Pubblicazioni del Centro Aletti 24.

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Pubblicazioni del Centro Aletti 24.
Pubblicazioni del Centro Aletti
24.
TomᜠŒpidlík
P. Ambros, M. Campatelli, R. C̆emus, G. Marani, M. I. Rupnik, M. Tenace, M. ˘ust
“A due polmoni”
Dalla memoria spirituale d’Europa
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
INDICE
Introduzione....................................................................7
Prima parte
© 1999 Lipa Srl, Roma
prima edizione: dicembre 1999
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
00184 Roma
06 4747770
fax 06 485876
e-mail: [email protected]
http://www.agora.it/market/lipa
Autore: TomᜠŒpidlík & alii
Titolo: “A due polmoni”
Sottotitolo: Dalla memoria spirituale d’Europa
Collana: Pubblicazioni del Centro Aletti
Formato: 130x210 mm
Pagine: 264+16
In copertina: particolare di un mosaico di Marko I. Rupnik
Stampato nel dicembre 1999
da Abilgraf, via Ottoboni, 11—Roma
Selezioni di copertina: Studio Lodoli Sud, Aprilia
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy
codice ISBN 88-86517-50-5
Richard ¯emus (a cura di)
Le tracce della Provvidenza
intervista a padre Œpidlík ....................................................13
Tomás̆ Špidlík
1. L’eterna memoria (veμnaja pamjat’) ........................
45
2. L’Immacolata Concezione ........................................
nel contesto della nuova teologia russa.......................
61
3. Verso una teologia sofiologica..................................
81
4. Bibliografia di Tomás̆ Špidlík....................................
119
.
Seconda parte
Pavel Ambros
Gli orizzonti attuali della teologia pastorale
da allargare secondo alcuni aspetti
della teologia orientale .....................................................133
Maria Campatelli
«Il Nome di Dio è Dio»
La Sofia nella grammatica:
la Filosofia del nome di Sergej Bulgakov .........................
153
Germano Marani
Lettera da Manila ..................................................
187
Marko I. Rupnik
Teologia come creazione artistica
Un principio estetico dell’arte .....................................
191
Michelina Tenace
L’antropologia di Nicea II
“Vittoria dell’Ortodossia”...............................................
213
Milan ˘ust
Percezione del mistero
ed esperienza religiosa in Florenskij ...................
237
Introduzione
Quando p. Œpidlík va con lo sguardo indietro, agli anni
trascorsi, parla della Provvidenza divina che guidava tutto in
modo sapiente. E la Provvidenza di Dio significa soprattutto
il modo in cui Dio riesce nel suo amore a raggiungere l’uomo e a redimerlo. La Provvidenza è la tenerezza di Dio, con
la quale il Signore ci prepara gli incontri con le persone giuste al momento giusto, facendoci trovare al posto giusto.
Padre Œpidlík, nei suoi 80 anni, ha una lunga lista di questi
incontri. Tanto che è solito scrivere, come dedica ai suoi libri, “la vita eterna sono gli incontri”. Per noi suoi discepoli,
che formiamo con lui l’équipe del Centro Aletti, la
Provvidenza è che p. Œpidlík ci aggiunge alla fine di questa
sua lista. Per noi è un dono che, in questo tempo in cui i
padri e i maestri sono rari, Dio ci abbia fatto incontrare un
padre e un maestro. È da tempo che si cerca di superare il
divario tra la teologia e la vita della Chiesa. Al sinodo
sull’Europa appena concluso, si è fatta presente questa esigenza con insistenza. La frantumazione tra i diversi ambiti e
le varie specializzazioni fa sí che non sia facile giungere a
una via sapienziale che porta alla vita nella sua pienezza.
Padre Œpidlík è per noi un teologo alla maniera dei Padri.
Forse per questo è per noi difficile abituarsi a sentirlo chiamare “professor Œpidlík”, perché il titolo che piú gli si confà
è proprio quello di “padre”. Œpidlík è tra coloro che con tenacia hanno delineato una teologia che appartiene già ad
una nuova fase. Se all’inizio del primo millennio la teologia
ha subito uno spostamento da un contesto ecclesiale all’università, oggi si tratta non solo di “ritorni”, ma di aperture
verso nuove discipline, verso nuovi ambiti di ricerca, verso
le arti e soprattutto in mezzo alle persone che cercano, nei
tesori custoditi dalla Chiesa, risposte per le domande fonda-
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“A due polmoni”
mentali nel mondo contemporaneo. Padre Œpidlík ci ha insegnato una teologia di cui il fondamento è la vita nello
Spirito, il principio gnoseologico l’amore, lo studio un’iniziazione alla memoria spirituale e sapienziale e il dialogo
con l’uomo concreto il criterio indispensabile. Una teologia
con una visione spirituale dell’uomo, aperta alla cultura, assunta nella preghiera e nella celebrazione. I confini tra teologia, preghiera, conversazione, lavoro, vita comune, viaggi, sono confini organici, in quanto si tratta di un unico
soggetto, di un organismo con diverse articolazioni. Penso
che la caratteristica fondamentale che padre Œpidlík lascia
dietro i suoi 80 anni sia una visione della fede cristiana come integrazione della persona, su uno sfondo trinitario—
dunque ecclesiale—emerso nella concretezza del vissuto,
della storia, con una capacità di lettura in essa della presenza di Dio—cioè la contemplazione nel senso piú autentico
del termine—fino alla capacità di giungere a scoprire il bene nel male.
Œpidlík significa “tradizione”, una citazione dopo l’altra
dei Padri greci, siriaci, dei santi d’oriente e d’occidente, ma
detti come se citasse suoi amici, persone che ha incontrato
ieri. Una tradizione che diventa cibo per ciò che oggi noi
chiediamo e che gli abbiamo chiesto. Padre Œpidlík vuol dire un padre spirituale, che però anche insegna, viaggia, fa
il conferenziere, girando tra le mani dei piccoli foglietti che
all’inizio di ogni lezione estrae da una busta e che poi si
scorda di scorrere, facendolo tutto d’un colpo alla fine.
Padre Œpidlík vuol dire anche la barzelletta raccontata, della
quale lui stesso ride come se l’avesse sentita per la prima
volta. Ma vuol dire anche mettersi in macchina a Roma e
cantare e pregare ininterrottamente fino a Bucarest. Vuol
dire non sentirlo mai lamentarsi, ma sopportare il dolore in
silenzio, perché padre Œpidlík significa anche i dolori alle
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Introduzione
gambe, una sofferenza spesso nascosta agli occhi degli uomini, ma che per lui costituisce anch’essa anche una fonte
spirituale in un rapporto stretto con Dio. Padre Œpidlík è un
comunicatore che parlando di Dio lo fa desiderare, parlando della spiritualità ti coinvolge nella vita spirituale. Come
oratore è spiritoso, la parola viene pronunciata con un certo
sapore e gusto. Come scrittore è molto piú parco, denso,
quasi nascosto dietro le lunghe serie di citazioni di cui sono
intessuti i suoi libri. Meyendorff ha scritto che le sue pagine
scoppiano dalle tante citazioni. Ed è vero.
Questo libro vorrebbe essere un modesto omaggio a padre Œpidlík, nostro padre spirituale e maestro di teologia, del
pensiero e della ricerca, quella piú difficile, dell’intuizione
spirituale. Vorrebbe esserne un’espressione il piú possibile
autentica. Perciò c’è la ricerca, la riflessione, il colloquio, la
lettera, e ci sono anche le fotografie, quelle dei ricordi, giacché padre Œpidlík ci ha insegnato ad amare la memoria.
Quello che vogliamo è che, come per la pubblicazione in
occasione del suo 75esimo—“Lezioni sulla Divinoumanità”—
si possa vedere che la sua scuola continua, sia nella parola
che nell’immagine, di cui è espressione la cappella “Redemptoris Mater” nel Palazzo Apostolico in Vaticano. Una caratteristica che distingue padre Œpidlík è che non forma secondo il suo pensiero, ma accompagna sulla soglia del saper
pensare. Stare alla scuola di Œpidlík significa imparare una
relazione libera. Per questo ci siamo permessi di sentirci liberi di dare a questa pubblicazione una tale forma cosí.
p. Marko Ivan Rupnik
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“A due polmoni”
Dalla memoria spirituale
d’Europa
I parte
un’intervista a Tomás̆ S̆pidlík
e 3 suoi articoli inediti
Le tracce della Provvidenza
Intervista a padre Œpidlík a cura di Richard ¯emus
Nell’ottobre del 1998 hanno ricevuto il dottorato honoris
causa all’università di Praga tre persone: un conte, un aristocratico, e il figlio di un calzolaio. Mi interesserebbe questo: conoscere un’immagine di tuo padre, un tuo piccolo ricordo di lui...
