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Consumattori
Per un nuovo stile di vita
FRANCESCO GESUALDI
intervista di Vittorio Sammarco
La Scuola, Brescia 2009
pp. 125, euro 9,00
Presentazione del volume
«La crisi che il mondo sta attraversando ha anche qualche vantaggio: quello di costringerci
a fermarci a riflettere su aspetti del nostro vivere quotidiano cui avremmo posto scarsa
attenzione in altre circostanze; quello di impegnarci con domande che mettono in
discussione le abitudini, le opinioni, le certezze che ci hanno sostenuti fino a questo
punto.» (p. 5) Con queste parole, tratte dall’introduzione di Paola Bignardi, direttrice della
collana, inizia questo agile libro-intervista, che in esse trova anche una efficace sintesi. La
crisi viene vista come segnale da cogliere e come opportunità di un ripensamento dei
nostri stili di vita.
Il punto di partenza è un’esperienza concretamente vissuta dall’Autore: quella del Centro
Nuovo Modello di Sviluppo, un’iniziativa nata all’inizio degli anni Ottanta in provincia
di Pisa, un gruppo di famiglie che ha deciso di condividere una forma di vita comunitaria
in vista del portare avanti un progetto ben preciso, quello – appunto – di immaginare un
nuovo modello di sviluppo, fondato su una gerarchia di priorità diversa da quella che fa
attualmente da sfondo all’assetto economico e sociale del mondo occidentale. L’interesse si
era dapprima orientato ai problemi legati agli squilibri tra Nord e Sud del mondo, per poi
comprendere la rilevanza della tematica del consumo. «Il consumo – spiega Gesualdi – lo
scoprii per caso, una mattina, mentre mi apprestavo a riempire la macchinetta del caffè. Mi
accorsi che attraverso quella polverina entravo in contatto con un contadino del Kenya o
un bracciante del Brasile, capii che il nostro coinvolgimento con i meccanismi ingiusti
dell’economia internazionale passa quantomeno attraverso il consumo.» (p. 13) I problemi
di giustizia a livello mondiale e lo stile della nostra vita quotidiana, a ben vedere, si
rivelano profondamente intrecciati. La parola d’ordine diventa pertanto quella di Gandhi:
«Vivere semplicemente, affinché gli altri possano semplicemente vivere». (p. 17)
Uno snodo fondamentale del libro-intervista gravita attorno al concetto di “sobrietà”:
sobrietà significa mettere in questione l’idea, fino ad oggi predominante, della crescita a
tutti i costi. «Non è vero che “di più” fa sempre rima con “meglio” o che crescita si associa
sempre a sviluppo» (p. 20). Sollecitare una riscoperta della sobrietà non è un invito a
tornare ad una società arcaica ed arretrata, non significa disprezzare le utili acquisizioni
della modernità, ma significa invitare a farne uso in modo più consapevole e sorvegliato,
più sano per sé e per gli altri. «In sintesi la sobrietà si può definire come il tentativo di
soddisfare i nostri bisogni impiegando meno risorse possibili e producendo meno rifiuti.
