma
del prospetto
L’IPSAS 2 lascia ampia libertà al redatto- Il d.P.R. n. 194/1996 prevede una forma
re del prospetto
obbligatoria per il conto del bilancio
2) Contenuto
del prospetto
L’IPSAS 2 non prescrive un contenuto
obbligatorio, limitandosi a prevedere
la necessità di presentare i flussi finanziari di cassa distintamente a seconda
che derivino dall’attività operativa,
dall’attività di investimento e dall’attività
di finanziamento
Il d.P.R. n. 194/1996 prevede uno schema
obbligatorio per il contenuto del conto
del bilancio, in quanto sia le voci di entrata
che di spesa previste dalla normativa italiana,
in cui si articolano i flussi finanziari positivi
e negativi, risultano inderogabili
3) Gestione
considerata
Considera i flussi finanziari di cassa.
Pertanto considera la gestione di cassa
Il conto del bilancio degli enti locali considera
sia la gestione di competenza finanziaria,
di cassa, che dei residui
Valutazione delle immobilizzazioni materiali
Gli IPSAS adottano criteri di valutazione
diversi a seconda del carattere strumentale
o accessorio del bene all’attività di produzione ed erogazione dei servizi dell’ente
I principi contabili nazionali non adottano
criteri di valutazione diversi a seconda
del carattere strumentale o accessorio
del cespite
Gli IPSAS consentono agli enti
di scegliere se applicare quale criterio
di valutazione dei propri beni il cost
model oppure adeguare il valore
di iscrizione di tali beni al fair value
Il sistema ordinario previsto dai principi
contabili nazionali per la valutazione
delle immobilizzazioni materiali fa riferimento
al criterio del costo (non consente
l’adeguamento del valore al fair value)
Fonte: Ipsas 1, 2, 6 e 7; d.P.R. n. 194/1996; d.lgs. 77/1995; principi contabili italiani previsti dall’Osservatorio per
la finanza e la contabilità degli enti locali.
In primo luogo, in merito alla forma con cui vengono esposte le voci
di Stato Patrimoniale, l’IPSAS 1 lascia ampia libertà ai redattori dei prospetti, prevedendo solo i criteri di massima a cui fare riferimento. I principi
contabili internazionali previsti per il settore pubblico consentono infatti a
ogni ente pubblico di scegliere se classificare i propri elementi patrimoniali
distinguendo le attività e le passività tra correnti e non correnti, oppure,
alternativamente (IPSAS 1, par. 75), in base a criteri di liquidità crescenti o
decrescenti, nel caso in cui questo criterio fornisca informazioni attendibili
e più significative. Diversamente, in Italia, il Testo Unico degli enti locali
delega ai regolamenti attuativi l’approvazione del relativo schema, che è
stato recepito nel modello n. 20 contenuto nel d.P.R. n. 194/1996, prevedendo l’utilizzo della forma a sezioni divise, coerentemente con la tradizione
italiana. Il legislatore italiano ha optato, con l’approvazione del modello n.
20 contenuto nel d.P.R. n. 194/1996, per un conto del patrimonio di tipo
misto, nel senso che coesistono sia aspetti di tipo destinativo-soggettivo che
di tipo finanziario, anche se prevalgono quelli della prima tipologia. Per
quanto riguarda le voci del passivo appare prevalere una classificazione
delle stesse fondata su una logica di tipo soggettivo: l’art. 108 del Principio
contabile n. 3 per gli enti locali al riguardo prevede che “(la logica classificatoria) del passivo rispetta la natura delle fonti di finanziamento”, dove
con “natura delle fonti di finanziamento” si intende la provenienza delle
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L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
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risorse finanziarie aziendali, sia in termini soggettivi che giuridici.
Anche in merito al contenuto del prospetto di Stato Patrimoniale, l’IPSAS
1 non prescrive uno schema rigido, né tanto meno un ordine preciso da
rispettare nell’esposizione delle voci patrimoniali, dando ampia libertà ai
redattori di bilancio, limitandosi a fissare il contenuto minimo obbligatorio
(IPSAS 1, par. 89) e prevedendo la necessità (IPSAS 1, par. 90) di aggiungere voci qualora un altro IPSAS lo richieda o quando risulta essenziale per
ottenere una rappresentazione fedele della situazione dell’ente considerato.
Viceversa, la struttura del conto del patrimonio previsto dalla normativa
italiana è rigida, nel senso che le voci in esso contenute devono essere le
medesime per tutti gli enti e devono essere evidenziate rispettando l’ordine
prescritto dalla norma.
In secondo luogo, anche con riferimento alla forma e al contenuto del
conto economico, l’IPSAS 1 non prevede una struttura rigida di conto economico obbligatoria da adottare, lasciando ampia libertà ai redattori dei
prospetti e limitandosi a dettare alcuni criteri di massima a cui fare riferimento
e a prevedere un contenuto minimo per tale prospetto (IPSAS 1, par. 101),
dal quale emerge la necessità di individuare dei risultati parziali afferenti
alle diverse aree dell’attività gestionale dell’ente. Il modello n. 17 di cui
al d.P.R. n. 194/1996 prevede invece una forma scalare, consentendo di
evidenziare alcuni risultati intermedi, particolarmente utili a scopo informativo, e presenta una struttura rigida, in quanto le voci in esso contenute
devono essere le stesse per tutti gli enti locali e devono essere esposte nel
rispetto dell’ordine richiesto dalla norma, salvo la possibilità di fornire poi
in un ulteriore documento informazioni più dettagliate (D’Aristotele, Rosa,
2002: p. 190).
L’ampia libertà data dai principi contabili internazionali ai redattori del
consuntivo permette agli stessi di scegliere se presentare un conto economico
con i costi classificati per natura oppure per funzione di destinazione. La
scelta tra le due diverse tipologie di classificazione dei costi è lasciata al
singolo ente in base alle proprie necessità e peculiarità (IPSAS 1, par. 112).
Viceversa, il conto economico previsto dal d.P.R. n. 194/1996 prevede, al
fine di semplificare la redazione del prospetto e di ridurre il grado di soggettività nella ripartizione dei costi in base alla loro destinazione funzionale, una
struttura a costi e ricavi della produzione ottenuta, con una classificazione
dei costi in base alla natura dei fattori acquisiti, ossia in base alla causa
economica che li ha generati. (10) Un conto economico con la suddivisione
dei costi per natura offre il vantaggio di presentare un soddisfacente grado
di oggettività rispetto ad un conto economico che classifica i costi per destinazione, tenuto conto dell’elevato grado di soggettività insito nel riparto
dei costi tra le aree funzionali tipiche dell’azienda, riparto che richiede la
10 La rappresentazione dei costi per natura presenta il vantaggio di assumere uno stretto collegamento con il contenuto del conto del bilancio, che prevede una suddivisione della spesa per interventi sulla base della natura economica dei fattori produttivi nell’ambito di ciascun servizio.
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Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
tenuta di una contabilità analitica; questa classificazione presenta tuttavia
lo svantaggio di offrire un limitato valore segnaletico se confrontato con le
informazioni che è possibile trarre in alternativa da una ripartizione dei
costi per destinazione, non consentendo “soprattutto per quanto attiene
all’attività ordinaria dell’ente, la comprensione delle dinamiche correlate alle
differenti aree gestionali tipiche” (Andrei, 1996: p. 169) o riferite ai singoli
servizi (Farneti, 2004: p. 131). È doveroso sottolineare il fatto che alcuni
autori hanno definito la possibilità di prevedere una suddivisione dei costi
per destinazione “suggestiva ma non perseguibile nella sua applicazione
letterale” (Andrei, 1996: pp. 169-170), considerato sia il notevole impegno
economico, amministrativo e contabile che una suddivisione del genere
richiederebbe, sia l’elevato grado di soggettività insito nel riparto dei costi
comuni tra i vari servizi o centri di costo, il tutto a discapito della chiarezza
e rilevanza dei risultati ottenuti. Inoltre, i principi contabili internazionali,
non statuendo una struttura rigida di conto economico obbligatoria da
adottare, ma attribuendo ampia libertà ai redattori dei prospetti, consentono
a questi ultimi di evidenziare separatamente il flusso reddituale prodotto
dall’area gestionale accessoria. Viceversa, il d.P.R. n. 194/1996 prevede
un contenuto del conto economico che consente di esprimere i risultati della
gestione operativa, finanziaria e straordinaria, senza però specificare il
contributo dato alla gestione operativa dalla gestione caratteristica e da
quella accessoria. Pertanto, un limite informativo insito nel conto economico
previsto dal d.P.R. n. 194/1996 è rappresentato dall’assenza dell’area
accessoria, con il suo contenuto “spalmato” su altre aree, in particolare su
quella caratteristica. (11)
In terzo luogo, in merito alla forma e al contenuto del rendiconto finanziario, l’IPSAS 2 non prescrive un contenuto obbligatorio, limitandosi a
prevedere la necessità di presentare i flussi finanziari di cassa distintamente
a seconda che derivino dall’attività operativa, dall’attività di investimento e
dall’attività di finanziamento. L’IPSAS 2 si limita infatti a fornire indicazioni di
massima sul contenuto di tale prospetto, senza indicare un elenco dettagliato
delle voci che vi devono essere obbligatoriamente riportate; lo dimostra il
fatto che la stessa esemplificazione riportata nel principio contabile internazionale citato non costituisce parte integrante del principio stesso, ma
solo un allegato inserito a titolo dimostrativo, per aiutare gli incaricati nella
redazione del prospetto, come sottolineato dallo stesso IPSAS 2. Il d.P.R. n.
