Piacere, Bollani

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Piacere, Bollani
Culture e società
sabato 24 gennaio 2015
23
Il musicista italiano ci presenta il suo lavoro e il concerto di domani a Lugano
Piacere, Bollani
L’improvvisazione, Pino
Daniele, la follia di Sanremo,
la Svizzera, la sua camera...
Stefano Bollani si racconta.
di Beppe Donadio
Un libro illuminante (“Parliamo di musica”), una laurea honoris causa al Berklee
College di Boston, artista ECM, juke-box
vivente, Stefano Bollani è una delle eccellenze del Belpaese, capace di passare
senza imbarazzo da Bernstein a Modugno, da Ravel a Zappa, da Gershwin a Carosone (tanto da scriverci pure un libro).
Il pianista torna domani al Palazzo dei
Congressi, ore 20.30, con Jesper Bodilsen
(contrabbasso) e Morten Lund (batteria).
Ma di Bollani, almeno di quello più recente, ce ne parla lui, direttamente...
Ormai sei di casa in Svizzera...
Devo riconoscenza al pubblico ticinese,
mi sento ben voluto. Collego questa terra
soprattutto al calore che mi viene dimostrato quando suono. Se invece mi chiedi
un ricordo, o un riferimento visivo, dico
l’Auditorium della Rsi, splendida acustica, e i fuochi del Primo di agosto.
L’ultima volta fu un piano-solo,
ora in trio. Cosa succederà domani?
Non ne ho idea. Quello che so per certo è
che suoneremo, concedendo all’improvvisazione almeno il 99% del tempo, pescando dai 4 album che abbiamo registrato insieme. È la formula che amo...
Nel tuo libro scrivi che tra improvvisatori si può suonare anche ‘tre giorni di fila intensamente’ e poi ‘magari
non si va neanche a cena insieme’.
Ma Bodilsen e Lund...?
Il rapporto va oltre la musica, c’è amicizia. Però ci sono anche periodi di allontanamento, infatti domenica suoniamo
insieme dopo tanto tempo. Per la precisione, non ci vediamo da ottobre...
In ‘Sheik Yer Zappa’, ultimo cd, Bollani scompone Zappa, uno che aveva
già scomposto tutto quanto. Suona
come una sfida, anche con sé stessi...
Certamente, confrontarsi con una parte
del suo repertorio è stimolante, però
sento di essere stato il più rispettoso possibile dell’artista, sempre garantendo
massima libertà di espressione, mia e di
tutti i musicisti coinvolti. Sono certo che
dall’ascolto questo si percepisce.
L’Italia. ‘A me me piace ’o blues’ con
Irene Grandi alla tv italiana è forse il
miglior tributo in vita a Pino Daniele.
Un attestato di stima?
Ho amato tantissimo Pino, sono cresciuto anche con la sua musica. La band in
cui ero nel 1988 suonava molti suoi pezzi, le sue cose più blues degli inizi. Ero in
piena sintonia con quelle canzoni, e la
stessa cosa vale per Irene, la scelta di “A
me me piace ’o blues” ci ha trovati uniti.
Nelle tue imitazioni non risparmi
niente e nessuno. Manca qualcuno?
Credo di non avere ancora affrontato Bil-
ly Joel, quello mi manca. Non tanto il pianista, quanto l’autore di canzoni, è un
grandissimo ‘songwriter’.
Hai suonato all’Onu, alla Scala, nei
teatri più prestigiosi del mondo. Tra
poco inizia Sanremo. Differenze...?
Temevo mi chiedessi di parlare del cast
di quest’anno... Sanremo è follia. Le gare
tra musicisti per me non hanno alcun
senso, quindi come ospite ero nella situazione ideale. Mi sono divertito, sia da
solo che con Caetano Veloso, e anni prima con Dorelli. Però non c’è tempo di conoscere nessuno, non c’è spazio dietro le
quinte, i camerini sono piccoli, ci devi
stare dentro in sei, e mentre tu suoni altri prendono il tuo posto. Per salire sul
palco devi chiedere “scusi, permesso” a
un sacco di gente. Così, quando hai finito, puoi soltanto salutare e andare via.
Forse è pure per questo che quando uno
canta, gli altri sono tutti a mangiare...
Il tuo pianoforte sposa un brano
di Fabio Concato (‘Se non fosse per
la musica’) nel suo ultimo album.
E se non fosse per la musica, Stefano
Bollani dove sarebbe adesso?
Quando Fabio mi ha proposto quel brano mi ci sono ritrovato subito. La risposta potrebbe stare nel “certamente viaggerei” della seconda strofa. Lasciare casa
non è mai stato uno dei miei pensieri
giovanili, ma grazie alla musica ho girato il mondo. Magari senza di lei, oggi, a
quarantadue anni, sarei ancora chiuso
nella mia cameretta...