Un obiettivo che si raggiunge più sul piano dell’essere che dell’avere. Uno stile di vita che
sa distinguere tra bisogni reali e bisogni imposti, che i organizza a livello collettivo per
garantire a tutti il soddisfacimento delle necessità umane con il minor dispendio di
energia, che dà alle esigenze del corpo il giusto peso senza dimenticare le esigenze
spirituali, affettive, intellettuali, sociali.» (p. 23)
Parlare di sobrietà, dunque, non significa altro che porre a tema la qualità della vita, sia
nostra che degli altri: ben povera è un’esistenza che punta tutto sulla quantità e non sulla
qualità, tutto sull’avere e non piuttosto sull’essere. Il mondo dei consumi rischia di
generare una forma di inconsapevole schiavitù, in quanto «spesso il consumo è una forma
di compensazione di frustrazioni vissute sul piano psichico, affettivo, sociale.» (p. 24) Ma
la bulimia del consumo non potrà mai saziare una fame che è piuttosto fame di essere, di
relazioni, di valori su cui fondare le scelte della nostra vita. È noto, in questo senso, il
cosiddetto “paradosso della felicità” o “paradosso di Easterlin”, dal nome
dell’economista che lo ha formulato nel 1976: solo fino ad un certo punto la felicità cresce
al crescere del benessere; oltre un certo limite, al contrario, accumulare ricchezza non
genera affatto felicità. Questa realtà viene tuttavia mascherata dalla pubblicità e dagli altri
fattori che determinano buona parte della mentalità contemporanea. «Il sistema si sforza
di farci credere che il benessere si misura solo con la quantità di cose che riusciamo a
infilare nel carrello della spesa, ma così facendo ci riduce a dei bidoni aspiratutto, a dei
tratti dirigenti.» (p. 31) In fondo, è in gioco la dignità stessa delle persone.
Uno dei punti fondamentali nel ripensamento del nostro stile di vita è senz’altro, per
Gesualdi, il “consumo critico”. Lo sguardo del consumatore critico, ad esempio, si
sofferma sullo “zaino ecologico” dei prodotti, ovvero sull’insieme di risorse che sono state
utilizzate per ottenerli, nonché sull’impatto ambientale in termini di rifiuti, insomma: sulla
«parte sgradevole che non vogliamo ricordare, ma che non possiamo cancellare» (p. 50).
Un solo esempio: «per ottenere le nostre 15 tonnellate di alluminio bisogna estrarre dalla
terra una quantità di bauxite che pesa cinque volte tanto, ossia 75 tonnellate, ma fra terra,
rocce e sabbia, la vera quantità di natura smossa è addirittura 27 volte più elevata. Questa
informazione forse lascia indifferenti noi che viviamo in una zona priva di miniere, ma
proviamo a trasferirci in Brasile dove si estrae la bauxite. La prima scoperta che faremmo è
che la bauxite si trova nel bel mezzo della foresta amazzonica e per arrivare ai giacimeni si
sono costruite delle strade che hanno richiesto l’abbattimento di milioni di alberi. La
seconda scoperta è che migliaia di indios sono stati costretti a sloggiare. La terza scoperta è
accanto alle fonderie si accumulano montagne di detriti e altri rifiuti industriali, gran parte
dei quali tossici.» (p. 51) Ecco, dunque, che gli sforzi produttivi necessari per soddisfare i
consumi del mondo ricco incidono spesso drammaticamente sui Paesi poveri in termini di
danni ecologici e di diritti umani calpestati.
L’idea che vi sta alla base, è di rendere il consumatore non un fruitore passivo e supino di
quanto gli viene offerto dal mercato, ma piuttosto un “consumattore”, ovvero un cittadino
attivo, che si interroga criticamente sul proprio modo di spendere nei consumi. «Prima che
consumatori siamo cittadini» (p. 61): ecco la verità fondamentale da cui ripartire secondo
Gesualdi. «Il consumo critico serve proprio a questo: a fare cambiare le imprese attraverso
le loro stesse regole fondate sul gioco della domanda e dell’offerta. Scegliendo cosa
comprare e cosa scartare, da chi comprare e da chi non comprare, non solo segnaliamo alle
imprese i comportamenti che approviamo e quelli che condanniamo, ma sosteniamo le
forme produttive corrette mentre ostacoliamo le altre. In definitiva, consumare in maniera
critica è come votare ogni volta che facciamo la spesa.» (p. 62) La Guida al consumo critico
pubblicata dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo può essere in questo senso uno
strumento significativo per informarsi circa la trasparenza, l’impatto ambientale e la
responsabilità sociale dei soggetti ai quali vanno ricondotti i prodotti che acquistiamo.
