Le api - Istituto di Istruzione Superiore "Aldo Moro"

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Le api - Istituto di Istruzione Superiore "Aldo Moro"
Perché fare una tesina sulle api?
La prima risposta che mi viene è perché
sono una mia passione, perché sono una
parte di me. Da circa un anno sono un
apicoltore e ho due arnie di api. È una
passione nata quando in un giorno della
lontana prima liceo, durante una giornata di
autogestione, partecipai ad un’attività di
apicoltura, e ripresa nel quarto anno in
seguito all’affascinante lettura del quarto
libro delle Georgiche di Virgilio.
Credo che l’apicoltura sia un’arte, un
approccio con una realtà profondamente
diversa da quella umana che purtroppo è
sempre più caratterizzata dal caos, dalla
fretta, dal “tuttoesubito” e
dall’individualismo. Quando apro un’arnia e
mi ritrovo circondato da centinaia di api in
volo- cosa di cui molti avrebbero terrorenon posso fare a meno di pensare che
insetti così piccoli abbiano un così grande
istinto di collettività,ma allo stesso tempo
apprezzo il valore della mia libertà, che
invece manca all’ape.
Il modo in cui ho scelto di trattare
quest’argomento è plasmato sull’impianto
stesso della scuola che ho frequentato: da
una parte vi è una descrizione dell’ape vista
come un’entità biologica, da un’altra il
valore simbolico che le api hanno nella
nostra cultura,ed infine una trattazione di
un’apicoltura, per così dire, pratica e
personale. Questi tre aspetti corrispondono
allo studio fatto, nel corso dei cinque anni,
delle discipline scientifiche ed umanistiche
in cui si richiedeva anche una
rielaborazione personale delle conoscenze.
Ho cercato, per quanto possibile, di non
differenziare e staccare di netto i tre
blocchi, ma di unire i diversi e numerosi
aspetti in una visione unitaria.
La difficoltà che ho incontrato è stata
soprattutto quella di riuscire a trattare i
molteplici aspetti del mio argomento, in
modo esauriente ma allo stesso tempo
sintetico.. Perciò è stato necessario anche
scegliere le parti da inserire e quelle da
tralasciare per non rendere il tutto noioso.
Per parlare delle api, ho scelto di iniziare in
un modo alquanto anomalo. Anziché partire
dalle basi e poi proseguire, ho preferito
cominciare trattando il fenomeno più
particolare e allo stesso tempo più
conosciuto di questo straordinario mondo
che è l'alveare: la sciamatura.
Anche chi non è apicoltore sa per sentito
dire o per averlo studiato che cosa sia
questo fenomeno. A tutti da piccoli è stata
raccontata la storia: le api si creano una
nuova regina e siccome due regine in una
stessa casa non possono stare, la regina
più vecchia va via
seguita dalle sue
fedeli. Dietro a
questa storia così
semplice, si cela
tutto il fascino e la
perfezione del
mondo delle api.
Lo sciame
C'è chi ha voluto
vederci un qualcosa che non funziona, un
atto di ribellione:<< Perché creare una
nuova regina?>>.
In realtà non è così: che le api si creino una
nuova regina e sciamino significa che
l'alveare si riproduce, che da un nucleo di
api se ne ottengono due. E se si ha la
volontà di riprodurre qualcosa, vuol dire che
questo qualcosa è bello e funziona. E non
basterebbe creare una nuova regina solo
quando quella vecchia è morta, perché così
facendo esisterebbe un solo alveare al
mondo. Sciamare per le api, infatti, significa
diffondersi o per meglio dire riprodurre la
propria famiglia. La sciamatura non
rappresenta il fallimento del sistema
alveare, ma il suo coronamento: ci dice che
nel mondo delle api coesistono tradizione e
innovazione. La regina vecchia se ne va a
creare una nuova casa, la regina nuova
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cresce nella vecchia casa. Quando siamo
di fronte ad un'arnia che sciama, -lo si vede
benissimo: c'è una nebbia di api che
ronzano agitate e in un istante si assiste a
un vomito d'api dall'arnia- assistiamo a un
passato che si rinnova nel futuro.
La sciamatura mostra inoltre il vincolo di
straordinaria unione che c'è tra le api.
Quando lo sciame si forma e si appende a
un albero formando le caratteristiche
"barbe", le api sono un’attaccata all'altra e
sono così coordinate fra loro che si
comportano come se fossero tutte insieme
un unico essere. È da notare poi
l'accostamento tra il termine sciamatura e
"riproduzione della famiglia". Nel mondo
delle api, infatti, la singola ape non è nulla,
è solo una delle tante cellule che
compongono l'organismo alveare. La
sciamatura dunque è il vero atto di
riproduzione della specie, che mette in luce
la cooperazione sociale e la perfetta
organizzazione di questi piccoli insetti: si
duplica la regina, si creano due nuclei che
si separano... Sembra quasi di descrivere il
meccanismo della mitosi delle cellule.
Ma, vediamo in dettaglio chi sono.
