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L’evoluzione del sostegno pubblico all’audiovisivo
di Alberto Versace, Lorenzo Canova, Tommaso M. Fabbri,
Francesca Medolago Albani
1
Introduzione
Il presente contributo origina dall’esperienza fatta dagli autori nell’ambito del gruppo di lavoro che ha concepito, istruito e accompagnato nel tempo l’attuazione del programma di investimenti pubblici sul settore audiovisivo intitolato «Lo sviluppo dell’industria audiovisiva nel Mezzogiorno» (www.sensicontemporanei.it). Quel programma, tuttora in corso in tre regioni del Mezzogiorno d’Italia (Sicilia, Puglia e Basilicata), costituisce un’esperienza esemplare ai fini di una riflessione sul rapporto Stato-Regioni in materia audiovisiva,
per tre distinti motivi. Il primo è la fonte finanziaria, congiunta, nazionale e regionale. In
questo programma le Regioni esercitano formalmente competenze e appostano loro risorse aggiuntive in un ambito da sempre appannaggio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il secondo è la logica «industriale»: l’audiovisivo non è fatto coincidere con il prodotto-cinema ma è inteso come settore/filiera industriale. Il terzo è l’ipotesi di strumentalità,
incorporata nel programma, tra investimento culturale (e specificamente sul settore audiovisivo) e sviluppo territoriale. Nel programma «Lo sviluppo dell’industria audiovisiva nel
Mezzogiorno» è quindi possibile osservare i problemi e le opportunità di coordinamento
inter- e intra-istituzionale conseguenti a un assetto normativo in cui le competenze in materia audiovisiva siano in qualche modo condivise tra lo Stato e le Regioni.
Nelle pagine che seguono si fornirà dapprima un’illustrazione delle tendenze internazionali e nazionali in materia di sostegno pubblico all’audiovisivo, utile a radicare la necessità di un coordinamento migliore tra i policy maker concorrenti, ai diversi livelli e nei
diversi ambiti di competenza. Quindi si darà sintetica illustrazione della struttura e della dinamica del programma «Lo sviluppo dell’industria audiovisiva nel Mezzogiorno», con l’intento di dare esemplificazione concreta dei problemi di coordinamento istituzionale che insorgono nell’ambito di politiche per l’audiovisivo. Infine, in sede conclusiva, si forniranno
alcuni spunti di riflessione per la definizione di un nuovo assetto regolamentare della spesa
pubblica in materia audiovisiva.
2
Audiovisivo e spesa pubblica in Europa e in Italia
Non esistono differenze tra i prodotti cinematografici e audiovisivi finanziati da fondi pubblici regionali e i prodotti finanziati da fondi nazionali e sovranazionali. Alcune, e
molto significative, possono invece essere rilevabili nelle ragioni e nelle condizioni di finanziamento. Si possono ricostruire differenze pratiche (linee di intervento e strumenti adottati) e teoriche (obiettivi perseguiti). Partiamo dalle seconde per dedurre le prime. La ragion
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d’essere del programma comunitario MEDIA1 e della maggior parte dei fondi nazionali destinati al cinema e all’audiovisivo risiede nell’idea che le due attività realizzino il loro potenziale nel costruire contenitori e vettori di cultura. Non è un caso che l’amministrazione dei
fondi e la gestione dei finanziamenti siano annoverate tra le responsabilità delle istituzioni
preposte alla valorizzazione del patrimonio e alle attività culturali.
Le dimensioni dei fondi e i criteri di eleggibilità di soggetti e progetti e il raggio
d’azione sono tuttavia diversi: nazionale nel caso dei singoli paesi, paneuropeo e internazionale nel caso dell’Unione Europea. L’Unione si attribuisce il ruolo diretto di incoraggiare la
creatività e la diffusione della cultura europea attraverso l’audiovisivo – prima di tutto all’interno della stessa Europa unita e poi oltre i suoi confini – e la formazione di professionalità specialistiche, mentre lascia il sostegno all’attività di produzione vera e propria alla competenza degli Stati membri (anche per oggettiva scarsità di fondi).
Il programma MEDIA sostiene dunque prevalentemente lo sviluppo, la distribuzione
e la promozione di opere audiovisive europee, siano esse opere di fiction (cinematografica
e non), documentari, opere di animazione o multimediali. Il rinnovo più recente, con l’approvazione di MEDIA 2007, destina alle attività di sviluppo almeno il 20% della dotazione
complessiva (circa 755 milioni di euro in sette anni), alla distribuzione almeno il 55%, alla
promozione circa il 9%, alla formazione il 7%, a progetti pilota circa il 4%, ad attività orizzontali il restante 5%.
Gli Stati membri – che invece intervengono in differenti modi e misure in tutte le
fasi della filiera produttiva e distributiva del settore audiovisivo – operano in modo tale che
sia quasi esclusivamente l’industria nazionale a risultare beneficiaria delle azioni di sostegno
ma, anche in questo caso, motivando la propria politica di sostegno con la valenza culturale dell’industria in sé (la Francia in particolare) o dei progetti sostenuti e facendo leva sulla
dimensione culturale delle attività connesse al cinema e all’audiovisivo.
Da questo approccio, complementare come linea di intervento ma orientato agli
stessi risultati, discende in entrambi i casi per lo più l’adozione di misure di sostegno economico improntate a una selezione di tipo qualitativo, per privilegiare, almeno in teoria, il
progetto maggiormente in grado di rappresentare e diffondere valori culturali. Gli strumenti adottati possono variare dai contributi, ai prestiti senza interessi, al mutuo a tasso agevolato, in alcuni casi sostenuti da fondi di garanzia.
I fondi regionali di recente generazione, al contrario, che nascono più da concrete
suggestioni bottom-up, tendenzialmente orientano attenzione verso progetti maggiormente
in grado di realizzare in primo luogo un interesse economico specifico del proprio territorio. È messo in rilievo solo in seconda istanza se questo si realizzi maggiormente attraverso l’ospitalità delle fasi più strettamente produttive, ovvero attraverso la creazione di nuovo
1 Il Programma MEDIA (Mesures pour Encourager le Développement de l’Industrie Audiovisuelle)
è un programma comunitario di sostegno all’industria europea dell’audiovisivo di durata pluriennale, che
fa capo alla DG Società dell’Informazione e Media. Riferimenti: Programma MEDIA (1991-1995), Decisione del Parlamento e del Consiglio 90/685/Cee, G.U. L 380 del 31.12.1990; Programma MEDIA II (19962000), Decisione del Parlamento e del Consiglio 95/563/Ce, G.U. L 321 del 30.12.1995; Programma MEDIA Plus (2001-2006), Decisione del Parlamento e del Consiglio 2000/821/Ce, G.U. L 13 del 17.1.2001;
Programma MEDIA Formazione (2001-2006), Decisione del Parlamento e Consiglio 2001/163/Ce, G.U. L
26 del 27.01.2000; Programma MEDIA 2007 (2007-2013), Decisione del Parlamento e del Consiglio
1718/2006/Ce del 15 novembre 2006, G.U. L 327/12 del 24.11.2006.
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lavoro o di professionalità specialistiche, o ancora se abbia particolari ricadute visibili su altre filiere (ad esempio quella turistica o dei prodotti tipici).
Lo strumento finanziario principalmente adottato è il finanziamento diretto dell’impresa (o contributo al progetto), a condizione però che esso produca con certezza ricadute economiche positive sul territorio amministrato e che queste siano dimostrabili e rendicontate.
Va sottolineato che l’entità delle risorse finanziarie disponibili non è direttamente
proporzionale alla dimensione geografica di destinazione: nei paesi federali, i fondi regionali complessivamente superano di molte lunghezze quelli nazionali, mentre è prevalentemente opposta la situazione dei paesi più centralizzati, con un peso vieppiù rilevante – ad ogni
livello amministrativo – riscontrabile in quelli, come la Francia, che hanno sempre riservato un’attenzione notevole all’audiovisivo in tutte le sue declinazioni di «industria culturale».
Generalizzando e, necessariamente, semplificando, ciò che maggiormente interessa
le amministrazioni locali è aumentare la produttività della propria area, attrarre nuovo capitale umano e finanziario, creare nuova occupazione diretta e indotta e, last but not least, sviluppare campagne di marketing territoriale, che abbiano ricadute sui flussi turistici. In sintesi, l’obiettivo è un ritorno sugli investimenti con indice variabile – e variamente calcolato
– ma superiore a 1.
Secondo gli esperti, è impossibile stabilire una misura valida per tutti i casi, anche se
si può stimare un moltiplicatore «medio», oscillante tra 1,5 e 2 per ogni euro investito dalle
amministrazioni locali per incentivare la scelta del proprio territorio come location di riprese cinetelevisive, tra ricadute dirette e indotto2. Oggetto delle analisi sono, quindi, tanto le
problematiche relative all’impatto economico, quanto quelle sull’aumento dell’appeal turistico di un’area diventata «protagonista» di un’opera audiovisiva.
Da anni il dibattito è aperto tra gli economisti dello sviluppo e all’interno delle Film
Commission per trovare dei modelli di riferimento validi per tutti: negli Stati Uniti già da
tempo vengono condotti studi sui risultati delle attività delle Film Commission (raccolti nella pubblicazione annuale «Locations Survey» di Hollywood Reporter, che riporta le spese
effettuate sui territori degli Stati dalle produzioni che girano on location), mentre nelle regioni anglosassoni questi vengono regolarmente valutati da società di ricerca indipendenti su
incarico dei governi locali3.
2
Vedi, a livello nazionale: A. Rocco, «Studio sull’impatto economico delle produzioni cinematografiche e televisive sul territorio umbro» (2001); A. Rocco, «L’impatto economico dell’audiovisivo sul territorio», Cinema & Video International, Supplemento n. 11-12, dicembre 2003; G. Celata, A. Pichelli, «Il moltiplicatore di reddito nelle produzioni audiovisive», paper, Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università «La Sapienza», Roma 2004; G. Celata, «L’effetto moltiplicatore dilata gli investimenti», Il Giornale dello
Spettacolo, n. 28, 13 ottobre 2006, ripreso in «Studio sul ruolo delle società di produzione esecutiva in Italia
e sull’impatto economico delle loro attività», Associazione Produttori Esecutivi – APE, a cura di F.M. Coccia ed E. di Raco, giugno 2006. Vedi anche, sul cineturismo: A. Rocco, P. Di Maira, «L’Italia sullo schermo:
cinema e scelta dell’Italia da parte dei turisti stranieri», Centro Internazionali di Studi Luoghi e Locations
con BIT Borsa Internazionale del Turismo, supplemento a Cinema & Video International, gennaio-febbraio
2006; «In viaggio con la fiction – Serie televisive e flussi turistici», realizzata per EXPOCST spa, dicembre
2006. La pubblicazione più organica sul tema in Italia è «Le produzioni cinematografiche, il turismo e i territori», a cura di F. di Cesare per Risposte Turismo s.r.l e Fondazione Biennale di Venezia, 2006; riedizione: F. di Cesare, G. Reich, Le produzioni cinematografiche, il turismo, il territorio, Carocci, Roma 2007.
3
È il caso del primo studio europeo, di Hydra per British Film Commission, Scottish Screen Locations e Scottish Tourist Board dal titolo «The Economic and Tourism Benefits of Large-scale Film Production in the United Kingdom» del 1997. Ancora in Gran Bretagna: Oxford Economics, «The Economic
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Le esperienze europee
Indeed there are some similarities in the regional funds approach and the tax shelter approach. They are all looking
for economic impact, they are looking for collaboration or
sometimes are competing fiercely.
Daniel Zimmermann (ECRIF-AV Financial Manager, 2003)
I primi governi locali a immaginare e sfruttare le opportunità offerte dalla produzione cinematografica sui set in esterni, a partire dagli anni Cinquanta, sono statunitensi. Su
quell’esempio sono nate, a partire dai primi anni Novanta, in pieno boom competitivo in Europa tra vecchie tv pubbliche e nuovi operatori commerciali, le Film Commission europee.
Queste strutture sono, di solito, uffici pubblici che operano all’interno delle amministrazioni locali. Il loro ruolo tipico non è di supporto finanziario, ma di «agevolatori delle produzioni» o «acceleratori di business», tramite l’offerta – gratuita, e di solito indipendente da valutazioni qualitative sul prodotto – di servizi di supporto, che vanno dalle autorizzazioni amministrative a convenzioni con hotel e ristoranti, alla preselezione di località
adatte al progetto di film, al reperimento di maestranze e manodopera locale.
Poco dopo inizia a manifestarsi in Europa il «fenomeno» dei Fondi regionali o locali. La fondamentale differenza rispetto alle Film Commission è che questi ultimi si pongono come organismi con finalità di natura finanziaria, operativamente autonomi rispetto alle amministrazioni che li costituiscono (ma a cui in ogni caso rispondono), che intervengono attivamente solo nella costruzione del piano finanziario delle produzioni. Non nascono
tutti nello stesso modo e hanno vita più facile negli Stati federali, dove le Regioni godono
di maggiore libertà di movimento e di più ampie competenze.
