136 - Centro Studi Cinematografici

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136 - Centro Studi Cinematografici
Luglio-Agosto 2015
136
­­­­­­­Anno XXI (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma
PER AMOR VOSTRO
SANGUE DEL
MIO SANGUE
di Giuseppe M. Gaudino
di Marco Bellocchio
L’ATTESA
di Piero Messina
NON ESSERE
CATTIVO
di Claudio Caligari
TORNERANNO I PRATI - di Ermanno Olmi
TAXI TEHERAN
di Jafar Panahi
Euro 5,00
CALVARIO - di John Michael McDonagh
IO E LEI - di Maria Sole Tognazzi
SOMMARIO n. 136
Anno XXI (nuova serie)
n. 136 luglio-agosto 2015
Arianna......................................................................................................... 43
Bimestrale di cultura cinematografica
Attesa (L’) .................................................................................................... 35
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
Bella gente (La) ........................................................................................... 45
Calvario ....................................................................................................... 27
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
Sito Internet: www.cscinema.org
E-mail: [email protected]
Aut. Tribunale di Roma n. 271/93
Città di carta ................................................................................................ 10
2 giorni a New York ................................................................................. 7
È arrivata mia figlia ...................................................................................... 23
Abbonamento annuale:
euro 26,00 (estero $50)
Versamenti sul c.c.p. n. 26862003
intestato a Centro Studi Cinematografici
Ex Machina .................................................................................................. 42
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Giovani si diventa........................................................................................ 6
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Segreteria: Cesare Frioni
Fidanzata di mia sorella (La) ....................................................................... 36
Fuga in tacchi a spillo .................................................................................. 14
Io e lei .......................................................................................................... 31
Lobster (The) ............................................................................................... 37
Love is in the Air – Turbolenze d’amore ...................................................... 40
Marguerite ................................................................................................... 33
Mission impossibile – Rouge Nation ........................................................... 16
Much Loved ................................................................................................. 11
Redazione:
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Nemico invisibile (Il) .................................................................................... 34
Non essere cattivo ....................................................................................... 39
Padri e figlie ................................................................................................. 20
Hanno collaborato a questo numero:
Giulia Angelucci
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Silvio Grasselli
Fabrizio Moresco
Giorgio Federico Mosco
Flavio Vergerio
Partisan ....................................................................................................... 22
Per amor vostro .......................................................................................... 15
Pitch Perfect 2 ............................................................................................. 30
Poli opposti .................................................................................................. 9
Professore per amore................................................................................... 24
Ruth & Alex – L’amore cerca casa .............................................................. 41
Salvation (The) ............................................................................................ 26
Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Sangue del mio sangue ............................................................................... 12
Sicario ......................................................................................................... 18
Spy .............................................................................................................. 29
Suburra ........................................................................................................ 2
Taxi Teheran ............................................................................................... 25
Ted 2 ........................................................................................................... 19
Tomorrowland – Il mondo di domani ........................................................... 3
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Torneranno i prati ........................................................................................ 8
Transformers 4 – L’era dell’estenzione ....................................................... 4
Tutto Festival – Pesaro 2015 .................................................................... 46
Film Tutti i film della stagione
SUBURRA
Francia, Italia, 2015
Regia: Stefano Sollima
Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz per Cattleya, La Chauve Souris con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 14-10-2015; Milano 14-10-2015)
Soggetto: dal romanzo “Suburra” di Giancarlo De Cataldo e
Carlo Bonini
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Giancarlo
De Cataldo, Carlo Bonini
Direttore della fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Patrizio Marone
Scenografia: Paki Meduri
Costumi: Veronica Fragola
Effetti: Stefano Marinoni
Interpreti: Pierfrancesco Favino (Filippo Malgradi), Elio
R
oma, Novembre 2011.
La politica romana attraverso le Istituzioni della Repubblica, assoggettate ai voleri del Governo, sta
per mandare in porto il “water-front”, la
più grande speculazione edilizia di tutti
i tempi: occorre però che nella legge sia
inserito l’emendamento riguardante il
litorale di Ostia che possa permettere alla
cittadina laziale di trasformarsi in una
specie di Las Vegas, piena di case da gioco, ristoranti, luci, colori e, naturalmente,
bordelli e centri di spaccio.
Per ottenere tutto questo serve l’opera
di Filippo Malgradi, politico corrotto,
appartenente in Parlamento al partito
di maggioranza, da cui Samurai, potente
capo della criminalità romana e legato a
Germano (Sebastiano), Claudio Amendola (Samurai),
Alessandro Borghi (Numero 8), Greta Scarano (Viola),
Giulia Elettra Gorietti (Sabrina), Antonello Fassari (Padre
di Sebastiano), Jean-Hugues Anglade (Cardinal Berchet),
Adamo Dionisi (Manfredi Anacleti), Giacomo Ferrara
(Spadino Anacleti), Alessandro Bernardini (Boiardo),
Nazzareno Bomba (Bacarozzo), Raffaele D’Introno
(Cardine), Alex Di Giorgio (Pepe), Davide Di Rocco (Fieno),
Giulia Maria Fiume (Segretaria Malgradi), Antonio Giuliani
(Presentatore Dubai), Ahmed Hafiene (Faisal), Svetlana
Kevral (Rumena), Yulia Kolomiets (Jelena), Simone Liberati
(Mirko), Franca Maresa (Madre Samurai), Marco Zangardi
(On. Rognani), Andrea Pennacchi (On. Merci), Pascal
Zullino (On. Destini)
Durata: 130’
filo doppio con le famiglie mafiose del sud,
pretende un’azione veloce prima che cada
il Governo, come è ormai quasi certo, di lì
a pochi giorni.
Samurai sa di andare sul sicuro perchè
Malgradi è ricattabilissimo per i continui
lati oscuri della sua vita privata e professionale per i quali ha bisogno, a sua volta,
dell’aiuto proprio di Samurai.
L’ultima combinata da Malgradi è
davvero grossa: una nottata di sesso e
coca organizzata da Sabrina, escort di
professione, che ha fatto intervenire anche
una ragazza minorenne per un giochino a
tre è finita male: la ragazza è morta per
overdose, Malgradi ha preferito, ovviamente, sparire dalla circolazione e Sabrina
ha chiamato un suo amico, Spadino, per
2
ripulire la scena ed eliminare il corpo
della minore in un bacino abbandonato di
acqua e fango.
Da qui parte l’effetto domino che, torre
dopo torre, si abbatte su tutti i personaggi
della vicenda.
Succede infatti che Spadino, forte per
quello che sa, si presenti direttamente il
giorno dopo nello studio di Malgradi per
ricavarne denaro, favori, insomma per realizzare presto e bene i dettagli del ricatto.
Malgradi prende tempo e si rivolge a un
amico suo pari per sitemare la vicenda:
questi passa la cosa a “Numero 8” capo di
una potente famiglia che gestisce il litorale
che in breve tempo incontra Spadino e lo
sgozza in mezzo alla strada.
Nessuno sa, al momento, che il morto
è il fratello di Manfredi Anacleti, capoclan
di una violenta famiglia di zingari che
s’ingrassano sulla capitale con lo strozzinaggio, le estorsioni, i ricatti.
Lo zingaro scatena la rappresaglia
avvalendosi dei servizi e delle soffiate di
Sebastiano, uno squallido personaggio
che sotto l’attività di Pr fa, in pratica, il
ruffiano, il manutengolo dei Vip della città.
Sebastiano, costretto a onorare i debiti del
padre imprenditore suicida per essere rimasto incastrato nell’usura degli Anacleti,
è completamente nelle mani degli zingari.
Sabrina (amica di Sebastiano) è portata via e di lei non si sa che fine faccia;
Manfredi tenta di far uccidere “Numero
8” che riesce però a fuggire insieme alla
sua donna, Viola, una tossica da lui amatissima; è proprio lei a uccidere a revolverate gli uomini di Manfredi in un centro
estetico; quest’ultimo pretende la testa di
entrambi e di entrare con una percentuale
Film negli affari della costa laziale; Samurai
vuole che le beghe personali si chiudano
per il momento in attesa che l’operazione
edilizia abbia il via libera ufficiale.
Una volta che questa ha avuto l’imprimatur parlamentare Samurai uccide “Numero 8” e i suoi uomini; è proprio Viola,
a sua volta, ad ammazzarlo nel cortile di
casa della madre; Manfredi, abbattuto a
bastonate da Sebastiano è da lui stesso
gettato in pasto ai cani.
Cade il Governo; i politici corrotti
ricevono un avviso dalla magistratura.
Il Papa decide di dimettersi.
on è un film, è un incubo.
D’altra parte non potrebbe
non essere considerato tale il
periodo che precedette di pochi giorni la
caduta del governo Berlusconi (mai nominato durante il film) il 12 Novembre 2011:
un Paese allo sbando, sociale, economico,
politico, morale; le istituzioni paralizzate o,
quantomeno, occupate da uomini corrotti
e dediti al “proprio particulare”; le attività
economiche inquinate dalla corruzione
e soffocate dall’usura; la speranza di un
futuro per i giovani ridotta a zero; la fiducia
nella possibile ricostruzione di un Paese
“normale” ugualmente ridotta a zero.
Questo incubo è l’impalcatura del degrado ambientale che accoglie la storia,
anche questa da incubo che il regista
Sollima e gli sceneggiatori Rulli e Petraglia
hanno tratto dal romanzo omonimo di De
cataldo e Bonini, anch’essi coautori della
sceneggiatura.
Abbiamo usato la parola incubo perchè
la storia non racconta l’attività di un’organizzazione di malavita (come nel caso
di “Romanzo Criminale”, sempre di De
Cataldo) che con i proventi del traffico di
droga e delle rapine intendeva dominare
N
Tutti i film della stagione
nella capitale sfruttandone ogni sentiero e
ogni mezzo per fare denaro; no, qui è ben
più tragica la cosa in quanto si tratta della
definitiva sostituzione di un vivere civile
con un altro tipo di vita che ha nei suoi
cardini la sopraffazione e la devastazione
di interi ambienti, territori e regioni con
attività criminose; si tratta della totale consacrazione dell’uso della cocaina e della
violenza come unici mezzi di relazione tra
esseri una volta considerati umani.
Stefano Sollima racconta tutto questo
con un senso del cinema straordinario: le
immagini costruite insieme al direttore della
fotografia Paolo Carnera, in una collaborazione collaudata che parte da lontano,
sono una continua lezione su come si usa la
macchina da presa; la forza delle atmosfere,
la densità cromatica, il senso del ritmo narrativo, l’acuta e incalzante padronanza delle
scene e delle inquadrature arricchiscono
questo film di tutto quanto dovrebbe appartenere, sempre, a un’opera cinematografica
e proiettano i loro autori verso un firmamento
opulento di mezzi, di storie, di fantasia, di
attori qual’è il cinema americano.
A sostenere sullo schermo una simile
grandezza abbiamo un uguale livello
d’interpreti: Pier Francesco Favino impreziosisce la sua solidità d’attore con la
padronanza ancora più approfondita di
espressioni, di sguardi, di gesti e movimenti che accompagnano il politico Malgradi
nella sua discesa all’inferno.
Claudio Amendola conferisce al personaggio di Samurai la vera e propria connotazione dell’orrore: la sua compostezza,
il suo sguardo fermo e lucido, la calma
consapevole della propria depravazione
e della propria bassezza morale costruiscono qualcosa che dà i brividi.
Un intenso e concentrato Elio Germano risolve con intelligenza la parte più
ingrata del film: untuoso servo dei potenti
per tutte le stagioni, imbruttito e ingoffato
negli squallidi vestiti che lo involgariscono
e lo degradano, riscatta con una violenza rivoltante e compiaciuta una intera
esistenza di inettitudine, condotta senza
spina dorsale.
L’amore per il cinema, questa specie di
senso intimo dell’immagine che appartiene
ai cineasti veri, si manifesta qui in tanti di
quei modi che è impossibile raccontarli
nella loro pienezza e autenticità.
Pensiamo solo al colpo di genio che
ha spinto gli autori nello scegliere Adamo
Dionisi, un passato carcerario per armi e
droga, violento esponente della tifoseria
calcistica della capitale, come capo clan
degli Anacleti e quanto sia stato geniale
l’ambientazione di volgare, cialtrona e pacchiana paccottiglia che fa da scenografia
al loro quartier generale.
Poi la pioggia che si abbatte sulla città,
inarrestabile, persecutoria, sempre più
violenta, quasi un personaggio collaterale
ma imprescindibile della storia, sempre più
padrona di strade e cortili fino a tracimare
dai tombini e occupare in fango e sangue la
fine dei protagonisti; fino a Samurai, finito
dai colpi di pistola e immerso nel liquame
che lo sommerge e lo mescola nel renderlo
esso stesso dimensione di quel selciato
sconnesso, di quelle fogne allagate.
Ancora geniale l’idea di far anticipare
temporalmente le dimissioni del Papa,
come se questi, non solo sopraffatto
dall’impossibilità di gestire e risolvere
gli immani problemi della Chiesa, fosse
a conoscenza e ne risultasse atterrito,
dell’occupazione demoniaca che si stava
dilatando sulla città.
Un incubo davvero ma straordinario.
Fabrizio Moresco
TOMORROWLAND – IL MONDO DI DOMANI
(Tomorrowland)
Stati Uniti, 2015
Regia: Brad Bird
Produzione: Damon Lindelof, Brad Bird, Jeffrey Chernov per
Walt Disney Pictures
Distribuzione: The Walt Disney Company
Prima: (Roma 21-5-2015; Milano 21-5-2015)
Soggetto: Damon Lindlof, Jeff Jensen, Brad Bird
Sceneggiatura: Damon Lindlof, Brad Bird
Direttore della fotografia: Claudio Miranda
Montaggio: Walter Murch, Craig Wood
Musiche: Michael Giacchino
Scenografia: Scott Chambliss
Costumi: Jeffrey Kurland
Effetti: Industrial Light & Magic
Interpreti: George Clooney (Frank Walker), Britt Robertson
(Casey Newton), Hugh Laurie (David Nix), Raffey Cassidy
(Athena), Tim McGraw (Padre di Casey), Kathryn Hahn (Ursula),
Keegan-Michael Key (Hugo), Thomas Robinson (Frank Walker
bambino), Judy Greer (Madre), Lochlyn Munro (Zio Anthony),
Pierce Gagnon (Nate), Chris Bauer (Pa), Shiloh Nelson (Casey
Newton bambina), Monique Ganderton (Dave Clark), Matthew
Kevin Anderson (Harold), Jedidiah Goodacre (Buddy), Lindsey
Elizabeth (Alice), Matthew MacCaull (Dave Clark), Madison
Simms (Clarissa), Jason Bell (Dave Clark), Yusuf A. Ahmed
(Dexter), Marcus Rosner (Handsome Harry), Eddie Perez (Dick
Clark), Darien Provost (Mikey), Fraser Corbett (Jensen)
Durata: 130’
3
Film C
asey Newton è una ragazza talentuosa, figlia di un ingegnere
aerospaziale e membro della
Nasa a Cape Canaveral. Lei vorrebbe
far saltare in aria la rampa di lancio
per gli Space Shuttle per non far perdere il lavoro al papà. Una sera, però,
viene colta in flagrante dalla polizia,
viene tenuta in fermo per qualche ora e
quando le vengono ridati i suoi oggetti
personali che le erano stati sequestrati
trova una spilla misteriosa. La stessa
spilla che aveva ricevuto Frank Walker,
piccolo inventore che aveva partecipato
all’Esposizione mondiale di New York
del 1964 per presentare, senza successo,
una sua invenzione, il prototipo di un
jet pack. Entrambi sono stati reclutati
da Athena, un robot dalle sembianze di
una bambina, per entrare a far parte
di Tomorrowland, una dimensione parallela costruita a dimensione dei più
grandi geni e inventori di ogni tempo
per rendere il mondo migliore. Casey
conosce Frank quando ormai adulto è
diventato uno scienziato disilluso ed è
stato bandito da Tomorrowland.. I due
diventano insieme ricercati e fuggitivi e
alle loro calcagna si mettono degli auto
audio-animatroni. La fine del mondo,
prevista di lì a poche settimane, è indotta - scoprono i due protagonisti- da un
ripetitore (chiamato monitor costruito da
Frank) che mostra all’umanità, sebbene
inconsciamente, come sarà il futuro,
causando una terribile profezia che si
autoavvera. Con un sistema di trasporto
istantaneo costruito da Walker nella sua
abitazione, i tre giungono a Parigi. Qui,
attraverso un razzo dentro la torre Eiffel
Tutti i film della stagione
Athena, Frank e Casey riescono a giungere all’ormai desolata Tomorrowland
(che non era più possibile raggiungere
usando la spilletta), dove incontrano il
governatore David Nix, che dà ormai per
spacciata l’umanità. I tre combattono
contro Nix, Athena si sacrifica per il
bene dei suoi prescelti (anche perché nel
tempo aveva nutrito un certo sentimento
di amicizia per Frank) e muore. Così
Frank e Casey riescono a distruggere il
ripetitore e a dar nuova speranza e vita a
Tomorrowland e a tutta l’umanità.
maggio all’utopia disneyana
della Experimental Prototype
C o m m u n i ty o f T o m o r r o w
(ridimensionata, dopo la scomparsa di
Walt, nell’Epcot Center di Disney World),
questo Teen movie targato Brad Bird è
una chiara metafora di speranza su quello che sta accadendo al nostro pianeta,
alla nostra indifferenza nei confronti
di quello che sarà il suo triste destino
se non interveniamo. Per capire cosa
sia Tomorrowland, basta pensare a un
mondo riservato solo a grandi menti, ai
geni in cui vengano costruite tutte le loro
invenzioni che diverranno parte di quel
mondo. Nella prima parte del film, le
visioni che Casey ha di Tomorrowland,
che ricordano l’ambientazione di Blade
Runner, non sono altro che trovate pubblicitarie. A proposito di questo il film ha
qua e là qualche product placement tra
Coca Cola, i biscotti Oreo e altri…Così
tra qualche rimando a Starwars e Men in
black il film poggia le basi su una nuova
indagine, molto simile all’idea alla base di
Interstellar, sui diversi piani spazio tem-
O
porali. Gli sbalzi però sono anche di tipo
narrativo e questo per via di una sceneggiatura troppo ricca di dettagli scientifici
e troppo cervellotici per gli adolescenti.
Alcuni punti nella sceneggiatura scritta
da Damon Lindelof, lo stesso sceneggiatore di Lost, appaiono confusi anche
se nel complesso l’idea alla base risulta
piuttosto originale. Ad esempio la caccia
all’uomo degli auto audio-animatroni
dura poco e poteva creare più suspence.
La colonna sonora del film viene curata
da Michael Giacchino, già collaboratore
di Damon Lindelof e Brad Bird in passato.
Le interpretazioni dei protagonisti sono
discrete, ma il ruolo più sfizioso è quello
riservato a Hugh Laurie, il famoso Doctor
House nei panni di David Nix, governatore di Tomorrowland. I troppi effetti
speciali (come, ad esempio, la scena
del razzo all’interno della Torre Eiffel)
fanno perdere il valore importante del
film, sulla responsabilità e sulla cura che
dovremmo riservare al nostro mondo.
Noi, come i protagonisti pensano che il
mondo sia spacciato per via di un monitor, facciamo lo stesso dando la colpa
della distruzione del nostro pianeta sempre a cause esterne piuttosto che essere
autocritici: possiamo essere anche noi,
solo con più volontà, artefici di un futuro
più roseo. Per questo, anche se di base
è, passatemi il termine, un’ “americanata”
dai grandi effetti e dai grandi valori da
dover insegnare, Tomorrowland lancia
un messaggio importante sulla speranza,
sull’essere sognatori e sul destino del
nostro pianeta.
Giulia Angelucci
TRANSFORMERS 4 – L’ERA DELL’ESTINZIONE
(Transformers: Age of Extinction
Stati Uniti, 2014
Regia: Michael Bay
Produzione: Paramount Pictures
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 16-7-2014; Milano 16-7-2014)
Soggetto: basato sui “Transformers” Action Figures della
Hasbro
Sceneggiatura: Ehren Kruger
Direttore della fotografia: Amir Mokri
Montaggio: William Goldenberg, Roger Barton, Paul Rubell
Musiche: Steve Jablonsky
Scenografia: Jeffrey Beecroft
Costumi: Marie-Sylvie Deveau
Effetti: Industrial Light & Magic
Interpreti: Mark Wahlberg (Cade Yeager), Stanley Tucci
(Joshua Joyce), Kelsey Grammer (Harold Attinger), Nicola
Peltz (Tessa Yeager), Jack Reynor (Shane Dyson), Li
Bingbing (Su Yueming), T.J. Miller (Lucas Flannery),
Sophia Myles (Darcy), Titus Welliver (Savoy), Chanel
Celaya (Cate), Teresa Daley (Loli), James Bachman (Gill
Wembley), Thomas Lennon (Capo dello staff), Charles
Parnell (Direttore della CIA), Erika Fong (Analista della
CIA), Mike Collins (Analista della CIA), Cleo King (Agente
immobiliare), Calvin Wimmer (Cliente dell’agente immobiliare), Richard Gallion (Operatore Air Force), Nick Horst
(Tecnico Air Force)
Durata: 165’
4
Film L
a geologa Darcy durante una
missione in Antartide scopre
uno strano fossile di dinosauro fatto di metallo. Dopo cinque anni
dalla battaglia di Chicago tra Autobot e
Decepticon, la CIA con nuove e potenti
armi distrugge alcuni dei Transformers
ancora sulla Terra. Intanto in Texas
l’inventore Cade Yeager, insieme al suo
amico Lucas, compra un vecchio camion
per venderne i pezzi e con il ricavato
mandare sua figlia Tessa al college e
pagare i numerosi debiti. Cade scopre
ben presto che il camion è Optimus
Prime ferito e che, seppur spaventato,
decide di aiutarlo. Nel frattempo un’unità della CIA guidata dall’ agente Harold
Attinger è stata incaricata di cacciare i
restanti Transformers in accordo segreto
con il cacciatore di taglie Lockdown
(inviato dai Creatori) che è in cerca di
Prime. Dopo aver individuato Optimus
in Texas, l’unità della CIA minaccia
Cade, Tessa e Lucas per estorcere informazioni su dove si nasconda Optimus.
Egli però, uscendo dal nascondiglio, il
cappannone di Cade, consente all’inventore e alla sua famiglia di fuggire.
Con l’aiuto di Shane Dyson, il fidanzato
segreto di Tessa, questi riescono a mettersi in salvo tranne Lucas che viene
ucciso da una granata di Lockdown. Optimus raduna gli ultimi Autobot rimasti:
Bumblebee, Hound, Drift e Crosshairs
e intanto Cade viene a sapere che in
questa caccia a Prime è coinvolta una
società denominata KSI; così decidono
di infiltrarsi nella sede centrale. Nel
frattempo, Joshua Joyce, il capo della
KSI, mostra a Darcy (l’assistente geologa) i progressi col “Transformio”,
un metallo molecolarmente instabile
che muta sotto programmazione in
qualunque oggetto meccanico. Egli
ha imprigionato l’Autobot Brains e lo
ha utilizzato per costruirne dei nuovi
come Galvatron. Cade e gli altri assaltano la struttura liberando Brains e
distruggendo parte dell’azienda. Joyce
li ferma e spiega che gli esseri umani
non hanno più bisogno della protezione
degli Autobot; loro hanno il controllo.
Attinger costringe così Joyce ad attivare
Galvatron e l’altro decepticon Stinger
per inseguire gli Autobot e distruggerli.
Galvatron va fuori controllo e si batte
con Optimus prima che questo venga
colpito da Lockdown che lo cattura e
lo trasporta nella sua astronave portando con sé per sbaglio anche Tessa.
Tutti i film della stagione
Lockdown spiega che lavora per conto
dei Creatori, che vogliono Optimus
indietro e come d’accordo dà ad Attinger un “Seme” (che può trasformare
qualsiasi materiale terrestre in Transformio) in cambio di Optimus. Cade
e Shane salvano Tessa e con l’aiuto di
Bumblebee riescono a fuggire dalla nave
prigione mentre Hound e Drift recuperano Optimus. Joyce intanto si ritira a
Hong Kong con Darcy e la sua socia in
affari Su Yueming per scappare da Attinger della CIA. A Pechino, Galvatron
si attiva diventando di nuovo Megatron,
dando vita a droni prototipo e facendoli
diventare Decepticon al suo comando.
Gli Autobot cominciano a combattere
mentre gli umani cercano di mettere in
salvo il pianeta nascondendo il Seme.
Optimus per vincere la guerra libera
i Dinobot e con il loro aiuto distrugge l’esercito di Galvatron. Lockdown
intanto ritorna sulla terra e si trova a
combattere contro Optimus. Cade cerca
di aiutarlo, ma viene raggiunto da Attinger che tenta di ucciderlo; successivamente però, vedendo Cade in pericolo,
Optimus uccide Attinger, permettendo
a Lockdown di prendere il sopravvento
e colpire Optimus. Cade e Bumblebee
distraggono Lockdown mentre Tessa
e Shane liberano Optimus che prima
uccide Lockdown e poi fa esplodere una
granata per distruggere gli ultimi Decepticons rimasti. Ritiratosi, Galvatron,
promette di rincontrare Optimus per una
nuova battaglia. Alla fine Prime, dopo
aver lasciato liberi i Dinobot, vola nello
spazio con il Seme per nasconderlo e
non farlo usare impropriamente.
d eccoci giunti al quarto episodio dei giocattoloni trasformabili della Hasbro, che piace
poco ai critici ma molto al pubblico: con
un guadagno di oltre 200 milioni di dollari, dà soddisfazione esclusivamente
dal punto di vista tecnico. Le riprese
sono state effettuate con le nuove
telecamere digitali IMAX 3D con un
budget complessivo di 210 milioni di
dollari. Rispetto agli altri episodi viene
congedato Shia Labeouf che viene
sostituito da Mark Wahlberg. La regia
di Michael Bay insieme a Steven Spielberg rimane fissa nel suo schema che
si ripete ciclicamente: robot, guerre
e grandi effetti speciali (anche di più
rispetto ai film precedenti). La colonna
sonora composta da Steve Jablonsky,
E
5
con l’aiuto di Hans Zimmer e della Rock
Band Imagine Dragons accompagna le
carrellate dal basso tipiche del regista
che vanno da Chicago al Polo fino ad
arrivare a Hong Kong. Le riprese sono
state girate infatti nella Monument Valley, nello Utah; per poi proseguire a
Detroit in Michigan, a Chicago in Illinois,
e in Cina ad Hong Kong. Il regista ha
voluto che alcune scene si svolgessero sulle antiche navi come Columbia
e la Ste. Clair sull’isola Bois Blanc in
Ontario; bellissime le sequenze sulla
navicella di Lockdown. Bay inizia per la
seconda volta un film con l’estinzione
dei Dinosauri; il primo fu Armageddon.
Disturba vedere un tappezzamento
di pubblicità ovunque nel film che si
è aggiudicato infatti il primo posto tra
le pellicole con il maggior numero di
prodotti brandizzati del 2014 e conta
cinquantacinque marche. Ogni tanto,
tra effetti speciali e brand troviamo
siparietti divertenti, tra cui quelli offerti dalla simpatica interpretazione
di Stanley Tucci nei panni del cattivo.
Transformers 4, inoltre, presenta molti
più umani malvagi rispetto ai precedenti capitoli: il personaggio di Kelsey
Grammer, quello di Stanley Tucci e
la sua collega, interpretata da Sophia
Myles. Questo episodio presenta alcune
cose in comune con il primo capitolo
della saga: inizialmente si concentra
sui personaggi umani verso i quali viene
rivolta la fiducia di alcuni robot, uno dei
pochi aspetti interessanti della pellicola.
Optimus Prime e gli altri Autobot hanno
infatti per gli umani in un legame di
amicizia e ogni tanto scappa qualche
riflessione intelligente sulla fallibilità
dell’uomo. Un pó fuori luogo l’avversità
del padre nei confronti del fidanzatino
della figlia, quasi caricaturale; come
anche buffa è la parte del fidanzato di
Tessa, un vero e proprio fifone che finge
di fare il coraggioso per salvare la sua
bella. Migliaia le persone coinvolte in
un film in continuo movimento e rivolto
alla massa in cui non importa quel che
accade, in cui la trama è del tutto inesistente. Si potrebbe dare la colpa di
tutto questo alla velocità con cui sono
state riprese delle scene? Bay ha infatti
girato circa 50/60 riprese al giorno, impiegando la metà del tempo rispetto ad
altri blockbuster simili. Tra stereotipi e
parodie dobbiamo aspettarci un sequel?
Giulia Angelucci
Film Tutti i film della stagione
GIOVANI SI DIVENTA
(White We’re Young)
Stati Uniti, 2014
Regia: Michael Bay
Regia: Noah Baumbach
Produzione: Scott Rudin, Noah Baumbach, Lila Yacoub, Eli
Bush per Scott Rudin
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 9-7-2015; Milano 9-7-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Noah Baumbach
Direttore della fotografia: Sam Levy
Montaggio: Jennifer Lame
Musiche: James Murphy
Scenografia: Adam Stockhausen
J
osh e Cornelia sono una coppia
newyorkese di sposi quarantenni
senza figli. Lui documentarista,
lei produttrice figlia di un celebre regista
militante degli anni ’60. Un giorno, durante una lezione universitaria tenuta da
Josh, fanno conoscenza di una coppia di
sposi venticinquenni, Jamie e Darby. Si
cominciano a frequentare, i due quarantenni prendono le abitudini dei due hipster
cercando di imitare lo stile vintage e molto
vivace dei loro nuovi amici. Questo, però,
fa sì che vengano gradualmente emarginati
dai loro compagni di una vita, ormai tutti
con figli, che guardano con sospetto questo
nuovo legame. Josh intanto porta avanti il
suo lavoro incompleto da 10 anni e cerca
di chiedere consiglio al suocero Leslie che
viene invece conquistato dall’aspirante
documentarista Jamie anche per affinità
di carattere. È stato il genero a fargli conoscere e Leslie dà una mano al giovane
per il suo progetto. Josh sente di essere
stato sfruttato da Jamie per la sua carriera, ma non solo. Scopre anche che questo
ha costruito il proprio documentario in
maniera artificiosa; ed è a quel punto che
Josh comincia la sua battaglia come un don
Chisciotte contro i mulini a vento. Mentre
ha una crisi coniugale con Cornelia, cerca
di smascherare questo inganno inutilmente; alla fine, comunque, questa esperienza
consente alla coppia di quarantenni di
aprire gli occhi, essere più realistici e fare
scelte importanti per la vita come quello
di adottare un bambino.
resentato al Toronto film festival
nel 2014 e successivamente al
New York Film Festival, la nuova opera di Noah Baumbach sul tempo
e la giovinezza si ispira alle atmosfere
e agli snodi narrativi adottati da Woody
Allen, specialmente in Crimini e misfatti.
P
Costumi: Ann Roth
Interpreti: Ben Stiller (Josh Srebnick), Naomi Watts
(Cornelia Srebnick), Adam Driver (Jamie), Amanda
Seyfried (Darby), Charles Grodin (Leslie Breitbart), Adam
Horovitz (Fletcher), Maria Dizzia (Marina), Brady Corbet
(Kent), James Saito (Dott. Kruger), Matthew Maher (Tim),
Wyatt Ralff (Louis), Matthew Shear (Benny), Peter Yarrow
(Ira Mandelstam), Bonnie Kaufman (Moglie di Ira), Hector
Otero (Frank), Annie Baker (Elise), Quincy Tyler Bernstine
(Pepper)
Durata: 97’
Accurato nei dettagli di costume, il film fornisce diversi spunti di riflessione. Il primo
confronto che si offre al lettore è quello di
coniugi quarantenni che si misurano con
altre coppie di amici che hanno deciso
di costruire una famiglia e avere dei figli.
Anche i protagonisti, Josh e Cornelia,
hanno provato in passato a mettere alla
luce dei bambini, ma a causa di problemi
fisici questo non è stato possibile. Altro
spaccato sociologico offerto da Baumbach è come alcune coppie di neo genitori
vivano questa esperienza in maniera quasi totalizzante e a volte neanche sincera
(si veda la scena della festa organizzata
tra adulti dalla coppia di Marina e Fletcher
senza invitare Josh e Cornelia, dopo che
avevano finto la loro unica vocazione genitoriale). Così da una analisi orizzontale
verso i coetanei, la riflessione del regista
si sposta su un confronto generazionale
verso l’alto, quello che fa misurare Josh
con l’affermato suocero Leslie interpretato
da Charles Grodin e, soprattutto, verso il
basso, quello che muove il film per quasi
l’intera durata. Il confronto nel quale ci
imbattiamo non è una vera e propria contrapposizione quanto piuttosto un’osmosi
generazionale. Josh e Cornelia cercano di
imitare e trasportare l’energia dei giovani
Jamie e Derby nella loro vita, mentre loro
cercano di acquisire più esperienza possibile. Ma da alcuni dettagli lo spettatore
coglie che si tratta di puro formalismo
soprattutto da parte di Jamie (non paga
mai il conto e da lì vengono dubbi sul suo
opportunismo). Josh comincia a girare
con un cappello, Cornelia inizia un corso
di hip hop mentre i due ragazzi non hanno
uno scambio reale nel loro percorso di
maturazione, non c’è un vero cambiamento in loro. Jamie e Derby hanno infatti
già assorbito la cultura vintage, hanno
metabolizzato già tutto quello che c’era
6
da cogliere delle generazioni precedenti.
Loro devono andare oltre per implementazione non per sostituzione. Anzi addirittura si ribalta la situazione dal punto di
vista narrativo e sembra siano loro a voler
insegnare qualcosa ai quarantenni: se
non si sa qualcosa non bisogna cercarla
subito su google, bisogna sforzarsi,se ci
sono problemi si va da uno sciamano. A
quel punto, l’influenza diventa univoca.
Loro sono in cattedra e i quarantenni, per
recuperare del tempo perduto, si mettono
nella giusta disposizione, anche forse un
po’ innocente a tratti, di allievi.
Il regista aveva già concentrato le
sue analisi sul tempo e sulla giovinezza
in Frances Ha ma qui la sua riflessione è
piuttosto amara. Davanti l’oggettività della
macchina da presa, c’è la soggettività
dell’autore che decide di raccontare la
storia a proprio piacimento. Ed è così che
la modalità arrivista di Jamie si oppone a
quella pura e corretta di Josh.
Il loro occhio è in entrambi i casi da
documentaristi, ma l’opera di Josh è un
lavoro che rimane incompiuto da anni,
esemplificazione di una generazione a
metà, senza un’identità ben definita da
trovare. Dall’altra parte c’è il personaggio
di Jamie che, nonostante il suo arrivismo,
non viene presentato come cattivo piuttosto inconsapevole della falsità del suo
modo di fare. Il regista sembra un po’
suggerire che sia fatto così perché figlio del
suo tempo, la sua colpa è semplicemente
quella di essere giovane. Baumbach fa
quindi un discorso sulla lealtà e sull’etica
del proprio mestiere, ma allo stesso tempo,
si mette dalla parte del giovane Jamie e dal
suocero di Josh, Leslie, il quale lo accusa
di essere poco spietato, questo il suo problema. Josh si trova quindi a combattere
da solo contro tutti. Anche Derby conosce
e accetta la natura del marito, tutti vivono
Film nel mondo reale tranne Josh. Egli passa
attraverso un graduale spiegamento della
verità (senza contare che la sua delusione
verso Jamie passa anche da un punto di
vista personale oltre che professionale).
Sarà proprio la giovane Derby a confessare che la loro felicità di coppia è solo
apparente, dicendo a Josh che si è fatto
ingannare e che è un puro. Baumbach
così non prende le difese di nessuna ge-
Tutti i film della stagione
nerazione ma vuole far partire da questa
fase di sconfitta personale del personaggio
interpretato da Ben Stiller la riflessione sul
diventare adulto. L’età adulta si raggiunge
quando si prende coscienza dei propri limiti
e si sa gioire di ogni fase della propria vita.
Il film si chiude a cerchio con la stessa
bimba (figlia di Marina e Fletcher) che apre
il film, interrompendo quel limbo vissuto
anche con gli altri coetanei. Baumbach,
con grande capacità registica, ci offre
quindi un prodotto ricco di contenuti dalle
diverse fattezze tra thriller, commedia ma
con un valido sfondo morale. Il cast è
davvero eccezionale, i quattro protagonisti
molto bravi nei loro ruoli soprattutto il camaleontico Adam Driver di Hungry Hearts
di Saverio Costanzo.
Giulia Angelucci
2 GIORNI A NEW YORK
(2 Days in New York)
Francia, Germania, Belgio, 2012
Regia: Julie Delphy
Produzione: Scott Franklin, Julie Delphy, Ulf Israel, Hubert
Toint, Jean-Jacques Neira per Polaris in co-produzione con
Tempete Sous Un Crane, Senator Film, Saga Film, Alvy Productions, Inproduction, Tdy Film Produktion, Bnp Paribas
Film Fund. In associazione con Protozoa Pictures
Distribuzione: Officine Ubu
Prima: (Roma 9-1-2014; Milano 9-1-2014)
Soggetto e Sceneggiatura: Julie Delphy, Alexia Landeau,
Alex Nahon (collaborazione)
Direttore della fotografia: Lubomir Bakchev
Montaggio: Isabelle Devinck
Musiche: Julie Delphy
M
arion vive insieme al compagno Mingus a New York.
Entrambi vengono da due
matrimoni precedenti e ognuno con i propri figli: Lulù e Wislow. Il weekend che li
attende metterà a dura prova la coppia.