Le api sono insetti dell'ordine Hymenoptera
della sezione Aculeata ( le cui femmine e
sono dotate di pungiglione ), che fanno
parte dei cosiddetti animali sociali, che cioè
vivono in colonie con un'organizzazione più
o meno specializzata. Sono insetti così
importanti perché sono degli impollinatori:
garantiscono la riproduzione e la variabilità
genetica delle piante. Si stima che senza la
loro presenza diminuirebbero di oltre un
terzo l'anno i raccolti di ortaggi utili
all'uomo, e addirittura, per citare una
famosa frase attribuita ad Albert Einstein, al
mondo rimarrebbero al massimo quattro
anni di vita. Le api sono dunque un tassello
fondamentale che se venisse a mancare
farebbe crollare a effetto domino l'intero
sistema biologico.
E difatti le api sono sempre state tenute in
grande considerazione della civiltà umana.
I loro prodotti, la loro laboriosità e
l’organizzazione sociale hanno avuto un
notevole impatto nella storia e nella cultura.
Il miele prima della scoperta della canna da
zucchero, in conseguenza alla
colonizzazione dell'America, era per gli
uomini antichi l'unica sostanza dolcificante
ed il suo utilizzo spaziava dalla cucina ai
banchetti greci, alla medicina e infatti è
utilizzato ancora oggi in molte cure per la
sua funzione antibatterica e come
integratore alimentare. Sempre per
rimanere in campo medico anche un altro
prodotto dell'alveare viene utilizzato per le
sue proprietà antibiotiche, antinfiammatorie
e antiossidanti. La propoli dal greco pro
polis (davanti alla città) è usata dalle api
come materiale di costruzione isolante e
protettivo sia per coprire le fessure
dell'arnia che per mummificare i cadaveri
degli animali entrati dentro l’alveare che
non possono essere espulsi e sia per
rivestire le celle di deposizione.
Riguardo alla sua generazione però non si
hanno ancora certezze; la teoria più
accreditata lo vede come prodotto di origine
nettamente vegetale che viene raccolto ed
elaborato dalle api insieme al polline.
Altro importante prodotto delle api è la cera,
secreta dalle ghiandole situate nella parte
centrale dell'addome dell'insetto e usata
per costruzione dei favi. Essa è stata
utilizzata dagli egizi per ricoprire le navi,
dai romani per proteggere dipinti murali e
nel medioevo era l'unico materiale con cui
produrre le candele per le chiese. Oggi è
usata soprattutto nella cosmesi e come
lucidante nonché come rivestimento di
formaggi per la stagionatura.
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Le api hanno inoltre fornito all'uomo nel
corso della storia dei veri e propri esempi di
laboriosità e unione. Quali altri animali,
infatti, dedicano la loro intera esistenza al
lavoro per una causa sociale?
Filosofi, pensatori e letterati di ogni tempo
hanno preso spunto da questo meraviglioso
mondo per proporlo agli uomini. La nostra
cultura occidentale è piena di frasi citazioni
e descrizioni di api e alveari: si va da
Virgilio che propone l'alveare come modello
politico per l'età augustea al paese delle
Api Industriose di Pinocchio, da Tolstoj che
in una bellissima pagina di Guerra e pace
descrive Mosca abbandonata dallo zar
come un'arnia priva della regina.
Si può così dire che le api non sono
soltanto un elemento fondamentale del
mondo biologico ma anche del nostro
orizzonte culturale occidentale. Esse sono
state venerate da tutte le culture di tutti i
tempi: gli Egizi riconoscevano le loro origini
nelle lacrime del dio del sole, nel Medioevo
si trovano raffigurate in molti stemmi
nobiliari...
Le api dunque a livello ideologico sono
importanti: sono la prova concreta di come
attraverso la laboriosità, la cooperazione, il
sacrificio di sé si può giungere a produrre il
miele, una sostanza dolcissima e
importantissima,di come attraverso il
lavoro si arriva al risultato.
Ma tra le varie specie di api che popolano il
mondo soltanto la Apis mellifera è
conosciuta ed addomesticata dall'uomo in
Europa. Le altre specie diffuse in America,
Asia e Africa non hanno riscosso un
particolare interesse per l'allevamento a
causa della loro indole aggressiva e perché
altri prodotti erano usati come dolcificanti al
posto del miele che dunque ricopriva
un'importanza secondaria. Per questa
ragione la cultura dell'ape è tipicamente
occidentale, anche se occorre tener
presente che con il colonialismo e
l'imperialismo si sono perse purtroppo varie
testimonianze di come altri popoli
considerassero le api.
L'Apis mellifera è l'unica a poter produrre
ingenti quantità di miele al quale deve il
nome. È da notare che il termine “mellifera”
significa “che produce miele", infatti il miele
non viene raccolto sui fiori e trasportato in
alveare, ma viene prodotto dalle api sulla
base di sostanze zuccherine che
raccolgono in natura. Queste sostanze
sono il nettare, che é un composto
zuccherino prodotto dalle piante per attirare
gli insetti, e la melata, che è un derivato
della linfa degli alberi
prodotto da insetti
parassiti quali le
Metcalfe. La melata
viene raccolta nei
periodi in cui non ci
Mectalfa
sono fioriture
consistenti(per esempio agosto) da piante
attaccate da Metcalfe, in particolare abete e
quercia. Il nettare invece è raccolto dai vari
fiori però a causa della forma del fiore e
della lunghezza della proboscide, le api
possono raccogliere il nettare solo in
alcune piante. Piante quali la robinia, il
castagno, il tiglio, il rododendro sono
importanti fonti di nettare per cui è possibile
a partire da queste ricavare i mieli
monofloreali, composti cioè da un unico
tipo di nettare. Altre piante invece, ad
esempio diffusissimi gerani che decorano i
nostri balconi, non forniscono nettare a
sufficienza.