Questo è, di fatto, un primo spartiacque concettuale che distingue la natura dei Fondi regionali da quella delle Film Commission. È proprio la stretta interdipendenza tra amministrazioni d’origine e Film Commission che consente a queste ultime di svolgere con efficienza il proprio ruolo di mediazione tra ospiti produttivi e territorio, a partire dalla capacità e possibilità di agevolare permessi e chiudere convenzioni con i fornitori locali di servizi fondamentali per la realizzazione concreta delle produzioni (dalle location all’ospitalità
alberghiera, al catering, alle maestranze generiche, alle professionalità locali).
Per contro, l’azionariato sovente misto e l’autonomia decisionale dei Fondi, uniti alImpact of the UK Film Industry», luglio 2007, per UK Film Council e Pinewood Shepperton plc. Tra gli
studi statunitensi di riferimento: Motion Picture Association of America (MPAA), «The Economic Impact
of the Motion Picture & Television Production Industry on the United States» (2006) oltre che quelli di
Film & Tv Commissions di Stati americani: California, Texas, Massachusetts, Florida, Pennsylvania, Louisiana, Arizona. Si segnalano inoltre: Monitor Company and the Public Affairs Coalition of the Alliance of
Motion Pictures and Television Producers, «The Economic Impact of Motion Picture, Television and
Commercial Production in California», 1994; American Film Marketing Association, a cura di Arthur Andersen Economic Consulting, «Economic Consequence of Independent Film Making», 1996. Vedi anche,
in Canada: «Action! Industry in Motion! Economic Impact Analysis of Manitoba’s Film Industry 2003»,
realizzato da InterGroup Consultants OARS Training Inc. per Film Training Manitoba (FTM) e Manitoba
Motion Picture Industry Association (MMPIA). Sull’incremento dei flussi turistici da attività di ripresa audiovisiva, citiamo il modello storico di Roger W. Riley e Carlton Van Doren in «Movies as Tourism Promotion: A Push Factor in a Pull Location», Tourism Management, 13, 1992.
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la tipologia di organizzazione snella e flessibile di cui sono stati dotati – laddove questi siano stati costituiti con finalità di sviluppo economico – rispecchia la necessità di «deburocratizzare» e «managerializzare» attività culturalmente lontane dalle amministrazioni pubbliche
e ad esse non necessariamente legate da vincoli stringenti (come, all’inverso, sono quelli relativi all’uso del patrimonio storico-artistico e ambientale).
In realtà questa stessa differenza di base risulta essere in alcune situazioni un nodo
non perfettamente risolto, che ha dato e continua a dar luogo alla nascita di sovrapposizioni di ruolo e ad ambiguità, che non aiutano a individuare un metodo logico e un modello
percorribile.
Le radici della confusione si rintracciano parzialmente nelle origini dei Fondi per
l’audiovisivo, che vedono la luce, cronologicamente, dopo le Film Commission e che ad esse – in assenza di uno sviluppo teorico e di un dibattito ampio e aperto sullo strumento –
vengono inizialmente assimilati.
In realtà le finalità dei due strumenti, come già osservato, sono molto diverse: di servizio, le prime, di sviluppo economico e/o culturale, i secondi. Nel corso dell’evoluzione
che i Fondi hanno avuto, infatti, l’iniziale primogenitura delle Film Commission è stata rivendicata dai secondogeniti, fino a portare in alcuni casi – quelli in cui l’autonomia dagli enti pubblici è maggiore, ad esempio in Svezia e in Wallonie – a una completa inversione di
prospettiva, con l’assorbimento e l’integrazione delle strutture di servizio sul territorio all’interno dell’organizzazione degli enti gestori dei Fondi, in qualità di «bracci operativi».
Si tratta di esempi di eccellenza: continuano a persistere, tuttavia, nelle regioni dove
le due funzioni non sono ancora state riconosciute come diverse e distinte, o dove la necessità di uno strumento finanziario autonomo non è percepita come prioritaria, situazioni in
cui Film Commission svolgono anche attività di sostegno finanziario ad alcuni progetti selezionati, di fatto perpetuando una situazione ibrida e, necessariamente, di respiro limitato.
Nel 1990 esistevano in Europa ancora pochissimi Fondi regionali, tutti esclusivamente indirizzati al sostegno del solo cinema, con modalità selettive, destinati per la maggior parte a sostenere i film in ragione della loro componente culturale. Nell’ultimo decennio, invece, e in particolare a partire dal 2000, è nata una nuova leva di Fondi: gli economydriven funds – come li definisce Catherine Buresi, esperta internazionale, già responsabile di
EAVE, organismo europeo di formazione dei manager della produzione audiovisiva – orientati verso gli aspetti economici e commerciali delle produzioni audiovisive, anche non cinematografiche.
«Il maggiore fondo regionale in Francia [Île de France, fondato nel 2001, budget 10
milioni di euro propri, più 1 milione di euro dal CNC (Centre National de la Cinématographie), N.d.A.] non è veramente ‘per i film’, ma è stato istituito come ‘fondo di sostegno per
le industrie tecniche’. Approccio terminologico che conferma che il maggiore obiettivo non
è più il sostegno alla produzione di opere, ma il supporto all’industria stessa.»4
Il distacco, pratico prima ancora che teorico, dei Fondi per l’audiovisivo dalla matrice culturale che li ha inizialmente generati – e giustificati – è quindi di recentissima datazione, e non è un caso che siano proprio i Fondi della seconda generazione a dare l’impulso
4 Catherine Buresi, «Local and Regional Funds in Europe: Towards a Real Impact on European
Production?», studio realizzato per il workshop «I fondi di sostegno all’audiovisivo nell’Europa delle Regioni», promosso da Antenna Media Italia, Torino-Bruxelles, 24-26 novembre 2003.
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verso una sistematizzazione teorica e verso rivendicazioni di autonomia dalle scelte di politica culturale. Si può sostenere che in queste esperienze abbia prevalso l’approccio gestionale dell’Europa continentale (e anglosassone) su quello «latino», e che quest’ultimo si sia
aperto con qualche ritardo a «contaminazioni» economicistiche, in un settore storicamente
considerato competenza esclusiva dell’amministrazione della materia culturale.
Ciò non toglie che eccessive semplificazioni potrebbero portare fuori strada: quello
che in questa sede vale la pena di ricordare è che i sostegni finanziari regionali alla produzione audiovisiva in molti paesi (uno per tutti, la Francia) nascono da una matrice culturale
e da essa gradualmente si allontanano nel momento e nei casi in cui innovano il modello
originario, integrando valutazioni di tipo economico; in altri paesi (uno per tutti, la Germania) scaturiscono ab origine da motivazioni principalmente economiche; negli stessi (la Francia, ancora) e in altri paesi (la Spagna, l’Italia), pur evolvendosi nel tempo alla ricerca di soluzioni «miste», mantengono una forte dipendenza dalla dimensione «culturale» in cui l’audiovisivo – e il cinema in particolare – è racchiuso.
Se le modalità e i tempi di istituzione variano notevolmente da regione a regione, una
caratteristica accomuna le prime aree interessate dal fenomeno dei fondi di seconda generazione: la necessità di uscire da un ciclo negativo, e «reinventare» un’economia locale, attraverso la riconversione di strutture industriali e il rinnovo di risorse in via di esaurimento.
Tra gli esempi più significativi, la regione tedesca del Nordrhein Westfalen (il bacino
della Ruhr), devastata negli anni Settanta da una crisi economica che toccò tutti i settori dell’industria pesante, in particolare estrattiva e mineraria. Il terziario e i media hanno offerto
una via d’uscita provvidenziale, che si è affermata come valida alternativa grazie al traino
iniziale dell’investimento privato, cui si è aggiunto, nel 1991, il neocostituito NRW FilmStiftung, primo per erogazione di fondi in Europa.
Stessa situazione si è verificata nel Belgio meridionale, dove nasce Wallimage; nella
Germania centrale, a Leipzig, sede del MittelDeutsche MedienFörderung (MDM).
Sulla medesima linea, se non per le medesime ragioni, si sono poi attestati tutti i paesi scandinavi – in particolare la Svezia – fino ad approdare anche alla Francia (nota per la
sua organizzazione storicamente ultracentralistica), dove i fondi – a dimensione locale, oltre che regionale – sono ormai oltre trenta.
La maggior parte dei fondi francesi, a differenza di quelli tedeschi e del Nord Europa, è stata creata infatti internamente agli enti regionali ed è nata originariamente con ambizioni più contenute rispetto a quelle degli omologhi dei paesi federali, coerentemente con
criteri di minore autonomia decisionale e operativa degli enti locali. Tuttavia, la grande ondata di decentramento che ha interessato anche la Francia negli anni Novanta ha fatto sì che
le regioni interessate a «diversificare» le proprie linee di sostegno alle attività produttive locali ottenessero infine consistente autonomia sul fronte dell’audiovisivo, nonché, in misura
proporzionale al proprio intervento finanziario diretto, un contributo da parte del CNC, ente nazionale preposto alla gestione complessiva della materia audiovisiva. Il percorso ha visto alcune regioni fungere inizialmente da capofila: prima di tutte Rhône-Alpes – cui si sono poi affiancate Paris-Île de France e Provence-Alpes-Côte d’Azur – che già dal 1991 ha
stretto i primi accordi di questo tipo con il CNC, ma ha avuto un’accelerazione potente e un
forte ampliamento nel 2003, con l’introduzione della misura nota come «1 euro per 2 euro»5.
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La misura, gestita dal CNC, è conseguenza diretta di una legge generale (non di settore) del 2002,
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Questa misura si integra perfettamente con il sistema statale di aiuti, conservando il
baricentro degli interventi finanziari al livello nazionale nel CNC, ma ampliando all’audiovisivo l’area di responsabilità «produttiva» delle regioni. In realtà, si tratta di una piccola rivoluzione copernicana, che sposta il peso dell’attenzione, nei presupposti alla base dell’intervento delle sole regioni, sulla centralità della dimensione economica dell’industria audiovisiva. Anche se il celeberrimo «sistema francese», infatti, si sostiene fondamentalmente grazie al contributo degli operatori economici e del mercato, il CNC è ed è sempre stato sottoposto alla vigilanza e nelle competenze del Ministero della Cultura e della Comunicazione
(già «della Cultura e della Francofonia») e l’audiovisivo è il cuore del principio dell’«eccezione culturale», coniato in Francia e fatto proprio dalla Commissione Europea6. Grazie a questo intervento, una piccola quota delle risorse si libera completamente della valenza culturale ereditata nei vari passaggi di livello, salvo poi essere reimpiegata in base a regolamenti,
ancora una volta, in parte definiti con i medesimi criteri.
Questa evoluzione graduale non ha interessato i paesi federali, dove i fondi sono stati per lo più istituiti in regime privatistico e messi in grado di sviluppare attività diverse, senza vincoli ulteriori rispetto a quelli imposti statutariamente in funzione degli obiettivi dichiarati: per lo più supporto di un progetto dalla sceneggiatura all’uscita in sala, sostegno di film,
società, pacchetti di progetti (il cosiddetto slate funding), delle imprese stesse che nascono
nelle loro aree, formazione di professionisti.
denominata «legge sulla democrazia di prossimità (loi sur la démocratie de proximité)», che comporta tre
conseguenze importanti: la prima è che gli interventi sono considerati di natura economica e non solamente culturale; la seconda è, per la prima volta in Francia, che il livello regionale è considerato «superiore» agli
altri livelli territoriali, dal momento che le Regioni sono considerate «capofila in materia di interventi economici»; la terza, infine, è che l’audiovisivo entra in concorrenza con altre forme produttive destinatarie di
contributi pubblici. La misura consiste in una serie di accordi di devoluzione – per via convenzionale e non
legislativa, della durata di tre anni – tra lo Stato, il CNC e le singole Regioni, rivolta ai soli film di lungometraggio. Va ricordato che si iscrive all’interno di un sistema di aiuti all’industria audiovisiva e cinematografica nazionale che solo in misura marginale è alimentato da fondi del Ministero della Cultura e della Comunicazione, mentre si basa sostanzialmente su un complesso meccanismo di redistribuzione di risorse
«prelevate» all’industria verso l’industria stessa. In sintesi, prevede che il CNC metta a disposizione delle Regioni una parte (minima, circa 10 milioni di euro l’anno in totale, con un plafond di 1 milione per Regione, per evitare il rischio di eccessiva concentrazione) dei fondi per il cinema che gestisce, a patto che le Regioni stesse affianchino risorse pari al doppio. Di fatto, l’intento del CNC è di attivare una leva che aumenti il bacino complessivo cui le imprese produttive possono attingere, affiancando il livello regionale a quello nazionale tradizionale. A regime, è stato stimato che le risorse regionali (circa 20 milioni di euro, quindi) siano quasi pari all’ammontare totale annuale che il CNC destina agli aiuti selettivi (indirizzati ai singoli
progetti di film). Il fatto che sia riservata ai lungometraggi comporta che sia attivabile solo dalle Regioni
che mettono già a disposizione del cinema fondi consistenti e funge da stimolo alle Regioni che si limitano a finanziare solo progetti a più basso budget (cortometraggi e documentari) a compiere un salto di qualità verso produzioni di ambizioni e respiro maggiore. Per un approfondimento, si veda www.cnc.fr.
