Le origini - Anc. VASTO

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Le origini - Anc. VASTO
Le origini
Premessa
Tuta nera, mitraglietta tedesca imbracciata e soprattutto un passamontagna
nero che lascia vedere solo la bocca e gli occhi. Recenti episodi di cronaca
hanno mostrato i carabinieri in questa tenuta insolita.
Chi non l'avesse saputo avrebbe pensato di avere di fronte un gruppo di
terroristi o rapinatori, eppure è uno dei tipici abbigliamenti del reparto d'élite
GIS (Gruppo Intervento Speciale) che insieme ad un'altra formazione
dell'Arma, i Cacciatori d'Aspromonte, ha portato duri colpi alla malavita
organizzata, soprattutto nelle operazioni per la liberazione di ostaggi.
Lucenti nelle loro corazze per la guardia al Presidente della Repubblica; coperti
dai giubbotti antiproiettile nei numerosi servizi di scorta; in pattuglia con la
caratteristica divisa nera d'inverno ed azzurrina d'estate; vestiti in borghese
durante le missioni più delicate: ecco alcuni dei molteplici volti di un corpo
armato che ha mantenuto intatte le sue peculiarità.
All'apparenza il fatto che esistano i carabinieri è un fatto talmente scontato nel
paesaggio psicologico italiano come lo sono gli spaghetti, la Scala, la Torre
Pendente, da farli sembrare uomini di tutti i tempi. Conosciuti attraverso la
descrizione imponente e severa che ci ha lasciato il Collodi nel suo "Pinocchio"
o quelle più scanzonate, o ancora quelle di tanti film, dal neorealismo alla
commedia all'italiana, oppure ancora attraverso una concreta presenza di
legge, ordine e coraggio, questi militi proiettano un'immagine di costante
coerenza, facilmente e graniticamente fedele a se stessa.
La loro storia dimostra però che la fedeltà è una virtù difficile da praticare. Lo
sanno bene anche i gesuiti, un'altra istituzione a forte matrice militare.
Ed è in una situazione di emergenza e di sconvolgimento che si assiste alla
nascita di un corpo dalla doppia funzione di polizia e militare come i carabinieri.
Così nacque la Benemerita
Rientrato in Piemonte dopo la caduta di Napoleone, Vittorio Emanuele I di Savoia
costituì il Corpo dei Carabinieri ispirandosi alla Gendarmeria francese. Napoleone, che
aveva letteralmente messo a soqquadro l'Europa per un buon decennio, era stato
appena dichiarato decaduto dal suo imperiale titolo il 3 aprile 1814 e Vittorio
Emanuele I di Savoia poteva finalmente fare ritorno, sull'onda della Restaurazione, al
suo Regno di Sardegna. I suoi possedimenti comprendono, oltre all'isola, i ducati di
Savoia, Aosta, Monferrato, Nizza, Oneglia, le città di Alessandria, Voghera, Tortona,
Vigevano e le zone della Val Sesia, Val d'Ossola, Lomellina. La situazione politica in
Italia era dominata allora da due fattori largamente coincidenti: Austria e
Restaurazione.
Un potente ed efficiente caposaldo dell'Impero d'Austria è quindi rappresentato
dal Regno lombardo - veneto, da cui si irradia l'influenza politica verso i più
piccoli Stati italiani. Tra questi vi sono: il ducato di Modena; il ducato di Parma;
il granducato di Toscana (tutti e tre con regnanti imparentati con la famiglia
imperiale austriaca degli Asburgo); lo Stato pontificio, in cui la fazione politica
conservatrice aveva avuto il sopravvento; il regno delle Due Sicilie, il cui
sovrano, Ferdinando I, aveva appena abrogato la costituzione. In tutti questi
Stati prevale un orientamento politico conservatore che favorisce la stretta
intesa con l'Austria contro ogni ritorno rivoluzionario o libertario. Non solo le
polizie sono attive nel ricercare gli elementi dissidenti, ma talvolta vengono
costituite società segrete il cui scopo è di appoggiare con ogni mezzo il nuovo
ordine reazionario.
Anche in Piemonte giocava l'accoppiata Austria - Restaurazione nel
determinare il clima politico, inasprito dal fatto che il precedente governo si era
retto sulla potenza militare dei francesi invasori. L'ordine pubblico, come era
prevedibile dopo un simile rivolgimento politico, era quanto mai precario ed era
gestito a stento dagli elementi della disciolta Gendarmeria di istituzione
francese. In Francia la Gendarmeria aveva origini medievali con la delega del
re ad un maresciallo dei potere giudiziario in zona di guerra. Allo scopo di
controllare gli eccessi cui volentieri si abbandonavano le sue truppe dopo le
battaglie e gli assedi, il maresciallo disponeva della "maréchaussée" (appunto
un maresciallato), composta da compagnie di polizia e da giudici, che
formavano tribunali militari.