Dunque, guarda, per me è sempre una cosa molto interessante, in cui trovo una traccia della Provvidenza, vedere come
dall’ambiente semplice in cui sono cresciuto—-mi ricordo ancora quel piccolo ruscello davanti alla casa, coi campi attorno—sono arrivato ad un mondo in cui ho incontrato tanti
“personaggi”. Si vede che la Provvidenza suscita sempre grandi sorprese, grandissime sorprese. Provengo da un ambiente
umile: mio padre era calzolaio, era anche malato e non aveva
la pensione. Quindi vivevamo una vita durissima ed io da giovane, da quando andavo in terza liceo, ho dovuto iniziare a
mantenermi da solo agli studi. Ma è interessante che la mia
mamma non si è mai lamentata, anzi, diceva: «Grazie a Dio è
passata la settimana!» E vedo come era tutto piú naturale. E allora la mia mamma doveva lavorare—avevamo un po’ di
campi—doveva portare l’erba... e la notte il babbo la svegliava cinque-sei volte a causa della malattia, bisognava girarlo, e
sai che le persone malate non sono di carattere facile...
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Intervista a padre Œpidlík
E lui che malattia aveva?
Soffriva di reumatismi fortissimi.
E poi c’erano due sorelle, non è vero?
Due sorelle piú grandi.
Come ti procuravi da vivere? La scuola dei primi anni
era vicina, vero?
Sí, tutto era vicino. Io davo lezioni, dopo la scuola andavo a pranzo dallo studente a cui poi facevo ripetizione.
Guadagnavo abbastanza. Andavo anche dai nipoti di un
conte, ero educatore nel castello di Boskovice. E ancora
uno di loro che ora vive a Parigi si ricorda di me.
E che cosa insegnavi?
Mah, a seconda... Posso dire che insegnare era molto
utile anche per me, perché per questi studenti bisognava
sintetizzare e dire in poche parole le cose essenziali. È una
cosa molto utile per tutti i futuri professori.
Per questo tutti capiscono le tue lezioni e ti ascoltano volentieri...
Sí, perché bisognava stringere e non dire nessuna parola
inutile, perché spesso gli studenti imparavano a memoria le
cose.
Una volta ho sentito dire che ti hanno fatto un’ingiustizia.
Sei tornato a casa piangendo perché dicevi che ti avevano pagato male. E la mamma ti ha detto una grande cosa...
Ah, sí, sí. La mamma ha detto: «Non è bene che trattino
cosí un ragazzo, però devi soffermarti e pensare che cosa
Dio voleva dirti con questo.» È la migliore descrizione della
contemplatio naturalis, che poi avrei studiato in teologia in
tanti Padri.
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Le tracce della Provvidenza
Di per sé la tua era anche una giovinezza di impegno...
Sí, sí d’impegno perché anche d’estate dovevo lavorare,
nel campo, con le mucche, dovevo tagliare l’erba...
E d’estate, oltre al lavoro, andavi in giro in bicicletta?
Beh, qualche volta. Abbiamo fatto anche 150 km al giorno, con un compagno che adesso sta in Canada, con il quale sono entrato in Compagnia.
È interessante... Secondo te il fatto che un bambino abbia
dei compiti precisi, che debba impegnarsi, fare un certo lavoro per procurarsi le cose, aveva un significato in quella società? Oggi che i bambini dicono che i soldi vengono dalla
banca...
Ci si sentiva responsabili delle cose. Quando ho deciso
che sarei andato all’università, sapevo che i genitori non
avrebbero potuto pagare, ma pensavo: qualcosa riceverò
come stipendio, poi farò qualche lavoretto... Ma purtroppo
all’università non sono andato a lungo, perché ci fu l’occupazione nazista.
In che università sei andato?
A Brno, per studiare letteratura e latino. Una notte siamo
stati proprio sorpresi dalla Gestapo, dai soldati, arrivati per
l’occupazione. Ci furono lunghi interrogatori notturni. La
maggior parte degli studenti venne mandata nei campi di
concentramento. Solo grazie alla precisione tedesca—mi
mancava un mese ai vent’anni—mi lasciarono andare a casa, perché l’ordine era di mandare nei campi tutti coloro
che avevano già compiuto i vent’anni. Cosí sono andato a
casa, cercando lavoro. Lavoravo in qualche fabbrica, in una
ferriera. E poi sono riuscito ad entrare in noviziato. Anche
quella è stata un’opera speciale della Provvidenza, perché
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Intervista a padre Œpidlík
durante l’occupazione tedesca c’erano obblighi di lavoro
che non si potevano tralasciare.
Che anno era?
Il ’40. C’era molta confusione. Cosí io mi presentai da
un impiegato che aveva tutte le carte che mi riguardavano
e che erano necessarie per il lavoro. L’impiegato aveva
paura. Io gli chiesi di darmi tutto il mio materiale perché
avrei sistemato le cose per iniziare un nuovo lavoro. Cosí
mi consegnò tutta la documentazione e potei entrare in noviziato. Dissi che avevo cambiato lavoro...
Il noviziato era vicino a Praga. Ma il secondo anno ci fu
di nuovo l’occupazione tedesca e confiscarono la casa dove
vivevamo. Allora fummo trasportati a Velehrad, dove ho finito il noviziato e fatto, alla meglio, la filosofia. Ma si avvicinava la guerra e bisognava fare le fortificazioni sotto il comando dei tedeschi, perché dovevamo aspettare il passaggio del fronte. Cosí per mezz’anno studiavo per tre giorni e
per tre giorni dovevo andare a lavorare. Ma ero riuscito a
mettermi d’accordo con un vecchio tedesco, trovando sempre qualche lavoro non troppo pesante... come un buon
soldato Œvejk.
Cosa dovevi fare?
Si facevano le fortificazioni. Si scavava la terra, si costruivano le trincee. Poi arrivarono i russi. Quando si avvicinò il fronte, rimanemmo per due settimane tra i due eserciti. Si sparava, e non si sapeva perché questo durasse cosí
a lungo. Erano i romeni che avanzavano. Al generale romeno che li comandava avevano detto che a Velehrad c’era
una bella chiesa, e lui allora cercava con tutti i mezzi di risparmiarla. Per questo avanzava molto lentamente. L’ultima
notte si sparava dentro al villaggio. Poi vennero i partigiani,
si facevano eroi, e impiccarono tre collaboratori dei nazisti.
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Le tracce della Provvidenza
Dopo che i tedeschi erano stati scacciati, dovevo lavorare
con i romeni e i russi per costruire quello che era stato distrutto...
E quel generale?
È entrato in chiesa e ha invitato la gente a ringraziare il
Signore. Noi avevamo paura. Dicevamo: «Arrivano i russi, i
comunisti, che cosa sarà?» Invece quel generale romeno si è
comportato molto bene.
Passato tutto questo, bisognava ancora aiutare nel lavoro
dei campi. Poi, finito il liceo e la filosofia, a Velehrad—luogo
di culto dei santi Cirillo e Metodio e dei congressi unionisti,
quasi una specie di presagio dei miei futuri studi—i gesuiti
hanno aperto un collegio con la seconda e terza classe, per
cominciare. Non c’era nessuno per fare il prefetto per gli studenti. Dunque dovevo restare lí e insegnare il russo. L’anno
dopo sono andato in Olanda, per fare la teologia.
Torniamo un po’ indietro. Una volta mi raccontavi che
con un tuo amico sei andato a Velehrad in bicicletta...
Com’era?
