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DIO ORDINA A GIACOBBE DI FARE UN PELLEGRINAGGIO
Genesi capitolo 35
Questo è l’ultimo capitolo che tratteggia Giacobbe come patriarca, persona scelta da Dio ed
a cui egli affida “le promesse”. In questo capitolo vengono ricordate e poste alla rinfusa,
senza nesso tra di loro, alcune tradizioni che riguardano il patriarca.
Così il suo pellegrinaggio a Betel, che di fatto era il pellegrinaggio che l’antico Israele
compiva al tempo dei Giudici ( XII°-XI° secolo a.C. ), da Sichem a Betel, e che qui viene
fatto risalire al tempo di Giacobbe quasi ne fosse l’iniziatore. Il Signore si rivolge a
Giacobbe che si trova a Sichem, dove aveva comperato un terreno, e gli dice:
v.1 Alzati e sali a Betel…costruisci in quel luogo un altare al Dio che ti è apparso…Il verbo salire ha il
significato di ‘andare in pellegrinaggio’. Nel salterio si hanno quindici salmi detti “canti delle
ascensioni” (120/119…134/133), che i pellegrini cantavano salendo a Gerusalemme. È il
tema del santo viaggio, che era sempre un ‘salire’ al monte del Signore. Lo fa più volte Mosè al
Sinai (Es 19,3 e 20; 24,1. 9. 12; 34,2; Dt 10,1. 3.) ed anche Elia sale al monte Oreb ( 1Re 19,
5-8). Sia Isaia (2, 2-5) che Michea (4,1-4) vedono nell’epoca messianica il grande
pellegrinaggio di tutti i popoli al monte del Signore.
Affluiranno ad esso i popoli; verranno molte genti e diranno: Venite saliamo al
monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe… (Mi 4,2)
v. 2 Eliminate gli dei stranieri che avete con voi, purificatevi, cambiate gli abiti. Per ottenere la grazia
del cammino, ed essere degni di salire sul monte santo, è necessaria una purificazione.
Specialmente dall’idolatria, tentazione sempre presente in Israele, in particolare agli inizi
della sua storia (Es 20,4-6; Dt 6,14-15). Adonai si era presentato più volte come un Dio
‘geloso’ (Es 34,14; Dt 5,9; Ez 39,25), che non ammette compromessi con l’idolatria. In
Giosuè 24,16-24 Israele si era impegnato ad avere solo Adonai come suo Dio. Paolo
riprenderà il tema (1Cor 10,22) e così Giacomo nella sua lettera (4,5).
v. 3 Saliamo a Betel… al Dio che mi ha esaudito…ed è stato con me nel cammino. Viene
ricordata la preghiera di Giacobbe a Betel (Gen 28,20-21), che Dio aveva pienamente
esaudito. Adonai era stato con Giacobbe durante tutte le sue peripezie e lo aveva fatto
tornare a casa con una grande famiglia e molto ricco. È bene ricordare che questo ‘stare
con’ è la qualifica del Dio di Israele, come si è rivelato in Es 3,14 secondo il testo ebraico,
impropriamente tradotto dai LXX. Questo camminare insieme a Dio fu anche l’esperienza
dei due viandanti di Emmaus (Lc 24,13-32).
v. 4 Vengono consegnati a Giacobbe quanto era espressione di idolatria: le statuette degli
idoli e gli orecchini, importati da altre popolazioni, a cui si attribuivano poteri magici.
v. 5 Il terrore che assale i popoli viene citato più volte dagli autori sacri parlando delle
conquiste di Israele. Sembra che sia uno strano terrore, indotto da Dio, che rendeva
incapaci i popoli di reagire e di difendersi (Es 23,27; Gs 10,10; 1Sam 14,15).
v. 6-7 Giacobbe arriva a Betel, secondo l’ordine ricevuto, con tutta la sua famiglia e
costruisce un altare ad Adonai, chiamato Dio di Betel, mostrando così la sua religiosità ed
obbedienza.
v. 8 Allora morì Debora, la nutrice di Rebecca. Doveva esistere una tradizione di una certa
Debora nei pressi di Betel, che è stata inserita qui per l’omonimia con la nutrice di Rebecca.
Pare infatti inverosimile che la vecchia nutrice viaggiasse con Giacobbe.
vv. 9-12 Dio apparve un’altra volta a Giacobbe…e lo benedisse e gli disse.... In questo ultimo
capitolo su Giacobbe, la corrente sacerdotale vuole inserire il suo modo conciso e preciso di
tramandare le tradizioni. Così riporta le azioni e le parole di Dio, che riassumono i temi
fondamentali. Si ha prima di tutto la benedizione di Dio (v.9), poi il cambiamento del nome
(v.10), quindi la riproposta della promessa sia della progenie (v. 11) che della terra (v.12).
Sono le promesse già date ad Abramo, che ripetute a Giacobbe lo stabiliscono erede
legittimo nella linea patriarcale e mostrano inoltre la fedeltà di Dio.
vv. 16-17 Rachele partorì ed ebbe un parto difficile….mentre esalava l’ultimo respiro…lo chiamò BenOni, ma suo padre lo chiamò Beniamino. Il sostantivo ‘ôn può significare sia disgrazia che forza e
fecondità, non è quindi chiaro che cosa intendesse l’autore. Si può tanto pensare che nel
nome del figlio Rachele volesse ricordare la sua morte prematura, come che volesse dire:
la forza di Dio riesce a far nascere dal dolore e dalla morte una creatura viva.
Di sicuro il padre gli cambia il nome e ne capovolge il senso negativo. Beniamino significa
figlio della destra, della fortuna. Cioè il prediletto che sta alla destra e che di fatto incarna tutto
l’amore che legava Giacobbe a Rachele. Attraverso di lui l’amore nuziale continuerà a
vivere. In realtà questa etimologia appare artificiosa perché Jamin indica il punto cardinale
che sta alla destra dell’oriente e quindi il sud. Storicamente Beniamino è il nome di una tribù
che è chiamata “gente del sud”, da cui lo Yemen arabo.
v. 22 Ruben andò ad unirsi con Bila, concubina del padre e Israele lo venne a sapere. Ruben è il
primogenito, ma causa l’accaduto (vedi Lv 20,11 e Gen 49,4) Giacobbe darà il primato a
Giuda, che non è primogenito (Gen 49,8-10) e da cui verrà il Messia.
vv. 23-25 Questa lista dei nomi dei dodici figli di Giacobbe non si lega per nulla con il
contesto. La tradizione dei dodici figli di Giacobbe ha avuto un evolversi complesso dovuto
alla storia ed alla cultura ( il numero dodici è numero che indica totalità e completezza).
vv. 27-29 Poi Giacobbe venne da suo padre Isacco…poi Isacco morì…vecchio e sazio di giorni. La morte
di Isacco è come quella di Abramo, la morte di una persona benedetta da Dio. Verrà
seppellito da ambedue i figli, Esaù e Giacobbe, ora riconciliati.