Il nettare e la melata raccolti dalle api
vengono accumulati nella borsa melaria e
una volta nell'alveare vengono rigurgitati
dalle api nel favo dove altre li digeriscono
scindendo gli zuccheri complessi in
zuccheri semplici con particolari enzimi , e li
disidratano mediante la ventilazione
prodotta dal battito d'ali.
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Un’ape dopo aver raccolto nettare segnala
la fonte alle sue compagne in modo che vi
si possano recare. Tra le api infatti è
presente una forma molto evoluta di
linguaggio. Quando comunemente si
pensa al linguaggio, si pensa a parole,
lingua, grammatica, sintassi … ma esistono
in realtà altre forme di comunicazione: la
pittura, la musica, in generale l’arte. E le api
per comunicare fra loro usano
principalmente una forma d’arte: la danza.
Questo modo di comunicare delle api fu
scoperto da Von Frisch, che nel 1973
ricevette il premio Nobel per la biologia.
Scoprì che le api comunicano attraverso la
danza la posizione di piante da cui
prendere il nettare, e arrivò a tracciare un
codice per decifrare questi messaggi. I suoi
studi cominciarono da un esperimento:
pose su un contenitore a poche decine di
metri dall’alveare una sostanza ad alta
concentrazione zuccherina e marcò l’ape
che per prima vi si posò sopra; dopo pochi
minuti notò che arrivavano molte altre api a
raccogliere lo zucchero e che mancava
l’ape marcata. Nacque così l’idea che essa
doveva essere nell’alveare a “dire” alle altre
api dove andare. Studiò le api attraverso
un’arnia di vetro e scoprì due tipi di danze:
la danza circolare e la danza dell’addome.
La danza circolare è effettuata quando la
distanza della fonte di cibo è inferiore agli
83 m e consiste in una serie di cerchi
tracciati dall’ape alternativamente a destra
e a sinistra. Se invece la distanza del cibo è
superiore a 83 m, è eseguita la danza
dell’addome; in questo caso l’ape compie
un breve percorso in linea retta, agitando
vigorosamente l’addome, poi un
semicerchio, nuovamente un percorso
rettilineo e un semicerchio dall’altra parte
per poi ricominciare il tutto da capo.
Il ritmo dà indicazioni riguardo sia alla
qualità della fonte sia alla distanza in modo
preciso. Per esempio se il cibo è a 300 m,
l’ape farà trenta giri di danza completi al
minuto, se è a 600 m, ne farà solo
ventidue; inoltre, se la fonte è abbondante,
danzerà in modo più vigoroso, se non lo è,
smetterà quasi subito.
La danza inoltre comunica anche la
direzione da seguire: se bisogna andare
nella direzione del sole, l’ape compie una
danza dal basso verso l’alto lungo il favo;
se invece bisogna andare nella direzione
opposta al sole, l’ape danza dall’alto verso
il basso; tutte le altre direzioni sono indicate
da angoli equivalenti rispetto alla verticale.
Inoltre l’ape è dotata di una sorta di
orologio interno che le permette di variare
la direzione della danza al variare di
posizione del sole.
La natura del tipo di nettare è poi indicato
dall’odore. La danza delle api risulta essere
dunque una vera performance che
coinvolge tutti i sensi.
L’olfatto ha infatti una ruolo importantissimo
nell’alveare: oltre a permettere di
riconoscere i fiori, consente il
riconoscimento del proprio simile; le api
utilizzano infatti i ferormoni per
riconoscersi, tant’è che il fumo è utilizzato
dall’apicoltore per impedire alle api di
cogliere il ferormone che indica pericolo.
Come si è visto, la produzione del miele
necessita dell'intervento di più api e dunque
di un'elaborata organizzazione. L'alveare è
una società molto organizzata ed efficiente
e a livello superficiale si può dire che sia
formata da tre caste : ape regina, operaia e
fuco.
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L'ape regina è l'unico essere femminile
fertile dell’alveare. Essa si distingue dalle
api operaie per le dimensioni maggiori
dell'addome. Il suo compito all'interno
dell'alveare è deporre uova e dunque
riprodursi. Nasce da celle di dimensioni
maggiori rispetto alle altre e viene
continuamente nutrita con pappa reale, un
prodotto secreto delle ghiandole
ipofaringee delle api giovani che permette
loro di svilupparsi sessualmente. La
giovane regina appena uscita dalla cella
emette un canto per segnalare la sua
presenza facendo vibrare l'aria
nell'addome, dopodiché uccide le altre api
regine larve usando il suo pungiglione.
Raggiunge la maturità sessuale il 20º
giorno, quando esce per la sua unica volta
per farsi fecondare da circa 15-20 fuchi. Gli
spermatozoi vengono deposti nella borsa
curatrice dell'ape regina e grazie ad un pH
basico 8,5 vengono conservati per vari
anni. Se una regina non è stata fecondata
viene definita fucaiola in quanto depone
uova non fecondate da cui per
partenogenesi nascono i fuchi.