6 Vedi norme in materia di aiuti di Stato contenute nella «Comunicazione della Commissione al
Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni su taluni
aspetti giuridici riguardanti le opere cinematografiche e le altre opere audiovisive», meglio nota come. «Comunicazione sul cinema» adottata dalla Commissione Europea il 26 settembre 2001, Bruxelles, 26.09.2001
COM(2001) 534 definitivo, la cui validità è stata nel maggio 2008 estesa fino alla fine del 2012.
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2.1.1 Film Fund: fonti e criteri di finanziamento
Il finanziamento pubblico a livello regionale ha acquisito crescente importanza sul
totale dei fondi disponibili per il cinema e l’audiovisivo in Europa. L’Osservatorio Europeo
dell’Audiovisivo (OEA) stima un’incidenza complessiva pari a un quinto del totale, considerando tra i fondi sub-nazionali sia quelli di rilevanza regionale che quelli istituiti a livello dipartimentale, provinciale e municipale (questi ultimi soprattutto in Francia, con alcuni
esempi anche in Austria e nei Paesi Bassi).
Il totale delle risorse canalizzate attraverso le Regioni e gli enti locali è nettamente
superiore, nel complesso, a quanto reso disponibile a livello sopranazionale, mentre il rapporto con i fondi nazionali varia – come osservato – in base all’importanza generale delle
amministrazioni locali nell’ordinamento dei singoli paesi: la Germania è di gran lunga il paese che mostra il più alto livello di finanziamento su base regionale, grazie alla struttura federale e al ruolo che i Länder assumono nel sistema politico.
Anche in Spagna la maggior parte delle risorse deriva dai finanziamenti nazionali,
sebbene le singole regioni e comunità autonome (in prima fila la Catalunya) stiano progressivamente intervenendo nel settore. In Italia sono per lo più a livello embrionale e prevalentemente ancora episodiche le forme di finanziamento su base regionale e locale, nel Regno Unito il panorama dei finanziamenti è più disperso e riflette le politiche interne centrali rispetto alle singole nazioni (Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord).
È importante sottolineare come in alcuni paesi anche l’alimentazione dei fondi subnazionali derivi da molteplici fonti e non solo dagli enti pubblici che li hanno istituiti. In
Germania è molto rilevante il ruolo che assumono i broadcaster con interessi locali – come
anche in alcune Comunità Autonome spagnole – mentre in Svezia e nel Regno Unito molte risorse arrivano agli enti gestori attraverso le agenzie nazionali, a loro volta alimentate anche tramite la ripartizione dei proventi di giochi e lotterie7.
In totale in Europa si contavano nel 2002 circa 80 fondi regionali, per una capacità
di investimento totale pari a 250 milioni di euro l’anno, la metà dei quali nella sola Germania. Nel 2005 il numero di fondi regionali e locali in 36 Stati era salito a 1308. A metà 2006,
alcune stime sugli investimenti complessivi dei fondi regionali europei li quantificavano in
280 milioni di euro, su circa 500 milioni complessivi da tutte le fonti9.
La maggior parte dei programmi di sostegno istituiti dai fondi pubblici europei è rivolta alle attività di sviluppo (inclusa la fase di scrittura e lo slate funding) e produzione (inclusa postproduzione), mentre le altre (distribuzione, esercizio, formazione, promozione
ecc.) sono molto meno rilevanti in termini numerici. Questo significa che oltre due terzi del
totale erogato tramite i fondi è destinato alla produzione. Segue l’esercizio, con circa il 15%
del totale – malgrado siano poche le linee dirette a questa attività – e la distribuzione con
circa il 10%. Le restanti attività raccolgono quote economicamente poco significative. In
modo non sorprendente, i film per il cinema raccolgono circa la metà dei finanziamenti, ma
7 Per un approfondimento su questo tema, vedi anche «Public funding for film and audiovisual
works in Europe – A comparative approach», OEA, Strasbourg 2004.
8 Per approfondimenti e informazioni di dettaglio sui singoli fondi, si veda la banca dati dell’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo, all’indirizzo diretto http://korda.obs.coe.int/web/en, oppure tramite la sezione «banche dati» del portale www.obs.coe.int.
9 Vedi, su dati Antenna Media Torino, B. Zambardino, V. Testa, «Audiovisivo e Territorio: il ruolo
della P.A. nel contesto italiano ed europeo», Europa e Mezzogiorno, 55, Formez, Roma 2007.
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anche i prodotti televisivi sono fortemente sostenuti, soprattutto nelle regioni dei paesi dove le emittenti televisive contribuiscono in modo sostanziale all’alimentazione dei fondi.
Tutte le attività di sostegno dei fondi regionali sono regolate da contratti che il produttore beneficiario sottoscrive con il gestore e con cui si impegna a rispettare regole e criteri prestabiliti.
Anche in questo caso, i criteri non sono gli stessi dappertutto: la regola di base è che
il produttore e/o l’autore risiedano nella regione di erogazione del fondo o che una quota
delle riprese o della postproduzione sia svolta sul territorio. In genere, inoltre, è richiesto al
produttore di dimostrare di aver speso nella regione un importo pari ad almeno 1,5 volte
l’ammontare della somma ricevuta (con picchi di 3 : 1). In alcune aree sono inoltre adottati
criteri più restrittivi rispetto alla manodopera o alle strutture da coinvolgere obbligatoriamente a livello locale.
Solo in alcuni casi – molto interessanti per la valutazione positiva per l’ente gestore
sulle potenzialità commerciali a lungo termine del prodotto audiovisivo – i fondi si propongono in qualità di coproduttori – Rhône-Alpes Cinema in Francia, Film i Väst in Svezia e
Wallimage in Belgio – mentre di norma il sostegno regionale ha luogo sotto forma di co-finanziamenti, prestiti rimborsabili, sussidi diretti, anticipi sugli incassi.
2.2
Il quadro normativo e regolamentare in Italia
Fino alla recente riforma della seconda parte della Costituzione, anche dopo le prime norme di decentramento amministrativo (Leggi Bassanini, 1997)10, in Italia non è esistito dibattito sulle competenze istituzionali sul settore audiovisivo.
In realtà, l’audiovisivo non era – e spesso non è ancora oggi – considerato un comparto che, seppur composto di segmenti diversi con proprie specificità (ad esempio il canale di distribuzione principale), tuttavia esprime una precisa e molto riconoscibile identità.
Amministrazione pubblica dell’audiovisivo ha infatti significato per lungo tempo solo cinema e solo Stato. Le Regioni si sono limitate, dopo il 1985, a reclamare periodicamente la
mera regionalizzazione della spesa del Fondo Unico per lo Spettacolo (prevista nella stessa
legge istitutiva del FUS e mai regolamentata).
In sintesi, la storia legislativa italiana in questo settore è cinema-centrica e stato-centrica. Il 1998 ha portato un segno di discontinuità nel percorso, con l’approvazione della legge 12211, che ha recepito la norma comunitaria12 imponendo alle emittenti tv quote di tra10
Con la Legge Bassanini n. 59 del 1997, all’art. 1, e i successivi decreti delegati d.lgs. 112/98, artt.
18 e 156 e d.lgs. 300/99, artt. 53, 27 e 28 il cinema e la radiotelevisione sono stati riaffermati tra le competenze dello Stato centrale, rispettivamente del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Ministero
delle Attività Produttive (poi Comunicazioni, poi Sviluppo Economico).
11 Legge 30 aprile 1998 n. 122, poi integrata nel d.lgs. 30 luglio 2005 n. 177 - Testo Unico della Radiotelevisione, da ultimo modificato dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 e dal decreto legge 31 dicembre
2007, n. 248 convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.
12 Direttiva 89/552/CEE, come modificata da Direttiva 97/36/CE (Televisione senza frontiere)
e, più recentemente, da Direttiva 2007/65/CE (Servizi media audiovisivi senza frontiere). Le modifiche introdotte in quest’ultima revisione sono in corso di recepimento da parte dei paesi membri. L’Italia ha inserito il provvedimento tra quelli del disegno di legge comunitaria 2008, con cui il governo adempie all’obbligo, previsto dalla legge 4 febbraio 2005 n. 11, di proporre annualmente al Parlamento un testo legislati-
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smissione e quote di investimento obbligatorio in produzione e acquisto di opere europee.
Quella legge è stata direttamente o indirettamente il motivo per cui si è sviluppata con forza crescente l’industria della produzione televisiva in Italia e ha segnato il punto di svolta in
cui il contenuto audiovisivo non cinematografico ha fatto il suo ingresso nella normativa
nazionale. Ma quella legge non è entrata purtroppo nel merito delle competenze amministrative, rinviando la responsabilità delle sole norme di secondo livello (regolamenti) all’allora ancora neonata Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Sintetizzando la situazione piuttosto chiara preesistente alla Legge Costituzionale n.
3 del 200113, entrata in vigore a seguito di referendum confermativo nel novembre del 2001,
quindi, si può sostenere che:
–
–
–
il cinema rientrava nel più ampio settore spettacolo e quindi nelle attività culturali, di
competenza, anche amministrativa, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
l’emittenza radiotelevisiva (le reti di trasmissione) rientrava nelle competenze del Ministero delle Comunicazioni, nel 2008 divenuto un Sottosegretariato del Ministero
dello Sviluppo Economico;
il prodotto audiovisivo non cinematografico si pone in una zona intermedia, su cui
(non) sono intervenute entrambe le istituzioni ma per la quale non esiste alcuna riserva di competenza a favore dello Stato.
La riforma costituzionale del 2001 non ha scosso le fondamenta di questo sistema,
ma complessificato il quadro presentando nuovi attori sulla scena.
Nel capovolgimento di visione che l’ha ispirata («ciò che non è esplicitamente riservato allo Stato è automaticamente di competenza – anche legislativa - delle Regioni»), le attività culturali e lo spettacolo14 sono divenuti materia di competenza concorrente, vale a dire che i principi generali devono essere emanati dallo Stato, mentre la legislazione di dettaglio e la regolamentazione è in capo alle Regioni.
La nuova ripartizione di competenze indicata dalla riforma costituzionale, inoltre, ha
avuto come effetto accessorio l’apertura di un dibattito sulla materia cinematografica: non
risultava definitivamente chiarito dove dovessero essere esattamente collocati e con quale
ruolo i singoli strumenti storicamente adottati a sostegno del cinema – a partire dal FUS15 –
ovvero dove concretamente finissero i principi generali e iniziassero le norme di dettaglio.
vo recante le disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Il ddl, in discussione in Parlamento nel settembre 2008, conferisce al governo la delega legislativa per i provvedimenti descritti. Dopo l’approvazione da parte del Parlamento, quindi, il governo dovrà emanare un decreto legislativo di recepimento.
13 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione».
14 Per i necessari e interessanti approfondimenti sul merito e sull’evoluzione delle interpretazioni
in tema di attribuzione di competenze, si rinvia all’acceso dibattito tra costituzionalisti, tra cui si segnalano,
per occuparsi in particolare di beni e attività culturali e di spettacolo, Marco Cammelli e Beniamino Caravita di Toritto. Si vedano anche, dirette da questi ultimi, le riviste on-line, rispettivamente www.aedon.mulino.it e www.federalismi.it.
15 Il FUS - Fondo Unico per lo Spettacolo, istituito con legge 30 aprile 1985, n. 163, è attualmente
di competenza e sotto la gestione dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, attraverso le due Direzioni Generali per il Cinema e per lo Spettacolo dal vivo. Prima di trovare definitiva collocazione, ha avuto
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In sostanza, è stato destrutturato il previgente sistema, per il quale il cinema rientrava esplicitamente nei settori di intervento diretto dello Stato, ma non è mai stata approvata
una legge-quadro, attraverso la quale lo Stato avrebbe dovuto esplicitare i principi generali
e a cui le Regioni avrebbero dovuto attenersi per legiferare a propria volta specificamente
in materia16.
