136 - Centro Studi Cinematografici
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136 - Centro Studi Cinematografici
Luglio-Agosto 2015 136 Anno XXI (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma PER AMOR VOSTRO SANGUE DEL MIO SANGUE di Giuseppe M. Gaudino di Marco Bellocchio L’ATTESA di Piero Messina NON ESSERE CATTIVO di Claudio Caligari TORNERANNO I PRATI - di Ermanno Olmi TAXI TEHERAN di Jafar Panahi Euro 5,00 CALVARIO - di John Michael McDonagh IO E LEI - di Maria Sole Tognazzi SOMMARIO n. 136 Anno XXI (nuova serie) n. 136 luglio-agosto 2015 Arianna......................................................................................................... 43 Bimestrale di cultura cinematografica Attesa (L’) .................................................................................................... 35 Edito dal Centro Studi Cinematografici Bella gente (La) ........................................................................................... 45 Calvario ....................................................................................................... 27 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Città di carta ................................................................................................ 10 2 giorni a New York ................................................................................. 7 È arrivata mia figlia ...................................................................................... 23 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Ex Machina .................................................................................................. 42 Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Giovani si diventa........................................................................................ 6 Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Segreteria: Cesare Frioni Fidanzata di mia sorella (La) ....................................................................... 36 Fuga in tacchi a spillo .................................................................................. 14 Io e lei .......................................................................................................... 31 Lobster (The) ............................................................................................... 37 Love is in the Air – Turbolenze d’amore ...................................................... 40 Marguerite ................................................................................................... 33 Mission impossibile – Rouge Nation ........................................................... 16 Much Loved ................................................................................................. 11 Redazione: Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Nemico invisibile (Il) .................................................................................... 34 Non essere cattivo ....................................................................................... 39 Padri e figlie ................................................................................................. 20 Hanno collaborato a questo numero: Giulia Angelucci Veronica Barteri Elena Bartoni Silvio Grasselli Fabrizio Moresco Giorgio Federico Mosco Flavio Vergerio Partisan ....................................................................................................... 22 Per amor vostro .......................................................................................... 15 Pitch Perfect 2 ............................................................................................. 30 Poli opposti .................................................................................................. 9 Professore per amore................................................................................... 24 Ruth & Alex – L’amore cerca casa .............................................................. 41 Salvation (The) ............................................................................................ 26 Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Sangue del mio sangue ............................................................................... 12 Sicario ......................................................................................................... 18 Spy .............................................................................................................. 29 Suburra ........................................................................................................ 2 Taxi Teheran ............................................................................................... 25 Ted 2 ........................................................................................................... 19 Tomorrowland – Il mondo di domani ........................................................... 3 Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Torneranno i prati ........................................................................................ 8 Transformers 4 – L’era dell’estenzione ....................................................... 4 Tutto Festival – Pesaro 2015 .................................................................... 46 Film Tutti i film della stagione SUBURRA Francia, Italia, 2015 Regia: Stefano Sollima Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz per Cattleya, La Chauve Souris con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 14-10-2015; Milano 14-10-2015) Soggetto: dal romanzo “Suburra” di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Giancarlo De Cataldo, Carlo Bonini Direttore della fotografia: Paolo Carnera Montaggio: Patrizio Marone Scenografia: Paki Meduri Costumi: Veronica Fragola Effetti: Stefano Marinoni Interpreti: Pierfrancesco Favino (Filippo Malgradi), Elio R oma, Novembre 2011. La politica romana attraverso le Istituzioni della Repubblica, assoggettate ai voleri del Governo, sta per mandare in porto il “water-front”, la più grande speculazione edilizia di tutti i tempi: occorre però che nella legge sia inserito l’emendamento riguardante il litorale di Ostia che possa permettere alla cittadina laziale di trasformarsi in una specie di Las Vegas, piena di case da gioco, ristoranti, luci, colori e, naturalmente, bordelli e centri di spaccio. Per ottenere tutto questo serve l’opera di Filippo Malgradi, politico corrotto, appartenente in Parlamento al partito di maggioranza, da cui Samurai, potente capo della criminalità romana e legato a Germano (Sebastiano), Claudio Amendola (Samurai), Alessandro Borghi (Numero 8), Greta Scarano (Viola), Giulia Elettra Gorietti (Sabrina), Antonello Fassari (Padre di Sebastiano), Jean-Hugues Anglade (Cardinal Berchet), Adamo Dionisi (Manfredi Anacleti), Giacomo Ferrara (Spadino Anacleti), Alessandro Bernardini (Boiardo), Nazzareno Bomba (Bacarozzo), Raffaele D’Introno (Cardine), Alex Di Giorgio (Pepe), Davide Di Rocco (Fieno), Giulia Maria Fiume (Segretaria Malgradi), Antonio Giuliani (Presentatore Dubai), Ahmed Hafiene (Faisal), Svetlana Kevral (Rumena), Yulia Kolomiets (Jelena), Simone Liberati (Mirko), Franca Maresa (Madre Samurai), Marco Zangardi (On. Rognani), Andrea Pennacchi (On. Merci), Pascal Zullino (On. Destini) Durata: 130’ filo doppio con le famiglie mafiose del sud, pretende un’azione veloce prima che cada il Governo, come è ormai quasi certo, di lì a pochi giorni. Samurai sa di andare sul sicuro perchè Malgradi è ricattabilissimo per i continui lati oscuri della sua vita privata e professionale per i quali ha bisogno, a sua volta, dell’aiuto proprio di Samurai. L’ultima combinata da Malgradi è davvero grossa: una nottata di sesso e coca organizzata da Sabrina, escort di professione, che ha fatto intervenire anche una ragazza minorenne per un giochino a tre è finita male: la ragazza è morta per overdose, Malgradi ha preferito, ovviamente, sparire dalla circolazione e Sabrina ha chiamato un suo amico, Spadino, per 2 ripulire la scena ed eliminare il corpo della minore in un bacino abbandonato di acqua e fango. Da qui parte l’effetto domino che, torre dopo torre, si abbatte su tutti i personaggi della vicenda. Succede infatti che Spadino, forte per quello che sa, si presenti direttamente il giorno dopo nello studio di Malgradi per ricavarne denaro, favori, insomma per realizzare presto e bene i dettagli del ricatto. Malgradi prende tempo e si rivolge a un amico suo pari per sitemare la vicenda: questi passa la cosa a “Numero 8” capo di una potente famiglia che gestisce il litorale che in breve tempo incontra Spadino e lo sgozza in mezzo alla strada. Nessuno sa, al momento, che il morto è il fratello di Manfredi Anacleti, capoclan di una violenta famiglia di zingari che s’ingrassano sulla capitale con lo strozzinaggio, le estorsioni, i ricatti. Lo zingaro scatena la rappresaglia avvalendosi dei servizi e delle soffiate di Sebastiano, uno squallido personaggio che sotto l’attività di Pr fa, in pratica, il ruffiano, il manutengolo dei Vip della città. Sebastiano, costretto a onorare i debiti del padre imprenditore suicida per essere rimasto incastrato nell’usura degli Anacleti, è completamente nelle mani degli zingari. Sabrina (amica di Sebastiano) è portata via e di lei non si sa che fine faccia; Manfredi tenta di far uccidere “Numero 8” che riesce però a fuggire insieme alla sua donna, Viola, una tossica da lui amatissima; è proprio lei a uccidere a revolverate gli uomini di Manfredi in un centro estetico; quest’ultimo pretende la testa di entrambi e di entrare con una percentuale Film negli affari della costa laziale; Samurai vuole che le beghe personali si chiudano per il momento in attesa che l’operazione edilizia abbia il via libera ufficiale. Una volta che questa ha avuto l’imprimatur parlamentare Samurai uccide “Numero 8” e i suoi uomini; è proprio Viola, a sua volta, ad ammazzarlo nel cortile di casa della madre; Manfredi, abbattuto a bastonate da Sebastiano è da lui stesso gettato in pasto ai cani. Cade il Governo; i politici corrotti ricevono un avviso dalla magistratura. Il Papa decide di dimettersi. on è un film, è un incubo. D’altra parte non potrebbe non essere considerato tale il periodo che precedette di pochi giorni la caduta del governo Berlusconi (mai nominato durante il film) il 12 Novembre 2011: un Paese allo sbando, sociale, economico, politico, morale; le istituzioni paralizzate o, quantomeno, occupate da uomini corrotti e dediti al “proprio particulare”; le attività economiche inquinate dalla corruzione e soffocate dall’usura; la speranza di un futuro per i giovani ridotta a zero; la fiducia nella possibile ricostruzione di un Paese “normale” ugualmente ridotta a zero. Questo incubo è l’impalcatura del degrado ambientale che accoglie la storia, anche questa da incubo che il regista Sollima e gli sceneggiatori Rulli e Petraglia hanno tratto dal romanzo omonimo di De cataldo e Bonini, anch’essi coautori della sceneggiatura. Abbiamo usato la parola incubo perchè la storia non racconta l’attività di un’organizzazione di malavita (come nel caso di “Romanzo Criminale”, sempre di De Cataldo) che con i proventi del traffico di droga e delle rapine intendeva dominare N Tutti i film della stagione nella capitale sfruttandone ogni sentiero e ogni mezzo per fare denaro; no, qui è ben più tragica la cosa in quanto si tratta della definitiva sostituzione di un vivere civile con un altro tipo di vita che ha nei suoi cardini la sopraffazione e la devastazione di interi ambienti, territori e regioni con attività criminose; si tratta della totale consacrazione dell’uso della cocaina e della violenza come unici mezzi di relazione tra esseri una volta considerati umani. Stefano Sollima racconta tutto questo con un senso del cinema straordinario: le immagini costruite insieme al direttore della fotografia Paolo Carnera, in una collaborazione collaudata che parte da lontano, sono una continua lezione su come si usa la macchina da presa; la forza delle atmosfere, la densità cromatica, il senso del ritmo narrativo, l’acuta e incalzante padronanza delle scene e delle inquadrature arricchiscono questo film di tutto quanto dovrebbe appartenere, sempre, a un’opera cinematografica e proiettano i loro autori verso un firmamento opulento di mezzi, di storie, di fantasia, di attori qual’è il cinema americano. A sostenere sullo schermo una simile grandezza abbiamo un uguale livello d’interpreti: Pier Francesco Favino impreziosisce la sua solidità d’attore con la padronanza ancora più approfondita di espressioni, di sguardi, di gesti e movimenti che accompagnano il politico Malgradi nella sua discesa all’inferno. Claudio Amendola conferisce al personaggio di Samurai la vera e propria connotazione dell’orrore: la sua compostezza, il suo sguardo fermo e lucido, la calma consapevole della propria depravazione e della propria bassezza morale costruiscono qualcosa che dà i brividi. Un intenso e concentrato Elio Germano risolve con intelligenza la parte più ingrata del film: untuoso servo dei potenti per tutte le stagioni, imbruttito e ingoffato negli squallidi vestiti che lo involgariscono e lo degradano, riscatta con una violenza rivoltante e compiaciuta una intera esistenza di inettitudine, condotta senza spina dorsale. L’amore per il cinema, questa specie di senso intimo dell’immagine che appartiene ai cineasti veri, si manifesta qui in tanti di quei modi che è impossibile raccontarli nella loro pienezza e autenticità. Pensiamo solo al colpo di genio che ha spinto gli autori nello scegliere Adamo Dionisi, un passato carcerario per armi e droga, violento esponente della tifoseria calcistica della capitale, come capo clan degli Anacleti e quanto sia stato geniale l’ambientazione di volgare, cialtrona e pacchiana paccottiglia che fa da scenografia al loro quartier generale. Poi la pioggia che si abbatte sulla città, inarrestabile, persecutoria, sempre più violenta, quasi un personaggio collaterale ma imprescindibile della storia, sempre più padrona di strade e cortili fino a tracimare dai tombini e occupare in fango e sangue la fine dei protagonisti; fino a Samurai, finito dai colpi di pistola e immerso nel liquame che lo sommerge e lo mescola nel renderlo esso stesso dimensione di quel selciato sconnesso, di quelle fogne allagate. Ancora geniale l’idea di far anticipare temporalmente le dimissioni del Papa, come se questi, non solo sopraffatto dall’impossibilità di gestire e risolvere gli immani problemi della Chiesa, fosse a conoscenza e ne risultasse atterrito, dell’occupazione demoniaca che si stava dilatando sulla città. Un incubo davvero ma straordinario. Fabrizio Moresco TOMORROWLAND – IL MONDO DI DOMANI (Tomorrowland) Stati Uniti, 2015 Regia: Brad Bird Produzione: Damon Lindelof, Brad Bird, Jeffrey Chernov per Walt Disney Pictures Distribuzione: The Walt Disney Company Prima: (Roma 21-5-2015; Milano 21-5-2015) Soggetto: Damon Lindlof, Jeff Jensen, Brad Bird Sceneggiatura: Damon Lindlof, Brad Bird Direttore della fotografia: Claudio Miranda Montaggio: Walter Murch, Craig Wood Musiche: Michael Giacchino Scenografia: Scott Chambliss Costumi: Jeffrey Kurland Effetti: Industrial Light & Magic Interpreti: George Clooney (Frank Walker), Britt Robertson (Casey Newton), Hugh Laurie (David Nix), Raffey Cassidy (Athena), Tim McGraw (Padre di Casey), Kathryn Hahn (Ursula), Keegan-Michael Key (Hugo), Thomas Robinson (Frank Walker bambino), Judy Greer (Madre), Lochlyn Munro (Zio Anthony), Pierce Gagnon (Nate), Chris Bauer (Pa), Shiloh Nelson (Casey Newton bambina), Monique Ganderton (Dave Clark), Matthew Kevin Anderson (Harold), Jedidiah Goodacre (Buddy), Lindsey Elizabeth (Alice), Matthew MacCaull (Dave Clark), Madison Simms (Clarissa), Jason Bell (Dave Clark), Yusuf A. Ahmed (Dexter), Marcus Rosner (Handsome Harry), Eddie Perez (Dick Clark), Darien Provost (Mikey), Fraser Corbett (Jensen) Durata: 130’ 3 Film C asey Newton è una ragazza talentuosa, figlia di un ingegnere aerospaziale e membro della Nasa a Cape Canaveral. Lei vorrebbe far saltare in aria la rampa di lancio per gli Space Shuttle per non far perdere il lavoro al papà. Una sera, però, viene colta in flagrante dalla polizia, viene tenuta in fermo per qualche ora e quando le vengono ridati i suoi oggetti personali che le erano stati sequestrati trova una spilla misteriosa. La stessa spilla che aveva ricevuto Frank Walker, piccolo inventore che aveva partecipato all’Esposizione mondiale di New York del 1964 per presentare, senza successo, una sua invenzione, il prototipo di un jet pack. Entrambi sono stati reclutati da Athena, un robot dalle sembianze di una bambina, per entrare a far parte di Tomorrowland, una dimensione parallela costruita a dimensione dei più grandi geni e inventori di ogni tempo per rendere il mondo migliore. Casey conosce Frank quando ormai adulto è diventato uno scienziato disilluso ed è stato bandito da Tomorrowland.. I due diventano insieme ricercati e fuggitivi e alle loro calcagna si mettono degli auto audio-animatroni. La fine del mondo, prevista di lì a poche settimane, è indotta - scoprono i due protagonisti- da un ripetitore (chiamato monitor costruito da Frank) che mostra all’umanità, sebbene inconsciamente, come sarà il futuro, causando una terribile profezia che si autoavvera. Con un sistema di trasporto istantaneo costruito da Walker nella sua abitazione, i tre giungono a Parigi. Qui, attraverso un razzo dentro la torre Eiffel Tutti i film della stagione Athena, Frank e Casey riescono a giungere all’ormai desolata Tomorrowland (che non era più possibile raggiungere usando la spilletta), dove incontrano il governatore David Nix, che dà ormai per spacciata l’umanità. I tre combattono contro Nix, Athena si sacrifica per il bene dei suoi prescelti (anche perché nel tempo aveva nutrito un certo sentimento di amicizia per Frank) e muore. Così Frank e Casey riescono a distruggere il ripetitore e a dar nuova speranza e vita a Tomorrowland e a tutta l’umanità. maggio all’utopia disneyana della Experimental Prototype C o m m u n i ty o f T o m o r r o w (ridimensionata, dopo la scomparsa di Walt, nell’Epcot Center di Disney World), questo Teen movie targato Brad Bird è una chiara metafora di speranza su quello che sta accadendo al nostro pianeta, alla nostra indifferenza nei confronti di quello che sarà il suo triste destino se non interveniamo. Per capire cosa sia Tomorrowland, basta pensare a un mondo riservato solo a grandi menti, ai geni in cui vengano costruite tutte le loro invenzioni che diverranno parte di quel mondo. Nella prima parte del film, le visioni che Casey ha di Tomorrowland, che ricordano l’ambientazione di Blade Runner, non sono altro che trovate pubblicitarie. A proposito di questo il film ha qua e là qualche product placement tra Coca Cola, i biscotti Oreo e altri…Così tra qualche rimando a Starwars e Men in black il film poggia le basi su una nuova indagine, molto simile all’idea alla base di Interstellar, sui diversi piani spazio tem- O porali. Gli sbalzi però sono anche di tipo narrativo e questo per via di una sceneggiatura troppo ricca di dettagli scientifici e troppo cervellotici per gli adolescenti. Alcuni punti nella sceneggiatura scritta da Damon Lindelof, lo stesso sceneggiatore di Lost, appaiono confusi anche se nel complesso l’idea alla base risulta piuttosto originale. Ad esempio la caccia all’uomo degli auto audio-animatroni dura poco e poteva creare più suspence. La colonna sonora del film viene curata da Michael Giacchino, già collaboratore di Damon Lindelof e Brad Bird in passato. Le interpretazioni dei protagonisti sono discrete, ma il ruolo più sfizioso è quello riservato a Hugh Laurie, il famoso Doctor House nei panni di David Nix, governatore di Tomorrowland. I troppi effetti speciali (come, ad esempio, la scena del razzo all’interno della Torre Eiffel) fanno perdere il valore importante del film, sulla responsabilità e sulla cura che dovremmo riservare al nostro mondo. Noi, come i protagonisti pensano che il mondo sia spacciato per via di un monitor, facciamo lo stesso dando la colpa della distruzione del nostro pianeta sempre a cause esterne piuttosto che essere autocritici: possiamo essere anche noi, solo con più volontà, artefici di un futuro più roseo. Per questo, anche se di base è, passatemi il termine, un’ “americanata” dai grandi effetti e dai grandi valori da dover insegnare, Tomorrowland lancia un messaggio importante sulla speranza, sull’essere sognatori e sul destino del nostro pianeta. Giulia Angelucci TRANSFORMERS 4 – L’ERA DELL’ESTINZIONE (Transformers: Age of Extinction Stati Uniti, 2014 Regia: Michael Bay Produzione: Paramount Pictures Distribuzione: Universal Pictures International Prima: (Roma 16-7-2014; Milano 16-7-2014) Soggetto: basato sui “Transformers” Action Figures della Hasbro Sceneggiatura: Ehren Kruger Direttore della fotografia: Amir Mokri Montaggio: William Goldenberg, Roger Barton, Paul Rubell Musiche: Steve Jablonsky Scenografia: Jeffrey Beecroft Costumi: Marie-Sylvie Deveau Effetti: Industrial Light & Magic Interpreti: Mark Wahlberg (Cade Yeager), Stanley Tucci (Joshua Joyce), Kelsey Grammer (Harold Attinger), Nicola Peltz (Tessa Yeager), Jack Reynor (Shane Dyson), Li Bingbing (Su Yueming), T.J. Miller (Lucas Flannery), Sophia Myles (Darcy), Titus Welliver (Savoy), Chanel Celaya (Cate), Teresa Daley (Loli), James Bachman (Gill Wembley), Thomas Lennon (Capo dello staff), Charles Parnell (Direttore della CIA), Erika Fong (Analista della CIA), Mike Collins (Analista della CIA), Cleo King (Agente immobiliare), Calvin Wimmer (Cliente dell’agente immobiliare), Richard Gallion (Operatore Air Force), Nick Horst (Tecnico Air Force) Durata: 165’ 4 Film L a geologa Darcy durante una missione in Antartide scopre uno strano fossile di dinosauro fatto di metallo. Dopo cinque anni dalla battaglia di Chicago tra Autobot e Decepticon, la CIA con nuove e potenti armi distrugge alcuni dei Transformers ancora sulla Terra. Intanto in Texas l’inventore Cade Yeager, insieme al suo amico Lucas, compra un vecchio camion per venderne i pezzi e con il ricavato mandare sua figlia Tessa al college e pagare i numerosi debiti. Cade scopre ben presto che il camion è Optimus Prime ferito e che, seppur spaventato, decide di aiutarlo. Nel frattempo un’unità della CIA guidata dall’ agente Harold Attinger è stata incaricata di cacciare i restanti Transformers in accordo segreto con il cacciatore di taglie Lockdown (inviato dai Creatori) che è in cerca di Prime. Dopo aver individuato Optimus in Texas, l’unità della CIA minaccia Cade, Tessa e Lucas per estorcere informazioni su dove si nasconda Optimus. Egli però, uscendo dal nascondiglio, il cappannone di Cade, consente all’inventore e alla sua famiglia di fuggire. Con l’aiuto di Shane Dyson, il fidanzato segreto di Tessa, questi riescono a mettersi in salvo tranne Lucas che viene ucciso da una granata di Lockdown. Optimus raduna gli ultimi Autobot rimasti: Bumblebee, Hound, Drift e Crosshairs e intanto Cade viene a sapere che in questa caccia a Prime è coinvolta una società denominata KSI; così decidono di infiltrarsi nella sede centrale. Nel frattempo, Joshua Joyce, il capo della KSI, mostra a Darcy (l’assistente geologa) i progressi col “Transformio”, un metallo molecolarmente instabile che muta sotto programmazione in qualunque oggetto meccanico. Egli ha imprigionato l’Autobot Brains e lo ha utilizzato per costruirne dei nuovi come Galvatron. Cade e gli altri assaltano la struttura liberando Brains e distruggendo parte dell’azienda. Joyce li ferma e spiega che gli esseri umani non hanno più bisogno della protezione degli Autobot; loro hanno il controllo. Attinger costringe così Joyce ad attivare Galvatron e l’altro decepticon Stinger per inseguire gli Autobot e distruggerli. Galvatron va fuori controllo e si batte con Optimus prima che questo venga colpito da Lockdown che lo cattura e lo trasporta nella sua astronave portando con sé per sbaglio anche Tessa. Tutti i film della stagione Lockdown spiega che lavora per conto dei Creatori, che vogliono Optimus indietro e come d’accordo dà ad Attinger un “Seme” (che può trasformare qualsiasi materiale terrestre in Transformio) in cambio di Optimus. Cade e Shane salvano Tessa e con l’aiuto di Bumblebee riescono a fuggire dalla nave prigione mentre Hound e Drift recuperano Optimus. Joyce intanto si ritira a Hong Kong con Darcy e la sua socia in affari Su Yueming per scappare da Attinger della CIA. A Pechino, Galvatron si attiva diventando di nuovo Megatron, dando vita a droni prototipo e facendoli diventare Decepticon al suo comando. Gli Autobot