L'ovopositore della regina è situato nel suo
pungiglione ed è in grado di deporre più di
1500 uova per giorno. Sembra che le api
siano in grado di determinare il sesso della
progenie costruendo celle per api operaie
e celle per fuchi. Una teoria prevede che la
regina decida se deporre un uovo
fecondato o meno in base un segnale
chimico che le operaie rilasciano nelle
celle. Un’altra sostiene che la deposizione
avvenga in base alle dimensioni delle celle
stesse, infatti quelle dei fuchi sono più
grandi e sono distinguibili ad occhio nudo.
Il fuco come intuibile è il maschio dell'ape e
nasce unicamente per partenogenesi da
uova non fecondate. È un organismo
aploide e il suo ruolo essenziale è legato
alla fecondazione dell’ape regina,in seguito
alla quale muore. In un normale alveare ne
sono presenti un centinaio che servono in
caso di eventuale morte della regina. La
sua vita è di circa 50 giorni e non è in grado
di raccogliere nettare in quanto privo di una
proboscide. Per questo motivo alla fine di
agosto i fuchi vengono letteralmente buttati
fuori dall'arnia. La figura del fuco è passata
nell'immaginario collettivo come quella di
un individuo ozioso, nullafacente, buono
solo per il sesso. Ma, in realtà, alcune
recenti ricerche hanno dimostrato che i
fuchi collaborano all'interno dell’arnia
scaldando la covata e ventilando il miele.
L'ape operaia infine rappresenta la maggior
parte della popolazione dell'alveare. Nasce
da uova fecondate e possiede organi di
riproduzione che non si sono potuti
sviluppare e sono dunque atrofizzati.
Un'ape operaia ha una vita di circa 40
giorni, tranne quelle nate in autunno, che
devono sopravvivere a tutto l'inverno in
caso di morte della regina e possono
deporre uova non fecondate. Nei primi tre
giorni di vita le larve di operaia sono nutrite
con la pappa reale, in seguito con una
miscela di acqua, miele e polline. Nel corso
della vita svolgono diverse mansioni sia
fuori che dentro l'alveare a seconda della
loro età. I lavori svolti dall'ape operaia sono
organizzati in una gerarchia molto precisa.
Nelle Georgiche di Virgilio questa
organizzazione è molto ben descritta:
Solae communes natos, consortia tecta
urbis habent magnisque agitant sub legibus
aevum,
et patriam solae et certos novere penates,
venturaeque hiemis memores aestate
laborem
experiuntur et in medium quaesita
reponunt.
Namque aliae victu invigilant et foedere
pacto
exercentur agris; pars intra saepta
domorum
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Narcissi lacrimam et lentum de cortice
gluten
prima favis ponunt fundamina, deinde
tenaces
suspendunt ceras: aliae spem gentis
adultos
educunt fetus, aliae purissima mella
stipant et liquido distendunt nectare cellas.
Sunt quibus ad portas cecidit custodia sorti,
inque vicem speculantur aquas et nubila
caeli
aut onera accipiunt venientum aut agmine
facto
ignavum fucos pecus a praesepibus arcent.
Grandaevis oppida curae
et munire favos et daedala fingere tecta.
At fessae multa referunt se nocte minores,
crura thymo plenae; pascuntur et arbuta
passim
et glaucas salices casiamque crocumque
rubentem
et pinguem tiliam et ferrugineos hyacinthos.
Virgilio nel descrivere i ruoli delle api
commise tuttavia alcuni errori dovuti
probabilmente all'impianto stesso
dell'opera, che prevede una proiezione
dell’alveare nel mondo augusteo. Infatti
Virgilio descrive, attraverso il mondo delle
api, la società umana che vorrebbe e ciò gli
fa commettere alcuni piccoli errori
zootecnici.
I compiti delle api sono effettivamente quelli
di nutrice, spazzina, dama di compagnia,
architetto, guardiana, esploratrice e
bottinatrice. L’errore compiuto consiste
nella collocazione dei vari lavori in base
all'età.
Oggi sappiamo che appena nasce l'ape
operaia si occupa della pulizia delle celle e
del riscaldamento della covata. Dal terzo al
quinto giorno alimenta le larve adulte e tra il
sesto e l'undicesimo alimenta le larve
giovani e la regina essendo in questo
periodo in grado di produrre pappa reale.
Tra il dodicesimo e il diciassettesimo giorno
si occupa della costruzione del nido e della
ventilazione del miele; dopo il diciottesimo
giorno diventa guardiana e si posa dunque
al di fuori dell'arnia per difenderla da
eventuali predatori. La sua carriera
all'esterno dall'alveare inizia dopo il
ventiduesimo giorno prima come
esploratrice e poi come bottinatrice vera e
propria.
Si noterà che in questa società così
perfetta manca un qualcosa, che secondo
Freud è indispensabile. Cosa manca
nell’alveare? Manca la vita sessuale: le
operaie sono sterili, la regina viene
fecondata una sola volta in tutta la sua vita.
Per questa ragione le api sono considerare
anche gli animali puri per eccellenza.
