pari opportunita` = opportuna parita`

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pari opportunita` = opportuna parita`
Novembre 2008 n. 5
PARI OPPORTUNITA’ =
OPPORTUNA PARITA’
Profumo, la banca e il “fattore D”
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Segreteria Nazionale
Uilca - DPPO
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Pari Opportunità
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Redazione:
Simona Cambiati
L’amministratore delegato di Unicredit lancia un piano per assegnare alle manager la metà dei posti di vertice Alessandro Profumo ha sempre sostenuto che «le donne devono giocare un
ruolo più forte in tutte le parti della vita pubblica italiana». Ora ha deciso di
impegnare con forza Unicredit in questa direzione perché ritiene che una
presenza maggiore di,donne nelle posizioni di vertice aumenterà la
competitività del gruppo. La strada non sarà l'introduzione di quote, cui la
banca è contraria perché in contrasto con la cultura del merito, ma un
programma per far emergere il talento femminile con l'obiettivo di arrivare ad
avere, nel giro dei prossimi dieci anni, un top management composto alla pari
da uomini e donne. Il progetto è stato illustrato nelle scorse settimane dallo stesso profumo ai 100
principali manager della banca, riuniti a Torino per discutere le strategie
dell'istituto. Un incontro tutto centrato su come far crescere le professionalità
femminili. «Non trattiamo questo tema perché è politicamente corretto ‐ ha
detto l'amministratore delegato di Unicredit ‐ Parliamo della diversity in quanto
è nel nostro interesse. Dobbiamo utilizzare il programma "Gender Diversity" di
UniCredit come catalizzatore di un cambiamento culturale». Responsabile del programma Monica Poggio, 42 anni, un figlio, in Unicredit
dallo scorso anno come responsabile dell'executive development dopo una car‐
riera spesa in multinazionali del settore farmaceutico e metalmeccanico. Il
primo passo sarà la creazione di un network‐donne Unicredit, costituito da
ottobre per diventare operativa entro fine anno. «Un gruppo internazionale come il nostro, presente in 22 Paesi con proprie
banche locali ‐ spiega Rino Piazzolla, a capo delle risorse umane di Unicredit
Group ‐ deve creare un sistema di valori e di leadership che ha al centro la
capacità di riconoscere la diversità come un valore. Noi già oggi abbiamo molte
donne in posizioni importanti ‐ continua ‐ ma ci siamo accorti che non c'era una
focalizzazione sul far crescere in modo strutturato una pipeline di donne
leader. E, infatti, a fronte di una presenza femminile di partenza pari al 57% del
totale dei nostri dipendenti abbiamo un 8% di donne nel top management: Così
abbiamo iniziato un percorso di analisi per capire le dimensioni del fenomeno,
perché le donne manager si dimettono e quali stereotipi continuano a
sussistere anche nel nostro gruppo. Alla fine abbiamo scelto non di fare delle
quote, che sarebbero in contrasto con la nostra cultura fortemente orientata al
merito, ma di attuare meccanismi che favoriscano la crescita professionale
delle donne. Pagina 1 di 7
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Ci siamo dati un obiettivo decennale: arrivare nel 2018 ad avere al vertice la stessa rappresentanza
sociale tra uomini e donne che abbiamo nel gruppo. Misureremo anche i capi sulla loro capacità di
generare leadership femminile e multiculturale». «Ci sono ormai molti studi che spiegano perché è importante valorizzare il talento femminile ‐ dice
Monica Poggio ‐ In preparazione dell'incontro di Torino, che è la sessione in cui normalmente vengono
discussi i temi strategici del gruppo e che questa volta è stata dedicata alla diversità di genere, abbiamo
fornito ai partecipanti diversi articoli e analisi che dimostrano che valorizzare il talento femminile è una
questione di business, non una questione ideologica. Affrontare il genere ‐ continua Poggio ‐ è un volano
positivo in termini di cultura». Dalle discussione con le manager del gruppo sono emerse soprattutto due cose. La prima è «la necessità
di ridefinire il modello di leadership ‐ dice Piazzolla ‐ Le donne, per esempio, non fanno autopromozione
e, dunque, è necessario discutere dei comportamenti premianti per la leadership». La seconda è la
visibilità. Pagina 2 di 7
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Come si vede nel grafico, il gruppo ha una fortissima presenza di donne soprattutto nell'Europa dell'Est.