Sull’amministrazione centrale competente per il cinema questo non ha avuto effetti
immediati, salvo l’emergere a posteriori della necessità di ricomporre in sede ministeriale
conflitti tra livelli amministrativi, tramite l’apertura alla partecipazione delle Regioni di tutti
gli organi decisionali centralizzati (commissioni e comitati).
Stante tale situazione, in attesa della riforma di sistema per il settore cinematografico (e magari audiovisivo), dovrebbe essere applicato il principio di «continuità dell’ordinamento», introdotto con la legge La Loggia del 200317. L’alternativa – quella in base a cui, in
assenza di principi espliciti, le Regioni desumono i principi dalla legislazione vigente nelle
materie concorrenti – ha prestato il fianco a numerosi ricorsi di fronte alla Corte Costituzionale18. Significativamente, ha chiarito i dubbi sospesi il pronunciamento della Corte Costituzionale con la sentenza 7 luglio 2005, n. 285, che ha ritenuto fondate le molteplici censure mosse dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana al decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n. 28, recante disposizioni afferenti il settore cinematografico (noto come «decreto Urbani»). La Corte ha infatti dichiarato l’incostituzionalità tra l’altro delle disposizioni del decreto laddove non prevedevano la consultazione della Conferenza Stato-Regioni e la decisione
congiunta sui criteri di riparto delle quote dei fondi destinate al finanziamento del settore19.
Sulla competenza legislativa, la Corte, con la sua sentenza n. 285, ha quindi definitivamente ribadito la competenza concorrente sul cinema ma se pure ha rilevato, da un lato, che
storia tormentata: inizialmente allocato presso il Ministero per il Turismo e lo Spettacolo, nel 1993 – a seguito dell’abrogazione, attraverso referendum, della legge istitutiva dello stesso Ministero (Dpr 5.6.1993, n.
175) – è stato posto sotto la competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri (d.l. 29 marzo 1995,
n. 97, convertito in legge 30 maggio 1995, n. 203) fino al 1998, anno di istituzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368). Una delle sempiterne questioni che hanno diviso
Stato e Regioni è proprio la ripartizione del FUS, la cui legge istitutiva prevede anche che una parte delle risorse sia devoluta dallo Stato alle Regioni e da queste gestita, previsione che non ha mai avuto attuazione
e che resta sul tavolo della discussione malgrado l’assottigliarsi nel tempo del Fondo stesso.
16 Vedi, tra gli altri, C. Barbati, «Il cinema dopo le riforme: il caso è chiuso?», Aedon, 1, 2006,
www.aedon.mulino.it.
17
Legge n. 131 del 2003. La legge, all’articolo 1, afferma il principio di continuità nell’ordinamento, per il quale le disposizioni vigenti continuano ad applicarsi fino all’esercizio del potere legislativo secondo il nuovo riparto di competenze. La disposizione che, almeno in questa sede, è di maggior rilievo è quella che riguarda il procedimento per la definizione dei principi fondamentali da parte del legislatore statale,
attraverso uno o più decreti legislativi «ricognitivi» dei principi fondamentali.
18 Vale la pena di ricordare che le leggi vigenti sono state scritte non secondo il metodo dei principi, ma secondo il metodo delle norme di dettaglio; è altrettanto evidente che la ricognizione dei principi
presenta analoghi elementi di aleatorietà, non solo per il carattere asistematico in cui versa la nostra legislazione.
19 La battaglia dei ricorsi sulle competenze ha visto sul campo tra i caduti alcune regole di sano
buonsenso, tra cui un principio nazionale di riferimento per l’autorizzazione amministrativa all’apertura
delle sale cinematografiche, secondo criteri oggettivi e condivisi dagli attori in campo. Senza un reale coordinamento, il risultato – in un paese sottodimensionato per numero di schermi cinematografici rispetto
al resto d’Europa, soprattutto nel Mezzogiorno – è stato di fermare di fatto gli investimenti, in particolare provenienti dall’estero, di soggetti interessati a operare sull’intero bacino nazionale.
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«la disciplina in esame appare essenzialmente caratterizzata, sul piano legislativo, da una normativa completa ed autoapplicativa, senza distinzione fra principî e dettagli, e, sul piano amministrativo, da un modello di gestione accentuatamente statalistico ed essenzialmente fondato su poteri ministeriali, con una presenza del tutto marginale di rappresentanti delle autonomie territoriali», ha anche ritenuto, dall’altro, «inadeguato il livello regionale di governo»20.
La situazione sembra essersi sbloccata solo nel 2006, con l’avvio del dialogo e di un
tavolo di lavoro congiunto tra Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Conferenza delle Regioni, proprio sulle modifiche legislative da apportare
al decreto 28, concordate e approvate nel 200621.
Le Regioni si sono attivate e hanno diversamente reagito alla controversa situazione,
in funzione della sensibilità storica alla materia, ma hanno mostrato in diversi casi di aver
colto, più prontamente di quanto non abbia dimostrato lo Stato, le connessioni del settore
audiovisivo con ipotesi di sviluppo e nuova competitività del loro territorio.
In altre parole, contemporaneamente e in diversi punti del paese, ma in modo indipendente e senza visibili collegamenti, si è innescato un processo di sostegno regionale al
settore audiovisivo – considerato spesso come attività produttiva e non come attività culturale – grazie a intuizioni personali, condizioni di partenza favorevoli, procedure amministrative innovative (maturate disgiuntamente dalle singole amministrazioni regionali in vista di
obiettivi eterogenei), storia e vocazione territoriale, senza dimenticare la casualità o – meglio – serendipity.
L’assessore alla Cultura della Regione Lazio Giulia Rodano ha sintetizzato, in un’audizione in Commissione Istruzione e Cultura del Senato, cui ha partecipato in rappresentanza
della Conferenza delle Regioni nell’Indagine conoscitiva sul cinema e lo spettacolo dal vivo
portata avanti dalla Commissione Cultura e Istruzione del Senato nella XV legislatura, i punti
fondamentali su cui si orienta la politica condivisa dalle Regioni che, come in precedenza,
mette tuttavia l’accento sulla materia cinematografica e non, in generale, sull’audiovisivo.
Per quanto concerne i settori della produzione cinematografica e della distribuzione non
sfugge certamente alle Regioni la loro rilevante dimensione d’impresa, né il fatto che richiedano ingenti capitali, né tanto meno la constatazione che il loro ambito sia nazionale o sopranazionale. Di contro non può essere sottaciuto il fatto che siamo di fronte ad attività che hanno un forte legame con il territorio in cui vengono realizzate e un indubbio impatto in termini sociali, culturali ed economici. Tutto ciò spiega perché le regioni abbiano sostenuto le produzioni cinematografiche con fondi regionali e attraverso le film commission e con l’istituzione di fondi specifici (film fund). Né potrebbe essere diversamente se si considerano i necessari obiettivi di marketing territoriale, di promozione cineturistica, di sostegno e qualificazione dell’economia locale che istituzionalmente ogni regione è tenuta a perseguire. Quanto
poi alla promozione cinematografica, il ruolo regionale è ugualmente rilevante. La delicatezza del settore impone però di tener conto della complessità e delle diverse articolazioni dell’attività promozionale, così come occorrono attente valutazioni sui criteri di adeguatezza amministrativa. Infine risulta centrale il ruolo delle Regioni per l’autorizzazione all’esercizio e
dell’incentivazione alla riqualificazione del sistema delle sale: campo in cui già sentenze della
20
Corte Costituzionale, Sentenza n. 285/2005, in materia di riconducibilità delle «attività di sostegno degli spettacoli» alla «promozione ed organizzazione di attività culturali». Giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Corte Cost., 19-07-2005.
21 D.l. 5 dicembre 2005 n. 250 convertito con modificazioni dalla legge 3 febbraio 2006 n. 27.
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Corte costituzionale hanno confermato la competenza legislativa regionale in materia di programmazione territoriale.22
L’audiovisivo non cinematografico, nel corso degli anni di dibattito, ancora una volta non ha avuto storia o menzione a sé. Il problema delle competenze amministrative non
si pone quindi sin dal principio sul «non cinema», settore mai sostenuto dallo Stato e, quindi, potenziale terreno di sviluppo per gli enti territoriali23.
Senza pensarci troppo, il Friuli-Venezia Giulia ha per primo «passato il Rubicone»
nel 2003 con la legge finanziaria regionale e attivato il Film Fund, appoggiandolo all’allora
Assessorato al Turismo (poi Attività Produttive) con dotazione iniziale di 900mila euro in
tre anni.
2.3
Le azioni delle Regioni italiane a sostegno dell’audiovisivo
Premesso che in tutte le Regioni e in moltissimi enti locali esistono da tempo immemore sostegni finanziari più o meno cospicui destinati alla promozione della cultura e dello spettacolo, all’interno della quale viene a volte collocata anche la produzione di audiovisivo, si è ritenuto di mettere in evidenza le situazioni in cui gli interventi risultano maggiormente influenzati da una precisa politica indirizzata al cinema e all’audiovisivo e in cui sono state trovate soluzioni legislative e/o amministrative specifiche che trasformano tale politica in azione.
Da tutti i casi indicati, tuttavia, emerge con evidenza che è piuttosto scarsa la volontà, nei legislatori e amministratori regionali come in quello nazionale, di evidenziare e coltivare la differenza tra gli strumenti possibili, in particolare Film Fund e Film Commission,
e che prevale la tendenza a considerarli intercambiabili e reciprocamente fungibili e a collocarli in prevalenza tra le competenze dell’amministrazione delle attività culturali. Un netto
spartiacque, come accennato, è stato invece segnato dal Friuli-Venezia Giulia, che ha compiuto il percorso inverso a quello classico, integrando l’aspetto culturale solo nella seconda
fase, di maturità, dei suoi investimenti nel settore. Piuttosto peculiari sono, ancora, le strategie complessive del Piemonte e del Lazio, orientate più alla costruzione progressiva di un
«sistema» audiovisivo regionale che all’adozione di un principale strumento di sostegno.
2.3.1 Leggi regionali di settore
Dal punto di vista normativo, sono poche le Regioni che hanno legiferato specificamente per il cinema e l’audiovisivo, mentre diverse sono quelle intervenute anche recentemente con leggi-quadro sul settore dello spettacolo. Tutte hanno variamente nel tempo
adottato sostegni all’audiovisivo (promozione, contributi a enti e strutture, produzione) sia
attraverso le leggi finanziarie annuali, sia con leggi di dettaglio su oggetti specifici (ad esempio mediateche, archivi, strutture di formazione)24.
22
Vedi www.regioni.it.
Su questi temi, vedi anche F. Medolago Albani, «L’industria audiovisiva italiana tra Stato e Regioni», atti delle Giornate del Cinema e dell’Audiovisivo, Torino-Bruxelles, novembre 2003.
24
Molte Regioni, così come accade per le Regioni europee, possono costituire «modelli» a sé, che
andrebbero studiati in profondità per ricavare una matrice generale utile nell’ipotesi di un coordinamento
23
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Nel primo gruppo una Regione antesignana (precedente alla riforma costituzionale)
è l’Abruzzo, con la legge regionale n. 98 del 1999 «Disciplina regionale delle attività cinematografiche, audiovisive e multimediali», in cui il focus è rivolto a soggetti no profit dedicati alla promozione, anche attraverso la produzione, con previsione di programmazione
triennale e di ricadute economiche sul tessuto imprenditoriale e professionale locale.
La Sardegna è stata la prima Regione ad attivare un finanziamento destinato al solo
cinema, attraverso la legge regionale n. 3 del 29 aprile 2003. Quella norma è stata anticipatrice di un provvedimento molto più sistematico adottato nel 2006, con la legge 20 settembre 2006 n. 15 recante «Norme per lo sviluppo del cinema in Sardegna», che prevede una
serie di interventi a favore di tutti i segmenti della filiera cinematografica (dalla sceneggiatura all’esercizio, alla distribuzione, alla promozione, al sostegno a centri di produzione locale), l’istituzione della Sardegna Film Commission con l’obiettivo di fornire «servizi alla
produzione» e della «Cineteca regionale sarda» per la conservazione e la promozione ma,
soprattutto, interventi a favore della produzione di «opere di interesse regionale». La competenza per materia è assegnata all’Assessorato alla Cultura.
La politica della Regione Puglia ha portato invece a un intervento quadro su tutto il
settore dello spettacolo, in cui molto spazio è dedicato all’audiovisivo. Il via viene dato con
l’approvazione della legge regionale n. 6 del 2004 «Norme organiche in materia di spettacolo e norme di disciplina transitoria delle attività culturali» che, oltre alla costituzione della Fondazione Apulia Film Commission, istituisce il Fondo Unico Regionale dello Spettacolo (FURS), l’Osservatorio dello spettacolo e attiva una serie di norme e regolamenti a garanzia della trasparenza nella gestione dei finanziamenti pubblici (Statuto, Codice Etico, Regolamento dell’Assemblea, Regolamento di Incompatibilità).