cominciano a combattere mentre gli umani cercano di mettere in salvo il pianeta nascondendo il Seme. Optimus per vincere la guerra libera i Dinobot e con il loro aiuto distrugge l’esercito di Galvatron. Lockdown intanto ritorna sulla terra e si trova a combattere contro Optimus. Cade cerca di aiutarlo, ma viene raggiunto da Attinger che tenta di ucciderlo; successivamente però, vedendo Cade in pericolo, Optimus uccide Attinger, permettendo a Lockdown di prendere il sopravvento e colpire Optimus. Cade e Bumblebee distraggono Lockdown mentre Tessa e Shane liberano Optimus che prima uccide Lockdown e poi fa esplodere una granata per distruggere gli ultimi Decepticons rimasti. Ritiratosi, Galvatron, promette di rincontrare Optimus per una nuova battaglia. Alla fine Prime, dopo aver lasciato liberi i Dinobot, vola nello spazio con il Seme per nasconderlo e non farlo usare impropriamente. d eccoci giunti al quarto episodio dei giocattoloni trasformabili della Hasbro, che piace poco ai critici ma molto al pubblico: con un guadagno di oltre 200 milioni di dollari, dà soddisfazione esclusivamente dal punto di vista tecnico. Le riprese sono state effettuate con le nuove telecamere digitali IMAX 3D con un budget complessivo di 210 milioni di dollari. Rispetto agli altri episodi viene congedato Shia Labeouf che viene sostituito da Mark Wahlberg. La regia di Michael Bay insieme a Steven Spielberg rimane fissa nel suo schema che si ripete ciclicamente: robot, guerre e grandi effetti speciali (anche di più rispetto ai film precedenti). La colonna sonora composta da Steve Jablonsky, E 5 con l’aiuto di Hans Zimmer e della Rock Band Imagine Dragons accompagna le carrellate dal basso tipiche del regista che vanno da Chicago al Polo fino ad arrivare a Hong Kong. Le riprese sono state girate infatti nella Monument Valley, nello Utah; per poi proseguire a Detroit in Michigan, a Chicago in Illinois, e in Cina ad Hong Kong. Il regista ha voluto che alcune scene si svolgessero sulle antiche navi come Columbia e la Ste. Clair sull’isola Bois Blanc in Ontario; bellissime le sequenze sulla navicella di Lockdown. Bay inizia per la seconda volta un film con l’estinzione dei Dinosauri; il primo fu Armageddon. Disturba vedere un tappezzamento di pubblicità ovunque nel film che si è aggiudicato infatti il primo posto tra le pellicole con il maggior numero di prodotti brandizzati del 2014 e conta cinquantacinque marche. Ogni tanto, tra effetti speciali e brand troviamo siparietti divertenti, tra cui quelli offerti dalla simpatica interpretazione di Stanley Tucci nei panni del cattivo. Transformers 4, inoltre, presenta molti più umani malvagi rispetto ai precedenti capitoli: il personaggio di Kelsey Grammer, quello di Stanley Tucci e la sua collega, interpretata da Sophia Myles. Questo episodio presenta alcune cose in comune con il primo capitolo della saga: inizialmente si concentra sui personaggi umani verso i quali viene rivolta la fiducia di alcuni robot, uno dei pochi aspetti interessanti della pellicola. Optimus Prime e gli altri Autobot hanno infatti per gli umani in un legame di amicizia e ogni tanto scappa qualche riflessione intelligente sulla fallibilità dell’uomo. Un pó fuori luogo l’avversità del padre nei confronti del fidanzatino della figlia, quasi caricaturale; come anche buffa è la parte del fidanzato di Tessa, un vero e proprio fifone che finge di fare il coraggioso per salvare la sua bella. Migliaia le persone coinvolte in un film in continuo movimento e rivolto alla massa in cui non importa quel che accade, in cui la trama è del tutto inesistente. Si potrebbe dare la colpa di tutto questo alla velocità con cui sono state riprese delle scene? Bay ha infatti girato circa 50/60 riprese al giorno, impiegando la metà del tempo rispetto ad altri blockbuster simili. Tra stereotipi e parodie dobbiamo aspettarci un sequel? Giulia Angelucci Film Tutti i film della stagione GIOVANI SI DIVENTA (White We’re Young) Stati Uniti, 2014 Regia: Michael Bay Regia: Noah Baumbach Produzione: Scott Rudin, Noah Baumbach, Lila Yacoub, Eli Bush per Scott Rudin Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 9-7-2015; Milano 9-7-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Noah Baumbach Direttore della fotografia: Sam Levy Montaggio: Jennifer Lame Musiche: James Murphy Scenografia: Adam Stockhausen J osh e Cornelia sono una coppia newyorkese di sposi quarantenni senza figli. Lui documentarista, lei produttrice figlia di un celebre regista militante degli anni ’60. Un giorno, durante una lezione universitaria tenuta da Josh, fanno conoscenza di una coppia di sposi venticinquenni, Jamie e Darby. Si cominciano a frequentare, i due quarantenni prendono le abitudini dei due hipster cercando di imitare lo stile vintage e molto vivace dei loro nuovi amici. Questo, però, fa sì che vengano gradualmente emarginati dai loro compagni di una vita, ormai tutti con figli, che guardano con sospetto questo nuovo legame. Josh intanto porta avanti il suo lavoro incompleto da 10 anni e cerca di chiedere consiglio al suocero Leslie che viene invece conquistato dall’aspirante documentarista Jamie anche per affinità di carattere. È stato il genero a fargli conoscere e Leslie dà una mano al giovane per il suo progetto. Josh sente di essere stato sfruttato da Jamie per la sua carriera, ma non solo. Scopre anche che questo ha costruito il proprio documentario in maniera artificiosa; ed è a quel punto che Josh comincia la sua battaglia come un don Chisciotte contro i mulini a vento. Mentre ha una crisi coniugale con Cornelia, cerca di smascherare questo inganno inutilmente; alla fine, comunque, questa esperienza consente alla coppia di quarantenni di aprire gli occhi, essere più realistici e fare scelte importanti per la vita come quello di adottare un bambino. resentato al Toronto film festival nel 2014 e successivamente al New York Film Festival, la nuova opera di Noah Baumbach sul tempo e la giovinezza si ispira alle atmosfere e agli snodi narrativi adottati da Woody Allen, specialmente in Crimini e misfatti. P Costumi: Ann Roth Interpreti: Ben Stiller (Josh Srebnick), Naomi Watts (Cornelia Srebnick), Adam Driver (Jamie), Amanda Seyfried (Darby), Charles Grodin (Leslie Breitbart), Adam Horovitz (Fletcher), Maria Dizzia (Marina), Brady Corbet (Kent), James Saito (Dott. Kruger), Matthew Maher (Tim), Wyatt Ralff (Louis), Matthew Shear (Benny), Peter Yarrow (Ira Mandelstam), Bonnie Kaufman (Moglie di Ira), Hector Otero (Frank), Annie Baker (Elise), Quincy Tyler Bernstine (Pepper) Durata: 97’ Accurato nei dettagli di costume, il film fornisce diversi spunti di riflessione. Il primo confronto che si offre al lettore è quello di coniugi quarantenni che si misurano con altre coppie di amici che hanno deciso di costruire una famiglia e avere dei figli. Anche i protagonisti, Josh e Cornelia, hanno provato in passato a mettere alla luce dei bambini, ma a causa di problemi fisici questo non è stato possibile. Altro spaccato sociologico offerto da Baumbach è come alcune coppie di neo genitori vivano questa esperienza in maniera quasi totalizzante e a volte neanche sincera (si veda la scena della festa organizzata tra adulti dalla coppia di Marina e Fletcher senza invitare Josh e Cornelia, dopo che avevano finto la loro unica vocazione genitoriale). Così da una analisi orizzontale verso i coetanei, la riflessione del regista si sposta su un confronto generazionale verso l’alto, quello che fa misurare Josh con l’affermato suocero Leslie interpretato da Charles Grodin e, soprattutto, verso il basso, quello che muove il film per quasi l’intera durata. Il confronto nel quale ci imbattiamo non è una vera e propria contrapposizione quanto piuttosto un’osmosi generazionale. Josh e Cornelia cercano di imitare e trasportare l’energia dei giovani Jamie e Derby nella loro vita, mentre loro cercano di acquisire più esperienza possibile. Ma da alcuni dettagli lo spettatore coglie che si tratta di puro formalismo soprattutto da parte di Jamie (non paga mai il conto e da lì vengono dubbi sul suo opportunismo). Josh comincia a girare con un cappello, Cornelia inizia un corso di hip hop mentre i due ragazzi non hanno uno scambio reale nel loro percorso di maturazione, non c’è un vero cambiamento in loro. Jamie e Derby hanno infatti già assorbito la cultura vintage, hanno metabolizzato già tutto quello che c’era 6 da cogliere delle generazioni precedenti. Loro devono andare oltre per implementazione non per sostituzione. Anzi addirittura si ribalta la situazione dal punto di vista narrativo e sembra siano loro a voler insegnare qualcosa ai quarantenni: se non si sa qualcosa non bisogna cercarla subito su google, bisogna sforzarsi,se ci sono problemi si va da uno sciamano. A quel punto, l’influenza diventa univoca. Loro sono in cattedra e i quarantenni, per recuperare del tempo perduto, si mettono nella giusta disposizione, anche forse un po’ innocente a tratti, di allievi. Il regista aveva già concentrato le sue analisi sul tempo e sulla giovinezza in Frances Ha ma qui la sua riflessione è piuttosto amara. Davanti l’oggettività della macchina da presa, c’è la soggettività dell’autore che decide di raccontare la storia a proprio piacimento. Ed è così che la modalità arrivista di Jamie si oppone a quella pura e corretta di Josh. Il loro occhio è in entrambi i casi da documentaristi, ma l’opera di Josh è un lavoro che rimane incompiuto da anni, esemplificazione di una generazione a metà, senza un’identità ben definita da trovare. Dall’altra parte c’è il personaggio di Jamie che, nonostante il suo arrivismo, non viene presentato come cattivo piuttosto inconsapevole della falsità del suo modo di fare. Il regista sembra un po’ suggerire che sia fatto così perché figlio del suo tempo, la sua colpa è semplicemente quella di essere giovane. Baumbach fa quindi un discorso sulla lealtà e sull’etica del proprio mestiere, ma allo stesso tempo, si mette dalla parte del giovane Jamie e dal suocero di Josh, Leslie, il quale lo accusa di essere poco spietato, questo il suo problema. Josh si trova quindi a combattere da solo contro tutti. Anche Derby conosce e accetta la natura del marito, tutti vivono Film nel mondo reale tranne Josh. Egli passa attraverso un graduale spiegamento della verità (senza contare che la sua delusione verso Jamie passa anche da un punto di vista personale oltre che professionale). Sarà proprio la giovane Derby a confessare che la loro felicità di coppia è solo apparente, dicendo a Josh che si è fatto ingannare e che è un puro. Baumbach così non prende le difese di nessuna ge- Tutti i film della stagione nerazione ma vuole far partire da questa fase di sconfitta personale del personaggio interpretato da Ben Stiller la riflessione sul diventare adulto. L’età adulta si raggiunge quando si prende coscienza dei propri limiti e si sa gioire di ogni fase della propria vita. Il film si chiude a cerchio con la stessa bimba (figlia di Marina e Fletcher) che apre il film, interrompendo quel limbo vissuto anche con gli altri coetanei. Baumbach, con grande capacità registica, ci offre quindi un prodotto ricco di contenuti dalle diverse fattezze tra thriller, commedia ma con un valido sfondo morale. Il cast è davvero eccezionale, i quattro protagonisti molto bravi nei loro ruoli soprattutto il camaleontico Adam Driver di Hungry Hearts di Saverio Costanzo. Giulia Angelucci 2 GIORNI A NEW YORK (2 Days in New York) Francia, Germania, Belgio, 2012 Regia: Julie Delphy Produzione: Scott Franklin, Julie Delphy, Ulf Israel, Hubert Toint, Jean-Jacques Neira per Polaris in co-produzione con Tempete Sous Un Crane, Senator Film, Saga Film, Alvy Productions, Inproduction, Tdy Film Produktion, Bnp Paribas Film Fund. In associazione con Protozoa Pictures Distribuzione: Officine Ubu Prima: (Roma 9-1-2014; Milano 9-1-2014) Soggetto e Sceneggiatura: Julie Delphy, Alexia Landeau, Alex Nahon (collaborazione) Direttore della fotografia: Lubomir Bakchev Montaggio: Isabelle Devinck Musiche: Julie Delphy M arion vive insieme al compagno Mingus a New York. Entrambi vengono da due matrimoni precedenti e ognuno con i propri figli: Lulù e Wislow. Il weekend che li attende metterà a dura prova la coppia. Arriveranno in visita i familiari di Marion: il padre, la sorella e il rispettivo fidanzato della sorella. Il padre particolarmente esuberante, con strane convinzioni sull’igiene che si prende troppa confidenza con il genero, la ninfomane psichiatra infantile Rose e il poco curato compagno Manu, irriducibile fumatore d’erba. In questi due giorni succede di tutto: viene venduta dell’erba davanti ai bambini, Marion finge di essere malata di un tumore al cervello per scampare lo sfratto, viene messo in prigione Manu e, durante l’esposizione delle sue foto, Marion ha un acquirente per la sua anima. Alla fine, dopo una caduta da un edificio per salvare un piccione, nella casa di Marion e Mingus torna la pace. hiunque abbia curiosità di vedere questa commedia rosa rimarrà un po’ deluso. 2 giorni a New York, seguito di 2 giorni a Parigi, è stato presentato al Sundance esattamente due anni fa. È da annoverare tra i film C Scenografia: Judy Rhee Costumi: Rebecca Ofherr Interpreti: Julie Delpy (Marion), Chris Rock (Mingus), Albert Delpy (Jeannot), Alexia Landeau (Rose), Alex Nahon (Manu), Dylan Baker (Ron), Kate Burton (Bella), Daniel Brühl (Fata Della Quercia), Talen Riley (Willow), Malinda Williams (Elizabeth), Vincent Gallo (Se stesso), Carmen Lopez (Julia), Emily Wagner (Susan), Arthur French (Lee Robinson), Petronia Paley (Carol Robinson), Alex Manette (John Kelly), Marcus Ho (Johnny), Gregory Korostishevsky (Boris), Mai Loan Tran (Ahn), Pun Bandhu (Joe), Johnny Tran (Van) Durata: 91’ degli anni 2000 più volte annunciati dalla distribuzione italiana e poi puntualmente rimandati. E ne capiamo il perché. Tutto il film, montato peraltro malissimo, ruota intorno al sesso in maniera esagerata, quasi stucchevole, come se i problemi di coppia e familiari si potessero ridurre a questo. Oltre ciò l’attrice e regista Julie Delpy, che interpreta il ruolo della protagonista femminile, riprende il conflitto tra Francia e Stati Uniti con uno spaccato sulla vita newyorkese. La sua analisi però è solo superficiale; infatti anche se la regista vuole sottolineare la differenza tra culture (quello che alcuni critici amano chiamare l’interessante rappresentazione di un melting pot), monta delle irritanti gag che non sono caratterizzate da un punto di vista etnico-culturale. Di origine francese ma naturalizzata in America, la Delpy, oltre a qualche tocco transalpino dal punto di vista registico, si diverte a dare un’immagine della Francia e dei francesi davvero terribile. Probabilmente il suo intento era quello di ironizzare su alcuni modelli, peccato però che gli stessi “difetti” stereotipizzati caratterizzino il personaggio per l’intera durata del film, offrendo piuttosto una caricatura alquanto noiosa. Così come anche è caricaturale 7 l’ironia sulla diversità di linguaggio. Nella pazzia generale di un po’ tutti i personaggi l’unica persona “normale” è il compagno e giornalista radiofonico interpretato da Chris Rock, se non si considera la sua abitudine di parlare da solo con la sagoma di Obama. Non si può discutere sull’ indubbia bravura di Julie Delpy come attrice ma, come regista fa parecchio cilecca; rimane infatti difficile pensare che solo qualche anno fa (2004) vinse una candidatura all’Oscar per la migliore sceneggiatura con Before the Sunset - Prima del tramonto. Le sue premesse erano buone, è stata musa di registi come Kieslowski e Tavernier, per poi diventare nel tempo una specie di rappresentante del bilinguismo e della contaminazione culturale per via del suo vissuto personale, coi due cortometraggi e i quattro film che ha diretto (Looking for Jimmy - 2002, 2 giorni a Parigi - 2007, La contessa - 2009, Le Skylab - 2011) e con la trilogia amorosa di Richard Linklater Before Sunrise (1995), Before Sunset (2004) e Before Midnight (2013). L’irriverente personaggio del padre Jeannot è interpretato da Albert Delpy, padre della regista ma anche il legame di sangue non aiuta a quella sinergia necessaria tra i protagonisti della vicenda. Soprattutto se si Film considera che vengono poco rappresentati gli esterni e la città, questa mancanza di empatia non aiuta lo sviluppo narrativo. Tra gli attori compare Vincent Gallo nei panni di sé stesso, i bravi Dylan Baker e Kate Burton e Chris Rock, che fa una grande interpretazione del suo personaggio. Lo sforzo della Delpy è stato piuttosto quindi quello di ricostruire la mentalità statunitense Tutti i film della stagione senza l’ausilio delle immagini. Alcuni critici parlano delle influenze di Woody Allen e di Richard Linklater, io nutro qualche dubbio. Tra qualche scena originale sparsa qua e là, il film si apre e si chiude come una fiaba, ma all’interno nasconde scene dannose da un punto di vista morale ed educativo: si tocca il limite ad esempio quando i bambini, seguendo l’esempio degli adulti, vendono inconsciamente dell’erba, quando Marion pensa che una valida strategia commerciale per la sua mostra sia di mettere in vendita oltre le fotografie la propria anima, o come quando finge di avere un tumore al cervello per evitare lo sfratto della vicina. Bastava dire che era incinta. Bastava... Giulia Angelucci TORNERANNO I PRATI Italia, 2014 Regia: Ermanno Olmi Produzione: Cinema Undici e Ipotesi Cinema con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 6-11-2014; Milano 6-11-2014) Soggetto e Sceneggiatura: Ermanno Olmi Direttore della fotografia: Fabio Olmi Montaggio: Paolo Cottignola Musiche: Paolo Fresu Scenografia: Giuseppe Pirrotta Costumi: Andrea Cavalletto, Maurizio Millenotti (supervisione) Effetti: Rumblefish Interpreti: Claudio Santamaria (Ufficiale territoriale), Alessandro Sperduti (Il tenentino), Francesco Formichetti (Il capitano), Andrea Di Maria (Conducente di mulo), Camillo Grassi (L’attendente), Niccolò Senni (Il dimenticato), Domenico Benetti (Il sergente), Andrea Benetti (Il capo- T rincea in alta montagna, paesaggio innevato, Prima Guerra Mondiale. Alla vigilia della fine di una tregua, tutto tace: in un’atmosfera statica e ovattata, due soldati sgombrano i camminamenti dalla neve. Con le tenebre arriva il mulo del rancio, portato da un soldato napoletano che canta. Tale è la dolcezza della sua voce che dall’altra parte del campo di battaglia giungono le richieste dei soldati austriaci che lo pregano di non smettere, di cantare ancora per loro. Intanto un maggiore e un “tenentino” (i personaggi non hanno nomi propri) arrivano a cavallo, incappucciati, alla trincea, proprio mentre i soldati ricevono il cibo e la posta. Il maggiore e il tenente portano al capitano – febbricitante come diversi tra i soldati – l’ordine di una missione: il nemico ha intercettato le comunicazioni tra la trincea e il caposaldo e si è deciso di instaurare un nuovo punto di osservazione e una nuova linea di comunicazione con l’avamposto. Il comandante accoglie con sgomento e con rabbia l’ordine che definisce criminale. Intanto le luci dei traccianti schiariscono il cielo notturno, dietro la trincea appare una volpe che per un attimo si ferma a osservare i soldati rale), Andrea Frigo (La vittima), Franz Stefani (Il salvato), Igor Pistollato (Il volontario), Carlo Stefani (Il soccorritore), Giorgio Vellar (La vedetta), Roberto Rigoni Stern (La vedetta), Davide Rigoni (Il Cappellano militare Rigoni), Sam Ursida (L’Appuntato dei Carabinieri), Niccolò Tredese (Il delirante), Francesco Nardelli (Il soldato Toni), Brais Vallarin (Il ferito grave), Andrea Forte (Il soldato Topino), Riccardo Rossi (L’amico del soldato Topino), Stefano Rossi (Il morituro), Marco Rigoni (L’infermiere), Nicola Rigoni (Il carabiniere), Maurizio Frigo (Il ferito nostalgico), Davide Degiampietro (Il soldato alla mitraglia), Filippo Baù (Barelliere), Paolo Baù (Barelliere), Daniele Cunico (Barelliere), William Rossi (Barelliere), Alfonso Brugnaro (Il porta lettere), Anthony Rossi (Il soldato rancio posta), Massimo Vellar (Il soldato rancio posta) Durata: 80’ chiusi sottoterra. Così inizia la ricerca da parte del maggiore del primo volontario per il collegamento della linea: la promessa è di una licenza premio e dieci lire, il rischio è la morte. Dopo aver mangiato un tozzo di pane e aver ricevuto la confessione, il soldato si stende nella neve con il filo sulla schiena e inizia ad avanzare a carponi. In pochi secondi iniziano gli spari dei cecchini che colpiscono l’uomo e lo uccidono. Il maggiore chiama allora un secondo soldato, che al superiore mostra una foto dei figli rimasti ad aspettarlo al paese. Un altro si offre al suo posto: piscia nella neve, bofonchia qualche parola di rimprovero al maggiore e poi, afferrato il fucile al contrario, si spara in testa, davanti agli ufficiali e ai compagni sgomenti. Il capitano sospende ogni ulteriore azione, poi abbandona la trincea rinunciando al grado e rischiando la corte marziale. La truppa resta così in attesa di un nuovo ufficiale; anche il maggiore se ne va, lasciando nel frattempo il comando al giovane e inesperto tenente. Di nuovo le luci dei traccianti contendono alla luna il primato della luce nella notte. Di nuovo i soldati osservano gli alberi e le bestie intorno alla trincea. Viene ordinato lo schieramento, ma men8 tre gli uomini sistemano i fucili inizia un fitto bombardamento. La trincea è colpita in pieno, alcuni sono feriti, di più sono i morti. Un soldato che cerca le vittime tra le macerie bestemmia. Arriva l’ordine di ripiegare, ma prima di lasciare il campo, i soldati seppelliscono i morti. Restano in pochi. Il tenente è richiamato vicino al punto più profondo della trincea: un soldato, ex minatore, riconosce il rumore degli scavi sotterranei per il piazzamento di una mina. Torna la notte, mentre la terra tace. Il tenente scrive alla madre. Sfila un rapido montaggio d’immagini d’archivio, mute e in bianco e nero, che registrano azioni di battaglia della Prima Guerra Mondiale, quella vera. Alla fine, con lo sguardo in macchina, l’attendente del capitano della trincea si rivolge al pubblico: «Finita anche questa guerra, tutti torneranno per dove sono venuti. Qui sarà cresciuta l’erba nuova, e di quel che c’è stato qui, di tutto quello che abbiamo patito, non si vedrà più niente. Non sembrerà più vero». Una colonna di soldati avanza sotto la neve sul crinale di una montagna. Due citazioni chiudono il film prima dei titoli di coda. La prima: Film Tutti i film della stagione «Al mio papà, che qund’ero bambino, mi raccontava della guerra dov’era stato soldato». Ermanno Olmi La seconda: «La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai». Torni Lunardi, pastore niziamo proprio da qui, dal nome misterioso e ai più sconosciuto che si legge in calce alle ultime parole iscritte nel corpo del film. Toni Lunardi non è un pastore qualunque: è il vecchio montanaro che Olmi incontra sul “suo” altopiano di Asiago e che sceglie come coprotagonista del film I recuperanti, produzione Rai del 1969 scritta insieme allo scrittore, amico e vicino di casa Mario Rigoni Stern. Nel film Olmi recupera il racconto della Prima Guerra Mondiale attraverso la memoria di un recuperante – proprio quel Toni Lunardi, cercatore di pericolosi residuati bellici da rivendere sul mercato nero dei metalli – il quale, all’indomani della fine della Seconda Guerra, perlustra ed esplora palmo a palmo i monti che decenni prima eran stati teatro degli scontri e dei massacri. La citazione viene direttamente da qui, da questo specifico precedente cinematografico. Torneranno i prati è dunque un film più importante di quel che sembra e lo è forse in un modo diverso dalle aspettative più ingenue, per il percorso umano e artistico di Ermanno Olmi più che per il suo intrinseco valore cinematografico. In esso s’intrecciano in una sintesi nuova e ulteriore molte delle linee che hanno attraversato nel profondo il lavoro di Olmi fin dai primi anni della sua carriera di regista. A cominciare proprio dal vecchio progetto che Olmi e l’amico Rigoni Stern mettono in cantiere già tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, la trasposizione per il grande schermo del romanzo Il sergente nella neve. Il progetto non supera la fase di preparazione e i due, per raccontare la Grande Guerra, dovranno aspettare appunto I recuperanti. In Torneranno i prati poi si vede riaffiorare un’altra direttrice alla base di molti dei racconti cinematografici olmiani: un chiaro ed esplicito discorso pacifista che si concentra intorno al ritratto epico ma tutt’altro che oleografico della vita del guerriero. In particolare il