Arriveranno in visita i familiari di Marion:
il padre, la sorella e il rispettivo fidanzato
della sorella. Il padre particolarmente
esuberante, con strane convinzioni sull’igiene che si prende troppa confidenza con
il genero, la ninfomane psichiatra infantile
Rose e il poco curato compagno Manu,
irriducibile fumatore d’erba. In questi
due giorni succede di tutto: viene venduta
dell’erba davanti ai bambini, Marion finge
di essere malata di un tumore al cervello
per scampare lo sfratto, viene messo in
prigione Manu e, durante l’esposizione
delle sue foto, Marion ha un acquirente per
la sua anima. Alla fine, dopo una caduta da
un edificio per salvare un piccione, nella
casa di Marion e Mingus torna la pace.
hiunque abbia curiosità di vedere questa commedia rosa
rimarrà un po’ deluso. 2 giorni
a New York, seguito di 2 giorni a Parigi, è
stato presentato al Sundance esattamente due anni fa. È da annoverare tra i film
C
Scenografia: Judy Rhee
Costumi: Rebecca Ofherr
Interpreti: Julie Delpy (Marion), Chris Rock (Mingus),
Albert Delpy (Jeannot), Alexia Landeau (Rose), Alex Nahon
(Manu), Dylan Baker (Ron), Kate Burton (Bella), Daniel
Brühl (Fata Della Quercia), Talen Riley (Willow), Malinda
Williams (Elizabeth), Vincent Gallo (Se stesso), Carmen
Lopez (Julia), Emily Wagner (Susan), Arthur French (Lee
Robinson), Petronia Paley (Carol Robinson), Alex Manette
(John Kelly), Marcus Ho (Johnny), Gregory Korostishevsky
(Boris), Mai Loan Tran (Ahn), Pun Bandhu (Joe), Johnny
Tran (Van)
Durata: 91’
degli anni 2000 più volte annunciati dalla
distribuzione italiana e poi puntualmente
rimandati. E ne capiamo il perché. Tutto
il film, montato peraltro malissimo, ruota
intorno al sesso in maniera esagerata,
quasi stucchevole, come se i problemi di
coppia e familiari si potessero ridurre a
questo. Oltre ciò l’attrice e regista Julie
Delpy, che interpreta il ruolo della protagonista femminile, riprende il conflitto tra
Francia e Stati Uniti con uno spaccato
sulla vita newyorkese. La sua analisi
però è solo superficiale; infatti anche se
la regista vuole sottolineare la differenza
tra culture (quello che alcuni critici amano
chiamare l’interessante rappresentazione
di un melting pot), monta delle irritanti
gag che non sono caratterizzate da un
punto di vista etnico-culturale. Di origine
francese ma naturalizzata in America, la
Delpy, oltre a qualche tocco transalpino
dal punto di vista registico, si diverte a
dare un’immagine della Francia e dei
francesi davvero terribile. Probabilmente
il suo intento era quello di ironizzare su
alcuni modelli, peccato però che gli stessi
“difetti” stereotipizzati caratterizzino il
personaggio per l’intera durata del film,
offrendo piuttosto una caricatura alquanto
noiosa. Così come anche è caricaturale
7
l’ironia sulla diversità di linguaggio. Nella
pazzia generale di un po’ tutti i personaggi
l’unica persona “normale” è il compagno e
giornalista radiofonico interpretato da Chris
Rock, se non si considera la sua abitudine
di parlare da solo con la sagoma di Obama.
Non si può discutere sull’ indubbia bravura di Julie Delpy come attrice ma, come
regista fa parecchio cilecca; rimane infatti
difficile pensare che solo qualche anno
fa (2004) vinse una candidatura all’Oscar
per la migliore sceneggiatura con Before
the Sunset - Prima del tramonto. Le sue
premesse erano buone, è stata musa di
registi come Kieslowski e Tavernier, per
poi diventare nel tempo una specie di
rappresentante del bilinguismo e della
contaminazione culturale per via del suo
vissuto personale, coi due cortometraggi
e i quattro film che ha diretto (Looking for
Jimmy - 2002, 2 giorni a Parigi - 2007, La
contessa - 2009, Le Skylab - 2011) e con
la trilogia amorosa di Richard Linklater
Before Sunrise (1995), Before Sunset
(2004) e Before Midnight (2013). L’irriverente personaggio del padre Jeannot è
interpretato da Albert Delpy, padre della
regista ma anche il legame di sangue non
aiuta a quella sinergia necessaria tra i
protagonisti della vicenda. Soprattutto se si
Film considera che vengono poco rappresentati
gli esterni e la città, questa mancanza di
empatia non aiuta lo sviluppo narrativo. Tra
gli attori compare Vincent Gallo nei panni
di sé stesso, i bravi Dylan Baker e Kate
Burton e Chris Rock, che fa una grande
interpretazione del suo personaggio. Lo
sforzo della Delpy è stato piuttosto quindi
quello di ricostruire la mentalità statunitense
Tutti i film della stagione
senza l’ausilio delle immagini. Alcuni critici
parlano delle influenze di Woody Allen e di
Richard Linklater, io nutro qualche dubbio.
Tra qualche scena originale sparsa qua e
là, il film si apre e si chiude come una fiaba,
ma all’interno nasconde scene dannose da
un punto di vista morale ed educativo: si
tocca il limite ad esempio quando i bambini,
seguendo l’esempio degli adulti, vendono
inconsciamente dell’erba, quando Marion
pensa che una valida strategia commerciale
per la sua mostra sia di mettere in vendita
oltre le fotografie la propria anima, o come
quando finge di avere un tumore al cervello
per evitare lo sfratto della vicina. Bastava
dire che era incinta. Bastava...
Giulia Angelucci
TORNERANNO I PRATI
Italia, 2014
Regia: Ermanno Olmi
Produzione: Cinema Undici e Ipotesi Cinema con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 6-11-2014; Milano 6-11-2014)
Soggetto e Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Direttore della fotografia: Fabio Olmi
Montaggio: Paolo Cottignola
Musiche: Paolo Fresu
Scenografia: Giuseppe Pirrotta
Costumi: Andrea Cavalletto, Maurizio Millenotti (supervisione)
Effetti: Rumblefish
Interpreti: Claudio Santamaria (Ufficiale territoriale),
Alessandro Sperduti (Il tenentino), Francesco Formichetti (Il
capitano), Andrea Di Maria (Conducente di mulo), Camillo
Grassi (L’attendente), Niccolò Senni (Il dimenticato),
Domenico Benetti (Il sergente), Andrea Benetti (Il capo-
T
rincea in alta montagna, paesaggio innevato, Prima Guerra
Mondiale. Alla vigilia della fine
di una tregua, tutto tace: in un’atmosfera
statica e ovattata, due soldati sgombrano
i camminamenti dalla neve. Con le tenebre
arriva il mulo del rancio, portato da un
soldato napoletano che canta. Tale è la
dolcezza della sua voce che dall’altra parte
del campo di battaglia giungono le richieste dei soldati austriaci che lo pregano di
non smettere, di cantare ancora per loro.
Intanto un maggiore e un “tenentino” (i
personaggi non hanno nomi propri) arrivano a cavallo, incappucciati, alla trincea,
proprio mentre i soldati ricevono il cibo e
la posta. Il maggiore e il tenente portano
al capitano – febbricitante come diversi
tra i soldati – l’ordine di una missione: il
nemico ha intercettato le comunicazioni
tra la trincea e il caposaldo e si è deciso
di instaurare un nuovo punto di osservazione e una nuova linea di comunicazione
con l’avamposto. Il comandante accoglie
con sgomento e con rabbia l’ordine che
definisce criminale. Intanto le luci dei
traccianti schiariscono il cielo notturno,
dietro la trincea appare una volpe che per
un attimo si ferma a osservare i soldati
rale), Andrea Frigo (La vittima), Franz Stefani (Il salvato),
Igor Pistollato (Il volontario), Carlo Stefani (Il soccorritore),
Giorgio Vellar (La vedetta), Roberto Rigoni Stern (La vedetta), Davide Rigoni (Il Cappellano militare Rigoni), Sam
Ursida (L’Appuntato dei Carabinieri), Niccolò Tredese (Il delirante), Francesco Nardelli (Il soldato Toni), Brais Vallarin
(Il ferito grave), Andrea Forte (Il soldato Topino), Riccardo
Rossi (L’amico del soldato Topino), Stefano Rossi (Il morituro), Marco Rigoni (L’infermiere), Nicola Rigoni (Il carabiniere), Maurizio Frigo (Il ferito nostalgico), Davide Degiampietro
(Il soldato alla mitraglia), Filippo Baù (Barelliere), Paolo
Baù (Barelliere), Daniele Cunico (Barelliere), William Rossi
(Barelliere), Alfonso Brugnaro (Il porta lettere), Anthony
Rossi (Il soldato rancio posta), Massimo Vellar (Il soldato
rancio posta)
Durata: 80’
chiusi sottoterra. Così inizia la ricerca da
parte del maggiore del primo volontario
per il collegamento della linea: la promessa è di una licenza premio e dieci lire,
il rischio è la morte. Dopo aver mangiato
un tozzo di pane e aver ricevuto la confessione, il soldato si stende nella neve con
il filo sulla schiena e inizia ad avanzare
a carponi. In pochi secondi iniziano gli
spari dei cecchini che colpiscono l’uomo e
lo uccidono. Il maggiore chiama allora un
secondo soldato, che al superiore mostra
una foto dei figli rimasti ad aspettarlo al
paese. Un altro si offre al suo posto: piscia
nella neve, bofonchia qualche parola di
rimprovero al maggiore e poi, afferrato il
fucile al contrario, si spara in testa, davanti
agli ufficiali e ai compagni sgomenti. Il capitano sospende ogni ulteriore azione, poi
abbandona la trincea rinunciando al grado
e rischiando la corte marziale. La truppa
resta così in attesa di un nuovo ufficiale;
anche il maggiore se ne va, lasciando nel
frattempo il comando al giovane e inesperto tenente. Di nuovo le luci dei traccianti
contendono alla luna il primato della luce
nella notte. Di nuovo i soldati osservano
gli alberi e le bestie intorno alla trincea.
Viene ordinato lo schieramento, ma men8
tre gli uomini sistemano i fucili inizia un
fitto bombardamento. La trincea è colpita
in pieno, alcuni sono feriti, di più sono i
morti. Un soldato che cerca le vittime tra
le macerie bestemmia. Arriva l’ordine di
ripiegare, ma prima di lasciare il campo,
i soldati seppelliscono i morti. Restano
in pochi. Il tenente è richiamato vicino
al punto più profondo della trincea: un
soldato, ex minatore, riconosce il rumore
degli scavi sotterranei per il piazzamento
di una mina. Torna la notte, mentre la terra
tace. Il tenente scrive alla madre. Sfila un
rapido montaggio d’immagini d’archivio,
mute e in bianco e nero, che registrano
azioni di battaglia della Prima Guerra
Mondiale, quella vera.
Alla fine, con lo sguardo in macchina,
l’attendente del capitano della trincea si
rivolge al pubblico: «Finita anche questa
guerra, tutti torneranno per dove sono
venuti. Qui sarà cresciuta l’erba nuova,
e di quel che c’è stato qui, di tutto quello
che abbiamo patito, non si vedrà più
niente. Non sembrerà più vero». Una
colonna di soldati avanza sotto la neve
sul crinale di una montagna. Due citazioni chiudono il film prima dei titoli di
coda. La prima:
Film Tutti i film della stagione
«Al mio papà, che qund’ero bambino,
mi raccontava della guerra dov’era
stato soldato».
Ermanno Olmi
La seconda:
«La guerra è una brutta bestia
che gira il mondo e non si ferma mai».
Torni Lunardi, pastore
niziamo proprio da qui, dal nome
misterioso e ai più sconosciuto che si
legge in calce alle ultime parole iscritte
nel corpo del film. Toni Lunardi non è un
pastore qualunque: è il vecchio montanaro
che Olmi incontra sul “suo” altopiano di
Asiago e che sceglie come coprotagonista
del film I recuperanti, produzione Rai del
1969 scritta insieme allo scrittore, amico
e vicino di casa Mario Rigoni Stern. Nel
film Olmi recupera il racconto della Prima
Guerra Mondiale attraverso la memoria di
un recuperante – proprio quel Toni Lunardi,
cercatore di pericolosi residuati bellici da
rivendere sul mercato nero dei metalli – il
quale, all’indomani della fine della Seconda
Guerra, perlustra ed esplora palmo a palmo
i monti che decenni prima eran stati teatro
degli scontri e dei massacri. La citazione
viene direttamente da qui, da questo specifico precedente cinematografico.
Torneranno i prati è dunque un film
più importante di quel che sembra e lo è
forse in un modo diverso dalle aspettative
più ingenue, per il percorso umano e artistico di Ermanno Olmi più che per il suo
intrinseco valore cinematografico. In esso
s’intrecciano in una sintesi nuova e ulteriore molte delle linee che hanno attraversato
nel profondo il lavoro di Olmi fin dai primi
anni della sua carriera di regista.
A cominciare proprio dal vecchio
progetto che Olmi e l’amico Rigoni Stern
mettono in cantiere già tra la fine degli
anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, la
trasposizione per il grande schermo del
romanzo Il sergente nella neve. Il progetto non supera la fase di preparazione e
i due, per raccontare la Grande Guerra,
dovranno aspettare appunto I recuperanti.
In Torneranno i prati poi si vede riaffiorare un’altra direttrice alla base di molti dei
racconti cinematografici olmiani: un chiaro
ed esplicito discorso pacifista che si concentra intorno al ritratto epico ma tutt’altro
che oleografico della vita del guerriero. In
particolare il soldato che con lo sguardo fisso in macchina bisbiglia parole con un tono
a metà tra il profetico e il proverbiale ricorda
molto da vicino lo scudiero che in Il mestiere
delle armi diceva di come le armi da fuoco
avessero cambiato le guerre e di come
fossero le guerre a cambiare il mondo. Di
I
pochi anni più tardi un altro film pacifista e
in qualche modo intimo, Cantando dietro i
paraventi, un altra opera in cui alla storia
e alla guerra si guarda, senza evitare la
crudezza, attraverso la lente del fiabesco.
Il tono del racconto in Torneranno i
prati mescola crudezza ad astrazione,
il tempo circolare della Natura al tempo
umano e lineare della Storia, e guarda alla
tragedia dell’individuo come parte di un
ingranaggio universale. Meritevole di uno
studio a parte sarebbe la scelta di fondare
le basi leggere di questo tableau vivant
disegnato tra il crepuscolo e l’aurora sul
racconto La paura di Federico De Roberto.
Nonostante all’origine della produzione
ci sia la richiesta e l’invito di un committente – corroborato dalla mediazione della
figlia Elisabetta -, questo lungometraggio
breve per girare il quale Olmi è incappato in
un malanno che ne ha minato nel profondo
la salute, sembra - più che un testamento,
un lascito, l’apice di una traiettoria - l’esaudirsi ormai insperato di un desiderio forte e
lontano, ficcato in fondo all’animo lieve di
un grande narratore: il modo di sussurrare,
senza preoccupazioni, due cose insieme:
l’anelito alla bellezza e alla meraviglia e il
monito estremo contro la violenza, che non
può essere che fratricida.
Silvio Grasselli
POLI OPPOSTI
Italia, 2015
Regia: Max Croci
Produzione: Marco Poccioni e Marco Valsania per Rodeo Drive con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 8-10-2015; Milano 8-10-2015)
Soggetto: Gianluca Ansanelli, Buffulini
Sceneggiatura: Gianluca Ansanelli, Tito Buffolini, Roberto Burchielli, Antonello De
Leo, Mauro Graziani, Riccardo Irrera, Paolo Logli, Alessandro Pondi
Direttore della fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio: Luigi Mearelli
Musiche: Alessandro Faro
Scenografia: Massimiliano Nocente
Costumi: Alessandra Robbiati
Interpreti: Luca Argentero (Stefano Parisi), Sarah Felberbaum (Claudia Torrini),
Giampaolo Morelli (Alessandro), Tommaso Ragno (Dott. Beck), Grazia Schiavo
(Carolina), Anna Safroncik (Mariasole), Elena Di Cioccio (Rita), Riccardo Russo
(Luca), Gualtiero Burzi (Luigi Braschi), Stefano Fresi (Fioraio), Roberto Bocchi
(Onorevole), Jack Queralt (Manolo)
Durata: 85’
9
Film S
tefano è un terapista di coppia che si
è appena separato dalla moglie Mariasole, donna viziata con la quale è
diventata impensabile anche una convivenza.
Allontanato anche l’ingombrante suocero,
famoso psicologo e irriducibile narciso,
Stefano si trasferisce altrove, facendo della
propria abitazione il suo ufficio e viceversa.
Si dà il caso che il proprietario dell’immobile sia anche un vecchio amico d’infanzia,
Alessandro. Sullo stesso pianerottolo abita
la sorella di Alessandro, Claudia, avvocato
divorzista in carriera e con un figlio a carico,
Luca, ragazzo sensibile e bersaglio dei coetanei. Ma, soprattutto, prima ed unica vera
cotta di Stefano. I due hanno gusti e abitudini
diverse, ma è innegabile che l’amore sia al
centro delle loro vite. Claudia è l’implacabile
avvocato Torrini, il peggiore degli incubi per
i mariti delle sue clienti. Odia gli uomini
e difende le donne, cercando come può di
ridurre gli ex mariti sul lastrico. Suo fratello
Alessandro è un bugiardo seriale ed è sposato
con Rita, ormai rassegnata alla gelosia. Stefano è invece un tipo accondiscendente che
durante l’adolescenza ha sofferto ed è stato
preso in giro per il suo fisico. Con i suoi pazienti cerca sempre di trovare una soluzione
per farli tornare insieme. L’antipatia, nonché
l’attrazione reciproca sono immediate, e a
queste si aggiunge la rivalità professionale,
quando i pazienti dell’una cominciano a
rivolgersi all’altro. Nonostante tutto, i due
cominciano a uscire e a frequentarsi e le cose
sembrano andare a gonfie vele. Intanto, si
intromette tra loro un’amica di Claudia, Carolina, producer televisiva, che con la scusa
del lavoro vorrebbe conquistare Stefano. La
sera di S. Valentino però succede qualcosa.
Stefano inaspettatamente dà buca a Claudia.
La donna non digerisce la cosa e, quando
viene a sapere che la sua amica ha proposto
a Stefano un programma in televisione, perde
Tutti i film della stagione
le staffe. Così all’udienza di separazione di
Stefano si presenta come avvocato difensore
della moglie. Durante la seduta i due si attaccano furiosamente davanti al giudice e alla
moglie. Non si riesce a trovare una soluzione
e i due rimangono sulle proprie posizioni.
Luca però, affezionato a Stefano ormai come
se fosse un padre, confessa alla madre che la
sera di S.Valentino l’uomo era con lui e di nascosto lo aveva riportato a casa ubriaco, dopo
una festa con i compagni di scuola. Quando i
due capiscono rispettivamente di amarsi e di
non poter fare a meno l’uno dell’altra, mentre
cercano di raggiungersi si scontrano con le
rispettive auto. Si trovano in ospedale, un po’
rotti, ma più innamorati che mai.
ax Croci debutta alla regia con
un film chiaramente ispirato alla
“sophisticated comedy” americana, e la messinscena denota gusto, ritmo e
una buona comunicazione con gli attori. Poli
opposti si identifica come una commedia
romantica, con una buona messinscena,
in cui i poli opposti del titolo sono destinati
ad avvicinarsi. In realtà il film dimostra che
gli opposti si possono attrarre in una prima
fase, che ci si può innamorare facilmente di
qualcosa che non si conosce, che è diverso
da sé, ma poi per stare davvero insieme e
continuare la relazione la sfida sta nel trovare
cose che uniscono, nell’individuare una
comunione di intenti. Claudia, che ha preso
una cantonata terribile con il padre di suo
figlio, odia il genere maschile, sentimento
che riversa con cinismo nel suo lavoro,
trasformandosi in una sorta di pseudo femminista, che mira a ottenere la rovina di tutti
i mariti. Stefano è più equilibrato; alle spalle
un’infanzia non esattamente da “leader” del
gruppo, cosa che lo avvicina alla situazione
che sta vivendo il figlio di Claudia. Meno
disilluso rispetto all’avvocato, crede ancora
M
nella coppia e nei benefici che ne derivano
se si è in grado di venirsi incontro. Gli scambi
tra Stefano e Claudia crescono sulle note
di un linguaggio opposto, ma codificato
che, stuzzicando e provocando, accende
progressivamente la miccia e fa esplodere
l’amore. Quel che manca al film però è una
sceneggiatura solida, che mostra invece
qualche lacuna, dietro un copione che avrebbe grandi potenzialità comiche e romantiche.
Incastrata in passaggi obbligati, la pellicola
non riesce ad avere una propria personalità.
Un ritratto caratterizzato da cliché sul cosiddetto amore-odio, povero di argomenti, ma
anche privo d’incisività, senza sfumature,
piatto, che sembra non curarsi di come si
arriva a una certa situazione. L’impressione
è che a muoverlo non sia la forza dinamica
dell’intreccio o la volontà dei personaggi, ma
la mano del regista, che sembra spingere
sul tono favolistico, facendo leva su tutta
una serie di coincidenze da romanzo rosa.
Il punto è che il tutto lo si vuole inserito in un
contesto essenzialmente realistico, dove
esistono i problemi di tutti i giorni. Peccato
perché il cast è affiatato, la chimica fra i due
attori protagonisti è ottima ed entrambi fanno
il massimo per dare calore alle rispettive
interpretazioni. Sarah Felberbaum, affascinante nell’atteggiarsi, dovrebbe tuttavia
lavorare sulla dizione, per eliminare dalla sua
voce quella nota stridula, che contrasta con
la naturalezza della sua recitazione. Luca
Argentero sembra adattarsi a perfezione al
ruolo di maschio italiano contemporaneo,
meno “macho” e più autentico. Grazia Schiavo nella parte di Carolina, crea scompiglio
nel ritrovato rapporto tra Stefano e Claudia,
Giampaolo Morelli, bugiardo seriale e sfrontato nei panni di Alessandro, coniuge di Rita,
incarnata da Elena Di Cioccio.
Veronica Barteri
CITTÀ DI CARTA
(Paper Towns)
Stati Uniti, 2015
Regia: Jake Schreier
Produzione: Fox 200 Pictures, Temple Hill Entertainment
Distribuzione: Asap Cinema Network
Prima: (Roma 3-9-2015; Milano 3-9-2015)
Soggetto: dal romanzo di John Green
Sceneggiatura: Michael H. Weber, Scott Neustadter
Direttore della fotografia: David Lanzenberg
Montaggio: Jacob Craycroft
Musiche: Son Lux
Scenografia: Chris L. Spellman
Costumi: Mary Claire Hannan
Effetti: Jake Braver, Phosphene
Interpreti: Cara Delevingne (Margo Roth Spiegelman), Nat
Wolff (Quentin Jacobsen), Halston Sage (Lacey Pemberton),
Caitlin Carver (Becca Arrington), Austin Abrams (Ben
Starling), Griffin Freeman (Jase), Meg Crosbie (Ruthie),
Justice Smith (Radar), Jaz Sinclair (Angela), Jim R. Coleman
(Detective Warren), RJ Shearer (Chuck Parsons), Tom
Hillmann (Sig. Spiegelman), Susan Macke Miller (Sig.ra
Spiegelman), Ryan Boz (Quentin a 14 anni), Lane Lovegrove
(Robert Joyner), Kendall McIntyre (Ben bambino), Madeleine
Murden (Margo a 14 anni), Josiah Cerio (Quentin bambino),
Hannah Alligood (Margo bambina), Cara Buono
Durata: 109’
10
Film Q
uentin è amico sin dall’infanzia di
Margo, dirimpettaia avventurosa
e imprevedibile, mentre lui è timido ed eccessivamente premuroso. I ragazzi
vivono ad Orlando, che Margo considera una
“città di carta” falsa e inconsistente. Negli
ultimi anni però i due si sono allontanati: la
ragazza è diventata una delle più gettonate
del liceo, lui uno dei più nerd. Una notte Margo entra nella camera di Quentin, passando
dalla finestra e lo trascina in un’avventura
che prevede la vendetta da parte di Margo
nei confronti di alcuni amici. Obiettivi: il suo
ex-ragazzo e altri coetanei da cui si ritiene
tradita, in quanto le avevano nascosto il
tradimento del suo fidanzato con una sua
amica. Quentin scopre di amarla follemente,
ma il giorno successivo la ragazza scompare
senza lasciare traccia. Così inizia a cercarla
seguendo degli indizi, che secondo lui condurranno inequivocabilmente a lei. Scopre
che l’espressione “città di carta” utilizzata
da Margo può riferirsi a quartieri una volta
abitati e successivamente abbandonati, che
continuano a esistere sulla carta, ma che nella realtà sono più simili alle città-fantasma.
Si tratta di un particolare fenomeno cartografico, per cui i cartografi inseriscono
luoghi fittizi nelle proprie mappe. Attraverso
questo fenomeno Quentin scopre l’esistenza
di Agloe, una città immaginaria, verso cui
convergono tutte le tracce. È lì che Margo
è andata a rifugiasi, Quentin ne è sicuro. In
questo viaggio di migliaia di chilometri, lo
accompagnano i suoi due migliori amici,
Ben e Radar e la migliore amica di Margo.
Arrivati a destinazione nel luogo previsto
non trovano la ragazza e Quentin è molto
deluso. Gli amici decidono di ritornare
a casa in tempo per il ballo di fine anno.
Quentin dopo, una discussione con gli
altri, rimane e, mentre sta per riprendere il
pullman, per caso per strada vede Margo. I
due si fermano a parlare. Quentin si rende
conto che la ragazza è ben lontana da quella
donna che tutti osannavano e lui stesso aveva
idealizzato. Così decide di ripartire e tornare
dai suoi amici e alla sua vita, che seppure
regolare, lo rende felice.
Tutti i film della stagione
ratto da un romanzo di John
Green, l’autore del teen cult
della scorsa annata, Colpa delle
stelle, il drammone strappalacrime che
raccontava la toccante storia d’amore tra
due ragazzi malati di cancro, Città di carta
è l’attesa pellicola adolescenziale della
nuova stagione cinematografica. Forse
angosciato dall’idea di dover ripetere il
successo clamoroso del primo film, interpretato dal medesimo attore, il regista Jake
Schreier riprende gli argomenti classici
della narrativa per ragazzi: l’amicizia, l’amore, i bulli contro i nerd eccetera. Si vuole
raccontare, nel senso più ampio possibile,
l’adolescenza, la crescita, il primo amore.
E la tendenza, abbastanza comune, di idealizzare le persone. Probabilmente quello
che l’autore ispirava a fare era una riflessione profonda su un problema piuttosto
diffuso tra i più giovani: l’incapacità di non
lasciarsi coinvolgere dai pregiudizi, siano
essi positivi che negativi. Peccato che nel
complesso l’operazione non riesca. La sottotrama principale, ossia il mistero legato al
personaggio di Margo e allo sviluppo della
relazione tra lei e Quentin, non riesce ad
amalgamarsi con il resto della storia. In
questo modo, il senso dell’opera di Green, si è perso: la storia, per forza di cose,
è stata semplificata. I personaggi sono
diventati superficiali e lo spettatore va al
cinema giusto per vedere la storia d’amore,
il bacio, l’happy ending, che tra l’altro non
c’è. Non c’è l’eroe che va alla ricerca della
sua principessa, ma ci sono tanti cliché e
anche qualche passaggio ripetitivo. E poco
altro: si parla di amicizia e d’amore, nella
sua forma più incredibile e potente del
colpo di fulmine. Ma, rispetto al romanzo,
appaiono diversi cambiamenti, anche se la
morale è sempre quella: la vita va vissuta
appieno, abbandonandosi ai sentimenti,
anziché chiudersi in se stessi. I protagonisti compiono un viaggio di formazione,
una ricerca che sarà caratterizzata dalla
ricostruzione di un vero e proprio puzzle,
non solo in merito alle tracce ritrovate ma
anche su loro stessi, sulla diversa perce-
T
zione che ognuno aveva della giovane
Margo, ma anche della diversa percezione
che ognuno di loro ha di sé e di chi ha accanto, un viaggio alla riscoperta del “cosa
è vero” e “cosa è di carta”. Tutto quindi
ruota intorno al concetto di “maschera”, di
sapore prettamente pirandelliano. Ognuno
indossa una maschera diversa, a seconda
del ruolo che vuole rivestire e del punto di
vista di chi osserva. Si crea pertanto un
meccanismo in cui tutti credono di conoscere una persona, ma in realtà nessuno
conosce nessuno. E questa maschera fa
parte di noi, ovunque andiamo, diventa il
nostro bagaglio di viaggio. Tutto ciò porta
non solo a ritenere di “conoscere” ma
anche a idealizzare la persona, cosa che
accade a Quentin. Per ritrovare Margo non
basterà affidarsi a quel “che sappiamo di
lei”, mettendo a paragone ogni indizio, ogni
percezione. Se ne ricaverà una persona
completamente diversa da quella creduta
e più andrà avanti la sua indagine, più
Quentin si renderà conto di quanto poco
realmente sapesse di lei, di quando l’avesse idolatrata, di quanto invece in realtà
la ragazza si sentisse vuota, sola, incompresa, timorosa e alla ricerca di attenzioni.
Senza derogare dai codici del teen-movie,
Città di carta cerca di abbinarli con quelli
della commedia on-the-road. Peccato che
anche il viaggio con gli amici, che risulta
alla fine essere la parte più divertente, non
meriti il giusto spazio. La figura di Margo
è appena accennata e il finale è stato
veramente ridotto e modificato rispetto
al romanzo, perdendo completamente di
mordente. Affidare Margo a Cara Delevingne calamita tutte le attenzioni sulla modella più che sull’attrice. Così la recitazione
da principiante improvvisata non convince
e la scarsa chimica con il protagonista
l’allontanano sempre più dal ruolo iconico
che dovrebbe sostenere. Non tanto meglio
della Delevingne il partner Nat Wolff, nel
ruolo di Quentin, che pare addormentato al
punto giusto da sembrare un nerd.
Veronica Barteri
MUCH LOVED
(Much Loved)
Francia, Marocco, 2015
Regia: Nabil Ayouch
Produzione: Eric Poulet, Saïd Hamich, Babil Ayouch per Les
Films du Nouveau Monde, Barney Production, New District,
Ali N’Productions
Distribuzione: Cinema di Valerio De Paolis
Prima: (Roma 8-10-2015; Milano 8-10-2015) V.M.14
Soggetto e Sceneggiatura: Nabil Ayouch
Direttore della fotografia: Virginie Surdej
Montaggio: Damien Keyeux
Musiche: Mike Kourtzer
Scenografia: Hind Ghazali
Interpreti: Loubna Abidar (Noha), Asmaa Lazrak (Randa),
Halima Karaouane (Soukaina), Sara Elhamdi Elalaoui
(Hlima), Abdellah Didane (Saïd), Danny Boushebel (Ahmad),
Carlo Brandt (L’amante francese)
Durata: 103’
11
Film M
arrakech, oggi.
Tre amiche, Noah, Soukaina e Randa si prostituiscono
nei locali notturni della città, partecipano
a feste e festini orgiastici dove si esibiscono
soprattutto per un pubblico di ricchi sauditi
che non disdegnano l’uso della violenza
pagata a suon di bigliettoni.
L’unico essere maschile che sta loro
vicino in maniera umana è Said, un tassista
che le accompagna dove occorre senza giudicare, cercando, nei limiti del possibile,
di tenerle lontano dai guai che possono
capitare di notte.
Mentre Randa si dissocia, in qualche
modo, dal terzetto, preferendo vendersi
a una donna facoltosa, Noah e Soukaina
restano sempre più coinvolte nel mercato
del sesso senza limiti che comincia a creare
qualche problema: la madre di Noah non
vuole più vederla, nonostante i soldi che
la giovane passa a tutti i parenti perchè le
voci sulla vita notturna della figlia hanno
cominciato a circolare e lei se ne vergogna;
Soukaina si è, messa invece in un brutto
guaio con un saudita che l’ha denunciata
alla polizia corrotta della citta.
Tutti i film della stagione
Le tre amiche sono diventate intanto
quattro perchè a loro si è unita Hlima,
una ragazzotta venuta dal contado che
si prostituisce molto meno elegantemente
per la strada.
Tutte e quattro decidono di cambiare
aria e con l’aiuto di Said che noleggia
per l’occasione una sconfinata limousine
vanno a passare un periodo in un bell’albergo sul mare.
Le ore trascorse sulla spiaggia rappresentano un bel momento di tregua tra
tanti problemi, in cui le quattro ragazze
possono apprezzare il piacere di stare
insieme.
l film è stato condannato in Marocco,
senza possibilità di sconti futuri perchè umilia la figura della nazione e
delle sue donne.
Certo il quadro è particolarmente
devastante, non tanto e non solo per
le ammucchiate di sesso che toccano
un fondo piuttosto degradato, ma per la
violenza che accompagna ogni scena di
cui sembra che gli uomini non possano
farne a meno e per la solitudine in cui
I
vive il gruppo di amiche che non trovano
nessuno capace di donare quell’umanità
che sarebbe loro necessaria.
Ancora una volta, è la condizione della
donna che richiama attenzione e sostegno
in un Paese come il Marocco in parte legato a tradizioni tribali sepolte nella notte
dei tempi.
La ribellione quindi è esplosiva, il
sesso, la forza dell’emancipazione, il
dolore che dà la spinta per uscire dalla
repressione, l’opporsi fino a che si può
alla violenza, il sospiro appagante della
complicità femminile assaporato quando
si è sole.
Bella la figura del tassista, personaggio quasi privo di parola che a fatica si
fa strada nel mantenere la barra ferma
di un comportamento civile che non lo
abbandona mai.
Bellissime le attrici e davvero brave a
esprimere l’esigenza assoluta di pretendere rispetto, considerazione, una mano
tesa che le accompagni lungo la strada
verso la civiltà.
Fabrizio Moresco
SANGUE DEL MIO SANGUE
Italia, Francia, Svizzera, 2015
Regia: Marco Bellocchio
Produzione: Simone Gattoni per Kavac Film, Beppe Caschetto per IBC Movie con Rai Cinema, in coproduzione con Fabio
Conversi per Barbary Films, Tiziana Soudani per Amka Film,
Gabriella Da Gara per RSI-Radiotelevisione Svizzera
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 9-9-2015; Milano 9-9-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Marco Bellocchio
Direttore della fotografia: Daniele Ciprì
Montaggio: Francesca Calvelli, Claudio Misantoni
Musiche: Carlo Crivelli
Scenografia: Andrea Castorina
Costumi: Daria Calvelli
Interpreti: Roberto Herlitzka (Conte), Pier Giorgio Bellocchio
(Federico), Lidiya Liberman (Benedetta), Fausto Russo Alesi
(Cacciapuoti), Alba Rohrwacher (Maria Perletti), Federica
N
ella Bobbio del ‘600 Federico,
un gentiluomo della zona, entra
in un convento di clausura per
riabilitare la memoria del fratello Fabrizio,
sacerdote suicida per la follia d’amore
provata per la giovane Suor Benedetta, ora
accusata di patteggiamento con il demonio
che la renderebbe padrona e capace di
azioni così insane.
La Santa Inquisizione non ammette
ritardi né deviazioni: Suor Benedetta è
Fracassi (Marta Perletti), Alberto Cracco (Inquisitore
francescano), Bruno Cariello (Angelo), Toni Bertorelli
(Dott. Cavanna), Filippo Timi (Il pazzo), Elena Bellocchio
(Elena), Ivan Franek (Rikalkov), Patrizia Bettini (Moglie
del Conte), Sebastiano Filocamo (Padre Confessore),
Alberto Bellocchio (Cardinal Federico Mai) Roberto
Herlitzka (Conte), Pier Giorgio Bellocchio (Federico), Lidiya
Liberman (Benedetta), Fausto Russo Alesi (Cacciapuoti),
Alba Rohrwacher (Maria Perletti), Federica Fracassi (Marta
Perletti), Alberto Cracco (Inquisitore francescano), Bruno
Cariello (Angelo), Toni Bertorelli (Dott. Cavanna), Filippo
Timi (Il pazzo), Elena Bellocchio (Elena), Ivan Franek
(Rikalkov), Patrizia Bettini (Moglie del Conte), Sebastiano
Filocamo (Padre Confessore), Alberto Bellocchio (Cardinal
Federico Mai)
Durata: 100’
sottoposta a tortura perchè confessi di
avere “perpetrato” la seduzione, cosa
che permetterebbe al convento di dare
degna sepoltura al povero prete, per ora
abbandonato in terra sconsacrata insieme
ai cani.
Benedetta però non parla e, mentre lo
stesso Federico è combattuto tra l’esigenza
familiare della vendetta e della punizione
della presunta indemoniata e l’irrefrenabile desiderio che lo sospinge verso
12
l’enigmatica suora, il tribunale decide di
murare viva la condannata ribelle perchè
mediti sulle sue colpe nel buio e nel silenzio
della costrizione.
Siamo ora ai giorni nostri: un singolare
ispettore della Regione, molto probabilmente un millantatore, accompagna un
miliardario russo che vuole comprare dal
Comune l’antico complesso di clausura in
abbandono da tempo, per dare corso a una
speculazione turistico immobiliare.
Film In una zona segreta dell’antico convento vive però da anni un vecchio signore,
un conte che ha abbandonato la vita dei
vivi e che, accudito da una devota coppia
di famigli, preferisce vivere la vita dei
morti e dei redivivi, insomma per questo è
chiamato anche il vampiro.