Stefano Bollani e il suo trio
©PAOLO SORIANI
Teresa Mannino, antidiva a Lugano
dens). Scritto a quattro mani con Giovanna Donini, il nuovo show è «un monologo fatto con la voglia di stare con la gente,
per divertirci insieme – afferma –, ogni
sera il pubblico è sempre diverso, si incontrano tanti tipi di persone, per questo
il teatro è magico». Uno spettacolo che
percorrerà molte strade, private e no,
mescolando temi e piani temporali, ma
con il comune denominatore dell’ironia
pungente: «Parto dal presente, anche se
non troppo recente, per parlare del trauma del tradimento... una cosa in cui il
pubblico si identifica sempre, poi torno
indietro nel tempo, alla mia infanzia felice». Non è un caso che l’attrice-filosofa
palermitana si soffermi sui suoi ricordi
di bambina, perché proprio da quel periodo deriva adesso la sua serenità di
donna: «Dalla mia infanzia mi porto dietro l’onestà nei sentimenti: sono stata
molto amata e oggi sono capace di amare. Ho sempre relazioni profonde, intense: sono una da rapporto a due, non da
comitiva». «Non mi importa del giudizio
degli altri, ma sono molto severa con me
stessa». E se è l’amore l’obiettivo che si
prefigge come madre, è anche il regalo
più grande che sa di ricevere dal suo pubblico: «Mi stupisco ancora oggi che la
gente venga a vedermi. E non è falsa modestia la mia: credo che comprare il bi-
glietto, uscire di casa magari anche con il
freddo sia un gesto d’amore forte. Anche
chi mi guarda in televisione fa una scelta,
ma comunque si è a casa, si sta seduti, è
un’altra cosa». Antidiva per eccellenza e
con addosso l’immagine della “ragazza
della porta accanto” – anche se effervescente e senza peli sulla lingua – l’attrice
fa della sua semplicità uno dei punti di
forza del personaggio che tanto piace
alla gente: «Non guardo come sono o
cosa fanno le altre colleghe, io faccio
quello che mi sembra giusto e mi sento
una persona normalissima. La mia vita
quotidiana è noiosa: ho solo la fortuna di
fare un lavoro bizzarro».
ANSA/RED
La semplicità, il suo punto di forza
Parlare di sé le viene naturale, e lo sa fare
bene. Ma non è solo una questione di talento: perché Teresa Mannino ha la capacità, preziosa per un attore, di saper costruire ogni volta una storia dal sapore
speciale, in cui le persone possono trovare un po’ della propria vita. «Mi racconto,
ma sempre con pudore, perché per me è
un valore importante», dice in un’intervista all’Ansa, nel giorno del debutto al
Teatro della Regina di Cattolica, dove da
oggi porta in scena lo spettacolo “Sono
nata il ventitré”, con il quale sarà in tournée fino ad aprile (mercoledì 28 gennaio
sarà a Lugano a Palazzo dei Congressi,
dalle 20.30 per la rassegna Homo Ri-
Fondazione Beyeler
la più frequentata
‘Casta Away’ di e con Enrico Bertolino
al Teatro Kursaal di Locarno
Il 2014 della Fondazione Beyeler, con
sede a Riehen, ha visto moltissimi visitatori, tanto che si può dire che è stato il
museo dedicato all’arte più frequentato
della Svizzera. Complici di questo primato le diverse proposte: da quella dedicata
all’artista tuttora vivente Gerhard Richter (con i suoi 170’846 visitatori), passando per Gustave Courbet ospite con
l’“Origine du monde”, fino all’esposizione
di Odilon Redon.
Per il 2015, è in programma una mostra
dedicata a Paul Gauguin dall’8 febbraio.
Liberamente ispirate dal film “Cast
Away” le penne di Enrico Bertolino e dei
giornalisti Curzio Maltese e Luca Bottura hanno creato lo spettacolo “Casta
Away - La tempesta imperfetta” per la
regia di Massimo Navone, con il già citato Bertolino. Lo spettacolo è proposto
dal Teatro di Locarno e andrà in scena il
28 e il 29 gennaio, a partire dalle 20.30, al
Teatro Kursaal.
“Casta Away” è un’interpretazione in
chiave comica della “tempesta imperfetta” che si sta abbattendo sul mondo di
oggi. La verve comica e cabarettistica di
Enrico Bertolino e la musica del pianista
in scena Teo Ciavarella, entrambi nei
panni di entertainer da crociera, saranno l’occasione per portare su un’isola
deserta la metafora di un Paese tristemente “naufrago”. Una catastrofe da cui
trarre comunque qualcosa di divertente,
perché “una risata salverà il mondo” o
per lo meno ci prova.
