Al di l`a delle funzioni: introduzione alla teoria delle distribuzioni, 1

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Al di l`a delle funzioni: introduzione alla teoria delle distribuzioni, 1
Corso di Eccellenza, a.a 2012/13
Al di là delle funzioni: introduzione
alla teoria delle distribuzioni, 1
Corrado Mascia
16 maggio 2013
Lezione 1. Il rigore matematico
Per iniziare, consideriamo un problema prototipo pseudo-concreto: il calcio di rigore. Obiettivo: descrivere il moto del pallone utilizzando il linguaggio matematico fornito dalla legge
di Newton effeugualeemmea, che, tra poche righe, richiameremo nella sua versione più edulcorata possibile. Supponiamo che il moto del pallone percorra una retta unidimensionale e che
sia inizialmente collocato sul dischetto dell’area di rigore nella posizione y0 = 0. Al tempo
t = 0, il calciatore colpisce il pallone e questo comincia a muoversi con velocità v∗ , considerata
costante (e positiva). Il grafico della funzione che al tempo t associa la velocità v = v(t) è molto
Figure 1. Un innocuo calcio di rigore.
semplice: si tratta di una funzione costante a tratti che vale 0 per t < 0 e v∗ per t > 0.
Immaginando di essere molto affezionati alla legge di Newton per la dinamica di un punto e
di suppore, per semplicità, che il pallone abbia massa unitaria, vorremmo scrivere un’equazione
differenziale del tipo
dv
= f
dt
dove, in questo caso, il profilo della soluzione v è noto e il termine da determinare e la funzione
a secondo membro f , che descrive la forza che determina il moto del pallone.
Il problema salta all’occhio: la funzione v non è continua in t = 0 e quindi neppure derivabile
in tale punto. L’equazione di Newton non può essere scritta, punto e basta. A pensarci bene,
l’equazione ha perfettamente senso per ogni t , 0, dato che la funzione v = v(t) ha derivata
nulla per ogni t , 0. Tutto molto coerente: nessuna variazione della velocità per tempi strettamente negativi e per tempi strettamente positivi, ovvero accelerazione nulla, e, di conseguenza,
nessuna forza. Tutto, come è evidente, avviene nell’istante t = 0, ma, con il linguaggio della
derivazione in senso classico, non sembra esserci modo per descrivere la dinamica del pallone
in termini dell’equazione di Newton. Non sembra esserci perché, in effetti, non c’è. A meno
(1)
2
che non si decida di rilassare il concetto di derivazione e arrivare a formulare un linguaggio più
duttile.
Si possono muovere molte critiche alla maniera con cui è stato presentato il problema del
calcio di rigore. Tra le altre, è chiaro che immaginare che il pallone, inizialmente fermo, si trovi
istantaneamente dopo il calcio a velocità positiva e costante è una semplificazione eccessiva. È
molto più ragionevole pensare che il pallone acquisisca gradualmente velocità in maniera strettamente crescente da 0 a v∗ . In questo modo, la funzione v = v(t) si può considerare derivabile
in senso classico e tutto torna ad essere perfettamente sensato. L’intervallo [0, ε] in cui la velocità cresce da 0 a v∗ risulta essere il periodo in cui una forza viene esercitata sul pallone che,
di conseguenza, acquisisce una certa velocità non nulla. Quanto dura l’impatto tra il piede ed
il pallone? Ovvero, quanto vale ε? Come il simbolo scelto suggerisce, il tempo di impatto è
breve, cioè ε è piccolo. Piccolo è un concetto relativo, quindi occorre precisare rispetto a cosa.
Nel problema specifico che stiamo considerando, ε è sicuramente piccolo rispetto alla durata
del tiro stesso, tanto piccola da poter essere considerata, in concreto, nulla.
Esercizio. Sia t0 > 0. Dato ε > 0, sia fε : R → R una funzione continua tale che e con supporto
contenuto in (t0 − ε, t0 + ε) e tale che
Z
supp fε ⊆ [t0 − ε, t0 + ε],
fε (t) dt = 1.
R
Sia uε = uε (t) la soluzione del problema di Cauchy
= fε (t), uε (0) = 0. Determinare il limite
puntuale di uε per ε → 0. In quali intervallo chiusi di R la convergenza di uε è uniforme?
u0ε (t)
Soluzione. La soluzione uε è data da
uε (t) =
Z
t
fε (τ) dτ.
0
In particolare, uε (t) = 0 per ogni t < t0 − ε e uε (t) = 1 per ogni t > t0 + ε. Di conseguenza, per la famiglia di
funzioni uε si ha
lim uε (t) = sgn (t − t0 )
∀t , t0 .
ε→0+
Nel punto t0 , in generale, i valori fε (t0 ) non convergono.
Il fatto che gli elementi della famiglia {uε } siano continui (in quanto derivabili) e la funzione sgn (t − t0 ) è
discontinua, indica che la convergenza non è uniforme in nessun intervallo chiuso contenente t0 . Viceversa, se
l’intervallo [a, b] non contiene t0 , allora o b < t0 oppure t0 < a. Di conseguenza, per ε sufficientemente piccolo, si
ha uε (t) = sgn (t − t0 ) per t ∈ [a, b] e la convergenza è uniforme in tale intervallo.
Non appena si considera ε = 0, come detto, il linguaggio della derivazione classico crolla
e, apparentemente, si cade al di fuori del regno del rigore matematico. Chi vuole può fermarsi
qui, restare aggrappato all’usuale limite del rapporto incrementale e considerare inaccettabile
proseguire il discorso. Ma c’è un punto di vista particolarmente nuovo e molto interessante che
aspetta, invece, chi accetta di proseguire il percorso.
L’equazione di Newton (1) ammette una formulazione di tipo integrale
Z t
(2)
v(t) = v(t0 ) +
f (σ) dσ
t0
3
che ha due pregi principali: è equivalente alla formulazione originaria nel caso in cui la funzione
v sia derivabil, non richiedere, per essere scritta, che la funzione v sia una funzione derivabile.
Data la funzione v = v(t)