Il conte fa parte di un comitato di notabili che ha condotto la vita del circondario
come un luogo chiuso che ha beneficiato
di tranquillità e benessere grazie alla
corruzione e allo sfruttamento dello Stato:
per questo il conte non vuole minimamente
che Bobbio si apra alle conquiste della
modernità come l’uso della rete web che
potrebbe portare verifiche e accertamenti
di ogni sorta.
Il conte capisce subito che l’ispettore
della Regione è un truffatore e decide di
tacitarlo con una manciata di soldi per
chiudere soprattutto ogni contatto con
l’esterno.
Intanto, tornando indietro nei secoli,
assistiamo allo smuramento della prigione
di Benedetta, di fronte allo sguardo indagatore di Federico, divenuto, nel frattempo,
cardinale.
La meraviglia è che la caduta del muro
svela la presenza di una donna bellissima,
nuda e affascinante, per nulla deturpata
dalle privazioni e dalle torture: il cardinale Federico cade a terra morto, colpito
dallo sguardo di sfida eterna della giovane
rediviva.
Anche il vecchio conte, ritornando ai
giorni nostri, muore di colpo sotto l’impossibilità di fermare il tempo, mentre decine
di macchine della polizia circondano la
cittadina per fare piazza pulita di tutta la
corruzione che ha fatto da padrona per
secoli.
arco Bellocchio riunisce la sua
gente, i figli, il fratello, gli attori
a lui vicini o congeniali per ritornare alla sua amatissima Bobbio in una
rivisitazione completa delle ossessioni, dei
sogni, delle nostalgie, dei sensi di colpa,
delle aspirazioni civili che hanno sempre
contraddistinto la sua vita e il suo cinema.
Vediamo in questo film la massima espressione della sua forza poetica, la voglia più
violenta del suo desiderio dissacratore
che non lo ha mai abbandonato e il volere
confermare definitivamente i capisaldi
essenziali del suo percorso di cineasta.
È un film che dovrebbe essere raccontato fotogramma per fotogramma perchè
tutto esprime un significato e addirittura
una moltitudine di significati in un rimando
continuo di metafore, di malinconie, e di ricordi e di una voglia bruciante di abbattere
il potere, qualunque esso sia.
M
Tutti i film della stagione
Intanto due parti ben distinte, certo,
che si intersecano però l’una nell’altra nelle
cause e nelle conseguenze. La prima trova
il suo centro espressivo nell’ambientazione seicentesca: un convento di clausura,
un gruppo di suore oppresse e bigotte,
ma agitate dai richiami della carne; una
schiera di frati pavidi e dubitanti e ugualmente spietati e risoluti nelle pratiche degli
interrogatori, delle ossessioni, della tortura,
ma ben consapevoli che la confessione
della dannata complice del diavolo non ha
solo un significato religioso e codificato dal
braccio dell’Inquisizione, ma rappresenta
il baluardo del potere: la mancata confessione della suora potrebbe costituire infatti
quel primo colpo di piccone all’autorità e
all’oppressione con cui si è consolidato il
governo della Chiesa per secoli.
Ma la suora non confessa e quei colpi
di piccone si moltiplicheranno trent’anni
dopo ad abbattere quel muro e le permetteranno di andare via libera, spinta dalla
forza insopprimibile della libertà.
A legare avvenimenti e metafore è la
figura di un cavaliere del suo tempo, un
uomo d’arme, ricco di fascino, mistero,
forza e perplessità a cui Pier Giorgio Bellocchio, particolarmente ispirato, fornisce
la responsabilità piena della complicità con
i tempi a cui è legato per il mantenimento
del potere di cui anche lui fa parte e, insieme, una irresolutezza carnale e umana
che non lo aiuta però al momento della
formazione di una presa di coscienza. Dovrà aspettare anche lui trent’anni quando,
cardinale, e quindi al massimo dei poteri
della Chiesa, per vedere sgretolarsi quelle
certezze in cui aveva creduto di trovare
rifugio e giustificazione non potrà fare altro
che abbattersi al suolo vinto da ciò che non
aveva saputo e soprattutto voluto capire.
13
La seconda parte vede Bobbio oggi:
l’inquieto cavaliere del ‘600 è diventato un
manutengolo dei tempi, mezzo ispettore
regionale, mezzo affarista, mezzo corruttore che cerca di ricavare per sé le briciole
degli affari, o presunti tali, che propone.
Il conte, il vampiro, cioè il sistema che
ha succhiato sangue e risorse alle forze
della popolazione non vuole che le nuove
leve, portatrici tra l’altro di volgarità e sguiatezze mostruose, si aprano al vento della
modernità considerata insana e pericolosa
verso il mantenimento della situazione
millenaria controllata dai notabili.
Muore anche il vecchio, il suo corpo
fasciato di nero giace inondato da una luce
accecante, è la stessa fine del cardinale,
perchè tutto sia messo in discussione e
possa aprirsi una luce nel futuro.
Le due parti sono, naturalmente l’una figlia dell’altra e non rappresentano affatto due
binari a se stanti, quasi un’incollatura di due
film diversi come taluni hanno stigmatizzato.
Bellocchio ha fatto un film dedicato
alla Storia (quella con la S maiuscola) di
cui non può fare a meno di constatare la
ripetitività perchè il potere è sempre uguale
in ogni tempo, sotto ogni costume e al
servizio di ogni bandiera.
La corruzione di oggi, il malaffare a cui
sembra quasi esserci abituati e che permea
le nostre vite e le nostre azioni quotidiane,
anche le più insignificanti è nato allora,
almeno nella codificazione poi comprovata
attraverso i secoli, in mezzo a quelle tonache nere, sotto le corde del santo Tribunale,
nella ostinata, ottusa e pervicace negazione
dell’esigenza di libertà e rispetto civile insito
in ogni essere umano.
Stiamo parlando però di un film e, soprattutto di un film di Marco Bellocchio, il
cui narrare segue il telaio di personalissimi
Film accostamenti e dell’unicità di un’indagine
che appartiene solo a lui.
La sua Bobbio è vista contemporaneamente come la propria Shangri-La e come
il nucleo portante dell’oppressione nera:
quindi panorami lacustri, corsi d’acqua
verginali e cristallini nell’accogliere un
desiderio evocativo che parte dal cuore
si alternano a processioni di ottusità, a
stanze con suore appese al soffitto per punizione: come se l’autore volesse stringere
con le proprie mani i perchè di un passato
Tutti i film della stagione
non più modificabile né comprensibile e
che ha lasciato però più di una dolorosa
traccia crepuscolare. Il nero poi è il colore
che accomuna le epoche dalla tortura
seicentesca alla politica affaristica priva
di etica del nostro Novecento verso cui il
regista prova un’avversione che non potrà
mai estinguersi.
Tutti questi argomenti costituiscono
una montagna immane, davvero sangue
del suo sangue; è ovvio che il racconto in
alcuni momenti possa farsi pesante nel
soffrire lo squilibrio di una narrazione in
difficoltà nel bilanciare i temi, le immagini
e le metafore che si affastellano e che
pretendono uguale spazio di rappresentazione. Il fascino è però enorme, così la
forza seduttiva di una fantasia potente, palpabile, coinvolgente che tocca il metafisico
e che ci fa considerare questo lavoro del
nostro grande cineasta come l’opera più
bella, ricca e creativa di tutto il suo cinema.
Fabrizio Moresco
FUGA IN TACCHI A SPILLO
(Hot Pursuit)
Stati Uniti, 2015
Regia: Anne Fletcher
Produzione: Daiana Fox, Bruna Papandrea, Reese Witherspoon per MGM, New Line Cinema, Pacific Standar, Warner
Bros.
Distribuzione: Warner Bros.
Prima: (Roma 18-6-2015; Milano 18-6-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: John Quaintance, David
Feeney
Direttore della fotografia: Oliver Stapleton
Montaggio: Priscilla Nedd-Friendly
Musiche: Christophe Beck
Scenografia: Nelson Coates
Costumi: Catherine Marie Thomas
F
uga in tacchi a spillo racconta
la storia di una poliziotta ligia
alle regole, Rose Cooper, giovane agente cresciuta all’ombra del padre
poliziotto. Rose è spesso oggetto dell’ironia
da parte dei colleghi del Dipartimento di
Polizia dopo un incidente per un colpo
di pistola maldestro partito alla giovane
agente durante una missione e da allora
denominato “cooperata”.
All’improvviso, con sua grande sorpresa proprio perché relegata da tempo
dietro a una scrivania, Rose si vede
affidare l’incarico di scortare attraverso
il Texas la moglie del boss della droga
Felipe Riva, Daniella. La donna e il marito dovranno testimoniare in tribunale
contro il famoso narcotrafficante Cortez,
fresco di arresto.
Ma, arrivata nella villa dei Riva, la
squadra di polizia e Felipe Riva cadono in
un agguato. Daniella riesce a nascondersi
in garage: a prenderla in custodia è l’agente Cooper, miracolosamente scampata alla
sparatoria. Le due donne fuggono da San
Antonio alla volta di Dallas, ma Daniella
reagisce istericamente alla notizia della
morte del marito: la donna cerca di usare il
suo cellulare per chiedere aiuto ma Cooper
fa accidentalmente cadere il telefono della
Effetti: Comen VFX, Sandbox VFX, Big-Hug FX, Park Road
VFX, BlueBolt
Interpreti: Reese Witherspoon (Cooper), Sofía Vergara
(Daniella Riva), Robert Kazinsky (Randy), Michael Mosley
(Detective Dixon), Matthew Del Negro (Detective Hauser),
Richard T. Jones (Detective Jackson), Mike Birbiglia (Steve),
Benny Nieves (Jesus), Michael Ray Escamilla (Angel),
Joaquín Cosio (Vicente Cortez), John Carroll Lynch (Capitano
Emmett), Jim Gaffigan (Red), Vincent Laresca (Felipe Riva),
David Jensen (Wayne), Evaluna Montaner (Teresa Cortez),
Marcus Lyle Brown (Lou), Carol Sutton (Brenda), Alejandra
Pérez (Marisol)
Durata: 87’
donna fuori dall’auto in corsa. Daniella
porta con sé una pesante valigia da cui non
si separa mai. Le due donne entrano in un
negozio per comprare abiti nuovi: devono
cercare di seminare una coppia di poliziotti
e gli uomini dell’organizzazione criminale
di Cortez che sono sulle loro tracce. Cooper telefona alla centrale per segnalare
un elemento utile all’identificazione di
uno dei due agenti che le sta inseguendo:
l’uomo ha un particolare tatuaggio. Le due
signore vengono raggiunte dai due colleghi
di Cooper, gli agenti Dixon e Hauser. Ma
Rose riconosce il tatuaggio sul braccio di
Hauser: i due agenti sono gli inseguitori
delle due donne. Le due vengono catturate
e fatte salire sull’auto dei due poliziotti,
ma, grazie a una scusa accampata da Rose
(Daniella ha il ciclo mestruale), le donne
riescono ad ottenere il permesso di andare
in bagno e poi a scappare. Le due saltano
sul retro di un pick-up: durante il tragitto
Cooper chiede a Daniella cosa c’è dentro
quella pesante valigia da cui non si separa
mai, la donna confessa che il bagaglio è
pieno di scarpe con il tacco a spillo decorate con preziosissimi diamanti. Daniella
dice che gli erano state lasciate da suo
fratello prima di morire e sono il solo
ricordo che gli resta di lui. Intanto, il pro14
prietario del veicolo, Red, si accorge della
presenza delle due donne e le minaccia con
un fucile. Le due fingono di essere lesbiche
mentre Red si ferisce accidentalmente a un
dito. Daniella e Rose scappano su un altro
camion. Durante la fuga, Rose confessa
a Daniella di avere problemi a stabilire
rapporti con gli uomini. Subito dopo si
accorgono che c’è un uomo sul retro del
loro camion: di tratta di Randy, che indossa
un braccialetto di sicurezza alla caviglia
per aver assalito il violento fidanzato della
sorella. Le due donne stringono un accordo
con Randy: loro lo aiuteranno a disfarsi del
braccialetto se lui le aiuterà nella fuga. Tra
Randy e Rose nasce attrazione reciproca. I
tre si fermano per la notte in un motel: Rose
ammanetta Daniella al letto mentre va da
Randy nella stanza accanto a prendere del
cibo. Rose è attratta da Randy e lo bacia.
Di ritorno nella sua stanza, Rose ha un
duro confronto con Daniella durante il
quale scopre che le scarpe contenute nella
valigia della donna hanno un valore di
più di 4 milioni di dollari e sono frutto del
riciclaggio del denaro sporco del marito.
All’improvviso, alla porta della camera appaiono gli agenti Dixon e Hauser, ma le due
donne riescono a scappare grazie all’aiuto
di Randy. Durante una rocambolesca fuga
Film su un bus inseguite dagli uomini di Cortéz
e dai poliziotti corrotti, Rose capisce che
Daniella lavora insieme ad alcuni uomini
a un piano per uccidere Cortéz al fine di
vendicare l’uccisione di suo fratello. Daniella vuole fare i conti con l’uomo durante
la festa della ‘quinceañera’, per i quindici
anni della nipote di Cortez. Daniella lega
Rose a un palo e scappa. Ma Cooper vuole
portare a termine il suo piano e riesce a
introdursi di nascosto alla ‘quinceañera’,
è vestita da uomo ed è sulle tracce di Daniella. Rose fa indossare a Daniela un microfono per registrare Cortez che confessa
di aver ucciso il fratello. Daniella incontra
Cortez da sola e gli rivela la sua intenzione
di ucciderlo ma l’uomo tira fuori un fucile.
A salvare la situazione arriva Rose che,
dopo una colluttazione, riesce a uccidere
l’uomo. Daniella è arrabbiata con Rose
perché avrebbe voluto uccidere lei Cortez,
finché non si accorge che per salvarla la
poliziotta è stata colpita con un proiettile
a un braccio.
Tre mesi dopo Daniella esce di prigione
dopo aver scontato la sua pena per intralcio alla giustizia e Rose la va a prendere
all’uscita. Cooper non è più lo zimbello del
Dipartimento di Polizia ed è stata lodata
per aver eliminato Cortez. Rose restituisce
a Daniella le sue scarpe e va via insieme
a Randy.
U
na fuga tutta al femminile, tra
valigie piene di scintillanti scarpe
col tacco e pistole maldestra-
Tutti i film della stagione
mente maneggiate, ecco il succo di questa
commedia che vede duettare la bellezza
tascabile di Reese Witherspoon e quella
statuaria di Sofia Vergara.
Genere essenzialmente femminile, la
commedia ha la sua ragion d’essere nel
gioco dei contrasti, da sempre fonte di
grandi e gustose risate. Non fa eccezione
questo film che ruota (esclusivamente) sul
contrasto tra le due protagoniste.
Ma, ecco le note dolenti, la versione
rosa della “strana coppia” in fuga, questa
volta affonda nelle sabbie mobili della
prevedibilità. La regista Anne Fletcher,
coreografa di successo poi passata alla
regia (sua la pellicola ‘ballerina’ Step Up,
seguito dalle non memorabili commedie
27 volte in bianco e Ricatto d’amore)
confeziona un film che ha il suo motore
proprio nel contrasto (fisico e non) tra le
due protagoniste.
Reese Whiterspoon è una poliziotta dal
fisico gracile e dalla parlantina facile, figlia
di un famoso poliziotto, è fin troppo ligia al
codice della polizia da risultare petulante
ma allo stesso tempo è molto sbadata,
stupida e pasticciona (un suo clamoroso
errore viene da tempo ricordato negli annali della polizia come “cooperata”) e per
di più in perenne ricerca di un fidanzato
che possa sopportarla. Sofia Vergara è la
bellissima “moglie-trofeo” colombiana di
un boss della droga, sempre in bilico su
vertiginosi tacchi, fasciata un abiti ‘seconda pelle’, capelli sempre in perfetta piega,
ricca e viziata.
Ma nel presunto gioco di opposti tra le
due, quella che risulta più odiosa e indisponente fin dalle prime battute è proprio
la ‘piccoletta’ e logorroica agente di polizia
mentre (ovviamente) la bellona tutta curve
si rivelerà più intelligente e furba delle
apparenze.
E il gioco si fa duro (si fa per dire),
perché la fuga è costellata di gag più o
meno riuscite, tra ripetute allusioni ‘lesbo’,
urletti, buffi inseguimenti, improbabili travestimenti (anche un cervo!), inni al girl
power mentre si ridicolizzano uomini dal
cervello piccolo piccolo.
Tra un battibecco e l’altro, il plot di
questo buddy-movie tutto rosa (tra l’altro
molto simile al più riuscito Corpi da reato
del 2013 con la coppia Sandra BullockMelissa McCarthy a giocare sugli opposti
tipi femminili) non riserva grosse sorprese
arrivando a un immancabile finale ambientato durante una ‘quinceañera’, la celebre
festa per i quindici anni delle adolescenti,
consuetudine di molti Paesi dell’America
Latina.
D’altronde, il titolo parla già da solo,
cosa volete aspettarvi da una... Fuga in
tacchi a spillo?
E allora prendetela così, in fondo si
tratta solo una commediola iper-leggera
adatta a non pensare davvero a nulla se
non alle curve della sexy bellezza colombiana di Sofia Vergara, lei si davvero un
corpo da reato.
Elena Bartoni
PER AMOR VOSTRO
Italia, Francia, 2015
Regia: Giuseppe M. Gaudino
Produzione: Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri per Buena
Onda, Dario Formisano per Eskimo, Gaetano Di Vaio per Figli
del Bronx Produzioni, Giuseppe M. Gaudino e Isabella Sandri
per Gaundri, Giovanni Cottone per Bea Production Company,
Gianluca Curti per Minerva Pictures Group, Con Rai Cinema
Distribuzione: Officine Obu
Prima: (Roma 17-9-2015; Milano 17-9-2015)
Soggetto: Giuseppe M. Gaudino
Sceneggiatura: Giuseppe M. Gaudino, Isabella Sandri, Lina
Sarti
Direttore della fotografia: Matteo Cocco
Montaggio: Giogiò Fraschini
Musiche: Epsilon Indi
Scenografia: Flaviano Barbarisi, Antonella Di Martino
Costumi: Alessandra Torella
A
nna vive a Napoli in una famiglia problematica: un marito
violento (Scaglione) e dedito
Interpreti: Valeria Golino (Anna Ruotolo), Massimiliano
Gallo (Gigi Scaglione), Adriano Giannini (Michele Migliaccio),
Salvatore Cantalupo (Ciro Amoroso), Rosaria Di Cicco
(Direttrice Studio TV), Elisabetta Mirra (Santina Scaglione),
Daria D’Isanto (Cinzia Scaglione), Edoardo Crò (Arturo
Scaglione), Virginia D’Abbrescia (Madre di Anna), Roberto
Corcione (Padre di Anna), Massimo De Matteo (Salvatore
Ruotolo), Simona Capozzi (Assunta Amoroso), Alfonso
Postiglione (Don Vincenzo), Antonella Stefanucci (Madre di
Anna giovane), Lello Radice (Padre di Anna giovane), Sara
Tancredi (Anna bambina), Paola Casella (Attrice Studio TV),
Luisa Esposito (Truccatrice Studio TV), Dani Samvis (Attrice
Studio TV), Stefano Moffa (Aiuto Regista Studio TV), Vincenzo
Pirozzi (Macchinista Studio TV), Stefano Jotti (Regista Studio
TV)
Durata: 109’
a loschi affari che comprendono sicuramente l’usura; tre figli, due ragazze, Santina e Cinzia alle prese con le difficoltà
15
dei propri anni che si uniscono a quelle
della famiglia, soldi, frequentazioni,
futuro e un ragazzo, Arturo, sordomuto
Film ma intelligente e sensibile che adora la
madre.
Anna riesce a essere assunta in pianta
stabile presso uno studio televisivo come
suggeritrice, porta cioè il “gobbo” di cui
scrive anche le parole a chiare lettere
cosa che la fa apprezzare molto da tutto
l’ambiente. A tal punto che uno degli attori
della “soap” che stanno girando, Michele
Migliaccio, si invaghisce di lei e tra un
fiore e un complimento riesce a farne la
sua amante anche se per brevissimo tempo.
Migliaccio infatti non è una persona affidabile né sentimentalmente, né socialmente:
è un giocatore incallito pieno di debiti
contratti con i suoi complici di camorra
e anche, guarda un po’, con Scaglione, il
marito di Anna.
Dopo avere scoperto la situazione in un
drammatico incontro a tre, Anna denuncia
Tutti i film della stagione
tutto e tutti alla polizia; resterà sola con i
suoi figli e potrà contare solo su se stessa,
come è sempre stato nella sua vita.
l regista Giuseppe Gaudino è di
Pozzuoli, terra di misteri antichi e
di dei infernali, di prodigiosi contatti
con presenze sotterranee e di paurose
leggende soffocate nelle esalazioni sulfuree di un’attività vulcanica sempre attiva.
Tutto questo l’autore sente incosciamente
quando costruisce il suo quadro cinematografico fatto di passato e presente, di
illusione e realtà, di sogno e incubo, di
avvenimenti reali e tangibili che diventano
presto preda della fiaba napoletana da
raccontare ai bambini ma densa di orrori
e personaggi sanguinari.
Anna, una Golino in stato di grazia
e giustamente premiata a Venezia 2015
I
è al centro di questo vulcano che lei ha
da tempo risolto nella scelta grigia della
sua vita priva di colori, d’amore ed entusiasmi. Si lascia vivere Anna, trovando
sempre il modo di aiutare gli altri ma
mai se stessa, ingolfata in una vita di
necessità e cattiverie sempre rimosse,
messe da parte. È una scelta perchè
Anna sicuramente “vede”, ma preferisce
il grigio di un’assenza visto che per lei la
vita è la grigia assenza di ogni colore e
di ogni palpito.
Proprio quando il quadro sembra non
poter cambiare mai, per Anna riparte la
speranza: l’amore, la famiglia, la quotidianità delle sue giornate mescolano
parossisticamente ogni colorazione in un
vortice non più governasbile.
Non ce la fa Anna a mantenere la padronanza di se stessa e della sua vita quando
si accorge di quanto fosse illusorio il sorgere
di quella poca luce: il suo autore la fa precipitare in un vulcano di colori che travolgono
passato e presente e anche la sua narrazione; è eccessiva e fuorviante l’esplosione
cromatica e le variazioni all’infinito dei suoi
contrasti a esporre gli avvenimenti lontani e
vicini che si spingono a reclamare visibilità
nell’animo della protagonista.
È un affastellamento di generi, musiche, suggestioni, reminiscenze, sogni che
l’autore gonfia in un’ipertrofia immaginifica
e surreale eppure densa di realismo.
Si può non essere d’accordo con tutto
questo, ma meglio fare i conti con un
eccesso di materia, proposizioni e sistemi
narrativi che con l’afasia (di racconti, di
storie e di modalità espressive) che occupa
spesso gran parte del nostro cinema.
Fabrizio Moresco
MISSION: IMPOSSIBLE – ROGUE NATION
(Mission: Impossible – Rogue Nation)
Stati Uniti, 2015
Regia: Christopher McQuarrie
Produzione: Tom Cruise, J.J. Abrams, Bryan Burk, David Ellison, Dana Goldberg, Don Granger per Bad Robot, Skydance
Productions, TC Productions
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 19-8-2015; Milano 19-8-2015)
Soggetto: Bruce Geller (serie Tv), Drew Pearce
Sceneggiatura: Christopher McQuarrie
Direttore della fotografia: Robert Elswit
Montaggio: Eddie Hamilton
Musiche: Joe Kraemer
D
opo una missione d’apertura ‘quasi’ impossibile in cui
intercetta una vendita di gas
Scenografia: James D. Bissell
Costumi: Joanna Johnston
Effetti: Elia P. Popov, Dominic Tuohy, David Vickery, Double
Negative
Interpreti: Tom Cruise (Ethan Hunt), Jeremy Renner
(William Brandt), Simon Pegg (Benji Dunn), Ving Rhames
(Luther Stickell), Rebecca Ferguson (Ilsa Faust), Sean
Harris (Solomon Lane), Alec Baldwin (Alan Hunley, Direttore
CIA), Katrina Vasilieva (Agente Doran), Andrew Zographos
(Stephen Adams)
Durata: 130’
nervino ad alcuni terroristi, l’agente
dell’IMF (Impossible Mission Force),
Ethan Hunt vuole provare l’esistenza del
16
Sindacato, un’organizzazione criminale
internazionale ignota alla CIA. A Londra,
Ethan viene catturato proprio dal Sinda-
Film cato dopo essere stato narcotizzato. Hunt
riesce a fuggire da una camera di tortura,
allestita da Janik Vinter soprannominato
“il dottore delle ossa”, grazie all’aiuto
dell’agente dell’MI6 Ilsa Faust, da tempo
infiltrata nel Sindacato.
Nel frattempo, il direttore della CIA
Alan Hunley e l’agente dell’IMF William
Brandt testimoniano davanti a un comitato.
L’IMF viene criticata per i suoi metodi
distruttivi e spesso impropri. Hunley, a cui
non piace Hunt, riesce a ottenere l’eliminazione dell’IMF, che viene incorporata
nella CIA. L’agente Brandt avvisa l’amico
Hunt consigliandogli di rimanere nascosto.
Tagliato fuori dall’IMF, Ethan cerca di
risalire al suo unico ricordo prima della
cattura in un negozio di dischi in vinile: un
uomo biondo con gli occhiali, identificato
come l’ex agente dell’MI6 Solomon Lane.
Sei mesi dopo, Hunt è ancora un fuggitivo, sulle tracce del Sindacato. Così decide
di chiamare l’ex collega Benji Dunn per
mettersi alla ricerca di Lane, che sospetta
essere il leader del Sindacato. Durante
una rappresentazione della “Turandot”
all’Opera di Vienna, Hunt riesce a fermare tre cecchini, tra cui Ilsa Faust. Ma
Hunt viene pesantemente biasimato per la
morte del Cancelliere d’Austria durante la
rappresentazione.
Brandt decide di reclutare l’agente
Luther Stickell per trovare Hunt prima
che la Special Activities Division della
CIA lo uccida. Brandt e Stickell riescono a
rintracciare Ethan, Benji Dunn e Ilsa Faust
in Marocco. Lì i tre riescono a infiltrarsi
in un server segreto, nascosto sotto una
stazione per il raffreddamento a liquido
per cambiare i dati di accesso e permettere
a Dunn di entrare in una camera blindata. Dopo aver rubato quella che credono
essere la lista con i nomi di tutti gli agenti
del Sindacato, Ilsa Faust prende i dati,
contenuti in una chiavetta USB, e scappa.
Ethan, la sua squadra, e alcuni membri del
Sindacato, la inseguono invano. Ma Benji
aveva già fatto una copia dei dati.
Ilsa Faust torna a Londra per consegnare i dati e completare la missione
entrando nel Sindacato, ma il suo manager
della MI6, il losco Attlee, la costringe a
continuare. Arrivata da Lane, insieme
scoprono che Attlee ha cancellato i dati nel
drive, che conteneva una red box del governo Britannico, che richiede l’intervento
del Primo Ministro inglese per effettuare
l’accesso. Così gli ex agenti dell’IMF si
incontrano con Ilsa Faust, ma quando
gli uomini di Lane rapiscono Dunn, le
viene ordinato di consegnare una copia
decriptata del drive a Lane. Hunt capisce
che l’uomo ha un piano per ottenere il file;
Tutti i film della stagione
concordando che il modo per fermarlo sia
affrontarlo, Hunt accetta la proposta.
Come previsto da Hunt, Brandt rivela le loro posizioni a Hunley. Durante
un’asta di beneficienza, Hunley, Brandt
e Attlee portano il Primo Ministro in una
stanza privata per proteggerlo da Hunt.
Ottenuta la conferma dell’esistenza del
Sindacato, Attlee si rivela essere Hunt
con una maschera. Quando arriva il vero
Attlee, Hunt lo costringe ad ammettere di
essere stato l’iniziatore del Sindacato, e
di averlo tenuto segreto da quando Lane
aveva dirottato il progetto.
Stickell intanto scopre che il file contiene l’accesso a miliardi di dollari. Hunt
distrugge il file e dice a Lane di aver memorizzato i dati, al fine di costringerlo a
rilasciare Dunn e Faust in cambio di ciò
che sa. Dunn fugge da Stickell e Brandt
mentre Ethan e Faust si dividono per non
essere raggiunti dagli uomini di Vinter. Ilsa
uccide Vinter con una coltellata e Ethan
attira Lane in una cella dove viene gasato,
esattamente come Hunt all’inizio del film,
e fatto prigioniero.
Hunley e Brandt ritornano davanti
al comitato. Hunley richiede il ripristino
dell’IMF, confessando che lo aveva bloccato per permettere a Hunt di operare sotto
copertura; i capi del comitato accettano il
ritorno dell’IMF. Brandt si congratula con
Hunley, il nuovo segretario.
a sequenza d’apertura la dice lunga: Ethan Hunt è appeso a mani
nude su un grande Airbus A400M
Atlas che sta per decollare. Subito dopo,
Hunt e la sua organizzazione, la IMF,
vengono rinnegati dalla CIA. La IMF viene
messa sotto processo perché considerata
pericolosa (non solo, le missioni portate a
termine con successo sono reputate più
dettate dalla fortuna che dall’abilità degli
agenti). Ma il grande e vero pericolo viene
questa volta dal Sindacato, fantomatica
quanto misteriosa organizzazione criminale composta da ex agenti speciali. Gli
uomini dell’IMF, Hunt in testa, vogliono
stanare ed eliminare il Sindacato il cui
fine è creare disordine mondiale attraverso una serie di atti di terrorismo. Con la
IMF ufficialmente sciolta dalla CIA, Ehan
Hunt dovrà dare la caccia ai vertici del
Sindacato.
Sulla carta sembrava una ‘missione
impossibile’ e invece lui, Tom Cruise, cinquantatrè anni e non sentirli, ce l’ha fatta
ancora una volta: più e meglio di prima.
Diciannove anni dopo il primo film (era
il 1996, alla regia c’era Brian De Palma), il
quinto capitolo della saga adrenalinica Mission: Impossible (sottotitolo Rogue Nation)
L
17
colpisce nel segno, complice una regia
senza sbavature del talentuoso Christopher McQuarrie (già sceneggiatore premio
Oscar nel 1995 per il thriller-capolavoro I
soliti sospetti).
Nuova regia, nuova squadra di sceneggiatori (Drew Pearce e McQuarrie), un
gruppo di comprimari d’eccellenza (Jeremy
Renner e Alec Baldwin in testa, tallonati dal
fascino enigmatico della svedese Rebecca
Ferguson nei panni della misteriosa agente
Ilsa Faust) e una star inossidabile, un Tom
Cruise più in forma che mai.
Senza fiato… letteralmente. La Mission
Impossible numero cinque di Tom Cruise
è davvero senza respiro: un ritmo travolgente (il film colleziona un numero elevato
di sequenze adrenaliniche), una messa
in scena impeccabile, una serie di volti e
luoghi indovinatissimi.
Vera anima di tutta la serie di missioni
impossibili, anche questa volta Cruise
è il film (oltre che interprete è anche
produttore). In tutto e per tutto. In rapida
sequenza lo si vede, dopo il volo iniziale,
cecchino durante una rappresentazione
della “Turandot” all’Opera di Vienna (una
delle scene più belle del film che non può
non ricordare la magistrale sequenza
finale dell’hitchcockiano L’uomo che sapeva troppo), abile subacqueo in apnea,
motociclista spericolato, in 132 minuti di
missioni al cardiopalma, capovolgimenti
di fronte e sorprese à go-go.
Dalla Vienna notturna ed elegante,
alla solare e polverosa Casablanca (l’inseguimento prima in auto e poi in moto
è da brividi), l’avventura regala perle da
action spionistico di alto livello, complice
un cast perfetto. Da Alec Baldwin, capo
della CIA intenzionato a far cadere Hunt
e i suoi, a Jeremy Renner, arguto braccio
destro del protagonista nonché campione
di ironia e dissimulazione, a Simon Pegg,
l’inseparabile amico Benji, simpatico ‘nerd’
da scrivania catapultato nel bel mezzo
dell’avventura, a Sean Harris cattivone di
turno. Menzione speciale per la svedese
Rebecca Ferguson nei panni della misteriosa spia britannica Ilsa Faust, erede 2.0
del fascino alla Ingrid Bergman, bellezza
raffinata e sensuale (occhio allo spacco
vertiginoso dell’abito da sera con cui fa
la sua apparizione all’Opera di Vienna).
Frecciatine antibritanniche sulle relazioni tra Inghilterra e Stati Uniti (in presenza del Primo Ministro inglese) e istruzioni
per una missione ad alto rischio fornite da
una voce registrata su un vecchio vinile
in un negozio di dischi londinese dall’atmosfera retrò: sono solo alcuni esempi
dei lampi di genio di una sceneggiatura
attentissima.
Film Di tutto e di più. McQuarrie alla regia
è davvero una sorprendente scoperta e
infonde nuova linfa vitale a una saga che
aveva già dalla sua incassi stellari grazie a
Tutti i film della stagione
registi del peso di John Woo, J. J. Abrams
e Brad Bird.
Questa volta di meglio non si poteva
fare, l’imperativo è mettersi comodi e gu-
starsi un’avventura dove davvero nulla è
impossibile.
Elena Bartoni
SICARIO
(Sicario)
Stati Uniti, 2015
Regia: Denis Villeneuve
Produzione: Thunder Road Pictures
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 24-9-2015; Milano 24-9-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Taylor Sheridan
Direttore della fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Joe Walker
Musiche: Jóhann Jóhannsson
Scenografia: Patrice Vermette
Costumi: Renée April
Effetti: Cinesite, Oblique FX, Lidar Guys, Fly Studio
D
urante un’imboscata l’Fbi scopre decine di cadaveri nascosti
nei muri, con la testa sigillata
in sacchetti di plastica. Per allargare la
squadra che va a caccia dei mandanti
di quel massacro la Cia arruola Kate, la
giovane agente dell’Fbi che ha partecipato all’imboscata rivelatrice, anche se
la donna è un’esperta di rapimenti. La
speciale task force in cui viene trasferita,
accompagnata da un suo amico e collega,
appronta una missione che non intende
solo arginare il narcotraffico al confine
tra Stati Uniti e Messico, ma distruggere
i potentati messicani che lo organizzano e
controllano, esercitando il terrore. A guidare l’impresa, insieme al capo americano
della squadra, Matt Graver, un uomo che
si dice procuratore messicano, Alejandro.
La squadra, che ha intenzione di portare
in Arizona da El Paso il fratello di un noto
boss mafioso, arriva a Juarez, in Messico.
Lì la legge e il protocollo perdono di significato e dunque la violenza regna sovrana.
Sono all’ordine del giorno morti impiccati
sotto i ponti, sgozzati, o squartati e spari
in lontananza come fuochi d’artificio. Ma,
proprio l’ingresso violento in territorio
americano di questo eccesso di violenza,
convince Kate a mettere mano alle armi e
ad accettare l’incarico, nonostante faccia
fatica a convincersi di quanto ci sia di
meschino dietro il progetto e la spedizione. La donna, infatti, si trova coinvolta in
qualcosa più grande di lei e si accorge di
essere tenuta all’oscuro di molti segreti e
retroscena. Catapultata in qualcosa che
non riesce a capire, a cui non riesce a
dare un nome, si rende conto di assistere
Interpreti: Benicio Del Toro (Alejandro), Emily Blunt (Kate
Macer), Josh Brolin (Matt), Jon Bernthal (Ted), Victor
Garber (Dave Jennings), Daniel Kaluuya (Reggie Wayne),
Jeffrey Donovan (Steve Forsing), Raoul Trujillo (Rafael),
Julio Cedillo (Fausto Alarcon), Lora Martinez-Cunningham
(Jacinta), Maximiliano Hernández (Silvio), Dylan Kenin
(Charlie), David Garver (Bob Fisks), Bernardo P. Saracino
(Manuel Diaz), Jesus Nevarez-Castillo (Eliseo), Kevin
Wiggins (Burnett), Matthew Tompkins (Jessie Garza), Edgar
Arreola (Guillermo)
Durata: 121’
impotente a una discesa agli inferi, in cui
non ci sono leggi, in cui la regola è il caos.
Un gioco in cui scopre, quando già è tardi,
di avere il ruolo di esca e non sa chi fa la
parte del “buono” e chi del “cattivo”.
Alejandro è in realtà un killer, un mercenario colombiano, che combatte per chi paga
e nel contempo persegue un suo personale
obiettivo: vendicarsi di chi ha brutalmente
ucciso la sua famiglia. L’uomo, dopo aver
salvato Kate da un poliziotto corrotto ed
eliminato senza scrupoli tutti coloro che
ostacolavano la sua vendetta, costringe
Kate a firmargli un accordo in cui dichiara
l’integrità dell’operazione. La donna, contro ogni moralità e giustizia, si trova nella
situazione di dover accettare per forza. In
un campetto da calcio dei bambini giocano,
finché degli spari non troppo distanti li
interrompono. Ma solo per un istante e il
gioco riprende come se nulla fosse.
resentato a Cannes dal regista
canadese Denis Villeneuve,
Sicario è un crime action che
si incrocia con il genere bellico. Una storia, sporca e cattiva, in cui c’è di mezzo
la guerra statunitense, con pericolose
e ambigue alleanze con il Messico e i
cartelli messicani, clan padroni di intere
regioni, tra le realtà più feroci sulla faccia
della terra. Il regista tira fuori tutto il suo
senso per il male e per il massacro, per la
violenza umana, in una messinscena che
trasforma una storia di genere in discesa
all’inferno. Viene abbattuta ogni barriera
tra bene e male, essendo tutti malvagi, a
parte l’angelica agente Fbi Emly Blunt cui
tocca, come dire, rappresentare il raggio di
P
18
luce nelle tenebre. Si ricorre oltre la norma
al campo lungo, a confondere i protagonisti
con il paesaggio e la folla, minimizzandone
quando non necessario gli atti e le parole.
