La Divina Commedia - "Ferraris"

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La Divina Commedia - "Ferraris"
Elisa Pomarico1
La Divina Commedia
Spesso, parlando tra studenti, la famosa opera di Dante, risulta essere un noioso tomo
medievale che non può sfiorarci minimamente.
Invece, non ci accorgiamo che la particolarità di quest’opera è quella di esser sempre
attuale. Cambiando solo i nomi dei personaggi incontrati dal nostro noto autore vedremmo
quanto le situazioni non siano mutate in secoli di storia anche senza parlare di politica.
Non basterebbe un libro per parlare della fusione tra grottesco e sublime dell’inferno, del
clima elegiaco del purgatorio, della magnificenza del paradiso, o del paesaggio che lascia
incantati per la precisione di Dante nel dipingere quadri cosi nitidi e precisi da sembrare una
telecamera, o ancora del realismo Dantesco.
Quello che voglio fare io è raccontare cosa mi ha personalmente e particolarmente colpito.
Partiamo dall’inizio: Dante... l'incipit è noto a tutti, Dante che si perde in una selva: la selva
del peccato, ma anche la selva della difficoltà dei problemi quotidiani che ci spezza le ali per
salire sul monte dei nostri fini.
Dante nelle prime due cantiche è perso. È perso come ognuno di noi, ragazzi adolescenti
con la testa tra mille problemi che siamo incapaci di risolvere, ma cosi orgogliosi da non
ammetterlo. Non ne teniamo mai conto: Dante compie questo ipotetico viaggio all’età di 35
anni: è più vicino a noi di quanto non immaginiamo. Spesso, il nostro autore commetterà
ingenuità, avrà paura, sarà talmente coinvolto da svenire... non è il sommo poeta nell'iperuranio
distaccato dalla realtà: è un uomo come noi.
Ecco che in quel buio, in quella disperazione arriva Virgilio... un personaggio straordinario,
l'allegoria della ragione, ma allo stesso tempo padre, guida e luce di Dante per le prime due
cantiche. Ecco la figura che in assoluto è l’immagine di ciò che abbiamo bisogno: una guida.
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Studentessa della classe V C. Questo testo è stato scritto per Prismi.
Dante comprende di non potercela fare da solo. Chiede aiuto (”Miserere di me”), il poeta latino
gli si fa davanti proponendosi come sostegno (“ed io sarò tua guida”) e l’autore fiorentino lo
accetta (“ed io gli tenni dietro”). Noi ragazzi, spesso, ci sentiamo cadere in un baratro, ma,
presi dai nostri deliri di onnipotenza, siamo ben lungi dall’accettare una guida che può celarsi
in un amico, in un genitore, in un professore, quella piccola lanterna che ci farebbe uscire dal
buio del nostro inferno.
Durante il cammino, Virgilio lo rimprovera, ma se ne prende cura: lo tranquillizza, lo aiuta,
gli dà coraggio lo prende persino sulle spalle, è colui che lo spinge a parlare e interrogare i
personaggi che incontra, ma il momento più bello è quando devono salire sulle spalle del
mostro Gerione: Virgilio si mette dietro per proteggere Dante dalla coda di scorpione della
creatura… e il sommo poeta? Ha paura... anzi trema e vuole che Virgilio lo abbracci, ma è
troppo vergognoso per dirlo "ma la voce non usci com'io credetti: vuò che tu m'abbracci".
Ma Dante incontra all'inferno un'altra sua guida, quella terrena: Brunetto Latini, lo
riconosce nonostante la sua misera condizione e fa di tutto per mostrargli il suo ricordo
benevolo e la sua gratitudine... Per non umiliarlo Dante non nomina Virgilio, ma anzi gli
ricorda il suo affetto "se tutto completo fosse il mio dimando [...] voi non sareste ancora della
vita messo in bando". Riconosce nel vecchio maestro la sua guida terrena, che lo ha portato al
successo e gli e lo riconosce. Il rapporto allievo-maestro che Dante tratta sembra pari a quello
padre-figlio: un padre affettuoso, un padre di vita.
