Appunti diseguali sulla frase «Né destra, né sinistra»

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Appunti diseguali sulla frase «Né destra, né sinistra»
Appunti diseguali sulla frase «Né destra, né
sinistra»
di Wu Ming
Ho preso questi appunti nel corso del tumultuoso, convulso 2011, anno di insurrezioni,
detronizzazioni, disvelamenti e nuove confusioni. Per la precisione, sono note scritte nel periodo
aprile-settembre 2011.
Alla bruta materia di queste frasi annotate live, nel pieno degli eventi, non ho saputo imporre alcuna
struttura solida e coerente. La numerazione di paragrafi e capoversi è il residuo di un tentativo in tal
senso, sostanzialmente fallito.
1. CHI DICHIARA COSA?
1.a. Negli ultimi tempi si sente sempre più spesso la frase: «Non siamo di destra né di sinistra».
Talvolta, l’ordine dei fattori è invertito: «Non siamo di sinistra né di destra».
Non è certo una frase nuova, l’abbiamo udita tante volte. Eppure, tendendo l’orecchio, possiamo
registrare una prima, piccola novità: il soggetto plurale ricorre più spesso di quello singolare. Il noi
sta scalzando l’io. Fino a qualche anno fa, questa “dichiarazione di non-appartenenza” era il più
delle volte a titolo personale. Oggi, invece, è sempre più sovente l’enunciazione di soggetti
collettivi.
1.b. Se continuiamo ad ascoltare e intanto ci guardiamo intorno, possiamo comprendere il perché
della coniugazione plurale: se ieri, nella stragrande maggioranza dei casi, la frase era espressione di
qualunquismo destrorso (ovvero, chi premetteva di «non essere di destra né di sinistra», novanta
volte su cento era in procinto di attaccare politiche o personaggi di sinistra), di recente la questione
si è ingarbugliata: in giro per l’Europa, nuovi movimenti, anche molto diversi tra loro, si fanno un
punto d’onore di dichiararsi non-appartenenti ad alcuno dei due campi politici. Si va dal nostrano
Movimento 5 Stelle, si passa per i «Partiti dei Pirati» che hanno ottenuto buoni risultati elettorali in
Germania e altri paesi, e si giunge ai cosiddetti «Indignati», movimento transnazionale che ha i suoi
miti delle origini nelle rivolte nordafricane e nelle mobilitazioni spagnole partite il 15 maggio 2011.
1.c. La mia convinzione è che, a seconda del soggetto che la dice, del contesto in cui viene usata e
delle pratiche a cui si accompagna, il significato della frase di cui al punto 1.a. si trasformi in
maniera radicale.
2. IL PARADOSSO DI QUADRUPPANI
2.a. Una volta ho sentito lo scrittore francese Serge Quadruppani dichiarare: «Ci sono due modi di
non essere né di destra né di sinistra: un modo di destra e uno di sinistra».
L’apparente paradosso spaziale – quasi da disegno di Escher – può aiutarci a trovare l’orientamento
nel territorio dei nuovi movimenti. In parole povere: la frase «Non sono di destra né di sinistra» è
un velo che possiamo e dobbiamo lacerare, per capire quali tra i nuovi movimenti appartengano al
composito phylum (ma è una vera e propria treccia composta di tanti fili) che per comodità o
richiamo a una tradizione chiamiamo «Sinistra», e quali invece al phylum che chiamiamo «Destra».
2.b. Per capirci: io credo che gli Indignados spagnoli siano di sinistra. Si tratta di un movimento
egualitario, anticapitalista, non privo di interlocutori a sinistra e indubbiamente ostile a ogni destra
politica e sociale.
Di contro, il «grillismo» mi appare sempre più come un movimento di destra: diversivo, poujadista,
sovente forcaiolo, indifferente a ogni tradizione (anche recente) culturale e di lotta, noncurante di
ogni provenienza politica.
2.c. Esistono discorsi e circostanze in cui il concetto di “Sinistra” è messo in discussione «da
sinistra», in quanto insufficiente, inadeguato, eccessivamente inscritto in una rappresentazione
parlamentare o para-parlamentare.
Il filosofo Alain Badiou, in una celebre conferenza sulla Comune di Parigi, ha proposto di chiamare
«sinistra»«l’insieme del personale politico parlamentare che si dichiara il solo capace di assumere le
conseguenze generali di un movimento politico popolare singolare. O, in un lessico più
contemporaneo, il solo capace di fornire un ‘esito politico’ ai ‘movimenti sociali’.»