Attualmente, sono dieci le manager di maggior spicco di Unicredit, di cui due ‐ Maurizia Angelo
Comneno e Marina Natale ‐ fanno parte del comitato di direzione. Quasi tutti i consigli di
amministrazione delle principali banche del gruppo vedono una presenza femminile, a partire da quello
di gruppo (Marianna Li Calzi) e dai recenti nuovi ingressi nel cda del Banco di Sicilia (Maria Luisa Averna
e Josè Rallo). Due donne anche nel supervisory board di Hvb (Mensch Beate e Streit Jutta) e una in
quello di Bank Austria (Karin Wisak‐Gradinger). Secondo i dati della presidenza del Consiglio dei ministri, nelle banche, su un campione di 133 istituti di
credito, il 72,2% dei consigli di amministrazione non contava, nel 2006, neanche una donna tra i loro
componenti. E anche se le donne rappresentano ormai il 40% dei dipendenti, solo lo 0,36% delle donne
ha la qualifica di dirigente contro il 3,11% degli uomini. Diverse indagini hanno però dimostrato che
società con un maggior numero di donne in cda presentano tassi di redditività maggiore delle altre. Maria Silvia Sacchi Fonte: Corriere Economia Le donne e il libro verde di Sacconi, proposta per un nuovo welfare In tempo di crisi finanziaria mondiale è inevitabile interrogarsi sui riflessi che questa avrà sulla nostra
economia reale e, prima di tutto, sull’occupazione dei soggetti a più alto rischio. Tra questi, le donne. In
Italia, come è noto, le donne hanno un bassissimo livello di occupazione, il 46% molto al di sotto di
quello delle altre europee. Non è peregrino temere che la crisi economica le colpisca duramente e le
possa espellere dal mercato del lavoro. Su questo tema si è concentrato un gruppo bipartisan di politici
e intellettuali, che ha deciso di raccogliere l’invito del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, a
ragionare sul suo Libro Verde sul Lavoro (diffuso prima dell’estate) e che ha indirizzato al ministro una
lettera aperta proprio su questo: sulla scarsissima attenzione al tema dell’occupazione delle donne. “Signor Ministro – scrivono i firmatari della lettera – nelle 25 pagine del suo Libro Verde “La vita buona
nella società attiva” ci sono delle grandi assenti: le donne. Se è vero, come lei scrive, che “vita buona”
può esserci in una società attiva, ci chiediamo come possa sfuggire che in Italia le cifre più allarmanti su
servizi di assistenza all’infanzia e su mercato del lavoro riguardino proprio una parte importantissima
della popolazione, quella femminile”. Si parla, continua la lettera, di tre milioni e mezzo di persone che,
occupatissime a are da “tappabuchi” al welfare italiano, non riescono ad inserirsi sul regolare mercato
del lavoro. Come mai il Libro Verde si interessa così poco di loro, pur dichiarando di avere a cuore le
pari opportunità di tutti? Tra le proposte concrete contenute nella Lettera, c’è quella di puntare l’attenzione su asili nido e servizi
all’infanzia, un settore per il quale nel 2006 erano stati stanziati 743 milioni di euro, ma per il quale ne
sono stati spesi solo un centinaio. un singolo asilo nido, come si sa anche da studi stranieri, può fare di
più per il lavoro delle donne di mille discussioni e dibattiti parlamentari. Perché allora questa scarsa
attenzione, visto oltre tutto che un aumento del numero delle donne al lavoro provocherebbe
automaticamente un aumento più che proporzionale della ricchezza del Paese? La lettera avanza una proposta: perché non equiparare l’età pensionabile delle donne a quella degli
uomini, utilizzando i risparmi così ottenuti per favorire l’occupazione femminile (sgravi fiscali, asili nido
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assistenza agli anziani)? Per lo Stato sarebbe un intervento a costo zero, mentre le donne ne
guadagnerebbero in opportunità. Avrebbero da guadagnare perfino le donne in età di pensione, visto
che i loro assegni di quiescenza di solito sono troppo bassi al momento di poter lasciare il lavoro e quindi
avrebbero così la possibilità (grazie a un sistema flessibile di ritiro dal lavoro) di incrementarli. Tra l’altro
la proposta va nella direzione, ampiamente presente nel Libro Verde, di riequilibrare il nostro welfare,
oggi sbilanciato in spesa pensionistica a discapito di tutte le altre voci. La lettera si conclude con un
interrogativo: “Siamo oggi nelle condizioni di poter rifiutare qualità, sviluppo e crescita declinate al
femminile?”. La risposta è certamente no, anche tenendo conto di tutte le compatibilità possibili.
Peccato che la lettera, nata da un gruppo bipartisan, alla fine si sia piegata alla vecchia logica della
politica maschile, e sia stata firmata solo da esponenti dello schieramento di opposizione, tra i quali
Emma Bonino, Matteo Colaninno, pietro Ichino, Linda Lanzillotta, Fiorella Kostoris, Nicola Rossi. Il tema
meriterebbe un po’ di coraggio anche da esponenti della maggioranza. Angela Padrone Fonte: Il Messaggero “Più part time e asili nido per le donne” Il ministro Carfagna annuncia provvedimenti Donne divise. Tra lavoro, figli e genitori anziani. Col tempo che non basta mai, consumato tra cure di casa
e familiari tutte sulle loro spalle perché i maschi collaborano poco (23%) e i servizi pubblici sono carenti.
