Acqua dolce dal mare - Lega Navale Italiana
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Acqua dolce dal mare - Lega Navale Italiana
Acqua dolce dal mare di Franco Maria Puddu “A Dissetarsi con acqua “presa” dal mare? È possibile, anche senza fare ricorso a moderne apparecchiature industriali. Basta saper dove cercare cqua, acqua ovunque, / e neanche una goccia da bere.”; con queste parole Samuel Taylor Coleridge, il grande poeta inglese vissuto a cavallo del 1800, fa esternare al protagonista della sua “Ballata del vecchio marinaio” il cruccio che lo porterà ad espiare in eterno l’uccisione di un albatros che era sceso sulla sua nave. Già in qualche altra occasione, abbiamo fatto menzione a questi versi, ma questa volta la memoria ci porta a loro per ricordarci che, almeno nell’ambito del nostro Mediterraneo, non è esattamente vero che sia impossibile dissetarci con l’acqua di mare; e senza far uso di dissalatori, beninteso. Non è infrequente, infatti, in aree costiere o comunque a non grande distanza dalla costa, incontrare specchi di mare calmi e cristallini nei quali l’acqua ribolle leggermente o, più spesso ancora, si allarga lentamente sulla superficie con lievi increspature, formanti cerchi concentrici fino a raggiungere un diametro di molti metri: in genere si tratta di sorgenti di acqua dolce. Sorgenti non certo esigue se si tiene conto che quest’acqua, in superficie, è ancora potabile, che la profondità della bocca sorgiva a volte si trova a decine di metri di profondità e che la differenza di salinità delle due acque, marina e sorgiva, a volte notevole, è tutto sommato un fattore diluente. Ma anche di comprovata antichità, se consideriamo che Plinio il Vecchio, scrittore, ammiraglio e naturalista romano morto nel 79 d.C., ebbe a scrivere delle ostriche di Taranto (i romani erano ottimi soldati, provetti costruttori e grandi legislatori, ma anche gaudenti apprezzatori della gastronomia): “Et ostrea … gaudent dulcibus aquis et ubi plurium inflarunt amnes” (le ostriche … prosperano nelle acque dolci e dove confluiscono molte correnti), dimostrando così di conoscere l’esistenza dei citri, come vengono chiamate a Taranto le sorgenti di acqua dolce, tuttora esistenti, che affioravano all’interno del Mar Piccolo, nella città pugliese. Ma prima di proseguire nel nostro discorso, diamo un’occhiata ai luoghi nei quali è maggiormente avvertita la presenza di questo fenomeno, cominciando dalla Liguria. maggio-giugno 2016 31 Agostino Fossati: “Polla d’acqua dolce a Ca Di Mare”, olio su tela; la polla si intravede, per i suoi cerchi concentrici, a destra della punta. In apertura, rappresentazione schematica della Polla di Rovereto, davanti a Punta Mortola, in Liguria. L’acqua dolce fuoriesce dalla sorgente subacquea, dilatandosi, fino ad emergere con un modesto “pennacchio” La Polla di Rovereto A breve distanza dalla costa di Mortola, una serie di piccoli abitati che si incontrano inoltrandoci in territorio italiano provenendo dal suolo francese, in un’area geologicamente molto interessante, ricca di cavità e sede di civiltà autoctone sin dall’antichità (Balzi Rossi), troviamo, ad appena una chilometro circa dalla battigia, alcune sorgenti sottomarine, emergenti ad una profondità che varia dai 10 ai 39 m, la più grande delle quali fu detta Polla di Rovereto perché nel 1938, il geologo ligure Gaetano Rovereto fu il primo studioso che si interessò a lei in età moderna, definendola “Polla grandiosa, ignota alla scienza, nemmeno segnalata sulle carte … un ribollimento di acque, con ampie ondate circolari “calcolandone la posizione a circa 300 metri dalla costa (sbagliando di circa 700), 19 di profondità e una portata di circa 1 metro cubo al secondo. Studi e ricerche più recenti hanno portato ad apprezzare l’entità e la costanza della fuoruscita d’acqua dolce, che probabilmente ha origine carsica a che proviene dal monte Grammondo, di 1.200 metri di altezza, posto in territorio 32 maggio-giugno 2016 italiano, dal quale discente tramite grotte sotterranee per poi emergere davanti a Mortola. Fu probabilmente la fonte di approvvigionamento idrico delle tribù della cultura dei Balzi Rossi, anche se non sappiamo se da bocche terrestri (più probabili) o marine, mentre lo è ancora per i pescatori e naviganti mortolesi che, passando nelle sue vicinanze, non si creano problema a sostare nel centro della bolla emergente, per rifornirsi di ottima acqua dolce. “A funtana” di Cadimare Proseguendo, raggiungiamo il territorio spezzino dove a Cadimare, anticamente Ca da’ mare e oggi frazione di La Spezia, troviamo un’altra famosa polla, sulla quale, nel 1784, effettuò una serie di