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La centralità del manicotto
Un viaggio tra mode, musiche, libri, artisti che hanno forgiato la visione
dell’inverno che ci portiamo dentro, nell’ultimo libro di Adam Gopnik
/ 09.01.2017
di Mariarosa Mancuso
«…cri…i…i…i…icch»… È il ghiaccio che si incrina secondo Guido Gozzano, comprensivo di puntini e
virgolette ben piazzati da uno dei più simpatici poeti italiani – pochissimo letto, però, e citato
soltanto per «le buone cose di pessimo gusto». E noi, pur considerando i puntini di sospensione la
morte della letteratura (nonché il trionfo del poeta dilettante, due sciagure che vanno insieme come
il pane e il companatico) dobbiamo inchinarci alle sue volontà. Prendendo nota dell’eccezione a
conferma dell’altrimenti inviolabile regola. (Vuol dire: non provateci a casa, e neppure nel
manoscritto che custodite nella chiavetta USB).
Il ghiaccio rumorosamente si incrina, nel laghetto gelato al Parco del Valentino torinese. Un brivido
corre tra i pattinatori che cercano di mettersi in salvo: «Ognuno guadagnò la riva / disertando la
crosta malsicura / un soffio di paura / disperse la brigata fuggitiva». Tutti tranne uno, che si sente
sussurrare «Resta!» dalla signorina che lo accompagna. Le mani al caldo nel manicotto, così la
immaginiamo: le pattinatrici hanno sempre un manicotto, a volte anche un colbacco.
Conferma la centralità del manicotto Adam Gopnik, nel suo libro intitolato «L’invenzione
dell’inverno» (Guanda editore). Il capitolo dedicato al pattinaggio è tra i più riusciti, non ci sentiamo
di dire lo stesso per le pagine dedicate all’hockey su ghiaccio (sicuramente è un problema nostro che
non siamo come lui cresciuti in Canada, e che non amiamo neppure il calcio, nessuno si senta
offeso). Il pattinatore, all’origine, era solitario e immerso nelle proprie meditazioni filosofiche.
Preferiva l’imbrunire al pomeriggio rischiarato dal tiepido sole.
Tutta colpa del romanticismo tedesco, un movimento capace di far danni come nessun altro. Decise
di vedere nel rigido e purissimo inverno una stagione da contrapporre alla primavera illuminista,
piena di luce e di speranza. Niente allegri gruppi, quindi. E niente risate. Si pattina da soli, lo fanno
soprattutto i maschi (le donne, come vedremo leggendo più avanti la poesia di Gozzano, sono frivole
e maligne).
Esistono, per esempio, un paio di dipinti che ritraggono Goethe mentre scivola sul ghiaccio. In uno
viene rispettosamente salutato dagli ammiratori, come una star della sua epoca senza selfie.
Nell’altro viene osservato dalle ammiratrici, con un po’ di disappunto. «Come faremo ad attirare la
sua attenzione, basterà una palla di neve?» è la lettura proposta da Adam Gopnik, giornalista del
«New Yorker» che aveva raccontato la sua vita parigina in Dalla terra alla luna (e il suo rientro a
New York in Una casa a New York, e il suo punto di vista sulla storia della cucina e le recenti manie
cuochistiche in In principio era la tavola, tutti da Guanda).
Il passaggio dal pattinatore solitario alle vacanze invernali in allegra compagnia (vanno bene anche
sci o slittino) avviene secondo Adam Gopnik in Svizzera, attorno al 1850. Complici quattro inglesi
rimasti sconosciuti: il saggista ammette che pare una leggenda montana, ma ricorda che le mode
devono pur cominciare da qualche parte. Manca purtroppo all’elenco dei pattinatori la coppia di
Guido Gozzano. Per maggiore sicurezza abbiamo controllato il lunghissimo indice dei nomi,
utilissimo nelle compilation dove alla fine capita di far confusione tra citazioni proprie e citazioni
appena lette.
Manca appunto «Invernale», che come tutte le poesie di guidogozzano – così il poeta si firmava, con
le minuscole prima dell’americano e. e. cummings e del televisivo enrico ghezzi racconta una storia.
Ecco perché, tra tanti poeti lirici, viene fatto sparire in secondo piano: raccontava storie ed era
divertente, altra qualità che i critici italiani non perdonano. Manca anche Ethan Frome, il grande e
straziante racconto montano di Edith Wharton. Lo abbiamo letto con ritardo, non avendo gran
passione per il freddo e il gelo. Colpisce come una pugnalata e ricorda l’incipit di Ford Maddox Ford:
«Questa è la storia più triste che abbia mai sentito». In cambio, leggendo Gopnik abbiamo scoperto
decine di storie (e anche brani musicali, il libro propone una sua colonna sonora) che ignoravamo.
«Resta, se tu m’ami!» aveva detto la signorina. E il malcapitato resta, non senza qualche patema.
Cerca disinvoltamente di pattinare, mentre «Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più tetro… / dall’orlo il
ghiaccio fece cricch, più sordo…». Poi molla la mano della bella e si mette in salvo. Lei, dopo aver
molto volteggiato, lo raggiunge a riva e gli sussurra «Vile!».