In questo senso, secondo Badiou, la Comune di Parigi fu una rottura con la sinistra, poiché «non
rimise il proprio destino nelle mani dei politici competenti» per poi, come sempre accade,
lamentarsi del loro «tradimento». Per Badiou «questa volta, quest’unica volta, il tradimento fu
invocato come uno stato di cose al quale ci si doveva finalmente sottrarre, e non come una
conseguenza disgraziata di quanto si era scelto».
2.d. Il linguista cognitivista George Lakoff (esponente della sinistra “liberal” statunitense) ha più
volte criticato la rappresentazione destra-sinistra, perché fa pensare che le persone siano allineate
l’una l’accanto all’altra su un piano bidimensionale, e che si possa procedere con continuità da
“quello più a destra” a “quello più a sinistra”. Invece, dice Lakoff, la realtà è multilineare e
multidimensionale, il modo in cui si formano le nostre idee è complesso ed esistono molte persone
«biconcettuali», ovvero progressiste su alcuni temi e conservatrici su altri.
La coppia antitetica progressista/conservatore mi suona ben più problematica e insoddisfacente di
destra/sinistra, ma non mi interessa criticarla in questa sede. Quello di Lakoff è un discorso che in
Italia possiamo capire senza sforzi: una grossa fetta di «popolo cattolico» è composta da
biconcettuali: «di sinistra» su molte questioni sociali ed economiche, «di destra» in materia di
questioni di genere, sessualità, diritti civili.
2.e. La rottura prodotta dagli Indignados nei confronti della sinistra spagnola mi sembra sintetizzare
– in modo precario, transitorio – queste due impostazioni: il 15 maggio 2011 si è trattato di sottrarsi
al «tradimento come stato di cose», e al tempo stesso di parlare al maggior numero di persone
possibile, di raggiungere le parti «progressiste» dei cervelli biconcettuali, e di farlo non a colpi di
mediazioni al ribasso, bensì scompigliando l’antinomia: «Non siamo di destra né di sinistra: siamo
los de abajo», ovvero quelli di sotto, quelli che vengono dal basso.
3. «STORICIZZARE AL MASSIMO»
3.a. Il difetto del discorso di Lakoff è che non sembra esserci posto per la storia. In questo, Lakoff è
molto americano, il suo mondo è tutto sincronico, schiacciato sull’adesso.
«Storicizzare sempre!», intimava Fredric Jameson, con tanto di punto esclamativo, all’inizio del suo
capolavoro L’inconscio politico (1981). «Storicizzare al massimo, per lasciare meno spazio
possibile al trascendentale», disse Michel Foucault in un dibattito del 1972.
La sostanza del concetto di «Sinistra» può essere capita solo con un approccio diacronico che ne
ripercorra la genealogia e le trasformazioni. «Sinistra» è qualcosa che discende i fili del tempo in un
certo modo, a partire dalla Rivoluzione francese, e si evolve attraversando due secoli di lotte.
3.b. Io stesso penso che «Sinistra» non basti a descrivere le mie posizioni, e trovo utile aggiungere
precisazioni e qualificazioni. Io non sono semplicemente di sinistra: io mi riconosco in un phylum
di idee rivoluzionarie e lotte per l’uguaglianza che attraversa i secoli; penso che la specie umana –
previa una rottura radicale nella temporalità in cui siamo immersi – debba avviare la fuoriuscita dal
capitalismo; penso che l’obiettivo da realizzare sia la società senza classi etc. Un mio amico usava
dire: «Io non sono di sinistra: sono comunista!»
Tuttavia, è chiaro che se devo semplificare ed evitare di aprire troppe parentesi, non mi faccio
problemi a dire che sono di sinistra.
3.c. Ricapitolando: in certi casi il concetto di «Sinistra» è criticato per la sua insufficienza da punti
di vista che si sono formati nel phylum della sinistra rivoluzionaria. A questo proposito, si possono
citare gli anarchici, ma anche gli zapatisti.
Di solito, in questi casi, la dichiarazione di «non-appartenenza lineare» si accompagna a pratiche
egualitarie, alla presenza di interlocutori «privilegiati» a sinistra e all’ostilità verso qualunque
destra. A diverse latitudini e in diverse fasi del loro percorso, nonostante i problemi, tanto gli
anarchici quanto gli zapatisti hanno cooperato con diverse correnti della sinistra.