soldato che con lo sguardo fisso in macchina bisbiglia parole con un tono a metà tra il profetico e il proverbiale ricorda molto da vicino lo scudiero che in Il mestiere delle armi diceva di come le armi da fuoco avessero cambiato le guerre e di come fossero le guerre a cambiare il mondo. Di I pochi anni più tardi un altro film pacifista e in qualche modo intimo, Cantando dietro i paraventi, un altra opera in cui alla storia e alla guerra si guarda, senza evitare la crudezza, attraverso la lente del fiabesco. Il tono del racconto in Torneranno i prati mescola crudezza ad astrazione, il tempo circolare della Natura al tempo umano e lineare della Storia, e guarda alla tragedia dell’individuo come parte di un ingranaggio universale. Meritevole di uno studio a parte sarebbe la scelta di fondare le basi leggere di questo tableau vivant disegnato tra il crepuscolo e l’aurora sul racconto La paura di Federico De Roberto. Nonostante all’origine della produzione ci sia la richiesta e l’invito di un committente – corroborato dalla mediazione della figlia Elisabetta -, questo lungometraggio breve per girare il quale Olmi è incappato in un malanno che ne ha minato nel profondo la salute, sembra - più che un testamento, un lascito, l’apice di una traiettoria - l’esaudirsi ormai insperato di un desiderio forte e lontano, ficcato in fondo all’animo lieve di un grande narratore: il modo di sussurrare, senza preoccupazioni, due cose insieme: l’anelito alla bellezza e alla meraviglia e il monito estremo contro la violenza, che non può essere che fratricida. Silvio Grasselli POLI OPPOSTI Italia, 2015 Regia: Max Croci Produzione: Marco Poccioni e Marco Valsania per Rodeo Drive con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 8-10-2015; Milano 8-10-2015) Soggetto: Gianluca Ansanelli, Buffulini Sceneggiatura: Gianluca Ansanelli, Tito Buffolini, Roberto Burchielli, Antonello De Leo, Mauro Graziani, Riccardo Irrera, Paolo Logli, Alessandro Pondi Direttore della fotografia: Fabio Zamarion Montaggio: Luigi Mearelli Musiche: Alessandro Faro Scenografia: Massimiliano Nocente Costumi: Alessandra Robbiati Interpreti: Luca Argentero (Stefano Parisi), Sarah Felberbaum (Claudia Torrini), Giampaolo Morelli (Alessandro), Tommaso Ragno (Dott. Beck), Grazia Schiavo (Carolina), Anna Safroncik (Mariasole), Elena Di Cioccio (Rita), Riccardo Russo (Luca), Gualtiero Burzi (Luigi Braschi), Stefano Fresi (Fioraio), Roberto Bocchi (Onorevole), Jack Queralt (Manolo) Durata: 85’ 9 Film S tefano è un terapista di coppia che si è appena separato dalla moglie Mariasole, donna viziata con la quale è diventata impensabile anche una convivenza. Allontanato anche l’ingombrante suocero, famoso psicologo e irriducibile narciso, Stefano si trasferisce altrove, facendo della propria abitazione il suo ufficio e viceversa. Si dà il caso che il proprietario dell’immobile sia anche un vecchio amico d’infanzia, Alessandro. Sullo stesso pianerottolo abita la sorella di Alessandro, Claudia, avvocato divorzista in carriera e con un figlio a carico, Luca, ragazzo sensibile e bersaglio dei coetanei. Ma, soprattutto, prima ed unica vera cotta di Stefano. I due hanno gusti e abitudini diverse, ma è innegabile che l’amore sia al centro delle loro vite. Claudia è l’implacabile avvocato Torrini, il peggiore degli incubi per i mariti delle sue clienti. Odia gli uomini e difende le donne, cercando come può di ridurre gli ex mariti sul lastrico. Suo fratello Alessandro è un bugiardo seriale ed è sposato con Rita, ormai rassegnata alla gelosia. Stefano è invece un tipo accondiscendente che durante l’adolescenza ha sofferto ed è stato preso in giro per il suo fisico. Con i suoi pazienti cerca sempre di trovare una soluzione per farli tornare insieme. L’antipatia, nonché l’attrazione reciproca sono immediate, e a queste si aggiunge la rivalità professionale, quando i pazienti dell’una cominciano a rivolgersi all’altro. Nonostante tutto, i due cominciano a uscire e a frequentarsi e le cose sembrano andare a gonfie vele. Intanto, si intromette tra loro un’amica di Claudia, Carolina, producer televisiva, che con la scusa del lavoro vorrebbe conquistare Stefano. La sera di S. Valentino però succede qualcosa. Stefano inaspettatamente dà buca a Claudia. La donna non digerisce la cosa e, quando viene a sapere che la sua amica ha proposto a Stefano un programma in televisione, perde Tutti i film della stagione le staffe. Così all’udienza di separazione di Stefano si presenta come avvocato difensore della moglie. Durante la seduta i due si attaccano furiosamente davanti al giudice e alla moglie. Non si riesce a trovare una soluzione e i due rimangono sulle proprie posizioni. Luca però, affezionato a Stefano ormai come se fosse un padre, confessa alla madre che la sera di S.Valentino l’uomo era con lui e di nascosto lo aveva riportato a casa ubriaco, dopo una festa con i compagni di scuola. Quando i due capiscono rispettivamente di amarsi e di non poter fare a meno l’uno dell’altra, mentre cercano di raggiungersi si scontrano con le rispettive auto. Si trovano in ospedale, un po’ rotti, ma più innamorati che mai. ax Croci debutta alla regia con un film chiaramente ispirato alla “sophisticated comedy” americana, e la messinscena denota gusto, ritmo e una buona comunicazione con gli attori. Poli opposti si identifica come una commedia romantica, con una buona messinscena, in cui i poli opposti del titolo sono destinati ad avvicinarsi. In realtà il film dimostra che gli opposti si possono attrarre in una prima fase, che ci si può innamorare facilmente di qualcosa che non si conosce, che è diverso da sé, ma poi per stare davvero insieme e continuare la relazione la sfida sta nel trovare cose che uniscono, nell’individuare una comunione di intenti. Claudia, che ha preso una cantonata terribile con il padre di suo figlio, odia il genere maschile, sentimento che riversa con cinismo nel suo lavoro, trasformandosi in una sorta di pseudo femminista, che mira a ottenere la rovina di tutti i mariti. Stefano è più equilibrato; alle spalle un’infanzia non esattamente da “leader” del gruppo, cosa che lo avvicina alla situazione che sta vivendo il figlio di Claudia. Meno disilluso rispetto all’avvocato, crede ancora M nella coppia e nei benefici che ne derivano se si è in grado di venirsi incontro. Gli scambi tra Stefano e Claudia crescono sulle note di un linguaggio opposto, ma codificato che, stuzzicando e provocando, accende progressivamente la miccia e fa esplodere l’amore. Quel che manca al film però è una sceneggiatura solida, che mostra invece qualche lacuna, dietro un copione che avrebbe grandi potenzialità comiche e romantiche. Incastrata in passaggi obbligati, la pellicola non riesce ad avere una propria personalità. Un ritratto caratterizzato da cliché sul cosiddetto amore-odio, povero di argomenti, ma anche privo d’incisività, senza sfumature, piatto, che sembra non curarsi di come si arriva a una certa situazione. L’impressione è che a muoverlo non sia la forza dinamica dell’intreccio o la volontà dei personaggi, ma la mano del regista, che sembra spingere sul tono favolistico, facendo leva su tutta una serie di coincidenze da romanzo rosa. Il punto è che il tutto lo si vuole inserito in un contesto essenzialmente realistico, dove esistono i problemi di tutti i giorni. Peccato perché il cast è affiatato, la chimica fra i due attori protagonisti è ottima ed entrambi fanno il massimo per dare calore alle rispettive interpretazioni. Sarah Felberbaum, affascinante nell’atteggiarsi, dovrebbe tuttavia lavorare sulla dizione, per eliminare dalla sua voce quella nota stridula, che contrasta con la naturalezza della sua recitazione. Luca Argentero sembra adattarsi a perfezione al ruolo di maschio italiano contemporaneo, meno “macho” e più autentico. Grazia Schiavo nella parte di Carolina, crea scompiglio nel ritrovato rapporto tra Stefano e Claudia, Giampaolo Morelli, bugiardo seriale e sfrontato nei panni di Alessandro, coniuge di Rita, incarnata da Elena Di Cioccio. Veronica Barteri CITTÀ DI CARTA (Paper Towns) Stati Uniti, 2015 Regia: Jake Schreier Produzione: Fox 200 Pictures, Temple Hill Entertainment Distribuzione: Asap Cinema Network Prima: (Roma 3-9-2015; Milano 3-9-2015) Soggetto: dal romanzo di John Green Sceneggiatura: Michael H. Weber, Scott Neustadter Direttore della fotografia: David Lanzenberg Montaggio: Jacob Craycroft Musiche: Son Lux Scenografia: Chris L. Spellman Costumi: Mary Claire Hannan Effetti: Jake Braver, Phosphene Interpreti: Cara Delevingne (Margo Roth Spiegelman), Nat Wolff (Quentin Jacobsen), Halston Sage (Lacey Pemberton), Caitlin Carver (Becca Arrington), Austin Abrams (Ben Starling), Griffin Freeman (Jase), Meg Crosbie (Ruthie), Justice Smith (Radar), Jaz Sinclair (Angela), Jim R. Coleman (Detective Warren), RJ Shearer (Chuck Parsons), Tom Hillmann (Sig. Spiegelman), Susan Macke Miller (Sig.ra Spiegelman), Ryan Boz (Quentin a 14 anni), Lane Lovegrove (Robert Joyner), Kendall McIntyre (Ben bambino), Madeleine Murden (Margo a 14 anni), Josiah Cerio (Quentin bambino), Hannah Alligood (Margo bambina), Cara Buono Durata: 109’ 10 Film Q uentin è amico sin dall’infanzia di Margo, dirimpettaia avventurosa e imprevedibile, mentre lui è timido ed eccessivamente premuroso. I ragazzi vivono ad Orlando, che Margo considera una “città di carta” falsa e inconsistente. Negli ultimi anni però i due si sono allontanati: la ragazza è diventata una delle più gettonate del liceo, lui uno dei più nerd. Una notte Margo entra nella camera di Quentin, passando dalla finestra e lo trascina in un’avventura che prevede la vendetta da parte di Margo nei confronti di alcuni amici. Obiettivi: il suo ex-ragazzo e altri coetanei da cui si ritiene tradita, in quanto le avevano nascosto il tradimento del suo fidanzato con una sua amica. Quentin scopre di amarla follemente, ma il giorno successivo la ragazza scompare senza lasciare traccia. Così inizia a cercarla seguendo degli indizi, che secondo lui condurranno inequivocabilmente a lei. Scopre che l’espressione “città di carta” utilizzata da Margo può riferirsi a quartieri una volta abitati e successivamente abbandonati, che continuano a esistere sulla carta, ma che nella realtà sono più simili alle città-fantasma. Si tratta di un particolare fenomeno cartografico, per cui i cartografi inseriscono luoghi fittizi nelle proprie mappe. Attraverso questo fenomeno Quentin scopre l’esistenza di Agloe, una città immaginaria, verso cui convergono tutte le tracce. È lì che Margo è andata a rifugiasi, Quentin ne è sicuro. In questo viaggio di migliaia di chilometri, lo accompagnano i suoi due migliori amici, Ben e Radar e la migliore amica di Margo. Arrivati a destinazione nel luogo previsto non trovano la ragazza e Quentin è molto deluso. Gli amici decidono di ritornare a casa in tempo per il ballo di fine anno. Quentin dopo, una discussione con gli altri, rimane e, mentre sta per riprendere il pullman, per caso per strada vede Margo. I due si fermano a parlare. Quentin si rende conto che la ragazza è ben lontana da quella donna che tutti osannavano e lui stesso aveva idealizzato. Così decide di ripartire e tornare dai suoi amici e alla sua vita, che seppure regolare, lo rende felice. Tutti i film della stagione ratto da un romanzo di John Green, l’autore del teen cult della scorsa annata, Colpa delle stelle, il drammone strappalacrime che raccontava la toccante storia d’amore tra due ragazzi malati di cancro, Città di carta è l’attesa pellicola adolescenziale della nuova stagione cinematografica. Forse angosciato dall’idea di dover ripetere il successo clamoroso del primo film, interpretato dal medesimo attore, il regista Jake Schreier riprende gli argomenti classici della narrativa per ragazzi: l’amicizia, l’amore, i bulli contro i nerd eccetera. Si vuole raccontare, nel senso più ampio possibile, l’adolescenza, la crescita, il primo amore. E la tendenza, abbastanza comune, di idealizzare le persone. Probabilmente quello che l’autore ispirava a fare era una riflessione profonda su un problema piuttosto diffuso tra i più giovani: l’incapacità di non lasciarsi coinvolgere dai pregiudizi, siano essi positivi che negativi. Peccato che nel complesso l’operazione non riesca. La sottotrama principale, ossia il mistero legato al personaggio di Margo e allo sviluppo della relazione tra lei e Quentin, non riesce ad amalgamarsi con il resto della storia. In questo modo, il senso dell’opera di Green, si è perso: la storia, per forza di cose, è stata semplificata. I personaggi sono diventati superficiali e lo spettatore va al cinema giusto per vedere la storia d’amore, il bacio, l’happy ending, che tra l’altro non c’è. Non c’è l’eroe che va alla ricerca della sua principessa, ma ci sono tanti cliché e anche qualche passaggio ripetitivo. E poco altro: si parla di amicizia e d’amore, nella sua forma più incredibile e potente del colpo di fulmine. Ma, rispetto al romanzo, appaiono diversi cambiamenti, anche se la morale è sempre quella: la vita va vissuta appieno, abbandonandosi ai sentimenti, anziché chiudersi in se stessi. I protagonisti compiono un viaggio di formazione, una ricerca che sarà caratterizzata dalla ricostruzione di un vero e proprio puzzle, non solo in merito alle tracce ritrovate ma anche su loro stessi, sulla diversa perce- T zione che ognuno aveva della giovane Margo, ma anche della diversa percezione che ognuno di loro ha di sé e di chi ha accanto, un viaggio alla riscoperta del “cosa è vero” e “cosa è di carta”. Tutto quindi ruota intorno al concetto di “maschera”, di sapore prettamente pirandelliano. Ognuno indossa una maschera diversa, a seconda del ruolo che vuole rivestire e del punto di vista di chi osserva. Si crea pertanto un meccanismo in cui tutti credono di conoscere una persona, ma in realtà nessuno conosce nessuno. E questa maschera fa parte di noi, ovunque andiamo, diventa il nostro bagaglio di viaggio. Tutto ciò porta non solo a ritenere di “conoscere” ma anche a idealizzare la persona, cosa che accade a Quentin. Per ritrovare Margo non basterà affidarsi a quel “che sappiamo di lei”, mettendo a paragone ogni indizio, ogni percezione. Se ne ricaverà una persona completamente diversa da quella creduta e più andrà avanti la sua indagine, più Quentin si renderà conto di quanto poco realmente sapesse di lei, di quando l’avesse idolatrata, di quanto invece in realtà la ragazza si sentisse vuota, sola, incompresa, timorosa e alla ricerca di attenzioni. Senza derogare dai codici del teen-movie, Città di carta cerca di abbinarli con quelli della commedia on-the-road. Peccato che anche il viaggio con gli amici, che risulta alla fine essere la parte più divertente, non meriti il giusto spazio. La figura di Margo è appena accennata e il finale è stato veramente ridotto e modificato rispetto al romanzo, perdendo completamente di mordente. Affidare Margo a Cara Delevingne calamita tutte le attenzioni sulla modella più che sull’attrice. Così la recitazione da principiante improvvisata non convince e la scarsa chimica con il protagonista l’allontanano sempre più dal ruolo iconico che dovrebbe sostenere. Non tanto meglio della Delevingne il partner Nat Wolff, nel ruolo di Quentin, che pare addormentato al punto giusto da sembrare un nerd. Veronica Barteri MUCH LOVED (Much Loved) Francia, Marocco, 2015 Regia: Nabil Ayouch Produzione: Eric Poulet, Saïd Hamich, Babil Ayouch per Les Films du Nouveau Monde, Barney Production, New District, Ali N’Productions Distribuzione: Cinema di Valerio De Paolis Prima: (Roma 8-10-2015; Milano 8-10-2015) V.M.14 Soggetto e Sceneggiatura: Nabil Ayouch Direttore della fotografia: Virginie Surdej Montaggio: Damien Keyeux Musiche: Mike Kourtzer Scenografia: Hind Ghazali Interpreti: Loubna Abidar (Noha), Asmaa Lazrak (Randa), Halima Karaouane (Soukaina), Sara Elhamdi Elalaoui (Hlima), Abdellah Didane (Saïd), Danny Boushebel (Ahmad), Carlo Brandt (L’amante francese) Durata: 103’ 11 Film M arrakech, oggi. Tre amiche, Noah, Soukaina e Randa si prostituiscono nei locali notturni della città, partecipano a feste e festini orgiastici dove si esibiscono soprattutto per un pubblico di ricchi sauditi che non disdegnano l’uso della violenza pagata a suon di bigliettoni. L’unico essere maschile che sta loro vicino in maniera umana è Said, un tassista che le accompagna dove occorre senza giudicare, cercando, nei limiti del possibile, di tenerle lontano dai guai che possono capitare di notte. Mentre Randa si dissocia, in qualche modo, dal terzetto, preferendo vendersi a una donna facoltosa, Noah e Soukaina restano sempre più coinvolte nel mercato del sesso senza limiti che comincia a creare qualche problema: la madre di Noah non vuole più vederla, nonostante i soldi che la giovane passa a tutti i parenti perchè le voci sulla vita notturna della figlia hanno cominciato a circolare e lei se ne vergogna; Soukaina si è, messa invece in un brutto guaio con un saudita che l’ha denunciata alla polizia corrotta della citta. Tutti i film della stagione Le tre amiche sono diventate intanto quattro perchè a loro si è unita Hlima, una ragazzotta venuta dal contado che si prostituisce molto meno elegantemente per la strada. Tutte e quattro decidono di cambiare aria e con l’aiuto di Said che noleggia per l’occasione una sconfinata limousine vanno a passare un periodo in un bell’albergo sul mare. Le ore trascorse sulla spiaggia rappresentano un bel momento di tregua tra tanti problemi, in cui le quattro ragazze possono apprezzare il piacere di stare insieme. l film è stato condannato in Marocco, senza possibilità di sconti futuri perchè umilia la figura della nazione e delle sue donne. Certo il quadro è particolarmente devastante, non tanto e non solo per le ammucchiate di sesso che toccano un fondo piuttosto degradato, ma per la violenza che accompagna ogni scena di cui sembra che gli uomini non possano farne a meno e per la solitudine in cui I vive il gruppo di amiche che non trovano nessuno capace di donare quell’umanità che sarebbe loro necessaria. Ancora una volta, è la condizione della donna che richiama attenzione e sostegno in un Paese come il Marocco in parte legato a tradizioni tribali sepolte nella notte dei tempi. La ribellione quindi è esplosiva, il sesso, la forza dell’emancipazione, il dolore che dà la spinta per uscire dalla repressione, l’opporsi fino a che si può alla violenza, il sospiro appagante della complicità femminile assaporato quando si è sole. Bella la figura del tassista, personaggio quasi privo di parola che a fatica si fa strada nel mantenere la barra ferma di un comportamento civile che non lo abbandona mai. Bellissime le attrici e davvero brave a esprimere l’esigenza assoluta di pretendere rispetto, considerazione, una mano tesa che le accompagni lungo la strada verso la civiltà. Fabrizio Moresco SANGUE DEL MIO SANGUE Italia, Francia, Svizzera, 2015 Regia: Marco Bellocchio Produzione: Simone Gattoni per Kavac Film, Beppe Caschetto per IBC Movie con Rai Cinema, in coproduzione con Fabio Conversi per Barbary Films, Tiziana Soudani per Amka Film, Gabriella Da Gara per RSI-Radiotelevisione Svizzera Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 9-9-2015; Milano 9-9-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Marco Bellocchio Direttore della fotografia: Daniele Ciprì Montaggio: Francesca Calvelli, Claudio Misantoni Musiche: Carlo Crivelli Scenografia: Andrea Castorina Costumi: Daria Calvelli Interpreti: Roberto Herlitzka (Conte), Pier Giorgio Bellocchio (Federico), Lidiya Liberman (Benedetta), Fausto Russo Alesi (Cacciapuoti), Alba Rohrwacher (Maria Perletti), Federica N ella Bobbio del ‘600 Federico, un gentiluomo della zona, entra in un convento di clausura per riabilitare la memoria del fratello Fabrizio, sacerdote suicida per la follia d’amore provata per la giovane Suor Benedetta, ora accusata di patteggiamento con il demonio che la renderebbe padrona e capace di azioni così insane. La Santa Inquisizione non ammette ritardi né deviazioni: Suor Benedetta è Fracassi (Marta Perletti), Alberto Cracco (Inquisitore francescano), Bruno Cariello (Angelo), Toni Bertorelli (Dott. Cavanna), Filippo Timi (Il pazzo), Elena Bellocchio (Elena), Ivan Franek (Rikalkov), Patrizia Bettini (Moglie del Conte), Sebastiano Filocamo (Padre Confessore), Alberto Bellocchio (Cardinal Federico Mai) Roberto Herlitzka (Conte), Pier Giorgio Bellocchio (Federico), Lidiya Liberman (Benedetta), Fausto Russo Alesi (Cacciapuoti), Alba Rohrwacher (Maria Perletti), Federica Fracassi (Marta Perletti), Alberto Cracco (Inquisitore francescano), Bruno Cariello (Angelo), Toni Bertorelli (Dott. Cavanna), Filippo Timi (Il pazzo), Elena Bellocchio (Elena), Ivan Franek (Rikalkov), Patrizia Bettini (Moglie del Conte), Sebastiano Filocamo (Padre Confessore), Alberto Bellocchio (Cardinal Federico Mai) Durata: 100’ sottoposta a tortura perchè confessi di avere “perpetrato” la seduzione, cosa che permetterebbe al convento di dare degna sepoltura al povero prete, per ora abbandonato in terra sconsacrata insieme ai cani. Benedetta però non parla e, mentre lo stesso Federico è combattuto tra l’esigenza familiare della vendetta e della punizione della presunta indemoniata e l’irrefrenabile desiderio che lo sospinge verso 12 l’enigmatica suora, il tribunale decide di murare viva la condannata ribelle perchè mediti sulle sue colpe nel buio e nel silenzio della costrizione. Siamo ora ai giorni nostri: un singolare ispettore della Regione, molto probabilmente un millantatore, accompagna un miliardario russo che vuole comprare dal Comune l’antico complesso di clausura in abbandono da tempo, per dare corso a una speculazione turistico immobiliare. Film In una zona segreta dell’antico convento vive però da anni un vecchio signore, un conte che ha abbandonato la vita dei vivi e che, accudito da una devota coppia di famigli, preferisce vivere la vita dei morti e dei redivivi, insomma per questo è chiamato anche il vampiro. Il conte fa parte di un comitato di notabili che ha condotto la vita del circondario come un luogo chiuso che ha beneficiato di tranquillità e benessere grazie alla corruzione e allo sfruttamento dello Stato: per questo il conte non vuole minimamente che Bobbio si apra alle conquiste della modernità come l’uso della rete web che potrebbe portare verifiche e accertamenti di ogni sorta. Il conte capisce subito che l’ispettore della Regione è un truffatore e decide di tacitarlo con una manciata di soldi per chiudere soprattutto ogni contatto con l’esterno. Intanto, tornando indietro nei secoli, assistiamo allo smuramento della prigione di Benedetta, di fronte allo sguardo indagatore di Federico, divenuto, nel frattempo, cardinale. La meraviglia è che la caduta del muro svela la presenza di una donna bellissima, nuda e affascinante, per nulla deturpata dalle privazioni e dalle torture: il cardinale Federico cade a terra morto, colpito dallo sguardo di sfida eterna della giovane rediviva. Anche il vecchio conte, ritornando ai giorni nostri, muore di colpo sotto l’impossibilità di fermare il tempo, mentre decine di macchine della polizia circondano la cittadina per fare piazza pulita di tutta la corruzione che ha fatto da padrona per secoli. arco Bellocchio riunisce la sua gente, i figli, il fratello, gli attori a lui vicini o congeniali per ritornare alla sua amatissima Bobbio in una rivisitazione completa delle ossessioni, dei sogni, delle nostalgie, dei sensi di colpa, delle aspirazioni civili che hanno sempre contraddistinto la sua vita e il suo cinema. Vediamo in questo film la massima espressione della sua forza poetica, la voglia più violenta del suo desiderio dissacratore che non lo ha mai abbandonato e il volere confermare definitivamente i capisaldi essenziali del suo percorso di cineasta. È un film che dovrebbe essere raccontato fotogramma per fotogramma perchè tutto esprime un significato e addirittura una moltitudine di significati in un rimando continuo di metafore, di malinconie, e di ricordi e di una voglia bruciante di abbattere il potere, qualunque esso sia. M Tutti i film della stagione Intanto due parti ben distinte, certo, che si intersecano però l’una nell’altra nelle cause e nelle conseguenze. La prima trova il suo centro espressivo nell’ambientazione seicentesca: un convento di clausura, un gruppo di suore oppresse e bigotte, ma agitate dai richiami della carne; una schiera di frati pavidi e dubitanti e ugualmente spietati e risoluti nelle pratiche degli interrogatori, delle ossessioni, della tortura, ma ben consapevoli che la confessione della dannata complice del diavolo non ha solo un significato religioso e codificato dal braccio dell’Inquisizione, ma rappresenta il baluardo del potere: la mancata confessione della suora potrebbe costituire infatti quel primo colpo di piccone all’autorità e all’oppressione con cui si è consolidato il governo della Chiesa per secoli. Ma la suora non confessa e quei colpi di piccone si moltiplicheranno trent’anni dopo ad abbattere quel muro e le permetteranno di andare via libera, spinta dalla forza insopprimibile della libertà. A legare avvenimenti e metafore è la figura di un cavaliere del suo tempo, un uomo d’arme, ricco di fascino, mistero, forza e perplessità a cui Pier Giorgio Bellocchio, particolarmente ispirato, fornisce la responsabilità piena della complicità con i tempi a cui è legato per il mantenimento del potere di cui anche lui fa parte e, insieme, una irresolutezza carnale e umana che non lo aiuta però al momento della formazione di una presa di coscienza. Dovrà aspettare anche lui trent’anni quando, cardinale, e quindi al massimo dei poteri della Chiesa, per vedere sgretolarsi quelle certezze in cui aveva creduto di trovare rifugio e giustificazione non potrà fare altro che abbattersi al suolo vinto da ciò che non aveva saputo e soprattutto voluto capire. 