194/1996 prevede invece uno schema obbligatorio per il contenuto e la
struttura del conto del bilancio, in quanto sia le voci di entrata che di spesa
previste dalla normativa italiana, in cui si articolano i flussi finanziari positivi
e negativi, risultano inderogabili. (12)
11 L’assenza dell’evidenziazione dell’area accessoria rappresenta anche un limite che contraddistingue il conto economico civilistico previsto dall’art. 2425 c.c. per le imprese in ambito privato.
12 Fa eccezione la suddivisione delle entrate in “risorse”, che può essere liberamente stabilita dagli enti locali in relazione alle loro necessità e peculiarità. Infatti, per le entrate, mentre i
titoli e le categorie devono seguire lo schema obbligatorio previsto dal d.P.R. n. 194/1996,
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Infine, in merito al criterio di valutazione considerato per la valutazione degli elementi patrimoniali, appare utile fare una considerazione sul
principio di prudenza: sebbene si tratti di un principio contemplato sia
dall’IPSAS 1 (Appendice 2 dell’IPSAS 1), che dal principio contabile n. 1
dell’Osservatorio degli enti locali, tali documenti conferiscono al concetto
di prudenza due accezioni diverse nel senso che:
- per i principi contabili internazionali il principio di prudenza non ha lo
scopo di garanzia dell’integrità del patrimonio dell’ente nell’interesse
dei terzi, ma ha solo la finalità di assicurare la neutralità e l’attendibilità del bilancio ed una rappresentazione fedele dei risultati e della
situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’ente pubblico.
Infatti per tali principi l’applicazione della prudenza non consente, ad
esempio, “la creazione di riserve occulte o accantonamenti eccessivi,
la sottostima deliberata di attività o ricavi o la sovrastima deliberata di
passività o costi, poiché così facendo il bilancio non sarebbe neutrale
e, quindi, non avrebbe la caratteristica dell’attendibilità”; (13)
- per i principi contabili dell’Osservatorio, invece, il principio di prudenza (punti da 85 a 90 del quadro sistematico) deve avere come
scopo la tutela dei terzi attraverso la garanzia e la difesa dell’integrità
del patrimonio. Tuttavia, pur essendo la prudenza rilevante ai fini
del processo di formazione del bilancio, anche i principi contabili
nazionali (in particolare il punto 88 del quadro sistematico) prevedono che gli eccessi vadano evitati, in quanto pregiudizievoli del
rispetto della rappresentazione veritiera e corretta della situazione
dell’ente locale, finendo per rendere il bilancio inattendibile e non
corretto. Pertanto l’applicazione di tale principio trova un limite nel
principio dell’attendibilità, dovendo mirare alla qualità di giudizi a
cui si deve ispirare il processo di formazione del sistema del bilancio
(punto 89).
Da tale diversa accezione attribuita al principio di prudenza deriva
un’ulteriore conseguenza:
- per i principi contabili nazionali non si fa alcun riferimento al fair
value come criterio di valutazione degli elementi patrimoniali, il criterio contemplato è quello del costo, con obbligo di riesame (punto
107 del documento “Finalità e postulati dei principi contabili degli
enti locali” redatto dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità
degli enti locali);
- gli IPSAS, invece, fanno riferimento all’applicazione del criterio di
valutazione al fair value, che comporta la valutazione di un reddito
potenziale rispetto ad una configurazione di reddito prodotto.
le risorse, invece, possono essere liberamente stabilite dagli enti in base alle loro specifiche
esigenze informative.
13 Ciò è espressamente previsto nell’Appendice 2 dell’IPSAS 1 in merito alla prudenza.
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Con riferimento alla valutazione delle immobilizzazioni materiali, nella
tabella n. 3 vengono sinteticamente riportati i criteri di valutazione previsti
per le immobilizzazioni materiali dai principi contabili nazionali ed internazionali.
Tabella 3 – Criteri di valutazione previsti per le immobilizzazioni materiali dai principi contabili
nazionali ed internazionali
Tipologia di bene
Valutazione in base ai principi
contabili nazionali italiani
Valutazione in base ai principi
contabili internazionali
per il settore pubblico
Immobilizzazioni strumentali
all’attività caratteristica
Valutazione al costo al netto
degli ammortamenti operati
e delle svalutazioni durevoli (*)
Valutazione al costo al netto
degli ammortamenti accumulati
e delle svalutazioni durevoli
(trattamento preferenziale)
Valutazione al fair value,
con imputazione degli incrementi
di valore a riserva indisponibile
di patrimonio netto
(trattamento alternativo)
Investimenti immobiliari
estranei all’attività
caratteristica dell’ente
Valutazione al costo al netto
degli ammortamenti operati
e delle svalutazioni durevoli (*)
Valutazione al fair value,
con imputazione a conto economico
delle differenze di valore
(trattamento preferenziale)
Valutazione al costo al netto
degli ammortamenti operati
e delle svalutazioni durevoli
(trattamento alternativo)
(*) Fatta eccezione per le immobilizzazioni materiali già acquisite dall’ente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n.
77/1995, ossia al 17 maggio 1995, per le quali si applicano criteri semplificati, diversi a seconda della tipologia di
bene. (Fonte: Ipsas 6 e 7; d.lgs. 77/1995).
Da essa emerge il fatto che i principi contabili internazionali prevedono
criteri di valutazione diversi a seconda che si tratti di investimenti immobiliari
oppure di beni strumentali per l’attività di produzione ed erogazione di
beni e servizi, offrendo al redattore del bilancio la possibilità di scegliere
se applicare il trattamento contabile preferenziale o alternativo previsto. Gli
enti possono pertanto decidere se adottare quale criterio di valutazione dei
propri beni il cost model – valutazione al costo al netto degli ammortamenti
e delle svalutazioni durevoli – oppure adeguare il valore di iscrizione di
tali beni al fair value.
I principi contabili nazionali italiani invece prevedono un doppio sistema
in merito ai criteri di valutazione delle immobilizzazioni materiali: un sistema semplificato da applicare alle immobilizzazioni materiali già acquisite
dall’ente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 77/1995 e un sistema
ordinario per le immobilizzazioni materiali acquisite dall’ente in una data
successiva al 17 maggio 1995. Il sistema ordinario fa riferimento alle
disposizioni contenute nel codice civile, pertanto ai criteri di valutazione
generali stabiliti dall’art. 2426 c.c., in base al quale le immobilizzazioni
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Azienda Pubblica 2.2010
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
materiali devono essere iscritte al costo storico (al netto degli ammortamenti
complessivi e delle perdite per riduzione durevole di valore) e possono essere
rivalutate solo in applicazione di leggi di rivalutazioni speciali.
Tale differente impostazione è dovuta alla diversa finalità perseguita dagli
IPSAS rispetto ai principi contabili nazionali italiani, tendente a privilegiare
un’informazione rivolta all’investitore, quale stakeholder privilegiato, che,
per prendere decisioni economiche, deve far riferimento prevalentemente
al fair value dell’azienda e alle sue capacità reddituali potenziali piuttosto
che al costo storico della stessa e al reddito da essa prodotto in passato.
A livello europeo, il criterio di valutazione degli elementi patrimoniali
applicato nelle varie nazioni può essere sinteticamente rappresentato nella
tabella 4.
Tabella 4 – Criterio del costo e del fair value in Europa
Criterio di valutazione
Nazioni
Svizzera
Costo
Fair Value
Amm. centrali
X
Amm. locali
X
Germania
Amm. centrali
Spagna
Amm. centrali
X
X
Amm. locali
X
Amm. locali
Francia
Finlandia
Italia
Paesi Bassi
Svezia
Regno Unito
X
Amm. centrali
Amm. locali
X
X
Amm. centrali
X
Amm. locali
X
Amm. centrali
X
Amm. locali
X
Amm. centrali
X
Amm. locali
X
Amm. centrali
X
Amm. locali
X
Amm. centrali
Amm. locali
Costo/Fair
value
X
X
Fonte: (Lüder, Jones 2003)
Da tale tabella emerge come il criterio del fair value sia stato previsto
come obbligatorio solo con riferimento all’amministrazione pubblica centrale
inglese, mentre in tutti gli altri Paesi prevale ancora il criterio del costo, al
quale viene in alcuni casi (ad esempio, in Svizzera, o con riferimento alle
amministrazioni centrali francesi e finlandesi) affiancato il criterio del fair
value.
Azienda Pubblica 2.2010
292
Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
4. Riflessioni e proposte di revisione degli IPSAS e dei sistemi
contabili degli enti locali
Nel presente lavoro si è proceduto dapprima a delineare le finalità perseguite con il recepimento degli IPSAS, emanati nell’ambito del processo di
aziendalizzazione che ha interessato la realtà pubblica e, in secondo luogo,
ad effettuare un confronto con i principi contabili nazionali italiani, al fine
di sviluppare alcune riflessioni ed individuare delle proposte in merito alla
revisione dei sistemi contabili attuali degli enti locali.