t < 0,

 0
v(t) := 
v
t ≥ 0,
∗
esiste una funzione f tale che sia soddisfatta la relazione (2)? Per s < t < 0 e per 0 < s < t < 0,
si ha
Z
t
0 = v(t) − v(s) =
f (s) ds
s
Quindi la funzione f deve avere integrale nullo in ogni intervallo che non contenga il punto
t = 0. Di conseguenza, è ragionevole assumere che la funzione f debba essere nulla in ogni
punto t , 0. Nessuna sorpresa: ad eccezione dell’istante dell’impatto, t = 0, non c’è nessuna
forza che agisce sul pallone, quindi f (t) = 0 per ogni t , 0. Resta da stabilire il valore della
funzione f in zero: scegliendo s < 0 < t e ispirandosi al teorema della media integrale, si ha
qualcosa del tipo
Z t
v∗ = v(t) − v(s) =
f (s) ds ∼ f (0)(t − s)
s
da cui, per s, t → 0 si deduce che la funzione f deve valere +∞ nel punto 0. La qual cosa
mette in seria difficoltà per vari motivi. Prima di tutto non è particolarmente agevole lavorare
con le quantità infinite; lo sforzo necessario per rendere rigorose le definizioni e gli argomenti
è sempre non irrilevante. Inoltre, negli integrali usuali, il valore della funzione in un punto è
irrilevante: se le funzioni F e G sono integrabili secondo Riemann in [a, b] e coincidono in tutto
l’intervallo escluso un numero finito di punti x1 , . . . , xn ∈ [a, b] si ha
Z b
Z b
F(x) dx =
G(x) dx.
a
a
Nel caso considerato, la funzione f coincide fuori da t = 0 con la funzione nulla e quindi il suo
integrale dovrebbe essere sempre nullo.
Esercizio. Sia x0 ∈ (0, 1). Dato ε > 0, sia fε : R → R una funzione continua tale che e con supporto
contenuto in (x0 − ε, x0 + ε) e tale che
Z
f (x) ≥ 0 ∀x,
supp fε ⊆ [x0 − ε, x0 + ε],
fε (x) dx = 1.
R
Sia uε = uε (x) la soluzione del problema di Cauchy
d 2 uε
(x) = fε (x),
uε (0) = uε (1) = 0.
dx2
Determinare il limite puntuale di uε per ε → 0. In quali insiemi di R la convergenza di uε è uniforme?
Lezione 2. Un punto di vista diverso
Proviamo a rimettere in ordine le idee. Per semplificarci la vita, poniamo v∗ = 1. La funzione
f che andiamo cercando (oltre a non esistere) deve godere della proprietà seguente: per ogni
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s < t,
t
Z
s