Quest’uso simbolico dell’ape è tipico della
letteratura italiana. Pascoli, per esempio, si
identifica nell’ape tardiva che sussurra
trovando già prese le celle. Si identifica in
un essere che ha rinunciato alla propria vita
sessuale per un ideale, per la famiglia. E
ciò che rende angosciosa e triste la
condizione di Pascoli non è il suo essere
ape, ma il suo essere tardivo: l’ape rinuncia
al sesso ma ha l’alveare, l’ape tardiva
rinuncia al sesso e arriva tardi per entrare
nell’alveare.
La condizione dell’ape è di purezza. Un’ape
è pura perché non guarda al suo simile
come ad un essere che serve per
soddisfare le proprie pulsioni; quindi l’ape
usa gli altri come fine e non come mezzo. E
in ciò sta la purezza. Per questo motivo
Saba, sempre per fare un esempio inerente
alla letteratura italiana, paragona sua
moglie incinta ad un’ape.
Ed ecco anche perché nella tradizione
cristiano-medievale l’ape è l’unico animale
ad entrare in Paradiso.
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Ma cosa si nasconde dietro questa
purezza? L’evoluzione e la sopravvivenza.
Infatti il modo di vivere la vita sessuale nel
mondo animale è determinato da una
scelta evolutiva che ha per scopo la
sopravvivenza dell’animale stesso.
Esempi? Prendiamo il caso della comune
lepre selvatica. Ha una vita sessuale
promiscua: non è né poligama, né
monogama. Questo perché? Perché la
lepre è un animale-preda che deve cioè più
che altro fuggire, e la presenza di un
compagno fisso sarebbe d’intralcio nella
fuga.
Anche le api per continuare l’esistenza
della specie hanno dovuto subire un
mutamento del comportamento sessuale.
Un’ape da sola non è in grado di
sopravvivere, e dunque è necessaria la
creazione di una società. Però, perché
questa società funzioni in modo perfetto,
l’evoluzione ha fatto sì che solo un essere
fosse deputato alla riproduzione in modo
tale che non vi fossero rapporti tra le
singole api, cosa che avrebbe indebolito la
collettività.
Ecco dunque che inizia a venir fuori un altro
aspetto dell’alveare: la distruzione totale
dell’identità del singolo a cui è impedita
ogni forma di realizzazione di sé, anche a
livello sessuale, che non sia conforme alla
ragion di stato.
Il mondo delle api è a tutti gli effetti un vero
e proprio regime totalitario che priva della
libertà. Alla domanda; “Vorresti essere
un’ape?”, nessuno risponderebbe di sì. La
condizione dell’ape è veramente triste:
nasce rivestendo un determinato gradino
della scala sociale e di lì non si può
muovere. Si potrebbe obbiettare dicendo
che un’ape può scappare come e quando
vuole dall’alveare. Diamo pure per buona
quest’affermazione, e ammettiamo che
l’ape scappi. Ma a questo punto come
sarebbe la sua vita? Un errare solitario per
un mondo pieno di pericoli, un caos. Si può
allora dire che l’ape sia libera? Un essere
che sia obbligato a scegliere o una vita di
totale sottomissione e negazione di sé, o il
caos e la morte, può dirsi libero?
Una scimmia che sceglie, volontariamente,
di rimanere in gabbia perché la sua
alternativa sarebbe quella di gettarsi in un
precipizio, può dirsi libera?
Dover scegliere il minore dei due mali non
è libertà.
L’ape non è un essere libero. Vive
effettivamente una condizione da “mondo
nuovo”: nasce programmata per svolgere
determinati compiti, per essere un Alfa, un
Beta, un Gamma, un Delta e non può fare
altro. Un’ape operaia non può fare la
regina, né la regina può fare il fuco. Vive
quella filosofia , che Carlo Levi in epoca
fascista, definiva “idealismo da università
popolare”: la realizzazione di sé attraverso
lo stato che degenera nella negazione
dell’individualità.
Questo tipo di impostazione è sicuramente
funzionale, l’alveare funziona come un
orologio svizzero, ma è bello viverci?
È meglio vivere prigionieri di una società
perfetta o liberi in una società che ogni
tanto perde qualche colpo?
C’è poi chi ha voluto invece vedere
nell’alveare un esempio di socialismo
naturale. Tant’è che alcuni film
hollywoodiani del periodo della guerra
fredda, come per esempio “Bees, lo
sciame che uccide” sono stati interpretati
come una proiezione della paura del
comunismo sulla paura per api. La trama di
questi film infatti si basava sulla conquista
dell’America da parte di api organizzate
come una società socialista.
A dir la verità, però, queste interpretazioni
sembrano alquanto forzate e ci sono in
effetti dei caratteri che allontanano molto
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l'alveare dal modello socialista proposto da
Karl Marx. Innanzitutto la singola ape vive
in una condizione di proletariato. Come
l'operaio deve produrre un plus lavoro
lavorando più ore di quante gli siano
necessarie per mantenersi, così l'ape per
poter vivere nell'alveare deve raccogliere
più miele di quanto le sia necessario per
nutrirsi. L'ape poi fa questo sacrificio di sé
in nome dell'ideale di patria, e questo
richiama molto la critica che Marx fa alla
religione, oppio dei popoli, che incita gli
uomini a rimanere schiavi. Tenendo
presenti questi punti crolla la visione
marxista dell'alveare.
Ma a questo punto, data la visione negativa
del sistema alveare, perché l’uomo è da
sempre stato affascinato dalle api?