13 La seconda parte vede Bobbio oggi: l’inquieto cavaliere del ‘600 è diventato un manutengolo dei tempi, mezzo ispettore regionale, mezzo affarista, mezzo corruttore che cerca di ricavare per sé le briciole degli affari, o presunti tali, che propone. Il conte, il vampiro, cioè il sistema che ha succhiato sangue e risorse alle forze della popolazione non vuole che le nuove leve, portatrici tra l’altro di volgarità e sguiatezze mostruose, si aprano al vento della modernità considerata insana e pericolosa verso il mantenimento della situazione millenaria controllata dai notabili. Muore anche il vecchio, il suo corpo fasciato di nero giace inondato da una luce accecante, è la stessa fine del cardinale, perchè tutto sia messo in discussione e possa aprirsi una luce nel futuro. Le due parti sono, naturalmente l’una figlia dell’altra e non rappresentano affatto due binari a se stanti, quasi un’incollatura di due film diversi come taluni hanno stigmatizzato. Bellocchio ha fatto un film dedicato alla Storia (quella con la S maiuscola) di cui non può fare a meno di constatare la ripetitività perchè il potere è sempre uguale in ogni tempo, sotto ogni costume e al servizio di ogni bandiera. La corruzione di oggi, il malaffare a cui sembra quasi esserci abituati e che permea le nostre vite e le nostre azioni quotidiane, anche le più insignificanti è nato allora, almeno nella codificazione poi comprovata attraverso i secoli, in mezzo a quelle tonache nere, sotto le corde del santo Tribunale, nella ostinata, ottusa e pervicace negazione dell’esigenza di libertà e rispetto civile insito in ogni essere umano. Stiamo parlando però di un film e, soprattutto di un film di Marco Bellocchio, il cui narrare segue il telaio di personalissimi Film accostamenti e dell’unicità di un’indagine che appartiene solo a lui. La sua Bobbio è vista contemporaneamente come la propria Shangri-La e come il nucleo portante dell’oppressione nera: quindi panorami lacustri, corsi d’acqua verginali e cristallini nell’accogliere un desiderio evocativo che parte dal cuore si alternano a processioni di ottusità, a stanze con suore appese al soffitto per punizione: come se l’autore volesse stringere con le proprie mani i perchè di un passato Tutti i film della stagione non più modificabile né comprensibile e che ha lasciato però più di una dolorosa traccia crepuscolare. Il nero poi è il colore che accomuna le epoche dalla tortura seicentesca alla politica affaristica priva di etica del nostro Novecento verso cui il regista prova un’avversione che non potrà mai estinguersi. Tutti questi argomenti costituiscono una montagna immane, davvero sangue del suo sangue; è ovvio che il racconto in alcuni momenti possa farsi pesante nel soffrire lo squilibrio di una narrazione in difficoltà nel bilanciare i temi, le immagini e le metafore che si affastellano e che pretendono uguale spazio di rappresentazione. Il fascino è però enorme, così la forza seduttiva di una fantasia potente, palpabile, coinvolgente che tocca il metafisico e che ci fa considerare questo lavoro del nostro grande cineasta come l’opera più bella, ricca e creativa di tutto il suo cinema. Fabrizio Moresco FUGA IN TACCHI A SPILLO (Hot Pursuit) Stati Uniti, 2015 Regia: Anne Fletcher Produzione: Daiana Fox, Bruna Papandrea, Reese Witherspoon per MGM, New Line Cinema, Pacific Standar, Warner Bros. Distribuzione: Warner Bros. Prima: (Roma 18-6-2015; Milano 18-6-2015) Soggetto e Sceneggiatura: John Quaintance, David Feeney Direttore della fotografia: Oliver Stapleton Montaggio: Priscilla Nedd-Friendly Musiche: Christophe Beck Scenografia: Nelson Coates Costumi: Catherine Marie Thomas F uga in tacchi a spillo racconta la storia di una poliziotta ligia alle regole, Rose Cooper, giovane agente cresciuta all’ombra del padre poliziotto. Rose è spesso oggetto dell’ironia da parte dei colleghi del Dipartimento di Polizia dopo un incidente per un colpo di pistola maldestro partito alla giovane agente durante una missione e da allora denominato “cooperata”. All’improvviso, con sua grande sorpresa proprio perché relegata da tempo dietro a una scrivania, Rose si vede affidare l’incarico di scortare attraverso il Texas la moglie del boss della droga Felipe Riva, Daniella. La donna e il marito dovranno testimoniare in tribunale contro il famoso narcotrafficante Cortez, fresco di arresto. Ma, arrivata nella villa dei Riva, la squadra di polizia e Felipe Riva cadono in un agguato. Daniella riesce a nascondersi in garage: a prenderla in custodia è l’agente Cooper, miracolosamente scampata alla sparatoria. Le due donne fuggono da San Antonio alla volta di Dallas, ma Daniella reagisce istericamente alla notizia della morte del marito: la donna cerca di usare il suo cellulare per chiedere aiuto ma Cooper fa accidentalmente cadere il telefono della Effetti: Comen VFX, Sandbox VFX, Big-Hug FX, Park Road VFX, BlueBolt Interpreti: Reese Witherspoon (Cooper), Sofía Vergara (Daniella Riva), Robert Kazinsky (Randy), Michael Mosley (Detective Dixon), Matthew Del Negro (Detective Hauser), Richard T. Jones (Detective Jackson), Mike Birbiglia (Steve), Benny Nieves (Jesus), Michael Ray Escamilla (Angel), Joaquín Cosio (Vicente Cortez), John Carroll Lynch (Capitano Emmett), Jim Gaffigan (Red), Vincent Laresca (Felipe Riva), David Jensen (Wayne), Evaluna Montaner (Teresa Cortez), Marcus Lyle Brown (Lou), Carol Sutton (Brenda), Alejandra Pérez (Marisol) Durata: 87’ donna fuori dall’auto in corsa. Daniella porta con sé una pesante valigia da cui non si separa mai. Le due donne entrano in un negozio per comprare abiti nuovi: devono cercare di seminare una coppia di poliziotti e gli uomini dell’organizzazione criminale di Cortez che sono sulle loro tracce. Cooper telefona alla centrale per segnalare un elemento utile all’identificazione di uno dei due agenti che le sta inseguendo: l’uomo ha un particolare tatuaggio. Le due signore vengono raggiunte dai due colleghi di Cooper, gli agenti Dixon e Hauser. Ma Rose riconosce il tatuaggio sul braccio di Hauser: i due agenti sono gli inseguitori delle due donne. Le due vengono catturate e fatte salire sull’auto dei due poliziotti, ma, grazie a una scusa accampata da Rose (Daniella ha il ciclo mestruale), le donne riescono ad ottenere il permesso di andare in bagno e poi a scappare. Le due saltano sul retro di un pick-up: durante il tragitto Cooper chiede a Daniella cosa c’è dentro quella pesante valigia da cui non si separa mai, la donna confessa che il bagaglio è pieno di scarpe con il tacco a spillo decorate con preziosissimi diamanti. Daniella dice che gli erano state lasciate da suo fratello prima di morire e sono il solo ricordo che gli resta di lui. Intanto, il pro14 prietario del veicolo, Red, si accorge della presenza delle due donne e le minaccia con un fucile. Le due fingono di essere lesbiche mentre Red si ferisce accidentalmente a un dito. Daniella e Rose scappano su un altro camion. Durante la fuga, Rose confessa a Daniella di avere problemi a stabilire rapporti con gli uomini. Subito dopo si accorgono che c’è un uomo sul retro del loro camion: di tratta di Randy, che indossa un braccialetto di sicurezza alla caviglia per aver assalito il violento fidanzato della sorella. Le due donne stringono un accordo con Randy: loro lo aiuteranno a disfarsi del braccialetto se lui le aiuterà nella fuga. Tra Randy e Rose nasce attrazione reciproca. I tre si fermano per la notte in un motel: Rose ammanetta Daniella al letto mentre va da Randy nella stanza accanto a prendere del cibo. Rose è attratta da Randy e lo bacia. Di ritorno nella sua stanza, Rose ha un duro confronto con Daniella durante il quale scopre che le scarpe contenute nella valigia della donna hanno un valore di più di 4 milioni di dollari e sono frutto del riciclaggio del denaro sporco del marito. All’improvviso, alla porta della camera appaiono gli agenti Dixon e Hauser, ma le due donne riescono a scappare grazie all’aiuto di Randy. Durante una rocambolesca fuga Film su un bus inseguite dagli uomini di Cortéz e dai poliziotti corrotti, Rose capisce che Daniella lavora insieme ad alcuni uomini a un piano per uccidere Cortéz al fine di vendicare l’uccisione di suo fratello. Daniella vuole fare i conti con l’uomo durante la festa della ‘quinceañera’, per i quindici anni della nipote di Cortez. Daniella lega Rose a un palo e scappa. Ma Cooper vuole portare a termine il suo piano e riesce a introdursi di nascosto alla ‘quinceañera’, è vestita da uomo ed è sulle tracce di Daniella. Rose fa indossare a Daniela un microfono per registrare Cortez che confessa di aver ucciso il fratello. Daniella incontra Cortez da sola e gli rivela la sua intenzione di ucciderlo ma l’uomo tira fuori un fucile. A salvare la situazione arriva Rose che, dopo una colluttazione, riesce a uccidere l’uomo. Daniella è arrabbiata con Rose perché avrebbe voluto uccidere lei Cortez, finché non si accorge che per salvarla la poliziotta è stata colpita con un proiettile a un braccio. Tre mesi dopo Daniella esce di prigione dopo aver scontato la sua pena per intralcio alla giustizia e Rose la va a prendere all’uscita. Cooper non è più lo zimbello del Dipartimento di Polizia ed è stata lodata per aver eliminato Cortez. Rose restituisce a Daniella le sue scarpe e va via insieme a Randy. U na fuga tutta al femminile, tra valigie piene di scintillanti scarpe col tacco e pistole maldestra- Tutti i film della stagione mente maneggiate, ecco il succo di questa commedia che vede duettare la bellezza tascabile di Reese Witherspoon e quella statuaria di Sofia Vergara. Genere essenzialmente femminile, la commedia ha la sua ragion d’essere nel gioco dei contrasti, da sempre fonte di grandi e gustose risate. Non fa eccezione questo film che ruota (esclusivamente) sul contrasto tra le due protagoniste. Ma, ecco le note dolenti, la versione rosa della “strana coppia” in fuga, questa volta affonda nelle sabbie mobili della prevedibilità. La regista Anne Fletcher, coreografa di successo poi passata alla regia (sua la pellicola ‘ballerina’ Step Up, seguito dalle non memorabili commedie 27 volte in bianco e Ricatto d’amore) confeziona un film che ha il suo motore proprio nel contrasto (fisico e non) tra le due protagoniste. Reese Whiterspoon è una poliziotta dal fisico gracile e dalla parlantina facile, figlia di un famoso poliziotto, è fin troppo ligia al codice della polizia da risultare petulante ma allo stesso tempo è molto sbadata, stupida e pasticciona (un suo clamoroso errore viene da tempo ricordato negli annali della polizia come “cooperata”) e per di più in perenne ricerca di un fidanzato che possa sopportarla. Sofia Vergara è la bellissima “moglie-trofeo” colombiana di un boss della droga, sempre in bilico su vertiginosi tacchi, fasciata un abiti ‘seconda pelle’, capelli sempre in perfetta piega, ricca e viziata. Ma nel presunto gioco di opposti tra le due, quella che risulta più odiosa e indisponente fin dalle prime battute è proprio la ‘piccoletta’ e logorroica agente di polizia mentre (ovviamente) la bellona tutta curve si rivelerà più intelligente e furba delle apparenze. E il gioco si fa duro (si fa per dire), perché la fuga è costellata di gag più o meno riuscite, tra ripetute allusioni ‘lesbo’, urletti, buffi inseguimenti, improbabili travestimenti (anche un cervo!), inni al girl power mentre si ridicolizzano uomini dal cervello piccolo piccolo. Tra un battibecco e l’altro, il plot di questo buddy-movie tutto rosa (tra l’altro molto simile al più riuscito Corpi da reato del 2013 con la coppia Sandra BullockMelissa McCarthy a giocare sugli opposti tipi femminili) non riserva grosse sorprese arrivando a un immancabile finale ambientato durante una ‘quinceañera’, la celebre festa per i quindici anni delle adolescenti, consuetudine di molti Paesi dell’America Latina. D’altronde, il titolo parla già da solo, cosa volete aspettarvi da una... Fuga in tacchi a spillo? E allora prendetela così, in fondo si tratta solo una commediola iper-leggera adatta a non pensare davvero a nulla se non alle curve della sexy bellezza colombiana di Sofia Vergara, lei si davvero un corpo da reato. Elena Bartoni PER AMOR VOSTRO Italia, Francia, 2015 Regia: Giuseppe M. Gaudino Produzione: Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri per Buena Onda, Dario Formisano per Eskimo, Gaetano Di Vaio per Figli del Bronx Produzioni, Giuseppe M. Gaudino e Isabella Sandri per Gaundri, Giovanni Cottone per Bea Production Company, Gianluca Curti per Minerva Pictures Group, Con Rai Cinema Distribuzione: Officine Obu Prima: (Roma 17-9-2015; Milano 17-9-2015) Soggetto: Giuseppe M. Gaudino Sceneggiatura: Giuseppe M. Gaudino, Isabella Sandri, Lina Sarti Direttore della fotografia: Matteo Cocco Montaggio: Giogiò Fraschini Musiche: Epsilon Indi Scenografia: Flaviano Barbarisi, Antonella Di Martino Costumi: Alessandra Torella A nna vive a Napoli in una famiglia problematica: un marito violento (Scaglione) e dedito Interpreti: Valeria Golino (Anna Ruotolo), Massimiliano Gallo (Gigi Scaglione), Adriano Giannini (Michele Migliaccio), Salvatore Cantalupo (Ciro Amoroso), Rosaria Di Cicco (Direttrice Studio TV), Elisabetta Mirra (Santina Scaglione), Daria D’Isanto (Cinzia Scaglione), Edoardo Crò (Arturo Scaglione), Virginia D’Abbrescia (Madre di Anna), Roberto Corcione (Padre di Anna), Massimo De Matteo (Salvatore Ruotolo), Simona Capozzi (Assunta Amoroso), Alfonso Postiglione (Don Vincenzo), Antonella Stefanucci (Madre di Anna giovane), Lello Radice (Padre di Anna giovane), Sara Tancredi (Anna bambina), Paola Casella (Attrice Studio TV), Luisa Esposito (Truccatrice Studio TV), Dani Samvis (Attrice Studio TV), Stefano Moffa (Aiuto Regista Studio TV), Vincenzo Pirozzi (Macchinista Studio TV), Stefano Jotti (Regista Studio TV) Durata: 109’ a loschi affari che comprendono sicuramente l’usura; tre figli, due ragazze, Santina e Cinzia alle prese con le difficoltà 15 dei propri anni che si uniscono a quelle della famiglia, soldi, frequentazioni, futuro e un ragazzo, Arturo, sordomuto Film ma intelligente e sensibile che adora la madre. Anna riesce a essere assunta in pianta stabile presso uno studio televisivo come suggeritrice, porta cioè il “gobbo” di cui scrive anche le parole a chiare lettere cosa che la fa apprezzare molto da tutto l’ambiente. A tal punto che uno degli attori della “soap” che stanno girando, Michele Migliaccio, si invaghisce di lei e tra un fiore e un complimento riesce a farne la sua amante anche se per brevissimo tempo. Migliaccio infatti non è una persona affidabile né sentimentalmente, né socialmente: è un giocatore incallito pieno di debiti contratti con i suoi complici di camorra e anche, guarda un po’, con Scaglione, il marito di Anna. Dopo avere scoperto la situazione in un drammatico incontro a tre, Anna denuncia Tutti i film della stagione tutto e tutti alla polizia; resterà sola con i suoi figli e potrà contare solo su se stessa, come è sempre stato nella sua vita. l regista Giuseppe Gaudino è di Pozzuoli, terra di misteri antichi e di dei infernali, di prodigiosi contatti con presenze sotterranee e di paurose leggende soffocate nelle esalazioni sulfuree di un’attività vulcanica sempre attiva. Tutto questo l’autore sente incosciamente quando costruisce il suo quadro cinematografico fatto di passato e presente, di illusione e realtà, di sogno e incubo, di avvenimenti reali e tangibili che diventano presto preda della fiaba napoletana da raccontare ai bambini ma densa di orrori e personaggi sanguinari. Anna, una Golino in stato di grazia e giustamente premiata a Venezia 2015 I è al centro di questo vulcano che lei ha da tempo risolto nella scelta grigia della sua vita priva di colori, d’amore ed entusiasmi. Si lascia vivere Anna, trovando sempre il modo di aiutare gli altri ma mai se stessa, ingolfata in una vita di necessità e cattiverie sempre rimosse, messe da parte. È una scelta perchè Anna sicuramente “vede”, ma preferisce il grigio di un’assenza visto che per lei la vita è la grigia assenza di ogni colore e di ogni palpito. Proprio quando il quadro sembra non poter cambiare mai, per Anna riparte la speranza: l’amore, la famiglia, la quotidianità delle sue giornate mescolano parossisticamente ogni colorazione in un vortice non più governasbile. Non ce la fa Anna a mantenere la padronanza di se stessa e della sua vita quando si accorge di quanto fosse illusorio il sorgere di quella poca luce: il suo autore la fa precipitare in un vulcano di colori che travolgono passato e presente e anche la sua narrazione; è eccessiva e fuorviante l’esplosione cromatica e le variazioni all’infinito dei suoi contrasti a esporre gli avvenimenti lontani e vicini che si spingono a reclamare visibilità nell’animo della protagonista. È un affastellamento di generi, musiche, suggestioni, reminiscenze, sogni che l’autore gonfia in un’ipertrofia immaginifica e surreale eppure densa di realismo. Si può non essere d’accordo con tutto questo, ma meglio fare i conti con un eccesso di materia, proposizioni e sistemi narrativi che con l’afasia (di racconti, di storie e di modalità espressive) che occupa spesso gran parte del nostro cinema. Fabrizio Moresco MISSION: IMPOSSIBLE – ROGUE NATION (Mission: Impossible – Rogue Nation) Stati Uniti, 2015 Regia: Christopher McQuarrie Produzione: Tom Cruise, J.J. Abrams, Bryan Burk, David Ellison, Dana Goldberg, Don Granger per Bad Robot, Skydance Productions, TC Productions Distribuzione: Universal Pictures International Prima: (Roma 19-8-2015; Milano 19-8-2015) Soggetto: Bruce Geller (serie Tv), Drew Pearce Sceneggiatura: Christopher McQuarrie Direttore della fotografia: Robert Elswit Montaggio: Eddie Hamilton Musiche: Joe Kraemer D opo una missione d’apertura ‘quasi’ impossibile in cui intercetta una vendita di gas Scenografia: James D. Bissell Costumi: Joanna Johnston Effetti: Elia P. Popov, Dominic Tuohy, David Vickery, Double Negative Interpreti: Tom Cruise (Ethan Hunt), Jeremy Renner (William Brandt), Simon Pegg (Benji Dunn), Ving Rhames (Luther Stickell), Rebecca Ferguson (Ilsa Faust), Sean Harris (Solomon Lane), Alec Baldwin (Alan Hunley, Direttore CIA), Katrina Vasilieva (Agente Doran), Andrew Zographos (Stephen Adams) Durata: 130’ nervino ad alcuni terroristi, l’agente dell’IMF (Impossible Mission Force), Ethan Hunt vuole provare l’esistenza del 16 Sindacato, un’organizzazione criminale internazionale ignota alla CIA. A Londra, Ethan viene catturato proprio dal Sinda- Film cato dopo essere stato narcotizzato. Hunt riesce a fuggire da una camera di tortura, allestita da Janik Vinter soprannominato “il dottore delle ossa”, grazie all’aiuto dell’agente dell’MI6 Ilsa Faust, da tempo infiltrata nel Sindacato. Nel frattempo, il direttore della CIA Alan Hunley e l’agente dell’IMF William Brandt testimoniano davanti a un comitato. L’IMF viene criticata per i suoi metodi distruttivi e spesso impropri. Hunley, a cui non piace Hunt, riesce a ottenere l’eliminazione dell’IMF, che viene incorporata nella CIA. L’agente Brandt avvisa l’amico Hunt consigliandogli di rimanere nascosto. Tagliato fuori dall’IMF, Ethan cerca di risalire al suo unico ricordo prima della cattura in un negozio di dischi in vinile: un uomo biondo con gli occhiali, identificato come l’ex agente dell’MI6 Solomon Lane. Sei mesi dopo, Hunt è ancora un fuggitivo, sulle tracce del Sindacato. Così decide di chiamare l’ex collega Benji Dunn per mettersi alla ricerca di Lane, che sospetta essere il leader del Sindacato. Durante una rappresentazione della “Turandot” all’Opera di Vienna, Hunt riesce a fermare tre cecchini, tra cui Ilsa Faust. Ma Hunt viene pesantemente biasimato per la morte del Cancelliere d’Austria durante la rappresentazione. Brandt decide di reclutare l’agente Luther Stickell per trovare Hunt prima che la Special Activities Division della CIA lo uccida. Brandt e Stickell riescono a rintracciare Ethan, Benji Dunn e Ilsa Faust in Marocco. Lì i tre riescono a infiltrarsi in un server segreto, nascosto sotto una stazione per il raffreddamento a liquido per cambiare i dati di accesso e permettere a Dunn di entrare in una camera blindata. Dopo aver rubato quella che credono essere la lista con i nomi di tutti gli agenti del Sindacato, Ilsa Faust prende i dati, contenuti in una chiavetta USB, e scappa. Ethan, la sua squadra, e alcuni membri del Sindacato, la inseguono invano. Ma Benji aveva già fatto una copia dei dati. Ilsa Faust torna a Londra per consegnare i dati e completare la missione entrando nel Sindacato, ma il suo manager della MI6, il losco Attlee, la costringe a continuare. Arrivata da Lane, insieme scoprono che Attlee ha cancellato i dati nel drive, che conteneva una red box del governo Britannico, che richiede l’intervento del Primo Ministro inglese per effettuare l’accesso. Così gli ex agenti dell’IMF si incontrano con Ilsa Faust, ma quando gli uomini di Lane rapiscono Dunn, le viene ordinato di consegnare una copia decriptata del drive a Lane. Hunt capisce che l’uomo ha un piano per ottenere il file; Tutti i film della stagione concordando che il modo per fermarlo sia affrontarlo, Hunt accetta la proposta. Come previsto da Hunt, Brandt rivela le loro posizioni a Hunley. Durante un’asta di beneficienza, Hunley, Brandt e Attlee portano il Primo Ministro in una stanza privata per proteggerlo da Hunt. Ottenuta la conferma dell’esistenza del Sindacato, Attlee si rivela essere Hunt con una maschera. Quando arriva il vero Attlee, Hunt lo costringe ad ammettere di essere stato l’iniziatore del Sindacato, e di averlo tenuto segreto da quando Lane aveva dirottato il progetto. Stickell intanto scopre che il file contiene l’accesso a miliardi di dollari. Hunt distrugge il file e dice a Lane di aver memorizzato i dati, al fine di costringerlo a rilasciare Dunn e Faust in cambio di ciò che sa. Dunn fugge da Stickell e Brandt mentre Ethan e Faust si dividono per non essere raggiunti dagli uomini di Vinter. Ilsa uccide Vinter con una coltellata e Ethan attira Lane in una cella dove viene gasato, esattamente come Hunt all’inizio del film, e fatto prigioniero. Hunley e Brandt ritornano davanti al comitato. Hunley richiede il ripristino dell’IMF, confessando che lo aveva bloccato per permettere a Hunt di operare sotto copertura; i capi del comitato accettano il ritorno dell’IMF. Brandt si congratula con Hunley, il nuovo segretario. a sequenza d’apertura la dice lunga: Ethan Hunt è appeso a mani nude su un grande Airbus A400M Atlas che sta per decollare. Subito dopo, Hunt e la sua organizzazione, la IMF, vengono rinnegati dalla CIA. La IMF viene messa sotto processo perché considerata pericolosa (non solo, le missioni portate a termine con successo sono reputate più dettate dalla fortuna che dall’abilità degli agenti). Ma il grande e vero pericolo viene questa volta dal Sindacato, fantomatica quanto misteriosa organizzazione criminale composta da ex agenti speciali. Gli uomini dell’IMF, Hunt in testa, vogliono stanare ed eliminare il Sindacato il cui fine è creare disordine mondiale attraverso una serie di atti di terrorismo. Con la IMF ufficialmente sciolta dalla CIA, Ehan Hunt dovrà dare la caccia ai vertici del Sindacato. Sulla carta sembrava una ‘missione impossibile’ e invece lui, Tom Cruise, cinquantatrè anni e non sentirli, ce l’ha fatta ancora una volta: più e meglio di prima. Diciannove anni dopo il primo film (era il 1996, alla regia c’era Brian De Palma), il quinto capitolo della saga adrenalinica