Al fine di avanzare proposte di revisione dell’impianto contabile delle amministrazioni pubbliche locali, mettendo in luce i punti forza e di debolezza
degli IPSAS, appare indispensabile fare alcune considerazioni preliminari,
avendo riguardo delle seguenti varie tematiche:
- dell’importanza che la funzione autorizzatoria ha da sempre rivestito in ambito pubblico e della possibilità di applicarla a documenti
preventivi di cassa o a base economica;
- della compresenza della contabilità economico-patrimoniale e di
quella finanziaria, che ha comportato, come conseguenza, il fatto che
quest’ultima abbia continuato a ricoprire un ruolo fondamentale;
- della bassa attendibilità dell’informativa economico-patrimoniale
come conseguenza della mancata tenuta delle scritture in contabilità
generale.
In merito all’importanza della funzione autorizzatoria, è doveroso
sottolineare come tale funzione abbia da sempre contribuito a conferire
alla contabilità finanziaria un ruolo essenziale e predominante in ambito
pubblico, attribuendo all’organo decisore la possibilità di fissare a livello
preventivo un tetto massimo di spesa complessiva e per ogni singola voce
dell’azienda pubblica.
Tuttavia, alcuni studiosi hanno messo in evidenza come tale funzione
possa essere gestita a prescindere dalla base contabile considerata (cassa,
competenza finanziaria, competenza economica) (Anessi Pessina et al.,
2008; Nasi, Steccolni, 2007). (14)
Pertanto, il rispetto del carattere autorizzatorio potrebbe essere assicurato
imponendo la redazione di un preventivo di cassa, avente la stessa struttura
del rendiconto finanziario consuntivo (Maurini, 1997: p. 10), in modo da
agevolare la comparabilità e la verifica dei vincoli e limiti imposti in sede
previsionale, oppure prescrivendo la redazione di un budget economico,
assegnando così alla contabilità economica funzioni autorizzatorie, come
già avviene nei Paesi anglosassoni (Pozzoli, 2005a: p. 60, Anessi, 2005,
Anessi, Steccolini, 2007).
14 In tale testo gli autori hanno proceduto ad effettuare un’analisi sperimentale dalla quale
è emerso che la maggior parte degli operatori degli enti locali si sono dichiarati favorevoli
a un’eventuale sostituzione della contabilità finanziaria con quella economico-patrimoniale,
qualora quest’ultima permetta di assolvere la funzione autorizzatoria.
293
Azienda Pubblica 2.2010
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
Il limite di tali soluzioni è che fare riferimento a prospetti che si limitano a
considerare esclusivamente la gestione di cassa o valori economici potrebbe
comportare per gli amministratori locali l’implementazione di politiche e
atteggiamenti di fatto poco rispettosi del vincolo autorizzatorio (Bergamin
Barbato M., 1997: p. 491). (15) Da ciò deriva la necessità di rafforzare la
funzione di controllo e di revisione, rendendola maggiormente efficace e
di adottare un sistema di controlli contabili in grado di garantire tutti i soggetti interessati circa la veridicità dei dati contenuti nei documenti contabili
(Anessi Pessina et al., 2008: p. 14). “La contabilità economico-patrimoniale,
facendo ampio ricorso a stime e congetture, presenta margini di soggettività
e quindi fabbisogni di controllo superiori alla contabilità finanziaria… i
principi contabili offrono ai revisori un indispensabile riferimento” (Anessi
Pessina, 2005: p. 581).
In merito alla convivenza della contabilità economico-patrimoniale e
di quella finanziaria, si evidenzia come, al fine di garantire trasparenza
dell’attività pubblica nei confronti dei cittadini, che devono essere in grado
di giudicare l’operato della propria amministrazione, e di agevolare un processo di armonizzazione in materia di sistemi contabili, appare necessario
adottare anche in ambito pubblico un sistema di bilancio e di contabilità
in grado di consentire di disporre delle informazioni atte a “render conto”
della gestione della cosa pubblica.
La letteratura nazionale ed internazionale ha sottolineato in molteplici
occasioni che l’unica contabilità in grado di fornire una corretta rappresentazione degli aspetti finanziari, economici e gestionali delle aziende, e
in grado di produrre un’informativa adeguata ed attendibile, risulta essere
quella fondata sul principio di competenza economica, ossia su una logica
full accrual (Pozzoli, 2006, IPSAS 11 e 14). (16) La contabilità finanziaria,
infatti, non fornisce le informazioni necessarie per valutare le condizioni
di economicità con cui si svolge la gestione e la convenienza economica
di determinate scelte, risultando pertanto scarsamente utile ai fini decisionali (Anselmi, 2003: p. 108, Maurini, 2005: p. 132). Essa si pone come
obiettivo quello di assicurare la regolarità e correttezza formale delle
procedure ed il rispetto dei vincoli di bilancio, ma trascura completamente
l’aspetto economico e patrimoniale, privilegiando le necessità di regolarità
amministrativa.
Ne deriva che è la contabilità economico-patrimoniale ad assicurare
15 Ad esempio, gli amministratori locali potrebbero, con un bilancio preventivo di cassa avente funzioni autorizzatorie, essere indotti a contrarre obbligazioni per un importo molto elevato, riuscendo tuttavia a rispettare “formalmente” il carattere autorizzatorio del bilancio posticipando il pagamento di tali obbligazioni nel tempo (ottenendo, ad esempio, dilazioni di
pagamento). Inoltre, fare riferimento a prospetti che si limitano a considerare valori economici potrebbe comportare il rischio di assistere ad “alterazioni e manipolazioni” nella quantificazione di detti valori, rese possibili dal grado di soggettività che può richiedere la determinazione dei costi e ricavi di competenza economica e che risulta invece assente in quella dei valori finanziari.
16 Si fa riferimento, in merito, anche alla letteratura menzionata in Anessi Pessina et al.,
2008: p. 13.
Azienda Pubblica 2.2010
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Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
un livello maggiore di trasparenza nei confronti dei terzi, misurando l’andamento della gestione sia sotto il profilo finanziario, che economico e
patrimoniale e avvalendosi di prospetti (quelli di matrice privatistica) più
facilmente comprensibili perché, contrariamente a quelli provenienti dalla
contabilità finanziaria, sono concepiti al fine di informare i terzi (Pozzoli,
2005a: pp. 56-61). I documenti e prospetti contabili tradizionalmente
utilizzati in ambito pubblico risultano tuttora scarsamente interpretabili dai
destinatari, a causa dell’elevata complessità, risultando, conseguentemente,
di scarsa utilità nel fornire informazioni sulle performance dell’ente e nel
supportare ed orientare le decisioni (Farneti, Pozzoli, 2005; Mussari, 2003;
Pozzoli, 2004).
Pertanto, solo attraverso l’introduzione della contabilità economica è
possibile, da un lato, consentire all’organo politico di verificare il grado di
realizzazione degli obiettivi prefissati e al manager di valutare l’efficacia
della propria gestione attraverso un confronto tra i risultati conseguiti e
gli obiettivi programmati (Anselmi, 2003: pp. 54, 116; Farneti, 2004: p.
157; Maurini, 2005: p. 169) e, dall’altro, di “rendere conto” (principio
di accountability) ai diversi portatori di interesse sui risultati conseguiti e
sulla corretta utilizzazione degli strumenti stabiliti dalla normativa.
Pertanto, al fine di responsabilizzare i manager, creando figure
professionali in grado di dirigere il processo di mutamento in atto verso
una cultura dei risultati più che verso un’azione rivolta all’assolvimento
degli atti, risulta fondamentale adottare un sistema contabile che miri
non solo a verificare la rispondenza alle norme di legge, ma miri a
monitorare il grado di efficienza, efficacia ed economicità conseguito
dagli enti pubblici nell’espletamento della propria attività e in grado
di stimolare processi di autocorrezione. Si deve pertanto innescare
un circolo virtuoso che consenta all’ente di sviluppare e rendere conto
(principio di accountability) ai diversi stakeholder, dei programmi e dei
risultati conseguiti, nonché della corretta utilizzazione dei processi e
degli strumenti previsti dalla normativa.
Alcuni autori hanno anche sottolineato il fatto che l’incapacità della
contabilità pubblica tradizionale di fornire una rappresentazione della
situazione economica e patrimoniale di un ente pubblico rende molto complicata la misurazione della c.d. “equità intergenerazionale”, nel senso
che tale incapacità impedisce di fatto di determinare “se e in che misura
ogni generazione stia utilizzando solo le risorse da essa prodotte, o viva
al di sopra dei propri mezzi. In mancanza di tale misura, e di sanzioni per
comportamenti del secondo tipo, questo secondo atteggiamento è senz’altro
favorito” (Caperchione, Steccolini, 2000: p. 120). I limiti della contabilità
finanziaria tradizionale che accomunano i sistemi contabili pubblici a livello
internazionale (Caperchione, 1999: pp. 252-261; Borgonovi, 2000: pp.
252-261; Farneti, 2000: p. 236; D’Aries, 1997) sono costituiti dall’incapacità a fornire informazioni attendibili sull’impatto di medio-lungo periodo, dalla scarsa leggibilità dei bilanci, dalla difficoltà di valutare l’equità
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L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
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intergenerazionale e dalla scarsa utilità ai fini decisionali delle informazioni
generate dal sistema contabile.
