articolo adista NP e scout

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articolo adista NP e scout
Adista 15
20 APRILE 2013 - Anno XLVII - Suppl. al n. 6180
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Adista
15
Notizie, documenti, rassegne, dossier su mondo cattolico e realtà religiose
20 APRILE 2013
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Primo piano
PIPPI CONTRO BARBIE, E LE LIBERAZIONI
re ragazze, fondatrici di un’associazione ambientalista, organizzano
e fanno da relatrici a un evento
pubblico per sindaci della loro area.
Come si conciano quel giorno? Con lo
stampino: tutte e tre gonna corta su
calze spesse e stivaletti con tacco, maglia aderente, occhi guance bocca truccatissimi, capelli di parrucchiere.
Genere mannequin.
Una loro conoscente, cresciuta non a
Barbie ma a Pippi Calzelunghe, Jo di
Piccole donne, Violetta la timida di
Giana Anguissola e rami di alberi
(quanto è importante l’infanzia) le interpella un po’ ironicamente. Piccate rispondono: “La forma
ispira professionalità”.
Ah sì? Le gabbie da aprire, magari in occasione del 25 aprile
Festa della Liberazione, sono tante. Alcune ce le autoimponiamo. Ad esempio l’eccesso di forma. Al di là di un minimo
che si chiama decenza, diventa appunto un’autocostrizione.
L’Italia ne soffre in grado estremo – del resto, non siamo sempre in testa alle classifiche dell’export di “alta moda”? – e mai
un governo italiano seguirebbe il provvedimento estivo varato
anni fa dal governo giapponese: stop alle cravatte e maniche
corte negli uffici, così da poter tenere l’aria condizionata a gradi
meno polari e risparmiare energia. Un’amica è contenta di tornare a lavorare a Cuba per poter “ciabattare”.
Altra gabbia. Un ragazzo fuma, un pacchetto al giorno. Suo
padre gli ha addirittura messo in stanza una foto di un polmone sano e di uno di fumatore ultimo stadio, ma niente. Pensiamo sempre che non toccherà a noi. Vale per ogni genere di
Anno XLVII
Suppl. al n. 6180
abitudine malsana, anche per i troppi
caffè o la cioccolata (per non dire dei
narcotici o dell’alcol che intaccano
anche la salute mentale). La gabbia è
la dipendenza fisica, ad esempio da nicotina e caffeina, che si risolve in pochi
giorni, ma soprattutto quella psicologica, più difficile da vincere.
Possiamo prendere un giorno, simbolico, come il 25 aprile, per iniziare la liberazione. Sarà presto fatto. Secondo
Pitagora o chi per esso: “Scegliamo
buone pratiche, l’abitudine ce le renderà
piacevoli”. Un aiuto è il libro, che parla
di sigarette ma vale per molto altro. È
facile smettere di fumare se si sa come fare, di A. Carr. Da usare
e regalare, per altrui liberazioni.
Una volta, tantissimi anni fa, sul Reader’s Digest un consiglio
suonava così: “Il signor pincopallino, pensando che il croissant
la mattina non solo contribuiva a farlo ingrassare ma gli costava
anche, pensò di rinunciarvi, con ottimo giovamento fisico e risparmio di denaro”. Sostituiamo la parola croissant con qualche altra dipendenza che ci fa male e ci costa, e avremo una
piccola ricetta di liberazione, utile in tempi di crisi. C’è chi si è
liberato dell’automobile e risparmia almeno mille euro all’anno.
Certo, conviene avere consolazioni e piaceri alternativi. Magari
semplici e gratuiti. Ce ne sono tantissimi.
Una mèta di liberazione? “Ho bisogno di poco e, del poco di cui
ho bisogno, ho bisogno poco”, è una bella indicazione, da parte
di una scrittrice spagnola. Non la citiamo perché spesso vale
la regola del predicare bene razzolando altrimenti (magari
senza rendersene conto). l
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PRIGIONIERI
DELLA CONFUSIONE
Giancarla Codrignani*
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ABORTO.
ANALISI DI UNA SCELTA
Intervista a Chiara Lalli
S
aremo mica qui a giocare a
palla prigioniera o palla avvelenata? Al contrario dei giochi
da cortile, qui non si capisce più
niente: un partito che ha vinto le
elezioni sembra prigioniero di chi ha
perso. Bersani è tallonato dalla
fronda di un correttissimo Renzi, il
quale non viene nominato elettore
regionale del nuovo Presidente. Napolitano, il gentiluomo che chiama
ministra con la desinenza in -a una
donna di governo, nomina dieci
saggi, ma non gli viene in mente di
aver bisogno di saggezza femminile.
Sempre Napolitano, che ha usato
fino alla tensione estrema gli elastici
costituzionali, suggerisce "larghe intese" con l'innominabile e prende a
paragone il 1976 quando si trattava
non di patteggiare il governo con un
inquisito ormai inaccettabile, ma di
astenersi o votare per un progetto di
democrazia allargata.