Mission: Impossible (sottotitolo Rogue Nation) L 17 colpisce nel segno, complice una regia senza sbavature del talentuoso Christopher McQuarrie (già sceneggiatore premio Oscar nel 1995 per il thriller-capolavoro I soliti sospetti). Nuova regia, nuova squadra di sceneggiatori (Drew Pearce e McQuarrie), un gruppo di comprimari d’eccellenza (Jeremy Renner e Alec Baldwin in testa, tallonati dal fascino enigmatico della svedese Rebecca Ferguson nei panni della misteriosa agente Ilsa Faust) e una star inossidabile, un Tom Cruise più in forma che mai. Senza fiato… letteralmente. La Mission Impossible numero cinque di Tom Cruise è davvero senza respiro: un ritmo travolgente (il film colleziona un numero elevato di sequenze adrenaliniche), una messa in scena impeccabile, una serie di volti e luoghi indovinatissimi. Vera anima di tutta la serie di missioni impossibili, anche questa volta Cruise è il film (oltre che interprete è anche produttore). In tutto e per tutto. In rapida sequenza lo si vede, dopo il volo iniziale, cecchino durante una rappresentazione della “Turandot” all’Opera di Vienna (una delle scene più belle del film che non può non ricordare la magistrale sequenza finale dell’hitchcockiano L’uomo che sapeva troppo), abile subacqueo in apnea, motociclista spericolato, in 132 minuti di missioni al cardiopalma, capovolgimenti di fronte e sorprese à go-go. Dalla Vienna notturna ed elegante, alla solare e polverosa Casablanca (l’inseguimento prima in auto e poi in moto è da brividi), l’avventura regala perle da action spionistico di alto livello, complice un cast perfetto. Da Alec Baldwin, capo della CIA intenzionato a far cadere Hunt e i suoi, a Jeremy Renner, arguto braccio destro del protagonista nonché campione di ironia e dissimulazione, a Simon Pegg, l’inseparabile amico Benji, simpatico ‘nerd’ da scrivania catapultato nel bel mezzo dell’avventura, a Sean Harris cattivone di turno. Menzione speciale per la svedese Rebecca Ferguson nei panni della misteriosa spia britannica Ilsa Faust, erede 2.0 del fascino alla Ingrid Bergman, bellezza raffinata e sensuale (occhio allo spacco vertiginoso dell’abito da sera con cui fa la sua apparizione all’Opera di Vienna). Frecciatine antibritanniche sulle relazioni tra Inghilterra e Stati Uniti (in presenza del Primo Ministro inglese) e istruzioni per una missione ad alto rischio fornite da una voce registrata su un vecchio vinile in un negozio di dischi londinese dall’atmosfera retrò: sono solo alcuni esempi dei lampi di genio di una sceneggiatura attentissima. Film Di tutto e di più. McQuarrie alla regia è davvero una sorprendente scoperta e infonde nuova linfa vitale a una saga che aveva già dalla sua incassi stellari grazie a Tutti i film della stagione registi del peso di John Woo, J. J. Abrams e Brad Bird. Questa volta di meglio non si poteva fare, l’imperativo è mettersi comodi e gu- starsi un’avventura dove davvero nulla è impossibile. Elena Bartoni SICARIO (Sicario) Stati Uniti, 2015 Regia: Denis Villeneuve Produzione: Thunder Road Pictures Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 24-9-2015; Milano 24-9-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Taylor Sheridan Direttore della fotografia: Roger Deakins Montaggio: Joe Walker Musiche: Jóhann Jóhannsson Scenografia: Patrice Vermette Costumi: Renée April Effetti: Cinesite, Oblique FX, Lidar Guys, Fly Studio D urante un’imboscata l’Fbi scopre decine di cadaveri nascosti nei muri, con la testa sigillata in sacchetti di plastica. Per allargare la squadra che va a caccia dei mandanti di quel massacro la Cia arruola Kate, la giovane agente dell’Fbi che ha partecipato all’imboscata rivelatrice, anche se la donna è un’esperta di rapimenti. La speciale task force in cui viene trasferita, accompagnata da un suo amico e collega, appronta una missione che non intende solo arginare il narcotraffico al confine tra Stati Uniti e Messico, ma distruggere i potentati messicani che lo organizzano e controllano, esercitando il terrore. A guidare l’impresa, insieme al capo americano della squadra, Matt Graver, un uomo che si dice procuratore messicano, Alejandro. La squadra, che ha intenzione di portare in Arizona da El Paso il fratello di un noto boss mafioso, arriva a Juarez, in Messico. Lì la legge e il protocollo perdono di significato e dunque la violenza regna sovrana. Sono all’ordine del giorno morti impiccati sotto i ponti, sgozzati, o squartati e spari in lontananza come fuochi d’artificio. Ma, proprio l’ingresso violento in territorio americano di questo eccesso di violenza, convince Kate a mettere mano alle armi e ad accettare l’incarico, nonostante faccia fatica a convincersi di quanto ci sia di meschino dietro il progetto e la spedizione. La donna, infatti, si trova coinvolta in qualcosa più grande di lei e si accorge di essere tenuta all’oscuro di molti segreti e retroscena. Catapultata in qualcosa che non riesce a capire, a cui non riesce a dare un nome, si rende conto di assistere Interpreti: Benicio Del Toro (Alejandro), Emily Blunt (Kate Macer), Josh Brolin (Matt), Jon Bernthal (Ted), Victor Garber (Dave Jennings), Daniel Kaluuya (Reggie Wayne), Jeffrey Donovan (Steve Forsing), Raoul Trujillo (Rafael), Julio Cedillo (Fausto Alarcon), Lora Martinez-Cunningham (Jacinta), Maximiliano Hernández (Silvio), Dylan Kenin (Charlie), David Garver (Bob Fisks), Bernardo P. Saracino (Manuel Diaz), Jesus Nevarez-Castillo (Eliseo), Kevin Wiggins (Burnett), Matthew Tompkins (Jessie Garza), Edgar Arreola (Guillermo) Durata: 121’ impotente a una discesa agli inferi, in cui non ci sono leggi, in cui la regola è il caos. Un gioco in cui scopre, quando già è tardi, di avere il ruolo di esca e non sa chi fa la parte del “buono” e chi del “cattivo”. Alejandro è in realtà un killer, un mercenario colombiano, che combatte per chi paga e nel contempo persegue un suo personale obiettivo: vendicarsi di chi ha brutalmente ucciso la sua famiglia. L’uomo, dopo aver salvato Kate da un poliziotto corrotto ed eliminato senza scrupoli tutti coloro che ostacolavano la sua vendetta, costringe Kate a firmargli un accordo in cui dichiara l’integrità dell’operazione. La donna, contro ogni moralità e giustizia, si trova nella situazione di dover accettare per forza. In un campetto da calcio dei bambini giocano, finché degli spari non troppo distanti li interrompono. Ma solo per un istante e il gioco riprende come se nulla fosse. resentato a Cannes dal regista canadese Denis Villeneuve, Sicario è un crime action che si incrocia con il genere bellico. Una storia, sporca e cattiva, in cui c’è di mezzo la guerra statunitense, con pericolose e ambigue alleanze con il Messico e i cartelli messicani, clan padroni di intere regioni, tra le realtà più feroci sulla faccia della terra. Il regista tira fuori tutto il suo senso per il male e per il massacro, per la violenza umana, in una messinscena che trasforma una storia di genere in discesa all’inferno. Viene abbattuta ogni barriera tra bene e male, essendo tutti malvagi, a parte l’angelica agente Fbi Emly Blunt cui tocca, come dire, rappresentare il raggio di P 18 luce nelle tenebre. Si ricorre oltre la norma al campo lungo, a confondere i protagonisti con il paesaggio e la folla, minimizzandone quando non necessario gli atti e le parole. Perché tutti sono ugualmente partecipi, vittime o carnefici, del grande massacro, tutti sono dei vivi già all’inferno. Fino alla resa dei conti finale, un bagno di sangue che è pura tragedia, dove anche gli innocenti pagheranno, in una sorta di catarsi purificatrice. Il bene non sta da nessuna parte, sembra dirci Villeneuve. Con un altro dei suoi cupi affreschi prosegue il percorso di denuncia degli Stati Uniti iniziato con Prisoners, il suo primo film americano. I temi sono identici, qui più estremizzati: la volontà di mantenere un ordine a tutti i costi e la consapevolezza di trovarsi sempre e comunque di fronte a un caos, all’impossibilità di proteggere i propri figli da un’escalation di violenza, che non guarda in faccia nessuno. C’è una disumanizzazione di chi si fa carico di “fare pulizia”. L’universo di Sicario risulta privo di pietà e di senso e sembra dirci che, attraversando le frontiere fra Messico e Stati Uniti, fra brutalità e apparente civiltà, ci sono confini che è meglio non attraversare. L’incipit del film, folgorante, orchestrato con ritmi sonori martellanti è davvero d’impatto. Ma è solo l’inizio: poi la narrazione segue coordinate definite, sempre intrise di ambiguità, in un implacabile crescendo, non abbandonando mai quella prospettiva di inesorabilità. Che siano riprese aeree sul caldo deserto o su agglomerati di case dall’inquietante ordine, che siano le concitate riprese strette nelle vie dell’inferno urbano di Juarez o ancora i primi piani sul volti segnati dei Film personaggi, tutto è caratterizzato dall’assuefazione alla violenza. La tensione è palpabile e accelera i battiti del cuore, la violenza scorre facendosi portatrice di paura, che si fa tangibile alla rivelazione del sicario, anima nera, votata all’indicibile necessità di ottenere “ordine” da parte di un sistema perverso e corrotto fin nelle viscere. E Kate, da semplice osservatrice, Tutti i film della stagione diventerà suo malgrado complice di un cinismo e una crudeltà che appaiono come conclusioni morali. La regia dà l’illusione che veramente il mistero si stia infittendo, con i suoi meccanismi atti a ipnotizzare lo spettatore. Carrellate, primi piani, simmetrie e asimmetrie, chiaroscuri, fino alla bellissima sequenza della camera termica alternata alla visione notturna. Il personag- gio di Emily Blunt è certo la forza trainante dell’intera pellicola, ma tutta la giostra che la circonda non ha mistero, non regge allo spessore che i personaggi dovrebbero avere. Tranne Benicio del Toro, che come sempre non delude le aspettative e appare più cattivo che mai. Veronica Barteri TED 2 (Ted 2) Stati Uniti, 2015 Regia: Seth MacFarlane Produzione: Scott Stuber, Seth MacFarlane, Jason Clark, John Jacobs per Fuzzy Door Productions, Bluegrass Films Distribuzione: Universal Pictures International Prima: (Roma 25-6-2015; Milano 25-6-2015)V.M.: 14 Soggetto e Sceneggiatura: Seth MacFarlane, Alec Sulkin, Wellesley Wild Direttore della fotografia: Michael Barrett Montaggio: Jeff Freeman Musiche: Walter Murphy Scenografia: Stephen Lineweaver L a storia di Ted 2 riprende dopo che è passato un po’ di tempo dalla prima avventura. Siamo sempre a Boston, dove vivono i due grandi amici, John Bennet e il suo inseparabile orsetto di peluche, Ted. John è di nuovo single dopo la fine dell’unione con Lori, mentre Ted convola a nozze con la sua vistosa e bionda collega Tami-Lynn. Ma neanche l’unione di un orsetto con una donna è esente da problemi: e così la coppia, per cercare di salvare il matrimonio, decide di avere un bambino. Dopo una serie di tentativi andati male (o anche peggio) di trovare un donatore di sperma, viene fuori che Tami-Lynn è sterile per colpa delle troppe droghe assunte. E così la coppia opta per l’adozione: l’assistente sociale però riferisce che Ted, essendo un orsacchiotto di peluche, agli occhi dello Stato non è una persona, ma un “bene”. L’indagine federale che ne consegue sancisce l’invalidità del matrimonio di Ted, la perdita del lavoro, il blocco del conto in banca e della carta di credito. John consiglia a Ted di rivolgersi al tribunale e, dal momento che non possono permettersi un avvocato, il loro caso viene assegnato alla giovane Samantha Leslie Jackson, legale alle prime armi. In un primo momento Ted e John sono diffidenti, ma cambiano rapidamente idea quando scoprono che Samantha condivide la loro Costumi: Cindy Evans Effetti: Blair Clark, Iloura Interpreti: Mark Wahlberg (John Bennett), Amanda Seyfried (Samantha L. Jackson), Giovanni Ribisi (Donny), John Slattery (Shep Wild), Jessica Barth (Tami-Lynn), Morgan Freeman (Patrick Meighan), Patrick Warburton (Guy), Bill Smitrovich (Frank), Sam J. Jones (Flash Gordon), Michael Dorn (Rick), John Carroll Lynch (Tom Jessup), Tom Brady (Donatore per Ted), Dennis Haysbert (Medico specialista della fertilità), Jay Patterson (Karl Jackson), Liam Neeson (Cliente) Durata: 119’ passione per la droga, in particolare della marijuana (che la ragazza dice di usare per scopi terapeutici). Nel frattempo, Donny, (il rapitore di Ted nel primo film) è in libertà vigilata e lavora ora come bidello nella sede della Hasbro Toy Company. Donny convince il capo dell’azienda ad assumere un avvocato esperto per far perdere la causa a Ted, con l’obbiettivo di catturarlo e scoprire il segreto per creare orsacchiotti viventi. Dopo un lungo dibattito, il tribunale si pronuncia contro Ted. Disperati, Samantha, Ted e John decidono di rivolgersi a Patrick Meighan, un avvocato dei diritti civili di grande fama, nella speranza di ribaltare la decisione della corte. I tre si mettono in viaggio per New York per incontrare l’avvocato, ma per colpa della guida spericolata di Ted, l’auto sbanda prima di arrivare all’aeroporto. Seduti intorno a un falò in un bosco, Samantha e John si sentono molto attratti l’uno dall’altra. La mattina dopo, il gruppo arriva a New York. Meighan è un uomo affabile, ma alla fine rifiuta il caso, perché pensa che Ted non abbia contribuito in modo responsabile all’umanità a causa del suo stile di vita fatto di comportamenti scurrili e abuso di stupefacenti. Geloso del rapporto creatosi tra John e Samantha, Ted se ne va e si reca al Comic-Con. Donny lo segue, quando se 19 ne accorge, Ted comincia a correre; ruba un telefono e contatta John, ma prima che lui possa rispondere, viene catturato da Donny. John e Samantha arrivano al Comic-Con poco prima che Donny possa fare a pezzi Ted. I due liberano Ted, ma Donny taglia i cavi che reggono una grande finta astronave. John getta Ted lontano per evitare che venga schiacciato. Ma John viene colpito. Donny è di nuovo arrestato per tentato omicidio premeditato. John è in coma per il colpo che ha preso. Il ragazzo passa una notte all’ospedale: Ted, Samantha e Tami-Lynn appena arrivata, sono accanto a lui. Il mattino seguente il dottore afferma che John è morto: ma è solo uno scherzo di John. Subito dopo, il quartetto riceve una visita di Meighan, che, saputa la notizia dell’incidente, decide di accettare il caso di Ted. Il verdetto della giuria viene ribaltato e Ted è riconosciuto a tutti gli effetti come una persona. John e Samantha si fidanzano. Poco tempo dopo, i quattro festeggiano l’adozione di un bambino da parte di Ted e Tami-Lynn. John e Samantha gli regalano un orsetto, augurandogli che prenda vita. rsacchiotto o essere umano? Una mera ‘proprietà’ o una persona? Il dilemma si fa (quasi) serio nell’atteso follow up del grande successo del 2012 O Film che vedeva protagonista l’orsetto più vizioso e sboccato che si sia mai visto sul grande schermo, Ted appunto. Il ‘deus ex machina’ di quell’exploit, Seth MacFarlane, torna nelle vesti di attore, regista e voce (oltre che corpo nascosto dentro una tuta motion capture) di Ted 2. Questa volta si affronta un problema cruciale: legalizzare o no l’irresistibile orsetto? Questa volta però si alza decisamente il tiro: perché dimostrare che un orsacchiotto è un essere umano non è cosa semplice. Il dito è puntato sulla necessità tutta umana di catalogare le persone in piccoli gruppi. E così la storia dell’emarginazione di Ted è un po’ come quella della discriminazione verso i gay o i neri. E la battuta della giovane avvocatessa liberal, cade a fagiolo a rendere chiaro il messaggio: “in ogni battaglia per i diritti civili siamo in grado di riconoscere il giusto punto di vista solo anni dopo il fatto: mai quando il conflitto è in corso”. Trovare la personalità giuridica di Ted che rischia di essere bollato come “property”, cioè “un bene”, fa scivolare il film verso un finale da favoletta dove la battaglia dell’orsetto per il riconoscimento di ‘essere dotato di sentimenti’ ha un esito a dir poco scontato. Ma quello che diverte è altrove. Ricco di citazioni cinefile e omaggi (un titolo su tutti Jurassic Park), gag più o meno volgari (la scena nel laboratorio dei campioni di sperma), o irresistibili (il Tutti i film della stagione pasticciato ‘volo’ commesso da un Ted improvvisato automobilista che finisce con l’auto direttamente dentro un fienile), inseguimenti (al cardiopalma quello in un campo di marijuana), il film diviene pirotecnico soprattutto nella seconda parte, a dispetto del plot scontato. La comicità del vecchio e illustre stile slapstick (voli, salti, pugni e porte in faccia) si mescola alla perfezione con i prodigi della tecnologia del terzo millennio che fa animare un orsetto di peluche inserendolo in un contesto live action senza la minima sbavatura, tra corsette e scazzottate. I movimenti dell’orsetto, il doppiaggio, l’interazione con gli attori in carne e ossa e l’ambiente, tutto è perfettamente congegnato per garantire incassi stellari, come da copione per tutti i sequel di grandi successi. Operazione furbetta o meno, non si può comunque non riconoscere l’abilità del ‘factotum’ Seth MacFarlane di frullare alto e basso, comicità scurrile e citazionismo, sesso e droga, in una commedia che sa far ridere ma che sa anche essere una satira al vetriolo sulla moralità e le abitudini dell’uomo comune (guardate che fine fanno gli appassionati di jogging), giocando duro e con tutta la scorrettezza possibile (arrivando a ridurre in polvere perfino un gruppo di comici da cabaret tirando in ballo questioni spinose come l’11 settembre o Charlie Hebdo). I personaggi dell’universo-Ted fanno alla grande la loro parte: dalle vecchie conoscenze come la vistosa ‘biondona’ Tami –Lynn (Jessica Barth), lo psicopatico Donny (un perfetto Giovanni Ribisi) che ordisce un nuovo piano per rapire Ted, il ‘vero’ supereroe Flash Gordon alias Sam J. Jones, fino alle new entry Amanda Seyfried (avvocatessa volenterosa ma alle prime armi) e il grande Morgan Freeman nei panni di una star del foro (eh si, ci voleva proprio lui per dirimere la questione). Metteteci poi un losco boss di una multinazionale di giocattoli (John Carroll Lynch) in combutta con il folle Donny per rapire Ted e poterlo studiare e replicare, un asso della giurisprudenza che deve guidare l’accusa contro Ted (John Slattery) e camei di lusso come quello del quarterback dei New England Patriots Tom Brady (un potenziale donatore di sperma per Ted) e il piatto è servito. Perso (inevitabilmente) l’effetto-sorpresa del primo capitolo, il risultato di questo sequel è comunque piacevole: dall’incipitomaggio al musical hollywoodiano, al finale rutilante ambientato durante il Comic-Con di New York (gli appassionati del genere avranno di che deliziarsi). Ma, attenzione, Ted 2 non è roba da bambini, proprio no. Basta guardare l’orsetto fumare marijuana da uno strano… ‘coso’ (anche se l’inquietante radiografa di un cervello “fumato” è una bella trovata). Elena Bartoni PADRI E FIGLIE (Fathers and Daughters) Italia, Stati Uniti, 2015 Regia: Gabriele Muccino Produzione: Voltage Pictures in coproduzione con Busted Shark Productions, Fear of God Films, Andrea Leone Films Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 1-10-2015; Milano 1-10-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Brad Desh Direttore della fotografia: Shane Hurlbut Montaggio: Alexandro Rodriguez Musiche: Paolo Buonvino Scenografia: Daniel B. Clancy Costumi: Isis Mussenden Effetti: EDI – Effetti Digitali Italiani J ake Davis è uno scrittore che ha già vinto un premio Pulitzer. Quando sua moglie muore in un incidente d’auto, Jake si ritrova a dover crescere la figlia Katie da solo e a gestire una serie di problemi fisici e mentali che lo costringono a un temporaneo ricovero presso un ospedale psichiatrico. Interpreti: Russell Crowe (Jake Davis), Amanda Seyfried (Katie Davis), Aaron Paul (Cameron), Diane Kruger (Elisabeth), Quvenzhané Wallis (Lucy), Bruce Greenwood (William), Janet McTeer (Psicanalista), Kylie Rogers (Katie bambina), Jane Fonda (Theodora), Octavia Spencer (Dott. ssa Corman), Haley Bennett (Stacey), Ryan Eggold (John), Brendan Griffin (Evan), Claire Chapelli (Nancy), Chris Douglass (Brian), Michelle Veintimilla (Michelle), Matt Scheib (Michael), Jake Scheib (Andrew), Jason McCune (Jon Wilton), Darren Eliker (Dott. Barrett), Santiago Veizaga (Diego) Durata: 116’ Purtroppo Katie viene affidata alla zia Elisabeth, sorella della madre defunta e a suo marito John, avvocato blasonato, che nutrono verso Jake un profondo rancore. Jake riprende la figlia appena uscito dall’ospedale, sette mesi più tardi. Sembra che le crisi siano migliorate, ma solo per un breve periodo gli concedono 20 tregua. Due piani temporali distanti tra loro ventisette anni ci mostrano Katie, ormai adulta, che vive a New York. È diventata un’assistente sociale che si occupa di bambini disagiati. In particolare, le danno in affidamento una bambina che non parla più, dopo che ha visto uccidere la madre prostituta. Nel tempo Film libero, tenta di domare i propri demoni, concedendosi a chiunque, ma rifiutando di instaurare legami che vadano oltre il sesso occasionale. Il grande amore che ha provato per il padre le ha lasciato un vuoto incolmabile e ha fatto di lei una persona in grado di aiutare gli altri, ma non se stessa. Jake non se la passa troppo bene neanche economicamente. Il nuovo romanzo pubblicato dopo il lungo periodo di crisi sembra essere stato un vero flop. Oltre ai problemi economici, anche gli attacchi di epilessia rendono la vita dello scrittore e della figlia sempre più precaria. Gli zii, vista la difficile situazione, pretendono l’affidamento di Katie e, dopo aver provato a convincere Jake con le buone, ricorrono alle vie legali. Intanto, su suggerimento della figlia, lo scrittore inizia a scrivere un nuovo romanzo ispirato alla loro storia. Ormai nessuno più crede in lui, tranne la sua agente e amica. Tra uno sconosciuto e l’altro, Katie incontra Cameron, giornalista freelance ammiratore dello scrittore Jake. Quando scopre che Katie è la “patatina” protagonista del best-seller di Davis “Padri e figlie”, l’ammirazione per il padre diviene amore per la figlia. L’incapacità di amare di Katie però causa alla coppia non pochi problemi, dovuti anche allo spettro di un padre che non c’è più, ma che anche da inesistente si intromette fra loro continuamente. Katie riesce a rovinare anche il rapporto con Cameron, tradendolo con un altro. Durante uno dei soliti attacchi, più violento del solito, Jack sbatte la testa contro il termosifone e muore. Poco dopo la sua morte, il suo romanzo “Padri e figlie” vince il premio Pulitzer. Katie capisce l’importanza del ragazzo e finalmente gli confessa il proprio amore. lla sua quarta esperienza americana, Gabriele Muccino conferma di essere uno dei pochi registi italiani in grado di saper lavorare bene a Hollywood, senza tradire se stesso e senza lasciarsi intimidire dal peso divistico degli interpreti. Dopo il deludente Quello che so sull’amore di un paio di anni fa, che fu in qualche modo rinnegato dallo stesso regista, con Padri e figlie pare aver ritrovato il suo stile. Proprio quello che gli aveva regalato il meritato successo con Il segreto della felicità. Una pellicola che ci parla del peso delle ferite dell’infanzia, nel cammino verso la maturità emotiva e illustra quanto il dolore di una perdita possa tradursi in paura d’amare. La sceneggiatura delinea l’evoluzione, nell’arco di circa venticinque A Tutti i film della stagione anni, della toccante e drammatica storia d’amore tra un padre e una figlia. Uno dei rapporti più ancestrali, primordiali e profondi che esistano. Il complesso di Elettra insegna. Fedele al suo registro narrativo melodrammatico, Muccino sceglie di contenere le emozioni invece che lasciarle traboccare e segue gradualmente la progressione esteriore e interiore della storia, pur muovendosi su due diversi piani, come mescolando due film, attraverso continui salti temporali. Lavorando su una sceneggiatura preesistente e all’interno di una macchina produttiva come quella statunitense, però riesce a valorizzare il film con la cifra d’autore. Quel modo di far lievitare la storia attraverso le emozioni e far acquisire ai protagonisti la forza necessaria per superare gli ostacoli, spingendoli a compiere azioni esagerate, al cospetto di imprese titaniche, ad alto rischio fallimentare. I personaggi di Muccino sono tutti antieroi alle prese con le difficoltà della vita, che non si arrendono neanche quando il rischio del fallimento è quasi certo. Il film parla di crescita; ogni uomo è il risultato di ciò che ha vissuto da bambino. Siamo spugne viventi ed è proprio così che diventiamo