Taluni studiosi (Farneti, 2000; Christiaens, Vanhee, 2002; Monsen,
2002) hanno condiviso la decisione effettuata dal legislatore italiano di aver
mantenuto la contabilità finanziaria accanto a quella economica, giudicando
tale scelta un efficace compromesso, in grado di assicurare i benefici di
entrambi i sistemi di rilevazione e ribadendo la maggior coerenza di tale
contabilità con le caratteristiche tipiche delle aziende pubbliche (Grandis
2006; Monsen, 2002: p. 39-72; Monsen, Näsi, 1998, 1999, 2000).
Altri studiosi, invece, hanno giudicato un compromesso insoddisfacente e
inefficace optare per la convivenza della contabilità economica accanto a
quella finanziaria, per i seguenti motivi:
- “avendo di fronte due contabilità che hanno orientamenti diversi,
siamo di fronte, oltre che ad una forte ambiguità, anche ad una
profonda contraddizione del sistema, perché da una parte pretendiamo dagli amministratori che decidano ed agiscano secondo
una logica finanziaria, dall’altra prevediamo che gli stakeholder,
e cioè i vari pubblici interessati al funzionamento dell’ente, dai
cittadini ai loro rappresentanti, giudichino l’operato anche secondo
logica economica. Ora è chiaro che un sistema più è contraddittorio e meno risulta efficace. L’alternativa, quindi, razionalmente,
dovrebbe consistere nella scelta di un sistema “puro”, e quindi o
esclusivamente finanziario o rigorosamente economico (Pozzoli,
2005a: p. 59)”;
- la scelta compiuta dal legislatore italiano di prevedere la coesistenza di due contabilità diverse, affiancando alla contabilità finanziaria (e non sostituendola) una contabilità economico-patrimoniale
ha indotto a mantenere in ambito pubblico un sistema di bilancio
molto diverso da quello previsto in ambito internazionale dagli
IPSAS. I documenti di bilancio prescritti dai principi contabili
internazionali in ambito pubblico, infatti, prescindono dalla gestione autorizzatoria e considerano valori finanziari ed economici
prodotti dalle operazioni gestionali, rilevandoli con il metodo
della partita doppia. Fino ad oggi, in Italia, a tali documenti non
è stata riservata la dovuta attenzione, anzi sono stati posti su un
piano secondario rispetto ai documenti relativi alla programmazione, portando ad una generale indifferenza nei confronti della
veridicità dei documenti prodotti e all’irrilevanza del rendiconto
come fatto gestionale; (17)
- la scelta di mantenere la contabilità finanziaria e il bilancio finanziario come documento obbligatorio ai fini della verifica del rispetto
17 Sull’argomento può essere particolarmente interessante la lettura del testo (Pizzo, 2003),
che evidenzia i risultati ottenuti da una ricerca condotta su un campione statistico significativo di Comuni della Campania per sondare il loro grado di “permeabilità” alle novità introdotte dalla riforma.
Azienda Pubblica 2.2010
296
Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
del carattere autorizzatorio ha indotto i politici e i dirigenti pubblici
a focalizzare l’attenzione solo sull’aspetto finanziario, relegando
ad un piano secondario tutte quelle informazioni di carattere economico. L’introduzione dell’obbligo di redigere il conto economico
e il conto del patrimonio sembra aver provocato un aggravio di
adempimenti amministrativi, anziché comportare effetti benefici sui
processi decisionali degli stakeholder degli enti (Anessi Pessina et
al., 2008). Lo Stato tende a far riferimento esclusivamente ai documenti e ai valori tratti dalla contabilità finanziaria nel valutare
l’equilibrio economico-finanziario degli enti locali (si pensi, ad
esempio, ai parametri di deficitarietà strutturale). Tale situazione
contribuisce a condizionare significativamente l’operato degli amministratori pubblici locali che concentrano la loro attenzione sui
dati provenienti dalla contabilità finanziaria, finendo per sminuire e
redigere con superficialità i documenti di contabilità economica, a
scapito dell’attendibilità dei dati in essi contenuti (Anessi, Steccolini,
2007: pp. 211-212).
In merito alla scarsa attendibilità dell’informativa economico-patrimoniale
come conseguenza della mancata tenuta delle scritture in contabilità generale, risulta doveroso evidenziare come la scelta compiuta dal legislatore
italiano di consentire ai vari enti di scegliere il sistema contabile con cui
rilevare gli aspetti economici, se da un lato ha permesso agli enti locali di
adattare il proprio sistema contabile alle proprie peculiarità e caratteristiche, dall’altro ha però indotto molti operatori in ambito pubblico, anche di
enti di dimensioni medio-alte, a “sottovalutare” la contabilità economica e
conseguentemente i benefici da essa scaturenti.
Molti enti pubblici si sono infatti limitati ad adottare un sistema “minimale”, accontentandosi di disporre di dati economici approssimati, (18)
nella convinzione che la redazione del conto economico sia solo un adempimento formale, senza alcuna utilità in termini di controllo dell’attività
amministrativa.
Alla luce di tali premesse, dalle quali scaturisce la necessità di abbandonare la contabilità finanziaria, appare interessante mettere in evidenza
alcune proposte di revisione dell’impianto contabile delle amministrazioni
pubbliche locali, avendo riguardo dei punti di forza e debolezza degli
IPSAS, di seguito esposti e schematicamente riportati nella tabella 5.
18 La derivazione extra contabile dei dati da inserire nel conto economico e nel conto del
patrimonio può portare ad ottenere dati poco affidabili e attendibili (Anessi Pessina, Steccolini, 2001, 2007).
297
Azienda Pubblica 2.2010
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
Tabella 5 – Vantaggi e limiti informativi attribuiti agli IPSAS
Vantaggi
Limiti
Gli IPSAS, che ricalcano i principi contabili internazionali previsti per il settore privato, assumono
quale stakeholder privilegiato il finanziatore,
in quanto rappresenta il soggetto che fornisce
all’azienda il capitale di rischio, fornendo informazioni necessarie per prendere decisioni di tipo
economico
Privilegiare il finanziatore quale top stakeholder appare in
contrasto con il fatto che il vero soggetto economico di un
ente pubblico, ossia il principale portatore di interessi di un
ente locale, è il cittadino. Ne deriva la necessità di elaborare
un nuovo Conceptual Framework rispetto a quello previsto
per le imprese in ambito privato
Il carattere autorizzatorio del bilancio preventivo
potrebbe essere assicurato:
- o imponendo la redazione di un preventivo
di cassa, considerato che l’IPSAS 2 prevede per il rendiconto finanziario l’esposizione dei flussi di cassa, non di competenza
finanziaria;
- oppure prevedendo la redazione di budget
economici
Fare riferimento a prospetti che si limitano a considerare
esclusivamente la gestione di cassa o quella economica
potrebbe comportare per gli amministratori comunali
l’implementazione di politiche e atteggiamenti di fatto poco
rispettosi del vincolo autorizzatorio
Gli IPSAS consentono a ogni ente di presentare
un bilancio in base alle proprie esigenze e peculiarità. Ciò rappresenta il risultato della ricerca
di un compromesso tra l’obiettivo di armonizzazione e la necessità di rispettare le peculiarità
proprie di ogni realtà aziendale
Tale libertà può essere vista come un ostacolo al processo
di armonizzazione delle regole contabili e di comparabilità
tra gli enti, che possono valutare alcuni elementi patrimoniali
utilizzando criteri nettamente diversi tra loro, che producono
risultati differenti e non sempre confrontabili
La possibilità riconosciuta dagli IPSAS di poter
valutare alcuni elementi patrimoniali adeguando
il loro valore di iscrizione al fair value permette
di poter fare riferimento a dati correnti, utili per
prendere decisioni finanziarie
L’applicazione del fair value necessita a volte di informazioni
difficilmente reperibili e potrebbe conferire ai valori
di bilancio una certa volatilità, dovuta all’incertezza che può
caratterizzare la loro determinazione
L’adozione di metodi necessari per determinare il fair value
può richiedere il sostenimento di notevoli costi (es. costi delle
perizie necessarie, costi dei consulenti incaricati di determinare il valore attuale dei flussi finanziari futuri previsti sulla
base di stime attendibili)
In primo luogo, sarebbe auspicabile sviluppare un Conceptual Framework
autonomo rispetto a quello previsto per le imprese in ambito privato, che
tenga conto delle peculiarità e caratteristiche tipiche del settore pubblico.
A sostegno della necessità di adottare un corpus di principi contabili coerente con le specificità degli enti locali, alcuni autori (Anessi Pessina et al.,
2008: p. 13) hanno evidenziato come i principi contabili rivolti alle imprese
mirino a privilegiare le informazioni necessarie per prendere decisioni di
tipo economico da parte dei destinatari (principio della decision usefulness).
Tuttavia tale esigenza, in ambito pubblico, deve essere contemperata con
la necessità di “render conto” (principio di accountability) delle molteplici
dimensioni di responsabilità del proprio agire nei confronti dei vari stakeholders, portando ad implicazioni diverse sulle caratteristiche dell’informativa
di bilancio (Steccolini, 2004: pp. 62-64). È necessario pertanto un sistema
contabile che non miri a privilegiare le esigenze informative dell’investitore o finanziatore, bensì quelle dei vari stakeholder (in particolare, dei
Azienda Pubblica 2.2010
298
Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
clienti/cittadini, che devono poter monitorare e valutare l’operato della
dirigenza pubblica, e degli amministratori pubblici, che necessitano di
informazioni utili nell’ambito del processo di programmazione e controllo
delle attività dell’ente).