Con la legge regionale 30 luglio 2008 n. 21 «Norme in materia di spettacolo», anche
la Lombardia ha istituito il FURS, la cui entità è stabilita annualmente dalla legge finanziaria
regionale. La legge, specificamente per le attività cinematografiche (artt. 5 e 9), sostiene tra
l’altro produzione, distribuzione ed esercizio, prevede un apposito fondo di rotazione e si
serve della collaborazione con la Fondazione Milano Lombardia Film Commission.
La legge regionale n. 16 del 2007 «Interventi a favore del cinema e dell’audiovisivo»,
infine, è la norma con cui la Regione Siciliana ha attivato il nuovo corso del suo intervento
nel settore. La legge provvede a potenziare le attività della preesistente Film Commission,
a istituire presso l’Assessorato regionale dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica
Istruzione il Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo – e contemporaneamente a dettarne le regole di utilizzo –, a istituire la Consulta regionale per il cinema, a promuovere festival e rassegne. Va sottolineato che la Regione ha anche costituito una società in house, denominata Cinesicilia s.r.l., come ulteriore strumento operativo per le politiche di promozione del settore audiovisivo.
2.3.2 Film Commission regionali
Le Film Commission sono invece strumenti di cui quasi tutte le Regioni italiane25 si
sono dotate nel tempo, con l’obiettivo iniziale di facilitare le società di produzione audiovinazionale. Vedi anche F. Medolago Albani, «Da Trollywood a Trulliwood», Link Idee per la televisione, 2, Sperling & Kupfer-RTI, Milano 2004.
25 Tranne, fino al 2008, le Regioni Molise, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.
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siva nelle loro attività sul proprio territorio. Molte sono le situazioni in cui le Film Commission, come già accennato, hanno avocato a sé anche la nuova competenza del contributo
economico alla produzione, in alcuni casi con consistente dotazione di risorse. Anche qui,
le formule e le soluzioni amministrative adottate sono varie, così come diverso è il livello di
efficienza e i risultati conseguiti. Tre le principali categorie:
–
–
–
Fondazione o Associazione riconosciuta, che opera grazie a un fondo finanziato dai
soci costituenti (tra i quali figura sempre la Regione, spesso singoli Comuni ovvero
Comuni e Province), nell’ambito degli indirizzi dati dalle amministrazioni coinvolte.
È il caso della Torino-Piemonte F.C. (2000); della L’Aquila-Abruzzo F.C. (2001); della Roma-Lazio F.C. (2007); della Milano-Lombardia F.C. (2000); dell’Apulia F.C.
(2004); della Genova-Liguria F.C. (2006); della Calabria F.C. (2002); della Sardegna
F.C. (2006); della Mediateca Regionale Toscana (1984), di cui la Toscana F.C. è un
nuovo dipartimento;
Ufficio interno al soggetto pubblico regionale, estensione diretta di Direzioni degli
assessorati regionali, più spesso alla Cultura, a volte Turismo o Attività Produttive,
con personale dipendente regionale (Emilia Romagna, 1997; Marche, 2001; Sicilia,
2006; Veneto, 2000; cui si aggiunge la Provincia Autonoma di Trento, 2007);
altre forme organizzative, quali convenzioni con privati in forma di associazioni culturali o comitati (Friuli-Venezia Giulia, 2000; Umbria, 2002; Basilicata, 2005); società in house (Campania, società consortile interamente controllata, costituita nel 2003,
attivata nel 2005, nelle competenze dell’Assessorato al Turismo e Beni Culturali).
2.3.3 Film Fund
Come descritto nel paragrafo precedente, sono pochissime le Regioni ad aver attivato Film Fund separati dalle Film Commission almeno strategicamente.
Il caso più antico e maturo, ancora unico nel panorama nazionale, è quello del Friuli-Venezia Giulia, nato con la legge finanziaria regionale 29 gennaio 2003, n. 1 dopo il primo triennio di operatività della Film Commission (la Regione ospita 22 produzioni tra il
2000 e il 2002, a fronte di una «serie storica» precedente di circa una all’anno).
Il Film Fund nasce proprio – all’europea – come evoluzione di quell’esperienza, con
il duplice scopo di incrementare, ma allo stesso tempo selezionare, la presenza sul territorio di produzioni audiovisive e di aumentare il controllo pubblico sugli effetti di ricaduta diretta e indotta. La prima dotazione è di 900mila euro per il triennio 2003-2005: come per il
finanziamento di gestione della Film Commission (che nel triennio 2003-2005 era di 180mila euro annui), anche quello relativo al Film Fund è allocato presso un capitolo di bilancio
dell’Assessorato al Turismo, con conseguente influenza sui criteri distributivi del fondo. La
dotazione viene poi aumentata a 350mila euro l’anno, a seguito dei risultati raggiunti, per il
2004 e il 2005. Nella finanziaria 2006 viene infine definita una nuova dotazione triennale,
ulteriormente aumentata (ma pur sempre suscettibile di variazioni annuali): 420mila euro
annui per il triennio 2006-2008.
Per l’assegnazione delle risorse non vi è alcun richiamo al «valore culturale» delle
opere candidate, come accade storicamente, grazie all’allocazione del Fondo presso l’assessorato alle Attività Produttive (già Turismo), che non ha tra le proprie priorità la tutela di
valore culturale, ma piuttosto interventi mirati a incrementare la spesa diretta sul territorio
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regionale, a creare un circolo virtuoso di occupazione locale, a promuovere l’immagine della Regione nell’accezione più ampia del termine. In questo senso il FVG Film Fund si presenta come un tipico strumento di creazione di un volano economico diretto e indotto.
L’adozione di questo criterio economico porta come conseguenza la non esclusione
dai finanziamenti dei formati «commerciali», primo fra tutti la fiction televisiva, al contrario
privilegiati in virtù dei loro budget consistenti e soprattutto del loro bacino di audience,
molto superiore a quello della maggior parte dei film per le sale o dei documentari. Nel Regolamento del Film Fund, inoltre, non vi è riferimento alcuno alle società di produzione locali, né all’eventuale coproduzione con soggetti locali, né alla tematica o ambientazione regionale del prodotto audiovisivo. Le uniche pregiudiziali sono la realizzazione in Friuli-Venezia Giulia, vale a dire che le riprese abbiano luogo in regione, indipendentemente da dove la storia è ambientata, e la «spesa sul territorio regionale pari ad almeno il 150 per cento
del contributo regionale, ad esclusione delle spese per il personale».
Accanto all’attività, ormai a regime, del Film Fund, con legge regionale n. 21 del
2006 è stato avviato un altro filone di attività, grazie all’istituzione di un secondo Fondo Regionale per l’Audiovisivo. A differenza del primo, di cui è perfettamente complementare, gli
obiettivi del Fondo Regionale sono la formazione, lo sviluppo, la promozione e la distribuzione dei film, oltre alla crescita delle imprese e professionalità locali.
La Campania, in realtà, aveva cronologicamente preceduto il Friuli, con l’approvazione della legge regionale n. 15 del 2002 che aveva previsto e istituito un Fondo «per la partecipazione a co-produzioni cinematografiche, televisive, teatrali, musicali, con Enti pubblici,
Associazioni private, Società di produzione, tv pubbliche e private», nella competenza dell’assessore ai Beni Culturali e al Turismo. Le risorse sono però rimaste indisponibili fino all’autunno 2006, momento nel quale è stato approvato il regolamento di ammissione delle domande di coproduzione e in cui la gestione dei fondi è stata ricondotta alla Film Commission, società consortile contemporaneamente ridisegnata con una modifica dello Statuto, che
ha consentito l’ingresso come soci fondatori anche del Comune e della Provincia di Napoli.
Il Salento Film Fund, fondo rivolto alla produzione audiovisiva dalla Provincia di
Lecce nel 2005, è stato il secondo fondo di origine territoriale nato in Italia, dopo quello del
Friuli-Venezia Giulia. Dopo aver operato autonomamente per due anni anche a livello internazionale (è stato il primo rappresentante italiano nel network europeo CineRegio), nel
2007 le sue attività sono state riassorbite e decisamente ampliate e riorganizzate nella Fondazione Apulia Film Commission, promossa dalla Regione Puglia e con le Province pugliesi come soci fondatori, istituita nel 2004 e operativa dal 2007. Il fondo specifico destinato
alla produzione audiovisiva ha una dotazione di circa 700mila euro, assegnati ai progetti in
base alla ricaduta delle produzioni sul territorio.
La Fondazione Torino Piemonte Film Commission gestisce dal 2007 il Piemonte
Doc Film Fund, fondo destinato ai documentari dotato di 500mila euro l’anno, e partecipa,
insieme al Museo del Cinema e al Torino Film Festival, al Torino Film Lab, laboratorio internazionale per talenti emergenti, con Mediocredito Italiano come partner finanziario. Attraverso la Fondazione, la Regione Piemonte ha anche annunciato nel settembre 2008 l’accordo con la società statunitense Endgame Entertainment per la creazione di una nuova (e
inedita) società di investimento in grado di intervenire sia come partner finanziario, sia produttivo, sia come fondo di garanzia. Dotata inizialmente di un budget di 14 milioni di euro,
la nuova società sosterrà coproduzioni cinematografiche per il mercato internazionale (con
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un tetto del 25% e 4 milioni per progetto, con un vincolo di spesa del 20% del totale sul
territorio piemontese), selezionate a partire dal 2009 da due commissioni paritetiche, una
con compiti di analisi finanziaria, l’altra di valutazione culturale.
La Finanziaria Laziale di Sviluppo (Fi.La.S.) è invece la società deputata all’attuazione della programmazione economica della Regione Lazio, cui afferisce anche il progetto
«F.I.L.M.S. Filming In Lazio Makes Sense», ovvero «Finanziamenti alle produzioni cinematografiche», finalizzato allo sviluppo dell’industria audiovisiva laziale, al sostegno della coproduzione cinematografica e audiovisiva, alla promozione in ambito nazionale, europeo ed
extraeuropeo.
La Regione Lazio ha previsto due tipi di fondo: quello per l’anticipo del rimborso
del credito IVA ai produttori esteri per le produzioni realizzate prevalentemente nel territorio laziale e quello per interventi di venture capital e private equity, rivolto quindi sia a nuove
società con sede nel Lazio, sia a imprese già attive. Quest’ultimo, con dotazione annuale tra
i 5 e i 7 milioni di euro, è nel 2008, insieme alla Fondazione Apulia Film Commission, l’altro membro italiano del network europeo di fondi per l’audiovisivo CineRegio26.
A fine 2007 è divenuto operativo il Fondo della Regione Sardegna, grazie all’approvazione da parte della Giunta regionale delle direttive di attuazione della legge istitutiva del
2006, che rendeva disponibili 1,2 milioni di euro per il 2006 e 1,3 milioni per il 2007 e il
2008 su un fondo di rotazione per la produzione di lungometraggi, nella competenza dell’Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport.
Legge e regolamento hanno ricevuto anche il via libera della Commissione Europea a cui
erano stati notificati ai fini della compatibilità con il regime europeo sugli «aiuti di Stato».
La Regione Sicilia, infine, attraverso la Film Commission Regione Siciliana gestisce
il «Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo», istituito nel 2007, da destinare alle società di produzione. La norma finanziaria stanzia 150mila euro per il 2007 e 750mila euro per
ciascuno degli anni 2008 e 2009 sull’unità previsionale di base «Cinema ed audiovisivo» di
nuova istituzione della rubrica dipartimento beni culturali ed ambientali e dell’educazione
permanente.
2.3.4 Sostegno ai «sistemi» produttivi regionali
In Italia, Piemonte e Lazio sono indubbiamente casi unici. Sono le due Regioni che
storicamente concentrano sul proprio territorio la maggior parte delle imprese cineaudiovisive italiane. Entrambe hanno negli ultimi anni costituito anche Film Fund, considerandoli
uno dei sostegni possibili ai propri già fiorenti sistemi produttivi. Seppure con differenti
modalità, hanno indirizzato a questo settore almeno in parte risorse e strutture amministrative preesistenti, modificando appositamente o interpretando norme più generali.
Il Piemonte è la Regione che contende al Lazio il primato storico sul cinema italiano, sia dal punto di vista storico-artistico che industriale. Attualmente è la terza regione in
Italia per localizzazione di imprese cineaudiovisive, dopo il Lazio e la Lombardia. In realtà,
la competizione si sviluppa tra i due capoluoghi, Roma e Torino, città dove è stato istituito
– all’interno di uno dei suoi monumenti simbolo, la Mole Antonelliana – il primo Museo
del Cinema italiano, strettamente collegato a uno dei Festival cinematografici più importanti in Europa, il Torino Film Festival.
26
Vedi www.cineregio.org.
