64 Slices of American Cheese Abe Vigoda Airportman Allroh
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64 Slices of American Cheese Abe Vigoda Airportman Allroh
WAVES POST-JAZZROCK ORCHESTRA 64 Slices of American Cheese s/t • CD BluScuro • 12t-47:42 Tra tanti accessori per pareggiare i tavoli, nelle buste sorpresa contenenti i nuovi dischi e cdr italiani oltre che nel surfing tra i profili, per fortuna non è ancora impossibile incespicare nello smash, pulce nell’orecchio istillata sovente da qualche particolare esterno in bella vista. Nome improbabile, confezione ricercatamente povera (l’occhio e il tatto reclamano la loro parte, di questi tempi grami), aneddotica da sbarco come guscio a un concept di pregnante speziatura: 64 Slices of American Cheese vengono da Cheesena, Italian entroterra, e stravolgono le gerarchie stagionali ben prima del millesimo ascolto della loro opera. I sei romagnoli sciolgono le briglie ai cavalli verso l’esplorazione di lande sconfinate, che pare di stare seduti dal barbiere Hernandez a leggere l’Intrepido: la Republique du Sauvage di Fare circospetto e Il Caga, con la prima che concede due spiccioli di sberleffo al jingle della lambada, e la seconda che nel magistrale minuto finale si trasforma in una Walkiria postatomica; analogo castone per l’annuncio di Baker Street entro Forse in amore le rose, bossa come la suonerebbero i Broadcast se non avessero l’elettronica. Prevale l’epica di Sergio Leone in I fagioli comunque, erano uno schifo! che diventa dramma sonico, prima della Sierra Calexica (Hey tu, elegantone…) e delle pagine riservate a un Gino Paoli anglofono, accompagnato al pianobar della Rotonda di Senigallia da un’orchestra dopata nel sax di Paolo Gradari per una Sapore di pelo che va, come dire, per i fatti suoi. Maigret e la sua colonna sonora bussano alla porta di Testa di pennuto, dalla cadenza Banda Ionica a fuggire nella coda acida del funerale, con le spazzole pronunciate di Mays che danno i tempi dell’inseguimento del gringo. E ancora Papetti immerso nel gorgo dei Mogwai, risalendo al bivio tra matematica e psichedelia di Tutto muscoli, niente cervello, ad anticipare una ghost track ove Bacharach compone per un combo art rock dal basso pronunciato nei calcoli, con la tastiera e le trombe che si divertono ad adulterare canovacci da party alberghiero. Senza fiato, senza bronco: un lavoro totale dal fascino catarifrangente cui è fatto divieto di restare insensibili. Ci vediamo a gennaio 2009 nelle nostre chart. (8) Enrico Veronese ART WAVE Abe Vigoda Skeleton • CD PostPresentMedium • 14t-32:21 Potremmo dire che internet ha contribuito ad una liberatoria devalutazione della musica e che di conseguenza, almeno in contesto underground, prendere in mano uno strumento, andare in tour ed appartenere a quel che è rima- sto della scena DIY è oggi molto più importante dell’oggetto musicale in sé. Questo allontanamento da obsoleti concetti di autorialità, oggi più che mai ancorati a disperate regole di mercato, ha sempre caratterizzato la scena di Los Angeles che gravita intorno allo Smell, a suo modo libera di crescere lontana dagli occhi indiscreti di una cultura sempre più isterica ed autoreferenziale. Maturati senza alcuna pressione in un’incubatrice artistica svincolata dalle regole dell’indie moderno, gli Abe Vigoda possono reclamare un suono che folgora proprio grazie a quell’ingenuità post punk che li distinse sin dai primi esperimenti in cassetta. In “Skeleton”, Blondie e Psychedelic Furs vanno in vacanza in Messico passando per gli uffici Gravity di San Diego: quello che ne viene fuori è una saltellante e commovente dichiarazione art punk sempre a metà tra new wave, no wave, festa di paese in sombrero artsy e permissivismo noise tutt’altro che serioso. Quattordici tracce che rievocano i colori accesi di un mondo latino forse completamente immaginario, concepito tra le mura liberatrici che ancora oggi ospitano gli esperimenti di Mika Miko e No Age. Stranamente, mi sembra doveroso coronare gli Abe Vigoda in quanto gruppo genuinamente pop. Oggigiorno, di dischi altrettanto onesti, sanguigni e trascinanti è difficile trovarne. (8) Davide Gualandi AVANT ROCK / DRONES Airportman Letters • CD Lizard / Open Mind • 9t-46:27 Prosegue il cammino di Giovanni Risso, Marco Lamberti e Paolo Bergese. Il nuovo capitolo del loro viaggio immobile, di questo guardare alle piste deserte di aeroporti, ci sembra il più nudo e retorico. Non ti nascondo che non è facile, ogni mattina, riprendere il cammino “trascinarmi fino a domani” come dicevamo nelle nostre canzoni, eppure è un viaggio obbligato, senza sosta. Tracce senza titolo, con un peso specifico sonoro maggiore che in passato. E’ sempre quel soundtrack dell’anima, quel folk per operatori di torri di controllo abbandonate. Melodie drogate di drones a base di armonium e fisarmonica (trk#4), ammalianti limpidezze che girano in tondo su accordi di pianoforte e chitarra (trk #5). C’è, altrove mai intravisto, uno scenario vasto, disegnato dal pianoforte, dove si gioca la sfida con i fantasmi del passato, una chitarra fuzz lontana ed un riverbero che avvolge tutto per un western esistenziale ben oltre Dust (Trk#6). E sempre quei finissimi