Recentemente, nell’incontro tenutosi a Tokyo nel marzo 2006, l’IPSASB
ha previsto la necessità di procedere ad elaborare un proprio Conceptual
Framework, (19) contenente le finalità ed i postulati per le aziende pubbliche, mutando l’orientamento assunto inizialmente di adottare il framework
previsto in ambito privato. Tale esigenza è tanto più sentita a seguito della
decisione dello IASB e del FASB (Financial Accounting Standards Board)
di procedere a revisionare il framework previsto in ambito privato per le
imprese, introducendo contenuti che, a parare dell’IPSASB, saranno difficilmente riferibili al contesto pubblico. Nello specifico, il progetto dell’IPSASB
di revisionare il framework, avvalendosi della collaborazione dei diversi
National Standard Setters (NSS), al fine di tenere in considerazione anche
le esperienze nazionali dei paesi che partecipano al progetto, dovrebbe
concludersi nel 2012. In linea generale, l’IPSASB mira a sviluppare un
framework articolato in due parti distinte:
- una prima parte, definita “accrual framework”, contenente disposizioni che regolamentano la redazione del bilancio fondato su un’impostazione full accrual. In tal caso, il progetto deve tener conto del
framework dello IASB e degli IAS/IFRS laddove sussistono affinità tra
settore pubblico e privato mentre, in caso contrario, deve prevedere
delle integrazioni con specifici contenuti riguardanti esclusivamente
il settore pubblico;
- una seconda parte, definita “cash framework”, contenente disposizioni inerenti la contabilità finanziaria.
Tale progetto pare presentare i seguenti vantaggi:
- costituisce un ausilio per i singoli standard setter nazionali nell’applicazione di principi solo accrual basis o solo cash basis;
- l’emanazione di principi contabili rivolti anche ai Paesi che basano
ancora il proprio sistema di contabilità pubblica su quella finanziaria
pare essere una conseguenza della volontà dell’IFAC di poter emettere dei principi che siano applicabili al maggior numero di Paesi
possibili.
Tuttavia, tale progetto pare non immune da punti di debolezza. Infatti,
alcuni studiosi (Pozzoli, 2006) hanno evidenziato come la volontà di adottare
principi basati sulla tenuta della contabilità finanziaria sembra essere rivolta
ai Paesi in via di sviluppo, non a quelli ad economia avanzata, a cui viene
raccomandata la tenuta di una contabilità economico-patrimoniale. Gli stessi
sottolineano come l’IPSASB debba rappresentare un punto di riferimento
19 “At this meeting (March 2006) the IPSASB would discuss its strategy for the development
of its own conceptual framework project”, IPSASB Tokyo, March 2006.
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Azienda Pubblica 2.2010
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
internazionale, una sorta di “ottimo contabile”, attraverso l’individuazione
delle modalità di contabilizzazione delle operazioni aziendali “migliori”,
lasciando ad ogni Paese aderente la facoltà di adeguarsi o meno, sulla
base delle proprie caratteristiche. Per tale ragione ritengono non opportuno
rincorrere i Paesi in via di sviluppo che basano il loro sistema di contabilità
pubblica ancora su un’ottica finanziaria, mediando con i principi da questi
utilizzati, al solo scopo di ampliare la sfera di applicazione dei principi
contabili internazionali.
Il problema in merito all’emanazione del nuovo framework risulta essere
costituito dal fatto che lo sviluppo di un autonomo quadro di riferimento in
ambito pubblico sta avvenendo successivamente all’emanazione di più di
venti IPSAS, ispirati agli Ias/Ifrs, e ciò potrebbe comportare come pericolo
lo sviluppo di un framework nuovamente “ancorato” a logiche e principi
mutuati dal settore privato, oppure di un framework autonomo ma in contrasto con alcuni IPSAS vigenti (richiedendo, in tale ipotesi, la revisione di
diversi principi).
Le tematiche che saranno trattate nei due prossimi anni riguardano il
Financial statements under the accrual basis of accounting e il Financial
reporting. Alcuni autori (Carlin, 2003, Barton, 2002) hanno sottolineato
la necessità di stabilire principi e norme per il settore pubblico slegate da
quelle utilizzate in ambito privato. Pertanto, tale quadro dovrà, a parere
dello scrivente:
a) in primo luogo contenere informazioni anche sui budget e non solo
sui documenti redatti in sede di rendicontazione, alla luce dell’importanza della funzione autorizzatoria che caratterizza il settore
pubblico;
b) in secondo luogo dare ampio spazio nel Financial reporting alle informazioni di natura extra contabile, ai prospetti, alle relazioni e alle
comunicazioni di natura qualitativa e descrittiva, volte ad integrare
i dati contabili presenti nel Financial statement e a fornire informazioni sul grado di efficacia raggiunto dall’ente pubblico attraverso
l’espletamento della propria attività.
In secondo luogo, in relazione alla documentazione contabile da redigere, si è sottolineato come i prospetti contabili tradizionalmente utilizzati in
ambito pubblico, propri della contabilità finanziaria, risultino scarsamente
comprensibili e, conseguentemente, utili nel fornire informazioni sulle
performance conseguite dall’ente (Farneti, Pozzoli, 2005; Mussari, 2003;
Pozzoli, 2004).
Tuttavia, la scelta compiuta dal legislatore italiano di prevedere la coesistenza della contabilità finanziaria accanto a quella economico-patrimoniale
ha indotto a mantenere in ambito pubblico un sistema di bilancio molto
diverso da quello di matrice privatistica, portando ad una generale indifferenza nei confronti della veridicità dei documenti prodotti e all’irrilevanza
del rendiconto come fatto gestionale.
Azienda Pubblica 2.2010
300
Esperienze innovative
L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Al fine di superare tale limite sarebbe auspicabile adottare un sistema
di bilancio (20) che preveda:
• un impianto di previsione costituito dai seguenti documenti:
a) un piano strategico, da revisionare annualmente, contenente gli
obiettivi ed i programmi principali che l’ente si prefigge di perseguire nel medio periodo e le azioni strategiche da implementare per il
conseguimento di tali obiettivi;
b) uno stato patrimoniale ed un conto economico preventivi, annuali
e pluriennali. Al fine di assicurare la funzione autorizzatoria in un
sistema di contabilità economico-patrimoniale si potrebbe prevedere l’obbligo di redigere un conto economico preventivo in situazione di pareggio o utile, ponendo dei vincoli sulla destinazione
del possibile risultato economico positivo; (21) oppure, l’obbligo
di coprire in un lasso periodale prestabilito un’eventuale perdita
economica conseguita, sottoponendo al consiglio un adeguato
piano di rientro (Anessi Pessina, Steccolini, 2007, p. 213; Anessi
Pessina, 2005: p. 572). Tale funzione potrebbe essere assicurata
anche imponendo la redazione di un sistema di budget degli
acquisti (dettagliando ulteriormente le voci del Conto economico
preventivo), degli investimenti e dei finanziamenti aventi carattere
autorizzatorio;
c) un bilancio finanziario, annuale e pluriennale: tale documento potrebbe essere redatto in termini di flussi di cassa, al fine di renderlo
confrontabile con i dati contenuti nel rendiconto finanziario, per il
quale l’IPSAS 2 prescrive l’evidenziazione dei flussi di cassa conseguiti. Anche tale documento potrebbe assolvere finalità autorizzatorie,
ponendo vincoli su determinate voci di flussi di cassa;
d) una relazione previsionale e programmatica, che illustri le caratteristiche generali dell’attività amministrativa programmata dall’ente,
mettendo in evidenza le caratteristiche generali della popolazione,
del territorio e dell’economica e individuando gli obiettivi da raggiungere, in termini di bilancio, efficacia, efficienza ed economicità
dei servizi;
e) una relazione redatta dall’organo esecutivo, che evidenzi le modalità
di formazione delle previsioni ed il loro collegamento con il piano
strategico;
20 Per un maggior approfondimento, si veda: Anessi Pessina et al., 2008.
21 L’Ipsas 1 prevede per gli enti la possibilità di scegliere una classificazione dei costi per
natura oppure per destinazione. Alcuni autori (Anessi Pessina et al., 2008, p. 23) hanno ritenuto ammissibile attribuire finalità autorizzatoria ad entrambe le due tipologie di classificazioni “dettagliando la prima solo rispetto ad alcune classi di costo (es. trasferimenti passivi)
e mantenendo la seconda molto aggregata e comune a tutti gli enti, in modo sia da limitare
il ricorso a congetture, sia da consentire confronti spazio-temporali e permettere il consolidamento dei conti pubblici”.
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L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach
Esperienze innovative
• un rendiconto che, parallelamente a quanto previsto in sede di previsione, comprenda:
a) stato patrimoniale, conto economico e rendiconto finanziario.
La struttura di tali documenti deve essere la medesima di quella
prevista per i prospetti preventivi, al fine di garantire il confronto
dei dati contenuti. Nello specifico, si potrebbe far riferimento a
quella prevista dagli IPSAS 1 e 2, salvo alcuni adattamenti. Inoltre, si è sottolineata l’ampia liberta conferita a ciascun ente di
presentare un bilancio in base alle proprie esigenze e peculiarità,
attribuendo allo stesso il potere discrezionale di scegliere la struttura e l’ordine di esposizione delle voci contabili più consono.