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Le due Regioni hanno interagito molto diversamente con i propri capoluoghi: il Piemonte ha collaborato, soprattutto nell’arco degli ultimi dieci anni, con la città di Torino per
la realizzazione di tutti i progetti legati all’audiovisivo che sono stati avviati; il Lazio si è trovato, invece, fino all’inversione di rotta in tempi recentissimi (2005), per lo più a dover gestire il peso straordinario e la forza centripeta del Comune di Roma. In entrambi i casi, il
motore dello sviluppo è la città principale, ma l’indirizzo è sempre più quello di coinvolgere prima l’hinterland e poi, gradualmente, estendere il peso degli interventi verso le aree periferiche, fino a toccare tutto il territorio regionale. In ogni caso, la congiunzione TorinoPiemonte è decisamente più stretta e organica di quanto non sia quella Roma-Lazio, indipendentemente dal colore politico delle giunte che si sono passate il testimone nelle due
coppie di amministrazioni.
Il quadro di sviluppo del Piemonte nel settore audiovisivo è sembrato schiarirsi nel
periodo di maggiore difficoltà del gruppo FIAT: nei primi anni Duemila sono divenuti evidenti i risultati di investimenti effettuati, anche in maniera discontinua ed episodica, a partire dal decennio precedente, e la politica audiovisiva è stata posta tra le priorità dei piani di
sviluppo regionale.
I maggiori risultati ottenuti negli ultimi anni sono di tipo strutturale: oltre al citato e
simbolico Museo del Cinema, pesano sulla realtà produttiva locale e fungono da attrazione
per investitori terzi i diversi elementi che compongono il «polo industriale» dell’audiovisivo
torinese e piemontese: l’ultimo in ordine di tempo è il Cineporto, centro di servizi e ospitalità per produttori italiani ed esteri, la cui realizzazione è stata ultimata nell’autunno 2008,
che si affianca ai Lumiq Studios, noti per l’eccellenza tecnologica e ormai entrati in piena
attività (situati all’interno del Virtual Reality e MultiMedia Park); a Telecittà Studios, situato
a San Giusto Canavese (a 20 chilometri da Torino), uno dei più importanti centri italiani di
produzione televisiva; al Parco Scientifico Tecnologico e delle Telecomunicazioni di Tortona (provincia di Alessandria), centro di eccellenza nell’area piemontese per il sistema delle
nuove tecnologie nei settori della comunicazione.
In questo quadro, non va sottovalutato il peso della citata Fondazione Torino Piemonte Film Commission, la più importante in termini dimensionali e operativi in Italia, con
1,5 milioni di euro di budget proprio all’anno e un track record di successo nell’attrarre sul
territorio piemontese produzioni nazionali e internazionali di grande rilievo.
La Regione Lazio ha messo in moto molto più recentemente, nel 2005, meccanismi
di sostegno al cinema e all’audiovisivo, avviando contestualmente una nuova stagione di collaborazione con il Comune di Roma, di cui è partner sia nel Festival Internazionale del Film
di Roma (a fianco del quale ha esordito sin dalla prima edizione del 2006 anche un mercato cinematografico «The Business Street», che mancava in Italia dalla scomparsa del Mifed)
sia nel Roma Fiction Fest, lanciato nel luglio 2007.
Nella legge finanziaria regionale del 2006 si sono visti i primi risultati della precisa
volontà politica in questo senso. Da un lato, sono state introdotte misure di «razionalizzazione» e organizzazione di risorse già disponibili attraverso linee di intervento non specifiche, rendendole accessibili anche agli operatori dell’audiovisivo; dall’altro è stata istituita la
Film Commission unitaria di Roma e del Lazio, in forma di Fondazione, cui partecipano anche tutte le Province laziali, operativa dal febbraio 2007.
In particolare, è stata modificata la l.r. 2/85, dedicata per oltre quindici anni a interventi nel capitale di rischio e ad altri interventi finanziari in favore di piccole e medie im-
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prese del Lazio in stato di crisi, con l’inserimento di provvedimenti specifici di «cofinanziamento di opere cinematografiche realizzate da piccole e medie imprese del Lazio». Il neocostituito fondo è gestito dalla Finanziaria Laziale di Sviluppo (Fi.La.S) S.p.A., che effettua
anche le procedure di valutazione dei progetti. La Regione ha anche modificato la legge sui
«distretti industriali» destinando una quota delle risorse connesse a favore delle imprese ricadenti nell’ambito del settore produttivo del cinema e dell’audiovisivo.
2.3.5
APQ
Recentemente, infine, alcune Regioni (Sicilia, Puglia, Basilicata) hanno fatto ricorso
a uno strumento della programmazione negoziata, segnatamente l’Accordo di Programma
Quadro, per finanziare iniziative in favore e a sostegno dell’audiovisivo. Ciò rappresenta una
novità in quanto la fonte finanziaria degli APQ è congiunta, nazionale e regionale, e l’entità
non trascurabile: l’ammontare complessivo di fondi destinati a questi accordi è circa 70 milioni di euro, di cui 30 di provenienza regionale. Per questo motivo, i suddetti accordi rappresentano un laboratorio delle problematiche della competenza concorrente in materia audiovisiva che saranno oggetto del paragrafo che segue.
3
Il programma «Sensi Contemporanei»: una sperimentazione di cooperazione
tra audiovisivo e sviluppo locale
L’evoluzione del sostegno pubblico all’audiovisivo fin qui descritta evidenzia alcune
tendenze di rilievo. In primo luogo, in Italia come già prima all’estero, il finanziamento all’audiovisivo si sta caratterizzando per una crescente componente regionale e una complementare, relativa contrazione del contributo dello Stato. Ciò, in Italia, avviene contestualmente all’evoluzione verso un federalismo compiuto che tuttavia, in materia audiovisiva,
non è ancora approdata a un assetto regolamentare e delle competenze esaustivo e dirimente. Conseguentemente, le Regioni si muovono in maniera eterogenea, attraverso composizioni diverse e diversamente coordinate di Film Commission e Fondi o leggi regionali, con
il risultato che, nel complesso, il sostegno pubblico all’audiovisivo si presenta oggi come un
coacervo disorganico di strumenti assai diversificati quanto a orientamento strategico, dimensione finanziaria, portata territoriale e natura amministrativa. Ciò alimenta quindi l’esigenza di una riflessione sistematica e d’insieme sul ruolo dello Stato e delle Regioni in materia audiovisiva, che specifichi gli obiettivi generali di una politica per l’audiovisivo, i mezzi e le azioni necessari a perseguirli, e un sistema di governance che ripartisca efficacemente le responsabilità tra le istituzioni competenti27.
Rispetto a questa esigenza, e come già accennato nell’Introduzione, si ritiene utile ragionare su un’esperienza in corso di sostegno pubblico all’audiovisivo, il programma Sensi
27 In questo senso si può leggere l’affermazione del ministro per i Beni e le Attività Culturali on.
Francesco Rutelli contenuta nella Relazione Annuale al Parlamento sul FUS, trasmessa alla Presidenza della Camera in data 19 dicembre 2007: «Al fine di migliorare il coordinamento delle politiche pubbliche per
lo spettacolo e per una ricognizione sistematica delle fonti finanziarie ad esso destinate, appare necessaria
una migliore integrazione tra livelli di governo e l’individuazione di metodologie armonizzate di raccolta
ed elaborazione dei dati, per offrire un quadro il più possibile esaustivo delle dinamiche del settore dello
spettacolo».
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Contemporanei (www.sensicontemporanei.it), che utilizza uno strumento amministrativo
inedito per questa materia, l’Accordo di Programma Quadro.
Sensi Contemporanei è un programma di investimenti pubblici indirizzato all’arte
contemporanea, all’architettura, al design, al cinema, al teatro e allo spettacolo dal vivo, e
realizzato congiuntamente da due amministrazioni centrali – il Ministero per lo Sviluppo
Economico, Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione, il Ministero per i Beni e
le Attività Culturali, Direzione Generale Cinema, Direzione Generale Spettacolo dal Vivo,
Direzione Generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanea – da La Biennale di Venezia, e dalle Regioni del Mezzogiorno d’Italia. Dal 2003, il programma compone risorse nazionali e regionali all’interno di progetti di intervento, a valenza regionale o multiregionale, che si realizzano amministrativamente nella forma di contratti, tra Regione/i e Ministero competente, denominati Accordi di Programma Quadro (APQ).
Gli APQ sono strumenti di «programmazione negoziata» e cioè modalità attuative di una logica di spesa pubblica che, ai fini dell’efficacia e della qualità della spesa, postula la necessità di un coordinamento negoziato tra istituzioni centrali e istituzioni territoriali. In termini
di organizzazione della spesa pubblica, la programmazione negoziata può quindi essere intesa come una soluzione terza tra il dirigismo centralista e la totale autonomia regionale e
per questo motivo l’utilizzo di APQ in ambito audiovisivo rappresenta un laboratorio elettivo per riflettere sull’organizzazione delle competenze e per immaginare nuovi processi di
regolazione istituzionale in ambito audiovisivo.
Nella sua forma tipica l’APQ individua una serie di obiettivi, indica una serie di interventi ad essi strumentali, e regola il governo dell’attuazione.
Gli obiettivi sono comprensivi delle finalità istituzionali dei sottoscrittori, tipicamente la tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale nelle sue varie espressioni per quanto riguarda il MIBAC, lo sviluppo economico (occupazione, infrastrutture, imprenditorialità) per quanto riguarda il MISE, la valorizzazione socio-economica del territorio
per quanto riguarda la Regione. Così, ad esempio, gli APQ denominati «Lo sviluppo dell’industria audiovisiva nel Mezzogiorno» – sottoscritti dalle Regioni Sicilia, Puglia, Basilicata e
in corso di sottoscrizione da parte della Regione Calabria – muovono dal riconoscimento
che l’investimento nel settore audiovisivo costituisce un’opportunità di promozione culturale, ma anche di sviluppo economico e industriale, poiché attraverso la promozione del territorio si possono generare nuove imprese e nuove opportunità di impiego.
Gli interventi si declinano in ragione della presenza/assenza di una definita politica
regionale e in ragione delle disponibilità finanziarie. A un estremo ci sono APQ che prevedono interventi consistenti lungo l’intera filiera audiovisiva (sviluppo/ideazione, produzione, promozione, distribuzione, conservazione); all’altro estremo ci sono APQ che prevedono studi di contesto e analisi di fattibilità, propedeutici alla definizione di una politica regionale sull’audiovisivo cui destinare successivamente ulteriori risorse28. Tutti gli APQ prevedo28
Sicilia, Basilicata e Puglia sono tre realtà che hanno espresso esigenze diverse rispetto al settore
audiovisivo, cui la flessibilità dello strumento permette di rispondere. Nel caso della Basilicata l’esigenza era
di capire se il contesto regionale fosse adeguato a promuovere questo settore e, per verificarlo, ha previsto
azioni di sistema sulla fattibilità e sulle modalità, coerentemente con i principi della filiera dell’audiovisivo. Il
risultato delle azioni è l’individuazione degli interventi prioritari e necessari allo sviluppo di questo settore o
il riconoscimento dell’impossibilità di procedere o l’esigenza di prevedere azioni preparatorie. In ogni caso
mettendo in luce un possibile percorso graduale per produrre politiche pubbliche in questa direzione. La
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no, tra gli interventi, azioni cosiddette di sistema o di accompagnamento29 e cioè azioni finalizzate a presidiare l’orientamento dei processi attuativi agli obiettivi attesi mediante il riconoscimento e la gestione dell’interdipendenza con i territori dal momento ideativo iniziale di un Accordo a quello finale di valutazione dei risultati. Tipicamente, le due dimensioni
dell’accompagnamento sono il lavoro sul campo e l’offerta di competenze. Con «lavoro sul
campo» ci si riferisce alla costituzione di gruppi di esperti anche locali che hanno il compito di compiere una ricognizione del territorio, verificarne le potenzialità e le esigenze, e realizzare il coordinamento orizzontale e verticale (cioè con le amministrazioni centrali) necessario alla valorizzazione delle prime e al soddisfacimento delle seconde. Con «offerta di
competenze» ci si riferisce a una classe di azioni finalizzate alla realizzazione di obiettivi
concreti e misurabili, comprendente seminari tematici, laboratori progettuali, ricerche e
pubblicistica, utili a supportare le scelte regionali.
Il governo dell’attuazione è attribuito a organi/ruoli, di cui sono specificate le responsabilità e i doveri. Il Comitato di Coordinamento è rappresentativo delle amministrazioni centrali e delibera in accordo con l’assessore e la direzione regionale competente. La
Segreteria Tecnica/Organizzativa fornisce supporto di metodo e di merito al Comitato di
Coordinamento. Il Soggetto Attuatore, generalmente il direttore regionale competente, è responsabile dell’attuazione dell’Accordo, e in particolare della tempistica prevista e del monitoraggio amministrativo-contabile degli avanzamenti.