L'intelaiatura di comando di questa polizia e della giustizia militare era
costituita dai prevosti che erano a capo dei tribunali. Le competenze
strettamente militari dei prevosti continuarono con la creazione di eserciti
permanenti, cui corrispose l'istituzione di prevosti provinciali per controllare le
guarnigioni. L'estensione a compiti di polizia civile avvenne nel 1536 con la
decisione del re Francesco I di Valois di affidare ai prevosti la repressione dei
cosiddetti delitti di strada, cioè del brigantaggio. Questo concetto fondamentale
di duplice polizia civile e militare in un unico corpo sopravvisse alla Rivoluzione
Francese ed è tuttora presente nell'ordinamento di polizia francese.
Dopo essere sbarcato l'8 maggio a Genova, il vecchio re si affretta a cancellare
tutte le vestigia dell'odiato passato rivoluzionario. Tuttavia comprende
piuttosto rapidamente che è necessario creare uno strumento che svolga le
essenziali funzioni della Gendarmeria. La funzione sopravvive, il nome cambia.
Nel giro di un mese l'opinione nei quadri dirigenti della corte si consolida
intorno alla soluzione del problema del mantenimento dell'ordine. Il barone Des
Geneys, Maggiore Generale delle Armate di Fanteria e Capo Squadra della
Marina, in un appunto comunicava che «esaminando anche lo stato attuale
delle fortunate regioni ritornate sotto il paterno dominio del loro legittimo
Sovrano, non si può fare a meno d'esser vivamente impressionato dalle grandi
minacce che dovunque si celano contro la tranquillità pubblica, delle quali non
si possono individuare altre cause fuorché le passate peripezie e gli straordinari
felici eventi, i quali devono giustamente far sperare in un avvenire
fortunatissimo ...».
Riflettendo poi sui mezzi coattivi per reprimere il disordine, si osserva come
sarebbe «sia opportuna che efficace l'istituzione del Corpo dei Carabinieri Reali.
Esso potrà ancor più rendersi utile con la nuova formazione progettata che non
solo darà maggior forza con l'aumento del numero degli effettivi, ma più
ancora con l'immissione degli eccellenti Ufficiali, che fondatamente si spera di
incorporare».
Fu così che nel giugno del 1814 fu stilato dalla Segreteria di Guerra (un
equivalente dell'attuale Ministero della Difesa) un "Progetto di istituzione di un
Corpo militare per il mantenimento del buon ordine" a firma del capitano
reggente di Pinerolo, Luigi Prunotti. In diciotto articoli veniva redatto un
regolamento che servì di base a successivi documenti. Il 16 giugno dello stesso
anno fu completato un secondo studio, 'll Progetto d'Istruzione Provvisoria per
il Corpo dei Carabinieri Reali", controfirmato dal Generale d'Armata Giuseppe
Thaon di Revel.
In questo progetto si prevedevano molteplici compiti che, in un italiano un po'
più moderno del testo originale, suonano così: «Si farà ogni giorno da due
carabinieri d'ogni Brigata a cavallo un giro di pattuglia sulle strade principali,
quelle di traversa, sulle strade vicinali, nei comuni, casali, cascine ed altri
luoghi del distretto di ciascuna Brigata... I Marescialli e Brigadieri marceranno
coi Carabinieri per i suddetti giri di pattuglia, anche per i compiti di servizio sia
ordinario che straordinario... I Carabinieri arresteranno i malviventi di
qualunque specie anche se semplicemente sospetti, colti in flagrante contro i
quali la voce dei cittadini richiederà la loro azione».
I casi straordinari d'intervento dei costituendi carabinieri comprendevano
anche: furti con scasso, commessi da bande di malviventi, incendi ed
assassini; rapine a corrieri governativi, diligenze cariche di munizioni o soldi
dello Stato; rapimenti; repressione dello spionaggio; repressione del
contrabbando e dell'accaparramento di granaglie e viveri; lotta ai falsari. Il
progetto prevedeva la formazione di una sorta di Ministero degli Interni, detto
'Buon Governo", con la funzione di sovrintendere all'apparato di polizia, di cui i
carabinieri sono la forza militare a disposizione.