3.d. Certo, può anche succedere che movimenti originariamente di sinistra cerchino interlocutori a
destra, o meglio, tra i fascisti. Nella storia del nostro phylum ricorrono confusionismi e infiltrazioni,
orridi esperimenti «rosso-bruni», «nazi-maoisti», «terze posizioni» etc.
Il fascismo stesso, fin dalla nascita, si presenta come una «terza posizione». Il fascismo è un
prodotto dello spavento, sorge e si diffonde per reazione alle lotte del movimento operaio e
bracciantile. L’ascesa del fascismo è l’oscillare del pendolo a destra dopo l’oscillazione a sinistra
del Biennio Rosso. Il Nemico n.1 è la Bestia Proletaria che ha osato alzare la testa. La cattiva
coscienza del fascismo nei confronti della sinistra (dalla quale il suo Duce e molti suoi dirigenti
provengono) e dell’arditismo (dal quale provengono svariati squadristi, benché in minor numero di
quanto si pensi, e nel cui alveo si è formato l’unica formazione che ha opposto resistenza armata
allo squadrismo, ovvero gli Arditi del Popolo) si manifesta nell’adozione di simboli e
nell’imitazione di retoriche degli avversari. La stessa parola «fascio» viene prelevata nel phylum
della sinistra (i «fasci operai», i «fasci siciliani dei lavoratori»), e resa inutilizzabile.
Il fascismo vince e la memoria degli avversari diviene bottino di guerra: il vincitore si presenta
come unica forza popolare e unico nemico del capitalismo che ha appena salvato (o meglio, di una
più vaga e comodamente denunciabile “plutocrazia”). Facendosi regime, il fascismo carpisce lo
spirito vitale dei nemici che ha sconfitto.
4. GRILLISMO E FALSI EVENTI
4.a. C’è un modo più «normalizzante» e di destra (nonché largamente maggioritario) di dichiararsi
né di destra né di sinistra. Qui l’attitudine è: «rossi e neri sono tutti uguali» (cfr. la celeberrima
scena di Ecce Bombo in cui Nanni Moretti attribuisce a generici «film di Alberto Sordi» la
responsabilità di tale cliché). Si afferma l’equivalenza e l’indistinguibilità tra diversi percorsi e
storie. Si getta tutto nel mucchio, occultando il conflitto primario – quello a cui i concetti di
«Destra» e «Sinistra» continuano ad alludere, anche se più flebilmente che in passato, ossia la lotta
di classe – in nome di surrogati, diversivi, conflitti sostitutivi come quello tra la «gente» e i
«politici», la «casta» etc.
4.b. Il grillismo non è solo un «caso di studio»: è un’urgenza, un problema da affrontare quanto
prima. In uno spazio «né di destra né di sinistra», retoriche e pratiche in apparenza vicine a quelle
dei movimenti euroamericani di cui sopra vengono «risemantizzate» e messe al servizio di discorsi
ben diversi. Le energie di molti benintenzionati, in maggioranza giovani o addirittura giovanissimi,
sono incanalate in un discorso in cui sono rinvenibili elementi di criptofascismo.
Non mi riferisco solo allo spettacolare Führerprinzip che il movimento mette in mostra durante le
sue adunate pubbliche con ex-cabarettista sbraitante, fin dal celebre «V-Day» dell’8 settembre
2007. E’ senz’altro l’elemento più appariscente, ma da solo non giustificherebbe l’uso
dell’espressione «criptofascismo».
4.c. Il prefisso «cripto» deriva dal greco, e lo si usa per qualcuno che nasconde (di solito male) la
sua vera natura. «Criptofascista» allude a un discorso cifrato, decrittando il quale si trova un animus
fascistoide. Di solito tale «cifratura» si riscontra nei movimenti di impronta qualunquista /
poujadista / destrorso-populista etc. Tra questi ultimi si può annoverare la Lega Nord.
La cifratura del grillismo è molto peculiare. Il nocciolo criptofascista è avvolto da fitti banchi di
nebbia e fuffa. Il modo in cui il movimento descrive se stesso trasuda di quella retorica dei
«processi dal basso» che il grillismo ha avuto in dote dai movimenti altermondialisti di inizio secolo
e si è adoperato a ricontestualizzare. Per molti versi, il grillismo è un prodotto della sconfitta dei
movimenti altermondialisti: ha occupato lo spazio lasciato vuoto da quel riflusso. Per citare Žižek
che parafrasa Benjamin: «Ogni fascismo è testimonianza di una rivoluzione fallita».