Nella prassi, a latere del dettato contrattuale, si costituisce inoltre un’unità di raccordo tra le amministrazioni centrali e la Regione (team di campo) e dedicata alle azioni di accompagnamento degli interlocutori regionali e locali coinvolti nell’Accordo sul piano amministrativo, contenutistico e nei rapporti con il territorio.
Questa seppur sommaria descrizione dell’APQ basta a mostrare che, nell’ambito di un
APQ, la riuscita di un progetto di intervento è influenzata in maniera determinante dalla qualità del coordinamento istituzionale, sia in senso orizzontale (tra Ministeri) sia in senso verticale (tra Ministeri e Regioni). Nella misura in cui il coordinamento Stato-Regioni è uno
snodo importante delle future politiche per l’audiovisivo, rivolgiamo ora l’attenzione agli
elementi di conoscenza ricavati da un’esperienza ormai triennale di partecipazione a Segreterie Tecniche o Organizzative di APQ sull’audiovisivo30.
Puglia presenta un contesto che ha avviato in modo più o meno spontaneo iniziative in questo settore (vedi supra) e che, tuttavia, a fronte di alcuni interventi già individuati dalla Regione come necessari, esprime
l’esigenza di verificarne la coerenza rispetto alla filiera audiovisiva per definire ulteriori iniziative. Anche qui
l’azione di sistema è finalizzata a ricostruire la filiera locale e a verificarne l’adeguatezza con gli standard necessari. Il caso della Sicilia è ancora diverso: la Regione decide di investire nel settore, destina quindi risorse
a tal fine e ipotizza una serie di interventi seguendo la logica della filiera (preproduzione, produzione e postproduzione) e rinvia l’attuazione degli interventi alla realizzazione di un progetto esecutivo che ne verifichi
la coerenza e le modalità processuali. In questo caso l’esigenza di cooperazione ai vari livelli istituzionali è
definita a priori e costituisce la variabile indipendente che regola il processo di attuazione. I tempi sono più
lunghi, le interazioni diventano necessarie e i ruoli devono essere individuati via via.
29
La duplice denominazione tradisce una differente origine amministrativa, ma si tratta di azioni
analoghe quanto a obiettivi e modalità.
30 La Delibera CIPE n. 21 del dicembre 2007 riduce significativamente la valenza amministrativa dell’APQ sostituendo la sua obbligatorietà con la discrezionalità delle Regioni di farvi ricorso. Tuttavia, per
quanto interessa in questa sede, il valore dell’APQ non è nello strumento in sé, ma piuttosto nel principio
che lo ispira, quello della cooperazione interistituzionale in vista di obiettivi condivisi. Pertanto, nella mi-
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Riflessioni sull’esperienza in corso
La questione del coordinamento del sostegno pubblico all’audiovisivo, a nostro avviso, convoca tre piani decisionali analiticamente distinguibili: il piano degli obiettivi di una
policy per l’audiovisivo, il piano delle conoscenze tecniche, o più semplicemente, dei mezzi strumentali agli obiettivi di policy, e il piano delle modalità di regolazione, o più semplicemente, di coordinamento delle azioni e delle istituzioni coinvolte in quanto interdipendenti rispetto agli obiettivi di policy. Su queste basi, riflettere oggi sull’organizzazione del
sostegno pubblico all’audiovisivo significa riflettere sulla natura degli obiettivi attesi da un
investimento sull’audiovisivo, su un complesso ipotetico/astratto di interventi strumentali
allo sviluppo dell’audiovisivo, e infine su una possibile attribuzione di competenze tra i vari livelli istituzionali coinvolti.
Con riferimento agli obiettivi di una politica per l’audiovisivo, va sottolineato che
l’Unione Europea, dai primi anni Novanta31, ha dedicato attenzione all’audiovisivo, dapprima inserendolo nel quadro della promozione di una cultura e di un’industria europea e, contemporaneamente, della tutela e valorizzazione delle diversità culturali nei paesi membri, poi
estendendo l’interesse agli aspetti economici e industriali del settore e al contributo che l’audiovisivo può offrire alla crescita della competitività dell’Unione. Dal 2000, e in particolare
con la «strategia di Lisbona», l’intervento sull’audiovisivo ha conosciuto crescente legittimazione, grazie all’inserimento dell’audiovisivo nel novero dei fattori di sviluppo della competitività europea e della costruzione dell’economia basata sulla conoscenza più avanzata del
mondo. Obiettivo forse troppo ambizioso per i tempi di attuazione previsti, ma sicuramente fondamentale per impostare una policy in materia diversa rispetto al passato, soprattutto
nel momento in cui, dopo la fase di profonda revisione del quadro regolamentare delle reti di comunicazione che ha dato vita nel 2002 al gruppo di direttive conosciuto come «pacchetto telecom»32, l’audiovisivo – e quindi i contenuti – è stato individuato come settore
produttivo cruciale nell’era digitale33.
sura in cui è confermata l’importanza dell’investimento pubblico nazionale e regionale sull’audiovisivo, e
dato l’attuale quadro normativo, il programma Sensi Contemporanei costituisce un’esperienza privilegiata
per alimentare un nuovo dibattito sulle politiche per l’audiovisivo.
31 L’istituzione del Programma MEDIA è del 1991, vedi supra.
32 Il pacchetto di direttive comprende: la «direttiva quadro» (2002/21/CE); la direttiva in materia
di accesso alle reti di comunicazione elettronica e di interconnessione (2002/19/CE); la direttiva sul servizio universale (2002/22/CE); la direttiva in materia di autorizzazioni (2002/20/CE); a cui si aggiungono
la «direttiva protezione dei dati» (2002/58/CE); la «direttiva concorrenza» (Direttiva sulla concorrenza nei
mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, 2002/77/CE), la «decisione spettro radio»
(676/2002/CE), il regolamento sull’accesso disaggregato alla rete locale (2887/2000/CE). Il pacchetto telecom è, nell’autunno 2008, giunto alla fase conclusiva di un processo di profonda revisione, su cui si è
espresso con il voto il Parlamento Europeo. Le modifiche alle direttive citate – con riflessi e ricadute di
grande importanza anche per l’industria dei contenuti, in particolare nel settore della distribuzione – tuttavia non modificano l’approccio rilevante in questa sede e non comportano dirette conseguenze sulla materia dei rapporti con le Regioni.
33 Vedi «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni, Principi e orientamenti per la politica audiovisiva della comunità nell’era digitale», Bruxelles, 14.12.1999, COM(1999) 657 definitivo; «Comunicazione del Consiglio,
conclusioni del Consiglio e dei Rappresentanti dei Governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio»
del 26 giugno 2000 relative alla comunicazione della Commissione su principi e orientamenti per la politi-
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In coerenza agli orientamenti della Commissione Europea, il Quadro Comunitario di
Sostegno 2000-2006 prevedeva un Asse (il numero 2) di Valorizzazione delle risorse culturali e storiche, con l’obiettivo di «Stabilire condizioni per nuove opportunità imprenditoriali nel settore della cultura e delle attività culturali; accrescere la qualità della vita dei cittadini, la fiducia e
il benessere sociale; valorizzare, tutelare e rendere maggiormente fruibili le risorse culturali del
Mezzogiorno». Inoltre, la priorità n. 5 del Quadro Strategico Nazionale 2007/2013, denominata Valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività e lo sviluppo, pone l’obiettivo di
«valorizzare le risorse naturali, culturali e paesaggistiche locali, trasformandole in vantaggio
competitivo per aumentare l’attrattività, anche turistica, del territorio, migliorare la qualità della vita dei residenti e promuovere nuove forma di sviluppo economico sostenibile».
Questi brevi richiami evidenziano come sia sicuramente acquisito, nel lessico programmatico europeo e nazionale, che cultura e sviluppo economico sono due variabili strettamente correlate: la cultura, nelle sue molteplici forme, alimenta la generazione di valore
economico, e lo sviluppo economico offre opportunità di crescita culturale.
Stabilire se questa acquisizione rappresenti una discontinuità nella riflessione sul rapporto tra cultura, società e dinamiche socio-economiche è compito di una riflessione più ampia che esula dagli obiettivi del presente contributo. In questa sede, assumendo quindi come
dati gli orientamenti programmatici delle istituzioni di governo europeo e nazionale, e sulla
base della panoramica di cui supra su Film Fund, leggi e Film Commission regionali, ci si limita a rilevare che le iniziative regionali in materia audiovisiva palesano un grado di sistematicità assai eterogeneo, sia al proprio interno sia rispetto alle politiche nazionali in materia.
A partire da ciò, si afferma che una politica per l’audiovisivo oggi non può che muovere dal riconoscimento che cultura e sviluppo sono obiettivi distinguibili solo analiticamente, ma non empiricamente. Ne consegue che, quale che sia l’enfasi privilegiata, quella
culturale o quella economico-industriale, e quindi quale che sia la collocazione amministrativa degli strumenti dispiegati, l’efficacia e la qualità di una politica territoriale per l’audiovisivo non può prescindere da una dose considerevole di cooperazione istituzionale, tra ministeri e/o tra assessorati regionali. Eccoci così alla questione dei mezzi.
ca audiovisiva della Comunità nell’era digitale (2000/C 196/01). Sul tema dell’audiovisivo, vedi, inoltre,
«Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni su taluni aspetti giuridici riguardanti le opere cinematografiche e le altre
opere audiovisive», cit.; Risoluzione del Consiglio del 12 febbraio 2001 sugli aiuti nazionali ai settori del cinema e degli audiovisivi (2001/C 73/02); Risoluzione del Consiglio del 24 novembre 2003 relativa al deposito di opere cinematografiche nell’Unione Europea (2003/C 295/03); Proposta di Raccomandazione
del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al patrimonio cinematografico e alla competitività delle attività industriali correlate (presentata dalla Commissione); Parere del Comitato Economico e Sociale Europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al patrimonio cinematografico e alla competitività delle attività industriali correlate (COM(2004) 171 def. 2004/0066 (COD))(2005/C 74/04); «Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16
novembre 2005 relativa al patrimonio cinematografico e alla competitività delle attività industriali correlate (2005/865/CE); «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato
Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni su taluni aspetti giuridici riguardanti le opere cinematografiche e le altre opere audiovisive», Bruxelles, 16.3.2004 COM(2004) 171 definitivo 2004/0066 (COD);
«Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni» sul seguito alla comunicazione della Commissione su taluni
aspetti giuridici riguardanti le opere cinematografiche e le altre opere audiovisive (comunicazione sul cinema) del 26.09.2001 (pubblicata nella GU C 43 del 16.2.2002).
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La distribuzione delle «competenze» in ambito pubblico risulta normalmente dall’incrocio
di due dimensioni: l’ambito territoriale (criterio di output: Stato, Regione, Provincia, Comune) e la materia (criterio di input: Ministeri e Assessorati ai Beni e Attività Culturali, Turismo, Trasporti, Attività Produttive ecc.). Così, le competenze in materia culturale e le competenze in materia di sviluppo economico sono ben distinte in capo a differenti istituzioni,
sia a livello nazionale che a livello regionale, che tendono a rivendicare autonomia nel perseguimento dei propri obiettivi. Ecco che la messa in pratica degli orientamenti programmatici europei e nazionali, e cioè il perseguimento congiunto di obiettivi di carattere culturale e di carattere economico-industriale, incontra generalmente un ostacolo nella struttura
consolidata dei processi deliberativi della spesa pubblica. Ciò vale indipendentemente dall’assetto delle competenze tra amministrazioni centrali e amministrazioni territoriali in
quanto, anche nel caso che le competenze sull’audiovisivo fossero interamente delegate alle Regioni, si porrebbe pur sempre un problema di coordinamento, sempre orizzontale, tra
Assessorati e Direzioni.