Ecco tutto quello che dicevano le Regie Patenti
Tutto questo lavoro di preparazione culminò con la promulgazione delle Regie
Patenti del 13 luglio 1814, che segnarono la nascita dei Carabinieri. Le patenti
costituivano un atto ufficiale con il quale si dava formalmente il via a progetti
di particolare rilievo per lo Stato e si stabilivano compiti e competenze per il
progetto in questione.
Il preambolo dello storico documento, che ci siamo preoccupati di aggiornare
nel frasario. esprime in modo sufficientemente chiaro e intelligibile le
circostanze della nascita del Corpo dei Carabinieri Reali.
«Per ristabilire ed assicurare il buon ordine, e la pubblica tranquillità, che le
passate disgustose vicende hanno non poco turbata a danno dei buoni e fedeli
Nostri sudditi, abbiamo riconosciuto che sia necessario mettere in atto tutti
quei mezzi, che possono essere confacenti per scoprire e sottoporre al rigore
della Legge i malviventi ed i male intenzionati, e per prevenire le perniciose
conseguenze, che da simili soggetti, sempre odiosi alla Società, possono
derivare a danno dei privati cittadini, e dello Stato. Abbiamo già a questo fine
dato le Nostre disposizioni per stabilire una direzione generale di Buon
Governo, specialmente incaricata di vigilare al mantenimento della sicurezza
pubblica e privata, e di affrontare quei disordini, che potrebbero turbarla. E per
avere i mezzi più pronti ed adatti allo scopo prefisso con una forza ben
distribuita.
Abbiamo pure ordinato la formazione (che si sta compiendo) di un Corpo di
militari, distinti per buona condotta e saggezza, chiamati col nome di Corpo dei
Carabinieri Reali. Essi avranno le speciali prerogative, attribuzioni, ed
incombenze finalizzate allo scopo di contribuire sempre più alla maggiore
prosperità dello Stato, che non può essere disgiunta dalla protezione e difesa
dei buoni e fedeli Sudditi nostri, e dalla punizione dei colpevoli». Tra gli articoli
che segneranno profondamente la natura dell'istituzione per i secoli successivi
vanno anche citati
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l'articolo 6: «Le deposizioni dei Nostri carabinieri Reali avranno la
stessa forza delle deposizioni dei testimoni»;
l'articolo 11: «I carabinieri Reali non potranno essere distolti dalle
Autorità Civili o Militari dall'esercizio delle loro funzioni, salvo in
circostanze di urgente necessità, nel qual caso dovrà essere inviata
al Comandante del Posto una motivata richiesta scritta, cui lo
stesso Comandante dovrà aderire»;
l'articolo 12: «Il Corpo dei Carabinieri Reali sarà considerato
nell'Armata il primo fra gli altri, dopo le Guardie del Corpo».
AMPIE COMPETENZE. Quello che si configura nelle Regie Patenti del 13 luglio
1814 é dunque un corpo di élite, con ampie competenze in materia di ordine
pubblico, la cui funzione di protezione della stabilità interna è considerata
talmente importante da venir solo dopo la salvaguardia della persona del
sovrano stesso. Questa posizione di preminenza dell'Arma verrà riconfermata
in tutti i regimi successivi, fatta eccezione per quello fascista che istituì (ma
senza troppo successo, va precisato) un contraltare nella Milizia Volontaria per
la Sicurezza Nazionale (MVSN).
Nei primi dell'agosto 1814 veniva emanato l'apposito "Regolamento per
l'istituzione del Corpo", in cui sono fissati e specificati molti ruoli già delineati
negli studi preparatori di giugno.
Sempre in quei giorni (3 agosto) una Lettera Patente nomina Presidente Capo
di Buon Governo il Generale d'Armata Giuseppe Thaon di Revel di Sant'Andrea,
il quale è contemporaneamente Governatore della città, cittadella e provincia di
Torino. In quanto Presidente del Buon Governo, il Thaon di Revel è da
considerare anche il primo comandante generale del corpo. Sei giorni dopo,
insieme alla nomina del "Signor Conte Provana di Bussolino, colonnello
comandante d'esso Corpo" con l'incarico di procedere alla formazione del
medesimo ed all'assegnazione degli incarichi, la Determinazione sovrana (9
agosto) stabilisce l'articolazione del Corpo in carabinieri a cavallo e carabinieri
a piedi, nonché i lineamenti generali della divisa.