0
f (σ) dσ = 
1
se s < t < 0 o se 0 < s < t,
se s < 0 < t
Equivalentemente, possiamo scrivere

Z

0
f (σ) χ(s,t) (σ) dσ = 
1
R
se s < t < 0 o se 0 < s < t,
se s < 0 < t
dove χI indica la funzione caratteristica dell’insieme I.
Continuare ad usare la notazione dell’integrale è inappropriato perché, come detto, il misterioso oggetto f non è una funzione. Da qui in poi, usiamo quindi la notazione
h f, φi
per indicare il risultato dell’azione di f sulla funzione test φ. Quindi, indicato con I l’intervallo
(s, t), riscriviamo la proprietà come segue

se 0 < I,

0
(3)
h f, χI i = 
1
se 0 ∈ I.
La scrittura (3) può essere interpretata in una maniera significativa per il discorso che segue:
– il simbolo f è l’oggetto “intrinseco” che si vuole definire o determinare, ma che va considerato non osservabile direttamente, nel senso che non possiamo accedere in maniera diretta al
valore puntuale (perché tale valore, in realtà, non è detto che ci sia!);
– la funzione χI è una sorta di esperimento che viene realizzato, o test, che, nel caso specifico,
consta nel guardare cosa accade nel passaggio dall’istante s all’istante t;
– il simbolo h f, χI i è un numero reale che descrive il risultato osservabile determinato da f ,
in risposta alla scelta della funzione test χI .
Si tratta ora di chiarire un certo numero di cose: quali sono le proprietà significative che deve
soddisfare l’operazione h f, ·i? Quali sono gli “esperimenti” che è ragionevole ritenere leciti,
ovvero quali funzioni possono essere considerate funzioni test “ammissibili”?
Dato che siamo in vena di generalizzazioni, non abbiamo alcuna intenzione di perdere gli
oggetti con cui siamo familiari, cioè le funzioni nel senso usuale del termine, in particolare
quelle continue a cui, confessiamolo senza pudori, siamo ben affezionati. Perciò, data un insieme Ω ⊆ Rd aperto ed una funzione f : Ω → R, continua in tutto Ω, coerentemente con
quanto visto in precedenza, analizziamo le proprietà dell’espressione
Z
(4)
h f, φi :=
f (x) φ(x) dx
Ω
dove φ indica una funzione con proprietà da precisare e da interpretare come una scelta di test
ammissibile.
Occorre prima di tutto garantire che l’integrale (esteso ad un insieme illimitato) sia ben
definito. Con questo obiettivo, introduciamo la definizione seguente.
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Definizione 0.1. Data una funzione continua φ : Ω ⊆ R → R si chiama supporto di φ
l’insieme, indicato con supp φ,
{x ∈ Ω : φ(x) , 0}
dove A indica la chiusura dell’insieme A (nella usuale topologia di Ω). Una funzione con
supporto limitato si chiama funzione a supporto compatto. L’insieme delle funzioni continue
a supporto compatto si indica con C0 (Ω).
Per garantire che l’espressione a secondo membro in (4) sia ben definita, richiediamo che la
funzione test φ sia una funzione continua a supporto compatto. Tra poco, imporremo qualche
ulteriore restrizione sulla regolarità della funzione test; per ora, per evitare inutili smarrimenti,
consideriamo il caso φ ∈ C0 (Ω).
La definizione (4) gode di due proprietà significative:
Linearità. per ogni α, β ∈ R e di φ, ψ ∈ C0 (Ω), vale
h f, α φ + β ψi = αh f, φi + βh f, ψi;
Continuità. se φn è una successione di funzioni in C0 (Ω) convergente uniformemente ad una
funzione φ e tale che esista un compatto K ⊂ Ω che contiene tutti i supporti delle funzioni φn ,
allora
lim h f, φn i = lim h f, lim φn i.
n→∞
n→∞
n→∞
La dimostrazione della prima proprietà è evidente; la seconda è conseguenza della stima
!
Z
Z
| f (x)| |φn (x) − φ(x)| dx ≤