Perché tutti sono ugualmente partecipi,
vittime o carnefici, del grande massacro,
tutti sono dei vivi già all’inferno. Fino alla
resa dei conti finale, un bagno di sangue
che è pura tragedia, dove anche gli innocenti pagheranno, in una sorta di catarsi
purificatrice. Il bene non sta da nessuna
parte, sembra dirci Villeneuve. Con un altro
dei suoi cupi affreschi prosegue il percorso
di denuncia degli Stati Uniti iniziato con
Prisoners, il suo primo film americano. I
temi sono identici, qui più estremizzati: la
volontà di mantenere un ordine a tutti i costi
e la consapevolezza di trovarsi sempre e
comunque di fronte a un caos, all’impossibilità di proteggere i propri figli da un’escalation di violenza, che non guarda in faccia
nessuno. C’è una disumanizzazione di chi
si fa carico di “fare pulizia”. L’universo di
Sicario risulta privo di pietà e di senso e
sembra dirci che, attraversando le frontiere fra Messico e Stati Uniti, fra brutalità
e apparente civiltà, ci sono confini che è
meglio non attraversare. L’incipit del film,
folgorante, orchestrato con ritmi sonori
martellanti è davvero d’impatto. Ma è solo
l’inizio: poi la narrazione segue coordinate
definite, sempre intrise di ambiguità, in un
implacabile crescendo, non abbandonando mai quella prospettiva di inesorabilità.
Che siano riprese aeree sul caldo deserto
o su agglomerati di case dall’inquietante
ordine, che siano le concitate riprese strette nelle vie dell’inferno urbano di Juarez
o ancora i primi piani sul volti segnati dei
Film personaggi, tutto è caratterizzato dall’assuefazione alla violenza. La tensione è
palpabile e accelera i battiti del cuore,
la violenza scorre facendosi portatrice di
paura, che si fa tangibile alla rivelazione
del sicario, anima nera, votata all’indicibile
necessità di ottenere “ordine” da parte di
un sistema perverso e corrotto fin nelle
viscere. E Kate, da semplice osservatrice,
Tutti i film della stagione
diventerà suo malgrado complice di un
cinismo e una crudeltà che appaiono come
conclusioni morali. La regia dà l’illusione
che veramente il mistero si stia infittendo,
con i suoi meccanismi atti a ipnotizzare
lo spettatore. Carrellate, primi piani, simmetrie e asimmetrie, chiaroscuri, fino alla
bellissima sequenza della camera termica
alternata alla visione notturna. Il personag-
gio di Emily Blunt è certo la forza trainante
dell’intera pellicola, ma tutta la giostra che
la circonda non ha mistero, non regge allo
spessore che i personaggi dovrebbero
avere. Tranne Benicio del Toro, che come
sempre non delude le aspettative e appare
più cattivo che mai.
Veronica Barteri
TED 2
(Ted 2)
Stati Uniti, 2015
Regia: Seth MacFarlane
Produzione: Scott Stuber, Seth MacFarlane, Jason Clark,
John Jacobs per Fuzzy Door Productions, Bluegrass Films
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 25-6-2015; Milano 25-6-2015)V.M.: 14
Soggetto e Sceneggiatura: Seth MacFarlane, Alec Sulkin,
Wellesley Wild
Direttore della fotografia: Michael Barrett
Montaggio: Jeff Freeman
Musiche: Walter Murphy
Scenografia: Stephen Lineweaver
L
a storia di Ted 2 riprende dopo che
è passato un po’ di tempo dalla
prima avventura. Siamo sempre a
Boston, dove vivono i due grandi amici,
John Bennet e il suo inseparabile orsetto di
peluche, Ted. John è di nuovo single dopo
la fine dell’unione con Lori, mentre Ted
convola a nozze con la sua vistosa e bionda
collega Tami-Lynn. Ma neanche l’unione
di un orsetto con una donna è esente da
problemi: e così la coppia, per cercare
di salvare il matrimonio, decide di avere
un bambino. Dopo una serie di tentativi
andati male (o anche peggio) di trovare
un donatore di sperma, viene fuori che
Tami-Lynn è sterile per colpa delle troppe
droghe assunte. E così la coppia opta
per l’adozione: l’assistente sociale però
riferisce che Ted, essendo un orsacchiotto
di peluche, agli occhi dello Stato non è
una persona, ma un “bene”. L’indagine
federale che ne consegue sancisce l’invalidità del matrimonio di Ted, la perdita del
lavoro, il blocco del conto in banca e della
carta di credito.
John consiglia a Ted di rivolgersi al
tribunale e, dal momento che non possono
permettersi un avvocato, il loro caso viene
assegnato alla giovane Samantha Leslie
Jackson, legale alle prime armi. In un
primo momento Ted e John sono diffidenti,
ma cambiano rapidamente idea quando
scoprono che Samantha condivide la loro
Costumi: Cindy Evans
Effetti: Blair Clark, Iloura
Interpreti: Mark Wahlberg (John Bennett), Amanda Seyfried
(Samantha L. Jackson), Giovanni Ribisi (Donny), John Slattery
(Shep Wild), Jessica Barth (Tami-Lynn), Morgan Freeman
(Patrick Meighan), Patrick Warburton (Guy), Bill Smitrovich
(Frank), Sam J. Jones (Flash Gordon), Michael Dorn (Rick),
John Carroll Lynch (Tom Jessup), Tom Brady (Donatore per
Ted), Dennis Haysbert (Medico specialista della fertilità), Jay
Patterson (Karl Jackson), Liam Neeson (Cliente)
Durata: 119’
passione per la droga, in particolare della
marijuana (che la ragazza dice di usare per
scopi terapeutici). Nel frattempo, Donny,
(il rapitore di Ted nel primo film) è in
libertà vigilata e lavora ora come bidello
nella sede della Hasbro Toy Company.
Donny convince il capo dell’azienda ad
assumere un avvocato esperto per far
perdere la causa a Ted, con l’obbiettivo di
catturarlo e scoprire il segreto per creare
orsacchiotti viventi.
Dopo un lungo dibattito, il tribunale si
pronuncia contro Ted. Disperati, Samantha, Ted e John decidono di rivolgersi a
Patrick Meighan, un avvocato dei diritti
civili di grande fama, nella speranza di
ribaltare la decisione della corte. I tre si
mettono in viaggio per New York per incontrare l’avvocato, ma per colpa della guida
spericolata di Ted, l’auto sbanda prima
di arrivare all’aeroporto. Seduti intorno
a un falò in un bosco, Samantha e John
si sentono molto attratti l’uno dall’altra.
La mattina dopo, il gruppo arriva a
New York. Meighan è un uomo affabile,
ma alla fine rifiuta il caso, perché pensa
che Ted non abbia contribuito in modo
responsabile all’umanità a causa del suo
stile di vita fatto di comportamenti scurrili
e abuso di stupefacenti.
Geloso del rapporto creatosi tra John
e Samantha, Ted se ne va e si reca al
Comic-Con. Donny lo segue, quando se
19
ne accorge, Ted comincia a correre; ruba
un telefono e contatta John, ma prima
che lui possa rispondere, viene catturato
da Donny. John e Samantha arrivano al
Comic-Con poco prima che Donny possa
fare a pezzi Ted. I due liberano Ted, ma
Donny taglia i cavi che reggono una grande finta astronave. John getta Ted lontano
per evitare che venga schiacciato. Ma John
viene colpito. Donny è di nuovo arrestato
per tentato omicidio premeditato.
John è in coma per il colpo che ha preso. Il ragazzo passa una notte all’ospedale:
Ted, Samantha e Tami-Lynn appena arrivata, sono accanto a lui. Il mattino seguente
il dottore afferma che John è morto: ma è
solo uno scherzo di John. Subito dopo, il
quartetto riceve una visita di Meighan, che,
saputa la notizia dell’incidente, decide di
accettare il caso di Ted. Il verdetto della
giuria viene ribaltato e Ted è riconosciuto
a tutti gli effetti come una persona. John e
Samantha si fidanzano.
Poco tempo dopo, i quattro festeggiano
l’adozione di un bambino da parte di Ted e
Tami-Lynn. John e Samantha gli regalano
un orsetto, augurandogli che prenda vita.
rsacchiotto o essere umano?
Una mera ‘proprietà’ o una
persona?
Il dilemma si fa (quasi) serio nell’atteso
follow up del grande successo del 2012
O
Film che vedeva protagonista l’orsetto più
vizioso e sboccato che si sia mai visto sul
grande schermo, Ted appunto.
Il ‘deus ex machina’ di quell’exploit,
Seth MacFarlane, torna nelle vesti di attore, regista e voce (oltre che corpo nascosto
dentro una tuta motion capture) di Ted 2.
Questa volta si affronta un problema cruciale: legalizzare o no l’irresistibile orsetto?
Questa volta però si alza decisamente il
tiro: perché dimostrare che un orsacchiotto
è un essere umano non è cosa semplice. Il
dito è puntato sulla necessità tutta umana
di catalogare le persone in piccoli gruppi. E
così la storia dell’emarginazione di Ted è un
po’ come quella della discriminazione verso
i gay o i neri. E la battuta della giovane avvocatessa liberal, cade a fagiolo a rendere
chiaro il messaggio: “in ogni battaglia per i
diritti civili siamo in grado di riconoscere il
giusto punto di vista solo anni dopo il fatto:
mai quando il conflitto è in corso”.
Trovare la personalità giuridica di
Ted che rischia di essere bollato come
“property”, cioè “un bene”, fa scivolare il
film verso un finale da favoletta dove la
battaglia dell’orsetto per il riconoscimento
di ‘essere dotato di sentimenti’ ha un esito
a dir poco scontato.
Ma quello che diverte è altrove.
Ricco di citazioni cinefile e omaggi
(un titolo su tutti Jurassic Park), gag più
o meno volgari (la scena nel laboratorio
dei campioni di sperma), o irresistibili (il
Tutti i film della stagione
pasticciato ‘volo’ commesso da un Ted
improvvisato automobilista che finisce con
l’auto direttamente dentro un fienile), inseguimenti (al cardiopalma quello in un campo
di marijuana), il film diviene pirotecnico
soprattutto nella seconda parte, a dispetto
del plot scontato. La comicità del vecchio
e illustre stile slapstick (voli, salti, pugni e
porte in faccia) si mescola alla perfezione
con i prodigi della tecnologia del terzo millennio che fa animare un orsetto di peluche
inserendolo in un contesto live action senza
la minima sbavatura, tra corsette e scazzottate. I movimenti dell’orsetto, il doppiaggio,
l’interazione con gli attori in carne e ossa
e l’ambiente, tutto è perfettamente congegnato per garantire incassi stellari, come da
copione per tutti i sequel di grandi successi.
Operazione furbetta o meno, non si
può comunque non riconoscere l’abilità del
‘factotum’ Seth MacFarlane di frullare alto
e basso, comicità scurrile e citazionismo,
sesso e droga, in una commedia che sa
far ridere ma che sa anche essere una
satira al vetriolo sulla moralità e le abitudini
dell’uomo comune (guardate che fine fanno gli appassionati di jogging), giocando
duro e con tutta la scorrettezza possibile
(arrivando a ridurre in polvere perfino un
gruppo di comici da cabaret tirando in ballo
questioni spinose come l’11 settembre o
Charlie Hebdo).
I personaggi dell’universo-Ted fanno
alla grande la loro parte: dalle vecchie
conoscenze come la vistosa ‘biondona’
Tami –Lynn (Jessica Barth), lo psicopatico
Donny (un perfetto Giovanni Ribisi) che
ordisce un nuovo piano per rapire Ted, il
‘vero’ supereroe Flash Gordon alias Sam
J. Jones, fino alle new entry Amanda
Seyfried (avvocatessa volenterosa ma alle
prime armi) e il grande Morgan Freeman
nei panni di una star del foro (eh si, ci voleva proprio lui per dirimere la questione).
Metteteci poi un losco boss di una
multinazionale di giocattoli (John Carroll
Lynch) in combutta con il folle Donny per
rapire Ted e poterlo studiare e replicare,
un asso della giurisprudenza che deve guidare l’accusa contro Ted (John Slattery) e
camei di lusso come quello del quarterback
dei New England Patriots Tom Brady (un
potenziale donatore di sperma per Ted) e
il piatto è servito.
Perso (inevitabilmente) l’effetto-sorpresa del primo capitolo, il risultato di questo
sequel è comunque piacevole: dall’incipitomaggio al musical hollywoodiano, al
finale rutilante ambientato durante il
Comic-Con di New York (gli appassionati
del genere avranno di che deliziarsi).
Ma, attenzione, Ted 2 non è roba da
bambini, proprio no. Basta guardare l’orsetto fumare marijuana da uno strano…
‘coso’ (anche se l’inquietante radiografa di
un cervello “fumato” è una bella trovata).
Elena Bartoni
PADRI E FIGLIE
(Fathers and Daughters)
Italia, Stati Uniti, 2015
Regia: Gabriele Muccino
Produzione: Voltage Pictures in coproduzione con Busted
Shark Productions, Fear of God Films, Andrea Leone Films
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 1-10-2015; Milano 1-10-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Brad Desh
Direttore della fotografia: Shane Hurlbut
Montaggio: Alexandro Rodriguez
Musiche: Paolo Buonvino
Scenografia: Daniel B. Clancy
Costumi: Isis Mussenden
Effetti: EDI – Effetti Digitali Italiani
J
ake Davis è uno scrittore che
ha già vinto un premio Pulitzer.
Quando sua moglie muore in un
incidente d’auto, Jake si ritrova a dover
crescere la figlia Katie da solo e a gestire
una serie di problemi fisici e mentali che
lo costringono a un temporaneo ricovero presso un ospedale psichiatrico.
Interpreti: Russell Crowe (Jake Davis), Amanda Seyfried
(Katie Davis), Aaron Paul (Cameron), Diane Kruger
(Elisabeth), Quvenzhané Wallis (Lucy), Bruce Greenwood
(William), Janet McTeer (Psicanalista), Kylie Rogers (Katie
bambina), Jane Fonda (Theodora), Octavia Spencer (Dott.
ssa Corman), Haley Bennett (Stacey), Ryan Eggold (John),
Brendan Griffin (Evan), Claire Chapelli (Nancy), Chris
Douglass (Brian), Michelle Veintimilla (Michelle), Matt
Scheib (Michael), Jake Scheib (Andrew), Jason McCune
(Jon Wilton), Darren Eliker (Dott. Barrett), Santiago Veizaga
(Diego)
Durata: 116’
Purtroppo Katie viene affidata alla zia
Elisabeth, sorella della madre defunta e
a suo marito John, avvocato blasonato,
che nutrono verso Jake un profondo
rancore. Jake riprende la figlia appena
uscito dall’ospedale, sette mesi più tardi.
Sembra che le crisi siano migliorate, ma
solo per un breve periodo gli concedono
20
tregua. Due piani temporali distanti tra
loro ventisette anni ci mostrano Katie,
ormai adulta, che vive a New York. È
diventata un’assistente sociale che si occupa di bambini disagiati. In particolare,
le danno in affidamento una bambina
che non parla più, dopo che ha visto
uccidere la madre prostituta. Nel tempo
Film libero, tenta di domare i propri demoni,
concedendosi a chiunque, ma rifiutando
di instaurare legami che vadano oltre il
sesso occasionale. Il grande amore che
ha provato per il padre le ha lasciato un
vuoto incolmabile e ha fatto di lei una
persona in grado di aiutare gli altri,
ma non se stessa. Jake non se la passa
troppo bene neanche economicamente. Il
nuovo romanzo pubblicato dopo il lungo
periodo di crisi sembra essere stato un
vero flop. Oltre ai problemi economici,
anche gli attacchi di epilessia rendono la
vita dello scrittore e della figlia sempre
più precaria. Gli zii, vista la difficile
situazione, pretendono l’affidamento di
Katie e, dopo aver provato a convincere
Jake con le buone, ricorrono alle vie
legali. Intanto, su suggerimento della
figlia, lo scrittore inizia a scrivere un
nuovo romanzo ispirato alla loro storia.
Ormai nessuno più crede in lui, tranne la
sua agente e amica. Tra uno sconosciuto
e l’altro, Katie incontra Cameron, giornalista freelance ammiratore dello scrittore Jake. Quando scopre che Katie è la
“patatina” protagonista del best-seller
di Davis “Padri e figlie”, l’ammirazione
per il padre diviene amore per la figlia.
L’incapacità di amare di Katie però causa alla coppia non pochi problemi, dovuti
anche allo spettro di un padre che non
c’è più, ma che anche da inesistente si
intromette fra loro continuamente. Katie
riesce a rovinare anche il rapporto con
Cameron, tradendolo con un altro. Durante uno dei soliti attacchi, più violento
del solito, Jack sbatte la testa contro il
termosifone e muore. Poco dopo la sua
morte, il suo romanzo “Padri e figlie”
vince il premio Pulitzer. Katie capisce
l’importanza del ragazzo e finalmente
gli confessa il proprio amore.
lla sua quarta esperienza
americana, Gabriele Muccino
conferma di essere uno dei
pochi registi italiani in grado di saper
lavorare bene a Hollywood, senza tradire
se stesso e senza lasciarsi intimidire dal
peso divistico degli interpreti. Dopo il
deludente Quello che so sull’amore di un
paio di anni fa, che fu in qualche modo
rinnegato dallo stesso regista, con Padri
e figlie pare aver ritrovato il suo stile.
Proprio quello che gli aveva regalato il
meritato successo con Il segreto della
felicità. Una pellicola che ci parla del peso
delle ferite dell’infanzia, nel cammino
verso la maturità emotiva e illustra quanto
il dolore di una perdita possa tradursi in
paura d’amare. La sceneggiatura delinea
l’evoluzione, nell’arco di circa venticinque
A
Tutti i film della stagione
anni, della toccante e drammatica storia
d’amore tra un padre e una figlia. Uno dei
rapporti più ancestrali, primordiali e profondi che esistano. Il complesso di Elettra
insegna. Fedele al suo registro narrativo
melodrammatico, Muccino sceglie di contenere le emozioni invece che lasciarle
traboccare e segue gradualmente la
progressione esteriore e interiore della
storia, pur muovendosi su due diversi piani, come mescolando due film, attraverso
continui salti temporali. Lavorando su una
sceneggiatura preesistente e all’interno
di una macchina produttiva come quella
statunitense, però riesce a valorizzare il
film con la cifra d’autore. Quel modo di far
lievitare la storia attraverso le emozioni
e far acquisire ai protagonisti la forza
necessaria per superare gli ostacoli,
spingendoli a compiere azioni esagerate,
al cospetto di imprese titaniche, ad alto
rischio fallimentare. I personaggi di Muccino sono tutti antieroi alle prese con le
difficoltà della vita, che non si arrendono
neanche quando il rischio del fallimento
è quasi certo. Il film parla di crescita; ogni
uomo è il risultato di ciò che ha vissuto da
bambino. Siamo spugne viventi ed è proprio così che diventiamo adulti, misurandoci con la proiezione di chi desideriamo
essere e chi invece siamo veramente. Il
racconto, d’impianto melodrammatico, si
muove con tempi lenti, per entrare nell’armonia affettiva che genererà quell’unione
profonda tra figlia e padre. L’amore è il
vero conduttore del rapporto. La malattia
invalidante di Jake non fermerà la voglia
di farcela, per tenersi la sua “patatina”,
così come la malattia psicologica che
costringe Katie a relazioni sbagliate
troverà la terapia giusta, riconoscendo
il vero amore. Partendo da quello che
il regista ha definito un “microcosmo di
umanità ferite”, il film mette in scena vita
21
vera ed emozioni universali, puntando
quasi a costituire una seduta di terapia di
gruppo per il pubblico in sala. Inizialmente confusa dall’estemporaneità dei fatti,
la pellicola trova poi il suo punto di forza
proprio nel tipo di regia e nel suo linguaggio ellittico, così come nella fotografia
pulita, pronta a illuminare con diverse
tonalità le fasi della vita. Passato, presente e futuro appaiono allora in armonia e
compenetrati tra loro, come nella scena
davanti alla sua scuola, quando una
strategica sovrapposizione temporale fa
sì che Katie riviva un momento della sua
fanciullezza. Attimo di pura poesia visiva.
E poi l’enfasi della musica e il dinamismo
della recitazione di pancia. Il meglio infatti, come sempre, viene con gli attori.
Russell Crowe in un personaggio così
dolce e intenso raramente lo avevamo
visto. Seppure un po’ appesantito, tira
fuori tutta la sua tempra da combattente.
Diane Kruger, la cui bellezza algida ed
elegante ben si adatta ad interpretare la
zia gelida e rancorosa, dipinge in poche
scene una donna sconfitta, mentre Jane
Fonda, nei panni dell’agente di Jake, è
sempre fantastica anche nell’offrirci un
ruolo marginale. Amanda Seyfried, attrice
conosciuta in Mamma mia, qui appare
finalmente come un’attrice vera. Ma su
tutti spicca l’undicenne Kylie Rogers,
per la prima volta sullo schermo, che si
porta a casa una prova di recitazione
magistrale. Il cast, insomma, è scelto con
il bilancino e tutti danno il meglio, come
spesso capita agli attori di Muccino. Lui,
in compenso, torna a quella complessa
essenzialità, condita da sentimenti forti e
una maturità emotiva, mettendoci tanto
di suo, che, questa volta, il film sembra
essergli davvero cucito addosso.
Veronica Barteri
Film Tutti i film della stagione
PARTISAN
(Partisan)
Australia, 2015
Regia: Ariel Kleiman
Produzione: Warp Film Australia, Animal Kingdom
Distribuzione: I Wonder Pictures
Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Sarah Cyngler, Ariel Kleiman
Direttore della fotografia: Germain McMicking
Montaggio: Chris Wyatt, Jack Hutchings
Musiche: Daniel Lopatin
Scenografia: Steven Jones-Evans, Sarah Cyngler
Costumi: Maria Pattison, Sarah Sarah Cyngler
Effetti: Murray Curtis
U
n uomo di spalle, coperto di cicatrici, in una camerata squallida
e disadorna dove s’intravedono
solo soldi e pistole, tira su un vecchio
tavolo dal pavimento.
Lo stesso uomo, lavato e azzimato,
attraversa i corridoi di un ospedale, poi
entra in una stanza e si siede al capezzale
di Susanna, una donna che ha appena
partorito, le sorride dolcemente, le parla
del figlio Alexander. Stacco.
A distanza di anni Gregori, l’uomo
solitario dell’inizio, governa una comunità
nascosta in una specie di bunker tra le
montagne, nella periferia di una città in
un imprecisato paese di quel che sembra
un remoto andito dell’Europa dell’Est.
Alexander è ormai un giovane adolescente: alla sua festa di compleanno, oltre
alla madre, partecipano i suoi numerosi
fratellastri e le loro rispettive madri, tutti
presumibilmente scelti e invitati nello
stesso luogo da Gregori. In una sorta di
fortezza celata al mondo, tra stanze e stanzette, intorno al cortile interno che è parco
giochi, orto e pollaio, le donne condividono
una vita riparata e protetta ma comunque
segregata accanto a Gregori, quasi come
tante concubine, i figli e le figlie delle quali
sono per l’uomo e per tutta la comunità la
vera fonte di sostentamento: oltre all’aiuto
nell’orto, ai giochi e allo studio i piccoli
sono addestrati come un piccolo esercito
di killer, uccidendo su commissione perfetti
sconosciuti fuori, nel mondo oltre i tunnel
che li separano e li nascondo agli occhi
degli altri.
Un giorno Gregori porta nel cortile del
bunker una nuova donna, Rosa, e con lei
i due figli, un neonato e un bambino della
stessa età di Alexander. Leo dimostra subito una personalità matura e difficile che
si sottrae alle manie patriarcali dolci ma
ferme del capo Gregori. Fino a che, preoccupato per il destino dei polli votati alla
Interpreti: Vincent Cassel (Gregori), Jeremy Chabriel (Alexander), Zsofia Stavropoulos (Bella), Wietse Cocu (Felix),
Katalin Hegedus (Magdalena), Daniel Vernikovski (Andre),
Samuel Eydlish (Ruben), Csenge Birloni (Ruth), Sosina
Wogayehu (Penelope), Kidus Melaku (Robert), Anastasia
Prystay (Ariana), Florence Mezzara (Susanna), Timothy
Styles (Gary), Sapidah Kian (Maria), Oscar Dahlberg (Oscar),
Alexander Kuzmenko (Elis), Alexander Dahlberg (Nicholas),
Natalia Gorbacheva (Sylvia)
Durata: 98’
morte per sfamare la comunità, Leo non gli
si oppone in modo drastico minacciandolo
fisicamente e occupando con la forza il
pollaio. L’uomo finge calma e proibisce a
chiunque di avvicinare il ragazzo. L’unico
che disubbidisce e che rompe l’isolamento
forzato di Leo è Alexander, affascinato
dall’indipendenza del compagno. Dall’ignaro ragazzo Alexander apprende, in un
dialogo segreto, il piano di Gregori di far
sparire per sempre Rosa e Leo, ufficialmente invitati a fare una passeggiata fuori
dal recinto. Alexander tace in attesa che
gli eventi gli chiariscano le idee. Il giorno
seguente Gregori, all’alba, annuncia quasi
in lacrime che Leo e Rosa sono, con suo
sommo sgomento, spariti dal bunker. Sono
così confermate le paure di Alexander.
Passano i mesi. Susanna è incinta
e fervono i preparativi per accogliere
il fratellino di Alexander tra i bambini
del bunker. Intanto tra lui e Gregori non
smette di crescere una tensione silenziosa.
Il bambino seguita a portare a termine le
sue missioni da sicario sempre più attratto e tentato dall’esplorazione del mondo
esterno e sempre più in dubbio sugli insegnamenti ricevuti da Gregori. Quando
Susanna dà alla luce suo figlio, Gregori
invita dolcemente Alexander a prenderlo in
braccio e lo incita a proteggere d’ora in poi
la mamma e il fratellino contro chiunque ne
minacci la salute. Passano pochi giorni; al
rientro dell’ennesima missione, Alexander
toglie dalle mani di Gregori il fratellino
e fugge via dentro a uno dei tunnel che
sboccano all’esterno. Quando Gregori lo
raggiunge e lo fronteggia, inaspettatamente Alexander, con il fratellino in braccio,
gli punta la pistola contro
artisan è l’esordio nella regia di
lungometraggio del giovane australiano Ariel Kleiman, lanciato,
in coppia con la fidanzata e cosceneggia-
P
22
trice Sarah Cyngler, dal Sundance Film
Festival che ha avuto il merito di sceglierne
e premiarne il primo cortometraggio, nel
2010, e poi attraverso il Sundance Institute, sostenere lo sviluppo di questo primo
cimento nella lunga durata.
Le citazioni e i riferimenti cinematografici e letterari sono molti e piuttosto facili da
rintracciare, ma la coppia Kleiman-Cyngler
ha scritto e progettato il film come una favola semplice, essenziale, lineare, fondata
sulla sintesi e sull’ellissi, raccontando per
dettagli e per salti temporali e tralasciando
di fornire punti di riferimento e contesto.
In questo modo, per chiaro obiettivo
strategico, il film si presta a molte letture
sovrapponibili allo schema minimo tipico
del racconto esemplare. Gregori non ha
passato e anche del suo presente conosciamo solo quello che mostra ai membri
della comunità che governa (le donne e i
bambini loro figli). Degli altri personaggi
non sappiamo praticamente nulla, in molti
casi neppure il nome. Di Susanna intuiamo
il bisogno di protezione e sicurezza senza
conoscere il difficile passato dal quale
certamente proviene e del figlio Alexander
sappiamo solo quel che il bambino dice
esplicitamente: è la libertà che vuole e la
possibilità di goderla fuori dal bunker in
cui è confinato.
Il bunker d’altra parte ha tutte le caratteristiche del luogo fiabesco: geograficamente indefinito, difficile da ricostruire
perfino al suo interno, è uno spazio drasticamente separato e diverso dal resto del
mondo, e ogni parte, come il tutto al quale
appartiene, ha un preciso valore simbolico.
Kleiman e Cyngler hanno condotto
lunghe ricerche e hanno molto viaggiato
per lavorare a questo film, e si vede. Forse
i due elementi che più degli altri fanno stare
solidamente in piedi il film sono da una
parte l’interpretazione quadrata di Vincent
Cassel, per una volta duro e dolce, truce e
Film paterno al tempo stesso; dall’altra il brillante lavoro di costruzione degli ambienti, dei
costumi, delle atmosfere. L’innominato est
che fa da teatro all’azione è la Georgia. Il
resto, gli interni, è stato girato in Australia,
costruendo con un gusto esatto e concreto lo strano microcosmo fabbricato pezzo
a pezzo dalle mani del protagonista,
raccogliendo e ricomponendo pezzi di
materiali abbandonati, rottami e chincaglieria, come in un mosaico premoderno,
un gioco di costruzioni che se non fosse
Tutti i film della stagione
quasi grottesco sarebbe infantilmente
meraviglioso. E nel rapporto tra questo
maniero caricaturale, questa reggia sbilenca e il protagonista – il suo corpo, il
suo volto – sta uno dei cardini del film che
ritrae in questo modo un uomo adulto ma
non vecchio, crudele ma non insensibile,
bestiale ma anche umano, che incarna al
contempo un padre padrone e un genitore
premuroso, un criminale indurito dalla vita
e un giovanetto appassionato dei suoi giochi, dei suoi cari, tutto immerso nel mondo
costruito dalla sua stessa immaginazione.
La violenza, in questa fiaba moderna, non
compare mai direttamente, anch’essa tra
le ellissi che scontornano e rafforzano il
profilo del film: ritratta come nelle fiabe,
ombra e mostro sfuggente, non scelta
irreversibile ma piuttosto parte integrante
della vita, forza viscerale, bestia alla quale
si può rinunciare ma che può anche rivoltarsi contro chi l’ha evocata.
Silvio Grasselli
È ARRIVATA MIA FIGLIA
(Que Horas Ela Volta?)
Brasile, 2015
Regia: Anna Muylaert
Produzione: Caio Gullane, Fabiano Gullane, Debora Ivanov
e Anna Muylaert per Gullane, in coproduzione con Globo Filmes, in associazione con Africa Filmes
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 4-6-2015; Milano 4-6-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Anna Muylaert
Direttore della fotografia: Bárbara Alvarez
Montaggio: Karen Harley
Musiche: Fabio Trummer, Vitor Araújo
l film racconta la storia di Val, una
governante a tempo pieno presso
una facoltosa famiglia di San Paolo. La donna indossa un’impeccabile divisa
bianca, cucina, serve a tavola, pulisce la
grande villa con piscina e si prende cura
con amore del figlio dei padroni di casa
fin da quando era piccolo. Val ha cresciuto
praticamente il ragazzo mentre ha affidato
sua figlia Jessica alle cure e all’educazione
di alcuni parenti nel nord del Brasile. Val
ha sacrificato la sua vita al ruolo di governante e ora sta per riabbracciare la figlia
dopo più di dieci anni. La ragazza infatti
arriva in città per fare i test di ammissione
alla facoltà di architettura (gli stessi test
cui deve sottoporsi il figlio dei padroni di
Val, Fabinho).
Ma l’arrivo della ragazza nella casa
di Donna Barbara, professionista della
moda in carriera, porta scompiglio nelle
rigide regole di comportamento. Jessica
è una giovane donna sicura di sé, fuori
dagli schemi e incline al pensiero critico:
chiacchiera tranquillamente con i padroni
di casa in salotto, chiede con una certa
faccia tosta di dormire nella stanza degli
ospiti invece di usare un materasso a terra
nella piccola stanza della mamma, pranza
in salotto con il padrone di casa, Carlos,
intellettuale annoiato. Col passare dei
I
Scenografia: Marcos Pedroso, Thales Junqueira
Costumi: Cláudia Kopke, André Simonetti
Interpreti: Regina Casé (Val), Michel Joelsas (Fabinho), Camila
Márdila (Jéssica), Karine Teles (Donna Bárbara), Lourenço
Mutarelli (Carlos), Helena Albergaria (Edna), Luís Miranda
(Antonio il giardiniere), Theo Werneck (Vandré), Bete Dorgam
(Janaina), Luci Pereira (Raimunda), Anapaula Csernik (Piléia),
Alex Huszar (Caveira), Audrey Lima Lopes (Fabinho Criança),
Thaise Reis (Pamela), Nilcéia Vincente (Anita)
Durata: 110’
giorni, Jessica stringe un sempre più stretto
rapporto di complicità con Carlos. L’uomo
finisce per invaghirsi della ragazza. La
cosa non sfugge a Barbara che mal sopporta l’invadenza degli spazi dei padroni
da parte della figlia della governante. Un
giorno, Barbara rimane vittima di un incidente e dalla sua camera nota che ormai
Jessica ha conquistato anche l’amicizia
di suo figlio Fabinho. Vedere Jessica che
scherza e fa il bagno nella piscina della
villa con il figlio e un suo amico fa andare
su tutte le furie Barbara. La padrona di
casa comunica a Val che sua figlia dovrà
cercarsi un altro alloggio. Val discute con
la figlia che subito dopo lascia la casa.
Nel frattempo, arriva il giorno dei test
di ammissione all’università per Jessica e
Fabinho. Mentre il ragazzo non passa l’esame, Jessica viene ammessa alla facoltà
di architettura.
Per Barbara è un duro colpo ma non
può fare a meno di consolare suo figlio e
di convincerlo che al prossimo tentativo
riuscirà. Il ragazzo parte per una vacanza,
mentre Val inizia a riflettere sulla validità
delle rigide convenzioni sociali in cui ha
sempre creduto. Una notte, la governante
si permette ciò che non aveva mai osato:
immerge i piedi nella piscina dei padroni
e si lascia andare.
23
Il giorno dopo Val comunica a Barbara
la sua intenzione di licenziarsi. Lasciata la
villa dove ha lavorato per una vita, Val raggiunge la figlia nel piccolo appartamento
che ha preso in affitto. La ragazza confessa
alla mamma un importante segreto. Le due
donne guardano con fiducia a una nuova
vita insieme.
l cinema brasiliano a volta regala dei
piccoli gioielli, peccato che spesso
non arrivino a essere distribuiti nel
nostro Paese. Fortunato è il caso di questo
È arrivata mia figlia!, che approda nelle
sale italiane anche trainato dagli importanti riconoscimenti ottenuti in campo internazionale. Quarto lungometraggio della
regista Anna Muylaert (classe 1964), il film
ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria
assegnato alle due attrici protagoniste al
Sundance Film Festival 2015 e ha vinto il
premio del pubblico nella sezione Panorama al Festival di Berlino 2015.
Un film sociale, cosi può essere definito È arrivata mia figlia!, una commedia sul
sistema di regole sociali che ancora oggi è
alla base della cultura brasiliana.
Porte, finestre, corridoi, luoghi vietati,
rigidi confini, linee di demarcazione, il film
della Muylaert si svolge su uno schema
scenico quasi geometrico (quasi si trattas-
I
Film se di un palcoscenico teatrale) e poggia su
una struttura drammatica quasi algebrica.
Tutto è codificato nel microcosmo in
cui ha luogo la storia: gli spazi interdetti
alla servitù (e in questo senso la porta
della cucina è una vera linea di confine), le
parole concesse alla governante (poche e
solo dopo aver ottenuto il permesso), nessun dialogo alla pari insomma, nessuna
concessione. Ma un ciclone che indossa
le vesti di una giovane studentessa porterà
un vento impetuoso capace di abbattere
confini e barriere. Jessica vede il mondo
con altri occhi rispetto alla madre, usa il
corpo e le parole in maniera diversa. La
ragazza chiacchiera in soggiorno con il
padrone di casa, parla di libri e di architettura, non ha paura di esprimere il suo
punto di vista, si rifiuta di dormire su un
Tutti i film della stagione
materasso a terra nella misera stanzetta
della madre, chiede (e ottiene) di dormire
nella bella stanza degli ospiti, pranza in
salone con il padrone di casa (e mangia il
gelato dalla scatola di proprietà esclusiva
del figlio, mentre per la servitù esiste un
altro gelato), fa il bagno in piscina.
Lo scossone portato nel film ha un
effetto-terremoto sulla vera protagonista,
Val. La donna spalanca gli occhi sul mondo
e sulla sua vita, quello che si apre davanti
alla donna è una vera epifania.
Il ‘paradosso sociale’ fortemente
presente in Brasile (e vero motore del
film secondo la regista che ha iniziato a
pensare alla sceneggiatura vent’anni fa,
in concomitanza con la nascita del suo
primo figlio) è quello dell’educazione dei
figli che spesso vengono affidati alle cure di
bambinaie, le quali a loro volta sono donne
che devono affidare i propri figli a qualcun
altro per potersi occupare di quelli dei loro
datori di lavoro. Il personaggio di Val è un
chiaro esempio di questo paradosso.
Cinematograficamente perfetto, il film
è ambientato quasi totalmente tra le mura
della bella villa della famiglia di San Paolo
dove si gioca con inquadrature che letteralmente tagliano lo spazio domestico (il
salone padronale del quale viene mostrata
solo una piccola fetta attraverso lo sguardo
della domestica dalla cucina). Il climax si
raggiunge attraverso una serie di conflitti
innescati da una ragazza piena di forza
di volontà, capace di opporsi alle vecchie
convenzioni sociali separatiste, quasi un
simbolo del Brasile moderno.
Fotografia di un Paese ancora pieno
di contraddizioni e contrasti, ma che sta
faticosamente percorrendo la strada comune a tanti Stati emergenti, il film, leggero
e ironico quando basta, approda a un
finale positivo e pacificante, opera della
mano sensibile di una regista intelligente
e talentuosa.