adulti, misurandoci con la proiezione di chi desideriamo essere e chi invece siamo veramente. Il racconto, d’impianto melodrammatico, si muove con tempi lenti, per entrare nell’armonia affettiva che genererà quell’unione profonda tra figlia e padre. L’amore è il vero conduttore del rapporto. La malattia invalidante di Jake non fermerà la voglia di farcela, per tenersi la sua “patatina”, così come la malattia psicologica che costringe Katie a relazioni sbagliate troverà la terapia giusta, riconoscendo il vero amore. Partendo da quello che il regista ha definito un “microcosmo di umanità ferite”, il film mette in scena vita 21 vera ed emozioni universali, puntando quasi a costituire una seduta di terapia di gruppo per il pubblico in sala. Inizialmente confusa dall’estemporaneità dei fatti, la pellicola trova poi il suo punto di forza proprio nel tipo di regia e nel suo linguaggio ellittico, così come nella fotografia pulita, pronta a illuminare con diverse tonalità le fasi della vita. Passato, presente e futuro appaiono allora in armonia e compenetrati tra loro, come nella scena davanti alla sua scuola, quando una strategica sovrapposizione temporale fa sì che Katie riviva un momento della sua fanciullezza. Attimo di pura poesia visiva. E poi l’enfasi della musica e il dinamismo della recitazione di pancia. Il meglio infatti, come sempre, viene con gli attori. Russell Crowe in un personaggio così dolce e intenso raramente lo avevamo visto. Seppure un po’ appesantito, tira fuori tutta la sua tempra da combattente. Diane Kruger, la cui bellezza algida ed elegante ben si adatta ad interpretare la zia gelida e rancorosa, dipinge in poche scene una donna sconfitta, mentre Jane Fonda, nei panni dell’agente di Jake, è sempre fantastica anche nell’offrirci un ruolo marginale. Amanda Seyfried, attrice conosciuta in Mamma mia, qui appare finalmente come un’attrice vera. Ma su tutti spicca l’undicenne Kylie Rogers, per la prima volta sullo schermo, che si porta a casa una prova di recitazione magistrale. Il cast, insomma, è scelto con il bilancino e tutti danno il meglio, come spesso capita agli attori di Muccino. Lui, in compenso, torna a quella complessa essenzialità, condita da sentimenti forti e una maturità emotiva, mettendoci tanto di suo, che, questa volta, il film sembra essergli davvero cucito addosso. Veronica Barteri Film Tutti i film della stagione PARTISAN (Partisan) Australia, 2015 Regia: Ariel Kleiman Produzione: Warp Film Australia, Animal Kingdom Distribuzione: I Wonder Pictures Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Sarah Cyngler, Ariel Kleiman Direttore della fotografia: Germain McMicking Montaggio: Chris Wyatt, Jack Hutchings Musiche: Daniel Lopatin Scenografia: Steven Jones-Evans, Sarah Cyngler Costumi: Maria Pattison, Sarah Sarah Cyngler Effetti: Murray Curtis U n uomo di spalle, coperto di cicatrici, in una camerata squallida e disadorna dove s’intravedono solo soldi e pistole, tira su un vecchio tavolo dal pavimento. Lo stesso uomo, lavato e azzimato, attraversa i corridoi di un ospedale, poi entra in una stanza e si siede al capezzale di Susanna, una donna che ha appena partorito, le sorride dolcemente, le parla del figlio Alexander. Stacco. A distanza di anni Gregori, l’uomo solitario dell’inizio, governa una comunità nascosta in una specie di bunker tra le montagne, nella periferia di una città in un imprecisato paese di quel che sembra un remoto andito dell’Europa dell’Est. Alexander è ormai un giovane adolescente: alla sua festa di compleanno, oltre alla madre, partecipano i suoi numerosi fratellastri e le loro rispettive madri, tutti presumibilmente scelti e invitati nello stesso luogo da Gregori. In una sorta di fortezza celata al mondo, tra stanze e stanzette, intorno al cortile interno che è parco giochi, orto e pollaio, le donne condividono una vita riparata e protetta ma comunque segregata accanto a Gregori, quasi come tante concubine, i figli e le figlie delle quali sono per l’uomo e per tutta la comunità la vera fonte di sostentamento: oltre all’aiuto nell’orto, ai giochi e allo studio i piccoli sono addestrati come un piccolo esercito di killer, uccidendo su commissione perfetti sconosciuti fuori, nel mondo oltre i tunnel che li separano e li nascondo agli occhi degli altri. Un giorno Gregori porta nel cortile del bunker una nuova donna, Rosa, e con lei i due figli, un neonato e un bambino della stessa età di Alexander. Leo dimostra subito una personalità matura e difficile che si sottrae alle manie patriarcali dolci ma ferme del capo Gregori. Fino a che, preoccupato per il destino dei polli votati alla Interpreti: Vincent Cassel (Gregori), Jeremy Chabriel (Alexander), Zsofia Stavropoulos (Bella), Wietse Cocu (Felix), Katalin Hegedus (Magdalena), Daniel Vernikovski (Andre), Samuel Eydlish (Ruben), Csenge Birloni (Ruth), Sosina Wogayehu (Penelope), Kidus Melaku (Robert), Anastasia Prystay (Ariana), Florence Mezzara (Susanna), Timothy Styles (Gary), Sapidah Kian (Maria), Oscar Dahlberg (Oscar), Alexander Kuzmenko (Elis), Alexander Dahlberg (Nicholas), Natalia Gorbacheva (Sylvia) Durata: 98’ morte per sfamare la comunità, Leo non gli si oppone in modo drastico minacciandolo fisicamente e occupando con la forza il pollaio. L’uomo finge calma e proibisce a chiunque di avvicinare il ragazzo. L’unico che disubbidisce e che rompe l’isolamento forzato di Leo è Alexander, affascinato dall’indipendenza del compagno. Dall’ignaro ragazzo Alexander apprende, in un dialogo segreto, il piano di Gregori di far sparire per sempre Rosa e Leo, ufficialmente invitati a fare una passeggiata fuori dal recinto. Alexander tace in attesa che gli eventi gli chiariscano le idee. Il giorno seguente Gregori, all’alba, annuncia quasi in lacrime che Leo e Rosa sono, con suo sommo sgomento, spariti dal bunker. Sono così confermate le paure di Alexander. Passano i mesi. Susanna è incinta e fervono i preparativi per accogliere il fratellino di Alexander tra i bambini del bunker. Intanto tra lui e Gregori non smette di crescere una tensione silenziosa. Il bambino seguita a portare a termine le sue missioni da sicario sempre più attratto e tentato dall’esplorazione del mondo esterno e sempre più in dubbio sugli insegnamenti ricevuti da Gregori. Quando Susanna dà alla luce suo figlio, Gregori invita dolcemente Alexander a prenderlo in braccio e lo incita a proteggere d’ora in poi la mamma e il fratellino contro chiunque ne minacci la salute. Passano pochi giorni; al rientro dell’ennesima missione, Alexander toglie dalle mani di Gregori il fratellino e fugge via dentro a uno dei tunnel che sboccano all’esterno. Quando Gregori lo raggiunge e lo fronteggia, inaspettatamente Alexander, con il fratellino in braccio, gli punta la pistola contro artisan è l’esordio nella regia di lungometraggio del giovane australiano Ariel Kleiman, lanciato, in coppia con la fidanzata e cosceneggia- P 22 trice Sarah Cyngler, dal Sundance Film Festival che ha avuto il merito di sceglierne e premiarne il primo cortometraggio, nel 2010, e poi attraverso il Sundance Institute, sostenere lo sviluppo di questo primo cimento nella lunga durata. Le citazioni e i riferimenti cinematografici e letterari sono molti e piuttosto facili da rintracciare, ma la coppia Kleiman-Cyngler ha scritto e progettato il film come una favola semplice, essenziale, lineare, fondata sulla sintesi e sull’ellissi, raccontando per dettagli e per salti temporali e tralasciando di fornire punti di riferimento e contesto. In questo modo, per chiaro obiettivo strategico, il film si presta a molte letture sovrapponibili allo schema minimo tipico del racconto esemplare. Gregori non ha passato e anche del suo presente conosciamo solo quello che mostra ai membri della comunità che governa (le donne e i bambini loro figli). Degli altri personaggi non sappiamo praticamente nulla, in molti casi neppure il nome. Di Susanna intuiamo il bisogno di protezione e sicurezza senza conoscere il difficile passato dal quale certamente proviene e del figlio Alexander sappiamo solo quel che il bambino dice esplicitamente: è la libertà che vuole e la possibilità di goderla fuori dal bunker in cui è confinato. Il bunker d’altra parte ha tutte le caratteristiche del luogo fiabesco: geograficamente indefinito, difficile da ricostruire perfino al suo interno, è uno spazio drasticamente separato e diverso dal resto del mondo, e ogni parte, come il tutto al quale appartiene, ha un preciso valore simbolico. Kleiman e Cyngler hanno condotto lunghe ricerche e hanno molto viaggiato per lavorare a questo film, e si vede. Forse i due elementi che più degli altri fanno stare solidamente in piedi il film sono da una parte l’interpretazione quadrata di Vincent Cassel, per una volta duro e dolce, truce e Film paterno al tempo stesso; dall’altra il brillante lavoro di costruzione degli ambienti, dei costumi, delle atmosfere. L’innominato est che fa da teatro all’azione è la Georgia. Il resto, gli interni, è stato girato in Australia, costruendo con un gusto esatto e concreto lo strano microcosmo fabbricato pezzo a pezzo dalle mani del protagonista, raccogliendo e ricomponendo pezzi di materiali abbandonati, rottami e chincaglieria, come in un mosaico premoderno, un gioco di costruzioni che se non fosse Tutti i film della stagione quasi grottesco sarebbe infantilmente meraviglioso. E nel rapporto tra questo maniero caricaturale, questa reggia sbilenca e il protagonista – il suo corpo, il suo volto – sta uno dei cardini del film che ritrae in questo modo un uomo adulto ma non vecchio, crudele ma non insensibile, bestiale ma anche umano, che incarna al contempo un padre padrone e un genitore premuroso, un criminale indurito dalla vita e un giovanetto appassionato dei suoi giochi, dei suoi cari, tutto immerso nel mondo costruito dalla sua stessa immaginazione. La violenza, in questa fiaba moderna, non compare mai direttamente, anch’essa tra le ellissi che scontornano e rafforzano il profilo del film: ritratta come nelle fiabe, ombra e mostro sfuggente, non scelta irreversibile ma piuttosto parte integrante della vita, forza viscerale, bestia alla quale si può rinunciare ma che può anche rivoltarsi contro chi l’ha evocata. Silvio Grasselli È ARRIVATA MIA FIGLIA (Que Horas Ela Volta?) Brasile, 2015 Regia: Anna Muylaert Produzione: Caio Gullane, Fabiano Gullane, Debora Ivanov e Anna Muylaert per Gullane, in coproduzione con Globo Filmes, in associazione con Africa Filmes Distribuzione: Bim Prima: (Roma 4-6-2015; Milano 4-6-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Anna Muylaert Direttore della fotografia: Bárbara Alvarez Montaggio: Karen Harley Musiche: Fabio Trummer, Vitor Araújo l film racconta la storia di Val, una governante a tempo pieno presso una facoltosa famiglia di San Paolo. La donna indossa un’impeccabile divisa bianca, cucina, serve a tavola, pulisce la grande villa con piscina e si prende cura con amore del figlio dei padroni di casa fin da quando era piccolo. Val ha cresciuto praticamente il ragazzo mentre ha affidato sua figlia Jessica alle cure e all’educazione di alcuni parenti nel nord del Brasile. Val ha sacrificato la sua vita al ruolo di governante e ora sta per riabbracciare la figlia dopo più di dieci anni. La ragazza infatti arriva in città per fare i test di ammissione alla facoltà di architettura (gli stessi test cui deve sottoporsi il figlio dei padroni di Val, Fabinho). Ma l’arrivo della ragazza nella casa di Donna Barbara, professionista della moda in carriera, porta scompiglio nelle rigide regole di comportamento. Jessica è una giovane donna sicura di sé, fuori dagli schemi e incline al pensiero critico: chiacchiera tranquillamente con i padroni di casa in salotto, chiede con una certa faccia tosta di dormire nella stanza degli ospiti invece di usare un materasso a terra nella piccola stanza della mamma, pranza in salotto con il padrone di casa, Carlos, intellettuale annoiato. Col passare dei I Scenografia: Marcos Pedroso, Thales Junqueira Costumi: Cláudia Kopke, André Simonetti Interpreti: Regina Casé (Val), Michel Joelsas (Fabinho), Camila Márdila (Jéssica), Karine Teles (Donna Bárbara), Lourenço Mutarelli (Carlos), Helena Albergaria (Edna), Luís Miranda (Antonio il giardiniere), Theo Werneck (Vandré), Bete Dorgam (Janaina), Luci Pereira (Raimunda), Anapaula Csernik (Piléia), Alex Huszar (Caveira), Audrey Lima Lopes (Fabinho Criança), Thaise Reis (Pamela), Nilcéia Vincente (Anita) Durata: 110’ giorni, Jessica stringe un sempre più stretto rapporto di complicità con Carlos. L’uomo finisce per invaghirsi della ragazza. La cosa non sfugge a Barbara che mal sopporta l’invadenza degli spazi dei padroni da parte della figlia della governante. Un giorno, Barbara rimane vittima di un incidente e dalla sua camera nota che ormai Jessica ha conquistato anche l’amicizia di suo figlio Fabinho. Vedere Jessica che scherza e fa il bagno nella piscina della villa con il figlio e un suo amico fa andare su tutte le furie Barbara. La padrona di casa comunica a Val che sua figlia dovrà cercarsi un altro alloggio. Val discute con la figlia che subito dopo lascia la casa. Nel frattempo, arriva il giorno dei test di ammissione all’università per Jessica e Fabinho. Mentre il ragazzo non passa l’esame, Jessica viene ammessa alla facoltà di architettura. Per Barbara è un duro colpo ma non può fare a meno di consolare suo figlio e di convincerlo che al prossimo tentativo riuscirà. Il ragazzo parte per una vacanza, mentre Val inizia a riflettere sulla validità delle rigide convenzioni sociali in cui ha sempre creduto. Una notte, la governante si permette ciò che non aveva mai osato: immerge i piedi nella piscina dei padroni e si lascia andare. 23 Il giorno dopo Val comunica a Barbara la sua intenzione di licenziarsi. Lasciata la villa dove ha lavorato per una vita, Val raggiunge la figlia nel piccolo appartamento che ha preso in affitto. La ragazza confessa alla mamma un importante segreto. Le due donne guardano con fiducia a una nuova vita insieme. l cinema brasiliano a volta regala dei piccoli gioielli, peccato che spesso non arrivino a essere distribuiti nel nostro Paese. Fortunato è il caso di questo È arrivata mia figlia!, che approda nelle sale italiane anche trainato dagli importanti riconoscimenti ottenuti in campo internazionale. Quarto lungometraggio della regista Anna Muylaert (classe 1964), il film ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria assegnato alle due attrici protagoniste al Sundance Film Festival 2015 e ha vinto il premio del pubblico nella sezione Panorama al Festival di Berlino 2015. Un film sociale, cosi può essere definito È arrivata mia figlia!, una commedia sul sistema di regole sociali che ancora oggi è alla base della cultura brasiliana. Porte, finestre, corridoi, luoghi vietati, rigidi confini, linee di demarcazione, il film della Muylaert si svolge su uno schema scenico quasi geometrico (quasi si trattas- I Film se di un palcoscenico teatrale) e poggia su una struttura drammatica quasi algebrica. Tutto è codificato nel microcosmo in cui ha luogo la storia: gli spazi interdetti alla servitù (e in questo senso la porta della cucina è una vera linea di confine), le parole concesse alla governante (poche e solo dopo aver ottenuto il permesso), nessun dialogo alla pari insomma, nessuna concessione. Ma un ciclone che indossa le vesti di una giovane studentessa porterà un vento impetuoso capace di abbattere confini e barriere. Jessica vede il mondo con altri occhi rispetto alla madre, usa il corpo e le parole in maniera diversa. La ragazza chiacchiera in soggiorno con il padrone di casa, parla di libri e di architettura, non ha paura di esprimere il suo punto di vista, si rifiuta di dormire su un Tutti i film della stagione materasso a terra nella misera stanzetta della madre, chiede (e ottiene) di dormire nella bella stanza degli ospiti, pranza in salone con il padrone di casa (e mangia il gelato dalla scatola di proprietà esclusiva del figlio, mentre per la servitù esiste un altro gelato), fa il bagno in piscina. Lo scossone portato nel film ha un effetto-terremoto sulla vera protagonista, Val. La donna spalanca gli occhi sul mondo e sulla sua vita, quello che si apre davanti alla donna è una vera epifania. Il ‘paradosso sociale’ fortemente presente in Brasile (e vero motore del film secondo la regista che ha iniziato a pensare alla sceneggiatura vent’anni fa, in concomitanza con la nascita del suo primo figlio) è quello dell’educazione dei figli che spesso vengono affidati alle cure di bambinaie, le quali a loro volta sono donne che devono affidare i propri figli a qualcun altro per potersi occupare di quelli dei loro datori di lavoro. Il personaggio di Val è un chiaro esempio di questo paradosso. Cinematograficamente perfetto, il film è ambientato quasi totalmente tra le mura della bella villa della famiglia di San Paolo dove si gioca con inquadrature che letteralmente tagliano lo spazio domestico (il salone padronale del quale viene mostrata solo una piccola fetta attraverso lo sguardo della domestica dalla cucina). Il climax si raggiunge attraverso una serie di conflitti innescati da una ragazza piena di forza di volontà, capace di opporsi alle vecchie convenzioni sociali separatiste, quasi un simbolo del Brasile moderno. Fotografia di un Paese ancora pieno di contraddizioni e contrasti, ma che sta faticosamente percorrendo la strada comune a tanti Stati emergenti, il film, leggero e ironico quando basta, approda a un finale positivo e pacificante, opera della mano sensibile di una regista intelligente e talentuosa. Merito da condividere certamente con la straordinaria protagonista, Regina Casé, attrice che vanta un lungo curriculum di esperienze televisive, teatrali e cinematografiche e che con questa pellicola trova probabilmente il ruolo della sua consacrazione. Giocando con il titolo italiano del film, sarà sufficiente sostituire l’esclamativo con un interrogativo per arrivare a un giudizio sintetico. È arrivata mia figlia?... E per fortuna! Elena Bartoni PROFESSORE PER AMORE (The Rewrite) Stati Uniti, 2014 Regia: Marc Lawrence Produzione: Castle Rock Entertainment Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Marc Lawrence Direttore della fotografia: Jonathan Brown Montaggio: Ken Eluto Musiche: Clyde Lawrence Scenografia: Ola Maslik Costumi: Gary Jones Interpreti: Hugh Grant (Keith Michaels), Marisa Tomei (Holly Carpenter), Aja Naomi King (Rosa), Allison Janney (Mary K eith Michaels, inglese trapiantato negli Stati Uniti, è stato uno sceneggiatore di successo Weldon), J.K. Simmons (Dott. Lerner), Bella Heathcote (Karen), Chris Elliott (Jim), Maggie Geha (Flo Bai), Annie Q. (Sara Liu), Caroline Aaron (Ellen), Nicole Patrick (Jessica), Jason Antoon (Greg Nathan), Andrew Keenan-Bolger (Billy Frazier), Karen Pittman (Naomi Watkins), Damaris Lewis (Maya), Olivia Luccardi (Chloe), Vanessa Wasche (Rona), Steven Kaplan (Clem Ronson), Emily Morden (Andrea SteinRosen), Lauren Macklin (Rachel Anslow), Lily Wen (Judy), Bruce Sabath (Paul Prentiss), Shannon Marie Sullivan (Sue), Whit Baldwin (Doug), Jenny Neale (Jenny Glick), Kate Cullen Roberts (Tina) Durata: 106’ e ha addirittura vinto un Oscar nell’ormai lontano 1998 per il film Paradiso sbagliato. Ora, però, le sue sceneggiature vengono 24 snobbate, per di più ha divorziato e ha urgente bisogno di un lavoro. Si trova così costretto ad accettare l’offerta di tenere un Film corso di scrittura creativa all’università di Binghamton, una cittadina dello Stato di New York. Dopo il traumatico trasferimento dalla solare Los Angeles alla piccola e grigia città, nota per essere una delle località americane più piovose, Keith si trova a dover combattere con la sua resistenza a insegnare a scrivere. Una volta conosciuto il rettore, il dottor Lerner, Keith prende possesso della sua nuova casa. Subito dopo, fa la conoscenza del suo simpatico vicino di casa, Jim, e del suo buffo cane di nome Enrico. Durante una serata con i suoi colleghi, Keith inanella una serie di gaffes con la professoressa Weldon, esperta della letteratura di Jane Austen. Una volta formata la classe, senza leggere i compiti assegnati come prova di ammissione, ma ammettendo nel corso per la maggior parte ragazze di bell’aspetto (con l’eccezione di due talentuosi ragazzi), Keith cerca di combinare il meno possibile allacciando per di più una relazione con una giovane e bella allieva, Karen. Quando però si deve confrontare con l’agguerrita studentessa fuori corso Holly Carpenter, il professore è costretto a cambiare atteggiamento. Holly lavora come commessa in un coffee shop ed è una mamma single. La donna costringe Keith a leggere il suo compito e alla fine viene ammessa nella classe. Proprio durante una lezione, il professore racconta di avere un figlio di 18 anni. Una sera, mentre cena con Karen in un ristorante, Keith si imbatte in Holly che lavora come cameriera nel locale. Holly chiede un documento alla giovane studentessa prima di servire una bevanda alcolica e Karen va via seccata. Keith conclude la serata facendo una passeggiata con Holly, fermandosi a chiacchierare presso una giostra divenuta celebre perché lì era stato girato un episodio della nota sere televisiva “The Twilight Zone”. Keith interrompe la relazione con Karen. Subito dopo, il professore confessa a Holly che non parla con suo figlio da dieci anni. La donna lo spinge a contattare il ragazzo e così Keith gli lascia un messaggio sulla segreteria telefonica. Intanto, il rettore dice a Keith che la professoressa Weldon è a conoscenza della sua relazione con la giovane studentessa. Non solo, la Weldon minaccia di trascinarlo davanti al Comitato etico se lui non si dimetterà di sua spontanea volontà. Keith chiede consiglio a Holly che lo spinge ad andare a parlare con la professoressa. Keith è tentato di andarsene e comunica alla sua classe che non finirà il corso perché deve allontanarsi dalla città. Gli allievi gli dicono addio a uno a uno. Keith torna a Los Angeles portando con sé il suo geniale allievo Clem che ha scritto un copione sor- Tutti i film della stagione prendente. Keith e Clem incontrano alcuni produttori, poi Keith lascia Clem da solo a prendere accordi per la realizzazione di un film e torna a Binghamton. Keith si reca dal dottor Lerner e gli comunica di aver deciso di correre il rischio e di presentarsi all’udienza. Poi incontra la professoressa Weldon che si dimostra indulgente con lui facendo appello proprio a Jane Austen. Dopo aver avuto un illuminante colloquio con Holly, Keith torna a fare lezione con un nuovo entusiasmo. Il telefono di Keith squilla: è suo figlio. ome si suol dire, squadra vincente non si cambia, quindi ecco di nuovo insieme Hugh Grant e il regista Marc Lawrence. Dopo Two Weeks Notice – Due settimane per innamorarsi, Scrivimi una canzone e Che fine hanno fatto i Morgan? ecco Professore per amore, sciatto titolo italiano del ben più calzante originale, The Rewrite. In superficie nulla di nuovo, il solito Hugh Grant che torna a impersonare (per l’ennesima volta) lo stesso personaggio: un uomo egocentrico, nichilista, disilluso, immaturo (sentimentalmente e emotivamente), riscattato da un bell’aspetto e dal dono della pungente battuta (non sempre capita in pieno). Grant è il classico “cattivo maestro”: un ex sceneggiatore di fama che seleziona gli allievi (anzi le allieve) in base a criteri puramente estetici (a parte due brillanti menti maschili riempie la sua classe di belle ragazze), insegna svogliatamente perché convinto che scrivere una buona sceneggiatura non si possa insegnare sui banchi dell’università e soprattutto, da inglese trapiantato in America, ironizza di continuo, spesso in modo tagliente, senza che quasi nessuno capisca le sue battute. Ma questa volta tra i tanti cliché attaccati addosso a un personaggio (il tramonto del successo nel cinema che va di pari passo con la personale crisi di identità e valori) vengono superati con l’arma della simpatia. C E così l’eroe pieno di vanaglorioso narcisismo inizia a fare scelte adulte, facendo ‘mea culpa’ di fronte a un’insegnante rigida che vuole condurlo di fronte al comitato etico, e rinunciando a tornare a Hollywood, scegliendo la grigia e piovosa cittadina di provincia (dove alla fine, ovviamente, splende il sole). Complice di tutto ciò, ovviamente, la saggia madre single e studentessa fuori corso dal bell’aspetto e dal cervello brillante. La riscrittura di una vita insomma, per giocare con il titolo originale. Per quello che riguarda la prova di Hugh Grant, non c’è niente che non sia stato già visto sul fronte della recitazione: solite facce, solite smorfie, solite