Abbiamo fatto una gita, per quattro giorni. Fino in
Slovacchia. Tornando, si era pensato di passare per Velehrad,
ma il mio amico disse: «Non c’è niente da vedere, non ci vado», finché alla fine accettò che ci fermassimo là. Ci fu un
primo contatto con Velehrad. Piú tardi, lui decise di entrare
in noviziato. Allora abbiamo fatto di nuovo una gita in bicicletta. Erano piú di cento chilometri da Boskovice. Lui doveva fare il cosiddetto esame di ammissione in Compagnia
ed è entrato nella casa dei gesuiti. E mi sono detto: «Io lí
dentro non ci vado». Cosí stavo fuori, ad aspettarlo, quando
viene un vecchio padre e mi dice: «Lei è studente?» «Sí.» «Non
vuole stare a pranzo?» E io: «Sí.» Cosí mi ha invitato a pranzo, perché sapeva che stavo lí ad aspettare il mio amico.
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Intervista a padre Œpidlík
Dopo il pranzo, siccome quel padre insegnava greco e latino, abbiamo cominciato a recitare versi latini e abbiamo
chiacchierato molto. Dopo una settimana anch’io sono tornato a fare l’esame di ammissione.
E lí è successa un’altra bella cosa: a casa tu non hai detto che saresti entrato in Compagnia, ma la mamma...
Beh, quando sono entrato in noviziato, non volevo dire
che non sarei piú tornato, perché a quel tempo non si tornava dal noviziato. Allora, per non spaventare la famiglia,
ho detto che sarei andato a studiare. Erano molto contenti
che fossi riuscito ad uscire dalla fabbrica. Tutti mi chiedevano: «Quando vieni? Vieni a Natale?» «Beh, a Natale non si
può venire, ma può darsi piú tardi.» Tutti mi credevano, ma
non la mamma. Lei disse: «No, lui non tornerà piú». Questo
poi me lo ha scritto una mia sorella.
La mamma sapeva che non sarei tornato, ma era contenta. Il babbo, però, non tanto, sperava che io tornassi per
lavorare.
Con la mamma siamo alla conoscenza del cuore, di cui
tu spesso parli dicendo che il cuore ha un’intuizione che
non si può ingannare. A proposito della purificazione del
cuore mi piacerebbe che tu dicessi ancora una cosa legata
alla tua giovinezza, di quando dovevi andare a prendere
l’acqua santa, ti ricordi?
Ah, il mio primo problema teologico. Dovevo prendere
l’acqua santa in chiesa perché la mamma la spruzzava sui
campi. Mi era venuta un’idea, un’idea un po’ strana, come
spesso le hanno i ragazzini. Mi chiesi se il prete non potesse forse venire e benedire la fonte, cosí avremmo avuto
sempre l’acqua benedetta. Al momento la cosa è finita lí,
ma poi, durante lo studio della teologia, in Olanda, ho domandato ad un liturgista se è possibile benedire una fonte
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Le tracce della Provvidenza
ed avere cosí sempre acqua benedetta. Lui ha esitato un po’
e poi ha detto: «Sí potrebbe, però la chiesa non usa farlo».
Io ne parlo parlando del cuore, perché in quel caso la chiesa usa questa benedizione. Perché il cuore è la fonte che
deve essere benedetta.
In Olanda all’inizio avevi delle esperienze interessanti a
livello linguistico, quando studiavi ebraico. Com’era?
Sono arrivato a scuola senza conoscere l’olandese, ma il
rettore ha detto: «Devi andare subito a lezione, perché cosí
si impara.» E sono andato. C’era lezione di ebraico: il professore leggeva in ebraico e traduceva in olandese; io non
sapevo quando leggeva e quando traduceva... tutto era
ebraico! Per consolarmi, è venuto da me e mi ha detto:
«Quarta linea desuper». Ma io mi sono cosí spaventato che
ho indicato da sinistra a destra, non da destra a sinistra, come va letto e scritto l’ebraico. Allora il professore ha fatto
una croce su di me.
Ma l’olandese era abbastanza simile al tedesco e io sapevo già il tedesco. Dunque ben presto, dopo mezz’anno, potevo già seguire e leggere. Anche un po’ prima.
Questo era nell’immediato dopoguerra?
No, un anno sono stato ancora a Velehrad, da prefetto, e
poi nel ’46 sono andato in Olanda. Per la prima volta ho
volato in aereo, e a quel tempo era una cosa molto rara.
Arriviamo alla vita gesuitica nei collegi. Era una cosa
molto austera a quei tempi in Olanda...
Eh, sí. C’era il silenzio. Si osservavano tutte le regole.
Soprattutto per le visite c’era severità, non si poteva visitare
nessuno. Ma era la società del tempo. Quello che non era
tanto facile era che la vita era impostata da un gruppo, per
cosí dire, tipicamente borghese, e se uno non faceva come
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Intervista a padre Œpidlík
Le tracce della Provvidenza
loro... subito si doveva conformare. Non erano tanto tolleranti con gli stranieri. «Noi non facciamo cosí», e dunque
non bisognava farlo.
Quello per me era anche il primo anno all’estero. Ed era
diverso da quello che dopo avrei trovato a Roma. Roma
non è solo la “città eterna”, è soprattutto una città universale. Lo notiamo soprattutto noi che insegnamo teologia. In
una classe, quante diverse nazionalità e mentalità si trovano
insieme! Ed è bello il fatto che nessuna mentalità, nessuna
nazionalità si può dire predominante. In questo io vedo
un’immagine del mondo futuro che apparirà ben presto come mescolanza di popoli.
Invece quella olandese era una società del tutto omogenea, compatta, e quando uno veniva dal di fuori non era
tanto facile...
po’ qua e un po’ là, e non si vedono i nessi tra le cose.
Dei professori conservo un buon ricordo di p.
Schoonenberg, che allora cominciava ad insegnare. Sapeva
unire in modo straordinario la fedeltà alla fede tradizionale
con la libertà del pensiero creativo.
Schoonenberg, che era un uomo profondamente credente, rifletteva sulle diverse interpretazioni. Lui diceva semplicemente: si potrebbe spiegare cosí, però la fede è questa
qua. È chiaro che se poi uno studente diceva che
Schoonenberg non credeva al concilio di Trento per le sue
considerazioni sulla grazia, allora aveva difficoltà. Ma tutte
le difficoltà venivano dalle accuse di quelli che non lo capivano. Era un uomo molto gentile e molto devoto. Là ho imparato proprio la teologia che ha una certa libertà di spirito,
ma che allo stesso tempo è basata sul credere.
Come facevi lo studio della teologia, avevi già alcune intuizioni fondamentali che portavi in te fin da bambino, o
da giovane?
Posso dire che il metodo di studio era una bellissima cosa.
Si contavano le ore di lezione, come si fa anche alla
Gregoriana, ma si abbreviavano le vacanze. Ogni settimana
avevamo una giornata libera per passeggiare, una giornata libera per lo studio e poi ancora la domenica. Dunque si poteva studiare molto tranquillamente e i professori dovevano dare le dispense sempre prima della lezione, cosí uno poteva
prepararsi e seguire. E agli esami erano molto severi, c’erano
le cosiddette tesi e qualsiasi professore, non solo quello che
insegnava, poteva dire: prendi quella tesi, provala e poi presenta qualche obiezione. Dunque si può dire che il gradus
che si faceva era abbastanza pesante, perché tutta la filosofia
e tutta la teologia erano insieme, e non era facile. Però avevamo tre mesi liberi per la preparazione. D’altra parte, studiando tutto insieme si vedono meglio i nessi. Oggi si studia un
È interessante: teologia, libertà di spirito, credere. Sono
tre parole molto importanti che credo che, in qualche modo,
si trovino anche oggi nella tua visione teologica.
Eh sí; io poi, in un certo senso, per contrapposizione
cercavo di vedere le cose orientali.
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Qual è la cosa che ricordi di aver preso per prima in mano dell’oriente a Maastricht?
Era di Congar. Ma già prima a Velehrad venivano anche i
primi discepoli del Russicum, e io cantavo con loro la liturgia orientale. Per me era una scoperta che esistesse la liturgia orientale. La cantavo e poi ho insegnato anche ai ragazzi a cantarla.
Com’era il rapporto tra olandesi cattolici e protestanti,
era abbastanza rigoroso, anche moralmente?
A quel tempo non c’era l’ecumenismo, ma c’erano già
dei piccoli segni. Ad esempio, una volta è venuto agli eser-
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Intervista a padre Œpidlík
Le tracce della Provvidenza
cizi con noi un pastore protestante. Ma l’ecumenismo non
esisteva ancora. P. Tromp, che insegnava qui a Roma, voleva partecipare al primo congresso ecumenico ad
Amsterdam, solo per vedere, ma non ha avuto il permesso.