Merito da condividere certamente con
la straordinaria protagonista, Regina Casé,
attrice che vanta un lungo curriculum di
esperienze televisive, teatrali e cinematografiche e che con questa pellicola trova
probabilmente il ruolo della sua consacrazione.
Giocando con il titolo italiano del film,
sarà sufficiente sostituire l’esclamativo
con un interrogativo per arrivare a un
giudizio sintetico. È arrivata mia figlia?...
E per fortuna!
Elena Bartoni
PROFESSORE PER AMORE
(The Rewrite)
Stati Uniti, 2014
Regia: Marc Lawrence
Produzione: Castle Rock Entertainment
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Marc Lawrence
Direttore della fotografia: Jonathan Brown
Montaggio: Ken Eluto
Musiche: Clyde Lawrence
Scenografia: Ola Maslik
Costumi: Gary Jones
Interpreti: Hugh Grant (Keith Michaels), Marisa Tomei (Holly
Carpenter), Aja Naomi King (Rosa), Allison Janney (Mary
K
eith Michaels, inglese trapiantato negli Stati Uniti, è stato
uno sceneggiatore di successo
Weldon), J.K. Simmons (Dott. Lerner), Bella Heathcote
(Karen), Chris Elliott (Jim), Maggie Geha (Flo Bai), Annie Q.
(Sara Liu), Caroline Aaron (Ellen), Nicole Patrick (Jessica),
Jason Antoon (Greg Nathan), Andrew Keenan-Bolger (Billy
Frazier), Karen Pittman (Naomi Watkins), Damaris Lewis
(Maya), Olivia Luccardi (Chloe), Vanessa Wasche (Rona),
Steven Kaplan (Clem Ronson), Emily Morden (Andrea SteinRosen), Lauren Macklin (Rachel Anslow), Lily Wen (Judy),
Bruce Sabath (Paul Prentiss), Shannon Marie Sullivan (Sue),
Whit Baldwin (Doug), Jenny Neale (Jenny Glick), Kate Cullen
Roberts (Tina)
Durata: 106’
e ha addirittura vinto un Oscar nell’ormai
lontano 1998 per il film Paradiso sbagliato.
Ora, però, le sue sceneggiature vengono
24
snobbate, per di più ha divorziato e ha
urgente bisogno di un lavoro. Si trova così
costretto ad accettare l’offerta di tenere un
Film corso di scrittura creativa all’università di
Binghamton, una cittadina dello Stato di
New York. Dopo il traumatico trasferimento
dalla solare Los Angeles alla piccola e grigia città, nota per essere una delle località
americane più piovose, Keith si trova a
dover combattere con la sua resistenza a
insegnare a scrivere. Una volta conosciuto
il rettore, il dottor Lerner, Keith prende
possesso della sua nuova casa. Subito
dopo, fa la conoscenza del suo simpatico
vicino di casa, Jim, e del suo buffo cane di
nome Enrico. Durante una serata con i suoi
colleghi, Keith inanella una serie di gaffes
con la professoressa Weldon, esperta della
letteratura di Jane Austen.
Una volta formata la classe, senza
leggere i compiti assegnati come prova di
ammissione, ma ammettendo nel corso per
la maggior parte ragazze di bell’aspetto
(con l’eccezione di due talentuosi ragazzi),
Keith cerca di combinare il meno possibile
allacciando per di più una relazione con
una giovane e bella allieva, Karen. Quando
però si deve confrontare con l’agguerrita
studentessa fuori corso Holly Carpenter,
il professore è costretto a cambiare atteggiamento. Holly lavora come commessa in
un coffee shop ed è una mamma single. La
donna costringe Keith a leggere il suo compito e alla fine viene ammessa nella classe.
Proprio durante una lezione, il professore
racconta di avere un figlio di 18 anni.
Una sera, mentre cena con Karen in
un ristorante, Keith si imbatte in Holly che
lavora come cameriera nel locale. Holly
chiede un documento alla giovane studentessa prima di servire una bevanda alcolica
e Karen va via seccata. Keith conclude la
serata facendo una passeggiata con Holly,
fermandosi a chiacchierare presso una
giostra divenuta celebre perché lì era stato
girato un episodio della nota sere televisiva
“The Twilight Zone”. Keith interrompe la
relazione con Karen. Subito dopo, il professore confessa a Holly che non parla con suo
figlio da dieci anni. La donna lo spinge a
contattare il ragazzo e così Keith gli lascia
un messaggio sulla segreteria telefonica.
Intanto, il rettore dice a Keith che la professoressa Weldon è a conoscenza della sua
relazione con la giovane studentessa. Non
solo, la Weldon minaccia di trascinarlo
davanti al Comitato etico se lui non si
dimetterà di sua spontanea volontà. Keith
chiede consiglio a Holly che lo spinge ad
andare a parlare con la professoressa.
Keith è tentato di andarsene e comunica
alla sua classe che non finirà il corso perché
deve allontanarsi dalla città. Gli allievi gli
dicono addio a uno a uno. Keith torna a
Los Angeles portando con sé il suo geniale
allievo Clem che ha scritto un copione sor-
Tutti i film della stagione
prendente. Keith e Clem incontrano alcuni
produttori, poi Keith lascia Clem da solo a
prendere accordi per la realizzazione di un
film e torna a Binghamton. Keith si reca dal
dottor Lerner e gli comunica di aver deciso di
correre il rischio e di presentarsi all’udienza.
Poi incontra la professoressa Weldon che si
dimostra indulgente con lui facendo appello
proprio a Jane Austen. Dopo aver avuto un
illuminante colloquio con Holly, Keith torna
a fare lezione con un nuovo entusiasmo. Il
telefono di Keith squilla: è suo figlio.
ome si suol dire, squadra vincente non si cambia, quindi ecco di
nuovo insieme Hugh Grant e il
regista Marc Lawrence. Dopo Two Weeks
Notice – Due settimane per innamorarsi,
Scrivimi una canzone e Che fine hanno fatto i Morgan? ecco Professore per amore,
sciatto titolo italiano del ben più calzante
originale, The Rewrite.
In superficie nulla di nuovo, il solito
Hugh Grant che torna a impersonare (per
l’ennesima volta) lo stesso personaggio:
un uomo egocentrico, nichilista, disilluso,
immaturo (sentimentalmente e emotivamente), riscattato da un bell’aspetto e dal
dono della pungente battuta (non sempre
capita in pieno). Grant è il classico “cattivo
maestro”: un ex sceneggiatore di fama che
seleziona gli allievi (anzi le allieve) in base
a criteri puramente estetici (a parte due
brillanti menti maschili riempie la sua classe
di belle ragazze), insegna svogliatamente
perché convinto che scrivere una buona
sceneggiatura non si possa insegnare
sui banchi dell’università e soprattutto, da
inglese trapiantato in America, ironizza di
continuo, spesso in modo tagliente, senza
che quasi nessuno capisca le sue battute.
Ma questa volta tra i tanti cliché attaccati
addosso a un personaggio (il tramonto del
successo nel cinema che va di pari passo
con la personale crisi di identità e valori)
vengono superati con l’arma della simpatia.
C
E così l’eroe pieno di vanaglorioso narcisismo inizia a fare scelte adulte, facendo ‘mea
culpa’ di fronte a un’insegnante rigida che
vuole condurlo di fronte al comitato etico, e
rinunciando a tornare a Hollywood, scegliendo la grigia e piovosa cittadina di provincia
(dove alla fine, ovviamente, splende il sole).
Complice di tutto ciò, ovviamente, la saggia
madre single e studentessa fuori corso dal
bell’aspetto e dal cervello brillante.
La riscrittura di una vita insomma, per
giocare con il titolo originale.
Per quello che riguarda la prova di
Hugh Grant, non c’è niente che non sia
stato già visto sul fronte della recitazione:
solite facce, solite smorfie, solite espressioni, il minimo sindacale per un attore
come lui, che ha dimostrato di essere
capace di prove più convincenti.
Il meglio viene proprio dai comprimari:
una Marisa Tomei (nelle vesti della studentessa fuori corso che catturerà il cuore del
professore in crisi) sempre più in forma e
sempre più capace di brillare di luce propria,
una Allison Janney perfetta nei panni di una
professoressa rigida e innamorata della
letteratura “femminista” di Jane Austen,
e un J.K. Simmons (meritatissimo Oscar
2015 per il duro professore di musica nel
sorprendente Whiplash), qui nel ruolo del
rettore dell’università capace di sciogliersi
in inarrestabili pianti ogni volta che parla
delle sue donne: una moglie e quattro figlie.
Commedia piena di citazioni cinematografiche, e non solo (vedere le ripetute
menzioni alla famosa serie TV “The Twilight Zone”), Professore per amore fa, in
definitiva, quello che deve, intrattiene piacevolmente strappando qua e là qualche
sorriso, ma nulla di più .
Un piccolo passo in avanti per il regista
Marc Lawrence rispetto alle prove precedenti, ma sul terreno della commedia sentimentale si può (e si deve) fare di meglio.
TAXI TEHERAN
(Taksojuht)
Iran, 2015
Regia: Jafar Panahi
Produzione: Jafar Panahi Production
Distribuzione: Cinema Distribuzione
Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Jafar Panahi
Direttore della fotografia: Jafar Panahi
Montaggio: Jafar Panahi
Interpreti: Jafar Panahi (Se stesso)
Durata: 82’
25
Elena Bartoni
Film U
n taxi è a disposizione per le strade
di Teheran, condotto dal regista
Jafar Panahi: questi, inibito a fare
il cineasta dal regime del suo Paese pena l’esecuzione della condanna detentiva di sei anni
comminatagli nel 2010, continua a raccogliere
testimonianze e immagini dell’Iran e fa, così
il suo mestiere in altro modo, a bordo di un
taxi. Vi ha collocato una piccola cinepresa e
fa salire la gente che lo ferma per strada e che
rappresenta il suo mondo, la vita che scorre
sotto i suoi occhi: così una signora progressista si trova ad altercare con un giovane violento, almeno a parole, che asserisce di fare il
borsaiolo; due vecchine che portano una vasca
con un pesce rosso da liberare; una donna che
accompagna all’ospedale il marito ferito in un
incidente: questi pensando di morire pretende
che il tassista filmi le sue ultime volontà per
tenere la moglie al sicuro dalla voracità degli
altri eredi. Il bello è che, una volta fuori pericolo e ristabilito il marito, la moglie continua
a tempestare il tassista di telefonate per avere
il video perchè...non si sa mai.
Due momenti capolavoro: il contrabbandiere di dvd proibiti dal regime che,
presentandosi per socio e amico del regista
(“...facciamo, praticamente, lo stesso mestiere...”) spaccia i suoi film con la circospezione adatta a pani di cocaina; la salita
sul taxi di una bambina nipote del regista,
maledettamente insopportabile e di cui non
è possibile sfuggire la petulanza delle sue
domande su qualsiasi momento che filma
con la sua cinepresa rompiscatole.
Poi un vecchio vicino con un video
inquietante; e ancora l’avvocato che ha
difeso Panahi e che ora si trova lui stesso
in una situazione kafkiana, incalzato e
osservato dal regime.
Tutta la scena finale è occupata dall’ultima passeggera, un’intelligente donna di
cultura, amica del regista, con in grembo
un fascio di rose destinate a chi soffre: è
un fiume in piena il suo racconto di ciò che
succede in Iran, a disposizione della gente
che vuole capire e agire.
Tutti i film della stagione
Una rosa rossa lasciata sul cruscotto è
il fuoco di un passato che può trasformarsi
in luce per il futuro.
gni epoca è stata caratterizzata
dalla contrapposizione, spesso
dalla lotta, cruenta e dolorosa, tra
l’essere umano e il suo regime; usiamo appositamente il termine “suo” nella convinzione
che sempre il mondo degli uomini ha dovuto
confrontarsi con un regime, qualunque esso
sia stato, in una specie di “a ciascuno il suo”
spietato e inevitabile, congenito proprio a una
malefica evoluzione darwiniana.
Cosa fare allora? Come scuotersi? Occorre scuotere la realtà che ci vede impaniati
come in una tela di ragno, liberi di fare tutto
ma non tutto, anzi poco, meglio se non si fa
nulla, anzi meglio se non si pensa, meglio
se non si esiste. Si deve esistere, invece,
eccome; e un regista per esistere può fare
solo il regista, senza farlo però; così fa il
tassista ascoltando i commenti degli altri,
registrando gli umori della gente, posizionando al montaggio immagini, commenti e
O
persone che appartengono al suo Iran così
tanto amato e così difficile, oggi, da amare.
L’esigenza di dare corso al libero pensiero e alla espressione della propria creatività è insopprimibile, così Panahi che non
è libero di farlo lascia che sia l’immagine
filmica a salire sul suo taxi e a squadernare
tutti gli interrogativi possibili sulla giustizia,
sul tradimento, sugli ideali, sull’escalation
di morte a cui può arrivare un regime che
per imbrigliare l’individuo prima gli rende la
vita difficile dal punto di vista amministrativo
e burocratico, poi alza il tiro sulla sua sfera
professionale, quindi passa alla difesa
dell’etica, argomento che può diventare
enorme e terribile e poi...siamo tutti in grado
di immaginare cosa possa accadere poi.
Due momenti folgoranti: uno già citato,
l’attività dello spacciatore di film il cui personaggio potrebbe benissimo appartenere
a un poliziesco americano, tanto si presta
il suo corpaccione claudicante, i suoi modi
equivoci e ombrosi a dissimulare i propri
gesti che possono essere giudicati male
dagli occhi del regime e invece si occupano
di film, capito, non di coca!
Il secondo è dato dal momento di inquietudine (l’unico) che Panahi ha quando
in mezzo al traffico crede di riconoscere tra
la gente il torturatore della sua prigionia.
Il regista esce dal taxi sconvolto, vi rientra
poco dopo, visibilmente smarrito; non sa,
non capisce se è vero ciò che ha visto o
se si sia trattato di un cedimento della sua
memoria, della sua fantasia di cui tanti cattivi
ricordi, tanti orrori ancora si impadroniscono.
Grande cinema tutti e due gli episodi:
il travestimento, lo sberleffo, l’antica presa in giro dei poveri contro il potente e la
consapevolezza che improvvisa e dolorosa
riaffiora perchè il tormento passato non
può essere rimosso, mai.
Fabrizio Moresco
THE SALVATION
(The Salvation)
Danimarca, 2014
Regia: Kristian Levring
Produzione: Zentropa Entertainments33, in coproduzione con Forward Films, Spier Film
Distribuzione: Academy Two
Prima: (Roma 11-6-2015; Milano 11-6-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen, Kristian Levring
Direttore della fotografia: Jens Schlosser
Montaggio: Pernille Bech Christensen
Musiche: Kasper Winding
Scenografia: Chantel Carter
Costumi: Diana Chillers
Interpreti: Mads Mikkelsen (Jon), Eva Green (Madeleine), Éric Cantona (Il Corso), Jeffrey
Dean Morgan (Delarue), Jonathan Pryce (Keane), Mikael Persbrandt (Peter), Douglas
Henshall (Mallick), Michael Raymond-James (Paul), Nanna Øland Fabricius (Marie)
Durata: 90’
26
Film È
il 1870, in una terra preda
di colonizzatori e fuorilegge, l’immigrato danese Jon
aspetta da sette anni di portare la moglie
Marie e il figlio di dieci anni in America.
Finalmente, dopo anni di duro lavoro,
riesce a farsi raggiungere dalla sua famiglia. Ma non appena arrivati, la donna
e il bambino vengono brutalmente uccisi
da due malviventi che si introducono
nella loro diligenza senza che Jon riesca
a impedirlo. Distrutto dal dolore, subito
dopo Jon uccide il responsabile dell’omicidio, che è il fratello del colonnello
Delarue. Questo atto innesca la vendetta
dello spietato colonnello, un bandito che
tiene sotto scacco il villaggio di Black
Creek e che è pronto a tutto pur vendicare la morte del fratello. Ormai isolato
dalla comunità, Jon si vede costretto a
trasformarsi da uomo pacifico e perbene
in guerriero spietato.
Sulle tracce di Delarue, Jon si imbatte
in Madelaine, vedova del defunto fratello di Delarue, a cui gli indiani hanno
tagliato la lingua. La giovane donna è
bellissima nonostante le cicatrici sul volto
ed è ora preda delle mire del colonnello.
Jon scopre che Delarue ricatta il pavido
sindaco corrotto di Black Creek, che ha
un atteggiamento di sottomissione nei suoi
confronti. Anche lo sceriffo del luogo ha
un comportamento di totale asservimento
a Delarue.
Jon inizia a mettere in atto la sua vendetta che si allarga sempre di più, mietendo
vittime al suo passaggio. Fino allo scontro
decisivo con Delarue che viene finalmente
eliminato.
Nella scena finale, Jon si reca da
Madeleine che gli lancia uno sguardo di
approvazione per aver vendicato tanta
Tutti i film della stagione
violenza e soprusi. Jon e Madeleine si
allontanano insieme.
l western e il suo mito. Un omaggio,
un gioco, una rivisitazione. È tutto
questo The Salvation, storia classica di vendetta e riscatto ambientata nel
polveroso e selvaggio west firmata dall’eclettico regista danese Kristian Levring
(tra i fondatori del movimento ‘Dogma
95’ insieme a Von Trier, Vinterberg e
Jacobsen).
“Una storia di vendetta e rinascita in
uno scenario leggendario” la definizione
data dal regista al suo film parla da sola.
Una famiglia spezzata, assassini giustiziati, un uomo solo con il suo dolore, la
sua forza, la sua vendetta. Gli ingredienti
sono quelli del western tradizionale, nulla
di più e nulla di meno, ma la confezione
è di lusso.
Il mondo senza legge né giustizia
del vecchio west e la realtà degli europei
immigrati che lo popolavano e che sono
sopravvissuti: la cornice della storia è delle
più classiche. Su questo sfondo ecco muoversi, come su un palcoscenico teatrale, i
tipici caratteri da western: un gruppetto di
‘cattivoni’ senza scrupoli che seminano
terrore e violenza, il sindaco corruttibile,
lo sceriffo codardo e inerme, il giovanotto
testardo che vuole aiutare a tutti i costi
imbracciare il fucile per aiutare l’eroe, la
bella cattiva (ma forse no). E poi lui, l’eroe
suo malgrado, l’onesto e tranquillo cittadino che si vede costretto a trasformarsi in
sanguinario giustiziere.
Pochi dialoghi e molta azione: facce,
gesti, luoghi, atmosfere.
La fotografia è quella tipica del vecchio
genere western, satura e impreziosita
dall’uso della Computer Graphic, i colori
I
(dal giallo, all’ocra, al marrone) sono perfetti. La polvere, lo sporco, perfino i rumori,
tutto è impeccabile.
La storia è, come detto, piuttosto
scontata, ma se prendiamo il film come
un sentito tributo al genere, come del resto
sottolineato dallo stesso regista, allora i
conti tornano (omaggiare maestri come
John Ford o Sergio Leone era un sogno
accarezzato da tempo da Levring).
Un gruppo di attori straordinari impreziosisce il quadro: l’immancabile divo
danese Mads Mikkelsen, faccia perfetta
per il ruolo dell’eroe vendicatore, Jeffrey
Dean Morgan, un villain senza sbavature,
Eva Green, due occhi come due fari,
capaci di esprimere tutta la sofferenza
di un personaggio che non parla mai.
Partecipazioni speciali del grande attore
britannico Jonathan Pryce e dell’ex calciatore Eric Cantona (che ormai vanta
un curriculum cinematografico di tutto
rispetto).
Presentato fuori concorso al Festival
di Cannes 2015, il film vanta delle frecce
al suo arco che vanno al di là di meriti puramente tecnici: non abbonda in violenza
gratuita (la scena del massacro iniziale non
è saggiamente mostrata), i personaggi,
seppur stereotipati, sono degnamente caratterizzati, infine la regia delle sparatorie,
concentrate soprattutto nella parte finale,
è di tutto rispetto, con curatissime scelte
di angolazioni.
Senza dire nulla di nuovo sul fronte
del classico western, The Salvation salva
comunque la faccia (perdonate il gioco
di parole) e si colloca tra quegli omaggi
sentiti, onesti e impeccabili a un genere
dal fascino immortale.
Elena Bartoni
CALVARIO
(Calvary)
Gran Bretagna, Irlanda, 2014
Regia: John Michael McDonagh
Produzione: Reprisal Films, Octagon Films, Irish Film Board,
BFI
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 14-5-2015; Milano 14-5-2015) V.M.: 14
Soggetto e Sceneggiatura: John Michael McDonagh
Direttore della fotografia: Larry Smith
Montaggio: Chris Gill
Musiche: Patrick Cassidy
Scenografia: Mark Geraghty
Costumi: Eimer Ni Mahaoldomhnaigh
Interpreti: Brendan Gleeson (Padre James Lavelle), Chris
O’Dowd (Jack Brennan), Kelly Reilly (Fiona), Aidan Gillen
(Dott. Frank Harte), Dylan Moran (Fitzgerald), Isaach de
Bankolé (Simon Asamoah), M. Emmet Walsh (Gerald
Ryan), Marie-Josée Croze (Teresa Robert), Domhnall
Gleeson (Freddie Joyce), David Wilmot (Fr. Timothy Leary),
Pat Shortt (Brendan Lynch), Gary Lydon (Ispettore Gerry
Stanton), Killian Scott (Milo Herlihy), Orla O’Rourke (Veronica
Brennan), Owen Sharpe (Leo McArthur), David McSavage
(Vescovo Montgomery), Mícheál Óg Lane (Micheál), Mark
O’Halloran (Secondino), Declan Conlon (Padre), Anabel
Sweeney (Ragazza)
Durata: 104’
27
Film I
rlanda. Padre James è un bravo
parroco, apprezzato e stimato
dall’ intera Contea di Sligo.
Sacerdote molto disponibile e aperto
all’ascolto ma, allo stesso tempo, anche
molto schietto e saldo nelle proprie parole e azioni. Un giorno, in occasione di
una confessione, un uomo, che durante
l’infanzia è stato vittima di violenze
sessuali da parte di un sacerdote, lo
minaccia di far scontare a lui sacerdote
innocente quello che ha passato a causa
di quel peccatore che è già morto per
cause naturali. Dichiara così di volerlo
uccidere da lì a una settimana senza
chiedere l’assoluzione finale. Così padre
James, durante i sei giorni che lo separano dall’appuntamento letale, vive un
vero e proprio calvario. Dall’incendio
della propria chiesa all’uccisione del
proprio amato cane, dall’accusa di pedofilia all’essere picchiato durante una
discussione in un bar. Intanto tenta di
ricostruire un legame ferito con la figlia
Fiona, avuta dalla moglie deceduta prima di aver preso i voti. Padre James Lavelle, nonostante tutte queste difficoltà,
sa che sarà con tutta probabilità la sua
ultima settimana di vita terrena ma non
per questo dimentica, o non ha sempre
una parola di sostegno per quei parrocchiani per cui non esiste nessun Dio.
Verrà giustiziato come previsto da chi è
stato vittima di violenza e tradimento in
ben due casi della sua vita.
n inizio alla Hitchcock da Io
confesso (1953), una scansione temporale con il countdown
che lascia con il fiato sospeso e la
U
Tutti i film della stagione
fotografia di Larry Smith che immortala paesaggi irlandesi e ambientazioni
davvero mozzafiato: queste le caratteristiche essenziali del nuovo film di John
Michael McDonagh. Il regista calca la
mano sul lato dark della Chiesa, sugli
scandali recenti che hanno fatto parlare
soprattutto su quell’Irlanda in cui dilagano le accuse contro i sacerdoti pedofili.
Ma questo non basta a McDonagh. Egli
decide di “spargere” il peccato in tutta
la cittadina, portando alla costruzione di
fedeli un po’ sui generis che sembrano
non vedere la presenza di Dio. Nessuno
di loro crede davvero, a parte la vedova,
e con fin troppa artificiosità attraverso
ciascuno di loro vengono rappresentati
i più grandi vizi umani. E se non fosse
chiaro questo durante tutto il film, eccovi
in conclusione una didascalica carrellata
sulla loro vita dopo la morte di padre
James. Un film che parte davvero bene
e che poi su questo aspetto un po’ si
perde con una rappresentazione di
questi “fedeli” fin troppo studiata. Ottime le interpretazioni di Kelly Reilly (già
presente in vari film tra cui ricordiamo
Flight di Robert Zemeckis, in Sherlock
Holmes e Sherlock Holmes - Gioco di
ombre di Guy Ritchie), ma, soprattutto,
del protagonista padre James interpretato da Brendan Gleeson, che il regista
rivuole dopo Un poliziotto da Happy
Hour. Avvincente il suo personaggio,
del quale emergono la sua schiettezza,
la sua disponibilità al prossimo, ma, allo
stesso tempo la risolutezza nella propria
fede. È un prete molto umano, poco
affettato e questo emerge lampante nel
confronto con l’altro sacerdote, Padre
28
Leary, con il quale si scontra a causa
della sua mancanza di integrità. Bellissimo il dialogo tra padre James e la figlia
in cui vengono a galla temi fondamentali
come il perdono, la solitudine e le virtù.
Altro input che intende darci il regista è il
discorso velatamente provocatorio sulle
donazioni alla Chiesa nella scena tra il
ricco della cittadina Michael Fitzgerald,
padre Leary e padre James, cruciale
per capire i diversi atteggiamenti dei
due prelati di fronte al denaro. Ma padre
James resta molto ancorato alla sua
debolezza umana. Torna a bere dopo
l’uccisione del suo cane e l’accusa di pedofilia per aver parlato con una bambina
per strada. Viene messa in discussione
la sua fede al bancone del bar e gli si
fanno delle accuse alle intenzioni per
mettere alla prova la sua pazienza; fino
a che McDonagh decide di mostrare
il sacerdote con una pistola in mano,
scena non esattamente ordinaria. Oltre
alla scansione temporale ci sono altri
elementi che danno al racconto filmico
una certa tensione. Quando sul dirupo
padre James parla con il ricco solitario
Michael Fitzgerald viene trasmessa
un po’ d’ansia, ma la vera suspence è
dovuta a due motivi: innanzitutto perché l’uomo non ha chiesto assoluzione
alla fine della confessione e questo
consente al sacerdote potenzialmente
di andare dalla polizia; in secondo
luogo perché durante l’intenso dialogo
con il suo assassino, questo rimane
sorpreso del fatto che il sacerdote non
abbia tenuto con sè la pistola. Padre
James confessa il suo distacco provato
in passato nei confronti dello scandalo
pedofilia e per questo viene giustiziato
definitivamente. Il finale con la sua esecuzione è particolarmente cruento ma
l’elemento straordinario da notare è un
altro: l’assassino che voleva giustiziare
il sacerdote proprio per le sue virtù,
non riesce a seguire la sua missione
fino all’ultimo. Non riesce ad accettare
l’amore e il perdono della sua vittima e
gli chiede di non guardarlo negli occhi
mentre lo uccide. La fede del sacerdote
nell’uomo continua a essere fortissima
perché tale è la fede in Dio. Restiamo
anche noi come Padre James come
impotenti e ormai tristemente assuefatti
agli scandali e per questo il regista ci
vuole mettere in guardia e metaforicamente punire. È proprio il caso di dire,
un vero peccato.
Giulia Angelucci
Film Tutti i film della stagione
SPY
(Spy)
Stati Uniti, 2015
Regia: Paul Feig
Produzione: Peter Chernin, Jenno Topping, Paul Feig, Jessie
Henderson per Chernin Entertainment, Feigco Entertainment
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 15-7-2015; Milano 15-7-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Paul Feig
Direttore della fotografia: Robert Yeoman
Montaggio: Brent White, Melissa Bretherton
Musiche: Theodore Shapiro
Scenografia: Jefferson Sage
Costumi: Christine Bieselin Clark
Effetti: Furious FX, Factory VFX, The Underground VFX, RotoFactory, Flash Film Works
Interpreti: Melissa McCarthy (Susan Cooper), Jude Law
S
usan Cooper è un’analista della
CIA, relegata dietro una scrivania. Sovrappeso e poco attraente,
Susan teleguida gli agenti sul campo da un
ufficio sotterraneo pieno di ratti e pipistrelli. La donna è innamorata del suo collega,
l’affascinante agente Fine che usa il suo
charme per portare a termine delicate
missioni. Da tempo la CIA sta creando un
ordigno nucleare ma l’unica persona che
sembra conoscere il luogo dove si trova
l’arma, Tihomir Boyanov, viene ucciso da
Fine. Nel frattempo, si viene a sapere che
la figlia di Boyanov, Rayna, potrebbe essere
a conoscenza del luogo dove è nascosto
l’ordigno. Fine si introduce nella casa
della donna ma viene ucciso da Rayna:
Susan assiste a tutta la scena dal monitor
del suo ufficio. È aperta la caccia a Rayna,
ma la donna conosce le identità di tutto gli
agenti CIA, da Fine a Rick Ford, un altro
collega di Susan che non perde occasione
di vantarsi delle missioni impossibili che
ha condotto a termine. Susan è l’unica
agente di cui Rayna non conosce il volto e
quindi la sola che può andare in missione
sul campo. Con una nuova identità, Susan
giunge a Parigi sulle tracce del losco Sergio De Luca. L’agente Ford, non fidandosi
di Susan, la raggiunge sul posto. Uno degli
uomini di De Luca scambia lo zaino di Ford
con uno contenente dell’esplosivo. Susan
avvisa Ford, ma, dopo un inseguimento,
finisce per uccidere accidentalmente il
killer di De Luca. Susan segue le tracce di
De Luca a Roma dove, appena arrivata, fa
la conoscenza del suo ‘contatto’ nella città
eterna, il pittoresco Aldo, un informatore
che non perde occasione per fare avances
esplicite alla corpulenta agente. Dopo
aver indossato un abito elegante, Susan
si reca in un casino dove incontra Rayna.
(Bradley Fine), Jason Statham (Rick Ford), Rose Byrne
(Rayna Boyanov), Bobby Cannavale (Sergio De Luca),
Allison Janney (Elaine Crocker), Curtis “50 Cent” Jackson
(Se stesso), Miranda Hart (Nancy B. Artingstall), Raad
Rawi (Tihomir Boyanov), Jessica Chaffin (Sharon), Sam
Richardson (John), Katie Dippold (Katherine), Jaime
Pacheco (Jaime il Giardiniere), Richard Brake (Solsa
Dudaev), Steve Bannos (Alan il Barman), Morena Baccarin
(Karen Walker), Carlos Ponce (Matthew Wright), Will Yun
Lee (Timothy Cress), Michael McDonald (Patrick), Julian
Miller (Nicola), Nargis Fakhri (Lia), Peter Serafinowicz (Aldo),
Sergej Onopko (Hristo), Mitch Silpa (Colin/Frederick), Björn
Gustafsson (Anton), Paul Feig (Ubriaco in hotel)
Durata: 120’
Dopo aver sventato un attentato alla vita
di Rayna, l’agente Cooper entra a far parte
dell’entourage della donna. Conquistata
la fiducia di Rayna, Susan sale con lei sul
suo jet privato in volo verso Budapest.
Ma durante il viaggio, uno stewart uccide
una guardia del corpo e il pilota e prova a
eliminare Rayna. Susan riesce ad avere la
meglio sull’uomo e a prendere il controllo
del velivolo prima di atterrare a Budapest.
Nella capitale ungherese, Susan si imbatte
nella sua migliore amica e collega, Nancy,
mandata dal loro capo per aiutarla. Dopo
essere stata colpita in strada, Susan si lancia all’inseguimento del suo attentatore e
scopre che si tratta di un’agente della CIA
doppiogiochista, Karen Walker, che aveva
venduto a Rayna i nomi degli agenti sul
campo. Mentre sta per colpire Susan, la
Walker viene uccisa da un cecchino. Più
tardi, quella sera stessa, Susan e Nancy
accompagnano Rayna a un party. A sorpresa appare l’agente Fine vivo e vegeto
che salva la vita a Susan e le rivela che
aveva finto di morire per poi diventare l’amante di Rayna e conquistarne la fiducia.
Mentre Susan viene smascherata e fatta
prigioniera, Fine le confessa che la ragione
per cui aveva finto di essere morto era per
conoscere il luogo dove si trova l’ordigno
nucleare. Ma Susan riesce a scappare e a
recarsi insieme a Rayna e Fine alla dimora
del trafficante De Luca. Sul luogo arriva
anche un terrorista ceceno scortato dai
suoi uomini per acquistare l’ordigno in
cambio di una valigia di diamanti. Rayna
rivela il luogo dove è nascosta l’arma, ma
De Luca uccide il terrorista ceceno e i suoi
uomini e si impossessa dei diamanti. De
Luca vuole vendere l’ordigno a qualcuno
in grado di trasportarlo a New York. Ma,
quando De Luca sta per uccidere Rayna,
29
l’agente Ford, apparso di sorpresa, lo
distrae, permettendo a Susan di salvare la
vita di Rayna ancora una volta.
De Luca scappa con l’ordigno e i diamanti sul suo elicottero: Susan si aggrappa
al velivolo in corsa seguita da Fine. Ma
Fine perde la sua presa e cade nel lago sottostante. Susan deve vedersela da sola con
De Luca a bordo del velivolo. Su un altro
elicottero giungono Nancy e Aldo e aiutano
Susan a uccidere De Luca e a concludere
con successo la missione. Il capo di Susan
smaschera il nascondiglio dell’ordigno
nucleare. Rayna viene arrestata ma ormai
è diventata amica di Susan. Aldo rivela a
Susan di essere in realtà un agente dell’MI6 di nome Albert, poi la invita a cena.
La donna declina l’invito e anche quello
di Ford preferendo passare una notte di
baldoria con Nancy. Il mattino dopo Susan
si sveglia e si accorge che accanto a lei nel
letto c’è proprio il suo collega Ford.
i parodie o pseudo-parodie di
James Bond, l’agente segreto
più famoso al mondo è piena la
storia del cinema ma una versione femminile e “femminista” come questa non si era
ancora mai vista.
Certo è che il regista Paul Feig (che
ha già firmato commedie tutte al femminile
come Le amiche della sposa e Corpi da reato) non poteva trovare interprete migliore
per il suo Spy dell’attrice extralarge Melissa McCarthy (che con Feig ha già lavorato
nelle due commedie appena citate).
Sodalizio vincente non si cambia
dunque.
La simpatica attrice interpreta questa
volta un ruolo che, a ben guardare, supera
la parodia per trasformarsi in qualcosa di
diverso: un’outsider vincente, un’agente
D
Film segreto con il corpo di una casalinga ‘oversize’, un tipo da scrivania catapultato nel
bel mezzo di una missione pericolosa tra
Londra, Roma e Budapest. Una specie di
Johnny English in gonnell(on)a insomma.
Il gioco dei contrasti tra l’improvvisata
agente sul campo e i classici agenti bellocci (l’elegante Jude Law e il muscoloso
Jason Statham) funziona bene. Le due
presenze maschili rappresentano alla
perfezione due prototipi ultra-noti di agenti
segreti: il tipo glamour (e dal fascino irresistibile per ogni donna) e quello coriaceo
tutto-muscoli (misogino fino al midollo e
con un cervello piccolo piccolo).
La commedia action ha un buon ritmo,
ma le stilettate in chiave femminista contro
Tutti i film della stagione
i colleghi maschi, sulle prime piacevoli, alla
fine stancano un po’.
La parte più divertente è invece quella
del confronto-scontro tra i due opposti tipi
femminili chiamati a scontrarsi sul campo:
l’agente segreto extralarge e la bella e
sexy ‘cattivona’ in procinto di vendere un
ordigno nucleare a un pericoloso criminale.
Feig è a suo agio nel terreno della
commedia al femminile e ha dalla sua la
felice scelta di un cast indovinatissimo. E
se la vis comica di Melissa McCarthy non
sorprende, il fascino e l’autoironia della
bella Rose Byrne (impegnata a disegnare
un personaggio che è “un incrocio tra Maria Antonietta, la principessa russa Olga
Romanoff e una di quelle femme fatale
traditrici dei film di James Bond, o piuttosto
delle parodie di 007 alla Austin Powers”
come ha dichiarato l’attrice) sono una
bella sorpresa, mentre i due ‘bellocci’ Jude
Law e Jason Statham sono molto bravi a
prendere in giro praticamente... se stessi.
Divertimento innocuo anche se a tratti
prevedibile (la figura dell’agente ‘di contatto’ italiano con il vizio del palpeggiamento
gronda luoghi comuni), Spy fa quello che
prometteva sulla carta, intrattiene senza
pensieri.
Perché se si vuol far ridere, può bastare
anche poco, come un corpo extralarge che
cade da uno scooter, praticamente da fermo.
Elena Bartoni
PITCH PERFECT 2
(Pitch Perfect 2)
Stati Uniti, 2015
Regia: Elizabeth Banks
Produzione: Elizabeth Banks, Paul Brooks, Max Handelman,
Jason Moore per Universal Pictures
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 28-5-2015; Milano 28-5-2015)
Soggetto: dal libro “Pitch Perfect – The Quest for Collegiate A
Cappella Glory” di Mickey Rapkin
Sceneggiatura: Kay Cannon
Direttore della fotografia: Jim Denault
Montaggio: Craig Alpert
Musiche: Mark Mothersbaugh
Scenografia: Toby Corbett
Costumi: Salvador Pérez Jr.