espressioni, il minimo sindacale per un attore come lui, che ha dimostrato di essere capace di prove più convincenti. Il meglio viene proprio dai comprimari: una Marisa Tomei (nelle vesti della studentessa fuori corso che catturerà il cuore del professore in crisi) sempre più in forma e sempre più capace di brillare di luce propria, una Allison Janney perfetta nei panni di una professoressa rigida e innamorata della letteratura “femminista” di Jane Austen, e un J.K. Simmons (meritatissimo Oscar 2015 per il duro professore di musica nel sorprendente Whiplash), qui nel ruolo del rettore dell’università capace di sciogliersi in inarrestabili pianti ogni volta che parla delle sue donne: una moglie e quattro figlie. Commedia piena di citazioni cinematografiche, e non solo (vedere le ripetute menzioni alla famosa serie TV “The Twilight Zone”), Professore per amore fa, in definitiva, quello che deve, intrattiene piacevolmente strappando qua e là qualche sorriso, ma nulla di più . Un piccolo passo in avanti per il regista Marc Lawrence rispetto alle prove precedenti, ma sul terreno della commedia sentimentale si può (e si deve) fare di meglio. TAXI TEHERAN (Taksojuht) Iran, 2015 Regia: Jafar Panahi Produzione: Jafar Panahi Production Distribuzione: Cinema Distribuzione Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Jafar Panahi Direttore della fotografia: Jafar Panahi Montaggio: Jafar Panahi Interpreti: Jafar Panahi (Se stesso) Durata: 82’ 25 Elena Bartoni Film U n taxi è a disposizione per le strade di Teheran, condotto dal regista Jafar Panahi: questi, inibito a fare il cineasta dal regime del suo Paese pena l’esecuzione della condanna detentiva di sei anni comminatagli nel 2010, continua a raccogliere testimonianze e immagini dell’Iran e fa, così il suo mestiere in altro modo, a bordo di un taxi. Vi ha collocato una piccola cinepresa e fa salire la gente che lo ferma per strada e che rappresenta il suo mondo, la vita che scorre sotto i suoi occhi: così una signora progressista si trova ad altercare con un giovane violento, almeno a parole, che asserisce di fare il borsaiolo; due vecchine che portano una vasca con un pesce rosso da liberare; una donna che accompagna all’ospedale il marito ferito in un incidente: questi pensando di morire pretende che il tassista filmi le sue ultime volontà per tenere la moglie al sicuro dalla voracità degli altri eredi. Il bello è che, una volta fuori pericolo e ristabilito il marito, la moglie continua a tempestare il tassista di telefonate per avere il video perchè...non si sa mai. Due momenti capolavoro: il contrabbandiere di dvd proibiti dal regime che, presentandosi per socio e amico del regista (“...facciamo, praticamente, lo stesso mestiere...”) spaccia i suoi film con la circospezione adatta a pani di cocaina; la salita sul taxi di una bambina nipote del regista, maledettamente insopportabile e di cui non è possibile sfuggire la petulanza delle sue domande su qualsiasi momento che filma con la sua cinepresa rompiscatole. Poi un vecchio vicino con un video inquietante; e ancora l’avvocato che ha difeso Panahi e che ora si trova lui stesso in una situazione kafkiana, incalzato e osservato dal regime. Tutta la scena finale è occupata dall’ultima passeggera, un’intelligente donna di cultura, amica del regista, con in grembo un fascio di rose destinate a chi soffre: è un fiume in piena il suo racconto di ciò che succede in Iran, a disposizione della gente che vuole capire e agire. Tutti i film della stagione Una rosa rossa lasciata sul cruscotto è il fuoco di un passato che può trasformarsi in luce per il futuro. gni epoca è stata caratterizzata dalla contrapposizione, spesso dalla lotta, cruenta e dolorosa, tra l’essere umano e il suo regime; usiamo appositamente il termine “suo” nella convinzione che sempre il mondo degli uomini ha dovuto confrontarsi con un regime, qualunque esso sia stato, in una specie di “a ciascuno il suo” spietato e inevitabile, congenito proprio a una malefica evoluzione darwiniana. Cosa fare allora? Come scuotersi? Occorre scuotere la realtà che ci vede impaniati come in una tela di ragno, liberi di fare tutto ma non tutto, anzi poco, meglio se non si fa nulla, anzi meglio se non si pensa, meglio se non si esiste. Si deve esistere, invece, eccome; e un regista per esistere può fare solo il regista, senza farlo però; così fa il tassista ascoltando i commenti degli altri, registrando gli umori della gente, posizionando al montaggio immagini, commenti e O persone che appartengono al suo Iran così tanto amato e così difficile, oggi, da amare. L’esigenza di dare corso al libero pensiero e alla espressione della propria creatività è insopprimibile, così Panahi che non è libero di farlo lascia che sia l’immagine filmica a salire sul suo taxi e a squadernare tutti gli interrogativi possibili sulla giustizia, sul tradimento, sugli ideali, sull’escalation di morte a cui può arrivare un regime che per imbrigliare l’individuo prima gli rende la vita difficile dal punto di vista amministrativo e burocratico, poi alza il tiro sulla sua sfera professionale, quindi passa alla difesa dell’etica, argomento che può diventare enorme e terribile e poi...siamo tutti in grado di immaginare cosa possa accadere poi. Due momenti folgoranti: uno già citato, l’attività dello spacciatore di film il cui personaggio potrebbe benissimo appartenere a un poliziesco americano, tanto si presta il suo corpaccione claudicante, i suoi modi equivoci e ombrosi a dissimulare i propri gesti che possono essere giudicati male dagli occhi del regime e invece si occupano di film, capito, non di coca! Il secondo è dato dal momento di inquietudine (l’unico) che Panahi ha quando in mezzo al traffico crede di riconoscere tra la gente il torturatore della sua prigionia. Il regista esce dal taxi sconvolto, vi rientra poco dopo, visibilmente smarrito; non sa, non capisce se è vero ciò che ha visto o se si sia trattato di un cedimento della sua memoria, della sua fantasia di cui tanti cattivi ricordi, tanti orrori ancora si impadroniscono. Grande cinema tutti e due gli episodi: il travestimento, lo sberleffo, l’antica presa in giro dei poveri contro il potente e la consapevolezza che improvvisa e dolorosa riaffiora perchè il tormento passato non può essere rimosso, mai. Fabrizio Moresco THE SALVATION (The Salvation) Danimarca, 2014 Regia: Kristian Levring Produzione: Zentropa Entertainments33, in coproduzione con Forward Films, Spier Film Distribuzione: Academy Two Prima: (Roma 11-6-2015; Milano 11-6-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen, Kristian Levring Direttore della fotografia: Jens Schlosser Montaggio: Pernille Bech Christensen Musiche: Kasper Winding Scenografia: Chantel Carter Costumi: Diana Chillers Interpreti: Mads Mikkelsen (Jon), Eva Green (Madeleine), Éric Cantona (Il Corso), Jeffrey Dean Morgan (Delarue), Jonathan Pryce (Keane), Mikael Persbrandt (Peter), Douglas Henshall (Mallick), Michael Raymond-James (Paul), Nanna Øland Fabricius (Marie) Durata: 90’ 26 Film È il 1870, in una terra preda di colonizzatori e fuorilegge, l’immigrato danese Jon aspetta da sette anni di portare la moglie Marie e il figlio di dieci anni in America. Finalmente, dopo anni di duro lavoro, riesce a farsi raggiungere dalla sua famiglia. Ma non appena arrivati, la donna e il bambino vengono brutalmente uccisi da due malviventi che si introducono nella loro diligenza senza che Jon riesca a impedirlo. Distrutto dal dolore, subito dopo Jon uccide il responsabile dell’omicidio, che è il fratello del colonnello Delarue. Questo atto innesca la vendetta dello spietato colonnello, un bandito che tiene sotto scacco il villaggio di Black Creek e che è pronto a tutto pur vendicare la morte del fratello. Ormai isolato dalla comunità, Jon si vede costretto a trasformarsi da uomo pacifico e perbene in guerriero spietato. Sulle tracce di Delarue, Jon si imbatte in Madelaine, vedova del defunto fratello di Delarue, a cui gli indiani hanno tagliato la lingua. La giovane donna è bellissima nonostante le cicatrici sul volto ed è ora preda delle mire del colonnello. Jon scopre che Delarue ricatta il pavido sindaco corrotto di Black Creek, che ha un atteggiamento di sottomissione nei suoi confronti. Anche lo sceriffo del luogo ha un comportamento di totale asservimento a Delarue. Jon inizia a mettere in atto la sua vendetta che si allarga sempre di più, mietendo vittime al suo passaggio. Fino allo scontro decisivo con Delarue che viene finalmente eliminato. Nella scena finale, Jon si reca da Madeleine che gli lancia uno sguardo di approvazione per aver vendicato tanta Tutti i film della stagione violenza e soprusi. Jon e Madeleine si allontanano insieme. l western e il suo mito. Un omaggio, un gioco, una rivisitazione. È tutto questo The Salvation, storia classica di vendetta e riscatto ambientata nel polveroso e selvaggio west firmata dall’eclettico regista danese Kristian Levring (tra i fondatori del movimento ‘Dogma 95’ insieme a Von Trier, Vinterberg e Jacobsen). “Una storia di vendetta e rinascita in uno scenario leggendario” la definizione data dal regista al suo film parla da sola. Una famiglia spezzata, assassini giustiziati, un uomo solo con il suo dolore, la sua forza, la sua vendetta. Gli ingredienti sono quelli del western tradizionale, nulla di più e nulla di meno, ma la confezione è di lusso. Il mondo senza legge né giustizia del vecchio west e la realtà degli europei immigrati che lo popolavano e che sono sopravvissuti: la cornice della storia è delle più classiche. Su questo sfondo ecco muoversi, come su un palcoscenico teatrale, i tipici caratteri da western: un gruppetto di ‘cattivoni’ senza scrupoli che seminano terrore e violenza, il sindaco corruttibile, lo sceriffo codardo e inerme, il giovanotto testardo che vuole aiutare a tutti i costi imbracciare il fucile per aiutare l’eroe, la bella cattiva (ma forse no). E poi lui, l’eroe suo malgrado, l’onesto e tranquillo cittadino che si vede costretto a trasformarsi in sanguinario giustiziere. Pochi dialoghi e molta azione: facce, gesti, luoghi, atmosfere. La fotografia è quella tipica del vecchio genere western, satura e impreziosita dall’uso della Computer Graphic, i colori I (dal giallo, all’ocra, al marrone) sono perfetti. La polvere, lo sporco, perfino i rumori, tutto è impeccabile. La storia è, come detto, piuttosto scontata, ma se prendiamo il film come un sentito tributo al genere, come del resto sottolineato dallo stesso regista, allora i conti tornano (omaggiare maestri come John Ford o Sergio Leone era un sogno accarezzato da tempo da Levring). Un gruppo di attori straordinari impreziosisce il quadro: l’immancabile divo danese Mads Mikkelsen, faccia perfetta per il ruolo dell’eroe vendicatore, Jeffrey Dean Morgan, un villain senza sbavature, Eva Green, due occhi come due fari, capaci di esprimere tutta la sofferenza di un personaggio che non parla mai. Partecipazioni speciali del grande attore britannico Jonathan Pryce e dell’ex calciatore Eric Cantona (che ormai vanta un curriculum cinematografico di tutto rispetto). Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2015, il film vanta delle frecce al suo arco che vanno al di là di meriti puramente tecnici: non abbonda in violenza gratuita (la scena del massacro iniziale non è saggiamente mostrata), i personaggi, seppur stereotipati, sono degnamente caratterizzati, infine la regia delle sparatorie, concentrate soprattutto nella parte finale, è di tutto rispetto, con curatissime scelte di angolazioni. Senza dire nulla di nuovo sul fronte del classico western, The Salvation salva comunque la faccia (perdonate il gioco di parole) e si colloca tra quegli omaggi sentiti, onesti e impeccabili a un genere dal fascino immortale. Elena Bartoni CALVARIO (Calvary) Gran Bretagna, Irlanda, 2014 Regia: John Michael McDonagh Produzione: Reprisal Films, Octagon Films, Irish Film Board, BFI Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 14-5-2015; Milano 14-5-2015) V.M.: 14 Soggetto e Sceneggiatura: John Michael McDonagh Direttore della fotografia: Larry Smith Montaggio: Chris Gill Musiche: Patrick Cassidy Scenografia: Mark Geraghty Costumi: Eimer Ni Mahaoldomhnaigh Interpreti: Brendan Gleeson (Padre James Lavelle), Chris O’Dowd (Jack Brennan), Kelly Reilly (Fiona), Aidan Gillen (Dott. Frank Harte), Dylan Moran (Fitzgerald), Isaach de Bankolé (Simon Asamoah), M. Emmet Walsh (Gerald Ryan), Marie-Josée Croze (Teresa Robert), Domhnall Gleeson (Freddie Joyce), David Wilmot (Fr. Timothy Leary), Pat Shortt (Brendan Lynch), Gary Lydon (Ispettore Gerry Stanton), Killian Scott (Milo Herlihy), Orla O’Rourke (Veronica Brennan), Owen Sharpe (Leo McArthur), David McSavage (Vescovo Montgomery), Mícheál Óg Lane (Micheál), Mark O’Halloran (Secondino), Declan Conlon (Padre), Anabel Sweeney (Ragazza) Durata: 104’ 27 Film I rlanda. Padre James è un bravo parroco, apprezzato e stimato dall’ intera Contea di Sligo. Sacerdote molto disponibile e aperto all’ascolto ma, allo stesso tempo, anche molto schietto e saldo nelle proprie parole e azioni. Un giorno, in occasione di una confessione, un uomo, che durante l’infanzia è stato vittima di violenze sessuali da parte di un sacerdote, lo minaccia di far scontare a lui sacerdote innocente quello che ha passato a causa di quel peccatore che è già morto per cause naturali. Dichiara così di volerlo uccidere da lì a una settimana senza chiedere l’assoluzione finale. Così padre James, durante i sei giorni che lo separano dall’appuntamento letale, vive un vero e proprio calvario. Dall’incendio della propria chiesa all’uccisione del proprio amato cane, dall’accusa di pedofilia all’essere picchiato durante una discussione in un bar. Intanto tenta di ricostruire un legame ferito con la figlia Fiona, avuta dalla moglie deceduta prima di aver preso i voti. Padre James Lavelle, nonostante tutte queste difficoltà, sa che sarà con tutta probabilità la sua ultima settimana di vita terrena ma non per questo dimentica, o non ha sempre una parola di sostegno per quei parrocchiani per cui non esiste nessun Dio. Verrà giustiziato come previsto da chi è stato vittima di violenza e tradimento in ben due casi della sua vita. n inizio alla Hitchcock da Io confesso (1953), una scansione temporale con il countdown che lascia con il fiato sospeso e la U Tutti i film della stagione fotografia di Larry Smith che immortala paesaggi irlandesi e ambientazioni davvero mozzafiato: queste le caratteristiche essenziali del nuovo film di John Michael McDonagh. Il regista calca la mano sul lato dark della Chiesa, sugli scandali recenti che hanno fatto parlare soprattutto su quell’Irlanda in cui dilagano le accuse contro i sacerdoti pedofili. Ma questo non basta a McDonagh. Egli decide di “spargere” il peccato in tutta la cittadina, portando alla costruzione di fedeli un po’ sui generis che sembrano non vedere la presenza di Dio. Nessuno di loro crede davvero, a parte la vedova, e con fin troppa artificiosità attraverso ciascuno di loro vengono rappresentati i più grandi vizi umani. E se non fosse chiaro questo durante tutto il film, eccovi in conclusione una didascalica carrellata sulla loro vita dopo la morte di padre James. Un film che parte davvero bene e che poi su questo aspetto un po’ si perde con una rappresentazione di questi “fedeli” fin troppo studiata. Ottime le interpretazioni di Kelly Reilly (già presente in vari film tra cui ricordiamo Flight di Robert Zemeckis, in Sherlock Holmes e Sherlock Holmes - Gioco di ombre di Guy Ritchie), ma, soprattutto, del protagonista padre James interpretato da Brendan Gleeson, che il regista rivuole dopo Un poliziotto da Happy Hour. Avvincente il suo personaggio, del quale emergono la sua schiettezza, la sua disponibilità al prossimo, ma, allo stesso tempo la risolutezza nella propria fede. È un prete molto umano, poco affettato e questo emerge lampante nel confronto con l’altro sacerdote, Padre 28 Leary, con il quale si scontra a causa della sua mancanza di integrità. Bellissimo il dialogo tra padre James e la figlia in cui vengono a galla temi fondamentali come il perdono, la solitudine e le virtù. Altro input che intende darci il regista è il discorso velatamente provocatorio sulle donazioni alla Chiesa nella scena tra il ricco della cittadina Michael Fitzgerald, padre Leary e padre James, cruciale per capire i diversi atteggiamenti dei due prelati di fronte al denaro. Ma padre James resta molto ancorato alla sua debolezza umana. Torna a bere dopo l’uccisione del suo cane e l’accusa di pedofilia per aver parlato con una bambina per strada. Viene messa in discussione la sua fede al bancone del bar e gli si fanno delle accuse alle intenzioni per mettere alla prova la sua pazienza; fino a che McDonagh decide di mostrare il sacerdote con una pistola in mano, scena non esattamente ordinaria. Oltre alla scansione temporale ci sono altri elementi che danno al racconto filmico una certa tensione. Quando sul dirupo padre James parla con il ricco solitario Michael Fitzgerald viene trasmessa un po’ d’ansia, ma la vera suspence è dovuta a due motivi: innanzitutto perché l’uomo non ha chiesto assoluzione alla fine della confessione e questo consente al sacerdote potenzialmente di andare dalla polizia; in secondo luogo perché durante l’intenso dialogo con il suo assassino, questo rimane sorpreso del fatto che il sacerdote non abbia tenuto con sè la pistola. Padre James confessa il suo distacco provato in passato nei confronti dello scandalo pedofilia e per questo viene giustiziato definitivamente. Il finale con la sua esecuzione è particolarmente cruento ma l’elemento straordinario da notare è un altro: l’assassino che voleva giustiziare il sacerdote proprio per le sue virtù, non riesce a seguire la sua missione fino all’ultimo. Non riesce ad accettare l’amore e il perdono della sua vittima e gli chiede di non guardarlo negli occhi mentre lo uccide. La fede del sacerdote nell’uomo continua a essere fortissima perché tale è la fede in Dio. Restiamo anche noi come Padre James come impotenti e ormai tristemente assuefatti agli scandali e per questo il regista ci vuole mettere in guardia e metaforicamente punire. È proprio il caso di dire, un vero peccato. Giulia Angelucci Film Tutti i film della stagione SPY (Spy) Stati Uniti, 2015 Regia: Paul Feig Produzione: Peter Chernin, Jenno Topping, Paul Feig, Jessie Henderson per Chernin Entertainment, Feigco Entertainment Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 15-7-2015; Milano 15-7-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Paul Feig Direttore della fotografia: Robert Yeoman Montaggio: Brent White, Melissa Bretherton Musiche: Theodore Shapiro Scenografia: Jefferson Sage Costumi: Christine Bieselin Clark Effetti: Furious FX, Factory VFX, The Underground VFX, RotoFactory, Flash Film Works Interpreti: Melissa McCarthy (Susan Cooper), Jude Law S usan Cooper è un’analista della CIA, relegata dietro una scrivania. Sovrappeso e poco attraente, Susan teleguida gli agenti sul campo da un ufficio sotterraneo pieno di ratti e pipistrelli. La donna è innamorata del suo collega, l’affascinante agente Fine che usa il suo charme per portare a termine delicate missioni. Da tempo la CIA sta creando un ordigno nucleare ma l’unica persona che sembra conoscere il luogo dove si trova l’arma, Tihomir Boyanov, viene ucciso da Fine. Nel frattempo, si viene a sapere che la figlia di Boyanov, Rayna, potrebbe essere a conoscenza del luogo dove è nascosto l’ordigno. Fine si introduce nella casa della donna ma viene ucciso da Rayna: Susan assiste a tutta la scena dal monitor del suo ufficio. È aperta la caccia a Rayna, ma la donna conosce le identità di tutto gli agenti CIA, da Fine a Rick Ford, un altro collega di Susan che non perde occasione di vantarsi delle missioni impossibili che ha condotto a termine. Susan è l’unica agente di cui Rayna non conosce il volto e quindi la sola che può andare in missione sul campo. Con una nuova identità, Susan giunge a Parigi sulle tracce del losco Sergio De Luca. L’agente Ford, non fidandosi di Susan, la raggiunge sul posto. Uno degli uomini di De Luca scambia lo zaino di Ford con uno contenente dell’esplosivo. Susan avvisa Ford, ma, dopo un inseguimento, finisce per uccidere accidentalmente il killer di De Luca. Susan segue le tracce di De Luca a Roma dove, appena arrivata, fa la conoscenza del suo ‘contatto’ nella città eterna, il pittoresco Aldo, un informatore che non perde occasione per fare avances esplicite alla corpulenta agente. Dopo aver indossato un abito elegante, Susan si reca in un casino dove incontra Rayna. (Bradley Fine), Jason Statham (Rick Ford), Rose Byrne (Rayna Boyanov), Bobby Cannavale (Sergio De Luca), Allison Janney (Elaine Crocker), Curtis “50 Cent” Jackson (Se stesso), Miranda Hart (Nancy B. Artingstall), Raad Rawi (Tihomir Boyanov), Jessica Chaffin (Sharon), Sam Richardson (John), Katie Dippold (Katherine), Jaime Pacheco (Jaime il Giardiniere), Richard Brake (Solsa Dudaev), Steve Bannos (Alan il Barman), Morena Baccarin (Karen Walker), Carlos Ponce (Matthew Wright), Will Yun Lee (Timothy Cress), Michael McDonald (Patrick), Julian Miller (Nicola), Nargis Fakhri (Lia), Peter Serafinowicz (Aldo), Sergej Onopko (Hristo), Mitch Silpa (Colin/Frederick), Björn Gustafsson (Anton), Paul Feig (Ubriaco in hotel) Durata: 120’ Dopo aver sventato un attentato alla vita di Rayna, l’agente Cooper entra a far parte dell’entourage della donna. Conquistata la fiducia di Rayna, Susan sale con lei sul suo jet privato in volo verso Budapest. Ma durante il viaggio, uno stewart uccide una guardia del corpo e il pilota e prova a eliminare Rayna. Susan riesce ad avere la meglio sull’uomo e a prendere il controllo del velivolo prima di atterrare a Budapest. Nella capitale ungherese, Susan si imbatte nella sua migliore amica e collega, Nancy, mandata dal loro capo per aiutarla. Dopo essere stata colpita in strada, Susan si lancia all’inseguimento del suo attentatore e scopre che si tratta di un’agente della CIA doppiogiochista, Karen Walker, che aveva venduto a Rayna i nomi degli agenti sul campo. Mentre sta per colpire Susan, la Walker viene uccisa da un cecchino. Più tardi, quella sera stessa, Susan e Nancy accompagnano Rayna a un party. A sorpresa appare l’agente Fine vivo e vegeto che salva la vita a Susan e le rivela che aveva finto di morire per poi diventare l’amante di Rayna e conquistarne la fiducia. Mentre Susan viene smascherata e fatta prigioniera, Fine le confessa che la ragione per cui aveva finto di essere morto era per conoscere il luogo dove si trova l’ordigno nucleare. Ma Susan riesce a scappare e a recarsi insieme a Rayna e Fine alla dimora del trafficante De Luca. Sul luogo arriva anche un terrorista ceceno scortato dai suoi uomini per acquistare l’ordigno in cambio di una valigia di diamanti. Rayna rivela il luogo dove è nascosta l’arma, ma De Luca uccide il terrorista ceceno e i suoi uomini e si impossessa dei diamanti. De Luca vuole vendere l’ordigno a qualcuno in grado di trasportarlo a New York. Ma, quando De Luca sta per uccidere Rayna, 29 l’agente Ford, apparso di sorpresa, lo distrae, permettendo a Susan di salvare la vita di Rayna ancora una volta. De Luca scappa con l’ordigno e i diamanti sul suo elicottero: Susan si aggrappa al velivolo in corsa seguita da Fine. Ma Fine perde la sua presa e cade nel lago sottostante. Susan deve vedersela da sola con De Luca a bordo del velivolo. Su un altro elicottero giungono Nancy e Aldo e aiutano Susan a uccidere De Luca e a concludere con successo la missione. Il capo di Susan smaschera il nascondiglio dell’ordigno nucleare. Rayna viene arrestata ma ormai è diventata amica di Susan. Aldo rivela a Susan di essere in realtà un agente dell’MI6 di nome Albert, poi la invita a cena. La donna declina l’invito e anche quello di Ford preferendo passare una notte di baldoria con Nancy. Il mattino dopo Susan si sveglia e si accorge che accanto a lei nel letto c’è proprio il suo collega Ford. i parodie o pseudo-parodie di James Bond, l’agente segreto più famoso al mondo è piena la storia del cinema ma una versione femminile e “femminista” come questa non si era ancora mai vista. Certo è che il regista Paul Feig (che ha già firmato commedie tutte al femminile come Le amiche della sposa e Corpi da reato) non poteva trovare interprete migliore per il suo Spy dell’attrice extralarge Melissa McCarthy (che con Feig ha già lavorato nelle due commedie appena citate). Sodalizio vincente non si cambia dunque. La simpatica attrice interpreta questa volta un ruolo che, a ben guardare, supera la parodia per trasformarsi in qualcosa di