Dimenticando quasi di tirare il fiato, con le ore di sonno ridotte al lumicino per avere e poi tenersi quel
lavoro conquistato a fatica. Vivono così, in un quotidiano ed estenuante esercizio di equilibrio precario le
donne italiane. Cittadine di un paese fanalino di coda in Europa visto che da noi ha un impiego solo il
46% di loro contro il 50 della Bulgaria e il 73 della Danimarca. Poche, sette milioni sono ancora in cerca di
un posto, sottopagate ‐ spesso addirittura un quarto degli uomini ‐ quasi mai siedono ai posti di
comando e responsabilità se come dicono le statistiche è donna solo il 5 per cento dei dirigenti o
consiglieri di amministrazione. Pagina 4 di 7
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Una ricchezza sprecata. «Fare figli in Italia è diventato un atto di eroismo perché sono insufficienti i servizi
che aiutano le donne a crescere i propri figli permettendo di trovare anche gratificazione nel lavoro.
Eppure, se le donne fossero occupate come gli uomini ‐ il 70 per cento dei maschi ha un lavoro ‐ il pil
crescerebbe di 260 miliardi». Parla alla commissione affari costituzionali la ministra delle pari opportunità
Mara Carfagna, e dopo aver illustrato il desolante quadro italico annuncia che sta studiando con altri
ministeri un pacchetto di provvedimenti perché si possa conciliare il diritto al lavoro e quello alla
maternità. Tra promozione del part time, iniziative per favorire l'occupazione femminile nelle piccole e
medie imprese e l'aumento degli asili nido. «Come numero di posti negli asili siamo ai livelli più bassi in
Europa, 10 contro i 50 della Danimarca o i 35 della Francia». La chiave di volta per coniugare lavoro e figli
sta proprio lì come dimostra il fatto the al sud, dove i servizi all'infanzia sono più carenti il tasso di
disoccupazione femminile è più alto di venti punti rispetto al nord (31 contro 55 % di occupate).
Dall'opposizione arrivano critiche e accuse. «Sono solo belle parole visto che in realtà il governo», dice la
senatrice Vittoria Franco, ministro Ombra delle Pari Opportunità, «ha preso provvedimenti che colpiscono
soprattutto le donne come la detassazione degli straordinari che non fa altro che approfondire il gap
retributivo tra uomini e donne mentre niente è stato aggiunto sugli asili nido, neanche un euro di
rifinanziamento alle imprese che assumano donne nelle aree svantaggiate, niente sull’imprenditoria
femminile». Imprenditori, dirigenti donne che, raccontano studi recenti, patiscono più degli uomini lo stress da lavoro
perché hanno meno riconoscimenti. Donne sull'orlo di una «scogliera di cristallo» come una ricerca
dell'università di Exeter ha chiamato una nuova sindrome appena scoperta dopo quei «soffitti di cristallo»,
forme sottili e invisibili che limitano l'affermazione professionale femminile. Alle donne, dicono gli
studiosi, vengono infatti affidati compiti di leadership e organizzativi collegati ad un alto rischio di
impopolarità e fallimento, rendendo più difficile il loro lavoro e rinforzando i pregiudizi negativi. Caterina Pasolini Fonte: La Repubblica Pagina 5 di 7
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Le donne. Le quote rosa non bastano vince sempre la “Uomini spa”
Tappo generazionale e tappo di genere. Nell'Italia bloccata dalle gerontocrazie e dall'immobilismo Sociale la fatica, per le donne, è doppia. I vecchi stereotipi faticano a morire. Arranca I'occupazione femminile, siamo 11 punti sotto il resto d'Europa. E anche quando si studia, si prendono voti migliori dei maschietti e si riesce a entrare nel sistema produttivo, la strada è sempre un po' più in salita: il Belpaese, calcolala Luiss, è la nazione con il minor numero di leader rosa (il 17,2%) del continente, mentre il loro stipendio, a parità di livello gerarchico, è inferiore del 15% rispetto ai colleghi uomini. La forbice, grazie ai progressi degli ultimi anni, ha iniziato ad aprirsi più tardi. A scuola il sesso conta sempre meno: «Nelle università esistono davvero le pari opportunità», assicura Francesca Zajzcyk, professoressa di sociologia urbana alla Bicocca e autrice de "La resistibile ascesa delle donne in Italia". Le laureate in Bocconi, per dire, sono ormai quasi il 50% del totale ogni anno. «E anche trovare lavoro è più facile, non esistono troppe