T
re anni dopo essersi aggiudicate
il titolo nazionale di campionesse
di canto a cappella, le Barden
Bellas si esibiscono nientemeno che davanti al Presidente Obama ma, proprio
sul più bello, un imbarazzante incidente
in scena occorso alla prorompente Ciccia
Amy, rischia di far deragliare l’ultimo
anno delle ragazze alla Barden University. Le Barden Bellas sono diventate ora
una vergogna nazionale. Il gruppo viene
sospeso da qualsiasi tipo di competizione
di canto a cappella. La leader delle Bellas, Beca Mitchell, propone un accordo
all’università: le Bellas verranno reintegrate in competizione solo se vinceranno i
Campionati Mondiali di Canto a cappella
che si svolgeranno a Copenhagen. Nel
frattempo, Beca, inizia segretamente un
tirocinio allo studio di registrazione, di cui
solo il fidanzato Jesse Swanson, è a conoscenza. Beca impressiona il suo capo con
le sue abilità di ‘mash-up’ con il disco di
Natale del famoso Snoop Dogg, ottenendo
una chance per diventare produttrice. Ma
Interpreti: Anna Kendrick (Beca), Brittany Snow (Chloe),
Anna Camp (Aubrey), Rebel Wilson (Ciccia Amy), Adam
DeVine (Bumper Allen), Alexis Knapp (Stacie), Elizabeth
Banks (Gail), Hailee Steinfeld (Emily), Katey Sagal
(Katherine), Skylar Astin (Jesse), Hana Mae Lee (Lilly
Okanakamura), C.J. Perry (Legacy Bella), Kelley Jakle
(Jessica), Ben Platt (Benji Applebaum), Ester Dean (CynthiaRose Adams), Shelley Regner (Ashley), Karen Gonzalez
(Barb), Chrissie Fit (Flo), Austin Lyon (Frank), Shawn Carter
Peterson (Dax), Jeff Caperton (David), Gralen Bryant Banks
(Dean), Rachel Marie Burgess (Taylor), Trip Roby (Simon),
Desiree Hagadus (D-Ray)
Durata: 115’
Ciccia Amy presto ne viene a conoscenza
e invita Beca a confessare il suo segreto
anche alle altre Bellas.
Intanto nel gruppo c’è una nuova arrivata, Emily Junk, che si ferma alla casa
delle Bellas per fare un audizione e viene
ammessa quando le Bellas scoprono che la
madre di Emily, Katherine, era proprio una
Bellas. Quella notte, le Bellas si recano a
una festa con i Ritmonelli, dove Benji viene
colpito da Emily.
Le Bellas partecipano a una mostra
di automobili, dove loro stesse avrebbero
dovuto esibirsi, per incontrare il gruppo
dei “Das Sound Machine”(DSM), guidati a
intimidire le Bellas dal duo Pieter Krämer
e Kommissar. Una sera le Bellas partecipano a una gara tra gruppi a cappella dove
perdono nel round finale proprio contro
i DSM, quando Emily tenta di cantare il
suo inedito.
Il giorno dopo, le Bellas cercano di
creare una performance simile a quella
dei DSM per prepararsi ai mondiali, ma
falliscono. A questo punto, Chloe decide
30
di portare le Bellas a un ritiro diretto da
Aubrey Posen, nella speranza di ritrovare
l’armonia perduta. La frustrazione di Beca
con le attività del Campus provoca una lite
tra le Bellas. Ma, proprio quando Beca sta
per andarsene, viene intrappolata da una
rete posta nel bosco. Le Bellas riescono
a riappacificarsi attorno ad un falò, dove
ogni ragazza parla dei propri sogni e
del proprio futuro. Le Bellas ritrovano
finalmente la loro armonia cantando una
canzone che le ha rese famose.
Tutte le Bellas, ormai laureate, partono per i Campionati Mondiali di canto a
cappella a Copenhagen. Con loro vanno
anche Jesse e Benji per fare il tifo. Tutte
le Bellas cantano insieme l’inedito di
Emily insieme alle ex Bellas più anziane,
comprese Aubrey e la madre di Emily. Il
gruppo si aggiudica la vittoria. Subito
dopo, Emily viene sottoposta al classico
rito di iniziazione per diventare una vera
componente del gruppo Barden Bellas.
La ragazza rappresenta il futuro delle
Bellas.
Film e Barden Bellas, il gruppo tutto
al femminile di campionesse nazionali di canto a cappella, sono
tornate! E sono più in forma e frizzanti
che mai.
Dopo il successo del primo capitolo
uscito nel 2012, Pitch Perfect (Voices in originale) torna con questo sequel che vede le
ragazze di nuovo in scena con il loro modo
inconfondibile di mescolare le proprie voci
e con un’interessante new entry.
La felice mano femminile dell’attrice
Elizabeth Banks (già produttrice e interprete del primo film), constatato il successo
del primo capitolo, al cinema prima e
in home video poi (la colonna sonora è
stata la più venduta del 2013 trascinata
dal singolo-fenomeno dal titolo “Cups”
interpretato da Anna Kendrick che ha ottenuto più di 180 milioni di visualizzazioni
su YouTube), ha preso in mano il progetto
del sequel, cimentandosi per la prima volta
nella regia di un lungometraggio (ritagliando per sé anche il piccolo ruolo di una
commentatrice radiofonica) subentrando a
Jason Moore (preso da un altro impegno)
e avvalendosi del supporto della stessa
sceneggiatrice del primo film, Kay Cannon.
L
Tutti i film della stagione
Modello vincente non si cambia dunque, verve musicale compresa, ed ecco
il capitolo secondo. Questa volta le talentuose girls (ormai vicine alla laurea)
devono giocare su un terreno ancora più
grande, quello dei campionati mondiali
di canto a cappella. Ovvio che, l’asticella
delle abilità canore si alzi ulteriormente:
basta assistere alle esibizioni dei diversi
gruppi rivali delle Bellas nel film (i fortissimi
tedeschi Das Sound Machine in testa) per
rendersene conto.
Ma la musica non è l’unico ingrediente
che rende frizzante questo Pitch Perfect 2:
gag azzeccatissime (le più divertenti coinvolgono la simpatica Ciccia Amy-Rebel
Wilson) e inni all’amicizia e alla solidarietà sono le altre frecce all’arco di questo
college movie musicale contaminato da
tentazioni talent (a questo proposito, non
perdete i titoli di coda).
Il piatto forte restano però le canzoni:
una serie di brani celebri rielaborati in
chiave acustica ed eseguiti con grande
maestria oltre a numerosi ‘mash-up’ di
pezzi R&B e pop e hip-hop da applauso.
Le ragazze sono capitanate ancora
dalla talentuosa e deliziosa Anna Kendrick
(questa volta tentata di lasciare il gruppo
per una carriera di produttrice musicale),
ben affiancata dall’irresistibile comica
extra-large Rebel Wilson (la più sessualmente e politicamente scorretta), new entry degna di nota è Hailee Steinfeld (che si
è fatta notare nel 2010 come giovanissima
interprete di Il Grinta dei fratelli Coen e tre
anni dopo nelle vesti della Giulietta shakespeariana nella rilettura cinematografica di
Carlo Carlei) nei panni della matricola che
potrebbe prendere il testimone delle colleghe prossime alla laurea in un eventuale
terzo capitolo (chissà).
Se volete alleggerirvi lo spirito per un
paio d’ore, Pitch Perfect 2 è il film che fa
per voi, se poi amate canto e ballo, allora
accorrete: non riuscirete a non battere il
ritmo con il piedino sul pavimento davanti
ai numeri musicali.
Un consiglio è d’obbligo, per cogliere
in pieno la bravura canora e le gag comiche delle briose ragazze che inneggiano
ancora una volta all’immortale ‘Girl Power’, è necessario vedere il film in lingua
originale.
Elena Bartoni
IO E LEI
Italia, 2015
Regia: Maria Sole Tognazzi
Produzione: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Andrea Occhipinti per Indigo Film, Lucky Red, Rai Cinema
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 1-10-2015; Milano 1-10-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Francesca
Marciano, Maria Sole Tognazzi
Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari
Montaggio: Walter Fasano
F
ederica, architetto e Marina,
ex attrice ora dedita alla ristorazione bio, sono due cinquantenni che vivono insieme da cinque anni
e costituiscono una coppia, una coppia
omosessuale.
Marina è da sempre convinta di questa
unione e di questo amore, il percorso da
lei compiuto è più definito e definitivo,
mentre per Federica tutto continua ad
avere delle connotazioni ancora strane,
da digerire.
Alle spalle di Federica c’è un’ex famiglia tradizionale, un marito, Sergio che ha
un’altra unione con una ragazza con cui ha
avuto due bambini e un figlio, Bernardo, a
lei legatissimo pur nelle scelte della madre,
Musiche: Gabriele Roberto
Scenografia: Roberto De Angelis
Costumi: Antonella Cannarozzi
Interpreti: Margherita Buy (Federica Salvini), Sabrina Ferilli
(Marina Baldi), Fausto Maria Sciarappa (Marco), Alessia
Barela (Camilla), Domenico Diele (Bernardo), Antonio
Zavatteri (Carlo), Anna Bellato (Anna), Massimiliano Gallo
(Stefano), Ennio Fantastichini (Sergio)
Durata: 97’
di cui, forse, non è convinto fino in fondo.
Il cuneo che provoca un’incrinatura
nel rapporto di coppia è dato dall’offerta che Marina riceve per tornare sul
set dopo un lungo periodo di assenza;
la cosa suscita in lei un ovvio senso di
orgoglio e di compiacimento e, pur nel
dubbio di una decisione considera la
scelta come qualcosa che appartiene solo
a lei. Federica vede invece la questione
in altro modo e cioè un avvenimento che
potrebbe portare Marina lontano dal loro
rapporto (per lei ancora così enigmatico)
e costruire delle sirene di cui lei potrebbe
essere gelosa.
Nel cuore di questo momento critico,
Federica incontra casualmente Marco, un
31
vecchio amico che si è ritrasferito a Roma
dopo un periodo professionale a Milano:
è la scintilla che a Federica serve e i due
finiscono presto a letto.
Per una delle solite coincidenze (un
messaggio che arriva sul telefonino lasciato nel posto sbagliato), Marina scopre tutto
e dà il via alle ovvie scenate per capire chi
sia davvero la donna da cui credeva di essere amata. La situazione, apparentemente
ricomposta non può però durare a lungo:
Federica se ne va a vivere nello studio
pur dividento le notti con Marco, mentre
Marina riprende a fatica la propria vita
spezzata, rinunciando al film che, guarda
la coincidenza, non si fa più perchè sono
saltati i finanziamenti dall’estero.
Film Contemporaneamente, Federica,
proprio durante una cena con famiglia
allargata (fidanzato, ex marito, figli etc)
comprende quale sia la sua vera casa e la
scelta in cui ora lei davvero crede e corre
da Marina. Questa la accoglie freddamente
e vorrebbe avere più tempo, sei mesi, per
capire se Federica è davvero tornata ma
quando questa se ne va, lei scende precipitosamente le scale per riabbracciare la
sua amica, definitivamente e con tutta la
fermezza di cui è capace.
a vita delle persone normali, delle
persone comuni, la vita insomma
riserva continuamente delle sorprese e in netto anticipo sulle considerazioni e sulle decisioni istituzionali che con la
velocità di un bradipo credono di disporre
circa i modi, gli aspetti e i canoni secondo
cui dovremmo tutti vivere nell’organizzazione societaria.
Contemporaneamente, il cinema si dimostra ancora una volta pronto a cogliere
i cambiamenti e l’imprevedibilità (spesso
anticipandola nel corso della sua storia)
che agitano e illuminano le persone in quel
desiderio di rinnovamento che accompagna sempre l’intelligente e complicato
avanzare dell’esistenza.
Una storia semplice: due persone vi-
L
Tutti i film della stagione
vono insieme da cinque anni, ognuna ha
un lavoro di un certo interesse e coinvolgimento; si amano, dividono gioie, difficoltà,
problemi e si conquistano ogni giorno la voglia di andare avanti; passano un momento
di crisi in occasione di un colpo di vento
forte, come spesso può capitare in una
coppia, capace di mandare all’aria quanto
felicemente e faticosamente costruito.
Fortunatamente, il peggio non avviene,
perchè dopo un periodo di smarrimento le
due persone capiscono che non possono
fare a meno l’una dell’altra e che ciò che
le unisce è più forte di qualsiasi avversità.
Cosa c’è di singolare in tutto ciò?
Ah, dimenticavamo, le due persone
sono dello stesso sesso, due donne e la
loro vita, la loro storia, presa a livello ipotetico e generale è diventata in quest’ultimo
periodo oggetto di disquisizioni religiose,
sociali, politiche, legislative, mina vagante
capace di mettere in crisi qualsiasi aggregazione societaria compromettendone
l’esistenza; oggetto di studio di esperti di
diritto reale e comunitario incapaci di decidere come, quando e perchè due persone
dello stesso sesso abbiano la possibilità, il
permesso perfino, di volersi bene.
Il cinema va, come dicevamo, più
avanti di ogni cosa, cogliendone il significato più profondo e moderno, soprattutto
32
quando è in mano a cineasti dotati di
onestà intellettuale, di capacità creativa e
di voglia di credere e di scommettere sulle
proprie scelte.
È il caso di Maria Sole Tognazzi, una
bella persona che è stata capace di avanzare piano piano, senza farsi schiantare
dal peso del nome portato con semplicità
e dedizione, partendo da attività di aiuto
e cosceneggiatrice fino a costruirsi una
forte e sensibile individualità di regista
sbocciata definitivamente con Viaggio
da sola (protagonista Margherita Buy,
2013).
Qui ancora una storia di donne di
fronte alla propria libertà e con i problemi
insiti in questa scelta di libertà che Maria
Sole conduce per mano lungo la strada
più semplice, quella della normalità e proprio per questo più destabilizzante, nello
spiazzare le convinzioni di coloro che nel
nostro Paese collegano una unione omossessuale a un unicum sui generis, indescrivibile, non raccontabile secondo i canoni
consueti: tanto tanto poi tra due uomini,
ma tra due donne davvero impensabile,
nel sancire così una discriminazione nella
discriminazione.
Maria Sole racconta con raffinatezza e credibilità che un legame tra due
persone ha gli aspetti belli e brutti, di
dolore e di gioia che hanno tutte le unioni,
senza particolare pretesa di anticonvenzionalità.
Il secondo centro Maria Sole lo ottiene
con la decisione sulle attrici: se quella di
Margherita Buy rappresenta la conferma
di una scelta consolidata verso una figura
femminile complessa, ricca di contraddizioni e sfaccettature unite a un modernissimo
fascino a rappresentare la codifica di una
sorta di “alter ego”, di attore feticcio per la
regista, quella di Sabrina Ferilli è davvero
una invenzione stellare.
È proprio fantastica la scelta, perchè
Sabrina Ferilli, sensuale e bellissima ha
turbato i sogni dei maschi italiani in tutti
i suoi film e le sue apparizioni nell’impersonare un fascino carnale, sanguigno,
popolaresco che significava proprio una
scommessa per un ruolo omosessuale
considerato fino al giorno prima dell’uscita
del film, del tutto inaffidabile.
Maria Sole Tognazzi e Sabrina Ferilli
hanno invece vinto e convinto con una
scelta fatta di intelligenza e modernità,
amore e tenerezza, forte autoironia e uno
sguardo reale e pieno di passione sulla vita
e sull’eterna instabilità che accompagna
sempre l’essere umano più sensibile e
disponibile verso la curiosità del vivere.
Fabrizio Moresco
Film Tutti i film della stagione
MARGUERITE
(Marguerite)
Francia, Republica Ceca, Belgio, 2015
Regia: Xavier Giannoli
Produzione: Fidélité Films, in coproduzione con Gabriel Inc.,
France 3 Cinéma, Sirena Films, Scope Pictures, Jouror
Cinéma, CN5 Productions, in associazione con Memento
Films Distribution
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 17-9-2015; Milano 17-9-2015)
Soggetto: Xavier Giannoli
Sceneggiatura: Xavier Giannoli, Marcia Romano (collaborazione)
Direttore della fotografia: Glynn Speeckaert
Montaggio: Cyril Nakache
Musiche: Ronan Maillard
Scenografia: Martin Kurel
P
arigi, 1921. Marguerite Dumont
è una ricca donna francese appassionata di lirica. Convinta di
possedere un grande talento, la Dumont
si esibisce di fronte al pubblico di aristocratici e intellettuali. La donna si rivela
tutt’altro che intonata, ma il pubblico
finge giubilo e soddisfazione pur di non
deluderla. Il rampante giornalista e critico
musicale Lucien e il suo amico dell’avanguardia Kyrill tuttavia, non senza un velo
di ironia, notano qualcosa di speciale nella
voce della donna e la convincono a esibirsi
nuovamente. Il marito, pur contrariato,
è costretto ad assecondare il desiderio
della moglie. L’esibizione parigina, in un
caffè di futuristi e libertari, si rivela un
disastro, ma Marguerite è ostinata nella
sua passione e nella voglia di cantare.
L’amico Lucien le presenta il maestro Atos
Pezzini, ex divo ormai caduto in disgrazia,
che, dopo una prima riluttanza, accetta di
insegnare alla donna l’arte del canto in vista di un’esibizione a Parigi. Le settimane
scorrono e, nonostante le lezioni, la donna
non sembra migliorare. Giunti alla serata
decisiva, Pezzini sembra aver accettato
che si tratterà di un flop. Anche George,
marito di Marguerite, non fa più nulla per
ostacolare la moglie: finalmente saprà. Il
teatro è pieno, il sipario aperto. Marguerite
comincia l’esibizione stonando una volta
ancora. Lentamente si fanno largo le risate
del pubblico, Pezzini è scuro in volto. Poi,
improvvisamente, dopo aver guardato gli
occhi innamorati del marito, la donna trova
la tonalità giusta ed emoziona, almeno per
un secondo. Le corde vocali tuttavia non
reggono, Marguerite cade a terra sanguinante. Poco dopo il risveglio in ospedale.
La donna ha perso parte della memoria ed
è convinta di essere una grande artista. Il
Costumi: Pierre-Jean Larroque
Interpreti: Catherine Frot (Marguerite), André Marcon
(Georges Dumont), Michel Fau (Atos Pezzini/Divo), Christa
Théret (Hazel), Denis Mpunga (Madelbos), Sylvain Dieuaide
(Lucien Beaumont), Aubert Fenoy (Kyril Von Priest), Sophia
Leboutte (Félicité La Barbue), Théo Cholbi (Diego), Astrid
Whettnall (Françoise Bellaire), Vincent Schmitt (Il medico), Christian Pereira (Militare), Martine Pascal (La colonnella), Gregoire Strecker (Michel Aurenbach), JeanYves Tual (Signor Taupe), Boris Hybner (M.Callot), Pierre
Peyrichout (Spettatore Cabaret), Joël Bros (Invitato), Lucie
Strourackova (Bambina), Petra Nesvacilová (Soprano
Nedda)
Durata: 127’
dottore decide di registrarla e di metterla di
fronte all’evidenza. In una disperata corsa
finale, George tenta di bloccare il medico,
ma senza successo. Marguerite ascolta la
sua vera voce. Poi cade a terra senza vita.
spirato alla vita di Florence Foster
Jenkins, un soprano statunitense
divenuto celebre proprio per via della
totale mancanza di talento, Marguerite
risulta un film piacevole, ben collaudato,
compatto, nonostante evidenti lacune e
scelte rivedibili. Il secondo lungometraggio di Xavier Giannoli riesce infatti a far
trasparire attraverso gli occhi della brava
Catherine Frot (La cuoca del presidente,
Lezioni di felicità) l’amore estremo, infantile
e bonariamente demente del personaggio
principale per la musica. Come una bambina mai cresciuta, Marguerite colleziona
I
33
abiti di scena, si maschera, gioca a fare la
diva, mescolando sogno e realtà, immaginazione e compromessi con il quotidiano,
riconoscendo alla magia della musica
l’evasione dallo squallore delle convenzioni sociali e delle gabbie, il tuffo verso un
mondo inesistente ma, allo stesso tempo,
tangibile, il superamento di spazio e tempo
a favore di colori e suoni. Ecco che il contesto storico, pur correttamente accennato,
della guerra tra avanguardie e reazionari,
tra nazionalisti e distruttori di valori ormai
dimenticati, tra nuovi poveri e vecchi ricchi,
resta in secondo piano, costantemente
assoggettato all’assoluta protagonista ed
ai suoi sogni. In questo senso le figure del
tenebroso giornalista wildiano Lucien – a
rappresentare un certo tipo di dandy, bello,
ma combattuto, di successo, ma infelice – e
dell’artista pazzoide e rivoluzionario Kyrill,
Film restano esclusivamente accennate, filoni
secondari mai realmente approfonditi e,
forse, poco utili ai fini della storia stessa, che
non fanno che allungare, fino agli esagerati
centoventisette minuti finali, la durata della
pellicola. Alle lacune della sceneggiatura
Tutti i film della stagione
tuttavia, sopperisce Marguerite stessa,
leggera come una farfalla nel muoversi
tra le belle scenografie e gli spartiti che
mai saprà cantare come sogna. Estrema,
e forse rivedibile, la scelta del finale, che
resta però in linea con il resto del film e
che ci lascia un’ultima piacevole – se pur
disperata – istantanea. In concorso alla
72.Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Giorgio Federico Mosco
IL NEMICO INVISIBILE
(The Dying of the Light)
Stati Uniti, 2015
Regia: Paul Schrader
Produzione: Over Under Media, Tinres Entertainment
Distribuzione: Barter Multimedia
Prima: (Roma 9-7-2015; Milano 9-7-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Paul Schrader
Direttore della fotografia: Gabriel Kosuth
Montaggio: Tim Silano
Musiche: Frederick Wiedmann
Scenografia: Russell Barnes
Costumi: Oana Paunescu
E
van Lake è un veterano e
pluridecorato agente della
Cia, torturato e mutilato di
un orecchio venti anni prima dal fondamentalista musulmano Muhammad Banir.
Nel momento in cui viene forzatamente
rimosso dall’incarico per l’insorgere,
ormai non più controllabile, di una forma
di demenza senile, Evan fa una scoperta.
Viene cioè a sapere che Banir creduto
a lungo morto, è vivo ma soffre di una
grave talassemia che lo rende dipendente
da costose cure che gli vengono inviate
illegalmente, in cambio di milioni di
euro, da uno specialista rumeno. Prima che si troppo tardi Lake, contro il
volere dell’Agenzia, in collaborazione
con il giovane Milton Schultz, decide di
vendicarsi di quanto subito in passato.
In Romania con l’aiuto di una vecchia
fidanzata romena, prende contatti con il
dottore e poi decide di assumere l’identità di quello e con il giovane collega si
reca Mombasa. Lo jihadista, ispiratore di
sanguinarie stragi, è nascosto in un appartamento e non ha neanche la forza per
stare in piedi. Una volta giunto davanti
al suo torturatore però Evan, vedendolo
in quelle condizioni, non ha il coraggio
di eliminarlo e decide di risparmiarlo.
Da lì a poco però gli uomini di Banir
lo raggiungono per freddarlo. Durante
la sparatoria Milton viene ferito. A quel
punto, Evan non si mostra più delicato e
si prende la sua vendetta uccidendo gli
uomini di Banir e lo stesso terrorista.
Dopo aver compiuto la strage, l’uomo
però rimane ucciso (volontariamente?)
in un incidente automobilistico.
Effetti: Lucian Iordache
Interpreti: Nicolas Cage (Evan Lake), Anton Yelchin (Milton
Schultz), Alexander Karim (Muhammad Banir), Irène Jacob
(Michelle Zubarain), Adetomiwa Edun (Mbui), Robert G. Slade
(James Clifton), Aymen Hamdouchi (Aasim), Claudius Peters
(Ghedi), Geff Francis (Dott. Clayborne), Silas Carson (Dott.
Sanjar), Serban Celea (Dott. Iulian Cornel), Derek Ezenagu
(Dott. Wangari), Tim Silano (Mike Warner), David Lipper (Bob
Deacon), George Remes (Jim), Arsha Aghdasi (Abdi Abikarim)
Durata: 94’
l nemico invisibile (The Dying of the
Light il titolo originale) è il nuovo
thriller spionistico di Paul Schrader.
Una pellicola sulla quale negli Usa si è
scatenata una guerra che ha visto contrapposti il regista e gli attori contro i produttori,
colpevoli ha dichiarato Schrader, di avergli
sottratto in fase di montaggio ogni controllo
sul thriller. Regista, produttore esecutivo e
attori hanno infatti disconosciuto la copia
distribuita dalla produzione in quanto non
conforme alle loro intenzioni. L’opera
conserva gli elementi narrativi che sono
propri di Schrader, ma ne tradisce, sia sul
piano del contenuto che su quello della
forma, l’estetica di base. Il nucleo essenziale del film sembra essere l’ennesima
opera sul terrorismo islamico, che sa
come nascondersi abilmente, ma è fondamentalmente orientata a trattare di un
odio insanabile a cui “il nemico invisibile”
della malattia sia dell’aguzzino che della
sua vittima, pone dei limiti contro cui non
c’è arma, o strategia che possa trionfare.
Quello che il regista ci propone potrebbe
sembrare inizialmente il solito film americano incentrato sulla caccia al terrorista
islamico, che tanto tocca il cuore degli
spettatori in questo periodo. In realtà, la
narrazione non si concentra unicamente
sul lato più thriller della vicenda, ma lascia
grande spazio alle debolezze psicofisiche
di un uomo non più giovane, che nella
vita ha subito di tutto, inciso nel corpo e
nell’anima e per di più ora piegato da una
malattia che ne intacca la memoria e le
facoltà intellettive. Ed è proprio questo il
nemico invisibile, un rivale impossibile da
sconfiggere: la degradazione del proprio
I
34
corpo. Persino il rivale di Lake, Banir, è
piegato dall’anemia e lo scontro finale tra i
due avrà più i connotati di uno sfogo d’odio
verso la propria condizione. Una specie di
doppio conto alla rovescia per due rivali
con poco tempo a disposizione, che vedono la morte come una sorta di liberazione.
Assistiamo a una rappresentazione di una
Cia che non sembra avere più valori da
sostenere e difendere. Quasi che le menzogne, le intercettazioni, le autorizzazioni
ai trasferimenti di sospetti in territori in cui
poter applicare la tortura non fossero mai
avvenuti. L’idea probabilmente era quella
di realizzare uno spionistico crepuscolare,
in cui la materia era l’interessante conflitto
interiore che dilania il protagonista; tuttavia, nell’insieme il film, stenta a decollare
restando in bilico fra dramma etico e thriller. Però, se una prima sequenza d’azione
consumata sopra un ponte in Romania
viene proposta già nel corso dei primi fotogrammi, il resto della oltre ora e mezza
di visione si concentra in maniera quasi
esclusiva sui dialoghi, rischiando non solo
di spingere lo spettatore a sprofondare
nel sonno, ma anche e soprattutto di far
apparire il personaggio di Cage in qualità di
ennesimo parente di 007 tutt’altro che propenso a cimentarsi nelle assurde imprese
atte a garantire intrattenimento. Tanto che
del tutto inadeguata finisce per apparire la
violenta conclusione che sfiora le tonalità
splatter, che avrebbe avuto sicuramente
senso se anche l’intera operazione si
fosse basata sul sentimento di vendetta.
Rimontato, rimixato, rimusicato e con una
color correction completamente diversa Il
nemico Invisibile non somiglia più forse a
Film quello che il regista aveva in mente: è un
film dei produttori e non più suo. Un film
ripiegato su sé stesso, che vorrebbe soffermarsi su temi come virtù, ostinazione,
tradimento, disillusione, ma con profili
macchiettistici e risvolti privi di mordente.
Il ritmo è claudicante, il finale scontato e
Tutti i film della stagione
privo di sorpresa e anche la recitazione
di Cage rasenta l’inespressività. Il grande
attore premio Oscar aveva già lavorato
con Schrader, però questa volta non
entusiasma, anzi delude le aspettative,
sfoggiando un’interpretazione che a tratti
soffre eccessivamente la dose massiccia
di caricatura che l’attore tende a donare al
suo personaggio. Non convince neanche
nel suo rapporto con il personaggio interpretato da Anton Yelchin, troppo freddo e
distaccato.
Veronica Barteri
L’ATTESA
Italia, Francia, 2015
Regia: Piero Messina
Produzione: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori
per Indigo Film, in collaborazione con Medusa Film, in coproduzione con Fabio Conversi, Jérôme Seydoux, Vivien Aslanian,
Romain Le Grand, Muriel Sauzay per Barbary Films Pathé
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 17-9-2015; Milano 17-9-2015)
Soggetto: liberamente ispirato al dramma “La vita che ti diedi”
di Luigi Pirandello
Sceneggiatura: Giacomo Bendotti, Ilaria Macchia, Andrea
Paolo Massara, Piero Messina
A
nna vive in un’enorme villa di
sua proprietà nelle campagne
della Sicilia orientale. In casa
le tiene compagnia solo il tuttofare Pietro, fedele servitore, che ha il compito
di mantenere l’ordine e di obbedire agli
ordini della signora. Di origine francese,
è arrivata in Italia da giovanissima con
l’autostop e ha imparato gradualmente
ad adattarsi alla terra in cui vive, apprendendone le tradizioni e rispettandone
le regole. Nei grandi ambienti della villa
c’è aria di lutto, appena dopo il funerale
di Giuseppe, il suo unico figlio. Anna non
vuol farsene una ragione e finge che non
sia morto, pur vestendo di nero e facendo
coprire di teli scuri tutti gli specchi della
casa. Tra l’incredulo e il sofferente, la
donna sembra come in attesa di qualcosa
o qualcuno che le faccia credere che lui
sia ancora vivo. La solitudine e la disperazione vengono interrotte dall’arrivo
preannunciato da Parigi della giovane e
bella fidanzata di Giuseppe, Jeanne. Questo fatto autorizza Anna a occultare ancor
più che Giuseppe sia morto, mentendo alla
ragazza e facendole credere al ritorno del
figlio da lì a pochi giorni. Le due donne
hanno in comune la lingua, che ne agevola
la comunicazione e che crea un’intesa.
Le due cominciano a uscire all’aperto, a
fare passeggiate e ad andare al lago dove
Jeanne ama immergersi. Anna sembra
riprendere vita; inizia persino a cucinare con passione, ritrovando il sorriso,
come se la speranza fosse rientrata in
Direttore della fotografia: Francesco Di Giacomo
Montaggio: Paola Freddi
Musiche: Alma Napolitano, Marco Mangani, Dimitri Sillato,
Piero Messina
Scenografia: Marco Dentici
Costumi: Maurizio Millenotti
Interpreti: Juliette Binoche (Anna), Lou De Laâge (Jeanne),
Giorgio Colangeli (Pietro), Domenico Diele (Giorgio), Antonio
Folletto (Paolo), Corinna Lo Castro (Rosa), Giovanni Anzaldo
(Giuseppe), Razor Pizzuti (Mafioso)
Durata: 100’
lei. Pietro, consapevole della situazione,
rimprovera la signora per la tortura che
sta infliggendo alla ragazza e la sprona
più volte a dire la verità, ma inutilmente.
Jeanne invita a cena anche due ragazzi
conosciuti al lago e trascorrono tutti insieme una serata tra vino e musica. Tuttavia, entrambe le donne hanno qualcosa da
nascondere: Anna il telefono cellulare del
figlio, in cui Jeanne continua a lasciare
messaggi in segreteria, e Jeanne qualcosa
che ha incrinato il rapporto con il ragazzo
l’estate precedente. Mentre Anna sembra
essere padrona della situazione, Jeanne
non capisce i motivi per cui Giuseppe
tardi ad arrivare e non si faccia vivo con
lei. Con lo scorrere delle ore, Anna decide
di prendere in mano la situazione e di
annunciare alla giovane che Giuseppe
non ha più alcuna intenzione di rivederla.
La ragazza, disperata decide di partire
il giorno dopo. Pietro, indignato, lascia
la casa, non prima però di aver messo
il cellulare di Giuseppe nella camera
di Jeanne. Anna, dopo aver parlato con
l’immagine del figlio che ha fatto ritorno a
casa, decide di assistere alla processione
pasquale e cerca invano di incrociare Giuseppe. Intanto Jeanne trova il cellulare e
sente gli ultimi messaggi lasciati da Anna
a Giuseppe, prima della sua scomparsa.
È solo in quel momento che apprende la
verità. Al ritorno di Anna le due donne si
abbracciano in lacrime, senza parlarsi.
Poi Jeanne va via e lascia Anna nella sua
disperazione.
35
rande successo al Festival
di Venezia, L’attesa di Piero
Messina, regista siciliano al suo
primo lungometraggio, prende ispirazione dall’opera teatrale di Luigi Pirandello
La vita che ti diedi. Il regista, assistente
di Sorrentino, mette in gioco la propria
sicilianità, depurandola però da qualsiasi
nozione folcloristica, per porre invece al
centro lo spazio, sia esso quello degli interni della villa, su cui pesa il senso della
perdita, che il paesaggio dell’anima. Evidenzia poi uno sguardo attento alla ritualità
primordiale, quando fa della processione
della Settimana Santa un momento nodale
della vicenda. Perché quella che viene
narrata è la storia di una Passione, già
dalla primissima inquadratura, vista però
dal punto di vista di una Mater Dolorosa.
Anna non può e non sa accettare la separazione da Giuseppe e, nel momento
in cui si trova davanti Jeanne, comprende
di avere l’opportunità di poter prolungare,
suo tramite, la presenza di chi non c’è più.
Il progressivo avvicinamento tra le due
donne dovrebbe proteggere la giovane da
un dolore difficile da gestire, ma in realtà
è un bisogno inconfessabile della madre.
L’attesa di chi non c’è più diventa così uno
scavo nelle dinamiche di un’elaborazione
di un lutto, da un lato e di una ipotetica
presa di consapevolezza di una separazione da qualcuno che è ancora vivo
dall’altro. Una delle domande a cui spetta
allo spettatore fornire una risposta è quale
sia la più difficile da superare. A muovere
G
Film il confronto emotivo tra le due donne è
la scomparsa di Giuseppe, scomparsa
le cui ragioni fino alla fine non vengono
mai palesate. Anna e Jeanne devono
confrontarsi con la perdita, partendo una
da una posizione di vantaggio rispetto
all’altra: a muovere le fila è Anna, che,
negando la perdita del figlio, annega in
tre giorni di finzione e apparente normalità il suo dolore. Jeanne non intuisce
mai le ragioni dell’alone di tristezza che
circonda quella donna così sofisticata, ma
ne ammira la personalità e le attenzioni.
A riportare Anna con i piedi per terra è
la processione pasquale, che si tiene la
sera del sabato santo. Tradizione vuole
che durante la processione, allo scoccare
della mezzanotte, la statua raffigurante il
Cristo risorto incroci il percorso di quella
raffigurante Maria: in tal modo, la madre
ha la possibilità di ricongiungersi al figlio.
In cuor suo, nella dimensione irreale che
s’è creata, Anna spera di rivedere il suo
Giuseppe, accorgendosi solo al mattino
Tutti i film della stagione
che la sua era mera illusione. Anna non
accetta l’idea che il figlio non possa più far
ritorno tra le sue braccia e per lei Jeanne
rappresenta l’ultimo appiglio all’esistenza
di Giuseppe. Mentire alla ragazza è l’unica possibilità per rimandare l’agonia e per
viverla il più tardi possibile. Nessuno è in
grado di farla desistere dal suo progetto:
neanche il fedele Pietro (interpretato da
un bravissimo Giorgio Colangeli), silenzioso e intimidatorio, può annullare
il suo piano. La presenza di Jeanne
restituisce ad Anna, seppur idealmente,
il figlio perduto; i vestiti del lutto vengono
abbandonati in favore dei colori, i drappi
neri sugli specchi vengono strappati via,
il cibo riprende forma e sapore, prima
della resurrezione e della pace interiore.
Messina si serve di una Sicilia fuori dal
tempo, ancestrale e onirica. I paesaggi
segnati dalla lava, le immense ville barocche, gli aerei antincendio, costruiscono un dramma in cui le emozioni non si
esternano, ma si interiorizzano. Le due
protagoniste, entrambe francesi, usano
lo stesso linguaggio, come a dire che la
cosa importante è che si capiscano loro
e tra loro. Non che capisca lo spettatore.
Le atmosfere di una caldissima Sicilia,
location e ambientazione totale del film,
contribuiscono ad alimentare il mistero di
cui è avvolto l’atroce dolore. Il manierismo
registico che caratterizza il discepolo di
Sorrentino affiora nel compiacimento delle
riprese geometriche degli interni, nelle insistite riprese del paesaggio, con le zone
laviche, le spiagge, i tempi lunghissimi.
Con una attenzione quasi maniacale alla
composizione visiva, allo stile e ai dettagli,
il regista ottiene però il risultato di indebolire in parte la partecipazione emotiva
dello spettatore alla storia. Per fortuna, la
musica assume un ruolo determinante; è
proprio sulle note di Waiting for a miracle di
Leonard Cohen che infatti si consuma l’attesa di un miracolo, nella sequenza chiave
in cui la madre immagina di parlare con il
figlio, che è tornato a casa. Un non luogo
che per pochi giorni unisce due universi
all’apparenza paralleli, che hanno in comune il concetto di attesa. Anche lo spettatore
attende il momento in cui ogni verità salterà
al pettine. Grandi le prove attoriali, con una
Lou de Laâge di una bellezza disarmante,
occhi di ghiaccio, spontanea e credibile.
Ma è Juliette Binoche l’anima del film. Lo
è la sua femminilità, la sua grazia, che
riempiono lo schermo tanto che non è
possibile immaginare questo film senza
di lei. Una prova recitativa intensa, fatta di
sguardi, scrutata nelle sue espressioni fino
all’ossessione; modello di madre dolente,
che rende sopportabili certi silenzi che
paiono infiniti.