In proposito, pensiamo nuovamente alla panoramica di poco fa sulle azioni regionali a sostegno dell’audiovisivo. Strumenti a vocazione economica in quanto «di servizio» come le Film Commission vengono per lo più dotati e investiti di competenze di merito e finiscono così per svolgere una funzione culturale. Analogamente i Film Fund vengono a volte orientati alla promozione della cultura e dell’immagine regionale, anche a scapito del ritorno economico-finanziario dei finanziamenti erogati. E non sempre la collocazione amministrativa degli strumenti – alternativamente il settore regionale «attività produttive» o il
settore «cultura» – riflette la finalità prioritaria, e si generano così incongruenze nella gestione degli strumenti. Nel caso dell’APQ «Lo sviluppo dell’industria audiovisiva nel Mezzogiorno», ad esempio, la congiunzione di finalità culturali e finalità economiche è stata sancita
con l’individuazione dell’oggetto di intervento nella filiera audiovisiva, intesa come l’insieme
dei soggetti e delle attività che intervengono a vario titolo nella produzione, nella distribuzione e nel consumo audiovisivo. E il perseguimento della duplice finalità è stato realizzato, ad esempio, subordinando il contributo alle società di produzione audiovisiva alla progettazione ed esecuzione, da parte loro, di una serie di iniziative (formative, promozionali,
culturali...) sul territorio regionale e a favore del suo sviluppo (le cosiddette «attività parallele»). Queste attività sono quindi entrate nell’oggetto della convenzione tra Regione e società di produzione ma, a valle di ciò, non sono state invece oggetto di controllo e verifica
sistematica da parte dell’amministrazione regionale competente. A queste difficoltà di coordinamento tra dimensione culturale e dimensione economica, e quindi tra le unità amministrative competenti, va aggiunta la difficoltà di coordinamento tra queste e le unità amministrative regionali competenti su materie contigue ma fortemente interdipendenti rispetto
ai risultati attesi. Se la qualità complessiva di un investimento sull’audiovisivo comprende
anche la sua capacità di alimentare sviluppo territoriale, allora va necessariamente riconosciuto e valorizzato il ruolo di altre filiere territoriali, collegate a quella audiovisiva e su cui
il progetto produce «naturalmente» effetti (tipicamente turismo, trasporti, formazione). Pertanto, il processo decisionale dovrà incorporare anche quelle filiere.
La cooperazione istituzionale, declinata anche in termini di intersettorialità, è quindi discriminante ai fini dell’efficienza, efficacia e qualità della spesa pubblica sull’audiovisivo. A questo proposito, l’esperienza di cooperazione istituzionale del programma Sensi Contempo-
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ranei dimostra come la capacità dei territori di darsi obiettivi, di individuare interventi ad
essi strumentali e di strutturare i processi deliberativi e attuativi in maniera efficace sia eterogenea e mutevole e, conseguentemente, la relazione fra amministrazioni centrali e regionali muti nello spazio e nel tempo in ragione di quelle capacità. Come si può evincere dal
diverso contenuto degli APQ menzionati, certe Regioni hanno bisogno di supporto nell’individuazione degli obiettivi, nella progettazione degli interventi, nell’attuazione degli stessi
sul piano giuridico, amministrativo e gestionale; altre no, o solo in parte. Inoltre, nella misura in cui queste attività deliberative e attuative sono distribuite nel tessuto socio-economico locale, alcune Regioni possono avere bisogno di supporto nell’animazione del proprio
territorio, nella ricognizione sistematica delle risorse presenti, nel loro proficuo utilizzo;
mentre altre no. Ne consegue che la cooperazione istituzionale non può che muovere da
una conoscenza piuttosto precisa del territorio, delle sue capacità e delle sue potenzialità riferibili all’ambito dell’intervento che si intende accompagnare. E che la sua concreta attuazione deve combinare scelte centrali e scelte locali in maniera pragmatica, accogliendo le
istanze locali e/o sopperendo alla loro assenza.
Ecco che i mezzi strumentali all’attuazione di una politica per l’audiovisivo si sostanziano nelle competenze necessarie a presidiare l’orientamento dei processi agli obiettivi attesi. Si tratta, più precisamente, di competenze di metodo, ossia relative ai processi deliberativi e alla loro razionale strutturazione, e di competenze di merito, ossia relative allo specifico ambito di intervento, nel nostro caso la filiera audiovisiva e le filiere ad essa connesse.
Infine, affrontiamo il livello delle scelte organizzative.
Nell’ambito degli APQ menzionati, la ratio delle scelte di coordinamento formale,
rappresentate nella figura che segue, è stata la combinazione di competenze di metodo e di
merito che potessero sostenere la cooperazione istituzionale e l’intersettorialità.
Esperti
Segreteria Tecnica
Segreteria Organizzativa
Te a m di
a m po
Team
diccampo
Regioni
Comitato di coordinamento
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Approfondimenti
Poiché i processi sono fisicamente dislocati tra il centro e le regioni, il presidio metodologico-amministrativo è attribuito contestualmente a Comitato e Segreterie, il cui funzionamento è disciplinato da Regolamenti interni, e a un team di campo. Le Segreterie (Tecnica e Organizzativa) supportano orizzontalmente e verticalmente le strutture di governo
del progetto, promuovendo e valorizzando le interazioni tra tutte le strutture che, a vario titolo e per le loro specifiche competenze, sono coinvolte nei progetti (Comitato di Coordinamento, Servizio per le Politiche di Sviluppo Territoriale e le Intese del DPS, Amministrazioni centrali, Regioni Sicilia, Basilicata e Puglia, territorio, produttori e registi). Il team di
campo opera in stretta collaborazione con le Segreterie, dalle quali è preventivamente formato e alle quali restituisce, a seguito dell’attività sul territorio, specifici elementi di conoscenza utili a orientare i progetti verso i risultati auspicati.
Il presidio contenutistico, e cioè di merito, è attribuito invece a figure di esperti della filiera audiovisiva che vengono coinvolti nell’analisi di fattibilità e/o nella «progettazione
esecutiva» degli interventi previsti nell’Accordo con il mandato di rapportare lo stato dell’arte internazionale in tema di promozione, produzione, distribuzione e fruizione audiovisiva, alle potenzialità e alle carenze rilevate sul territorio. In quest’ultimo caso si tratta di un
coinvolgimento coerente alla natura negoziata dell’Accordo, a condizione di considerare «la
progettazione esecutiva» in maniera peculiare: non come redazione di un capitolato vincolante ma come processo conoscitivo utile a perfezionare, precisare e contestualizzare gli interventi previsti nell’Accordo. Così intesa la progettazione, il progetto esecutivo è un documento euristico, che offre cioè ai decisori elementi di conoscenza autorevoli e dettagliati sui
singoli interventi previsti nell’Accordo e sulle loro interdipendenze, presenta per ognuno di
essi almeno due opzioni attuative concrete e ponderate, e fornisce così la base conoscitiva
necessaria all’efficace composizione delle istanze centrali e regionali. Ciò può anche significare la decisione di sostituire alcuni interventi o di ridurne la valenza economica in favore
di altre iniziative non immaginate in sede di sottoscrizione.
La figura che segue illustra la configurazione dell’organizzazione della progettazione
esecutiva nel caso siciliano. Come si vede, la Segreteria Organizzativa, a composizione mi-
Segreteria Organizzativa
Staff di supporto
Supervisori
Capo-progetto 1
Capo-progetto 2
Capo-progetto n
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L’evoluzione del sostegno pubblico all’audiovisivo
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sta centrale e regionale, ha selezionato esperti di audiovisivo, nelle varie articolazioni che la
materia ha ricevuto nell’Accordo, sia in veste di supervisori sia in veste di responsabili della progettazione di singoli interventi.
Nell’esperienza degli autori, le scelte di coordinamento formale come quelle qui illustrate non risolvono esaustivamente e definitivamente le interdipendenze generate da un progetto. Esse rappresentano sforzi di pre-regolazione ma, per definizione, non risultano risolutive ogni qualvolta l’incedere del processo non sia chiaramente e attendibilmente prefigurabile. A ben vedere, ciò non vale solo per gli APQ di cui si ha esperienza ma per qualsiasi progetto caratterizzato da interazioni complesse e mutevoli tra diversi livelli istituzionali, come sono i progetti in materia audiovisiva. Si origina pertanto una distinzione, quella tra coordinamento formale e coordinamento sostanziale, e con essa un piano ulteriore dell’azione di coordinamento, inevitabilmente situato nel processo concreto e nel suo dipanarsi nel tempo.
In altri termini, stanti le strutture e le regole di coordinamento formalizzate in anticipo, ogni progetto di investimento territoriale genera continuamente situazioni nuove e impreviste, rispetto alle quali si tratta, di volta in volta, di ricercare una soluzione di coordinamento praticabile. Questa constatazione, a prima vista di solo buon senso, incorpora invero una distinzione non contemplata dalle normali architetture amministrative della spesa
pubblica: la distinzione tra regolazione e regolamentazione.
Nella logica amministrativa che informa la spesa pubblica, la regolamentazione, e
cioè l’elaborazione ex ante di regole di azione e di coordinamento, è fatta coincidere con la
regolazione, con due principali conseguenze: la prima è che la sola modalità di concepire lo
scostamento dei comportamenti concreti da quelli prescritti è l’inadempienza; la seconda è
che la qualità della spesa viene fatta implicitamente ed erroneamente dipendere dalla sola
conformità ai regolamenti. Invece, concepire la regolazione come un’azione sia previa, e
quindi «regolamentare», sia contestuale ai processi d’azione, consente di ricondurre la qualità della spesa e cioè, più semplicemente, la riuscita dei progetti, anche alla qualità del coordinamento che, stanti i regolamenti in vigore, si realizza nel corso del processo.
Pertanto, sulla base dell’esperienza degli APQ in materia audiovisiva, intesi come archetipo di processi di spesa pubblica a competenza concorrente tra diversi livelli istituzionali, la ricerca di soluzioni di cooperazione istituzionale efficace non può circoscriversi all’elaborazione di regole a priori, ma impone il presidio competente delle interdipendenze impreviste nel corso del progetto, un’azione di regolazione continua, dall’interno dei processi, che ne mantenga l’orientamento ai risultati attesi secondo razionalità istituzionale.
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Considerazioni conclusive
Il contributo ha illustrato la recente evoluzione del rapporto tra il settore produttivo
dell’audiovisivo e la pubblica amministrazione, rilevando come la tendenza odierna al decentramento territoriale del sostegno pubblico all’audiovisivo offra nuove opportunità e risorse per lo sviluppo del settore, a due condizioni. Da un lato, gli investimenti regionali devono inserirsi in una strategia territoriale che componga in modalità sistematica obiettivi di
crescita e valorizzazione culturale e obiettivi di sviluppo economico. Dall’altro, le singole
politiche regionali devono svilupparsi in sintonia con la politica nazionale non solo in ambito audiovisivo ma anche nelle materie contigue dal punto di vista economico-industriale.
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Approfondimenti
Titolo
Pertanto, una certa dose di cooperazione istituzionale, orizzontale e verticale, è ineludibile, a prescindere dalla sterile polarizzazione top-down vs bottom-up che ancora pervade
la riflessione sullo sviluppo locale.
Dal punto di vista industriale, l’attività audiovisiva è complessa, materiale e immateriale, incline ai rapporti pubblico-privato, e in essa il genius loci, e dunque il territorio, assume importanza fondamentale. Dal punto di vista normativo, l’audiovisivo è materia oggetto di competenza concorrente tra Stato e Regioni, ma manca ancora di una precisa collocazione rispetto ai diversi livelli amministrativi. Su questo sfondo, il presente contributo ha riferito di una sperimentazione in corso, il programma Sensi Contemporanei, basata sull’ipotesi di relazione virtuosa tra investimento nell’industria audiovisiva e sviluppo territoriale.
Si tratta di un’esperienza significativa. In primo luogo perché incorpora la cooperazione istituzionale, a diversi livelli, come presupposto essenziale per la definizione di obiettivi concreti e atti a produrre effetti sociali, culturali ed economici diretti e misurabili nel
tempo. In secondo luogo perché, nel rivolgersi all’audiovisivo, individua nella filiera audiovisiva l’unità di riferimento e intervento appropriata (salvo poi rilevare in alcune Regioni la
grave carenza di dati necessari alla sua mappatura). Infine, perché cerca di incorporare nel
duplice obiettivo culturale ed economico anche quelle filiere territoriali, manifatturiere e/o
di servizio, coinvolte o contigue all’audiovisivo (turismo, formazione, artigianato...). Gli
spunti di riflessione che si possono enucleare dall’esperienza di Sensi Contemporanei sono
quindi relativi a queste specificità esemplari e si riflettono sul tema dell’organizzazione complessiva del sostegno pubblico all’audiovisivo.
In particolare, si conferma l’importanza del governo centrale nell’indirizzare la pianificazione e la programmazione degli interventi, ora con contributi di metodo, ora con
contributi di merito, in ragione delle capacità regionali specifiche. Inoltre, il forte coinvolgimento del livello istituzionale territoriale e locale che consegue dall’adozione di una logica
di filiera favorisce una definizione degli obiettivi più puntuale e più adeguata alle esigenze
locali e promuove l’assunzione di criteri di spesa responsabili, mirati all’efficacia, all’efficienza, alla qualità. Infine, l’esperienza di Sensi Contemporanei dimostra che il coinvolgimento
e la responsabilizzazione del mondo produttivo e autorale – nella fattispecie produttori e
registi – è possibile: il riconoscimento finanziario può essere subordinato al loro impegno
a creare «bene collettivo», a sviluppare azioni e interventi a beneficio del territorio e in grado di valorizzarne elementi culturali, paesaggisti e sociali.