Brunetto Latini, se ben andiamo ad analizzare, chi era? Uno dei maestri di Dante. Un prof.
Oserei dire. Eh già talvolta anche un docente può aiutarci a uscire dal nostro inferno.
Questo argomento, in altri toni, è trattato anche nel purgatorio nel canto di Stazio
Stazio è un poeta latino che nel medioevo si credeva essersi convertito al cristianesimo
grazie a Virgilio: per questo lo troviamo in purgatorio e non nel limbo... ecco che quando Dante
lo incontra, egli si è appena liberato e potrebbe correre in paradiso. Stazio (non contemporaneo
del suo salvatore) non riconosce l'accompagnatore di Dante e parla di Virgilio come la luce del
suo cammino, colui che porta una lanterna dietro sé facendo luce agli altri, ma non a se stesso.
Per incontrare la ragione della sua salvezza, darebbe un anno di permanenza in purgatorio...
Dante (ditemi se non è vicino a noi) sa che quella luce è proprio davanti a suoi occhi, vorrebbe
dirglielo, ma Virgilio con un'occhiata gli fa segno di tacere.
Purtroppo il nostro poeta non riesce a trattenersi e scoppia a ridere. Stazio è confuso e
Virgilio permette che Dante parli. Allo svelamento della verità segue la gioia e lo stupore di
Stazio paragonabile a quello del nostro protagonista all'inizio dell'opera. Ecco che la figura del
maestro è ancor di più immagine di un “catcher” (come direbbe l’autore del “giovane Holden”)
che prende il suo protetto e lo tira fuori dalla sua perdizione.
E ora il punto clou... il nostro Virgilio dichiara al suo "figlio" (pensate il vostro maestro,
mito, guida che vi rivolge queste parole) di averlo condotto dappertutto con ogni sua
possibilità... ora Dante entrerà dove lui non può più nulla... il nostro poeta è diventato signore
di se stesso. Dopo queste parole... Virgilio non parlerà più e seguirà Dante in silenzio.
Dopo l'ingresso nell'eden e una processione appare Beatrice e Dante orfano di lei da tempo,
riprova quella fiamma amorosa che nutriva per lei in vita allora si volta per cercare Virgilio e
comunicargli il suo stato d'animo come un bambino fa con la madre, ma Virgilio non c'è più:
sparisce e DANTE PIANGE... il suo volto è rigato dalle lacrime.
Il distacco. Dante, come noi, è pronto a spiccare il volo, non ha più bisogno di essere
indirizzato, ma deve prendere in mano la sua vita. È difficile separarsi da una persona a cui
vogliamo bene e che ci vuole bene proprio ora che abbiamo capito quanto essa sia importante,
ora che abbiamo l’umiltà di ammettere che non siamo Dio, ma delle persone che possono
sbagliare e che sbaglieranno. È duro, ma è necessario. Virgilio se ne va senza pronunciare
inutili commiati. No. Sparisce. Rende in un certo modo più facile il distacco, ma Dante
comunque si sente privato di un pezzo di sé. Piange. Come faremmo noi. È forse il pezzo più
commuovente di tutta la Commedia.
Eppure Dante è ancora bisognoso di aiuto. Certo non c’è più la necessità che impari a
volare o che venga guidato passo passo, ma che qualcuno gli stia accanto per “farlo rigare
diritto” e questo è il ruolo di Beatrice.
Quando anche noi potremo dirci pronti a tirare da soli il carro della nostra vita, ci sarà
sempre una figura o anche un asintoto a cui tendere, qualcosa che ci indirizzi. Questo a me
piace vederlo nella nostra costituzione forse l’opera più bella sulla carta, ma che se fosse
inverata diventerebbe anche la via di uscita da un ben altro tipo di inferno.
Credo che se esiste un'opera che possa essere cosi vicina alla modernità per realismo e
possa avere una forza sempre nuova di commuovere: questa è la Commedia la cui lettura porta
intriso già l’aggettivo di Divina.