Soltanto alla fine, poté andare, ma solo dietro la promessa
di non parlare con nessuno sulle cose teologiche. Perché
non c’era ancora l’ecumenismo.
Beh, in Olanda per me era piuttosto difficile la mentalità.
Là ho capito ciò che dice Kant: la morale è ciò che possono
fare tutti. Ad esempio, quando imparavo a celebrare la messa, mi dicevano che si devono tenere le dita cosí e cosí. Ma
se non lo possono fare tutti, allora nemmeno io lo farò.
Questo è un livellamento dove non c’è libertà personale.
Questa è la morale secondo la natura, secondo la legge.
Ma, ad esempio, lí i ragazzi giocavano insieme?
Non tanto, non tanto. Mi ricordo che, finita la teologia,
sono andato in treno per vedere un po’ il nord, che era calvinista. Il treno era pieno zeppo di gente, eppure nello
scompartimento dove sedevamo noi due—io e un altro compagno vestiti con la tonaca—nessuno è entrato.
E questo diventa problematico quando si dice: se non
possono fare tutti, non lo faccio neanch’io...
... Sí, se tutti non possono fare una cosa, allora non è
bene per nessuno. E allora nella pittura?... Non tutti possono dipingere, questo è il problema. Su questo ho incontrato
Berdjaev che diceva che cos’è il comunismo. Il comunismo
vuol considerare tutto per mezzo di leggi, vuole organizzare
la società, dove l’uomo “esce fuori” in base a delle leggi
giuste; invece, l’uomo non “esce” dalle leggi. Può darsi che
questa sia l’Europa. Quando ho studiato l’“idea russa”, mi
sono convinto non che i russi siano esemplari, ma che hanno capito bene dove porta questo atteggiamento. E sai perché il comunismo è stato cosí terribile in Russia? Perché lí
hanno assunto con questo spirito di esagerazione i principi
che dominano l’Europa. Di che cosa si parla adesso nei parlamenti? Si discute continuamente di quale legge potrebbe
risolvere un problema. Cosí allo stesso modo discutono i
medici: quale medicamento deve essere prescritto per una
malattia, non per un uomo. Questo medicamento deve essere prescritto, approvato dallo stato per questa malattia, la
persona viene dopo. In Olanda si sentiva proprio questo:
gli olandesi si vedevano come un popolo germanico, erano
uomini molto buoni, ma dicevano “questo si può”, “questo
non si può”, e tutto diventava subito norma. Di un atteggiamento di questo genere abbiamo un eccesso nel nazismo.
Con i principi si può uccidere.
Se tu guardi l’Olanda adesso, come spieghi che è cosí
cambiata? È interessante capire questo processo, perché non
è solo una questione olandese, ma è una questione di tutta
l’Europa del nord.
Una volta c’erano famiglie povere, con tanti bambini,
era molto naturale. Poi è venuto il benessere e l’uomo non
sopporta il benessere. Il benessere distrugge la famiglia. A
quel tempo avere sette, otto bambini era del tutto normale.
I cattolici erano molto ben organizzati; ad esempio gli operai cattolici dicevano: «Abbiamo bisogno di una casa di
esercizi», e la ditta per cui lavoravano la costruiva. E anche
gli asili per i bambini erano ben organizzati. Non si può dire che fosse tralasciata qualche cosa. Può darsi che dopo
abbiano acquistato un senso di superiorità rispetto agli altri,
e questo li abbia rovinati...
Prescindendo dall’Olanda, tu alle volte dici che la fede
intesa troppo moralisticamente provoca poi un’“ondata
contraria”...
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Intervista a padre Œpidlík
È che il principio diventa piú della persona...
... il principio concepito come indipendente dalla persona, il principio è una cosa astratta, valida, eterna, a sé stante e la persona deve entrare dentro. Stiamo ritornando al
fatalismo.
Io penso che quello a cui stiamo assistendo oggi in
Europa è una reazione nevrotica alla morale, perché la morale alle volte non era una morale spirituale, ma un suo stato decadente. E in questo senso c’è una reazione...
Sí, sí. Si discute sempre: ad esempio dei divorziati... Si
dice che la Chiesa deve cedere alla situazione di fatto del
numero crescente dei divorziati e cambiare le disposizioni
che ha a questo proposito. Ma che potere ha la Chiesa di
cedere ad una situazione e fare nuove leggi? Non si può ratificare una situazione con delle leggi e cosí pacificarsi. La
Chiesa non può dire che il divorzio è bene. Ma questa è
un’altra cosa dal trattare chi ha la dolorosa esperienza di un
matrimonio fallito senza misericordia. L’unica soluzione è
che il padre spirituale prenda la responsabilità per uno e
dica: «Tu non puoi fare altro che questo e io me ne assumo
la responsabilità.» Quando un giorno ho detto questo, qualcuno mi ha obiettato: «Significa che ognuno può fare secondo la propria coscienza». Beh, ognuno può fare secondo la
propria coscienza..., la questione è se si ha una coscienza
cattolica o no e se si accetta che un padre spirituale ci aiuti.
La coscienza strappata dalla Chiesa diventa un individualismo, invece tu la intendi come legata alla Chiesa, al
padre spirituale...
La coscienza è la voce dello Spirito, e lo Spirito è anima
comune di tutti i fedeli. Se non è la voce dello Spirito, che
cos’è la coscienza? L’immaginazione! E la gente pensa: fac-
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Le tracce della Provvidenza
cio secondo la mia coscienza, ma fa secondo la sua testardaggine. Ma questa non è la coscienza.
A Praga mi hanno raccontato che ad un programma alla
televisione c’erano due filosofi dei valori insieme ad un prete cattolico e ad un pastore evangelico che parlavano di divorzio e di aborto. Uno di questi due filosofi, che conosco
abbastanza bene perché era stato qui all’estero, diceva: «I
principi sono astratti, ma non sono valori, i valori nascono
soltanto dalla relazione personale. Dunque il principio del
matrimonio indissolubile è un principio astratto, ma se il
marito non ama la moglie, il matrimonio non esiste e devono divorziare; lo stesso se la mamma non vuole accettare il
bambino, non c’è relazione tra la mamma e il bambino,
questa è una cosa solo animale, manca la relazione, manca
il valore, dunque può fare l’aborto.» Gli altri due evidentemente, sia il prete cattolico che il pastore evangelico, affermavano il valore dei principi. Ed è finita male, perché alla
fine non si vedeva come rispondere a queste obiezioni. Mi
hanno chiesto che cosa avrei detto io. Ho risposto: «Sono
dalla parte di questi due: il valore nasce dalla relazione con
la persona.» Ma bisogna considerare che esiste una relazione non solo tra le persone umane, ma anche con la persona di Dio. Dice Dostoevskij che, se non esiste Dio, è permesso tutto, perché alla fine, se uno ha soldi e io non ne
ho, se non ho una relazione con lui, per me non ha valore
e posso anche ammazzarlo.
Andiamo un po’ avanti. Venendo a Roma: Hausherr.
Come hai incontrato Hausherr?
A scuola, facendo l’esame da lui. Niente di speciale, poi
ho fatto la tesi con lui, su Giuseppe di Volokolamsk. C’era
ancora Kologrivov, ma con Kologrivov non si poteva fare la
tesi, e poi era già malato. Dunque ho fatto la tesi con
Hausherr e lui stesso ha proposto che avrei potuto essere il
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Intervista a padre Œpidlík
suo successore. Padre Raes mi aveva detto: «Vada da lui e si
offra come collaboratore». Io mi sono offerto come collaboratore e lui mi ha detto: «Collaborare significa lavorare in
due, e io sono già morto. Dunque non si può parlare di
collaborazione...» Tipicamente suo, no? Posso dire che lui
non era facile, però verso di me era molto gentile. Ha fatto
persino una cosa che non ha fatto con nessuno nella sua
vita. Quando è andato via, mi ha detto: «Ti ringrazio». Lui
non aveva mai ringraziato nessuno. Non perché fosse cattivo, ma era fatto cosí...
Hausherr all’Istituto Orientale chi era? Era veramente
questo miracolo della scienza della teologia orientale?