Tuttavia, poiché i principi contabili internazionali in ambito pubblico
sono stati recepiti anche e soprattutto per promuovere la comparazione con altri enti aventi caratteristiche simili a livello nazionale ed
internazionale, tutta questa libertà potrebbe essere vista come un
ostacolo al processo di armonizzazione delle regole contabili e di
confrontabilità tra gli enti. A tale osservazione si potrebbe obiettare
evidenziando che la maggiore autonomia conferita agli enti dagli
IPSAS rappresenta il risultato della ricerca di un compromesso tra
l’obiettivo di armonizzazione (22) e la necessità di rispettare le peculiarità proprie di ogni realtà aziendale;
b) relazione sulla gestione, contenente informazioni di natura extra
contabile, prospetti, relazioni e indicatori, di natura anche qualitativa,
volti a fornire informazioni sul grado di realizzazione del piano strategico e sul livello di efficacia raggiunto dall’ente pubblico attraverso
l’espletamento della propria attività;
c) nota integrativa, contenente informazioni esplicative ed aggiuntive
rispetto a quelle che è possibile trarre dai documenti di bilancio;
d) prospetto delle variazioni di patrimonio netto e della destinazione
del risultato economico.
Infine, in merito ai criteri di valutazione di alcune poste di bilancio,
è doveroso sottolineare come l’ampia liberta conferita a ciascun ente di
scegliere i criteri di valutazione di alcuni elementi patrimoniali possa essere percepita come un freno al processo di armonizzazione delle regole
contabili e di comparabilità tra gli enti, potendo valutare alcuni elementi
di patrimonio utilizzando criteri nettamente diversi tra loro, che producono
risultati differenti e non sempre confrontabili. A tale osservazione si potrebbe
obiettare evidenziando che, nel caso di valutazione dei cespiti strumentali,
chi utilizza il criterio del cost model deve tuttavia indicare in nota integrativa
il fair value di tali beni e, pertanto, la comparabilità verrebbe assicurata
22 Obiettivo di armonizzazione che, per alcuni studiosi (Pozzoli, 2005a: pp. 64-66) deve
limitarsi a riguardare l’informativa esterna e non i processi contabili e di gestione dell’ente.
Quest’ultimo deve, infatti, essere libero di scegliere la contabilità ed i modelli di gestione che ritiene maggiormente idonei in base alle sue caratteristiche e al proprio stile di management.
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Esperienze innovative
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dalla possibilità di ricavare tali informazioni nelle note esplicative.
La possibilità offerta dai principi contabili internazionali di procedere a
valutare alcuni elementi patrimoniali (quali i beni strumentali, gli investimenti
immobiliari, gli strumenti finanziari), adeguando il loro valore di iscrizione
al fair value, (23) permette di poter fare riferimento a dati correnti, utili per
prendere decisioni finanziarie: l’applicazione del criterio del fair value implica
infatti la valutazione di un reddito potenziale piuttosto che una configurazione
di reddito prodotto. Tuttavia, l’applicazione del fair value necessita a volte di
informazioni difficilmente reperibili e potrebbe conferire ai valori di bilancio
una certa “volatilità”, dovuta all’incertezza che può caratterizzare la loro
determinazione: infatti, la misurazione del fair value può essere effettuata,
nel caso in cui manchino i prezzi correnti presenti in un mercato attivo per
immobili in condizioni e localizzazione simili, facendo riferimento a metodi
basati sull’attualizzazione dei flussi finanziari futuri previsti sulla base di
stime attendibili (IPSAS 16, par. 48). L’adozione di tali metodi potrebbe
inoltre incontrare molteplici resistenze, dovute soprattutto ai notevoli costi che
comporterebbe per un ente locale, quali, ad esempio, i costi delle perizie
necessarie per valutare il fair value dei beni ed i costi dei consulenti incaricati
di determinare il valore attuale dei flussi finanziari futuri previsti sulla base
di stime attendibili. Tale impostazione è dovuta al fatto che gli IPSAS, che
ricalcano in buona sostanza quelli previsti per il settore privato, tendono a
privilegiare un’informazione rivolta all’investitore, quale stakeholder privilegiato, che, per prendere decisioni economiche, deve far riferimento più al fair
value dell’azienda e alle sue capacità reddituali potenziali che non al costo
storico della stessa e al reddito da essa prodotto in passato. Al riguardo nasce
spontaneo chiedersi, in primo luogo, se risulta corretto adottare un sistema
contabile che tende a privilegiare le esigenze informative dell’investitore o
finanziatore, tenuto conto che il New Public Management è caratterizzato
dall’adozione di una cultura orientata prioritariamente alla soddisfazione
dei bisogni dei cittadini (applicazione della customer satisfaction), visti come
i “clienti” dell’azienda pubblica; in secondo luogo, se in aziende quali gli
enti pubblici, dove molte entrate provengono dall’imposizione tributaria e
dall’ottenimento di trasferimenti da parte di altri enti, sia corretto ed opportuno
considerare un impianto contabile e un sistema di valutazione “pensato” per
il settore privato (Borgonovi, 2004). Fare riferimento al criterio del fair value
può comportare i seguenti svantaggi:
• elevata volatilità delle poste patrimoniali e del risultato di periodo;
• maggiori costi di implementazione, dovuti al fatto che il sistema contabile al fair value risulta più complesso rispetto a quello del costo;
• elevata soggettività, dovuta al fatto che il criterio del fair value implica,
ai fini della sua concreta determinazione, l’assunzione di maggiori
ipotesi, i cui valori potrebbero rivelarsi di difficile verificabilità.
23 In merito all’utilità e convenienza di applicare il criterio del fair value anziché quello del
costo storico ed al dibattito in ambito dottrinale che ne è scaturito, si veda: Pizzo, 2000.
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Esperienze innovative
Infine, in merito alla valutazione di alcuni beni, quali i beni di elevato
valore culturale, ambientale e storico e di un’ampia gamma di infrastrutture,
sussiste un’ampia letteratura sui problemi e le difficoltà connesse ad una
loro valutazione (si fa rinvio alla letteratura presente in Anessi Pessina et
al., 2008: p. 13). Ne deriva la necessità di inserire principi contabili che
tengano conto delle peculiarità del settore pubblico e non ancorati alla
realtà delle imprese.
5. Conclusioni
Alla luce di quanto evidenziato in merito alla possibilità di attribuire la funzione autorizzatoria a documenti preventivi a base economica e alla bassa
attendibilità assunta attualmente dall’informativa economico-patrimoniale,
a causa del mantenimento della contabilità finanziaria e della derivazione
extra contabile dei dati da inserire nel conto economico e nel conto del
patrimonio, si ritiene auspicabile adottare una contabilità economicopatrimoniale sia in sede previsionale che di rendicontazione, ed eliminare
quella finanziaria.
In merito al sistema di bilancio, in estrema sintesi, si potrebbe prospettare
un impianto contabile così costituito:
• un impianto di previsione che preveda: piano strategico, stato patrimoniale, conto economico e bilancio finanziario annuali e pluriennali, oltre ad una relazione previsionale e programmatica e ad una
relazione sulla gestione;
• un rendiconto che, parallelamente a quanto previsto in sede di previsione, comprenda: stato patrimoniale, conto economico e rendiconto
finanziario, relazione sulla gestione, nota integrativa e prospetto
delle variazioni di patrimonio netto e della destinazione del risultato
economico.
Si tratta pertanto di prevedere come obbligatoria anche in sede previsionale la redazione di prospetti di stato patrimoniale, conto economico e
bilancio finanziario uniformi a quelli utilizzati in sede di rendicontazione,
al fine di consentire di verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi
fissati in fase preventiva, di attuazione e realizzazione dei programmi,
il rispetto degli equilibri economici e finanziari ed i risultati socialmente
rilevanti conseguiti. Inoltre, poiché la comprensione di risultati di tipo sociale presuppone la conoscenza di informazioni qualitative e quantitative
non contenute nei prospetti che costituiscono il rendiconto, riveste un ruolo
fondamentale la relazione al rendiconto della gestione, che deve essere in
grado di delineare il grado di benessere sociale raggiunto (punti 32 e 33
dei principi contabili previsti dall’Osservatorio). In Nota integrativa o nella
relazione sulla gestione sarebbe auspicabile inserire informazioni obbligatorie o volontarie che vadano a completare quelle contenute nel Financial
Statement, con particolare riguardo alle peculiarità del settore pubblico. Si
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pensi, ad esempio, all’informativa relativa al giudizio sulla qualità dei servizi
erogati, al grado di soddisfazione dell’utenza e alla sostenibilità fiscale dei
programmi di governo (Christiaens, Rommel, 2008).
Si pensi, inoltre, all’utilità che può avere prevedere l’indicazione nella
relazione sulla gestione o in nota integrativa di indicatori di qualità, al fine
di misurare il grado di “customer satisfaction” raggiunto (Giusepponi, 1993:
p. 193; Bellandi, 1996; Mazzara, 2000: pp. 459-468)
Ad avvalorare tale affermazione contribuisce la resistenza culturale mostrata nei confronti dell’introduzione di nuove norme contabili ed il ritardo e
la lentezza con cui tende a diffondersi la cultura della valutazione dei risultati
dell’attività svolta in ambito pubblico (Rebora, 1999: p. 19; Bianchi, 2004:
pp. 173-176; Bergamin Barbato, 1997: p. 491), dovendo spesso scontrarsi,
come evidenziato da alcuni studiosi (Naschold, 1996: p. 69; Larbi, 1999:
p. 20; Pizzo, 2003; Anselmi, 2003: p. 56), con forti resistenze culturali e
tensioni all’interno della struttura organizzativa dell’azienda pubblica.