L'ORGANICO INIZIALE. La forza con cui i carabinieri cominciano ad operare
é di 27 ufficiali e 776 tra sottufficiali e truppa (che allora venivano chiamati
Bass'uffiziali e bassa forza). Più precisamente gli ufficiali comprendono: un
colonnello con il suo aiutante maggiore, quattro capitani, dieci luogotenenti (i
nostri attuali tenenti), dieci sottotenenti ed un quartiermastro. Quest'ultimo
aveva funzioni logistico-amministrative e si occupava, fra le altre cose, di vitto,
casermaggio e assegni. I sottufficiali erano: quattro marescialli d'alloggio a
piedi e tredici a cavallo, cinquantuno brigadieri a piedi e sessantanove a
Cavallo ed infine 277 carabinieri a piedi e 367 a cavallo. Il maggiore costo della
forza montata rispetto a quella appiedata era compensato dalla superiore
mobilità e dal maggiore raggio di azione e controllo. Non dobbiamo dimenticare
che un uomo a piedi non supera una velocità media di cinque chilometri orari.
DODICI DIVISIONI. Il Corpo venne articolato in Divisioni (corrispondenti agli
attuali gruppi territoriali), una per provincia e comandata da un capitano. Ne
furono previste dodici, ma quelle costituite immediatamente furono soltanto
sei: Torino, Savoia, Cuneo, Alessandria, Nizza e Novara. Ogni divisione aveva
sotto di sé una serie di Luogotenenze, guidate da un luogotenente o da un
sottotenente. Queste coordinavano l'ultimo anello ordinativo della catena, le
Stazioni, che erano capillarmente distribuite su tutto il territorio e comandate
da marescialli o brigadieri.
L'obiettivo di costituire una prima linea di difesa territoriale e di coprire
sistematicamente il territorio per il controllo della criminalità fu considerato di
primaria importanza ed è rimasto praticamente lo stesso fino ai nostri tempi.
Una selezione severa per entrare nell'Arma
Come per tutti i corpi scelti, e in particolar modo per quelli addetti alla
sicurezza interna, si pose il problema molto delicato dei criteri di reclutamento.
Da un lato il problema veniva risolto dando accesso quasi esclusivo a chi
avesse prestato servizio per quattro anni in altri corpi. Diversamente da quanto
avviene oggi (accesso per concorso diretto e reclutamenti annuali con la leva),
quella disposizione garantiva la presenza di persone che fossero già
pienamente formate alla disciplina ed alla vita militare. La validità di questo
concetto è stata ripresa nel corso di questi ultimi due anni da diverse proposte
che mirano a restringere nuovamente il reclutamento di tutti i corpi di polizia
solo ai volontari a ferma biennale nei corpi militari.
Due ulteriori filtri per l'aspirante carabiniere di allora erano rappresentati dal
requisito di statura pari a non meno di 39 oncie (circa un metro e
settantacinque) e da quello di saper leggere e scrivere. In un'epoca nella quale
l'analfabetismo toccava valori normali almeno dell'80 per cento e la statura
media risentiva di una dieta povera di proteine e lipidi, si trattava di requisiti
davvero molto severi. Non meno importanti erano naturalmente le
caratteristiche politiche del personale reclutato. Molti elementi della precedente
Gendarmeria erano stati esonerati dal servizio di quel corpo perché ritenuti
fedeli alla monarchia sabauda o perché sospettati di liberalismo dall'occhiuta
polizia politica napoleonica. Proprio questi costituirono un nucleo fedele di
appartenenti alla neonata istituzione. Altrettanto attenta era la scelta degli
ufficiali, anche se si fece particolare attenzione alla loro competenza acquisita
nelle armate napoleoniche.
Per esempio entra come luogotenente un Taffini d'Acceglio, che vanta una
classica carriera dalla gavetta: da cannoniere semplice a capitano
dell'artiglieria a cavallo francese insignito della Legion d'Honneur. Un altro caso
è il luogotenente Cottalorda, che ha raggiunto il grado di maresciallo d'alloggio
(marechal de logis) del 3° Reggimento Corazzieri francese. Non sono affatto
danneggiati dai loro precedenti napoleonici, tanto che diventeranno
Comandante Generale del Corpo dei CCRR (Carabinieri Reali) il primo, e
Maggior Generale il secondo. E non si tratta di eccezioni. A scorrere il ruolino
dei primi ufficiali si incontrano: due appartenenti alla tanto odiata
Gendarmeria; un ufficiale della legione francese del Mezzogiorno; una exguardia d'onore imperiale; due ex-ufficiali dell'Impero d'Austria.