Di fatto si può dire che era lui che ha aperto questo territorio. E anche nel Dictionnaire de spiritualité era lui che
ha inserito gli autori orientali, perché prima non c’erano cose orientali, si era impermeabili...
D’accordo. Lui ha cominciato questo, ma quando si parla tanto di questa sua scienza, non era piuttosto un metodo
sapienziale il suo?
Vedi, lui dava l’impressione agli altri di essere un grande
scienziato perché citava in armeno, siriaco ecc. Ma in primo
luogo aveva ciò che era tipico anche di Daniélou, l’“intuizione”, il capire la cosa principale. E questo poi lo provava servendosi di tanti testi. Ma partiva dall’intuizione. Ad esempio,
il penthos, è un’intuizione. Secondo F. von Lilienfeld, nessuno apprezza quanto merita la scoperta dei temi della penitenza e del penthos, o anche della contemplazione, fatta da
Hausherr. Hausherr aveva un po’ paura dei cosiddetti uomini
di scienza che partono quando hanno tutto il quadro chiaro.
Cosí, lui utilizzava molte citazioni in siriaco, armeno ecc. ma
non partiva mai da questi testi. Scopriva con l’intuizione e
poi confermava questa scoperta con molti esempi.
26
Le tracce della Provvidenza
Ignazio di Loyola dice in modo meccanico una cosa che
dicono in molti, ma lui è molto piú tecnico. Dice che un
pensiero spirituale è quello che non è causato da niente, che
viene all’improvviso, che si trova. Poi bisogna vedere esattamente dagli esempi della vita dei santi se questa cosa è confermata.
Si, sí. Ho trovato questo Si aliquid invenerit... in tanti
Padri. Questo è un testo anche di san Massimo il
Confessore, come quando uno scava e trova un tesoro, una
ispirazione. Purtroppo, gli esegeti in esercizi ignaziani su
questo invenerit fanno molti ragionamenti, ma è falsificato.
E Solov’ëv—anche lui cosí preciso, scientifico, all’inizio
ha una pura intuizione. Era un visionario, e poi sapeva svolgere la visione in modo tecnico, tanto che tutti erano sbalorditi nello scoprire come ciò fosse naturale.
Hausherr, rispetto a Daniélou, aveva questo: anche
Daniélou aveva intuizione, ma non aveva tempo, né pazienza. Buttava lí i testi. Invece de Lubac, Hausherr erano molto
precisi con i testi. Ma tutti questi uomini erano degli intuitivi.
Ma è interessante che proprio questo metodo, che è strettamente spirituale, trovi tante resistenze in ambito accademico. Perché?
Siamo sempre sullo stesso argomento: se una cosa non
viene da un principio, non può essere giusta. Invece il processo naturale è che l’uomo trova una cosa e solo dopo è
capace di esprimerla per mezzo di un principio, come un
pittore trova che il rosso e il verde ci devono essere e formula cosí un principio estetico. Ma all’inizio è un’intuizione
che poi prende la forma di un principio. Ma è difficile.
Hausherr era molto intuitivo. Capiva proprio ciò che è il
cuore, anche se questo non era ancora un suo termine, lui
parlava di nous. Anche Hausherr spiegava bene che cosa è
27
Intervista a padre Œpidlík
utile e che cosa è inutile. Lui qualche volta, con una certa
malizia, diceva che certi libri scientifici sono una cosa assolutamente inutile. Perché il cuore ha valore, non il “vero”/“non vero” superficiale che l’osservatore “scientifico”
chiamerebbe oggettivo. Scopre che questo, e non quel pensiero, è il principale. L’intuizione è molto importante per la
teologia. Poi si dà forma anche scientificamente: cosí successivamente io posso provare questa intuizione con testi
anche molto diversi per provenienza e periodo storico, perché il problema non è tanto quello di saltare da una cosa
all’altra, ma di verificare l’intuizione sulla base di questi autori che trovo in tanti contesti diversi. Certo, per capire bene gli autori, quello che dicono, le loro espressioni, bisogna capire anche il contesto, ma ciò non toglie che all’origine ci sia sempre questa intuizione.
Torniamo di nuovo al fatto che un pensiero spirituale è
quello che si trova, che non è provocato...
È difficile questo metodo.
Ma anche a te la resistenza principale è stata fatta proprio su questo principio.
È chiaro, è chiaro, ma soprattutto sul cuore. Ma c’era un
giuramento contro il modernismo che tutti dovevamo fare
una volta all’anno, dove si diceva che fides ex latebris subconscientiae prorumpit, e questo si doveva giurare che non
si insegnerà mai. Parlare del cuore poteva essere visto come
venire meno a questo giuramento contro il modernismo.
L’ostilità al cuore è l’ostilità al sentimento. A prima vista,
gli uomini della nostra cultura identificano il cuore con i
sentimenti banali. Va da sé che questo concetto non si può
trasferire nei discorsi sulla “preghiera del cuore” o sull’“attenzione e purificazione del cuore”. Prima di affrontare
questi temi noti alla spiritualità orientale serve una spiega-
28
Le tracce della Provvidenza
zione del termine. Cosí questi temi diventano comprensibili
agli uomini di oggi. Ma se gli orecchi di alcuni rimangono
duri alle spiegazioni, preferisco parlare utilizzando parole di
un linguaggio piú moderno, come “necessità della conoscenza integrale”, “ispirazioni interiori”, “intuizioni” ecc. Mi
ricordo che, dopo una conferenza sul cuore, un signore
greco commentò con uno scherzo pubblico: «Padre, auguri!
Siamo colleghi, io sono cardiologo. Dobbiamo sostenerci a
vicenda.»
Invece il sentimento in questo senso è una dimensione
dell’intelletto...
Certo, perciò la stessa cosa si poteva anche dire con la
parola nous e non necessariamente con cuore.
Ma quando hai scritto sul cuore, che cosa ti ha detto la
censura?
Beh, guarda, c’era qualcuno che resisteva moltissimo, ritenendo che non si potesse accettare che la vita spirituale
fosse principalmente nel cuore.
E chi ti incoraggiava in quel libro?
Mi incoraggiava il delegato, p. Arnou: «Non cedere!» Lui
ha preso il manoscritto e lo ha dato a uno fuori dell’istituto,
ma anche quello aveva qualche obiezione. Allora lui ha detto: guarda, guarda, non fate sciocchezze. Arnou ha fatto
l’ultimo lavoro De habitus, sull’habitus, sull’atteggiamento,
che è una cosa stabile, una disposizione.
Dagli studenti invece sentivi sempre un grande amore,
un affetto, ti ascoltavano volentieri...
Beh, non posso lagnarmi, venivano soprattutto per la
patristica, perché volevano qualche contenuto dei Padri,
non soltanto dei libri che dicessero quale testo è autentico,
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Intervista a padre Œpidlík
quale non lo è, a che anno risale ecc. Volevano qualche
contenuto dei problemi della vita nei Padri. Questo infatti si
insegnava pochissimo.
Non ti sembra strano che il ritorno alla patristica non
sia il ritorno ai Padri, perché è uno studio che tratta i testi
dei Padri con metodologie per niente patristiche?
Il metodo dei Padri non si è acquisito. Non è la scienza
che deve pensare, ma l’uomo per mezzo della scienza.
L’uomo può usare la scienza. Io posso dire con il metodo
scientifico se veramente questa lettera è di san Paolo o no.
Queste sono scienze molto utili, ma non vuol dire che queste significhino la Bibbia. Perché la scienza è per l’uso della
fede. E questo non significa fare della scienza un’ancilla.
Significa piuttosto che, come uso gli occhi, le gambe, cosí
uso anche la scienza.
Il concilio... come aspettavi il concilio? Cosa facevi durante il concilio?
All’inizio, lo sai, tutti si aspettavano che il concilio finisse subito. Dal momento che c’erano tanti schemi già preparati, si pensava che in un mese si concludesse tutto, ma poi
sono sorte grandi discussioni. Poi ho capito—e all’inizio
non ho capito molto—che questo concilio diventava ecclesiale, ecclesiologico. Adesso vedo che questa collegialità significa il partire dalla persona per dare vita alle strutture.
Ancora c’è chi capisce la collegialità come una ristrutturazione della Chiesa. Ma la Chiesa è definita come popolo di
Dio, cioè come fatta di persone, non solo membra corporis.