Prevendita e informazioni: Ente turistico Lago Maggiore; www.teatrodilocarno.ch.
L’appuntamento è per domenica 25,
alle 16, al Teatro Sociale di Bellinzona
con la rassegna “Primi applausi” che
propone ai bambini dai sei anni in su
(ma non solo per loro) lo spettacolo “La
bicicletta rossa” con la compagnia pugliese Principio Attivo Teatro.
“Questa è la storia della mia famiglia
prima che nascessi”, inizia così la pièce
che racconta la storia familiare di Marta e Pino. Ed è proprio Marta a raccontarla: una narratrice particolare che c’è,
ma non si vede perché ancora cullata
nel pancione della mamma. Il fratello
Pino, papà, mamma e nonna sono i protagonisti delle vicende raccontate: una
famiglia che si guadagna da vivere mettendo le sorprese negli ovetti di cioccolata, ma anche alle prese con l’antagonista BanKomat, che rende difficile la
vita a tutti. “La bicicletta rossa” racconta vicende del nostro tempo, narrate in
un’epoca indefinita e fantastica.
Biglietti acquistabili presso Bellinzona
Turismo, i punti vendita Ticketcorner
oppure sul sito www.ticketcorner.ch.
L’ARTE IN FIERA
un’area di confine tra pittura e scultura.
Mi rendo conto della forzatura ma penso
che valga la pena andare a Bologna, vedere la mostra, poi entrare in Fiera, incontrare ancora opere di Carroll e magari non comprarle. Domenica mattina tra
l’altro Carroll sarà al museo a presentare
il catalogo della mostra.
È poi imperdibile, al museo, l’allestimento di Giorgio Morandi con alcune opere
antiche che lui stimava.
Vale la pena, in Fiera, entrare nello stand
Apalazzo, tergiversare, raccogliere l’esistenza di una fotografia di Edson Chagas
e stupirsi nel vedere accanto due neri di
Olivier Mosset a 30mila dollari l’uno e
magari chiedere perché quella galleria di
Brescia ha scelto un artista svizzero radicale ormai trapiantato in Nord America e discutere del valore e della difficoltà
di sostenere quel lavoro e magari ritrovarsi a discutere di Olivier Mosset che è
invece esposto da Massimo Minini. A
quel punto si può attraversare il corridoio, entrare da Minini e scoprire, accuratamente nascosta dietro la parete, una bella opera di Maurizio Donzelli.
Vale la pena realizzare che l’insistenza
esagerata sulla produzione italiana, in
particolare nell’area storica dove vediamo gli stand di Mazzoleni, Tornabuoni,
Lo Scudo, fa danno e che Emilio Vedova,
se diventa quell’enorme tondo che ho visto nei corridoi, diventa decisamente
meno interessante come artista (mentre
lo è in un enorme quadro in bianco e nero che campeggia nel corridoio dietro
l’angolo).
Vale anche la pena fare un passaggio in
tutta l’area dove stanno Contini, Deniarte, Depaolo e limitrofi e constatare cosa
diventa l’arte del Novecento quando
prende la forma di Botero, Mitoraj, Indiana, o certe situazioni formalistiche che ti
danno una sensazione di vuoto e cercare
di capire, per esempio rispetto a Mosset,
come si struttura il senso.
Vale la pena passare davanti a un quadro
di Lucio Fontana, alla Galleria Tornabuoni, e pensare a come Cristian Chironi ha
utilizzato la sagoma di Notre Dame de
Ronchamp nell’edificio di Le Corbusier
che sta occupando in questo periodo,
proprio di fronte all’ingresso della Fiera.
A quel punto vale la pena visitare il lavoro di Chironi ma anche suonare il campanello, dire «ho letto su ‘laRegioneTicino’ che Cristian Chironi prepara il caffè a
tutti» e metterlo alla prova; in teoria dovrebbe prepararlo, se non lo ha finito. In
ogni caso, il suo progetto merita attenzione. Ci sono molti altri pro e contro la
Fiera che si possono però dire solo dopo
esserci passati: per esempio, da Continua, il dialogo tra fotografia e scultura in
Sugimoto e Ozzola; per esempio, misurare la distanza tra Bologna e Ginevra,
dove la Fiera sarà la prossima settimana.
Perché sì, perché no
da Bologna Vito Calabretta
Perché andare a Bologna durante Artefiera? Per fare una sosta al museo Mambo, vicino alla Stazione Centrale e vedere
la mostra dedicata a Lawrence Carroll
che i ticinesi conoscono attraverso le collezioni del Museo Cantonale e le esposizioni della galleria Buchmann e che viene presentato nella sua produzione recente, la quale lo svela ulteriormente
come non-pittore, utilizzatore della tecnologia del ready-made nell’ambito di
Al Sociale con una bicicletta rossa
si racconta una storia familiare