Sito: ww.altrofilm.it Anno: 2005 Durata: 105

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Hans
Sito: ww.altrofilm.it
Anno: 2005
Durata: 105
Origine: ITALIA
Genere: DRAMMATICO, PSICOLOGICO
Produzione: ALTRO FILM
Distribuzione: L'ALTROFILM (2006)
Data uscita: 27-01-2006
Vietato: 14
Regia: Louis Nero
Attori:
Daniele Savoca
Hans Schabe
Simona Nasi Rita Fox
Franco Nero Barbone/Giudice
Silvano Agosti
Barbone
Caterina De Regibus Infermiera
Eugenio Allegri
Malato
Sceneggiatura: Louis Nero, Adriano Cavallo
Fotografia: Louis Nero
Musiche: Tiziano Lamberti
Montaggio: Louis Nero
Trama:
Hans è un soggetto disturbato fin dalla giovane età, a causa di una predisposizione ereditaria e dei
comportamenti psicotici dei genitori. Con gli anni la paranoia di Hans evolve in una fobia verso i
rifiuti e la loro inarrestabile crescita, fino alla conclusione che il mondo li sta accumulando per
farglieli, appena possibile, ingurgitare tutti. Il passaggio successivo è quello di individuare nella
massiccia presenza di cittadini di colore la causa dell'enorme mole di rifiuti: i neri lo vogliono
uccidere, facendogli ingoiare tutta la spazzatura prodotta. Dopo un certo periodo in cui la fobia
sembra attenuarsi, ecco che un giorno Hans vede in un vicolo una coppia di colore che fa l'amore.
La assale e violenta la donna. Arrestato, subisce un processo, al termine del quale viene condannato
e rinchiuso in manicomio. Quando una infermiera di colore entra nella sua cella per portargli da
mangiare, Hans abusa di lei fino ad ucciderla. Quindi si avvicina allo specchio e vi vede riflessa la
propria immagine con il volto di una persona di colore.
Critica:
'Hans', diretto da Louis Nero, completa la sua trilogia sul linguaggio cinematografico. Dopo
'Golem', in cui analizzava l'uso del montaggio, e 'Pianosequenza', girato in presa diretta annullando
il montaggio, questo film rappresenta l'unione delle due forme di linguaggio esplorate. Louis Nero è
cresciuto e qui esplora l'inquadratura emozionale: per scuotere i sentimenti degli spettatori, usa la
macchina da presa assai più della sceneggiatura. Nessuna terza persona che racconta, nessun occhio
esterno che interpreta: ci sono solo Hans e le sue visioni in stato di allucinazione. Certo, non si tratta
di una commedia leggera. Ma è un film sull'inconscio che tiene, vira verso il thriller e strizza
l'occhio al mondo dell'occulto. (Roberta Bottari, 'Il Messaggero', 27 gennaio 2006)
Louis Nero, torinese, trentenne, già autore di Pianosequenza realizzato appunto in un unico piano
sequenza e visto alla Mostra del Cinema di Venezia, per i ruoli minori del secondo film Hans usa
Silvano Agosti (un barbone) e Franco Nero, che recita sia un barbone sia un giudice. Ha affrontato
uno dei temi più difficili al cinema: la schizofrenia, il disturbo mentale, la paranoia, facendone
anche una metafora del razzismo quotidiano verso le persone di colore, guardando «il razzismo
dalla parte del razzista» con stile evocativo ed eloquente del tutto personale. Se il regista deve
mettere in scena due scienziati essenziali (Freud, Jung), li fa interpretare da ragazzi down; se deve
dare un cognome al suo protagonista (indicato di solito con il solo nome, com’è d’uso per i casi
celebri di malattia) lo chiama Schabe, che in tedesco significa blatta, scarafaggio. Il film analizza la
malattia di Hans dall’infanzia; ma è nell’età adulta che si sviluppa in lui una fobia verso i rifiuti in
crescente quantità (li accumuleranno per farli inghiottire a lui?) e nell’associare quei rifiuti alle
persone di colore. Il suo odio si condensa su questi ultimi, lo porta alla violenza carnale e
all’assassinio, al carcere, al tribunale, al manicomio; il giorno in cui Hans, guardandosi allo
specchio, si vede come una persona di colore, il cerchio si chiude.