4.d. Il dirigente grillino Giovanni Favia, per descrivere il «Movimento 5 Stelle», ha usato il
concetto deleuzo-guattariano di «rizoma». Metafora botanica, il «rizoma» indica una distribuzione
di messaggi e/o produzione di concetti non-gerarchica né lineare, che può passare da un punto
qualsiasi a un altro punto qualsiasi, muovendosi potenzialmente in qualunque direzione. Deleuze e
Guattari contrapposero il rizoma all’albero, metafora che indica l’esatto opposto: una struttura
verticale e gerarchica, funzionante per passaggi obbligati da un centro alle sue periferie.
Tuttavia, Beppe Grillo è proprietario unico del logo e del nome «Movimento 5 Stelle», ed è lui a
decidere insindacabilmente chi possa usarlo. Percorso obbligato tipico di una struttura arborescente,
cioè l’opposto del rizoma.
4.e. La retorica autoreferenziale e auto-elogiativa del grillismo è mistificante. Non è su di essa che
dobbiamo concentrarci, ma sui modi in cui il movimento addita e descrive i propri nemici.
Presso il grillismo, l’individuazione del nemico è sempre diversiva. In questo, è in «buona»
compagnia: in Italia, negli ultimi anni, abbiamo visto movimenti tutti focalizzati sulla «disonestà
dei politicanti», sui privilegi della «casta» etc. Sono problemi veri, e al contempo falsi bersagli: le
decisioni importanti sull’economia non vengono prese a Roma, perché il potere capitalistico
sovranazionale non autorizza la politica in tal senso.
Diceva tempo fa un compagno: «’Ce lo chiedono i mercati’ è il nuovo ‘Sento le voci nella testa’.
Puoi fare le peggiori cose e nessuno ti riterrà responsabile!» «Ce lo chiedono i mercati» è il
tormentone di un’epoca in cui la politica è esautorata. Qualunque discorso sulla «Casta», anche
quando basato su dati di fatto reali, alimenta una strategia di depistaggio e impedisce di individuare
e attaccare i nemici veri.
4.f. Certo, anche il grillismo si occupa di economia e, seppure disordinatamente, denuncia la
subalternità a essa della politica. Tuttavia, nel farlo, non può fare a meno di introdurre ulteriori
diversivi e simulacri. Ad esempio, incanala la critica ai meccanismi finanziari in un discorso
paranoide contro il cosiddetto «signoraggio», cavallo di battaglia di vari complottismi destrorsi. A
lungo il grillismo si è valso della consulenza di Eugenio Benetazzo, bizzarra figura di economista
che si definisce «fuori dal coro», più volte ospite di iniziative del partito neofascista Forza Nuova.
4.g. I movimenti che si concentrano a lungo su falsi bersagli diventano, per dirla con Badiou,
«fedeli a falsi eventi».
Falso evento è anche la «rivoluzione di Internet» come la descrive il grillismo: processo
unilateralmente positivo, salvifico, che promette la risposta a ogni problema. L’approccio alla rete è
all’insegna di un feticismo digitale e di una sorta di «animismo» che vede nella tecnologia una forza
autonoma, trascendente le relazioni sociali e le strutture che invece la plasmano, determinandone
sviluppo e adozione. La Rete diventa una sorta di divinità, protagonista di una narrazione
escatologica in cui scompaiono i partiti (nel senso originario di fazioni, differenze organizzate) per
lasciare il posto a una società mondiale armonica, organicista. L’utopia di un uomo è la distopia di
un altro.
A chi pensa che stia esagerando, consiglio il video «Gaia. Il futuro della politica», realizzato nel
2008 dalla Casaleggio & Associati, agenzia di pubblicità e web-marketing organica al grillismo.
Guardandolo, mi è tornato alla mente il concetto coniato dallo storico americano Jeffrey Herf per
descrivere il tecno-entusiasmo delle destre tedesche tra le due guerre mondiali: «modernismo
reazionario».
Va ricordato che non più di una decina di anni fa Beppe Grillo demonizzava i computer e li
sfasciava sul palco durante i suoi spettacoli. Adesso li osanna ed esalta la rete libera e bella, il
«popolo della rete» etc.