SOTTO GLI ZAR. L'emergenza della situazione interna del Regno di Sardegna
faceva rapidamente chiudere un occhio sui precedenti, nonostante il clima di
restaurazione imperante. Del resto qualche decennio prima il primo nucleo di
professionisti degli eserciti della Rivoluzione Francese era di nomina regia e
molti brillanti ufficiali delle armate bolsceviche nella guerra civile del 19171921 avevano fatto carriera con il regime zarista. Un incentivo non trascurabile
al reclutamento volontario é offerto dalla paga: cinquecento lire per un
carabiniere a piedi e mille per uno a cavallo sono una somma di tutto rispetto
in quel secolo, Un'altro, utile per il morale e lo spirito di. corpo, fu impiegato
secondo la raccomandazione formulata il 23 giugno 1814 al re dal comandante
interinale della Gendarmeria, il capitano Camillo Beccaria, poi passato nei
CCRR. Il capitano proponeva che «i gendarmi facciano uso al colletto degli
alamari d'argento... questa distinzione avrebbe invitato molta gioventù civile a
passare nel Corpo e nulla costerebbe a Sua Maestà».
COME I GRANATIERI. I famosi alamari d'argento erano in comune con un
altro corpo scelto: i granatieri. Che cosa avevano in comune due corpi dalle
mansioni così diverse e perché uno dei distintivi dei carabinieri è proprio una
granata, la famosa "fiamma"? La parola carabiniere, di per sé, non era affatto
nuova. Derivava dall'arma, la carabina, caratteristica di reparti di fanteria
leggera, che avevano a disposizione anni di maggiore precisione, gittata e
distruttività, come appunto la carabina e la granata. I fanti di questi reparti
avevano un addestramento superiore perché, a differenza dei loro colleghi
della fanteria di linea, costretti a muoversi in formazioni pesanti e a contatto di
gomito, dovevano possedere maggiore mobilità ed iniziativa.
Infatti l'introduzione delle armi da fuoco, per quanto avesse decretato
gradualmente la fine della vecchia cavalleria feudale, non aveva affatto
sconvolto la concezione degli ordinamenti tattici fondamentali. Attraverso le
sanguinose battaglie della Guerra dei Trent'Anni fino ai grandi scontri
napoleonici era sempre rimasto il problema di corno coprire i fianchi di
formazioni di fanteria imponenti, ma vulnerabili, e di come garantirsi un nucleo
duro di fanti da usare come riserva decisiva. Ecco perché gli insegnamenti delle
fanterie macedoni e romane erano rimasti una fonte di ispirazione continua per
i grandi capitani. Se la falange era coperta dagli armati alla leggera detti psiliti,
i manipoli delle legioni si avvalevano dei veliti per le scaramucce iniziali ed il
velo di protezione, la fanteria di linea del XIX secolo (che forniva la massa) era
accompagnata da fanteria leggera come tiragliatori, bersaglieri, carabinieri,
cacciatori e granatieri.
Più tardi in molti eserciti, da Federico il Grande fino alla guerra francoprussiana, i granatieri costituirono la riserva scelta da impiegare nelle
situazioni critiche. A dispetto dei suo nome, la fanteria leggera continuò dai
tempi di Luigi XIV, il Re Sole, ad aumentare di numero così come la cavalleria
leggera per l'importanza e la flessibilità dei suoi compiti. L'esercito sardopiemontese si adegua già nel 1792 con il re Carlo Emanuele IV, il quale fa
arruolare una centuria di cacciatori scelti.
I cacciatori, che nell'Impero Austriaco e nel Regno di Prussia si chiamavano
Jäger (cacciatori), nel giro di due anni cambiano la denominazione in cacciatori
carabinieri. L'osmosi di funzioni, simboli e tradizione che si verificò tra le
fanterie leggere sardo-piemontesi portò così fin dai primi anni di vita del corpo
all'adozione delle granate sulle falde della divisa.
Approfondimento: Un regolamento in dieci articoli
Se le Regie Patenti del luglio 1814 segnano la nascita dei carabinieri, il
regolamento stilato un mese dopo fornisce la prima ossatura concreta dei
compiti del corpo. Merita di essere riportato nella sua interezza perché,
cambiando i tempi e le situazioni, ben poco sembra essere mutato nei compiti
principali di questa istituzione in questi ultimi 170 anni. Non stupisca la brevità
del regolamento: più di un secolo fa le strutture e la società che le esprimeva
erano molto meno complesse di quanto non siano al giorno d'oggi. I trattati
generalmente stavano in una pagina, mentre gli odierni trattati di disarmo
possono essere scambiati per elenchi del telefono.