Per tale ragione, affinché la diffusione della cultura del merito e della
valutazione e, conseguentemente, l’introduzione di un “accrual accounting
and budgeting” possano rivelarsi veramente utili in ambito pubblico, è necessario che tali principi vengano accettati dall’intera struttura organizzativa
pubblica, anziché limitarsi ad una loro meccanicistica e passiva adozione,
obbligando gli enti ad abbandonare la contabilità finanziaria e ad adottare
strumenti contabili più costosi e complessi, rispetto al contenuto minimale,
ma anche più efficaci.
Ci si potrebbe chiedere se il sistema minimale possa continuare ad essere
ancora utilizzato negli enti di piccole dimensioni, (24) nei quali, secondo
alcuni studiosi, “non si giustifica di certo una sistematica attività di controllo
mensile o trimestrale (Bellesia, 2001: p. 16)”, obbligando invece gli enti
di maggiori dimensioni ad adottare un sistema contabile più complesso
che consenta l’acquisizione di dati economici in corso d’anno. Tuttavia,
tale soluzione porterebbe a una frammentazione dei sistemi di contabilità
e di budgeting esistenti all’interno del territorio italiano, comportando, conseguentemente, la disponibilità di informazioni economiche scarsamente
comparabili, oltre alla necessità di far riferimento continuamente alla contabilità finanziaria tradizionale anche a livello di governo centrale, e non
solo in certe unità organizzative.
Concludendo, si può sostenere che lo scenario futuro auspicabile pare
essere orientato ad un abbandono della contabilità finanziaria, a favore
di un sistema di “accrual accounting e budgeting”, nonostante ciò possa
richiedere tempo, considerate le resistenze culturali attualmente esistenti.
Inoltre, risulta fondamentale che l’introduzione di principi contabili internazionali avvenga con razionalità sulla base delle caratteristiche e peculiarità
24 I Comuni italiani sono per la maggior parte di piccole dimensioni. Infatti, dai dati demografici (Maurini, 2005) emerge come in Italia si vada da un estremo di 828 Comuni con una
popolazione inferiore a 500 abitanti, dall’altro estremo di 6 Comuni con una popolazione
superiore a 500mila abitanti.
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specifiche dell’ambiente a cui sono destinati; (25) pertanto tali principi dovrebbero tenere in maggiore considerazione le specificità pubbliche e consentire di
introdurre un sistema contabile realmente capace di contribuire al miglioramento
della gestione sotto il profilo dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità,
valutando con attenzione i benefici ed i costi derivanti dalla sua adozione.
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Toonen, T., Resilience, “Public Administration: The Work of Elinor and Vincent Ostrom from a Public Administration Perspective”, 70(2): 193-202.
Moulton, S. and Wise, C., “Shifting
Boundaries between the Public and
Private Sectors: Implications from the
Economic Crisis”, 70(3): 349-360.
Review of Public Personnel
Administration
Bellé Nicola, “Così Fan Tutte? Adoption
and Rejection of Performance-Related Pay
in Italian Municipalities: A Cross-Sector
Test of Isomorphism”, 30(2): 166-188.
The American Review of Public
Administration
Jerrell D. Coggburn, R. Paul Battaglio,
Jr, James S. Bowman, Stephen E. Condrey,
Doug Goodman, and Jonathan P. West,
“State Government Human Resource Professionals’ Commitment to Employment at
Will”, 40(2): 189-208.
311
Azienda Pubblica 2.2010
Fonti di approfondimento
In libreria
In libreria
Società Libera
Processi
di liberalizzazione
in Italia
Ottavo Rapporto
Milano: Guerini
Associati, 2010
pp. 185, € 19,50
Monica Morganti
Non profit:
produttività
e benessere
Come coniugare
efficienza e solidarietà
nelle organizzazioni
del terzo settore
Milano: Franco Angeli,
2010
pp. 192, € 24,00
Indice del volume: Un percorso tortuoso, di Vincenzo Olita.
L’illusione di un “Paese normale”. Le politiche di liberalizzazione in Italia tra annunci e non decisioni, di Raimondo
Cubeddu e Alberto Vannucci. La scuola: una liberalizzazione dai passi lenti, ma irreversibili, di Stefania Fuscagni. Politiche e azioni per la difesa del suolo in Italia, di
Sergio Mattia, Alessandra Oppio, Alessandra Pandolfi.
Comunicazioni e digital divide, di Franco Morganti. Codici, etica e responsabilità di impresa, di Massimo Olivotti. Le privatizzazioni nel 2009: opportunità nelle strategie di uscita dalla crisi economica, di Giuseppe Pennisi.
Trasporto collettivo locale a lezione di inglese, di Marco
Ponti e Francesco Ramella. Considerazioni in merito alle
concessioni autostradali, di Giorgio Ragazzi. La libertà di
informazione in Italia e in Europa nell’era di Internet, di
Ruben Razzante. L’altra sicurezza, di Ernesto U. Savona e
Romolo Capuano. Manifesto della libertà. Società Libera.
Indice del volume: Presentazione, di Donata Francescato.
Introduzione. Parte I. L’efficienza nelle organizzazioni non
profit. 1. Come leggere le organizzazioni non profit. 1.1.
L’analisi organizzativa multidimensionale e le metafore
organizzative. 1.2. La psicologia di comunità e la qualità totale. 2. Mettersi in rete. 2.1. Cosa è una rete. 2.2.
Come promuovere l’integrazione a rete. 2.3. Quali fattori
favoriscono un lavoro di rete. 2.4. Come governare una
rete. 2.5. L’analisi del territorio e i profili di comunità. 3.
Lavorare per progetti. 3.1. La pianificazione strategica.
3.2. La progettazione. Parte II. Le persone nelle organizzazioni non profit. 1. Dipendenti, volontari, soci, attivisti. 1.1. I clienti interni: chi sono? 1.2. Il volontariato. 2.
Il bourn-out e l’organizzazione in team. 2.1. Il rischio di
bourn-out. 2.2. Lavorare in team. 3. Tipi di comunicazione e stili di potere. 3.1. La comunicazione. 3.2. Il potere. Conclusione. Postfazione, di Gianfranco Bologna.
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Azienda Pubblica 2.2010
Fonti di approfondimento
In libreria
Laura Maran
(a cura di)
Economia e
management
dell’università
La governance interna
tra efficienza e
legittimazione
Milano: Franco Angeli,
2009
pp. 336, € 41,00
Francesco Badia
Sistemi e strumenti
di corporate
governance
nelle local utilities
Milano: Franco Angeli,
2010
pp. 175, € 21,00
Azienda Pubblica 2.2010
Indice del volume: Presentazione, di Patrizio Bianchi. Introduzione. 1. L’azienda università. 1.1. Università come
azienda. 1.2. Caratteri di aziendalità nell’università: sguardo d’insieme. 2. Il contesto manageriale dell’università.
2.1. Verso l’autonomia. 3. L’efficienza e le possibilità applicative dei sistemi di programmazione e controllo. 3.1.
Quale accountability. 3.2. Efficienza. 3.3. Esigenze di
programmazione e controllo nelle università ed esperienze
estere. 3.4. Valutazione della performance ed esperienze
italiane. 4. La legittimazione e la governance delle università. 4.1. Legittimazione. 4.2. Possibili definizioni di governance. 4.3. Attori della governance. 5. Il binomio fra
efficienza e legittimazione: analisi di un caso. 5.1. Disegno
e protocollo d’indagine. 5.2. Caratteristiche contestuali e
organizzative del caso. 5.3. Verifica dei limiti dell’efficienza: risultati. 5.4. Verifica delle sfere di legittimazione: risultati. 5.5. Alcune criticità: l’autonomia dei Dipartimenti.
6. L’implementazione del Processo di Bologna: analisi di
un caso. 6.1. Processo di Bologna. 6.2. Disegno e protocollo d’indagine. 6.3. Verifica dell’efficienza: risultati.
6.4. Valutazione della legittimazione: risultati. 6.5. Potenziale e limiti del Processo di Bologna. Riflessioni conclusive, di Enrico Periti. Commento. Bibliografia. Allegati.
Indice del volume: 1. La prospettiva di analisi e di ricerca
1.1. L’oggetto di indagine. 1.2. Lo scopo della ricerca e
la metodologia adottata. 1.3. La struttura del lavoro. 2. I
concetti chiave. 2.1. La corporate governance nella visione
sistemica dell’azienda. 2.2. Il concetto di servizio pubblico.
2.3. Il processo di aziendalizzazione della pubblica amministrazione. 3. L’evoluzione dello scenario per le aziende di servizi pubblici. 3.1. Il mutamento della concezione
del ruolo dello Stato. 3.2. Dal New Public Management
alla Public Governance. 3.3. L’analisi del contesto italiano
ed europeo. 4. Gli strumenti economico-aziendali per la
corporate governance. 4.1. Il controllo a livello di gruppo.