(continua a pag. 5)
Legge 194
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Celibato obbligatorio
IL MARITO, IL PADRE
E IL PRETE CHE VIVE IN ME
Giuseppe Morotti
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Nuova Proposta e Agesci
OMOSESSUALITÀ/SCOUTISMO:
UN PERCORSO POSSIBILE
Luca Kocci
Carmelina Chiara Canta DONNE E CHIESA. POPOLO DI DIO, GENERE FEMMINILE pag. 4 • Sergio
Paronetto DON TONINO BELLO. UN’EREDITÀ CHE VIENE DAL FUTURO pag. 6 • Marina Boscaino
FUORICLASSE. LA COSTITUZIONE IN CLASSE pag. 11 • Cristina Mattiello L’IMMIGRAZIONE
RIFIUTATA. QUANTO È “STRANO” IL VOTO DEI ROM? pag. 13 • Mario Bandera TESTIMONI DEL
XX SECOLO. PIERLUIGI MURGIONI, UN “SOVVERSIVO” DEL VANGELO pag. 14 • Marinella
Correggia IL DIRE E IL FARE. PIPPI CONTRO BARBIE, E LE LIBERAZIONI pag. 16
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INCONTRI
Nuova Proposta e Agesci
Omosessualità e scoutismo:
un percorso possibile
LUCA KOCCI
U
na persona omosessuale
può fare lo scout? E può
essere un capo scout, educatore quindi di bambini e adolescenti? A partire da queste domande
si è sviluppato il dialogo fra alcuni capi scout cattolici dell’Agesci e gli
omosessuali credenti di Nuova Proposta, in un incontro organizzato a
Roma, lo scorso 27 marzo, nella
Chiesa valdese di piazza Cavour.
Un incontro, spiega Andrea Rubera, presidente di Nuova Proposta,
nato anche in seguito al seminario
promosso nel novembre 2011 da
Proposta educativa, la rivista dell’Agesci sul tema “Omosessualità: nodi da sciogliere nelle comunità capi.
L’educazione fra orientamento sessuale e identità di genere” (v. Adista
Notizie n. 19/12). «Le posizioni
espresse in quel contesto – aggiunge – ci avevano colpito per la loro
durezza e chiusura. Poi abbiamo
capito che non erano, e non sono, le
posizioni dell’Agesci, ma solo di
quei relatori. Per cui abbiamo pensato di avviare un dialogo con gli
scout, di cui questo incontro può essere l’inizio, o anche la fine».
All’estero, soprattutto nel mondo
anglosassone, l’argomento è molto
dibattuto. Negli Stati Uniti i Boy
Scouts of America escludono i gay
dichiarati dai loro gruppi (v. Adista
Notizie n. 29/12). In Gran Bretagna,
invece, i documenti ufficiali degli
scout spalancano le porte ai gay
(«va bene essere gay e scout», «va bene essere gay e capi scout», si legge),
invitano i capi ad assumere un atteggiamento di «empatia e sensibilità»
nei confronti delle ragazze e dei ragazzi che manifestano la loro omosessualità ed incoraggiano gli adole-
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scenti a vivere con serenità e libertà
il loro orientamento. In Italia, invece, se ne parla poco o niente, ma il
tema è sensibile. «Ci sembra che si rischi di passare sotto silenzio un nodo importante», ovvero «quello
delle ragazze e dei ragazzi che,
mentre crescono in gruppi parrocchiali o scout, non sanno dare un
nome ai sentimenti che iniziano a
provare e non sempre trovano accoglienza nelle loro comunità», si
legge nella lettera di invito di Nuova Proposta all’Agesci. «Parliamo
quindi di giovani che, nel periodo
adolescenziale e frequentando la
comunità scout, si trovano ad affrontare con paura e solitudine
estrema la scoperta di essere omosessuali e perciò diversi dalla maggior
parte dei loro compagni. La nostra
esperienza, anche personale, ci ha in-
Adista
segnato che i gruppi Agesci sono
sempre stati un'eccezionale palestra di cittadinanza attiva, di rispetto per i percorsi e le scelte di
ognuno, di accoglienza sincera e
consapevole di ragazze e ragazzi
considerati “diversi” per origine e
nazionalità, per contesto familiare, per handicap fisico o mentale e,
immaginiamo, per orientamento
sessuale. Sappiamo, però, per il
nostro vissuto, che “accoglienza”
non è solo “accompagnare in silenzio”, ma anche e soprattutto
dare “nome e cittadinanza” a ogni
•
«“Accoglienza” significa
dare cittadinanza a ogni
condizione umana
affinché chi vive quella
condizione, possa
sentirsi realmente
a casa propria e non
“ospite tollerato”»
•
condizione umana per far sì che
chi si trovi a vivere quella condizione, possa sentirsi realmente a casa
propria e non “ospite tollerato”».
