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Agricoltura, un'avventura recente
Etnobotanica - Genetisti da sempre, abbiamo selezionato piante e animali per
nutrirci
/ 13.02.2017
di Lorenzo De Carli
«La semplice verità è che l’agricoltura è profondamente innaturale». Con questa affermazione
finisce il capitolo con il quale Tom Standage – economista ma anche storico dell’alimentazione –
descrive il passaggio dalle società di cacciatori-raccoglitori all’agricoltura nel suo studio intitolato
Una storia commestibile dell’umanità; e con buona pace di chi si oppone agli alimenti geneticamente
modificati, soggiunge: «il mais resistente agli erbicidi non esiste in natura, d’accordo, ma del resto
neppure il mais».
Facciamo risalire l’inizio dell’agricoltura, più o meno, a diecimila anni or sono. Nel 2000 a.C.,
avevamo già praticamente domesticato tutte le specie botaniche di cui ci alimentiamo ancora. Se
mettiamo a confronto una pannocchia di mais con il teosinte, la pianta da cui abbiamo evoluto il
mais, possiamo affermare che i nostri antenati vissuti diecimila anni or sono furono dei grandissimi
ingegneri genetici, selezionando i tratti desiderabili delle colture domesticate e propagandoli con
quella che gli storici hanno denominato «rivoluzione agricola». Ma è una storia recente: «se
paragoniamo i 150mila anni dalla comparsa dell’uomo ad un’ora, è solo negli ultimi quattro minuti e
mezzo che gli esseri umani hanno cominciato a coltivare la terra, e solo nell’ultimo minuto e mezzo
che l’agricoltura è diventata il maggior mezzo di sussistenza».
Per tracciare la storia di questa coevoluzione tra il nostro genere e le colture domesticate che hanno
dapprima permesso il passaggio dalle società di cacciatori-raccoglitori, poi allo sviluppo delle prime
civiltà urbane, Standage fa ricorso a varie discipline, dalla genetica all’archeologia, dall’antropologia
all’etnobotanica, senza mai trascurare l’economia. Il risultato è una serie di capitoli che
documentano come i modi nei quali ci siamo approvvigionati di cibo abbiano trasformato le nostre
società, spesso a tal segno da modificare profondamente le pratiche sociali.
Nel 2000 a.C. la maggior parte dell’umanità aveva adottato l’agricoltura. È stato davvero un
progresso? Gli antropologi che studiano le attuali società di cacciatori-raccoglitori ci dicono che i
boscimani !Kung del Kalahari dedicano dalle dodici alle diciannove ore settimanali alla raccolta del
cibo, mentre i nomadi Hazda della Tanzania, meno di quattordici. Durante il tempo in cui, dunque,
gli agricoltori sono impegnati quotidianamente, i cacciatori-raccoglitori hanno una settimana
lavorativa di due giorni.
Anche sulla salute, la rivoluzione agricola produsse effetti di enorme impatto. Non si tratta solo del
fatto che la varietà dei cibi così come la costante attività fisica contribuivano a conservare in buona
salute i cacciatori-raccoglitori mentre gli agricoltori versavano in uno stato spesso cagionevole, si
tratta del fatto che la vita condotta in prossimità di animali domesticati aveva esposto i sedentari
agricoltori al contatto con patogeni prima ignoti e pronti a diffondersi in società sempre più grandi.
Ma se le società di agricoltori e di allevatori furono fortemente caratterizzate dalla condizione
stanziale, l’attività mercantile per terra e per mare dette luogo a una fitta rete di relazioni che
permise lo scambio di alimenti e di idee. Probabilmente si diffuse piuttosto l’agricoltura che gli
agricoltori, ciononostante alcuni alimenti contribuirono, come poche altre cose, non solo a
moltiplicare i contatti tra società lontane ma a stimolare l’esplorazione del mondo. Tra questi
alimenti le spezie hanno avuto un ruolo senza paragoni.
Da economista, Tom Standage ne segue la storia fin dal V secolo a.C., quando Erodoto per primo,
attraverso la descrizione delle spezie e del loro uso, parlò delle loro virtù e narrò di come
procacciarsele. Sino al I secolo a.C., la rete mondiale del commercio delle spezie era nelle mani di
marinai arabi e indiani. Solo pochi anni prima di Cristo, i marinai alessandrini prima e romani poi
appresero il segreto degli alisei stagionali e scoprirono la rotta marittima per raggiungere
direttamente la costa occidentale dell’India.
Seguendo le molteplici vie delle spezie, Tom Standage descrive la storia delle esplorazioni e le
scoperte geografiche; così come i cibi che, giunti dal Nuovo mondo, produrranno profondi
cambiamenti nel vecchio; ma anche quelli casualmente scoperti quando ancora l’obiettivo ultimo era
quello delle spezie.
Mentre la canna da zucchero stava attraversando l’oceano e con essa il carico di schiavi per
coltivarla, le piantagioni avevano introdotto già a metà del Cinquecento un’organizzazione del lavoro
che duecento anni dopo fecero proprie in Inghilterra: dapprima le manifatture, successivamente le
prime industrie.
Ricchi di osservazioni sulle trasformazioni del cibo, sono i capitoli dedicati al rapporto tra
alimentazione e guerra, dalle campagne napoleoniche sino alla seconda guerra mondiale. Ma il
lavoro di ricerca condotto da Standage tratteggia con efficacia anche le catastrofi prodotte dalla
collettivizzazione dell’agricoltura nell’Unione sovietica e nella Cina maoista.
Se la rivoluzione verde degli anni Sessanta, resa possibile dalla combinazione della selezione di
varietà di grano ad alto rendimento con l’uso di fertilizzanti chimici, scongiurò la morte per
denutrizione di centinaia di milioni di persone, il lascito nella forma di una diminuita varietà delle
specie coltivate unitamente all’uso massiccio anche quando non necessario di prodotti chimici, sono
oggi fonte di preoccupazione. La storia del modo in cui ci siamo alimentati prima e dopo la
rivoluzione agricola c’insegna che se siamo stati bravi a selezionare i tratti di vegetali e animali
funzionali alla nostra alimentazione, abbiamo anche ripetutamente sofferto le conseguenze di
carestie verificatesi perché troppo dipendenti da monoculture e da una generale diminuzione della
varietà.
Per consentire alle future generazioni di ovviare ai problemi che abbiamo creato con un’ingegneria
genetica che dura ormai da diecimila anni, nell’isola norvegese di Spitsbergen è stato costruito lo
Svalbard Global Seed Vault. Progettata per raccoglierne quasi cinque milioni di tipi, è la più grande
e sicura struttura per l’immagazzinamento di sementi. Nel corso della nostra storia, abbiamo
scartato le varietà di alimenti vegetali meno produttive. Ed è Standage a ricordarci che «non c’è
modo di sapere quali varietà si dimostreranno utili in futuro perché tollerano bene la siccità, sono
immuni alle malattie o tollerano bene i disinfestanti». Possiamo solo sperare che quei semi
conservati sotto il permafrost garantiscano cibo anche alle future generazioni.