4.2. I sistemi di misurazione delle performance. 4.3. La responsabilità sociale e il bilancio di sostenibilità. 5. I casi
aziendali. 5.1. La metodologia di analisi. 5.2. I gruppi e
le aziende di grandi e medie dimensioni. 6. I risultati conclusivi della ricerca: una visione di insieme. Bibliografia.
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Fonti di approfondimento
Alessandro Rovinetti
Comunicazione
pubblica
Sapere & Fare
Milano: Gruppo24Ore,
2010
pp. 268, € 35,00
In libreria
Indice del volume: 1. La comunicazione pubblica: origine
ed evoluzione. 2. La comunicazione pubblica e la legge
150. 3. Le relazioni con i media: l’ufficio stampa. 4. Le
relazioni con i cittadini: l’ufficio relazioni con il pubblico. 5. Le relazioni con i dipendenti: la comunicazione
interna. 6. Tecnologia e comunicazione. 7. Marketing,
customer, pubblicità, campagne di comunicazione. 8.
Valori e specificità della comunicazione pubblica in Italia e in Europa. 9. Le professioni della comunicazione
pubblica. 10. Il futuro della comunicazione pubblica.
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Azienda Pubblica 2.2010
Note per gli autori
Azienda Pubblica: note per gli autori
Condizioni essenziali per la considerazione dei manoscritti, l’ammissione al
referaggio e la pubblicazione
La pubblicazione di contributi su Azienda Pubblica avviene sulla base della seguente procedura:
1) i contributi, della lunghezza indicativa di 40.000 battute, devono essere inviati alla Segreteria in
formato word completo di tabelle, figure, note, bibliografia e rispondenti alle norme redazionali. È
richiesta l’indicazione di un autore di riferimento, al quale saranno trasmesse tutte le comunicazioni
successive.
2) I contributi sono sottoposti al vaglio del Comitato di redazione che, accertatane la conformità
con lo scopo della rivista e i requisiti richiesti, li invia, assieme alla scheda di referaggio (vedi
allegato), in forma anonima a due dei referee ufficiali della Rivista e contestualmente richiede
l’impegno da parte degli Autori stessi a non proporre il contributo per altre pubblicazioni per
la durata di tutto il processo di valutazione.
3) Le osservazioni dei referee vengono inviate in forma anonima agli Autori con la richiesta
delle revisioni indicate.
4) La nuova stesura, con lettera degli Autori ai referee in cui si precisino l’entità e le ragioni delle
modifiche operate, viene valutata dal Direttore (Editor) Scientifico e, in caso di dubbi residui,
sottoposta agli stessi referee iniziali per un giudizio definitivo (o eventuale richiesta di ulteriore
modifica).
5) Ottenuta la valutazione definitiva, l’articolo viene accettato per la pubblicazione con la richiesta agli Autori di predisporre un abstract e parole chiave in italiano, inglese e francese (per
l’inserimento in un database di EGPA European Group of Public Administration).
Non saranno considerati ed ammessi al referaggio i contributi che non rispettano le seguenti
condizioni:
– i manoscritti sottoposti ad Azienda Pubblica non devono essere già stati pubblicati o essere
stati presentati per la considerazione presso altre riviste;
– i manoscritti devono rispettare gli standard di struttura, abstract, note, tabelle, riferimenti
bibliografici precisati di seguito.
Gli autori sono invitati a rispettare le richieste relative alla forma e allo stile per minimizzare ritardi
e necessità di revisione. Inoltre, deve essere evitato ogni riferimento che possa consentire un loro
riconoscimento diretto o indiretto ed assicurare così un corretto processo di referaggio.
Invio dei contributi
I contributi devono essere presentati alla rivista presso:
Redazione Azienda Pubblica
Istituto di Pubblica Amministrazione e sanità,
Università L. Bocconi, IPAS – Via Röntgen, 1 – 20136 Milano
e-mail: [email protected]
Formato e stile
carattere: arial 12 - margini: 3x3x3x3
La prima pagina: deve indicare 1) il titolo 2) i nomi degli autori, 3) i loro titoli e le istituzioni
di appartenenza, 4) l’indicazione dell’autore che curerà la corrispondenza e il suo indirizzo
completo, 5) eventuali ringraziamenti.
La seconda pagina: deve contenere 1) il titolo, 2) l’abstract in italiano, in inglese e francese
(massimo 10 righe), 3) le parole chiave in italiano, inglese e francese (fino ad un massimo di
tre) e 4) il Sommario.
317
Azienda Pubblica 2.2010
Note per gli autori
Nella terza pagina: dopo la ripetizione del titolo, dovrebbe iniziare l’articolo.
La struttura del testo si articola in: Titolo del testo, Titoli numerati di Paragrafi (es. 1. Introduzione).
Non è prevista un’articolazione in sottoparagrafi (es. 1.1, 1.2, ecc.).
Sono invece ammessi “sottotitoli” in corsivo non numerati.
Si richiede il sommario iniziale.
Lunghezza: il contributo si intende di circa 40.000 caratteri (conteggio parole di word).
I contributi che si discostano in maniera significativa da questi standard non saranno ammessi
al referaggio.
Note: le note si intendono a pié di pagina e devono essere identificate da un numero cardinale.
Il numero delle note e la lunghezza di ciascuna nota devono essere ridotti al minimo indispensabile in modo da favorire la snellezza del testo.
Si consiglia di non inserire nelle note citazioni o riferimenti bibliografici.
È responsabilità dell’autore adeguare l’assetto delle note agli standard della rivista.
Tabelle e figure: figure e tabelle devono essere numerate e avere didascalia, vanno richiamate
nel testo e riportate in file separato.
Si ricorda che la rivista è in bianco e nero. Non saranno accettate figure a colori.
Riferimenti bibliografici: i riferimenti bibliografici devono limitarsi a quelli espressamente citati
nel testo.
In particolare, la rivista utilizza, per le citazioni nel testo, il sistema autore-data.
La citazione nel testo prevede la seguente forma: (Rossi, 1997: pp. 345-347).
Per contributi con più di due autori, si usi la forma (Rossi et al. 1997: pp. 345-347).
Per citazioni multiple dello stesso autore e nello stesso anno, far seguire a, b, c, ecc. all’anno.
Nei riferimenti bibliografici, in coerenza con il sistema autore-data, i riferimenti devono essere
riportati a fine testo nella seguente forma:
Monografie
Brunetti G. (1979), Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, Milano: Franco Angeli.
Pubblicazioni con più autori
Bruns W.J., Kaplan R.S. (a cura di) (1987), Accounting and Management: Field Study Perspectives, Boston,
MA: Harvard Business School Press.
Saggi in pubblicazioni
Kaplan R.S. (1985), “Accounting lag: the obsolescence of cost accounting systems”, in K. Clark, C. Lorenze
(a cura di), Technology and Productivity: the Uneasy Alliance, Boston, MA: Harvard Business School Press,
pp. 195-226.
Articoli in riviste
Meneguzzo M., Della Piana B. (2002) “Knowledge management e p.a. Conciliare l’inconcilibaile?”, Azienda
pubblica, 4-5, pp. 489-512.
Rapporti/Atti
OECD (1999), Principle of corporate Governance, Paris: OECD.
Non pubblicati
Zito A. (1994), “Epistemic communities in European policy-making”, Ph.D. dissertation, Department of
Political Science, University of Pittsburgh.
Stile e forma: si richiede uno stile lineare e scorrevole e il testo inviato deve essere già stato
sottoposto al controllo ortografico.
È raccomandato l’utilizzo della forma impersonale.
Azienda Pubblica 2.2010
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Comitato scientifico
Fabio Amatucci, Michael Barzelay, Maria Bergamin Barbato, Carmine Bianchi, Massimo Bianchi, Geert
Bouckaert, Armando Buccellato, Roberto Cafferata, Dario Cavenago, Jim Chan, Giovanni Costa, Mariano
D’Amore, Mario Del Vecchio, Fabio Donato, Peter Eichhorn, Bill Eimicke, Marco Elefanti, Giovanni Fattore,
Giorgio Fiorentini, Andrea Francesconi, Giuseppina Gandini, Andrea Garlatti, Lucia Giovanelli, Katia
Giusepponi, Giuseppe Grossi, James Guthrie, Luciano Hinna, Federico Lega, Francesco Longo, Lawrence
R. Jones, Nancy Kane, Walter Kickert, Davide Maggi, Francesco Manfredi, Giuseppe Marcon, Ludovico
Marinò, Antonio Matacena, Mario Mazzoleni, Paola Miolo Vitali, Marcella Mulazzani, Roberto Negri,
Paola Orlandini, Stephen Osborne, Fabrizio Panozzo, Niccolò Persiani, Fabrizio Pezzani, Cristopher Pollit,
Adriano Propersi, Gianfranco Rebora, Christoph Reichard, Angelo Riccaboni, Paolo Ricci, Paolo Rondo
Brovetto, Renato Ruffini, Massimo Sargiacomo, Kuno Schedler, Barbara Sibilio, Alessandra Storlazzi, Jeffrey
D. Straussman, Sebastiano Torcivia, Emidia Vagnoni, Giovanni Valotti, Francesco Vermiglio, Alfred Vernis,
Stefano Zambon, Mara Zuccardi Merli, Elena Zuffada