Innanzitutto perché le api, e questo è
indipendente dal fatto che siano libere o
meno, offrono un esempio di laboriosità e
collaborazione. In secondo luogo perché
all’uomo fanno apprezzare il valore della
libertà attraverso la sua negazione. Ecco
perché le api sono importanti nella nostra
cultura e perché l’uomo si dedica
all’apicoltura. L’ uomo infatti è apicoltore da
4000 anni.. Ma che cos'è l'apicoltura? E da
quando si può dire che l'uomo sia passato
da cacciatore di miele ad apicoltore?
L'apicoltura è letteralmente la
coltura,l'allevamento delle api ma è un
allevamento del tutto diverso da quello di
altri animali. Per capire questo concetto è
forse utile un esempio. L'allenatore di una
squadra di calcio è quel personaggio che si
mette in gioco in prima persona coi
giocatori, che li allena, li sprona e dà
consigli pratici :" Passa la palla!... In
panchina!.. Tu, mettiti vicino alla porta!..
Forza dai che vinciamo"; lo sponsor della
squadra, o meglio il padrone , è invece
quello che mette a disposizione tutto ai
giocatori: magliette,pantaloncini, doccia
calda, scarpe.... Ha un suo guadagno dalla
vittoria della squadra, ma non ha quasi
neanche idea di cosa sia una palla, e
certamente non insegna a giocare. Un
normale allevatore di animali è l'allenatore
dei suoi animali, l'apicoltore invece è lo
sponsor della squadra delle api. Un
normale allevatore si prende cura in modo
diretto dei suoi animali nutrendoli, pulendoli
ecc... L'apicoltore si deve limitare a creare
condizioni che siano favorevoli alle api.
Tenendo presente questo concetto, che
caratterizza appieno l'apicoltura, possiamo
iniziare a seguirne l'evoluzione nel corso
della storia.
I primi apicoltori, di cui abbiamo
testimonianze, furono gli antichi Egizi.
Allevavano api in arnie che spostavano a
seconda della fioritura ed oltre al miele
sfruttavano anche la cera per la
mummificazione.
Altri grandi apicoltori della storia antica
furono gli Ittiti, di cui abbiamo a riguardo le
prime testimonianze scritte, e ovviamente i
Greci.
Ma in cosa consisteva l'apicoltura in termini
concreti e pratici?
Come prima cosa
nell'introdurre le api in un
nido artificiale. Nell'antichità
questo poteva essere o un
tronco cavo di un albero, o
una struttura in vimini. Per
Bugno villico
dirla con le parole di Virgilio
Ipsa autem, seu corticibus tibi suta cavatis,
seu lento fuerint alvaria vimine texta,
angustos habeant aditus: nam frigore mella
cogit hiems, eademque calor liquefacta
remittit.
E queste arnie, dette "bugni villici",
restarono in voga fino a pochi decenni di
anni fa nelle campagne. Questo tipo di
arnie aveva però un enorme difetto: per
poter prelevare il miele era necessario
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sopprimere la colonia di api. Nel 1500 si
era pensato che fosse più "igienico" far
scappare le api con del fumo e quindi
prelevare il miele, si pensò dunque di
dotare le arnie di uno sportellino di fuga;
tuttavia la pratica di sopprimere le api è
stata utilizzata fino a pochi decenni fa dagli
apicoltori più tradizionalisti.
Il 1858 rappresentò l'anno di nascita della
moderna apicoltura. In quell'anno il
reverendo Langstroth di Philadelphia
inventò l'arnia razionale dotata di favi mobili
e di un sistema modulare di melari. Questa
nuova concezione dell'arnia ha
rivoluzionato il mondo dell'apicoltura poiché
ha permesso un più facile prelievo del
miele e controllo della colonia. Per capire
come è costituita è utile pensare ad una
casa: c'è il piano terra in cui si vive, il solaio
dove si accumulano le cose in eccesso e il
tetto. L'arnia razionale ha lo stesso
impianto. Partendo dal basso si trova il
nido, una scatola aperta in alto di legno di
spigolo 50 cm , con una lamiera bucata per
pavimento in modo da consentire sia
l'ingresso dell'aria sia l'espulsione dei rifiuti.
In questa scatola vengono inseriti
gradualmente fino a 10 (in alcune arnie 12)
favi mobili, che sono dei telaini di legno in
cui le api
costruiscono
con la cera.
Dal 1865 i
telaini
vengono
dotati di fogli
cerei, cioè di una struttura, un foglio
appunto, di cera che serve come base su
cui le api possano continuare la
costruzione.
Il nido è la parte abitativa dell'arnia: è
questa la zona in cui le api vivono e
depongono la covata e immagazzinano le
scorte di miele per l'inverno.
La seconda parte che compone l'arnia è il
melario. Anche questa è una scatola di
legno priva di basi in cui vengono inseriti
favi mobili, ma è di altezza ridotta rispetto al
nido. In essa è immagazzinato il miele in
eccesso che viene prelevato dall'apicoltore.
L'ultima parte dell'arnia è il tetto, o meglio
detto, coprifavo . È un coperchio in legno
con al centro un foro che consente
eventualmente di nutrire le api durante
l'inverno.
Sopra al coprifavo è posto un tettuccio di
lamiera che protegge dall'acqua.