distinzioni di genere conferma Zajzcyk ‐. Il "tappo" però esiste ed è più in alto. C'è una sorta di tetto di cristallo dove si bloccano le carriere al femminile. In tante riescono a raggiungere attorno ai 40 anni qualifiche dirigenziali medio‐alte. Ma lì quasi sempre si fermano, bloccate un piano sotto al mondo dove si muovono davvero potere, decisioni e soldi». Cose evidentemente da uomini. Il fenomeno, va detto, è molto italiano. Due rondini ‐ Emma Marcegaglia al timone di Confindustria e Federica Guidi al vertice dei Giovani imprenditori ‐ non fanno primavera. Il numero di donne nei cda di Piazza Affari è fermo a un modesto 2%, lontano anni luce dal 13,9% della Gran Bretagna e dal 10,5% della Francia. Sotto persino al 2,7% del Kuwait. Certo stiamo meglio del 1986 quando il 90% delle aziende quotate era privo di rappresentanza femminile. Ma a livello mondiale il Belpaese è rimasto una Cenerentola: 12 delle 500 più grandi aziende globali (tra cui Pepsi Cola, Kraft e Xerox) sono guidate da donne, come la Borsa di Londra. Oslo ha imposto una quota minima del 40% alla presenza dell'altra metà del cielo nei consigli delle aziende pubbliche. Persino Pechino ha affida‐to a una supermanager, Xiaolian Hu, la gestione delle sue sterminate riserve valutarie. Quanto costa all'Italia questo "tappo di genere"? Difficile dirlo, anche perché ‐ come ammette Andrea Ichino dell'Università di Bologna ‐«per quantificare il contributo alla crescita della ricchezza di un paese bisognerebbe valutare pure il lavoro a casa». Qualche cifra però si può buttare li: uno studio McKinsey ha stimato che la redditività delle aziende con almeno il 30% dei posti di responsabilità "in rosa" è superiore alla media del 10,8%. Peccato che il sistema Italia non se ne accorga: i tassi sui prestiti bancari ad imprese gestite da donne (cresciute del 5,8% dal2 004 al 2007, tasso doppio di quelle maschili) sono in media più cari dello 0,3%, malgrado il loro tasso di fallimento (1,9%) sia minore di quello della Uomini spa (2,4%). «Chi nasce donna deve lavorare il doppio a parità di capacità per dimostrare il proprio valore», commenta amara Zajzcyk. «L'Italia su questo fronte è in effetti una realtà arretrata, anche nella finanza ‐ aggiunge Maria Pierdicchi, numero uno di Standard & Poor's nel nostro paese ‐. Da noi vige la cultura dell'occupazione del potere, che non premia il merito. E le donne, fuori dai clan tradizionali, hanno solo questo per farsi valere». A pesare è anche l'organizzazione del lavoro. «Qui da noi non c'è flessibilità, si premia chi fa orari lunghi senza badare alla qualità. Metodi vecchi che discriminano chi vuole una vita bilanciata tra lavoro e privato conclude Pierdicchi sposata e madre di una figlia‐. In una realtà Usa come S&P la diversità è un valore e le opportunità ci sono davvero per tutti». Sarà forse per questo che i dati sull'occupazione femminile in Italia paese sono a dir poco sconfortanti. Gli obiettivi di Lisbona fissano al 60 il target europeo per il 2010. Noi arranchiamo al 46,3%, lontanissimi dal 57,4% della media continentale. Nell'economia siamo fanalini di coda assieme alla Spagna con una quota di leader donna del 20%, anche se tra i giovani – per fortuna ‐ la differenza è molto minore. Peggio ancora vanno le cose in politica, dove però in fatto di "maschilismo" l'Italia è in buona compagnia. Si parla di quote rosa. C'è chi le auspica, chi non vuole essere catalogato come specie in via d'estinzione da affidare Pagina 6 di 7
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segue Le donne. Le quote rosa non bastano vince sempre la “Uomini spa”
al Wwf. La realtà è che la rappresentanza femminile in Parlamento è microscopica. Il 21,3% alla Camera, il
18% al Senato. Surclassati da Svezia (47%), Olanda (39,3%), Spagna (36,3%) e persino da Ruanda (56%) e
Burundi (30,5%). Restano poche consolazioni: la Gran Bretagna terra della Thatcher ‐ è alle nostre spalle
assieme a Francia e Usa. E nelle amministrazioni locali, uno dei laboratori più avanzati nella lotta tricolore
all'immobilismo sociale, qualche timido segnale di riscossa rosa bipartisan (da Letizia Moratti a Mercedes
Bresso fino a Rosa Russo Iervolino e al sindaco di Genova Marta Vincenzi) comincia a spuntare. Ettore Livini Fonte: La Repubblica Pagina 7 di 7