"Regolamento per l'istituzione del Corpo"

Di far regolarmente le pattuglie e le corse sulle grandi strade, traverse, e
specialmente sui luoghi sospetti...
 Di raccogliere e prendere tutte le informazioni sui delitti pubblici e
notificarli alle autorità competenti.
 Di ricercar e inseguire i malfattori.
 D'invigilar i mendicanti, vagabondi, e la gente senza mestiere, e
specialmente le persone che saranno indicate ai medesimi come
sospette...
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

Di portar massima diligenza nel visitare i viandanti onde veder se portino
armi proibite, tanto nell'occasione che si domandano a questi le carte
opportune, che in qualunque altra.
Di stender processi verbali (rapporto o verbale, n.d.r.) di tutti i cadaveri
ritrovati sulle strade. nelle campagne o tratti d'acqua, e d'avvisar il più
vicino Ufficiale del loro Corpo, che sarà tenuto di trasferirsi di persona
sul luogo, tosto che gliene sarà dato l'avviso.
Di stender similmente processi verbali degli incendi, rotture (scassi,
n.d.r.), assassini, e di tutti i delitti che lasciano degli indizi dopo che
sono stati commessi.
Di stender parimenti processo verbale di tutte le dichiarazioni che
saranno fatte ai membri dei corpo... dagli abitanti, vicini, parenti, amici,
e altre persone in istato di somministrar (fornire, n.d.r.) indizi ed
informazioni sugli autori dei delitti, e sui loro complici.
Di tenersi a portata di riunioni numerose, come fiere, mercati, feste, balli
pubblici nelle campagne etc.
Di tener la polizia sulle pubbliche strade, di mantener le comunicazioni e i
passaggi liberi in tutti i tempi.
Con la sciabola e la carabina
LE ARMI DEL CORPO. Così la Determinazione sovrana del 9 agosto 1814
fissava con precisione l'armamento nel suo undicesimo articolo:
«L'armamento per gli individui del Corpo dei Carabinieri Reali deve
consistere in una carabina per quelli a cavallo, ed un fucile per quelli a
piedi della qualità la più leggera. Avrà ognuno di essi individui una
sciabola, col cinturone a tracolla ... ; ed inoltre per quelli. a cavallo due
pistole di fonda». Con il successivo "Regolamento per gli uniformi" (8
novembre) l'armamento fu ulteriormente specificato.
I carabinieri a cavallo portavano: una carabina di modello corto ed una
sciabola lunga, più due pistole di fonda per gli ufficiali. Quelli a piedi
avevano: un fucile corto, la baionetta ed una sciabola corta, detta daga.
Allora, e praticamente fino alla prima guerra mondiale, la distinzione tra
equipaggiamento militare e da polizia praticamente non esisteva e nei
carabinieri la mancanza di uno strumento tipico di polizia come il
manganello è durata fino ai nostri giorni. E i carabinieri sono stati
impiegati spesso in compiti di ordine pubblico, dovendo adattarsi e
adattare l'equipaggiamento alle diverse funzioni. In tempi come i nostri,
abituati a quei prodigi della tecnica che sono le mitragliette o alle armi a
raffica controllata di cui si parla, riesce piuttosto difficile immaginarsi
come fossero e soprattutto come funzionassero le armi dei primi
carabinieri.
Tanto la carabina quanto il fucile modello 1814 derivavano dallo
sperimentato fucile francese modello 1777. Si trattava di un fucile a
pietra focaia, ad anima liscia e naturalmente ad avancarica. La carabina
era fabbricata in due versioni: lunga da artiglieria e corta da cavalleria.
Anche il fucile poteva essere lungo per la fanteria di linea o corto per i
cacciatori. I carabinieri adottavano in entrambi i casi le armi più corte,
che erano anche leggere e maneggevoli. Tradizionalmente la carabina
avrebbe dovuto essere ad anima rigata, allo scopo di favorire una
maggiore precisione, ma nel caricamento ad avancarica questo era uno
svantaggio perché richiedeva più tempo per forzare la palla di piombo
nella canna. La carabina pesava 3,3 chilogrammi, era lunga 1.090
millimetri ed aveva il calibro di 17 millimetri. Oggi un calibro del genere
si userebbe soltanto per una mitragliera pesante, capace di perforare
diversi millimetri di acciaio, ma allora era necessario per compensare la
scarsa efficienza balistica della tradizionale munizione a palla.