studi e ricerche il gesuita naturalista italiano Lazzaro Spallanzani. Della Polla di Cadimare, più prosaicamente definita “a funtana” dai pescatori locali, si interesserà Aleardo Aleardi, famoso poeta romantico, penalizzato però dalla leziosità dei suoi versi, che scrisse “Qual che rapito naviga / di Spezia la marina / ver l’onda cara a Venere / accanto ad una collina / se della polla torbidi / vede bollir i lembi / ne tragga auspici di venturi nembi”. Non fu da meno il pittore spezzino Agostino Fossati, un romantico con ascendenze macchiaiole (1830 – 1904) che lascerà una bella testimonianza pittorica della “funtana”. Ma i lavori che portarono alla realizzazione dell’Arsenale della Regia Marina prima, e quelli, in questo secolo, necessari per sostituire il locale idroscalo con il seguente aeroporto “turberanno”, non si sa come, la polla, che scomparve anche se oggi è possibile vederla nuovamente, specie in primavera, quando soffia il vento di levante. Cala Goloritzé: cristallina e gelida quelle cale, è particolarmente limpida e cristallina, ma gelida, anche nei giorni più torridi dell’anno, e il sole in Sardegna non scherza, quando il mare circostante assume temperature “brodose”. I “citri” del mar piccolo Proseguendo ancora nel nostro viaggio, all’estremità meridionale della penisola troviamo la grande apertura del Golfo di Taranto, che sul fondo, si articola in due mari: il Mar Grande e il Mar Piccolo; il primo rappresenta la porzione che, dalla costiera cittadina, guarda verso il mare aperto, mentre il Piccolo è a sua volta suddiviso in due specchi d’acqua, totalmente interni, comunicanti con il Mar Grande tramite un canale artificiale che divide la città vecchia da quella nuova ed è attraversato all’imboccatura dallo storico ponte girevole. Sia i venti che le maree condizionano l’andamento delle correnti sia superficiali che di profondità, che uniscono i due mari, ma ad esse si unisce anche l’azione delle correnti d’acqua dolce fuoriuscenti da sorgenti localizzate in pochi casi in Mar Grande, in molti nel Mar Piccolo, rispettivamente da 20 a 14 bocche Scendendo in giù per il Tirreno e portandoci al largo della penisola troviamo la Sardegna, isola ricca di sorprese e geologicamente fra le terre più antiche d’Italia. Lungo le coste dell’isola non sono rare le sorgenti d’acqua dolce emergenti, il che ha fatto ritenere a molti che anticamente queste venissero utilizzate dai naviganti (sardi, fenici o cartaginesi) per l’approvvigionamento idrico di bordo. Certamente una delle più caratteristiche, articolata su un certo numero di bocche, è quella di Cala Goloritzé, al largo di una spiaggia ogliastrina del comune di Baunei, nel Golfo di Orosei. Non disponiamo di dati molto precisi, in merito, anche perché molte di queste splendide località solitarie e selvagge, fra le quali l’incantevole Cala Luna, essendo oltre tutto non lontane dalle Grotte del Bue Marino, dove risiede la foca monaca, a Cala Gonone, sono state chiuse o parzialmente interdette ai visitatori da alcuni anni, al fine di preservarle dall’inciviltà dei vacanzieri. Secondo la testimonianza di molti visitatori, gli effetti dell’attuale e benefico “inquinamento da acqua dolce” sono più che evidenti, L’insenatura di Cala Goloritzé, in Sardegna, dove emergono alcune bocche d’acqua, alquanto perché l’acqua di mare, in difficili a distinguere nell’immagine maggio-giugno 2016 33 sono le bocche in quest’ultimo, poste all’interno della parte settentrionale dei due seni che lo compongono. Queste sorgenti sottomarine vengono localmente chiamate “citri”, e creano spostamenti di acqua dolce, ormai non più potabile perché mista ad acqua salmastra; si viene così a creare una condizione idrobiologica ideale per la coltivazione di pregiati mitili, le “cozze”, molto apprezzati, come abbiamo già visto, sin dall’epoca romana. Il nome di queste sorgenti, importantissime per il microambiente locale, viene fatto risalire ad una derivazione del greco chýtros, pentola, (Taranto fu una colonia fondata dai greci, per essere precisi dagli spartani), sia per la forma ideale di questa massa d’acqua dolce creata dalla cultura popolare, che per il continuo ribollire della sua superficie; secondo altri, il termine deriva dai chýtroi, fonti di acqua calda minerale, certo di origine vulcanica, che si trovavano presso le Termopili (a loro volta “porte calde”), ma sono entrambe congetture. “Li fiumi” di Torre Vado Procedendo adesso verso la punta estrema della costa pugliese, il vero e proprio “tacco d’Italia”, nel territorio del comune di Morciano di Leuca si trova il piccolo abitato di Torre Vado, il “marina” di Morciano di Leuca, noto per