rumori parassiti in background, biascicare non si sa bene di cosa, carrucole, frequenze, respiro assistito, velature di suoni. Restano pure le cicatrici/matrici di certe fonti di ispirazione, come i Calexico (Trk#7). Ma sono diventate bellissime, incarnite profondamente nell’epidermide bruciata di Airportman. Oramai suonano una musica inconfondibile che intossica inesorabilmente, tra iterazioni pre-ipnotiche, vociare da dormiveglia, processi di desertificazione noise-sinfonici (Trk#9 ) e, per usare un’immagine latamente a la Bataille, dilatano l’occhio pineale. (7/8) Dionisio Capuano SONGWRITER Allroh Nym • CD Graumann/Trost [www.trost.at] • 4t26:30 Allroh è il nome d’arte della tedesca Anne Rolfs, una decina d’anni or sono cantante degli innocui folk-poppers Wuhling e oggi in completa solitudine con la sua chitarra, ora elettrica a sfuriare come una PJ Harvey elegiaca (Ade), ora acustica a disegnare quadretti di folk vagamente ispirato dal Giappone (In Rostock). Non sarebbe malaccio ma la voce resta quella che ricordavo, insopportabilmente isterica quando vorrebbe essere istrionica. (5/6) Stefano I. Bianchi AMBIENT INDUSTRIALE Anakrid Banishment Rituals Of The Disenlightened • CD Beta-lactam Ring [www.blrrecords.com] • 12t40:15 Dopo oltre dieci anni di pubblicazioni minori e in cd-r Chris Bickel, leader degli Anakrid con un passato hardcore punk alle spalle, si è deciso a fare il grande passo del CD ‘ufficiale’ con una bella raccolta di ambient-industrial mefistofelica e sibilante. Come sentire un disco di Lustmord e dei Throbbing Gristle mescolati insieme; a tratti emergono percussioni che sembrano accennare a un ritmo ‘rock’ ma si sfasciano rapidamente tra gorgoglii sinistri ed effetti catacombali, scrosci di lamiere distorte e sommesse variazioni dub. Veramente una bella cosa, anche se talvolta l’insieme appare un po’ disordinato e sottilmente gratuito. (7) Stefano I. Bianchi FRACTURED AVANT ROCK Aufgehoben Khora • CD Holy Mountain [www.holymountain.com / www.aufgehoben.org] • 4t-45:14 I Throbbing Gristle di “The Second Annual Report” o “D.O.A.”? Pop barocco. “Metal Machine Music” di Lou Reed? Soffice ambient. I Borbetomagus? Un’orchestrina swing. Merzbow? Delicata musica da meditazione. I Sightings? Musica da camera. Gli Aufgehoben sono la cosa più mostruosa accaduta al rock da eoni a questa parte. La loro è una musica scientificamente programmata per annichilire e distruggere; nulla è lasciato al caso e nulla, assolutamente nulla, è mai gratuito. Non è vio- lenza cieca e ottusa, non è missione suicida e terminale, non è affatto una coltre di rumore bianco che annebbia la vista. È arte della distruzione programmata con scientificità seriale, è musica suonata da strumentisti d’inappuntabile maestria e virtuosismo che non hanno alcuna intenzione di fare ‘noise’ ma “fractured avant rock” e se un parallelo si dovesse fare, in termini d’impatto, è con i Naked City di “Torture Garden”. Ascoltate senza perdervi d’animo: l’universo popolato dagli Aufgehoben è quello di detriti metallici accatastati nella cloaca di “I Robot” (Annex Organon), quello di This Heat iperamplificati, iperdistorti e perduti nel foehn più violento (A Bastard Reasoning), quello di un’improvvisata radicale che recupera la virulenza del rock per farne polpette (Ignorance Oblivion Contempt, la fluviale Jederfürsich, un pezzo destinato a restare un punto fermo del rock estremo). Tutto si compie con due batterie (Stephen Robinson e Phil Goodland), elettronica (David Panos) e chitarra (Gary Smith) più editing e processing. “Gli Aufgehoben, come sempre, non si assumono responsabilità per la vostra salute, per i vostri hardware e gli altri aspetti sensibili, che siano fisici, mentali o morali”. La musica più cattiva del mondo. (8) Stefano I. Bianchi OUT ELETTRONICA Blevin Blectum Gular Flutter • CD Aagoo Records [www.aagoo.com] • 10t-50:15 Delle due signorine che dettero vita all’esperienza Blectum From Blechdom, Kevin Blechdom era la mente pop mentre Blevin Blectum quella da ‘terrorista elettronica’. E’ vero che da separate nessuna delle due ha prodotto materiali così convincenti come riuscivano insieme, ma dopo diversi anni di assenza Blevin rientra nei giochi facendo tutto quanto da sola e il risultato è inaspettatamente buono: elettronica molto ‘out rock’ che gioca con la storia recuperando i suoni analogici dei primi elaboratori di computer music (Fayer Fire, Mine) con ambizioni quasi compositive (Tightly, la percussiva Cygnet, la cabarettistica Flower Fade Fast) ma con l’idea fissa della facile fruibilità e un’intenzione sempre delicatamente ironica, rivelando al termine una sostanza molto affine a quella dei Matmos (non a caso è Drew Daniel a magnificare le doti dell’album nella press sheet dell’etichetta). “Gular Flutter” è quindi un disco molto complesso e pieno di trabocchetti piazzati in bella mostra per farci immaginare che sia tutto solo un gioco, ma non è: dietro le tendine frivole e frizzanti di EmptyBottleStar c’è una minuziosa e quasi algebrica ricerca sul ritmo (gli effetti dub che si contrappongono all’imperturbabilità del frenetico groove e agli arrangiamenti intorno), nel background di Squeezed sentiamo tutta l’ansia libera- BLOUU UP. • 73