Film inconsueto, non sempre semplice da comprendere, a suo modo affascinante, introduce
un’ottica diversa, un modo nuovo di affrontare anche i problemi sociali: svolge quindi la funzione
che dovrebbe essere tipica del cinema giovane.(Lietta Tornabuoni - La Stampa, 17 febbraio 2006)
Louis Nero, da quando fa cinema, sia con i corti, con i lungometraggi, ha sempre dimostrato di voler
seguire le vie ardue della sperimentazione. Lo si è visto di recente anche in Piano sequenza in cui si
è ingegnato a svolgere una vicenda piuttosto complessa e fitta di personaggi valendosi di un unico
piano sequenza, quella tecnica che consente di dipanare l’azione con immagini lasciate fluire, anche
in ambienti diversi, senza interruzioni. Oggi, se possibile, affronta strade anche più ostiche perché si
impone di raccontare la storia di uno schizofrenico, l’Hans del titolo, non dall’esterno, ma
dall’interno stesso del personaggio; alla luce di tutto quello che gli fa sentire o immaginare la sua
malattia. Così, dopo un preambolo che potrebbe indicare in un trauma infantile le origini del
disturbo di Hans e una sua presentazione nell’ambito di una società che si occupa dello smaltimento
dei rifiuti, si dà spazio, fino alla fine, alle fobie che di continuo lo assalgono: la prima, appunto, i
rifiuti da cui non solo si sente soffocato ma con la convinzione di essere costretto a cibarsene da
nemici misteriosi tutti di colore (li chiama «negri») a causa dei quali, seconda fobia, si farà invadere
da sentimenti così violentemente razzisti da commettere gesti inconsulti. E li commetterà, ai danni
di una infermiera di colore, anche quando finirà in un manicomio dove continuerà a dire di non
essere pazzo. Tutto, appunto, sentito e espresso dal protagonista. Gli incubi, le fantasticherie, i
soprassalti d’odio. Con un itinerario che via via lo sprofonda nel nero e nel vuoto, senza possibilità
di sottrarvisi. Un’impresa indubbiamente non facile, anche perché la rappresentazione, pur partendo
dalla visione soggettiva di Hans, non riesce sempre a tenersi in quella cifra, allargandosi anche a
situazioni laterali difficilmente riconducibili a una vera e propria unità di rappresentazione. Si sente,
di sfondo, anche un certo teatro dell’assurdo e l’apparizione, a un certo momento, di Freud e di Jung
induce a vedervi anche dei riferimenti medici alle turbe psichiche, ma non è agevole considerare
l’insieme alla luce di una vera logica drammaturgica: per quel tanto di insoluto e di approssimativo
che lo sperimentalismo non basta a giustificare. Nei panni di Hans c’è Daniele Savoca, già
protagonista di Piano sequenza, qui sempre con una maschera contratta: per dirci della pazzia che lo
stravolge. (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 10 febbraio 2006)
Cronaca di una paranoia raccontata in diretta dal giovane Luis Nero che passa il testimone dalla
follia al razzismo. Lo schizofrenico Schabe (scarafaggio in tedesco, la metafora di Kafka è
compiuta), di cui seguiamo l' iter patologico dalla nascita diabolica (lo curano Freud e Jung, due
ragazzi down) alla patologia del rifiuto morale e materiale: intolerance. L' escalation della violenza:
omicidio, condanna, manicomio, giudici nell' ombra: quando allo specchio vedrà una persona di
colore il cerchio si chiude. Il film è di bella coerenza stilistica espressionista, fascinoso. Non sempre
riesce, ma spesso il contagioso disagio contemporaneo è molto ben reso in forma onirica e di
incubo, con passaggi basagliani e pirandelliani e qualche ingenuità. Anche per il bravo Daniele
Savoca, il messaggio è forte e chiaro: l' inferno continuano a essere gli altri. VOTO: 7 e mezzo.
(Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 25 marzo 2006)