La Chiesa è riflesso della santissima Trinità, dunque le relazioni personali sono primarie rispetto alle strutture. Come
mi fa pena vedere interpretare la collegialità come democratizzazione! Si rovesciano i termini, ma si rimane sempre
prigionieri dentro alle stesse coordinate. Anche la democra-
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Le tracce della Provvidenza
tizzazione può essere negazione della collegialità. Siamo 25
contro 24 abbiamo vinto! Che cosa è questo!
“Collegialità” è un termine che fa parte della vita spirituale
dei membri della Chiesa, che presuppone il discernimento...
Perché combatteva tanto il cardinale Suenens? Affinché si
parli non di corpus Christi mysticum, ma di popolo di Dio.
Diceva: «I membri non sono persone, invece la Chiesa è fatta
di persone vive e le persone vive vivono nelle relazioni». E
con le relazioni, le persone si possono mettere d’accordo per
un pensiero spirituale che tutti accettano, anche quelli che
non votano. Allora non ci sono né vinti né vincitori.
Ma questo ancora non si capisce. Ho parlato ultimamente con alcuni preti che per la prima volta sentono questa
cosa espressa cosí. La storia della Lumen Gentium è molto
interessante.
Raramente ti si trova sorpreso o scandalizzato davanti
alle novità della cultura, della storia, della modernità, della
fine della modernità, del travaglio della società. Da dove
viene questa tua capacità?
Se considero le cose attraverso le forme canoniche, queste sono o non sono aderenti alle forme. Ma pensiamo di
nuovo che alla base c’è un’intuizione. Scoprire l’intuizione...
beh, può darsi che io non sia subito entusiasta di questa
forma nuova...
Cosí, se uno mi chiede: in chiesa tu sei per la musica
moderna o antica? Io dico: qualsiasi, purché sia vera musica, non banalità.
Parliamo dei cambiamenti che hai vissuto. Ad esempio,
nella formazione sacerdotale—eri per tanti anni padre spirituale al collegio Nepomuceno, e ancora tanti vengono da
te—quali sono le cose che piú ti preoccupano?
I giovani dovrebbero essere attenti verso la relazione
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Intervista a padre Œpidlík
personale, ma sono cosí soffocati che la evitano. Sono cosí
soffocati da tanta pluralità che si difendono ed evitano le
relazioni personali. Loro che ne dovrebbero essere proprio
le guide... E qui si deve fare qualche cosa. Anche i rettori
dei seminari devono muoversi. Si sente dire: «non si può
esigere, non si può esigere»... Ma si può esigere tutto: uno
che ha delle relazioni, o che ha la volontà di vivere con gli
altri, è pronto anche ad alzarsi alle cinque del mattino, se è
necessario. Ma, se io non posso esigere, perché oggi si
vuole piú libertà?... La libertà “serve per”, ma se non c’è la
relazione...
Questo è l’esempio di Francesco Saverio e di Ignazio riguardo all’obbedienza...
Esattamente. Saverio era amico di Ignazio. Per questo
Ignazio poteva ingiungergli le cose ex parte sanctae oboedientiae. Questo non si sognava di farlo con Bobadilla, perché lui non era capace di accettare. Se non si è capaci di
accettare, allora è violenza. C’è un mio articolo su Ignazio
come padre spirituale che spiega l’obbedienza dell’intelletto: significa che si deve veramente essere d’accordo con ciò
che si accetta in obbedienza, perché altrimenti c’è violenza,
e questo non può durare. Bisogna cercare di intendersi.
Perché, se non si è d’accordo, è difficile credere che si stia
obbedendo. Dire: «è stupido, ma io ubbidisco» non è umano. Questo è chiaramente esposto in questa lettera di
Ignazio, eppure c’è chi dice: l’obbedienza dell’intelletto significa star zitto.
Questo succede tutte le volte che si prendono termini nati
nell’ambito della vita spirituale e si inseriscono in ambito filosofico o giuridico...
È difficile. Considera il caso dei padri spirituali. Se un
padre gode della fiducia del suo figlio spirituale, gli può di-
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Le tracce della Provvidenza
re qualsiasi cosa e si è capaci anche di riderci sopra. Ma se
tutto viene preso in un ambito giuridico, allora diventa
un’anomalia. In questo penso di avere qualche cosa di meglio di Hausherr. Lui parlava di spirito materiale e di spirituale vero o meno vero. Io parlo di tre gradi. Propongo una
tricotomia in cui l’uomo è fisico-corporeo, razionale e poi
spirituale, e questi tre aspetti devono collaborare. I platonici
volevano distruggere il fisico affinché ci fosse solo l’aspetto
intellettuale, altri vogliono distruggere la ragione per essere
spirituali. No. L’uomo spirituale è l’uomo che spiritualizza
tutte le sue dimensioni. L’uomo spirituale può usare tutte le
scienze nate dall’uso della ragione perché le scienze sono
dono di Dio. Non si tratta di ridurre la spiritualità alla scienza, ai principi scientificamente provati...
Questo è il problema. Se tu studi la spiritualità sui santi,
questi tre aspetti li trovi sempre insieme, ma se studi sulle
teorie...
Purtroppo si cade nell’onnipotenza del principio...
Hai girato molto. Quando sei stato in Africa a insegnare,
che cosa hai capito di importante?
I popoli africani hanno un grande senso della concretezza. Si vede anche dal punto di vista linguistico: noi possiamo
dire “vitello” e “mucca”, e sarebbe ridicolo che si chiamasse
“mucca” un vitello. Ma questa distinzione loro l’hanno per
tutte le cose. Vivendo con loro ho capito che bisogna proprio
tradurre la fede con immagini, in modo concreto.
Quando per un certo tempo ho insegnato spiritualità a
Kinshasa, in Congo, ho constatato personalmente come certi concetti “orientali” sono molto piú accessibili in quell’ambiente di quanto lo sia la catechizzazione in termini “latini”.
Una Chiesa africana veramente cristiana è la Chiesa etiope, che non ha una teologia astratta, ma ha vite dei santi e
poesie. Gli etiopi non sono teologi, se si parla loro nei ter-
33
Intervista a padre Œpidlík
mini della teologia cosí come abitualmente la si pratica,
non ci riconoscono la fede.
Ma non è un po’ cosí anche in Europa?
Eh, sí: mentre a Parigi si diffondeva il razionalismo, la
Madonna a Lourdes diceva: «Baciate la terra». È la stessa cosa.
Una volta mi ricordo di averti sentito dire che in Africa
hanno molto apprezzato le tue spiegazioni delle icone e che
forse per loro sarebbe da proporre un cristianesimo in questo stile...
È chiaro, perché questo è concreto. Cosí spiegavo le
icone dicendo che cosa significano i diversi colori, in modo
concreto, e sai quanto gli africani sono sensibili ai colori!
Dicevi anche che gli africani che venivano in Europa ti
chiedevano quale fosse la spiritualità europea. Come tu gliele presentavi?
Bisogna vedere che cosa è la spiritualità europea.
Metterei al primo posto la preghiera. Ma dove stanno i libri
sulla preghiera? Alla Gregoriana ero il primo a dare un corso sulla preghiera a partire dai Padri orientali! Bisogna fare
quello che in modo scientifico ha fatto il Dictionnaire de
spiritualité. Alla fine lavorare cosí: considerare l’Antico
Testamento, il Nuovo Testamento, i Padri greci, gli autori
medievali, e chiedersi quale senso è vero. E scoprire che il
senso è dato dall’insieme di tutto. Tutti insieme si avvicinano alla stessa realtà. Questo è lo spirito ecumenico dentro
alla Chiesa stessa.
Allora, secondo te, quale potrebbe essere una possibile fisionomia europea?
Partirei dalla contemplazione, cercando che cosa hanno
detto i migliori autori, che cosa hanno detto i Padri, i siria-
34
Le tracce della Provvidenza
ci... Ognuno ha portato qualche aspetto nuovo. Si deve fare
questo: vedere come hanno capito tante virtú spirituali in
tutta la storia del cristianesimo tutti i popoli. Ci vuole questa
larghezza.
Libera da etnocentrismi, no?