| f (x)| dx sup |φn − φ|
|h f, φn i − h f, φi| ≤
K
Ω
K
In effetti, in maniera del tutto analoga, si mostra che
|h f, φi| ≤ MK sup |φ|
Ω
Z
dove
| f (x)| dx.
MK :=
K
per ogni funzione φ ∈ C0 (Ω) con supporto contenuto nel compatto K ⊂ Ω.
La richiesta dell’esistenza di un compatto K che contenga tutti i supporti delle funzioni φn
potrebbe sembrare fuori luogo. Per sgomberare dalle mente dubbi di questo genere, pensiamo
all’esempio seguente.
R
Esempio 0.2. Data ψ ∈ C0 (R) con supporto dato dall’intervallo [−1, 1] e tale che R ψ(x) dx = 1,
consideriamo la successione di funzioni
1 x
.
φn (x) := ψ
n n
che converge uniformemente a zero. Scelta f la funzione identicamente pari ad 1, si ha
Z
Z Z
1
x
ψ (y) dy = 1
h f, φn i :=
f (x) φn (x) dx =
ψ
. dx =
n R n
R
R
6
per ogni n ∈ N. Quindi, nonostante la successione φn tenda alla funzione nulla, la successione
h f, φn i non tende a h f, 0i = 0. Eliminare la richiesta relativa ai supporti della successione {φn }
vorrebbe dire accettare che le funzioni costanti non sono continue.
Ad ogni funzione continua è possibile associare un funzionale lineare utilizzando la regola
(4). Sorge spontanea la domanda: tale mappa è iniettiva?
Esercizio. Siano f e g due funzioni continue da R in R tali che
Z
Z
f (x) φ(x) dx =
g(x) φ(x) dx
R
R
per ogni φ ∈ C0 (R). Dimostrare che f (x) = g(x) per ogni x.
In definitiva, quindi, una funzione continua è individuata univocamente a partire dai valori di
uscita del funzionale associato. In altre parole, è possibile identificare una funzione continua
con il corrispondente funzionale.
Oltre a quelle descritte dalla definizione (4), esistono anche altre funzioni definite su C0 (Ω) a
valori in R. Ad esempio, fissato x0 ∈ Ω, consideriamo l’applicazione δ x0 definita da
hδ x0 , φi := φ(0).
La funzione δ x0 è lineare: infatti,
hδ x0 , αφ + βψi = αφ(0) + βψ(0) = αhδ x0 , φi + βhδ x0 , ψi.
Inoltre, la funzione δ x0 è continua, dato che vale la stima
hδ , φi = |φ(0)i| ≤ sup |φ|.
x0
x∈Ω
Utilizzando le proprietà di linearità e continuità è quindi possibile introdurre un concetto che
permette di generalizzare, in un certo senso, il concetto di funzione, dato che, all’interno di
questa nuova categoria che andremo a considerare, sono contenute, in maniera naturale, quanto
meno le funzioni continue (ma anche ben di più di queste) ed, in aggiunta, altri elementi che
non sono funzioni in senso classico. Tali oggetti vengono chiamati distribuzioni.
Bibliografia
[1] Halperin, I.; “Introduction to the theory of distributions. Based on the lectures given by Laurent Schwartz.”
University of Toronto Press, Toronto, 1952.
[2] Hörmander, L.; “The analysis of linear partial differential operators. I. Distribution theory and Fourier analysis.”, Reprint of the second (1990) edition. Classics in Mathematics. Springer-Verlag, Berlin, 2003.
[3] Richards, I.; Youn, H.; “Theory of distributions. A nontechnical introduction.” Cambridge University Press,
Cambridge, 1990.
[4] Schwartz, L.; “Mathematics for the physical sciences.” Hermann, Paris; Addison-Wesley Publishing Co.,
Reading, Mass.-London-Don Mills, Ont. 1966.
[5] Schwartz, L.; “Théorie des distributions.” (French) Publications de l’Institut de Mathématique de l’Université
de Strasbourg, No. IX-X. Nouvelle édition, entiérement corrigée, refondue et augmentée. Hermann, Paris
1966.
[6] Strichartz, R.S.; “A guide to distribution theory and Fourier transforms” Reprint of the 1994 original [CRC,
Boca Raton; MR1276724 (95f:42001)]. World Scientific Publishing Co., Inc., River Edge, NJ, 2003.