Il volenteroso che volesse cimentarsi nel tiro con una simile arma ad
avancarica (esistono delle associazioni di appassionati che usano repliche
perfette) scoprirebbe che sarebbe necessaria una sequenza di movimenti
decisamente complessi e che comportano una perfetta coordinazione. Il
fucile va poggiato col calcio a terra, poi bisogna mordere la cartuccia
(che era proprio di carta) e versare la polvere nella canna e con la
bacchetta calcare la polvere. Subito dopo deve essere introdotto lo
stoppaccio (per assicurare la tenuta dei gas di scoppio) e la palla,
ambedue calcati sempre con la bacchetta. Infine con il resto della
polvere si riempie il bacinetto, lo si chiude con la batteria e finalmente si
arma il cane.
Il bacinetto è uno scodellino che contiene la polvere per trasmettere la
fiamma alla carica nella canna. La batteria altro non era che una
piastrina a forma di "L" su cui strisciava la pietra focaia portata dal cane
e che si apriva al momento giusto perché le scintille della pietra
incendiassero la polvere nel bacinetto.
A questo punto se la pietra focaia è stata affilata, la polvere non cade dal
bacinetto, non piove e non si è commesso nella foga del combattimento
l'errore di caricare due volte il fucile, si può ragionevolmente sperare che
il colpo parta. Quanto alla precisione, è tutt'altro discorso: è
appannaggio di pochi tiratori scelti, altrimenti non resta che il tiro quasi
a bruciapelo. E quando si diceva a bruciapelo era proprio così, perché il
colpo faceva una gran fiammata.
Il fucile a pietra focaia è, come ormai si è capito, un'arma di costruzione
assai semplice, ma alquanto difficile da usare. Insomma una di quelle
cose del buon tempo antico che nessuno rimpiange.
ADDESTRAMENTO OSSESSIVO. E' anche facile comprendere che con
queste armi era necessario un addestramento meccanico, quasi
ossessivo, per tirare con celerità e freddezza sotto il fuoco nemico, e
soprattutto che, dopo un po' di fucilate, l'arma risolutiva restava quella
bianca, baionetta o sciabola.
Le pistole funzionavano con lo stesso principio, ma non venivano portate
sulla persona, bensì agganciate alla sella nella fonda, da cui derivò
l'attuale fondina.
Infine il "Regolamento per gli uniformi" (che recano la data dell'8
novembre 1814) stabiliva minuziosamente la divisa del neocostituito
corpo. La divisa era concepita essenzialmente per essere comoda e non
impacciare i movimenti, ma era pur sempre una di quelle splendide
divise ottocentesche eleganti, ricche di simboli e decorazioni di cui le
attuali da cerimonia sono generalmente pallidi epigoni.
Il colore dominante della divisa era il turchino e, nonostante la necessità
di far bella figura comune a tutti gli eserciti del tempo, le esigenze della
praticità erano rispettate il più possibile perché si trattava di dare al
carabiniere un capo di abbigliamento che risultasse funzionale in ogni
circostanza, dall'esercitazione all'inseguimento di un malvivente. E'
interessante rilevare come il colore turchino, nella più moderna variante
del carta da zucchero, sia stato ripreso recentemente dalla nuova divisa
estiva dei carabinieri.
Il pennacchio dell'alta tenuta non era rosso-blu - sarà una caratteristica
che verrà più tardi - ma turchino.
BARBA E CAPELLI. Severi erano i regolamenti per il taglio dei capelli e
per quel che riguardava barba e baffi. Non si trattava, come potrebbe
sembrare, soltanto di una fissazione più o meno tipicamente militare per
l'uniformità (la stessa uniforme ha proprio questo significato), ma una
preoccupazione di carattere igienico e politico.
Il taglio corto dei capelli si rivelava indispensabile per ragioni estetiche e
di disciplina, ma anche e soprattutto per il controllo e l'eliminazione dei
pidocchi, una piaga diffusissima in tempi nei quali i livelli di igiene erano
molto bassi e non esistevano pesticidi o shampoo efficaci.
Invece capelli e basette lunghi, insieme ai baffi ed al pizzetto, avevano
connotati indiscutibilmente rivoluzionari. Non è tiri caso che tanti patrioti
del Risorgimento avessero capelli lunghi e portassero la barba. Chiunque
poi ricordi il '68 saprà che anche allora si poteva agevolmente
distinguere a colpo d'occhio l'affiliazione politica di uno studente
semplicemente dall'insieme del suo abbigliamento.