20 APRILE 2013 • N. 15
«Negli scout l’accoglienza è indiscriminata e verso tutti, quindi non
serve aggiornare il Patto associativo
e magari scrivere che bisogna accogliere anche i gay», dice un capo di
un gruppo scout romano. Ma non
sempre è così: «Non sono tornata
nel mio gruppo scout dopo essermi
scoperta omosessuale perché sapevo
che avrei dovuto nascondermi, ma io
non volevo mentire sul mio orientamento sessuale», replica una aderente a Nuova Proposta. «Perché
infatti la questione non può essere limitata al non cacciare, si tratta invece di creare un contesto pienamente
inclusivo, in cui è possibile manifestare in piena e totale libertà e serenità il proprio orientamento affettivo», aggiungono ancora da Nuova
Proposta. «Ma il problema non è
nei documenti o nella struttura,
bensì nelle singole persone: alcune
hanno la capacità di accogliere pienamente tutti e tutte, altre no», interviene un altro capo scout, a cui replica subito una sua compagna: «L’Agesci su queste tematiche è troppo pavida e troppo silente, l’omosessualità rimane un argomento tabù, perché
è un argomento tabù per la Chiesa
cattolica. Intanto però le persone ci
sono, vivono e soffrono».
Potrebbe aiutare la singolare
esperienza – per quanto informale e
non ufficiale – di un gruppo scout
torinese, che si è denominato Coming
scout (il coming out è l’espressione
usata per indicare la decisione di
dichiarare apertamente il proprio
orientamento sessuale o la propria
identità di genere), nato proprio
per aprire un dialogo, all’interno
dell’Agesci, sulle tematiche dell’omosessualità. «Facciamo Coming
scout anche a Roma», propone un capo scout, «poi magari ne nascerà
uno anche in Campania, poi in Toscana e poi nel resto d’Italia, e così,
dal basso, si potrà cercare di provocare cambiamenti anche nei livelli dirigenti nazionali dell’Agesci».
L’incontro si conclude, capi
scout e omosessuali credenti si salutano, ma l’impressione è che un
percorso sia stato avviato. l
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Adista
fuori classe
rubrica a cura di Marina Boscaino
LA COSTITUZIONE IN CLASSE
Ho trascorso un’ora nella mia
classe, un IV anno di liceo classico, a leggere il discorso di insediamento di Laura Boldrini nella
funzione di presidente della Camera dei Deputati. Non perché
donna; non perché esponente di
Sel. Ma perché quel discorso
contiene degli elementi di novità
e indirizzi insperatamente originali rispetto alle strade che siamo
(sono, soprattutto, i ragazzi)
abituati a praticare.
Come facciamo di solito, abbiamo ricordato i passaggi che
precedono, all’inizio di una legislatura, la nomina dei presidenti
delle Camere. Abbiamo, cioè,
fatto un po’ di quell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” che, nonostante insegni
Italiano e Latino, mi sembra
ora più che mai un’urgenza democratica. Pensate quanto sia
raro, per ragazzi dell’età dei
miei studenti, diciassettenni e diciottenni, provare un sentimento di appartenenza, di identità
che non transiti attraverso
qualche prestazione sportiva,
il made in Italy nel design o nell’abbigliamento; o i successi
internazionali di Laura Pausini. E
ho detto tutto.
Qualche giorno fa, invece, si è
presentata la possibilità (inedita,
impraticata e impraticabile da
anni) di fargli leggere parole
che – rievocando intenzionalmente tutti i temi che uno Stato
non può dimenticare e principi
che la nostra Costituzione garantisce – potessero farli riflettere sul senso di essere cittadini.
Sul senso che le istituzioni possono avere in un Paese che
non le dia per scontate, continui
a interrogarle con rispetto, ricevendo risposte altrettanto rispettose. Sul significato di un orgoglio identitario che le istituzioni di un Paese possono suscitare, soprattutto nel recupero
della dimensione storica che le
ha garantite, quando esse siano
interpretate e trattate dalle
donne e dagli uomini che le incarnano con la consapevolezza
assoluta di una funzione che è
servizio disinteressato al Paese stesso: l’altezza del compito,
la dignità e l’adeguatezza nell’assolverlo, il rispetto per il luogo – con il suo portato di Storia,
ma anche con il sacrificio di
quanti si sono immolati perché
quel luogo potesse diventare
espressione della democrazia
– sono qualcosa che non fa in alcun modo parte dell’immaginario
di questi ragazzi.
La presidente della Camera ha
portato in quell’aula temi e un approccio a quei temi del tutto inconsueti. Gli ultimi, soprattutto. Che per pochi minuti sono diventati inattesi protagonisti: i
poveri; la sofferenza sociale; le
donne uccise dagli uomini; chi ha
perduto lavoro e dignità; i detenuti; le vittime della crisi; le migliaia di senza nome che sono
morti nel Mediterraneo, cercando nel nostro Paese “la terra
promessa”. Infine: «In Parlamento sono stati scritti dei diritti costruiti fuori da qui e che
hanno liberato l'Italia e gli italiani dal fascismo. Ricordiamo il
sacrificio di chi è morto per le istituzioni e dei morti per la mafia». Stiamo facendo davvero di
tutto perché la Costituzione e i
principi che essa incarna siano
preservati dall’usura di questo
tempo (triste) che scorre e dall’incuria degli esseri umani? È una
domanda che un docente non
dovrebbe mai dimenticare. l
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