Eh sí. Si tratta, sí, di vedere ad esempio che cosa insegna
san Tommaso, ma soprattutto si tratta di vedere qual è il
suo contributo speciale. O qual è il contributo della piccola
Teresa. A Praga ho parlato di questa teologia al seminario.
Prima di me c’era un intervento del cardinale Schönborn. E
ha detto che ha fatto sí che nel catechismo ci fosse un testo
della piccola Teresa di Gesú. Tutti dicevano: ma è fuori posto, non può stare nel catechismo. Ma se non abbiamo almeno un accenno a come qualcuno ha vissuto, scrivere solo dei principi significa fare della teoria. È importante vedere come il principio è stato vissuto e non solo formulato.
Adesso che l’Europa rischia una scristianizzazione abbastanza radicale, tu spesso fai dei parallelismi con i tempi di
santa Melania. Perché?
Quando Alarico ha occupato Roma, i romani si sono resi
conto di non essere capaci di resistere ai barbari. Ma non
essere capaci di resistere ai barbari significava il crollo del
mondo di quel tempo, del loro mondo. Perciò alcuni romani ritornarono al paganesimo, dicendo: tutto questo accade
perché non siamo stati fedeli. Sant’Agostino e san Girolamo
meditavano sulla fine del mondo. Ma piú tardi si mostrò
che furono proprio questi barbari a salvare i valori del mondo precedente con la loro conversione. Penso che la conversione dei barbari sia stata un miracolo. Cosí come
Melania, la piú ricca donna dell’impero che regala tutto ai
poveri e va in oriente. È simbolico, molto simbolico.
I barbari erano un grande numero. Erano come quelli
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Intervista a padre Œpidlík
che oggi chiamiamo extracomunitari. Erano schiavi lasciati
liberi, che riempivano le città e si organizzavano per mestieri, secondo il modello delle corporazioni che poi caratterizzeranno il medioevo.
Se una società crolla, non significa che tutto cada. Come
dice già Origene: se gli ebrei piangono sul muro, era pur
necessario che il tempio di Gerusalemme crollasse affinché
ci fosse un nuovo tempio spirituale. Quando crollò
l’Impero d’occidente, la conversione dei barbari fu un miracolo. C’è chi la spiega in vari modi, ad esempio dicendo
che la religione era un’organizzazione, e perciò si diffuse.
Si possono trovare tante ragioni, ma per me alla fine non
viene meno il fatto che si sia trattato di un vero miracolo.
Una volta hai detto che fino a dove c’è la grappa di prugne, la slivovica, lí c’è la tradizione cirillometodiana. Che
volevi dire con questo?
Si discute sempre quali fossero i confini della Grande
Moravia, fino a dove arrivassero, dal momento che tutti vogliono avere la propria grande nazione: i moravi, gli slovacchi, i bulgari, gli sloveni, tutti. Io ho detto che il migliore
segno che rimane per rintracciare i confini della Grande
Moravia è ancora la slivovica. Ultimamente parlavo alla televisione slovacca, e ho detto: «Guardi, il mio slovacco è un
po’ moravo.» Mi hanno risposto: «Beh, i moravi sono slovacchi che i cechi hanno occupato!» Va bene, questi sono
scherzi, è chiaro che oggi è diverso da quel tempo.
Però è vero che con te uno si siede, mangia un piatto di
prosciutto, beve un bicchiere di vino e il colloquio è una
condivisione umana, ma che sbocca sempre su una strada
spirituale. Cosa pensi del fatto che oggi è cosí difficile trovare una specie di ritualità, di liturgia della vita?
Perché oggi nascono tutti questi gruppi? Perché vedono
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Le tracce della Provvidenza
che nella società non si può parlare con nessuno su niente.
In America ci sono clubs di tutti i tipi: bisogna andare al club,
perché nel proprio ambiente non si trova nessuno con cui
parlare. Bisogna trovare le persone, bisogna trovarsi.
Tu hai portato molta gente a Frascati a mangiare la porchetta?
Io? Non lo so.
Che dici?
Beh. Mi sembra stupido pensare: adesso ci divertiamo, e
poi, di colpo, facciamo delle cose spirituali. Non è normale.
La vita normale è che, se vogliamo fare una festa, mangiamo e beviamo, e poi nasce un clima in cui si può anche
aprire il cuore.
Io credo—lo dico sinceramente—di aver avuto un maestro tedesco molto buono, ma che impostava tutto secondo
quello che si chiama “spiritualità dell’ordine”. Penso che occorra piuttosto formare uno spirito di famiglia, ma che esige
anch’esso un ordine, è chiaro. Cosí, se ad esempio dobbiamo dire la messa insieme, allora stabiliamo che si fa alle sei.
Adesso sono otto anni che esiste il Centro Aletti. Che cosa
ti sembra significativo, particolare di ciò che Dio ci ha dato
da vivere qui?
Il Centro Aletti è una cosa nuova, perché prima non
c’era niente di simile, e credo che il Padre Generale ne abbia ben capito il senso. La Compagnia, almeno in Europa,
non potrà piú avere collegi e università come aveva prima,
dunque deve cercare contatti con gli intellettuali in modo
diverso. Si è visto che questo nostro modo di cercare semplicemente un contatto, senza avere la pretesa di istituzionalizzarli, è molto utile e fruttuoso. Ci sono tanti intellettuali
cristiani che non si conoscono tra di loro e che noi faccia-
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Intervista a padre Œpidlík
mo incontrare. Questa è una bella esperienza. E la seconda
cosa è che al Centro si dà una condizione per la convivenza. Non può essere allora una casa gestita secondo lo stile
classico del regolamento, perché ci sono persone laiche e
bisogna vivere con loro. Allora bisogna trovare, evidentemente, un ritmo spontaneo, che venga fuori da solo, perché senza qualche ritmo la cosa potrebbe diventare un po’
esagerata per troppo lavoro. Ci vuole saggezza. E credo
che come esperienza questa sia molto positiva. Per questo
motivo bisogna essere questo tipo di famiglia. E lo spirito
di famiglia è vivere insieme.
Le tracce della Provvidenza
di questo?
Credo che dovunque si confessa ci sono padri spirituali,
canonizzati o non canonizzati. In Italia c’è la tendenza a canonizzare subito, perché i fedeli pregano sulla tomba. Nei
paesi nordici questo non si fa immediatamente. Ma sempre
si ricordano i personaggi spirituali.
Tu hai confessato tutta la vita, e anche ora continui a
farlo. C’è tanta gente che viene continuamente da te per
questo. Ma come era la tua prima confessione in Italia?
Ho chiesto ad una bambina: «Che peccati hai?» «Non ho
voluto mangiare la minestrina!» E in un’altra confessione c’era
un bambino che non riusciva ad arrivare alla grata—si vedeva solo il naso. Dico: «Che cosa c’è?» «Sono stato prepotente.»
Si dice che oggi l’uomo non si confessa, ma chi lo fa, cosa cerca nella confessione?
Gli uomini d’oggi cercano un dialogo spirituale.
Cercano, non è vero che non cercano. Soltanto che non si
dà la possibilità di un colloquio: «Presto, presto, che devo
dire la messa! Dica i peccati.» E poi c’è veramente una grande difficoltà data dal non saper distinguere tra immaginazione e libertà, tra pensiero, logismos e atteggiamento libero. E
cosí si confessano i pensieri cattivi, e siccome non ci si può
correggere, nasce l’idea che confessarsi sia inutile. L’educazione all’ascesi interiore richiede attenzione. Oggi tutto è
solo esteriore e cosí si dice: «Questo è peccato, questo non
è peccato». Ma è importante l’ascesi interiore, il controllo
dei pensieri. Fa pena, fa veramente pena che anche religiosi
e religiose abbiano queste difficoltà. Una suora una volta mi
ha detto: «Io odio la madre superiora.» E io: «Le compro la
rivoltella?» Ribatte: «Ma cosa dice?» «Se la odia, le vuole sparare.» «No, no, io le voglio bene.» Guarda, se una suora dopo tanti anni di vita spirituale non riesce a distinguere semplicemente il sentimento di antipatia e la volontà libera, è
triste. È triste. Manca tutta un’educazione all’arte di distinguere tra pensieri e peccati, a capire come il pensiero penetra progressivamente nel cuore fino a generare il peccato e
quindi come a vivere un’ascesi dei pensieri.