Il compito dell'apicoltore, come già detto
precedentemente, non è quello di accudire
direttamente le api ma di porle in condizioni
tali da permette loro di produrre quanto più
possibile. Per far questo l'apicoltore
moderno deve procedere con visite
periodiche alle proprie arnie per
controllarne lo stato.
Queste visite vanno fatte in giornate di sole
o comunque con temperature superiori ai
10° C ed occorre essere muniti di adeguate
protezioni per evitare di essere punti. Gli
strumenti necessari sono: una tuta
scafandro da apicoltore, con la tipica
maschera a rete, guanti di pelle,
l'affumicatore, ovvero un dispositivo, che
serve per emettere fumo,composto da un
cilindro metallico dentro al quale si
inserisce il combustibile( cartone, juta,
paglia, legno secco...), da un soffietto per
immettere aria e da un beccuccio da cui
fuoriesce il fumo. Il fumo difatti serve per
"calmare le api" coprendo i loro ferormoni e
spingendole dentro all'alveare.
Occorre poi evitare l'uso di profumi o
deodoranti molto forti in quanto potrebbero
interferire coi ferormoni, ed è necessario
essere molto calmi e non avere paura. Così
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come altri animali le api riconoscono i nostri
stati d'animo, perciò avvertono la
paura,l'ansia e rispondono a queste con
aggressività rendendo così il tutto più
pericoloso.
Tornando però ad un'apicoltura più pratica,
in cosa consiste la visita di controllo?
Innanzitutto bisogna verificare che ci siano
polline, miele e covata. In una famiglia in
salute ci devono essere almeno 5 ( a fine
inverno 3) favi contenenti nella parte
centrale covata, nella parte superiore miele
ed alcune celle di polline. Le celle di covata
si contraddistinguono perché sono chiuse
da un opercolo "marroncino" a differenza di
quelle di miele che sono chiuse da cera. In
base a quanti telaini di covata ci sono
l'apicoltore decide se aumentare lo spazio
a disposizione o aspettare. Nell'arnia è
infatti possibile limitare le api con una
barriera di legno che prende il nome di
diaframma. Quando il nido è occupato
completamente si può procedere alla posa
del melario. Per evitare la presenza di
covata nel melario si inserisce sopra il nido
una griglia di ferro detta "escludi-regina"che
impedisce alla sola ape regina di passare a
causa delle sue dimensioni L'introduzione
del melario comporta un ulteriore controllo,
poiché bisogna sapere quando sostituirlo
con uno vuoto. Il prelievo del vecchio
melario si deve fare solo quando tutto il
miele è opercolato. Prima di tutto per
toglierlo non ci devono essere api
all'interno; per far questo si inserisce al
posto dell'escludi-regina un “apiscampo”.
Esso è un asse di legno che nella parte
superiore presenta vari fori mentre in quella
inferiore uno soltanto; si comporta così da
filtro per un determinato lasso di tempo in
quanto permette alle api di scendere dal
melario ma non di salire, svuotando così il
melario dalle api. In questo modo
l'apicoltore può prelevarlo e metterne uno
vuoto, necessario perché altrimenti le api
non avrebbero più posto dove mettere il
miele!
Da questo momento inizia la raccolta del
miele. Una volta portato il melario nel
"locale smielatura" si estraggono tutti i
telaini. Per prima cosa si deve togliere con
un coltello, o una forchetta, l'opercolo di
cera. Dopodiché si mettono nello
smielatore. È un macchinario, manuale o
elettrico, che sfrutta la forza centrifuga per
raccogliere il miele. Prima però di poter
essere messo in barattolo deve ancora
seguire due processi di purificazione. Viene
come prima cosa filtrato da impurità ceree,
e dopo di che lasciato a riposare per circa
venti giorni in un decantatore, in modo che
si liberi da bolle d'aria e simili.
Il miele che verrà prodotto prenderà il
nome e le proprietà dal nettare da cui ha
avuto origine. In caso di fioriture consistenti
e di grandi monocolture è possibile ricavare
un miele monofloreale. Esempi sono il
miele d'acacia, il miele di castagno, il miele
di rododendro, di lavanda. A volte però il
nettare raccolto proviene da fiori diversi e si
parla dunque di miele millefiori. Ogni tipo di
miele ovviamente ha le sue peculiarità. Il
miele d'acacia ha un colore molto chiaro,
quasi trasparente, e un sapore molto dolce.
Il miele di castagno al contrario ha un
sapore molto più amaro e un colore molto
scuro. La medicina attribuisce ai vari mieli
diverse proprietà curative: il millefiori
disintossica il fegato, il rododendro agisce
sui centri nervosi, il tiglio ha proprietà di
calmante...
Trattando di apicoltura ogni giorno
purtroppo non si può fare a meno di parlare
delle difficoltà che si incontrano. Non si può
non trattare delle varie malattie e dei vari
parassiti che colpiscono gli alveari.