Veronica Barteri
IL FIDANZATO DI MIA SORELLA
(How to Make Love Like an Englishman)
Stati Uniti, 2014
Regia: Tom Vaugham
Produzione: Southpaw Entertainment, Irish Dreamtime, Landafar
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 22-7-2015; Milano 22-7-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Matthew Newman
Direttore della fotografia: David Tattersall
Montaggio: Matt Friedman
Musiche: Stephen Endelman
Scenografia: John Collins
R
ichard Haig è un professore di
poesia romantica al Trinity College di Cambridge con il vizio
Costumi: Lizzy Gardiner
Effetti: Eric J. Robertson
Interpreti: Pierce Brosnan (Richard Haig), Salma Hayek
(Olivia), Jessica Alba (Kate), Malcolm McDowell (Gordon),
Ben McKenzie (Brian), Duncan Joiner (Jake), Merrin Dungey
(Angela), Fred Melamed (Piggott), Ivan Sergei (Tim),
Lombardo Boyar (Ernesto), Marlee Martin (Cindy), Lee
Garlington (Wendy), Paul Rae (Chad), Robert Mailhouse
(Alan), Lindsey Sporrer (Misty), Seth Morris (Barry)
Durata: 102’
delle belle donne. Richard ha ereditato il
vizio di essere una vera canaglia da suo
padre, Gordon, ex professore di inglese e
36
grande donnaiolo in gioventù, un uomo che
crede ancora con forza nell’amore libero.
Richard sta per diventare padre, ma
Film ancora non lo sa. La madre del suo bambino è una giovane studentessa americana,
Kate che ha frequentato il suo corso. Ma
ancora prima di apprendere la notizia,
Richard incontra casualmente in un locale una frizzante e sensuale scrittrice di
romanzi, Olivia, alle prese con una serie
di disastri sentimentali. Subito dopo,
nello stesso locale, il professore scoprirà
che Olivia, l’unica donna capace di tenergli testa e di mettere in dubbio i suoi
comportamenti da eterno dongiovanni, è
la sorella di Kate, la studentessa da cui
aspetta un figlio.
Proprio in nome del bene del bambino,
Kate e Richard decidono di trasferirsi nella
solare Malibu per crescere il loro figlio.
I primi tempi tutto sembra filare liscio e
Richard si dedica completamente al piccolo Jake. Ma dopo qualche anno, Kate si
innamora di un ragazzo più giovane, Brian,
che si trasferisce in breve tempo a casa sua.
Ma la convivenza tra i tre non è facile. Per
di più, Richard rischia di perdere il suo
diritto di soggiorno negli Stati Uniti e di
conseguenza suo figlio.
Quindi Richard convince Kate a
lasciarlo vivere nella dependance per
gli ospiti finché non saranno pronti i
documenti per richiedere il permesso
soggiorno negli Stati Uniti. Ma, all’improvviso, nella villa arriva Olivia per una
visita alla sorella. Attratto dalla donna,
Richard perde il controllo e, dopo essere
stato fermato dalla polizia per guida in
stato di ebbrezza, compromette la sua
situazione già difficile.
Richard decide di affidarsi a Ernesto,
un avvocato messicano che si occupa di
immigrazione, per cercare di recuperare
credibilità. Ma i responsabili dell’ufficio
immigrazione americani non si lasciano
impressionare e, per la prima volta nella
sua vita, Richard si rende conto che i suoi
Tutti i film della stagione
comportamenti irresponsabili rischiano di
fargli perdere tutto ciò che ha di più caro.
Non solo il piccolo Jake e Olivia, ma anche Kate e Brian fanno ormai parte della
sua famiglia. Richard si accorge di aver
bisogno di loro tanto quanto loro hanno
bisogno di lui. E proprio quando tutto
sembra ormai compromesso, è proprio
Gordon, il padre di Richard, a convincerlo
a non arrendersi e a fare di tutto per tenere
unita la propria famiglia.
L’abbraccio finale di Richard con tutta
la sua famiglia allargata sancirà una nuova fase nella vita del professore, ormai ex
dongiovanni innamorato della bella Olivia.
rendere la sophisticated comedy uno dei filoni di maggior
successo della Hollywood degli
anni d’oro è stato proprio il fascino dei suoi
protagonisti, divi e delle divine del mondo
di celluloide.
E proprio su questo mix vincente (in
versione 2.0) è stata modellata la commedia Il fidanzato di mia sorella interpretata
da un tris di attori che mescolano fascino
e sensualità: l’ex 007 Pierce Brosnan, la
caliente ‘chica’ messicana Salma Hayek
e la bellissima attrice statunitense Jessica
Alba.
La storiella è leggera e l’epilogo
piuttosto banale, tuttavia il film diretto
da Tom Vaughan non è privo di qualche
elemento d’interesse. Il confronto tra
l’Inghilterra delle millenarie tradizioni di
Cambridge e la patinata Malibu, paradiso di surfisti e belle ragazze, diviene,
via via contrasto tra vecchia Europa e
nuovo mondo, tra menti aperte da secoli
di cultura, da un lato, e rigidi protocolli
che regolano le leggi sull’immigrazione,
dall’altro.
E proprio su questo argomento, lo strano triangolo sentimentale tra un professore
A
piuttosto maturo e due donne bellissime
(e molto più giovani) prende una strada
diversa, complice il tocco di un regista
inglese coadiuvato da uno sceneggiatore
suo conterraneo.
D’altronde, oggi la commedia non è
più solo sentimento, o meglio non solo.
Gli affari di cuore spesso si mescolano
con tematiche sociali di grande attualità; in
questo caso, il problema dei cittadini immigrati in un paese straniero (anche quando
a cadere nella rete delle pastoie burocratiche sono stimati docenti universitari).
Peccato però che alla fine, dopo
tanto ragionare sulle difficoltà del cambiamento dello stile di vita nel passaggio
da un continente all’altro (è la storia
vissuta davvero dallo sceneggiatore del
film, Matthew Newman, inglese che vive
negli States) e sulle rigide leggi sull’immigrazione vigenti negli Stati Uniti, tutto
si ricomponga.
E così tra uno sketch e l’altro, un battibecco e una gaffe, la commedia procede
verso un finale decisamente scontato che
inneggia alla famiglia allargata e al “vogliamoci bene” con immancabile redenzione
del maturo don Giovanni.
Il fidanzato di mia sorella finisce per
essere un film per nulla memorabile, solo
una commediola piena di bellezze patinate (dai luoghi agli attori), su cui svetta,
per simpatia e sensualità, la bella Salma
Hayek (sono affidate a lei, una donna
disarmante per schiettezza e sincerità,
le scene più divertenti). Piccolo ruolo per
il carismatico divo britannico Malcolm
McDowell, nei panni del papà di Brosnan
(con poca verosimiglianza anagrafica, a
voler essere pignoli), maturo e incallito
donnaiolo, irascibile e narcisista, lui si un
modello da non seguire.
Elena Bartoni
THE LOBSTER
(The Lobster)
Irlanda, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, 2015
Regia: Yorgos Lanthimos
Produzione: Ed Guney, Lee Magiday, Ceci Dempsey, Yorgos Lanthimos per Element Pictures, Scarlet Films, Faliro
House, Haut et Court, Lemming Film, in associazione con
Limp
Distribuzione: Good Films
Prima: (Roma 15-10-2015; Milano 15-10-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Yorgos Lanthimos, Efthymis
Flippou
Direttore della fotografia: Thimios Bakatakis
Montaggio: Yorgos Bakatakis
Scenografia: Jacquline Abrahams
Costumi: Sarah Blenkinsop
Effetti: Olivier Cauwet, BUF
Interpreti: Colin Farrell (David), Rachel Weisz (Donna miope), Jessica Barden (Donna che sanguina dal naso), Olivia
Colman (Direttrice dell’hotel), Ashley Jensen (Donna dei biscotti), Ariane Labed (Domestica), Aggeliki Papoulia (Donna
senza cuore), John C. Reilly (Uomo col difetto di pronuncia),
Léa Seydoux (Capo dei Solitari), Michael Smiley (Nuotatore
solitario), Ben Whishaw (Uomo zoppo)
Durata: 118’
37
Film I
n un prossimo futuro imprecisato,
le persone single, secondo le regole
della città, vengono arrestate o portate in un hotel di lusso, in cui sono costretti
a trovare, in quarantacinque giorni, un
compagno o una compagna con cui fare
coppia. Se falliscono vengono trasformati
in animali. David viene abbandonato
dalla moglie, dopo anni di matrimonio
e portato nell’albergo. Si porta dietro il
cane, in realtà suo fratello, che ha subito
lo stesso trattamento qualche anno prima.
Deve trovarsi una partner, altrimenti, allo
scadere dei giorni, verrà trasformato in
un’aragosta, come da lui stesso scelto. Ma
che non voglia anche lui diventare un cane
è molto apprezzato dall’amministrazione:
ormai in giro ce ne sono troppi. Nell’albergo i single sono trattati come reclusi:
hanno vestiti tutti uguali, regole ferree
e non possono praticare vita sessuale. È
persino proibito darsi piacere. Bisogna
partecipare a un certo numero di attività,
tra cui lo sport e i concerti, che dovrebbero
favorire la confidenza tra gli ospiti. Chi non
ci sta e decide di fuggire ha l’alternativa di
vivere da solitario nel bosco, ma ogni tanto
gli ospiti dell’albergo vengono mandati a
caccia dei ribelli, con fucili carichi di fiale
soporifere e per ognuno dei solitari che catturano ottengono un giorno di permanenza
in più. Chi riesce a trovare un compagno
che abbia caratteristiche simili, forma una
coppia. La coppia ha diritto alla stanza
doppia e a un soggiorno sullo yacht. Se la
coppia riesce a resistere gli viene affidato
un figlio in prova e poi può andare a vivere
in città. La città è un posto dove mostrarsi
sempre felici e, soprattutto, in coppia. Il
mondo dell’ipocrisia, mondo nel quale
però anche i ribelli del bosco ogni tanto
Tutti i film della stagione
devono andare per fingersi altro da sé. I
solitari che decidono di nascondersi nei
boschi vivono tra gli alberi e le scogliere,
simili ad un gruppo di terroristi. Obbligati
a trascorrere il tempo in solitudine e a sentire la musica nelle proprie cuffie, ballando
da soli, sono destinati a vivere eternamente
solitari. Anche nel loro microcosmo vige un
regolamento ferreo che porta a scavarsi la
propria fossa e a essere mutilati in caso di
intimità con gli altri. David nell’albergo
incontra solo donne svitate e paranoiche.
Una, da lui rifiutata, si butta dalla finestra,
l’altra, completamente incapace di provare
sentimenti, arriva a uccidergli il canefratello. Così decide di fuggire nel bosco e
qui incontra una possibile anima gemella,
miope proprio come lui. I due inizialmente
si amano in silenzio, inventando un loro
alfabeto fatto di gesti pur di comprendersi. Poi la leader del gruppo scopre il loro
segreto e punisce brutalmente la donna
rendendola cieca. David propone alla sua
compagna di scappare in città e la porta in
un ristorante. L’idea è quella di accecarsi,
per essere finalmente uguali.
remio della giuria al Festival di
Cannes, l’ultimo film dell’anticonformista regista greco Yorgos
Lanthimos The Lobster traduce in un
iperrealismo grottesco la paura contemporanea e inarrestabile del rimanere soli,
terrore paragonabile solo a quello di vivere
con qualcuno. Al debutto con una pellicola
in lingua inglese, Lanthimos realizza un
prodotto spiazzante, che arriva diretto
come un pugno nello stomaco. Superando
anche i confini dell’inverosimile, si entra in
quelli dell’irreale, con delle metamorfosi,
che diventano vere e proprie allegorie da
P
38
interpretare. Per cui il nucleo tematico del
film non è tanto quello dei single da bandire, educare e semmai trasformare; questo
è solo l’escamotage per arrivare a qualcosa di molto più profondo. In questo caso
la “regola” iniziale che dobbiamo accettare
è quella di un mondo in cui non esiste il
vero amore e forse neanche i sentimenti.
La prima parte del film ci ricorda molto
Lans Von Trier, copiato nel ritmo, nella
voice off e in alcune sequenze, come
la prima caccia nel bosco. La voce
fuori campo appare didascalica e non
necessaria ai fini della comprensione e
domina un forte schematismo spaziale.
Tre infatti sono i luoghi del film: l’albergo,
il bosco e la città. L’albergo rappresenta
probabilmente il luogo della ricerca della
propria strada. È uno spazio pieno di regole (come del resto lo sono tutti i luoghi del
film, a sottolineare quanto gli uomini appaiano come burattini privi di personalità), o
accetti di diventar coppia o decidi di restare, con tutti i rischi del caso, un Solitario.
Oppure muori e diventi un animale. Da
questo luogo di mezzo puoi andare quindi
in due direzioni: nel bosco, simbolo dello
stato naturale, quello ossia dell’uomo
visto come essere solitario, individualista
e incapace di provare emozioni, oppure
nella città, luogo dell’apparenza e del falso.
Ma nessuno è un luogo felice, nessuno un
luogo autentico, in nessuno di essi l’uomo
è libero e felice. Critica forte nei confronti dell’uomo, che è ridotto ad automa.
Non esistono esseri umani buoni e giusti;
o fingono, oppure sono esseri individualisti e completamente anaffettivi. Anche
la faccenda della “cosa in comune” è la
dimostrazione di quanto poco serva per
fingersi anima gemella e potersi permettere una vita normale in un mondo che di
“normale” non ha proprio nulla. Un mondo
dove la violenza è all’ordine del giorno,
così come freddo e meccanico appare il
sesso. L’amore è il frutto di menzogne e
convenienza. Forse l’unico vero accenno
d’amore si nasconde dietro quei gesti in
codice nel bosco, per raccontare il bisogno di affetto o condivisione umana. Che
tuttavia ci viene negato, per lasciare lo
spettatore ancora una volta nell’attesa,
andando via un attimo prima di scoprire
la verità. Un tavolo di ristorante dove forse
qualcuno tornerà o forse no. Attacco aspro
anche alle strutture, alle convenzioni e
alle ipocrisie che il vivere in una società
ci impone, laddove l’uomo, anche se si
ribella, non può in ogni caso salvarsi da
se stesso. Non è difficile leggere nel film
infatti anche una certa sfiducia nell’organizzazione sociale contemporanea e una
rappresentazione della mercificazione dei
Film Tutti i film della stagione
messa in scena che non limita neanche gli
inserti splatter, guarda caso sugli animali.
Completa il quadro una colonna sonora
ossessiva e disturbante, una regia fredda
come quello che racconta, che trasmette
una sensazione di forte straniamento. Ed
è proprio in questo grande affresco, nella
molteplicità di letture e nel desiderio di realizzare un’opera dai molti livelli di lettura,
che il film forse pecca e fallisce. Anche lo
stile distante, asettico e impenetrabile della
recitazione crea un senso di sfasamento.
Il cast, internazionale, è però degno di
nota. Colin Farrell, irriconoscibile, con un
sentimenti da parte di tutte le istituzioni,
che si propongono come coagulanti nella
ricerca di un altro individuo da amare.
Anche la violenza onnipresente, spietata,
brutale e insensibile sembra una versione
concreta di quella più sottile violenza
psicologica operata dal condizionamento
sociale. L’umanità è dunque azzerata,
come succede nella scena tremenda
dell’uccisione del cane, in cui nessuno ne
esce bene. Gli unici sereni e liberi sembrano essere proprio gli animali nel bosco.
Comico, tragico, violento, The Lobster
procede per paradossi, slittando in una
filo di pancetta, capelli spettinati, occhialetti, camiciola e impacciate movenze da
impiegato è fantastico nel suo vacillare in
bilico proprio al centro di questa situazione
assurda. Rachel Weisz interpreta un personaggio smarrito e stralunato, a cui non
resta che decidere se seguire il proprio
istinto individualista o sacrificarsi, letteralmente, per farsi coppia. Oltre a loro John
C. Reilly, Ben Whishaw, Lea Seydoux e le
amate attrici greche di Lanthimos, Ariane
Labed e Angeliki Papoulia.
Veronica Barteri
NON ESSERE CATTIVO
Italia, 2015
Regia: Claudio Caligari
Produzione: Paolo Bogna, Simone Isola, Valerio Mastandrea
per Kimerafilm con Rai Cinema e Taodue Film, in collaborazione con Leone Films Group
Distribuzione: Good Films
Prima: (Roma 8-9-2015; Milano 8-9-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Claudio Caligari, Giordano
Meacci, Francesca Serafini
Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Mauro Bonanni
Musiche: Paolo Vivaldi, Alessandro Sartini (collaborazione),
Cristiano Balducci (musiche di repertorio)
Scenografia: Giada Calabria
1
995 Ostia. Vittorio e Cesare
hanno poco più di vent’anni e
sono amici da una vita. Vivono
di scorribande notturne tra locali, alcol
e droga. I due con le loro comitive combattono nella periferia romana un disagio
familiare, comune ed esistenziale. Cesare
ha perso la sorella e vive con la madre
precocemente invecchiata e la nipotina
malata di aids. Vittorio, che inizialmente
ha al suo fianco la compagna Viviana, trova in Linda il nuovo amore. È una ragazza
madre conosciuta casualmente, abbandonata dal suo uomo e che Vittorio si trova a
voler affiancare in tutto, anche per l’educazione del figlio. Vittorio quindi decide
di mettere la testa sulle spalle, formare
una famiglia vera con Linda e cerca di
mettersi a lavorare seriamente in maniera
onesta, perdendo di vista un po’ l’amico
Cesare. Questo intanto scopre Viviana
come sua dolce metà, decide di andare a
vivere con lei e insieme scelgono una casa
diroccata e abbandonata come dimora del
loro amore. Cerca così di uscire anche lui
dal tunnel della droga chiedendo aiuto
Costumi: Chara Ferrantini
Interpreti: Luca Marinelli (Cesare), Alessandro Borghi
(Vittorio), Silvia D’Amico (Vivana), Roberta Mattei (Linda),
Alessandro Bernardini (Brutto), Valentino Campitelli
(Grasso), Danilo Cappanelli (Lungo), Manuel Rulli
(Corto), Emanuela Fanelli (Smandrappata), Giulia Greco
(Smandrappata), Claudia Ianniello (Smandrappata),
Elisabetta De Vito (Madre di Cesare), Alice Clementi
(Debora), Emanuele Grazioli (Lenzetta), Luciano Miele
(Mario), Stefano Focone (Samanta), Massimo De Santis
(Prete), Andrea Orano (Tommasino), Alex Cellentani
(Padrone del bar)
Durata: 100’
a Vittorio, ma riesce difficilmente a non
ricadere nella trappola. Nel frattempo,
poi, la sua amata nipotina si aggrava e
muore. I due che nella prima parte del
film si drogano e spacciano stupefacenti,
in un secondo tempo cercano di trovare un
lavoro “normale” in un cantiere. È così
che Vittorio e Cesare cominciano a sperimentare un limbo della sopravvivenza, in
cui vengono emarginati dai loro ex amici,
ma anche dagli altri operai nel cantiere.
Cesare cerca di ingannare il capo cantiere,
il suo spirito non riesce a vivere il lavoro
in maniera onesta, anche se si tratta di
un’occupazione più legale dello spaccio.
Ognuno con il proprio carattere, i due,
legati da un rapporto fortissimo, riescono
con difficoltà a vivere nella normalità. Il
destino riserverà loro strade diverse.
alle atmosfere pasoliniane (da
Accattone viene ripreso il nome
Vittorio) e scorsesiane, Non
essere cattivo è un racconto durissimo di
vita vera e di droga. Una storia di amicizia,
di voglia di vivere di due figure al confine
D
39
che faticano a vivere nella normalità.
Questi ragazzi ciclicamente ricadono nel
tunnel della droga e, attraverso le loro
vicende personali, Caligari regala a noi
spettatori una rappresentazione della
borgata romana ma anche dell’umanità.
La scelta di ambientare la storia a metà
degli anni ’90 è stata dettata dal voler
ricostruire un cambiamento della società
che era stato caratterizzato anche da un
diverso uso degli stupefacenti. Oramai
le droghe pesanti erano arrivate anche a
ceti più popolari. Attraverso la “realistica”
fotografia di Maurizio Calvesi, prende
quindi vita un racconto sensoriale: visivo
innanzitutto ma anche uditivo. Non essere
cattivo è, al contempo, ciò che sta scritto
sull’ orsacchiotto della nipote di Cesare, è
l’urlo di chi vede dall’esterno due umanità
rovinate e perse nel mondo della droga, ma
anche quel grido interiore dei due ragazzi
che cercano, con ogni sforzo, di venir via
da una condizione di degrado. Cesare e
Vittorio si staccano dalla loro comitiva,
vivono momenti di emarginazione, lì come
anche con il nuovo datore di lavoro, ma
Film nonostante questo ci provano. Il loro sogno
di una vita diversa parte da due bambini:
nel caso di Vittorio, dal figlio di Linda e, in
quello di Cesare, dalla nipotina Debora e
dalle donne che per entrambi i protagonisti
hanno un ruolo centrale. La volontà è fortissima così come anche la speranza dei due
sognatori. Quando Cesare e Viviana vanno
Tutti i film della stagione
ad stare in una casa disabitata accorre la
disperazione della fantasia, o la fantasia
della disperazione, che dir si voglia. La
storia d’amore tra Linda e Vittorio nasce
da un’arma affidata per caso in spiaggia
alla ragazza durante una fuga del ragazzo.
I sentimenti raffigurati sono “tanto e troppo”
reali nonostante le condizioni disastrose.
Non c’è vena di patetismo o compassione,
anzi; tutti i personaggi, ognuno a modo
proprio, sono segnati dalla vita. Con amarezza è come se si volesse sostenere che
per Vittorio e Cesare l’unica soluzione per
sopravvivere sia la droga. Uscito postumo
dopo la morte di Caligari grazie all’aiuto di
Valerio Mastrandrea, Non essere cattivo
è un film in cui la sceneggiatura scorre
liscia grazie anche alla bravura del cast in
particolare dei protagonisti interpretati da
Alessandro Borghi e Luca Marinelli. Dopo il
discusso Amore tossico del 1983 e L’odore
della notte del 1998 il regista rivolge la propria attenzione più sui personaggi che sulle
azioni e cita ancora una volta se stesso, in
particolare nella scena iniziale che fa da
filo conduttore. Candidato agli Oscar, Non
essere cattivo mette a nudo una bellezza
cinematografica non convenzionale, ricercata da sempre e strumento perfetto per
indagare e rappresentare nel migliore dei
modi una certa realtà. Quella “bellezza”
invisibile agli occhi anche quando tutto
intorno sa di morte e di disperazione.
Giulia Angelucci
LOVE IS IN THE AIR – TURBOLENZE D’AMORE
(Amour & Turbulences)
Francia, 2013
Regia: Alexandre Castagnetti
Produzione: Révénce, Manchester Films, Thelma Films,
Universal Pictures International France, in associazione con
Indéfilms Kinology
Distribuzione: Nomad Film
Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Vincent Angell, Natasha
Gomes de Almeida, Nirina Ralanto (adattamento e dialoghi), Brigitte Bernol (adattamento e dialoghi), Julien Simonet
(adattamento e dialoghi), Xavier Nemo (adattamento e dialoghi), Alexandre Castagnetti (adattamento e dialoghi), Nicolas
Bedos (adattamento e dialoghi)
Direttore della fotografia: Yannick Ressigeac
J
ulie è una scultrice di talento alla
ricerca del successo, Antoine un
giovane avvocato sciupafemmine.
Una mattina i due si incontrano sull’aereo
che li riporterà a Parigi. Cosa hanno in
comune? Una storia d’amore travagliata e
finita male. Il volo intercontinentale diventerà occasione di bilanci e recriminazioni,
accuse e riappacificazioni. Attraverso i
flashback riviviamo le tappe della storia
tra i due: il primo incontro a una mostra,
il fascino di Antoine e la riservatezza di
Julie. Poi la convivenza, le incomprensioni,
le gelosie e i litigi. E infine la separazione
Montaggio: Scott Stevenson
Musiche: Nicolas Wauquiez, Evymoon
Scenografia: François Emmanuelli
Costumi: Emmanuelle Youchnovski
Effetti: Alain Carsoux, Joel Pinto
Interpreti: Ludivine Sagnier (Julie), Nicolas Bedos (Antoine),
Jonathan Cohen (Hugo), Arnaud Ducret (Franck), Brigitte
Catillon (Claire), Jackie Berroyer (Arthur), Clémentine Célarié
(Marie), Michel Vuillermoz (Georges), Lila Salet (Stéphanie),
Ina Castagnetti (Aïssa), Sophie-Charlotte Husson (Nina),
Cédric Novet (Enzo), Ania Gaver (Ex Amante), Jean-Philippe
Goudroye (Renato), Kelly Kopen (Pearl)
Durata: 96’
definitiva. Julie riceve un’offerta per una
borsa di studio a Tokio, ma è Antoine a
rispondere al telefono e a rifiutare, fingendosi il fratello, per paura di perderla.
Pochi giorni dopo, la ragazza scopre tutto
e lo lascia. Eccoci dunque sull’aeroplano.
I sentimenti tra i due sono tutt’altro che
scemati. Improvvisamente il velivolo viene
colpito da forti turbolenze. D’istinto la coppia si dà la mano e si dichiara ancora una
volta. Poi tutto torna normale. Scopriamo
che Julie dovrà sposarsi a breve con un
avvocato. Antoine perde ogni speranza di
riconquistarla. Arrivati a Parigi, Antoine si
40
reca proprio nello studio del futuro marito
della donna per un colloquio di lavoro.
Qui, ubriaco e disperato, egli racconta
del suo amore per una ragazza. Julie è
dall’altra parte della porta e sente tutto. La
donna lascia il compagno e insegue il suo
vero amore. I due si ritrovano e si baciano
con passione.
gnorato quasi completamente dal
pubblico italiano (circa ottomila euro
incassati nel primo weekend) complice la distribuzione minima, Love is in the
air – Turbolenze d’amore è invece un film
I
Film piacevole, un’onesta commedia sentimentale che del genere porta i tipici difetti ma
che, al contempo, presenta spunti originali
e apprezzabili. La struttura teatrale – l’incontro tra i due protagonisti in un luogo
claustrofobico dal quale non possono fuggire– che sembrava poter penalizzare il film
sul piano del ritmo, ne diviene invece punto
di forza, occasione di originalità attraverso
i numerosi flashback che battono il tempo,
allontanano la noia e aiutano la narrazione
(nota di merito per l’ottimo montaggio), il
tutto mescolato a un umorismo leggero e
Tutti i film della stagione
zuccheroso. Il film funziona, fa sorridere e
strizza l’occhio al pubblico attraverso vicende su cui tutti sono passati almeno una
volta e in cui tutti possono immedesimarsi:
i primi incontri, l’amore che si accende, la
passione, la complicità e poi le difficoltà,
le discussioni, i compromessi e, infine,
le recriminazioni, le polemiche, le colpe.
Nonostante il plot elementare, la pellicola
riesce dunque per buona parte della durata a intrattenere con una propria identità,
anche grazie alla buona caratterizzazione
dei protagonisti. Poi, inevitabilmente, con
l’avvicinarsi dell’atterraggio, l’elemento
sentimentale, smielato e caramelloso, si fa
violentemente spazio, dominando l’intero
finale segnato dalla retorica della dichiarazione strappalacrime, della corsa contro il
tempo, dell’amore che trionfa. Nell’insieme,
a ogni modo, Love is in the air – Turbolenze d’amore si rivela un filmino a grandi
tratti godibile, che, nel mare magnum delle
commedie sentimentali, avrebbe meritato
certamente maggiore attenzione.
Giorgio Federico Mosco
RUTH & ALEX – L’AMORE CERCA CASA
(5 Flights Up)
Stati Uniti, 2014
Regia: Richard Loncraine
Produzione: Charlie Peters, Lori McCreary, Curtis Burch,
Tracy Mercer per Revelations Entertainment, Latitudine Productions
Distribuzione: Videa
Prima: (Roma 25-6-2015; Milano 25-6-2015)
Soggetto: dal romanzo “Heroic Measures” di Jill Ciment
Sceneggiatura: Charlie Peters
Direttore della fotografia: Jonathan Freeman
Montaggio: Andrew Marcus
Musiche: David Newman
Scenografia: Brian Morris
Costumi: Arjun Bhasin
R
uth e Alex sono una coppia
intorno ai settanta che vive a
Brooklin, in una bella casa luminosa scelta quarant’anni prima: da allora,
lui pittore in cerca di affermazione, lei
giovanissima modella, poi insegnante, non
hanno smesso di amarsi e di essere felici
(considerati anche i pregiudizi del tempo,
lui infatti è un nero) in un appartamento
una volta ritenuto periferico e diventato
nel corso degli anni di gran moda e di
gran prezzo.
L’età però avanza e i due tentano di
mettere fine a una scomodità sempre più
presente dati i cinque piani di scale senza
ascensore: si rivolgono così a Lily, una loro
nipote agente immobiliare con lo scopo di
sostituire il loro appartamento tanto amato
con un altro più agevole.
Nel frattempo, una fatto eccezionale
accade nei pressi: il ponte di Williamsburg
è reso impraticabile da un camion incidentato alla cui guida la polizia pensa fosse un
terrorista pronto a entrare in azione e ora
in fuga e braccato in tutta la città.
Contemporaneamente, Ruth e Alex
trovano un appartamento che sembrerebbe
avere tutte le caratteristiche che possano
Effetti: David Isyomin
Interpreti: Morgan Freeman (Alex Carver), Diane Keaton (Ruth
Carver), Cynthia Nixon (Lily Portman), Claire van der Boom
(Ruth giovane), Korey Jackson (Alex giovane), Carrie Preston
(Miriam Carswell), Michael Cristofer (Larry), Diane Ciesla
(May), Josh Pais (Jackson), Maddie Corman (Donna amichevole), Miriam Shor (Donna fredda), Gary Wilmes (Sig. Vincent),
Liza J. Bennett (Sig.ra Vincent), Ted Sod (Sig. Rahim), Sterling
Jerins (Zoe), Ilana Levine (Madre di Zoe), Maury Ginsberg (Dott.
Kramer), Eric Sheffer Stevens (Sig. Schuyler), Alysia Reiner
(Blue Leggings), Henry Kelemen (Justin), Hani Furstenberg
(Sig.ra Schuyler), Hannah Dunne (Debbie)
Durata: 92’
soddisfarli e arrivano quasi a concretizzare
un’offerta.
In mezzo a tutta questa grande confusione di acquirenti e venditori, di atti di
terrorismo presto rientrati e di personaggi
contraddittori, Ruth e Alex si rendono conto di una cosa fondamentale: loro hanno
già un appartamento che amano e che ha
visto anno dopo anno il concretizzarsi della
loro unione e dei loro ricordi e decidono
così di non muoversi, stanno bene dove
stanno, poi si vedrà...
un’operazione condotta a tavolino, una sit com piacevole
costruita sulla mostruosa bravura
di due star di Hollywood che prestano
la fantastica precisione dei loro ritmi di
spettacolo a una storia di anzianità come
se ne vedono da tempo in America: Diane Keaton è bravissima a fare la moglie
cinematografica (proprio lei che nella
vita non si è mai sposata) ripescando gli
sguardi, gli smarrimenti e le passioni del
suo grande passato newyorkese (mentore
Woody Allen) non rinunziando alla sua
forza seduttiva che, nonostante gli anni
che non nasconde, continua a brillare di
È
41
fascino e di luce senza tempo; Morgan
Freeman, più responsabile e taciturno,
preferisce stare con i piedi per terra, ben
conoscendo la materia di cui sono fatti i
sogni da cui si compiace essere talvolta sopraffatto, gattone e sornione, per gli scoppi
di sconsiderato ed eterno ottimismo, di cui
è capace l’amatissima moglie.
Non c’è però solo questo. Altri due
elementi innervano e scuotono il prevedibilissimo e sdolcinato affaire immobiliare.
Intanto il panorama di esseri che visitano
gli appartamenti in vendita: una galleria
di persone e personaggi oppressi da tic,
fissazioni, manie e paranoie, vero quadro
di un’umanità che sospintasi orgogliosamente in mare aperto sta andando ora alla
deriva senza alcun costrutto di intelligenza
e senso comune.
Il secondo elemento è dato dall’accaduto sul ponte che coinvolge un camion
non si sa se guidato da terroristi pronti al
disastro o altro: non è questo il punto perchè i network televisivi e le organizzazioni
dei media della costa orientale si gettano
sull’avvenimento come rapaci, non tanto
per commentare e approfondire il possibile disastro stradale, ma per utilizzare il
Film fragore della notizia, accartocciatasi presto
nel vuoto fino alla normale conclusione,
come mezzo di affermazione della propria
immagine e della forza d’urto dell’armata
pubblicitaria.
Tutti i film della stagione
Davvero uno spaccato terribile della
società di oggi spinta oltre ogni limite di
fronte a cui le schermaglie e i ricordi delle
due anziane star sembrano appartenere
a un’epoca già ora lontanissima e inspie-
gabile per la preminenza che viene data
al valore dei sentimenti e delle relazioni
umane.
Fabrizio Moresco
EX_MACHINA
(Ex Machina)
Gran Bretagna, Stati Uniti, 2015
Costumi: Sammy Sheldon Differ
Effetti: Double Negative, Utopia
Interpreti: Domhnall Gleeson (Caleb), Oscar Isaac (Nathan),
Alicia Vikander (Ava), Sonoya Mizuno (Kyoko), Corey
Johnson (Jay), Claire Selby (Lily), Symara A. Templeman
(Jasmine), Gana Bayarsalkhan (Jade), Tiffany Pisani
(Katya), Elina Alminas (Anber)
Durata: 108’
Regia: Alex Garland
Produzione: Film4, Dna Films
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 30-7-2015; Milano 30-7-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Alex Garland
Direttore della fotografia: Rob Hardy
Montaggio: Mark Day
Musiche: Ben Salisbury, Geoff Barrow
Scenografia: Mark Digby
C
aleb Smith, un ragazzo ventiquattrenne eccellente programmatore,
si aggiudica la possibilità di trascorrere una settimana nella casa in montagna di Nathan Bateman, l’amministratore
delegato della grande società informatica
per cui lavora. Nathan gli rivela subito che
la sua casa non è altro che un grande istituto
di ricerca, dove da solo, dopo decenni, ha
progettato una I.A., un’intelligenza artificiale. Caleb è in realtà, a sua insaputa,
stato scelto per eseguire il test di Turing,
per capire se l’I.A è una vera intelligenza
e ha coscienza di sé. Il giovane programmatore inizia subito il test, conosce Ava, un
robot con pelle e circuiti dalle affascinanti
sembianze femminili e comincia a parlarci,
sorprendendosi di quanto sia intelligente e
simile a un essere umano. I test proseguono
ogni giorno e, con il passare del tempo, Ava
sembra essere attratta da Caleb. Il ragazzo
vorrebbe saperne di più, ma Nathan si
comporta in modo vago e misterioso e si
ubriaca spesso e maltratta la sua concubina.
Durante il solito test, si verifica un blackout e Ava, sapendo di non essere vista dalle
telecamere di Nathan, dice a Caleb di non
fidarsi di lui. Il ragazzo insospettito decide
di indagare e scopre altre I.A progettate da
Nathan prima di Ava, usate anche come
strumenti sessuali e poi ribellatesi a lui fino
a impazzire. Caleb organizza un piano per
far scappare Ava, dopo aver ulteriormente
saputo che sarà formattata. Invece vengono
scoperti da Nathan che aveva sentito le loro
conversazioni. Ava però riesce a uscire dalla
sua stanza e con l’aiuto di Kyoko, anche lei
un robot, uccide Nathan. Caleb invece non
riesce a uscire, rimane bloccato e vede Ava
uscire dalla casa e lasciarlo lì.
a prima esperienza di Alex Garland,
lo sceneggiatore di 28 giorni dopo,
dietro la macchina da presa può
essere considerata un vero e proprio successo. Ha davvero un’anima molto classica
Ex machina e fa di tutto per mascherarla
con un efficace veste modernista. La
pellicola di fantascienza psicologica, tutta
basata sulla parola e sul ragionamento, è
strutturata intorno a uno scienziato che si
spinge oltre quello che dovrebbe essere
consentito, dove la scienza sfiora il sovrannaturale e sperimenta nel suo castello
remoto e inaccessibile quella che chiamiamo “vita”. Accanto a lui un più giovane e
inesperto ragazzo di scienza, che si lascia
contaminare troppo da quel che vede. Tra
di loro una creatura che odia il proprio
padre. Nello scontro di intelligenze a tre
del film, Nathan, Caleb e Ava combattono
tramite la parola una guerra di strategia e
menzogne in cui, come spesso capita nella
fantascienza contemporanea, sembra che
solo il video registrato possa rivelare la
verità. La realtà guardata con gli occhi è la
cosa più ingannevole in assoluto, terreno
di mistificazioni, mentre il video è la realtà,
lo strumento di conoscenza del mondo
per come è realmente, l’arma che svela
gli inganni. È quindi tutto ciò che è tecnologico a meritare fiducia. Come per il mito
di Frankenstein anche qui il punto di tutto
sarà chiedersi chi dei personaggi in ballo sia
davvero il mostro e chi meriti l’appellativo di
essere umano. Inevitabile pensare a Under
the skin o Lei, la pellicola di Spike Jonze,
ma mentre lì c’erano le emozioni sconnesse
da un corpo necessariamente analogico a
cui far capo, qui a portare avanti la storia è
una sottile tensione. Una “gothic story” che
L
42
prende spessore e velocità, e investe con
forza una situazione hitchcockiana, in cui
nulla è davvero come sembra. La tensione
si costruisce pian piano, non svelando subito le carte, modellando l’intreccio thriller
e sfruttando la claustrofobia degli interni e
la vastità degli esterni, trovandosi la magione di Nathan nella natura incontaminata.