I carabinieri dovevano esprimere anche nei dettagli il fatto di essere i
difensori dell'ordine dinastico sabaudo ricostituito. Equipaggiati di tutto
punto, regolamentati in tutti gli aspetti essenziali, guidati da ufficiali
competenti e lentamente amalgamati in un corpo di saldo morale, i
carabinieri erano pronti a fare il loro ingresso nella storia.
Approfondimento: Ecco com'era la divisa
Budriere, rangona, dragona, grillò non sono termini di un vecchio
romanzo di cappa e spada, ma appartengono ai termini tecnici usati nel
"Regolamento per gli uniformi" (allora l'uniforme era di genere maschile)
dell'8 novembre 1814.
Vediamo un po' più da vicino l'abbigliamento del nostro avo carabiniere.
La base, secondo il Regolamento, era costituita da un abito "di panno
color turchino, tagliato in modo che si adatti al corpo: sarà interamente
abbottonato sul davanti sino alla cintura con nove grossi bottoni, e sarà
assai comodo sul petto per non impedire il respiro e lasciare libertà di
aprire le spalle".
Maniche, falde e calzoni, altro tipico impaccio per il soldato del tempo,
dovevano essere comodi ed opportunamente dimensionati per non
impedire i movimenti.
Sopra poteva essere indossato un ampio cappotto di lana turchino per i
carabinieri a piedi, mentre quelli a cavallo avevano un "mantello con
maniche, colletto montante, ed una pellegrina, che discenda sin sotto il
"gomito, abbottonata sul davanti". La pellegrina era una mantelletta
corta da indossare sopra il mantello ed era prima caratteristica dei
"romei", i pellegrini in viaggio per Roma.
I militi a cavallo portavano gli stivaletti, mentre quelli a piedi le mezze
ghette da fanteria. Già proprio le ghette di Paperon de' Paperoni, solo
che quelle dei carabinieri erano di maglia di lana nera.
Una parte di rilievo era assunta dalle buffetterie di "buffala" bianca.
Ridotte nell'uniforme attuale quasi sempre a simbolo distintivo, erano
l'imbracatura essenziale per il trasporto di armi e munizioni.
Il carabiniere a cavallo aveva: un cinturone bianco con pendagli per
agganciarvi la sciabola lunga; la dragona da legare all'elsa della
sciabola; la bandoliera con la classica giberna per polvere e palla,
fregiata dalla granata in ottone, la rangona con un crocchio in ferro per
agganciare la carabina quando si cavalcava. Bandoliera e rangona si
sovrapponevano da destra a sinistra sul petto e sulla spalla.
Ecco finalmente la spiegazione di alcuni dei termini misteriosi incontrati
all'inizio.
La dragona è un laccio con fiocco che viene legato per un capo all'elsa
della spada e per l'altro avvolto intorno al polso. Lo scopo è di rendere
salda la presa dell'arma durante il combattimento a cavallo. Elemento
funzionale inizialmente usato dai dragoni, una truppa di fanteria a
cavallo, è diventato con il passare del tempo un elemento puramente
decorativo.
Bandoliera e rangona sono essenzialmente la stessa cosa, una larga
striscia di cuoio, ma con funzioni diverse. La prima serve a portare le
munizioni contenute nella borsa di cuoio detta giberna. La seconda
sorregge la carabina durante i trasferimenti a cavallo. Bandoliera e
giberna sono rimaste quasi le stesse nella divisa dei carabinieri di oggi,
anche se essenzialmente ridotte al ruolo di distintivo. Nell'esercito la
giberna è diventata una sacca di robusta tela mimetica per il trasporto
dei caricatori.
Se per il carabiniere a cavallo poteva sembrare che avesse addosso
soltanto una fascia trasversale di cuoio bianco, tutto l'opposto era per il
carabiniere a piedi, per il quale bandoliera con giberna e budriere si
incrociavano sul petto. Il budriere (o bodriere) era la buffetteria che
serviva ad agganciare la daga e il fodero da baionetta.
Completavano la tenuta una bretella per il fucile, il cinturone ed il fodero
da baionetta, questo nero, che andava collegato al budriere.
Infine c'era la tradizionale lucerna nera, uguale per tutti i carabinieri, un
alto cappello a due punte che non li abbandonerà più.
E il grillò? Era la voce dialettale piemontese per indicare la grovigliuola
d'argento (minuscoli cordoncini) che serviva a decorare le spalline
dell'uniforme.
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