SANITARIUM - Laurelli Anastasia

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SANITARIUM - Laurelli Anastasia
(categoria GIOVANI – personaggi: ACHAB, JEKILL, SILENTE)
SANITARIUM
Italia, maggio 1978.
«Lasceremo il manicomio…» sillabò Henry Jekyll. Parlava lentamente, spesso si interrompeva
e rimaneva in silenzio, per lunghi minuti. Ma i suoi occhi erano sempre in movimento,
sembravano schizzare dalle orbite.
Achab, un vecchio marinaio, era seduto alla scrivania; come al solito riempiva pagine e pagine
sul male, incarnato in una balena bianca mai vista in vita sua, ma che, giurava, avrebbe ucciso.
Ogni tanto smontava la gamba di legno -diceva che gli prudeva- e la lasciava ritta sul
pavimento per qualche minuto. Alzò un attimo lo sguardo e sussurrò a denti stretti «verrò ad
ucciderti, bastarda.»
«Cosa faremo? Questa è la mia casa» mugugnò Henry, in panico.
Anche Silente era spaventato, ma riusciva a dissimulare. Era lì dal 1947 ed intanto le cose del
mondo dovevano essere cambiate. Nuove idee, invenzioni, leggi, mode ed una cosa che, Albus
ne era certo, non era cambiata: il disprezzo della gente per gli omosessuali.
«Conoscete la mia missione- dichiarò Achab, bruciando come al solito con l’accendino, uno ad
uno, i fogli appena scritti- salperò per l’oceano e ucciderò quel diavolo.»
«Amico mio -disse Silente- quella balena esiste solo nella tua vecchia carcassa» e picchiettò
più volte l’indice sulla tempia.
«Albus, c’è! Moby Dick c’è, ve lo dimostrerò, non sono pazzo. E mi sta aspettando. Tu, invece,
appena fuori, andrai a caccia di maschi» sparò Achab, prima di cadere dalla sedia per le risate.
Intanto Jekyll seguiva con lo sguardo il ruzzolone del killer di cetacei e con un’agile manovra
della mano gli svitò la gamba. «Rialzati, capitano!» ringhiò Henry, cogliendo l’amico di
sorpresa. Achab e Silente erano abituati agli improvvisi cambi di umore del dottore, che lo
rendevano violento e sarcastico.
«Voi… sì, voi… -riprese Achab- cosa c’è lì fuori? Fuori?» E puntò lo sguardo su Jekyll, segregato
dal 1926.
«Albus, lo sai?» implorò il capitano. All’ex preside mancò il fiato. Quel che sapeva del mondo
era ben poco. Ricordava gli anni Quaranta, ma il mondo di oggi… poteva essere una bomba.
Eppure i suoi amici si rivolgevano a lui, il più vecchio ma il più fortunato. Achab era stato
“imprigionato” nel 1928, a venti anni e con poca esperienza; Jekyll, che tutti chiamavano
“dottore” perché rubava libri ai medici, era arrivato prima, a soli cinque anni, e conosceva il
mondo solo per quel che non è.
Silente si lisciò la lunga barba bianca, lentamente, cercando di riordinare le idee, poi scosse la
testa; no, non ne sapeva molto del mondo, ma ci provò.
«Spero abbiano legalizzato la marijuana» esordì, sorridendo. «E certo! -rise Jekyll- qui per
avere un po’ di Maria, devi andare da Marianna, la ninfomane del terzo piano.» I ventri molli
dei tre vecchi fluttuarono per le risate, ma nelle loro anime si insinuava, sempre più violenta,
la paura.
«Tra pochi minuti saremo liberi… ho paura -mormorò con disappunto Jekyll- Come sarà, lì?
Chi troverò? Cosa farò? Qui sono nessuno, ma ho da mangiare, ho le mie pillole che mi
disinnescano. Ma fuori? Non ho soldi, la mia famiglia mi ha già scaricato una volta. Posso fare
del male. Ma fuori com’è? Ho cinquantadue anni. Pochi per morire, troppi per ricominciare.»
Henry scoppiò a piangere. «Come si fa ad essere normali? Qui dentro posso essere il dottor
Jekyll, fuori perderò anche il titolo. E perderò voi. Vorrei potermi inchiodare a queste mura.
Non ho niente nel mondo.» Il braccio scheletrico di Albus cinse le spalle del compagno. «Non è
mai troppo tardi per vivere, Henry. Ho settantotto anni e sono qui dentro da quando ne avevo
quarantasette per essermi dichiarato omosessuale. Eppure quando sarò fuori mi darò alla
pazza gioia, per quanto le mie ossa me lo permettano.» Guardò Achab, di nuovo lontano, fra i
suoi fogli.
«Nessuno di noi -continuò Silente- ha contatti con l’esterno da quando si sono chiuse quelle
porte alle nostre spalle. E nessuno di noi avrebbe mai creduto di tornare a varcare quella
soglia -il pover’uomo fingeva sicurezza- eppure sta per succedere, amici miei.
Sentiremo di nuovo il sole sulla pelle, il vento tra i capelli, forse riconosceremo i nostri cari, li
perdoneremo, li riabbracceremo, gli sputeremo in faccia. Ho passato trent’anni in questo
posto, ho saputo solo che mia madre è morta e che il mio ex è “guarito”, s’è sposato e ha dei
figli. Hanno cercato di rendermi una persona “normale”. Ma cosa vuol dire essere normali? Per
me è normale desiderare un uomo…Ci inventeremo qualcosa, amici miei».
Albus odiava la menzogna, ma non poteva farne a meno. Non poteva lasciare i due nella paura
e nell’incertezza. Una menzogna rimane tale se usata per distruggere una paura? «Il capitano
andrà in Cina a uccidere balene -incalzò Silente- tu comincerai a studiare Medicina. Tutto
andrà bene, signori.» Achab aveva smesso di scrivere, ascoltava l’amico, mentre Henry si
sentiva agitato, avvertiva come una strana presenza dentro di sé, un alter ego che non riusciva
a venir fuori e che se ne stava rannicchiato in un tornante di cervello, lasciando il campo a
Jekyll.
Solo allora Albus si accorse del dottor Basaglia, fermo sulla soglia, che aveva ascoltato i loro
discorsi e stava asciugandosi le guance, gli occhi ancora umidi.
Con passo lento, strascicato, i tre si avviarono verso l’uscita dell’asilo mentale in cui avevano
passato la parte forse più importante della loro vita. Quando la pelle grigia e secca riscoprì il
sole, il preside omosessuale, il capitano ossessionato e il dottore dalla doppia personalità si
fermarono e si presero per mano. Era passato troppo tempo dal loro ultimo raggio di sole, ora
volevano credere che quella caldissima stella stesse festeggiando il loro ritorno. E così, per
mano, percorsero il piazzale verso il cancello, già spalancato.
«Noi non siamo normali» balbettò senza amarezza Henry, quando si fermarono ad un passo
dal cancello. «Meglio così» rispose Achab. «Noi siamo noi» chiosò Silente. Un ultimo sguardo
d’intesa e poi oltre il Sanitarium, verso la vita, verso facce sconosciute e preoccupate, lì fuori
ad aspettarli. Tutti e tre, senza un ultimo abbraccio, si trovarono rinchiusi in un futuristico
veicolo a motore, con coloro che li avevano già rinchiusi. E partirono per i loro mondi paralleli.