Seguendo un filo conduttore lineare e ben
definito, Garland porta in scena un’articolata
guerra psicologica tra i protagonisti, fatta
di domande esistenziali, bugie e concetti
filosofici, che, alimentando l’interesse
dello spettatore, rende il film molto di più
interessante del previsto. Infine lentamente
l’attenzione si pone dalla parte dell’inumano
piuttosto che dell’umano, per raccontare
nuovamente dell’insopprimibile desiderio
di vivere, mettendo in luce la crudeltà di
Ava, decisamente degna dell’umanità da
cui prende spunto il suo essere. Mentre
Nathan, il suo creatore è assunto a ruolo
di Dio. Come nella tragedia greca in cui la
divinità appariva in alto su una macchina
scenica, “ex machina” (da cui appunto il
tiolo), e decideva il finale arbitrariamente.
Esteticamente il film è di una precisione
inaudita, che rischia la freddezza e un senso di oppressione. La visione stessa, filtrata
attraverso le telecamere di sorveglianza, gli
specchi, le ombre e le luci metalliche di una
casa-laboratorio senza finestre, è fonte di
angoscia. Quel manicheismo che a poco a
poco si forma per tutta la durata del film dà
un’idea forte, evidente, per nulla sbrigativa,
che ha la stessa intensità di un sentimento. Ma che forse rimane agghiacciata per
l’eccessivo formalismo. Il tema dell’umano
è analizzato nel suo confronto con la
solitudine, il conflitto con la tecnologia, in
Film Tutti i film della stagione
una rappresentazione algida, con musiche
minimaliste ipnotiche, interpreti silenziosi
e quasi dolenti. Ex Machina si interroga,
formalmente, sul divario che c’è fra la freddezza della materia grigia e la luminosità dei
sentimenti, passando attraverso le passioni,
dove sentimento e pensiero si confondono.
Niente che possa essere raccontato per
filo e per segno, ma si tratta di una formula
accuratamente imbastita per generare una
fantascienza vibrante di dubbi, ambiguità
e incertezze. Il finale poi è inaspettato e
spiazzante. Come a dire l’ingrediente primo dell’umanità è la ricerca della libertà.
Nel cast il simpatico Domhnall Gleeson,
Alicia Vikander, nella parte dell’affascinante androide, un inquietante Oscar Isaac
nei panni di Nathan e Sonoya Mizuno, la
geisha androide.
Veronica Barteri
ARIANNA
Italia, 2015
Regia: Carlo Lavagna
Produzione: Tommaso Bertani, Carlo Lavagna, Damiano Ticconi per Ring Film con Rai Cinema, in associazione con Ang
Film, Asmara Films, Essentia
Distribuzione: Istituto Luce - Cinecittà
Prima: (Roma 24-9-2015; Milano 24-9-2015)
Soggetto: Carlo Lavagna, Carlo Salsa
Sceneggiatura: Carlo Salsa, Carlo Lavagna, Chiara Barzini
Direttore della fotografia: Hélène Louvart
A
rianna, diciannovenne e i genitori ritornano nella vecchia casa
di Bolsena dove la ragazza non
aveva più messo piede da quando aveva
tre anni.
Un problema accompagna Arianna
da tempo e in questo ultimo periodo
è diventato pressocchè ossessivo: non
ha ancora avuto le prime mestruazioni
nonostante le cure ormonali che il padre
medico e un suo collega ginecologo le
prescrivono per fare finalmente sbocciare
la sua femminlità.
In questo periodo estivo, Arianna
ritrova amici e conoscenti che non
vedeva dai suoi primi anni, soprattutto
Celeste, sua cugina e amica del cuore,
già donna, accompagnata da un ragazzo
con cui ha già sperimentato le prime
gioie del sesso.
Arianna sente che tutto questo le è
precluso, soprattutto dopo i primi tentativi
con Martino con cui non riesce ad avere
un rapporto completo. Decide allora di
Montaggio: Lizi Gelber
Musiche: Emanuele De Raymondi
Scenografia: Fabrizio D’Arpino
Costumi: Zazie Gnecchi Ruscone
Interpreti: Ondina Quadri (Arianna), Massimo Popolizio
(Marcello), Valentina Carnelutti (Adele), Corrado Sassi
(Arduino), Blu Yoshimi (Celeste), Eduardo Valdarnini
(Martino)
Durata: 83’
andare a fondo dei suoi problemi e della
sua ambiguità psicologica, indipendentemente dalle continue e generali assicurazioni che le dice il padre. La ragazza si
reca quindi prima da una ginecologa della
zona che ha subito dei dubbi e le prescrive
degli accertamenti da fare nell’ospedale
di Viterbo.
I medici dell’ospedale, a seguito di visite e TAC hanno un quadro completo della
situazione che anche Arianna comprende
del tutto quando ottiene la cartella clinica
completa.
Lei alla nascita presentava caratteristiche sessuali maschili e femminili
contemporaneamente, era cioè intersessuale, situazione troppo semplicisticamente
indicata come ermafrodita; dopo pochi
anni ha subìto un intervento chirurgico
per l’assegnazione definitiva di un sesso
una volta per tutte, quello femminile: nato
Matteo è divenuta quindi Arianna.
Tutto questo è raccontato dalla ragazza
durante una delle sedute presso un centro
43
di sostegno di autocoscienza a cui si è rivolta: il suo racconto è composto, padrone,
lineare; sa che dovrà convivere tutta la
sua vita con una diversità che risulterà
agli altri spesso incomprensibile, ma con
questa vita dovrà vivere, diventare adulta
e in pace con se stessa.
i voleva un debuttante, Carlo
Lavagna (in concorso alla sezione Giornate degli Autori di
Venezia 2015) per portare sullo schermo
uno dei tabù più antichi, quello della doppia sessualità, dell’essere uomo e donna
insieme, della impossibile definizione di
una identità personale che appartiene a
entrambi i sessi pur non appartenendo a
niente e nessuno.
La strada drammaturgica scelta
dall’autore per avvicinarsi a questo tema
angoscioso da cui il cinema si è tenuto
sempre alla larga è quella della normalità,
della sensibilità, della capacità umana di
abbracciare anche ciò che è impossibile
C
Film per farne il senso della propria vita diversa e della propria, ugualmente ricca,
emotività.
Non ci sono eccessi quindi in questo
film né isterie né frasi shock, nessuno
si strappa i capelli ma tutto l’ambiente
è immerso nel calore di una sensibile,
giocosa normalità in cui genitori, amici,
ragazzi e ragazze danno un pezzo del
Tutti i film della stagione
loro disponibile amore per dare vita
a quella zattera di sentimenti su cui
Arianna sale per costruire la propria
esistenza: certamentre sarà presto capace (così si evince dall’ultima seduta
presso il consultorio) di restituire agli altri
quell’amicizia e quel calore che l’hanno
aiutata a vivere.
Dolcissima, composta e forte l’inter-
pretazione della protagonista, Ondina
Quadri, ultima nata tra le nostre attrici, ma
già capace di tratteggiare con intensità e
toccante fermezza una situazione di cui
trasforma il disagio in limpidezza, il dolore
in una quiete composta e adulta non priva
di fascino e voglia di vivere.
Fabrizio Moresco
LA BELLA GENTE
Italia, 2009
Regia: Ivano Di Matteo
Produzione: Guido Servino, Guglielmo Ariè per X Film, in collaborazione con Solaris Cinematografica, 360 Entertainment
Distribuzione: Istituto Luce-Cinecittà
Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Valentina Ferlan
Direttore della fotografia: Duccio Cimatti
Montaggio: Marco Spoletini
A
lfredo e Susanna sono una
coppia di cinquantenni benestanti, animati da nobili
principi nei confronti dell’umanità. Lui
architetto, lei psicologa, sono insieme
dai tempi dell’Università, da quando
manifestavano contro la discriminazione. Come ogni anno, sono pronti per
trascorrere l’estate nella loro tenuta
privata, nella campagna umbra. Sulla
strada che collega alla statale, in mezzo
alle distese di campi, Susanna tornando
dal paese assiste alla brutalità con cui
un uomo maltratta una giovanissima
prostituta straniera. Da sempre attiva
nella difesa contro gli abusi sulle donne, Susanna sente di non poter far altro
che salvarla. Convinto così il marito, la
donna prende con sé Nadja, un’ucraina
di diciassette anni e la ospita a casa. La
ragazza si dimostra docile, servizievole
ed educata e, dopo averla pulita e rivestita, la coppia progetta per lei un futuro
roseo e lontano dalla prostituzione. Dopo
l’iniziale ritrosia, la giovane inizia ad
aprirsi e a raccontare qualcosa di sé.
In principio instaura un bel rapporto
con entrambi i coniugi: Alfredo le fa da
maestro, prestandole molti libri in russo
e Susanna le fa da confidente e da amica.
Fino a quando in casa non arrivano il
figlio Giulio, con la fidanzata Flaminia,
per festeggiare il compleanno di Susanna. Flaminia è una ragazza viziata,
abituata agli agi e alla bella vita e il
Musiche: Francesco Cerasi
Scenografia: Luca Servino
Costumi: Loredana Buscemi
Interpreti: Monica Guerritore (Susanna), Antonio Catania
(Alfredo), Iaia Forte (Paola), Giorgio Gobbi (Fabrizio), Victoria Larchenko (Nadja), Myriam Catania (Flaminia), Elio Germano (Giulio)
Durata: 98’
soggiorno dai suoceri non le fa affatto
piacere, dal momento che c’è anche la
scomoda presenza di Nadja. All’improvviso tutto cambia, i rapporti diventano
più tesi e Flaminia alla fine decide di
ripartire da sola per l’isola del Giglio.
Giulio comincia a flirtare con Nadja
fino a quando la porta a letto, facendole
chissà quali promesse. La relazione
tra i due ragazzi tuttavia non è vista
affatto di buon occhio da Susanna. La
presenza della giovane infatti disturba
gli equilibri familiari e Susanna inizia
a sospettare di lei, proprio per quello
da cui l’amica benestante all’inizio,
l’aveva messa in guardia. La ragazza
infatti non si accontenta di essere stata
salvata, non si limita a stare “al suo
posto” silenziosa e riconoscente, ma
addirittura pretende di partecipare
al benessere altrui, vorrebbe perfino
essere amata dal figlio e sedurre suo
marito che si dimostra con lei troppo
buono e affettuoso. Dopo l’ennesima
lite anche con il padre, Giulio decide di
andarsene e raggiungere la fidanzata,
senza neanche salutare Nadja. Susanna
affronta in maniera diretta la ragazza
dicendole che non può più stare con loro
e che l’avrebbero portata in un centro
di assistenza per donne in difficoltà. Così
Alfredo la accompagna alla stazione e
si sgrava la coscienza lasciandole una
busta con dei soldi. L’equilibrio sembra
così essersi ristabilito.
44
a belle gente, girato nel 2009,
uscito nelle nostre sale soltanto
ora, grazie alla tenacia del regista che non si è arreso dopo innumerevoli problemi con la distribuzione, è l’inedito secondo lungometraggio di Ivano
De Matteo. Prodotto con l’articolo 8, è la
storia di una famiglia dai valori saldi, che
vanno pian piano sgretolandosi quando
questi entrano in contatto con la realtà.
Grande successo in Francia, vincitore
del Festival di Annecy, La bella gente è
un film che come i successivi (in ordine
di produzione, ma non di uscita) Gli
equilibristi e I nostri ragazzi fa parte di
un’ideale trilogia sulla famiglia. Un certo
tipo di famiglia, quella che si sgretola di
fronte alle responsabilità che vanno oltre
le convenzioni, che getta la maschera
di fronte all’imprevisto, quando si deve
rimettere tutto in discussione. La protagonista Susanna è lo specchio di una
società illusa dal possedere dei precetti
imprescindibili, che tuttavia non riesce
poi a mettere in atto. Presa con sé la
bella Nadja, solo il suo essere un’animale ferito saprà colmare di orgoglio il
buonismo della donna, ma, non appena
quel lato indifeso della ragazza col
tempo saprà cicatrizzare le ferite, farà
uscire fuori non più la vittima bensì la
persona, allora tutto il bene che un atto
di estrema generosità avrà saputo dare
verrà messo in dubbio con asprezza e
risentimento. Non più separati per caste
L
Film sociali, quella “bella gente” protagonista
del film è l’insieme delle personalità che
oramai costellano la nostra collettività,
che sanno gridare ai quattro venti i proprio ideali, ma non sanno perseguirli.
Dove tutto rimane solo apparenza e
superficialità. Alla fine, più dei razzisti
dichiarati, chi veramente fa rabbia e
pena insieme sono proprio quelli bravi,
impegnati, generosi, che vogliono fare
il bene, senza però mettersi mai al livello del beneficato, dimostrando una
compassione di facciata che si sfalda
non appena la minaccia sconfina dai
limiti che le sono stati imposti. È un film
che affronta anche in modo intelligente
una tematica molto attuale: il tema del
confronto tra persone che in fondo hanno tutto e sono ricche di sovrastrutture,
e gente semplice e ingenua che non
ha niente. Alla fine è Nadja, due volte
vittima e trattata come un oggetto da
chi diceva di volerla aiutare, quella per
cui facciamo il tifo e nel finale aperto
del film possiamo sperarla salva, anche
se il suo gesto vezzoso di mettersi il
lucidalabbra non ci fa ben sperare. Ma
in lei potrebbe celarsi chiunque. È facile
Tutti i film della stagione
aiutare una persona in difficoltà, ma fino
a che punto si è capaci di accoglierla
nella propria vita? Si descrive un’amarissima radiografia sociale che denuncia
uno dei mali peggiori del nostro tempo,
l’individualismo. L’intento non è probabilmente sottolineare l’ipocrisia della
sinistra neoborghese, ma il pessimo
andazzo di gran parte del ceto medio
italiano, tutto concentrato a conservare
una solidarietà di facciata effimera e
vana, indispensabile per conservare il
proprio status symbol e non certo mossa
da autentica generosità. Da una parte
i radical chic, abituati ad una vita di
agiatezza, eppure “di sinistra”, tra lotte e
contraddizioni sociali; dall’altra gli amici
di Susanna e Antonio, cafoni di destra,
volgari nei modi e quasi orgogliosi nel
volerlo continuamente ostentare. In
mezzo, la giovane e indifesa Nadja,
letteralmente finita dalla padella della
strada alla brace di questa famiglia solo
all’apparenza irreprensibile. Alla fine
anche loro la pagheranno, come tutti i
clienti. E come sempre accade, una volta
espulso il corpo estraneo, nel nucleo familiare tornerà tutto come prima, almeno
in apparenza. Un treno che sul finale dà
l’occasione per fuggire e rifarsi una vita
e una porta chiusa di chi ormai è già ad
un nuovo, calmo, inizio. Come a dire
rimane fuori tutto ciò che non è come
noi. Ciò che sembra invece zoppicare è
la sceneggiatura, un po’ approssimativa
e non priva di stereotipi. I personaggi,
più di ogni altra cosa, sono disegnati
con superficialità e lo spettatore non
riesce a inserirsi fino in fondo nella realtà
narrativa del film. A questo, poi, non
collaborano nemmeno gli interpreti che
si prestano in performance abbastanza
schematiche. Si salva, forse, solo un Elio
Germano, alla seconda collaborazione
con il regista, abbastanza convincente
nell’interpretazione di un trentenne odioso, viscido e viziato e Antonio Catania,
nel ruolo di un marito accondiscendente
e padre comprensivo. Nel cast anche
Monica Guerritore, istintiva e rigida,
Iaia Forte e Giorgio Gobbi nei panni
della coppia di amici, la bella Victoria
Larchenko e Myriam Catania, l’insopportabile fidanzata “pariolina”.
Veronica Barteri
VALUTAZIONI PASTORALI
Arianna – complesso-problematico /
dibattiti
Attesa (L’) – consigliabile-problematico
/ dibattiti
Bella gente (La) – n.c.
Calvario – complesso-problematico /
dibattiti
Città di carta – n.c.
2 giorni a New York – futile / grossolanità
È arrivata mia figlia – consigliabileproblematico / dibattiti
Ex Machina – n.c.
Fidanzata di mia sorella (La) – n.c.
Fuga in tacchi a spillo – consigliabile /
semplice
Giovani si diventa – consigliabileproblematico / dibattiti
Io e lei – complesso / superficialità
Lobster (The) – complesso-problematico
/ dibattiti
Love is in the Air – Turbolenze d’amore
– n.c.
Marguerite – consigliabile-problematico
/ dibattiti
Mission impossibile – Rouge Nation –
consigliabile / semplice
Much Loved – complesso-scabrosità /
dibattiti
Nemico invisibile (Il) – consigliabile /
problematico
Non essere cattivo – complesso-problematico / dibattiti
Padri e figlie – consigliabile / poetico
Partisan – n.c.
Per amor vostro – consigliabile-problematico / dibattiti
Pitch Perfect 2 – n.c.
45
Poli opposti – consigliabile / brillante
Professore per amore – n.c.
Ruth & Alex – L’amore cerca casa –
consigliabile / semplice
Salvation (The) – n.c.
Sangue del mio sangue – complessoproblematico / dibattiti
Sicario – n.c.
Spy – n.c.
Suburra – complesso / realistico
Taxi Teheran – consigliabile-problematico / dibattiti
Ted 2 – futile / grossolanità
Tomorrowland – Il mondo di domani –
consigliabile / poetico
Torneranno i prati – raccomandabileproblematico / dibattiti
Transformers 4 – L’era dell’estenzione
– consigliabile / semplice
Film Tutti i film della stagione
Mostra Nuovo Cinema, Pesaro 50+1
A cura di Flavio Vergerio
Dopo i lunghi periodi di direzione artistica di Adriano Aprà (10 anni) e di Giovanni Spagnoletti (15) la conduzione della
Mostra di Pesaro passa a Pedro Armocida,
a lungo collaboratore dello stesso Spagnoletti. Sembra che durante l’autunno e l’inverno le intenzioni del consiglio d’amministrazione della manifestazione presieduto
dal sindaco di Pesaro, il renziano Matteo
Ricci, fossero diverse, puntando su un personaggio d’immagine (un noto attore televisivo). Contro le ipotesi di un cambio di
rotta della Mostra, Armocida, sostenuto dal
comitato scientifico e da operatori culturali
locali, assicura invece continuità culturale
rispetto all’antico spirito fondativo di Pesaro, dedicato alla scoperta e valorizzazione del cinema estraneo ed estromesso dai
grandi circuiti commerciali e attento ai linguaggi innovativi e di “ricerca”. Il nuovo
direttore ha ristrutturato significativamente
la struttura del programma giornaliero, eliminando le proiezioni mattutine, sostituite
da tavole rotonde e incontri con i registi.
Nelle intenzioni del nuovo direttore il “+1”
che si aggiunge agli anni del cinquantenario della Mostra (1965-2015) sta a significare la ricerca di un nuovo futuro per il
cinema. Non solo e non tanto nuove frontiere dell’immagine, ma anche e soprattutto
nuovi “discorsi critici”.
Così durante la tavola rotonda sulle
nuove forme critiche sono stati visti, tra
l’altro, straordinari esempi di “video essay”
presentati da Chiara Grizzaffi, montaggio
per analogie e differenze di sequenze scaricate dall’infinita cineteca dal web (you-tube,
streaming).
Un’altra significativa tavola rotonda era
dedicata al futuro del nuovo cinema promosso e filtrato dai festival, che ha messo a nudo
metodi di selezione e programmazione di diverse manifestazioni, mettendo a confronto
le diverse strategie di politica culturale.
Una terza tavola rotonda era dedicata
al Pasolini pesarese, in occasione del cin-
quantenario della partecipazione del Poeta
alla prima edizione della mostra in cui il
grande PPP formulava la prima ipotesi,
destinata alla raccolta di saggi “Empirismo eretico”, del cinema di poesia e della
soggettiva libera indiretta. L’omaggio a
Pasolini era sostanziato dalla riproposta di
otto suoi capolavori, da Accattone (1961)
al suo terribile testamento profetico, Salò
(1975).
L’evento principale era dedicato agli
Esordi italiani degli anni ‘10 (2010-2015),
che offriva l’opportunità di “recuperare”
o rivedere (e ripensare) 17 opere prime di
un cinema che al di là di tutte le difficoltà
produttive e soprattutto distributive presenta una sorprendente vitalità e creatività,
malgrado tutti i mortiferi luoghi comuni
critici, frutto di disattenzione e di pregiudizio. Questa atteggiamento negativo della
critica dei quotidiani è una concausa del
“cinecidio” del cinema italiano, secondo
un neologismo coniato molti anni fa da
Lino Micciché. Durante la relativa tavola
rotonda è stato ricordato, ad esempio, che
nell’annata 2013-2014 su 90 film prodotti
sono usciti in sala solo 39. Non a caso il cinema italiano “giovane” è stato definito più
volte “invisibile”. La rassegna era accompagnata da un corposo volume che, oltre a
raccogliere alcuni saggi puntuti e stimolanti di Gianni Canova, Giona A. Nazzaro,
Federico Pontiggia e di molti altri, offre
una raccolta rivelatrice di interviste ai registi e un elenco completa delle opere del
periodo studiato. Segnaliamo che il Centro
Studi Cinentografici pubblica sin dal 2003
un volume annuale intitolato problematicamente “Saranno famosi?” e curato da Carlo
Tagliabue, che raccoglie le testimonianze
dei registi esordienti, analisi delle tendenze tematico-narrative e studio del mercato
distributivo.
Delle 17 opere della retrospettiva, difficilmente riconducibili a istanze narrativotematiche e/o scelte estetiche comuni mi
46
piace segnalare alcuni film che riescono a
coniugare un’apparente “realismo” documentaristico con una dimensione metafisica e addirittura “religiosa” delle vicende
narrate e dei personaggi. Ananke di Claudio
Romano narra di una coppia che per sfuggire a una terribile pandemia che sta estinguendo il genere umano vaga fra i monti,
si rifugia in una solitaria valle sperduta e
mette al mondo una nuova vita, nutrita da
una capra, cui la abbandonano. Alcuni segni
collocano la vicenda, scarnificata da tempi
lunghi, vuoti narrativi e assenza di dialoghi,
in una dimensione necessariamente simbolica. Ananke è al tempo stesso il nome e il
cuore della capra, e nella mitologia greca la
personificazione della potenza del destino.
La coppia fuggitiva rappresenta le figure di
Maria e Giuseppe, la casa abbandonata nei
boschi è una antica chiesa, ormai desacralizzata. Ma la coppia sfugge al proprio destino cristologico per proseguire la propria
fuga verso l’ignoto. Commenta l’autore nelle note di regia: “Soli, ignari e in balia degli
eventi, faranno i conti con l’ineluttabile (...)
Per sfuggire alla morte è sufficiente a sfuggire all’uomo?”.
Di grande rigore stilistico, dotato di
uno sguardo implacabile e penetrante, mi
è apparso anche un altro film “scoperto” in
ritardo a Pesaro, TIR di Alberto Fasulo. Il
film indaga sulla solitudine e sulla perdita
d’identità di un camionista croato, Branko,
perennemente in viaggio sul suo camion
attraverso le autostrade d’Europa. Branko
guadagna il triplo del suo vecchio stipendio
di insegnante, con l’illusione di dare una
vita più dignitosa alla propria famiglia, ma
comunica faticosamente con essa solo attraverso faticosi brandelli di telefonate. Le
necessità economiche mal si conciliano con
quelle dell’uomo.
Il cinema italiano di consumo si fonda
oggi, come noto, quasi unicamente sul genere della commedia, spesso esangue e impoverita degli antichi furori degli anni ’60.
Film Lodevoli allora almeno tre tentativi generosi, anche se forse furbescamente “costruiti” con una certa accondiscendenza alle
attese del pubblico. Scialla! di Francesco
Bruni descrive con tocchi di una certa verità
psico-sociologica la progressiva reciproca
comprensione e interazione fra un “docente
ripetitore” a domicilio e un alunno sciamannato, che si rivela essere il figlio occulto. I
primi della lista di Roan Johnson racconta
in modo beffardo e surreale le vicende tragicomiche di tre componenti del Movimento
Studentesco pisano, velleitari rivoluzionari,
che messi in agitazione (siamo nel giugno
1970) dalla notizia di un imminente colpo di
Stato fascista fuggono in Austria ove vengono sbattuti in carcere per espatrio clandestino e poi ignominiosamente rispediti a casa.
Di notevole vivacità e precisione narrativa
infine Smetto quando voglio di Sidney Sibilia che descrive la vicende grottesche di
un gruppo di ricercatori universitari, disoccupati o precari, che si inventano un nuova
droga non codificata dalla legge, con cui
creano una nuova rete di spacciatori, salvo
entrare in conflitto letale con le organizzazioni malavitose.
Lo spazio del “concorso” e del “fuori
concorso”, che é per i festival maggiori occasione di autocelebrazione e di “lancio” dei
film, per una rassegna filmica di cinema “altro” ovvero di ricerca rappresenta sempre
un problema di reperibilità di film altrimenti
vogliosi di maggiore visibilità mediatica,
pescati nelle pieghe dei programmi di Berlino o Locarno. Malgrado queste difficoltà,
si sono visti a Pesaro alcuni film interessanti per la loro strategia narrativa e per le
tematiche inconsuete. Il film premiato, Un
jeune poète dell’esordiente francese Damien
Manivel, descrive l’ossessione di una difficile ispirazione poetica di un adolescente
vagante per le strade assolate di Sète (forse non a caso la cittadina nella Camargue
ove Agnés Varda girò nel ‘54 il suo primo
lungometraggio, La pointe courte). Il protagonista sviluppa una confusa e slabbrata
meditazione sull’amore e la morte, sospesa
fra sconfitta esistenziale e pulsioni erotiche frustrate, volta al senso dell’assurdo e
dell’ironia. Il giovane cerca di affogare in
interminabili bevute la propria frustrazione
adolescenziale, ma forse troverà alla fine il
senso della propria ricerca. Film misterioso
e forse volutamente irrisolto, che trova il
proprio senso nell’inane percorso spaziale e nella flânerie disperata. Analogamente
dedicato alla rappresentazione della solitudine e dell’erranza era l’argentino La mujer
de los perros di Laura Citarella e Veronica
Tutti i film della stagione
Lliná, ritratto denso di implacabile realismo
di una donna emarginata vagante in una terra di nessuno alla periferia di Buenos Aires,
accompagnata da un muta di cani, unico suo
rapporto con il mondo ostile che la circonda.
Altro ritratto impietoso di una donna sola era
rappresentato da La madre del cordero dei
cileni Enrique Farias e Rosario Espinosa:
la cinquantenne Cristina vive miseramente
dedita alla cura della vecchia madre malata, rinunciando alla propria vita. Quando la
donna scopre per mezzo dell’incontro con
un’amica libera e disinibita, decide di uccidere la madre… Il film memorabile in virtù
della sua atmosfera cupa e claustrofobica.
Solo apparentemente più ottimista e solare
Petting zoo della statunitense Micah Magee.
Il film racconta in effetti con un retrogusto
amarognolo la vicenda paradigmatica di
una diciassettenne che nella sua soffocante
città di provincia nel Texas sogna una vita
diversa dopo aver vinto una borsa di studio
per accedere al college. Ma una gravidanza
inaspettata sembra cambiarle la vita. Sotto
le pressioni dei genitori la ragazza decide di
non abortire, va ad abitare dalla nonna, accetta un impiego e inizia un nuovo rapporto
sentimentale. Quando inopinatamente perde
il bambino riprende con amarezza e maggiore consapevolezza gli studi universitari:
l’adolescenza è finita, ora inizia il duro percorso della vita. La condizione della donna
all’interno di una inedita classe media iraniana è il tema centrale di un ennesimo atto
d’accusa contro l’ipocrisia del regime, che
dietro le parole d’ordine del regime integralista nasconde il suo gretto materialismo,
sviluppato dallo sceneggiatore Hamed Rajabi, alla sua prima regia con il drammatico
A Minor Leap Down (lett. Un piccolo salta
giù). La trentenne Nahal, incinta di quattro
mesi, scopre di avere in grembo il feto morto e viene convinta dalla famiglia borghese
al raschiamento. La donna, sottoposta da
tempo a un trattamento antidepressivo, si
ribella alla mancanza di empatia della famiglia e inizia tutta un serie di disturbanti atti
anarchici, rifiutando le cure farmacologiche.
Il regista illustra così, a fronte dell’impossibilità di atti di ribellione socio-politici, la
necessità di singoli atti di denuncia nella vita
privata.
Fra gli “eventi speciali”, accanto alla
riproposta della copia restaurata dell’epocale Lo squalo di Steven Spielberg
(1975), esempio perfetto di combinazione
fra esigenze spettacolari e abilità di creazione narrativa in vitro del suspense e della
paura, attendevamo con curiosità di recuperare il redivivo Krzysztof Zanussi con
47
la sua impegnativa coproduzione Polonia/
Russia/Italia, Corpo estraneo. Il grande
regista polacco ha abbandonato da tempo
le modalità narrative della sospensione del
tempo e l’analisi dell’ambivalenza della
condizione umana nei suoi film d’esordio
(La struttura del cristallo, Illuminazione),
per percorrere piuttosto lo sviluppo di teoremi dimostrativi troppo netti e prevedibili.
Il film racconta la storia psico-teologica di
una coppia di profonda fede cattolica (lei
polacca, lui italiano di Ancona) che si trova
a confrontarsi con il disfacimento morale
della Polonia, passata violentemente dalla
dittatura comunista a quella del capitalismo
delle multinazionali. Mentre la ragazza si
chiude in convento, sorda alle invocazioni
d’amore del fidanzato, l’uomo si confronta
con il cinismo di una dirigente cinica adusa a oscure manovre di potere, degna erede
del regime comunista.
Tayfun Pirselimoğlu
La bella retrospettiva dedicata al turco Tayfun Pirsemoğlu ha contribuito alla
maggiore conoscenza di un cinema consacrato a Cannes 2014 con Il regno d’inverno
di Nuri Bilge Ceylan, altrimenti invisibile
sui nostri schermi. I film di Pirsemoğlu si
sono imposti alla nostra attenzione per la
straordinaria coerenza narrativa e per il rigore di una ricerca estetica che dall’apparente realismo approda a una coinvolgente
dimensione simbolica.
Il suo film d’esordio nel lungometraggio, Innowhereland (2002), sviluppa
nella dimensione del vuoto esistenziale la
denuncia politica, in un momento storico
in cui, nel passaggio dal regime militare
a quello “moderato” islamico la polizia
faceva sparire illegalmente i dissidenti.
Si tratta dell’inane ricerca di una madre,
moglie di un detenuto politico, del figlio
scomparso. La donna si rifiuta di riconoscere il cadavere di un giovane, identificato invece dalla fidanzata, e continua la
sua peregrinazione fra obitori e stazioni di
polizia, sino a ipotizzare la partecipazione
del figlio alla lotta armata, perdendosi in
una lontana regione desertica. Innervato
di ambigue immagini oniriche, il film riesce a coniugare la dimensione di una solitudine ossessiva con quella della testimonianza e dell’impegno ad opporsi al potere
occulto della polizia.
A partire dal film successivo Pirsemoğlu
sembra abbandonare la superficie “politica”
dei suoi personaggi per approfondire la profondità angosciosa della loro condizione
umana, fatta di solitudine e vuoto di senso.
Il protagonista di Riza, ad esempio, è un
Film camionista bloccato in uno squallido albergo di provincia mescolato ad altri poveretti
costretti a una vita miserevole, in attesa del
nulla. Nel racconto ispirato a Dostoevskij,
l’uomo commette un delitto abbietto per procurarsi del denaro, salvo ipotizzare una problematica salvezza con la vecchia fidanzata.
In questo film si manifestano già compiutamente i materiali narrativi e gli scenari simbolici che troveranno ulteriore sviluppo nei
film successivi. I personaggi di Pirsemoğlu
vivono nella vuota attesa di una salvezza impossibile: il danaro, una donna, un figlio, un
lavoro dignitoso. Consumano inutilmente la
loro giornate fumando incessantemente, vedono passivamente la tv, vivono da soli in
anonimi appartamenti o squallidi alberghetti, frequentano assiduamente bar e barberie
(ma hanno sempre la barba lunga). Si tratta
in tutta evidenza di riempire esistenze vuote
con riti di passaggio verso una diversa, più
gratificante, ma impossibile identità. E’ il
caso del film più compiuto sul piano progettuale, Hair (2010), il ritratto senza redenzione un uomo di mezza età, artigiano e commerciante di parrucche, sognatore di musiche e paradisi brasiliani. L’uomo è malato di
cancro, perde i capelli a causa della chemio
ed è in preda a una cupa depressione. Si
innamora timidamente di una donna che gli
vende i propri bellissimi capelli e comincia
a pedinarla, scoprendo che è sposata con un
volgare e scostante addetto all’obitorio, che
la tradisce. Fattosi angelo vendicatore, uccide il marito e cerca disperatamente di sostituirlo nel rapporto coniugale. Ma il morto
inopinatamente riappare e impedisce con la
propria presenza il rapporto stesso. L’esistenza dei personaggi di Pirsemoğlu, priva
di un orizzonte di valori e di dignità sociale,
è destinata alla ripetizione e alla circolarità.
SGUARDI FEMMINILI RUSSI
La Mostra di Pesaro presenta da alcuni
anni una sezione dedicata a giovani registe
Tutti i film della stagione
russe esordienti e spesso appena laureate al
famoso Vgik o ad altre scuole e accademie
di cinema e d’arte. ASnche quest’anno la
piccola rassegna di soli quattro film ci ha
permesso di fare alcune ipotesi sulle nuove
tendenze e attenzioni delle giovani cineaste.
Uno solo dei quattro film (La fine di un’epoca, di Sof’ja Cerniševa) sviluppa una
tematica direttamente politica. Il mediometraggio, dotato di una cifra narrativa vivace
e a tratti surreale, colloca la vicenda di emarginazione e di lotta contro un regime burocratico asfissiante, nel 1952, negli ultimi
mesi dello stalinismo (il dittatore muore il 5
marzo1953). La protagonista è una giovane
dottoressa, Ira, che a causa delle sue origini
semite, malgrado le sue qualità professionali, viene progressivamente esclusa dal lavoro. I colleghi e il caporeparto ospedaliero le
dichiarano una solidarietà pelosa e ipocrita,
abbandonandola al suo destino. L’unica che
la aiuta a sopravvivere e ad affermare la propria dignità è una piccola delinquente anticonformista e però dotata di molta energia,
con cui è obbligata a convivere nel piccolo
appartamento comune. Di fronte all’atteggiamento dolente e passivo di Ira, questa le
insegna e lottare e a far fronte al muro di
gomma del regime, opponendovi la propria
ironia Quando Stalin muore, esplode la gioia incontenibile delle due donne e della popolazione che era stata vessata dal regime.
Ma il cambiamento repentino e surreale di
atmosfera sembra voler dire, nelle intenzioni
della regista, che tutto è destinato a rimanere
identico, nell’infinito gioco di adattamento
della società russa ai cambiamenti politici.
Arrivederci mamma di Svetlana Proskurina, l’unica veterana del gruppo, racconta
invece l’implosione di una famiglia apparentemente felice, costituita da una giovane
coppia del ceto medio, con un figlio amato.
La donna inopinatamente si innamora di un
altro uomo e malgrado il perdono del marito
e il rinnovato affetto del figlio, abbandona la
famiglia verso un destino incerto. La lunga
e affermata professionalità di sceneggiatri-
48
ce della Proskurina ( fra l’altro ha girato un
documentario sul cinema di Sokurov) si manifesta nella sottile descrizione dei rapporti (espressi e al tempo stesso occulti) fra i
personaggi, che evidenziano la difficoltà di
conciliare sogni e desideri all’interno di un
formale rapporto famigliare.
La ricerca della propria identità e della
figura del padre perduto è il tema centrale
di Dammi un nome di Nigina Sajfullaeva.
Due ragazze, teen-agers belle e disinibite, si
recano dalla città a un villaggio marino in
Crimea alla ricerca del padre di una di esse,
che non ha mai conosciuto. Il desiderio di
trovare il padre si mescola però al timore di
rimanerne delusa e Olja scambia la propria
identità con quella della propria amica Saša.
Ma quello che all’inizio poteva apparire uno
scherzo, si complica quando il padre, uno
sbandato che vive di espedienti, coinvolge
le due ragazze in traffici illeciti, assieme alla
sua temporanea compagna. Quando poi interviene la polizia, Olja rivela all’uomo la
propria vera identità all’uomo. Questi rimane incerto e perplesso. La figlia si rende
conto che un’agnizione è impossibile e vi
rinuncia. Il film è così segnato da una sorta
di ambiguità identitaria. Forse, sembra dirci
la regista, la stagione dei “padri” è finita e
le nuove generazioni russe sono chiamate
a costruirsi una propria autonomia esistenziale.
Infine un’amara riflessione sul rapporto
fra vite ormai consumate e la morte è apparso 21 giorni di Tamara Dondurej, costruito
fra documentario e finzione. Ventun giorni
è il crudele limite massimo di permanenza
in case di riposo di malati terminali, fissato
dallo stato. Secondo la nota filmografica del
catalogo gli spettatori “sono accompagnati
in un viaggio attraverso spazi fisici e mentali, fra corsie, giardini e ricordi”. I due protagonisti raccontando la propria storia entrano
in una relazione profonda con la morte, che
“diviene parte della vita”.
Flavio Vergerio
CALVARIO - di John Michael McDonagh
IO E LEI - di Maria Sole Tognazzi
Luglio-Agosto 2015
136
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