la presenza nel suo terreno a mare, de “li fiumi”, come vengono popolarmente chiamate le sorgenti di acqua dolce esistenti in mare. Queste sorgenti, però, al contrario di quelle che abbiamo fino ad ora incontrate, si trovano a profondità basse e su fondali totalmente rocciosi; per questo con la sua azione, l’acqua sorgiva nei secoli ha scavato canali, vasche e altri scenari, creando un’ambientazione del tutto diversa da quella delle sorgenti che abbiamo incontrato finora. Così, di conseguenza, e pur essendo in buon numero, non hanno né la portata né la spettacolarità alla quale ci avevano abituato altre situazioni. Non è detto, comunque, che si sia esaurito l’elenco di questi fenomeni naturali esistenti nel mediterraneo; al contrario, sappiamo che ve ne sono al largo del litorale meridionale della Francia e anche in Spagna, mentre se proseguiamo il viaggio sino ad ora intrapreso, ne troveremo molto pochi in Italia, mentre non sono una rarità lungo la costa Croata, dove spesso la natura carsica del suolo è norma. Anche la Grecia non è esente da questi fenomeni, particolarmente nell’area di Creta, mentre ve ne sono anche nelle acque israeliane. In pratica, la natura di queste fonti affioranti dal fondo del mare è generalmente legata proprio alla natura carsica di qualche contrafforte Un chiarissimo Citro di discrete dimensioni in Mar Piccolo, a Taranto, nei pressi di un campo di coltura dei mitili 34 maggio-giugno 2016 roccioso che funge da “serbatoio” all’uopo, mentre in alcuni rari casi il fenomeno può avere origine vulcanica. Abbiamo anche l’acqua fossile Potrebbero esserci altre possibilità, delle quali al momento non abbiamo notizia, ma non ci sentiamo di escludere, anche se si tratta di eventualità poco probabili: si tratta dei giacimenti di acqua fossile. Questa non è altro che acqua immagazzinata da un sottosuolo con particolari caratteristiche, ma millenni fa, per questo è definita fossile; ciononostante si tratta di acqua senz’altro buona. Ne fanno corrente uso, da tempo, Paesi come la Libia, la Tunisia, l’Arabia Saudita, il Texas. Il difetto di quest’acqua è che è un bene ad esaurimento, come il petrolio: un bel (o brutto?) giorno la miniera liquida si esaurirà e non resterà che chiudere quei rubinetti. D’altronde, i suoi giacimenti si trovano a notevole profondità, e riteniamo poco probabile che ve ne sia qualcuno con poche decine di metri di acqua oceanica sulla testa, che non eserciti un’alta pressione, talmente forte da consentire ad una fuoruscita idrica di librarsi verso la superficie. Ma tocchiamo l’ultimo argomento di questa nostra conversazione: abbiamo visto l’esistenza di queste fonti subacquee, in quali habitat si trovano, se sono più o meno note. Ma, in definitiva, a che servono? Sarebbe possibile sfruttarle in maniera economicamente pagante? Bene, l’acqua dolce del mare, in fin dei conti, può essere utilizzata come un’acqua qualsiasi, ma, fino a che si trova sotto il fondale marino e non palesa la sua presenza, certo non si può dire che serva a molto se non a costituire un’attrazione turistica al pari di un geyser o di un ghiacciaio. È ben vero che sino ad oggi, dall’antichità, l’acqua che viene dal mare ha dissetato qualche navigante che però, oltretutto, sapeva della sua esistenza e sapeva anche come trovarla, ma è altrettanto vero che sino ad oggi non è mai stato fatto alcun serio tentativo industriale di sfruttarla, a parte qualche timido esperimento andato prima o poi fallito. Di conseguenza, con tutta probabilità, sarà destinata a rimanere al livello di una curiosità della natura, anche se consideriamo che l’acqua potabile utilizzabile, rispetto a tutta quella che Le sorgenti dei “fiumi” a Torre Vado, si trovano vicinissime alla battigia si trova sul pianeta (in mari, oceani, fiumi, laghi, ghiacciai), è in quantità veramente minima, e in questo nostro caso ci troviamo di fronte a depositi tanto esigui che non vale la pena di tentare di sfruttarli. D’altronde, se una persona possiede i mezzi che glie lo consentono, piuttosto che trivellare fondali marini (per non dire oceanici) per ottenere l’acqua, pensiamo che troverà economicamente più remunerativo trivellare in cerca di petrolio o gas. A meno che non si trovi in una località dove l’acqua e il petrolio arrivino ad equivalersi come importanza, ad esempio in uno Stato desertico o in uno che, avendo già assaggiato cosa vuol dire la vera siccità, voglia fare di tutto per evitare di ritrovarsi in quelle congiunture. Si trivella un pozzo di acqua fossile a Degache, un centro della Tunisia sud – occidentale con una oasi famosa e utilizzata sin dal tempo dell’antica Roma maggio-giugno 2016 35