5. DOVE L’ASINO CASCA: GRILLISMO E IMMIGRAZIONE
5.a. E’ la tematica dell’immigrazione quella in cui il discorso grillino si fa più decifrabile e lascia
trasparire l’animus fascistoide. Il blog di Grillo offre non poche «perle» in tal senso. Ecco
un’arringa contro romeni e zingari risalente all’ottobre 2007:
«Un Paese non può SCARICARE SUI SUOI CITTADINI i problemi causati da decine di migliaia
di rom della Romania che arrivano in Italia. L’obiezione di Valium [Romano Prodi, N.d.R.] è
sempre la stessa: la Romania è in Europa. Ma cosa vuol dire Europa? MIGRAZIONI SELVAGGE
di persone senza lavoro da un Paese all’altro? Senza la conoscenza della lingua, senza possibilità di
accoglienza? Ricevo ogni giorno centinaia di lettere sui rom. E’ un vulcano, una BOMBA A
TEMPO. Va disinnescata. Si poteva fare una MORATORIA per la Romania, è stata applicata in
altri Paesi europei. Si poteva fare un serio controllo degli ingressi. Ma non è stato fatto nulla. Un
governo che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini a cosa serve, cosa governa? CHI PAGA
per questa insicurezza sono i più deboli, gli anziani, chi vive nelle periferie, nelle case popolari.
Una volta i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati.»
5.b. Non esiste quasi più discorso razzista che non sia fatto… in nome dell’antirazzismo. E’ in
nome dell’antirazzismo che il grillismo fomenta l’odio. Cito da un altro articolo del blog di Beppe
Grillo, pubblicato nel maggio 2011 e intitolato «Un clandestino è per sempre»:
«In Italia sono entrati 20.000 TUNISINI, della maggior parte di loro non si sa più nulla, che fine
abbiano fatto. Pochi sono riusciti ad arrivare in Francia. Vagano per la penisola senza sapere una
parola di italiano. In nessuno Stato del mondo questo è permesso con una tale SERENITÀ
D’ANIMO, da noi si. Il motivo è semplice, sono utili ai profitti delle aziende, ai partiti, alle mafie.
Il clandestino è MULTIUSO come un coltellino svizzero. Per ricevere qualcuno a casa tua devi
disporre delle risorse per farlo. Dargli un lavoro dignitoso, un letto, organizzare l’integrazione.
Altrimenti devi interrogarti se stai giocando con la DINAMITE e con il futuro della tua nazione.»
Si parte dalla denuncia dello sfruttamento di cui sono vittime i clandestini, e si arriva alla
conclusione che bisogna impegnarsi a respingerli, in nome della nazione. Una premessa umanitaria,
capace di blandire la parte progressista ed egualitaria di un cervello «biconcettuale», apre la via a un
discorso che ne vellica la parte conservatrice e razzista.
5.c. Grillo alza un polverone sensazionalistico ed eccezionalistico («Solo in Italia!») per un numero
irrisorio di tunisini sbarcati nella primavera 2011. E’ la stessa impostazione truffaldina dell’allora
ministro degli interni Maroni, il quale parlò di inesistenti «maree di immigrati» e reclamò un aiuto
da parte dell’UE, che gli rispose con un misto di disprezzo e commiserazione.
Parlare di lassismo e «serenità d’animo» in tema di immigrazione equivale a occultare leggi
criminali e criminogene come la Turco-Napolitano, la Bossi-Fini e i vari «pacchetti sicurezza». A
produrre clandestinità non sono presunte politiche lassiste, bensì, all’opposto, politiche troppo
restrittive e vessatorie, in parte disfunzionali anche dal punto di vista capitalistico, concepite per
soddisfare una parte di elettorato il cui razzismo eccede quello strutturale e «sistemico» necessario a
regolare il mercato del lavoro.
Una mistificazione presente in molti testi prodotti da Grillo e del suo movimento consiste nel dire
che l’accoglienza ai migranti favorirebbe la Lega Nord. Al contrario, è la mancata accoglienza a
favorirla. La Lega ha sempre avuto interesse a mantenere una situazione criminogena che
producesse clandestinità e quindi disagio da additare e stigmatizzare.
A seguire, si capovolge la realtà: Grillo, in pratica, sostiene che l’Italia non avrebbe le risorse per
mantenere gli immigrati. Ma secondo il «Sole 24 Ore», si dovrebbe proprio agli immigrati (l’8%
della popolazione italiana) il 10% del nostro PIL. Gli immigrati lavorano, pagano contributi
all’INPS e permettono all’ente di erogare le pensioni ai nostri anziani. Ammesso che abbia senso
distinguere tra «noi» e «loro», sono loro a produrre le risorse per mantenere molti di noi.
5.d. Una volta dispersa la fuffa, del discorso grillino sui migranti non resta che il nocciolo razzista e
fascistoide.
http://www.wumingfoundation.com 31 gennaio 2012.