L’Italia ha due grandi santi di questo secolo, Leopold
Mandiμ e padre Pio, e tutti e due sono confessori. Che dici
In questi anni la grazia piú grande per il Centro Aletti è
stata certamente il fatto che il Papa ha chiesto di fare la cap-
Una volta, in Slovenia, in un’intervista, ti hanno chiesto
che cosa pensi dello humor. Tu come hai risposto?
Che è l’unica vera medicina contro le eresie. Perché le
eresie rendono assolute le cose relative e lo humor relativizza, in un certo senso, le cose che si considerano grandi,
intoccabili. Mi sembra di aver detto che lo humor è una
malizia generalmente permessa. Credo che il senso
dell’umorismo sia il miglior rimedio contro le eresie e contro ogni tipo di fanatismo. Scherzando ci rendiamo conto
delle nostre debolezze e abbiamo compassione di quelle
degli altri.
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Intervista a padre Œpidlík
pella “Redemptoris Mater”, dopo gli esercizi che tu hai dato
in Vaticano. Nell’omelia per la sua dedicazione, il Papa ha
detto che la cappella è un’espressione della teologia a due
polmoni dalla quale la Chiesa potrà attingere vitalità per il
terzo millennio. È una frase molto forte, ma infatti è cosí.
Tu sei a capo di un gruppo di giovani teologi dove c’è una
notevole presenza dell’arte. In questi anni, come hai seguito
questo lavoro, quale era il tuo pensiero piú frequente o la
preghiera che facevi per quelli che faticavano lí?
Dunque, guarda: noi non abbiamo cercato questo lavoro. Questo lavoro ci è stato dato e credo che sia stato una
buona occasione: prima di tutto bisogna ritornare a far sí
che la chiesa sia uno “spazio parlante”, che dica qualche
cosa. E qui c’è la tradizione orientale.
D’altra parte non vogliamo semplicemente riprodurre le
icone cosí come sono, ma inserirle nel mondo moderno. E
infatti in cappella c’è padre Rupnik, che ha cominciato con
l’astrattismo, con la pittura piú moderna occidentale, e poi
è andato avanti e si può dire che tante soluzioni anche pittoriche sulle pareti della cappella sono nate da delle suggestioni della teologia, della spiritualità e dell’iconografia
orientale. E nella cappella c’è anche una parete di un russo,
che è un po’ tradizionalista. Ma l’incontro tra oriente e occidente non è perché sono due pittori, uno dall’oriente e uno
dall’occidente, ma perché nel fare la pittura si vedono confluire le due tradizioni. Ed è quello che il Papa vuole anche
per la teologia e la spiritualità. Questo va molto bene insieme. Ma apprezzo soprattutto il fatto che abbiamo dato una
testimonianza di una cappella che è eloquente, che parla
agli uomini, in tanti spazi che non dicono niente.
In questi ultimi cinque anni, dal tuo 75° anniversario, tu
hai scritto tante cose, tanti articoli, tanti libretti. Mi sembrano
gioielli offerti alla Chiesa, dopo tanta riflessione, espressi in un
40
Le tracce della Provvidenza
modo piú ampio, divulgativo. Come percepisci questo fatto?
Questa mia produttività è data dal fatto che non posso
piú lavorare su cose grandi, cioè non posso affrontare un
nuovo libro ampio, fondamentale, che esige parecchi anni
di lavoro. Gli articoli non sono ricerche nuove, dal momento che io accetto di scrivere approfittando di quello che già
prima ho studiato. Siccome mi chiedono continuamente
qualche articolo, decido di scrivere su ciò per cui ho del
materiale; dunque, in un certo senso, i miei lavori si moltiplicano.
Tu sei stato una benedizione per Lipa, ma Lipa è stata
una bella benedizione anche per te, perché romeni, ucraini,
francesi, tedeschi, ecc. sono venuti in contatto con questi tuoi
testi pubblicati e tradotti poi in diverse lingue...
Davvero, perché è molto importante arrivare a sapere
che uno scrive. Si è visto che queste piccole cose sono utili
per un ampio pubblico. Non sono cose nuove, ma sono cose che avevo in mente da molto tempo. Ma qua e là ogni
tanto salta fuori qualcosa di piú maturo. Inoltre, dovendo
dire le cose brevemente, alcune diventano piú chiare.
Una volta un padre mi chiese: «Come mai ti pubblicano
tanti articoli, mentre io ho scritto un articolo in tanto tempo
e con tanta fatica e da tre anni cerco un editore che lo
stampi?» Io non ho mai cercato questo, ho sempre accettato
ciò che mi chiedono. Evidentemente io posso dare anche
delle condizioni, dicendo posso fare cosí o cosí, ma se me
lo chiedono, non ho il problema di essere accettato.
Di questi ultimi libretti, o degli articoli, quale pensi abbia
di piú questa intuizione?
Un libricino che dovrebbe ancora uscire sulla Trinità.
Anche se è una cosa popolare, penso di poter aggiungere
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Intervista a padre Œpidlík
Le tracce della Provvidenza
qualche aspetto nuovo.
qualche imprevedibile difficoltà. Anche questo è un segno.
Quando hai festeggiato il 50° di sacerdozio hai predicato
e hai citato un monaco romeno che ti ha detto di far penitenza. Tu hai detto che non ti fa paura far penitenza. Ti faccio una domanda a cui non so se puoi rispondere. Penso che
la sofferenza fisica nella tua vita sia stata molto presente. Io
collego molto la tua sapienza spirituale, la tua profondità
teologica, l’amore per la gente alla sofferenza che la gente
non vede, ma che c’è. Ricordo che quando andavi dal collegio Nepomuceno all’Istituto Orientale già avevi tanti problemi con le gambe che bastava che in autobus qualcuno involontariamente mettesse il piede sulla tua gamba che soffrivi
tutto il giorno. Puoi dire che cosa significa sopportare ed accettare una sofferenza spiritualmente?
Non bisogna esagerare. Avevo sempre certi disagi, ma
non erano cosí forti da impedirmi di lavorare, e questa è
una bella cosa. Perché se si sente qualcosa, qualche dolore,
questo è utile perché uno si rende conto che, o fa le cose
per la volontà di Dio o se ne infischia di tutto. Se mi fa male la gamba, se non credo che è per qualche utilità che io
faccio qualcosa nonostante il dolore, se non credessi questo, non lo farei. Quando qualcosa fa male, si può dire:
Signore, se posso ancora fare qualcosa, la faccio. Inoltre, le
gambe malate gravemente mi hanno dato l’occasione di conoscere il prof. Negro e il gruppo dei suoi medici, di cui
sono paziente, ma con i quali collaboro nella loro scuola.
Da amici pensiamo di propagare un nuovo atteggiamento
nello sforzo di guarire le “persone” e non le “malattie”.
Tu hai scritto introduzioni a poeti e artisti e hai tanti
rapporti con persone di questo mondo. Come mai tu, che a
scuola avevi il peggior voto in disegno, hai tanto senso per
l’arte? Sarà un frutto del suonare il violino?
Io mi domando piuttosto come mai ho acquistato il senso della teologia, se da giovane mi occupavo sempre di arte. Sono andato all’università a studiare arte e poi non avevo piú tempo di scrivere poesie, dovevo studiare la filosofia, poi stavo all’estero... E poi, poesia, filosofia e teologia
sono molto vicine, almeno lo sono state.
Una rivista slovacca mi ha recentemente chiesto se la
teologia è scienza o no. Io ho detto che la teologia non è
scienza di Dio. San Gregorio Nazianzeno dice che la teologia è parlare di Dio, e parlare di Dio è parlare di una certa
rivelazione interiore, ed anche questo è poesia. Infatti
Gregorio Nazianzeno era un grande poeta.
Leggi libri? Qual è uno degli ultimi libri che hai letto?
Ogni tanto leggo i romanzi che scrivono i miei amici. Ma
adesso mi sono messo a rileggere alcuni articoli del
Dictionnaire de Spiritualité perché questa opera è l’opera del
nostro secolo e non ancora è apprezzata per quanto vale.
In 80 anni, qual è la grazia piú grande che hai avuto?
È sempre andato tutto in un modo assolutamente imprevedibile. Da qui vedo che è la Provvidenza che mi ha guidato, perché tutte le cose che ho fatto avevano sempre
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