Molte sono le forme possibili in cui si può esercitare la virtù del “consumattore”, dal
Commercio equo e solidale, ai Gas (Gruppi di Acquisto Solidale) – gruppi di persone o
famiglie che effettuano acquisti in comune, anche in base a parametri etici – al car-sharing,
ovvero alla condivisione dell’automobile tra più soggetti. Importante è anche l’impegno
nella riduzione della produzione di rifiuti, nella raccolta differenziata e nel riciclaggio dei
medesimi. Varie sono, dunque, le possibili pratiche virtuose dei singoli e dei gruppi; ma è
anche necessario impegnarsi per una trasformazione delle logiche collettive e della
gestione del bene pubblico, ovvero della politica. «Il cambiamento dello stile di vita è
possibile solo se cambiano contemporaneamente le persone e il contesto. Per questo chi
crede davvero nella sobrietà mantiene una forte presenza politica per influire sulle scelte
delle istituzioni.» (p. 27) Infine, è necessario un impegno serio nell’ambito
dell’educazione, poiché spesso le cattive pratiche come la microcriminalità, il vandalismo,
l’evasione fiscale, la maleducazione ambientale… sono frutto di una formazione assente o
inadeguata. Si avverte perciò il serio bisogno di «interventi educativi affinché cambi il
nostro concetto di convenienza, non più basato sul minor prezzo, ma sul massimo rispetto
sociale e ambientale.» (p. 106)
Il libro-intervista si conclude con un invito alla responsabilità personale, e al riscatto dalla
rassegnazione dalla quale sovente ci lasciamo prendere rispetto alle dinamiche negative
che affliggono la nostra società e la nostra storia. «Troppo spesso – afferma Gesualdi – ci
mettiamo la coscienza a posto dicendoci che la responsabilità di ciò che non va è solo dei
potenti: in virtù di questa convinzione si compiono i peggiori misfatti senza che nessuno
abbia colpa. Don Milani ha descritto bene questa situazione parlando dei crimini di
guerra. Scrive nella sua Lettera ai giudici: “A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi
tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler
era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha
autore. C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio
di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani” […]. Quando siamo assaliti da questo senso
di impotenza, dobbiamo ricordarci che nessun potere, neanche il più temibile, sta in piedi
da solo. Il potere sta in piedi perché noi lo sosteniamo attraverso i gesti del vivere
quotidiano: il lavoro, il consumo, il risparmio, il pagamento delle tasse. È proprio
consumando come vuole lui, lavorando come vuole lui, risparmiando come vuole lui, che
noi collaboriamo con il sistema alla stregua di veri complici. Ecco perché anche noi tutti
siamo responsabili dei misfatti del sistema. Ma la nostra responsabilità è solo una faccia
della medaglia, l’altra è il nostro potere.» (pp. 115-117)
«La parola d’ordine del cittadino responsabile – scrive ancora Gesualdi – è occupare tutti i
possibili spazi di potere nella consapevolezza che la politica non si fa solo nella cabina
elettorale, ma in ogni momento della vita: al supermercato, in banca, sul posto di lavoro,
all’edicola, in cucina, nel tempo libero, quando ci si sposa. Scegliendo cosa leggere, quale
lavoro svolgere, cosa e quanto consumare, da chi comprare, come viaggiare, a chi affidare i
nostri risparmi, rafforziamo un modello economico sostenibile o di saccheggio, sosteniamo
imprese responsabili o vampiresche, contribuiamo a costruire la democrazia o a demolirla,
sosteniamo un’economia solidale e dei diritti o un’economia animalesca di sopraffazione
reciproca.» (pp. 117-118) Non siamo, perciò, impotenti: solo, sta a noi volerlo.
L’autore
Francesco Gesualdi, allievo di don Milani, è Coordinatore del Centro Nuovo Modello di
Sviluppo di Vecchiano (Pisa). Collabora con la rivista «Altreconomia». Tra le sue
pubblicazioni recenti, Acqua con giustizia e sobrietà (EMI, Bologna 2007), Acquisti trasparenti
(EMI, Bologna 2005), Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti (Feltrinelli, Milano
2005), Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio equo e solidale
(Feltrinelli, Milano 2003).