Un primo pericolo è l'acaro Varroa
destructor, un parassita esterno che si
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riproduce solo all'interno delle colonie:
l'acaro femmina depone le sue uova nelle
celle di covata, i neonati parassiti così si
attaccano già da subito alla larva dell'ape
succhiandone l'emolinfa( il sangue degli
insetti). La presenza di quest'acaro
indebolisce molto le api della colonia sia
perché ne impedisce lo sviluppo sia perché
trasmette malattie virali. Purtroppo la sua
diffusione copre l'intero globo ad eccezione
dell'Australia. Fu individuato in Italia nel
1981 e da quel momento ha incominciato a
diffondersi in maniera esponenziale tanto
che oggi non è possibile trovare un alveare
in cui non sia presente. Per questo motivo
ogni anno è necessario fare un trattamento
per limitare la sua presenza. I trattamenti
più diffusi sono di origine naturale : si
spruzzano acido lattico, acido ossalico o si
lascia sublimare dentro l'arnia una
soluzione di timolo. Ma ormai gli acari
hanno sviluppato una resistenza a questi
prodotti,per cui si ricorre sempre di più a
prodotti nocivi. Per tener sotto controllo
questo parassita l'arnia è stata dotata di un
apposito fondo anti-varroa: un foglio di
lamiera che si inserisce come un cassetto
sul fondo, sul quale si depositano gli acari
caduti o morti. Ad ogni visita è perciò bene
controllarlo per capire lo stato di
infestazione.
Un'altra malattia pericolosa in apicoltura è
la peste americana. È una malattia causata
dal bacillo Paenibocillus larvae, che
distruggendo la covata, distrugge l'alveare.
La sua presenza si riconosce poiché le
celle di covata si inumidiscono, si
infossano, hanno un color castano-bruno
ed emanano un odore acre. Un metodo
usato per avere la certezza di tale peste
consiste nell’infilare un bastoncino in una
cella e vedere se vi rimane un residuo di
fibra color cappuccino. Una possibile cura
per questa malattia è un trattamento a base
di antibiotici. Ciò presenta però un
problema fondamentale: un loro uso
scorretto genera resistenza nei batteri oltre
ad inquinare il miele. Per tal motivo
nell'Unione Europea sono vietati gli
antibiotici in apicoltura. Dunque l'unico
mezzo per evitare la diffusione della
malattia è di bruciare arnia e api infette.
Un ulteriore pericolo sono i cosiddetti
parenti dell’ape: calabroni e vespe. Questi,
benché siano attratti da sostanze
zuccherine, sono insetti carnivori, che si
nutrono anche di api. Recentemente è
arrivata in Italia la Vespa velutina, insetto
per l’uomo pericoloso come una qualunque
altra vespa, che è un abilissimo predatore
di api e la cui presenza mina la
sopravvivenza delle api europee.
Altro pericolo fondamentale: i pesticidi.
Sicuramente, e sembra ovvio, un uso
eccessivo di pesticidi provoca danni a
insetti quali le api che trascorrono la loro
vita sulle piante. È però da sfatare in parte
il mito che la colpa sia dei grandi coltivatori.
Questo perché? Innanzitutto i trattamenti
durante la fioritura delle piante sono proibiti
dalla legge, così come sono proibiti quei
prodotti, come il DDT, che hanno un’azione
letale per la maggior parte degli organismi.
È vero da una parte che anche i pesticidi
usati, benché controllati, portano danni
all’apicoltura, così come la coltura
intensiva , ma è anche vero che tutto
questo è necessario alla nostra
alimentazione. Chi effettivamente
danneggia le api, senza alcun valido
motivo, sono gli “agricoltori-fai-da-te”. Sono
il nonno vicino di casa che si occupa
dell’orto, il papà con la mania del prato
verde, sono tutte quelle persone che,
assolutamente da incompetenti,
bombardano la natura con un uso non
controllato di pesticidi, provocando danni,
sia avvelenando la fioritura, sia eliminando,
coi diserbanti, tutti quei fiori di campo che
sono importantissimi per le api. A volte
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anziché intraprendere inutili battaglie con
quella che è ormai diventata l’industria
agricola, sarebbe meglio pensare ai grandi
danni che ognuno fa nel suo piccolo.
Nonostante tutti questi pericoli, essere
apicoltori oggi non è né difficile, né
tantomeno impossibile. Si sente parlare
oggi di morie e crisi di api, ma in realtà
oggi l’apicoltura è un’attività che sta
ritornando in voga. Prova ne è che in un
paese come Barbania, di quasi 1500
persone, ci siano circa una decina di
apicoltori amatoriali. Sembra dunque che
ci siamo nuovamente resi conto
dell’importanza dell’apicoltura che dagli
anni sessanta era decaduta; essa infatti è
un modo per salvaguardare la biodiversità
del territorio ed è un approccio ad un
mondo da cui si ha tanto da imparare.
Nicola Abbagnano -La Filosofia, volume 3A
- ed Paravia
Rivista Vita in Campagna, Supplemento:
Guida illustrata all’apicoltura familiare ottobre 2009
Bruce Geller - Bees: lo sciame che
uccide (The Savage Bees) - 1976
Bibliografia e filmografia
Virgilio - Le Georgiche- ed Garzanti
Tinbergen Niko - Il comportamento sociale
degli animali, capitolo secondo - ed Einaudi
Frings Hubert e Mable - La comunicazione
animale- ed Boringheri
Claire Preston - Le api- ed ORME
Pascoli Giovanni - Il Gelsomino Notturno,
Canti di Castelvecchio – ed Mondadori
Saba Umberto - A mia moglie, Il
Canzoniere - ed Einaudi
Huxley Aldous - Il Mondo Nuovo – ed
LaFeltrinelli 12