diverso: un’outsider vincente, un’agente D Film segreto con il corpo di una casalinga ‘oversize’, un tipo da scrivania catapultato nel bel mezzo di una missione pericolosa tra Londra, Roma e Budapest. Una specie di Johnny English in gonnell(on)a insomma. Il gioco dei contrasti tra l’improvvisata agente sul campo e i classici agenti bellocci (l’elegante Jude Law e il muscoloso Jason Statham) funziona bene. Le due presenze maschili rappresentano alla perfezione due prototipi ultra-noti di agenti segreti: il tipo glamour (e dal fascino irresistibile per ogni donna) e quello coriaceo tutto-muscoli (misogino fino al midollo e con un cervello piccolo piccolo). La commedia action ha un buon ritmo, ma le stilettate in chiave femminista contro Tutti i film della stagione i colleghi maschi, sulle prime piacevoli, alla fine stancano un po’. La parte più divertente è invece quella del confronto-scontro tra i due opposti tipi femminili chiamati a scontrarsi sul campo: l’agente segreto extralarge e la bella e sexy ‘cattivona’ in procinto di vendere un ordigno nucleare a un pericoloso criminale. Feig è a suo agio nel terreno della commedia al femminile e ha dalla sua la felice scelta di un cast indovinatissimo. E se la vis comica di Melissa McCarthy non sorprende, il fascino e l’autoironia della bella Rose Byrne (impegnata a disegnare un personaggio che è “un incrocio tra Maria Antonietta, la principessa russa Olga Romanoff e una di quelle femme fatale traditrici dei film di James Bond, o piuttosto delle parodie di 007 alla Austin Powers” come ha dichiarato l’attrice) sono una bella sorpresa, mentre i due ‘bellocci’ Jude Law e Jason Statham sono molto bravi a prendere in giro praticamente... se stessi. Divertimento innocuo anche se a tratti prevedibile (la figura dell’agente ‘di contatto’ italiano con il vizio del palpeggiamento gronda luoghi comuni), Spy fa quello che prometteva sulla carta, intrattiene senza pensieri. Perché se si vuol far ridere, può bastare anche poco, come un corpo extralarge che cade da uno scooter, praticamente da fermo. Elena Bartoni PITCH PERFECT 2 (Pitch Perfect 2) Stati Uniti, 2015 Regia: Elizabeth Banks Produzione: Elizabeth Banks, Paul Brooks, Max Handelman, Jason Moore per Universal Pictures Distribuzione: Universal Pictures International Prima: (Roma 28-5-2015; Milano 28-5-2015) Soggetto: dal libro “Pitch Perfect – The Quest for Collegiate A Cappella Glory” di Mickey Rapkin Sceneggiatura: Kay Cannon Direttore della fotografia: Jim Denault Montaggio: Craig Alpert Musiche: Mark Mothersbaugh Scenografia: Toby Corbett Costumi: Salvador Pérez Jr. T re anni dopo essersi aggiudicate il titolo nazionale di campionesse di canto a cappella, le Barden Bellas si esibiscono nientemeno che davanti al Presidente Obama ma, proprio sul più bello, un imbarazzante incidente in scena occorso alla prorompente Ciccia Amy, rischia di far deragliare l’ultimo anno delle ragazze alla Barden University. Le Barden Bellas sono diventate ora una vergogna nazionale. Il gruppo viene sospeso da qualsiasi tipo di competizione di canto a cappella. La leader delle Bellas, Beca Mitchell, propone un accordo all’università: le Bellas verranno reintegrate in competizione solo se vinceranno i Campionati Mondiali di Canto a cappella che si svolgeranno a Copenhagen. Nel frattempo, Beca, inizia segretamente un tirocinio allo studio di registrazione, di cui solo il fidanzato Jesse Swanson, è a conoscenza. Beca impressiona il suo capo con le sue abilità di ‘mash-up’ con il disco di Natale del famoso Snoop Dogg, ottenendo una chance per diventare produttrice. Ma Interpreti: Anna Kendrick (Beca), Brittany Snow (Chloe), Anna Camp (Aubrey), Rebel Wilson (Ciccia Amy), Adam DeVine (Bumper Allen), Alexis Knapp (Stacie), Elizabeth Banks (Gail), Hailee Steinfeld (Emily), Katey Sagal (Katherine), Skylar Astin (Jesse), Hana Mae Lee (Lilly Okanakamura), C.J. Perry (Legacy Bella), Kelley Jakle (Jessica), Ben Platt (Benji Applebaum), Ester Dean (CynthiaRose Adams), Shelley Regner (Ashley), Karen Gonzalez (Barb), Chrissie Fit (Flo), Austin Lyon (Frank), Shawn Carter Peterson (Dax), Jeff Caperton (David), Gralen Bryant Banks (Dean), Rachel Marie Burgess (Taylor), Trip Roby (Simon), Desiree Hagadus (D-Ray) Durata: 115’ Ciccia Amy presto ne viene a conoscenza e invita Beca a confessare il suo segreto anche alle altre Bellas. Intanto nel gruppo c’è una nuova arrivata, Emily Junk, che si ferma alla casa delle Bellas per fare un audizione e viene ammessa quando le Bellas scoprono che la madre di Emily, Katherine, era proprio una Bellas. Quella notte, le Bellas si recano a una festa con i Ritmonelli, dove Benji viene colpito da Emily. Le Bellas partecipano a una mostra di automobili, dove loro stesse avrebbero dovuto esibirsi, per incontrare il gruppo dei “Das Sound Machine”(DSM), guidati a intimidire le Bellas dal duo Pieter Krämer e Kommissar. Una sera le Bellas partecipano a una gara tra gruppi a cappella dove perdono nel round finale proprio contro i DSM, quando Emily tenta di cantare il suo inedito. Il giorno dopo, le Bellas cercano di creare una performance simile a quella dei DSM per prepararsi ai mondiali, ma falliscono. A questo punto, Chloe decide 30 di portare le Bellas a un ritiro diretto da Aubrey Posen, nella speranza di ritrovare l’armonia perduta. La frustrazione di Beca con le attività del Campus provoca una lite tra le Bellas. Ma, proprio quando Beca sta per andarsene, viene intrappolata da una rete posta nel bosco. Le Bellas riescono a riappacificarsi attorno ad un falò, dove ogni ragazza parla dei propri sogni e del proprio futuro. Le Bellas ritrovano finalmente la loro armonia cantando una canzone che le ha rese famose. Tutte le Bellas, ormai laureate, partono per i Campionati Mondiali di canto a cappella a Copenhagen. Con loro vanno anche Jesse e Benji per fare il tifo. Tutte le Bellas cantano insieme l’inedito di Emily insieme alle ex Bellas più anziane, comprese Aubrey e la madre di Emily. Il gruppo si aggiudica la vittoria. Subito dopo, Emily viene sottoposta al classico rito di iniziazione per diventare una vera componente del gruppo Barden Bellas. La ragazza rappresenta il futuro delle Bellas. Film e Barden Bellas, il gruppo tutto al femminile di campionesse nazionali di canto a cappella, sono tornate! E sono più in forma e frizzanti che mai. Dopo il successo del primo capitolo uscito nel 2012, Pitch Perfect (Voices in originale) torna con questo sequel che vede le ragazze di nuovo in scena con il loro modo inconfondibile di mescolare le proprie voci e con un’interessante new entry. La felice mano femminile dell’attrice Elizabeth Banks (già produttrice e interprete del primo film), constatato il successo del primo capitolo, al cinema prima e in home video poi (la colonna sonora è stata la più venduta del 2013 trascinata dal singolo-fenomeno dal titolo “Cups” interpretato da Anna Kendrick che ha ottenuto più di 180 milioni di visualizzazioni su YouTube), ha preso in mano il progetto del sequel, cimentandosi per la prima volta nella regia di un lungometraggio (ritagliando per sé anche il piccolo ruolo di una commentatrice radiofonica) subentrando a Jason Moore (preso da un altro impegno) e avvalendosi del supporto della stessa sceneggiatrice del primo film, Kay Cannon. L Tutti i film della stagione Modello vincente non si cambia dunque, verve musicale compresa, ed ecco il capitolo secondo. Questa volta le talentuose girls (ormai vicine alla laurea) devono giocare su un terreno ancora più grande, quello dei campionati mondiali di canto a cappella. Ovvio che, l’asticella delle abilità canore si alzi ulteriormente: basta assistere alle esibizioni dei diversi gruppi rivali delle Bellas nel film (i fortissimi tedeschi Das Sound Machine in testa) per rendersene conto. Ma la musica non è l’unico ingrediente che rende frizzante questo Pitch Perfect 2: gag azzeccatissime (le più divertenti coinvolgono la simpatica Ciccia Amy-Rebel Wilson) e inni all’amicizia e alla solidarietà sono le altre frecce all’arco di questo college movie musicale contaminato da tentazioni talent (a questo proposito, non perdete i titoli di coda). Il piatto forte restano però le canzoni: una serie di brani celebri rielaborati in chiave acustica ed eseguiti con grande maestria oltre a numerosi ‘mash-up’ di pezzi R&B e pop e hip-hop da applauso. Le ragazze sono capitanate ancora dalla talentuosa e deliziosa Anna Kendrick (questa volta tentata di lasciare il gruppo per una carriera di produttrice musicale), ben affiancata dall’irresistibile comica extra-large Rebel Wilson (la più sessualmente e politicamente scorretta), new entry degna di nota è Hailee Steinfeld (che si è fatta notare nel 2010 come giovanissima interprete di Il Grinta dei fratelli Coen e tre anni dopo nelle vesti della Giulietta shakespeariana nella rilettura cinematografica di Carlo Carlei) nei panni della matricola che potrebbe prendere il testimone delle colleghe prossime alla laurea in un eventuale terzo capitolo (chissà). Se volete alleggerirvi lo spirito per un paio d’ore, Pitch Perfect 2 è il film che fa per voi, se poi amate canto e ballo, allora accorrete: non riuscirete a non battere il ritmo con il piedino sul pavimento davanti ai numeri musicali. Un consiglio è d’obbligo, per cogliere in pieno la bravura canora e le gag comiche delle briose ragazze che inneggiano ancora una volta all’immortale ‘Girl Power’, è necessario vedere il film in lingua originale. Elena Bartoni IO E LEI Italia, 2015 Regia: Maria Sole Tognazzi Produzione: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Andrea Occhipinti per Indigo Film, Lucky Red, Rai Cinema Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 1-10-2015; Milano 1-10-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Francesca Marciano, Maria Sole Tognazzi Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari Montaggio: Walter Fasano F ederica, architetto e Marina, ex attrice ora dedita alla ristorazione bio, sono due cinquantenni che vivono insieme da cinque anni e costituiscono una coppia, una coppia omosessuale. Marina è da sempre convinta di questa unione e di questo amore, il percorso da lei compiuto è più definito e definitivo, mentre per Federica tutto continua ad avere delle connotazioni ancora strane, da digerire. Alle spalle di Federica c’è un’ex famiglia tradizionale, un marito, Sergio che ha un’altra unione con una ragazza con cui ha avuto due bambini e un figlio, Bernardo, a lei legatissimo pur nelle scelte della madre, Musiche: Gabriele Roberto Scenografia: Roberto De Angelis Costumi: Antonella Cannarozzi Interpreti: Margherita Buy (Federica Salvini), Sabrina Ferilli (Marina Baldi), Fausto Maria Sciarappa (Marco), Alessia Barela (Camilla), Domenico Diele (Bernardo), Antonio Zavatteri (Carlo), Anna Bellato (Anna), Massimiliano Gallo (Stefano), Ennio Fantastichini (Sergio) Durata: 97’ di cui, forse, non è convinto fino in fondo. Il cuneo che provoca un’incrinatura nel rapporto di coppia è dato dall’offerta che Marina riceve per tornare sul set dopo un lungo periodo di assenza; la cosa suscita in lei un ovvio senso di orgoglio e di compiacimento e, pur nel dubbio di una decisione considera la scelta come qualcosa che appartiene solo a lei. Federica vede invece la questione in altro modo e cioè un avvenimento che potrebbe portare Marina lontano dal loro rapporto (per lei ancora così enigmatico) e costruire delle sirene di cui lei potrebbe essere gelosa. Nel cuore di questo momento critico, Federica incontra casualmente Marco, un 31 vecchio amico che si è ritrasferito a Roma dopo un periodo professionale a Milano: è la scintilla che a Federica serve e i due finiscono presto a letto. Per una delle solite coincidenze (un messaggio che arriva sul telefonino lasciato nel posto sbagliato), Marina scopre tutto e dà il via alle ovvie scenate per capire chi sia davvero la donna da cui credeva di essere amata. La situazione, apparentemente ricomposta non può però durare a lungo: Federica se ne va a vivere nello studio pur dividento le notti con Marco, mentre Marina riprende a fatica la propria vita spezzata, rinunciando al film che, guarda la coincidenza, non si fa più perchè sono saltati i finanziamenti dall’estero. Film Contemporaneamente, Federica, proprio durante una cena con famiglia allargata (fidanzato, ex marito, figli etc) comprende quale sia la sua vera casa e la scelta in cui ora lei davvero crede e corre da Marina. Questa la accoglie freddamente e vorrebbe avere più tempo, sei mesi, per capire se Federica è davvero tornata ma quando questa se ne va, lei scende precipitosamente le scale per riabbracciare la sua amica, definitivamente e con tutta la fermezza di cui è capace. a vita delle persone normali, delle persone comuni, la vita insomma riserva continuamente delle sorprese e in netto anticipo sulle considerazioni e sulle decisioni istituzionali che con la velocità di un bradipo credono di disporre circa i modi, gli aspetti e i canoni secondo cui dovremmo tutti vivere nell’organizzazione societaria. Contemporaneamente, il cinema si dimostra ancora una volta pronto a cogliere i cambiamenti e l’imprevedibilità (spesso anticipandola nel corso della sua storia) che agitano e illuminano le persone in quel desiderio di rinnovamento che accompagna sempre l’intelligente e complicato avanzare dell’esistenza. Una storia semplice: due persone vi- L Tutti i film della stagione vono insieme da cinque anni, ognuna ha un lavoro di un certo interesse e coinvolgimento; si amano, dividono gioie, difficoltà, problemi e si conquistano ogni giorno la voglia di andare avanti; passano un momento di crisi in occasione di un colpo di vento forte, come spesso può capitare in una coppia, capace di mandare all’aria quanto felicemente e faticosamente costruito. Fortunatamente, il peggio non avviene, perchè dopo un periodo di smarrimento le due persone capiscono che non possono fare a meno l’una dell’altra e che ciò che le unisce è più forte di qualsiasi avversità. Cosa c’è di singolare in tutto ciò? Ah, dimenticavamo, le due persone sono dello stesso sesso, due donne e la loro vita, la loro storia, presa a livello ipotetico e generale è diventata in quest’ultimo periodo oggetto di disquisizioni religiose, sociali, politiche, legislative, mina vagante capace di mettere in crisi qualsiasi aggregazione societaria compromettendone l’esistenza; oggetto di studio di esperti di diritto reale e comunitario incapaci di decidere come, quando e perchè due persone dello stesso sesso abbiano la possibilità, il permesso perfino, di volersi bene. Il cinema va, come dicevamo, più avanti di ogni cosa, cogliendone il significato più profondo e moderno, soprattutto 32 quando è in mano a cineasti dotati di onestà intellettuale, di capacità creativa e di voglia di credere e di scommettere sulle proprie scelte. È il caso di Maria Sole Tognazzi, una bella persona che è stata capace di avanzare piano piano, senza farsi schiantare dal peso del nome portato con semplicità e dedizione, partendo da attività di aiuto e cosceneggiatrice fino a costruirsi una forte e sensibile individualità di regista sbocciata definitivamente con Viaggio da sola (protagonista Margherita Buy, 2013). Qui ancora una storia di donne di fronte alla propria libertà e con i problemi insiti in questa scelta di libertà che Maria Sole conduce per mano lungo la strada più semplice, quella della normalità e proprio per questo più destabilizzante, nello spiazzare le convinzioni di coloro che nel nostro Paese collegano una unione omossessuale a un unicum sui generis, indescrivibile, non raccontabile secondo i canoni consueti: tanto tanto poi tra due uomini, ma tra due donne davvero impensabile, nel sancire così una discriminazione nella discriminazione. Maria Sole racconta con raffinatezza e credibilità che un legame tra due persone ha gli aspetti belli e brutti, di dolore e di gioia che hanno tutte le unioni, senza particolare pretesa di anticonvenzionalità. Il secondo centro Maria Sole lo ottiene con la decisione sulle attrici: se quella di Margherita Buy rappresenta la conferma di una scelta consolidata verso una figura femminile complessa, ricca di contraddizioni e sfaccettature unite a un modernissimo fascino a rappresentare la codifica di una sorta di “alter ego”, di attore feticcio per la regista, quella di Sabrina Ferilli è davvero una invenzione stellare. È proprio fantastica la scelta, perchè Sabrina Ferilli, sensuale e bellissima ha turbato i sogni dei maschi italiani in tutti i suoi film e le sue apparizioni nell’impersonare un fascino carnale, sanguigno, popolaresco che significava proprio una scommessa per un ruolo omosessuale considerato fino al giorno prima dell’uscita del film, del tutto inaffidabile. Maria Sole Tognazzi e Sabrina Ferilli hanno invece vinto e convinto con una scelta fatta di intelligenza e modernità, amore e tenerezza, forte autoironia e uno sguardo reale e pieno di passione sulla vita e sull’eterna instabilità che accompagna sempre l’essere umano più sensibile e disponibile verso la curiosità del vivere. Fabrizio Moresco Film Tutti i film della stagione MARGUERITE (Marguerite) Francia, Republica Ceca, Belgio, 2015 Regia: Xavier Giannoli Produzione: Fidélité Films, in coproduzione con Gabriel Inc., France 3 Cinéma, Sirena Films, Scope Pictures, Jouror Cinéma, CN5 Productions, in associazione con Memento Films Distribution Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 17-9-2015; Milano 17-9-2015) Soggetto: Xavier Giannoli Sceneggiatura: Xavier Giannoli, Marcia Romano (collaborazione) Direttore della fotografia: Glynn Speeckaert Montaggio: Cyril Nakache Musiche: Ronan Maillard Scenografia: Martin Kurel P arigi, 1921. Marguerite Dumont è una ricca donna francese appassionata di lirica. Convinta di possedere un grande talento, la Dumont si esibisce di fronte al pubblico di aristocratici e intellettuali. La donna si rivela tutt’altro che intonata, ma il pubblico finge giubilo e soddisfazione pur di non deluderla. Il rampante giornalista e critico musicale Lucien e il suo amico dell’avanguardia Kyrill tuttavia, non senza un velo di ironia, notano qualcosa di speciale nella voce della donna e la convincono a esibirsi nuovamente. Il marito, pur contrariato, è costretto ad assecondare il desiderio della moglie. L’esibizione parigina, in un caffè di futuristi e libertari, si rivela un disastro, ma Marguerite è ostinata nella sua passione e nella voglia di cantare. L’amico Lucien le presenta il maestro Atos Pezzini, ex divo ormai caduto in disgrazia, che, dopo una prima riluttanza, accetta di insegnare alla donna l’arte del canto in vista di un’esibizione a Parigi. Le settimane scorrono e, nonostante le lezioni, la donna non sembra migliorare. Giunti alla serata decisiva, Pezzini sembra aver accettato che si tratterà di un flop. Anche George, marito di Marguerite, non fa più nulla per ostacolare la moglie: finalmente saprà. Il teatro è pieno, il sipario aperto. Marguerite comincia l’esibizione stonando una volta ancora. Lentamente si fanno largo le risate del pubblico, Pezzini è scuro in volto. Poi, improvvisamente, dopo aver guardato gli occhi innamorati del marito, la donna trova la tonalità giusta ed emoziona, almeno per un secondo. Le corde vocali tuttavia non reggono, Marguerite cade a terra sanguinante. Poco dopo il risveglio in ospedale. La donna ha perso parte della memoria ed è convinta di essere una grande artista. Il Costumi: Pierre-Jean Larroque Interpreti: Catherine Frot (Marguerite), André Marcon (Georges Dumont), Michel Fau (Atos Pezzini/Divo), Christa Théret (Hazel), Denis Mpunga (Madelbos), Sylvain Dieuaide (Lucien Beaumont), Aubert Fenoy (Kyril Von Priest), Sophia Leboutte (Félicité La Barbue), Théo Cholbi (Diego), Astrid Whettnall (Françoise Bellaire), Vincent Schmitt (Il medico), Christian Pereira (Militare), Martine Pascal (La colonnella), Gregoire Strecker (Michel Aurenbach), JeanYves Tual (Signor Taupe), Boris Hybner (M.Callot), Pierre Peyrichout (Spettatore Cabaret), Joël Bros (Invitato), Lucie Strourackova (Bambina), Petra Nesvacilová (Soprano Nedda) Durata: 127’ dottore decide di registrarla e di metterla di fronte all’evidenza. In una disperata corsa finale, George tenta di bloccare il medico, ma senza successo. Marguerite ascolta la sua vera voce. Poi cade a terra senza vita. spirato alla vita di Florence Foster Jenkins, un soprano statunitense divenuto celebre proprio per via della totale mancanza di talento, Marguerite risulta un film piacevole, ben collaudato, compatto, nonostante evidenti lacune e scelte rivedibili. Il secondo lungometraggio di Xavier Giannoli riesce infatti a far trasparire attraverso gli occhi della brava Catherine Frot (La cuoca del presidente, Lezioni di felicità) l’amore estremo, infantile e bonariamente demente del personaggio principale per la musica. Come una bambina mai cresciuta, Marguerite colleziona I 33 abiti di scena, si maschera, gioca a fare la diva, mescolando sogno e realtà, immaginazione e compromessi con il quotidiano, riconoscendo alla magia della musica l’evasione dallo squallore delle convenzioni sociali e delle gabbie, il tuffo verso un mondo inesistente ma, allo stesso tempo, tangibile, il superamento di spazio e tempo a favore di colori e suoni. Ecco che il contesto storico, pur correttamente accennato, della guerra tra avanguardie e reazionari, tra nazionalisti e distruttori di valori ormai dimenticati, tra nuovi poveri e vecchi ricchi, resta in secondo piano, costantemente assoggettato all’assoluta protagonista ed ai suoi sogni. In questo senso le figure del tenebroso giornalista wildiano Lucien – a rappresentare un certo tipo di dandy, bello, ma combattuto, di successo, ma infelice – e dell’artista pazzoide e rivoluzionario Kyrill, Film restano esclusivamente accennate, filoni secondari mai realmente approfonditi e, forse, poco utili ai fini della storia stessa, che non fanno che allungare, fino agli esagerati centoventisette minuti finali, la durata della pellicola. Alle lacune della sceneggiatura Tutti i film della stagione tuttavia, sopperisce Marguerite stessa, leggera come una farfalla nel muoversi tra le belle scenografie e gli spartiti che mai saprà cantare come sogna. Estrema, e forse rivedibile, la scelta del finale, che resta però in linea con il resto del film e che ci lascia un’ultima piacevole – se pur disperata – istantanea. In concorso alla 72.Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Giorgio Federico Mosco IL NEMICO INVISIBILE (The Dying of the Light) Stati Uniti, 2015 Regia: Paul Schrader Produzione: Over Under Media, Tinres Entertainment Distribuzione: Barter Multimedia Prima: (Roma 9-7-2015; Milano 9-7-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Paul Schrader Direttore della fotografia: Gabriel Kosuth Montaggio: Tim Silano Musiche: Frederick Wiedmann Scenografia: Russell Barnes Costumi: Oana Paunescu E van Lake è un veterano e pluridecorato agente della Cia, torturato e mutilato di un orecchio venti anni prima dal fondamentalista musulmano Muhammad Banir. Nel momento in cui viene forzatamente rimosso dall’incarico per l’insorgere, ormai non più controllabile, di una forma di demenza senile, Evan fa una scoperta. Viene cioè a sapere che Banir creduto a lungo morto, è vivo ma soffre di una grave talassemia che lo rende dipendente da costose cure che gli vengono inviate illegalmente, in cambio di milioni di euro, da uno specialista rumeno. Prima che si troppo tardi Lake, contro il volere dell’Agenzia, in collaborazione con il giovane Milton Schultz, decide di vendicarsi di quanto subito in passato. In Romania con l’aiuto di una vecchia fidanzata romena, prende contatti con il dottore e poi decide di assumere l’identità di quello e con il giovane collega si reca Mombasa. Lo jihadista, ispiratore di sanguinarie stragi, è nascosto in un appartamento e non ha neanche la forza per stare in piedi. Una volta giunto davanti al suo torturatore però Evan, vedendolo in quelle condizioni, non ha il coraggio di eliminarlo e decide di risparmiarlo. Da lì a poco però gli uomini di Banir lo raggiungono per freddarlo. Durante la sparatoria Milton viene ferito. A quel punto, Evan non si mostra più delicato e si prende la sua vendetta uccidendo gli uomini di Banir e lo stesso terrorista. Dopo aver compiuto la strage, l’uomo però rimane ucciso (volontariamente?) in un incidente automobilistico. Effetti: Lucian Iordache Interpreti: Nicolas Cage (Evan Lake), Anton Yelchin (Milton Schultz), Alexander Karim (Muhammad Banir), Irène Jacob (Michelle Zubarain), Adetomiwa Edun (Mbui), Robert G. Slade (James Clifton), Aymen Hamdouchi (Aasim), Claudius Peters (Ghedi), Geff Francis (Dott. Clayborne), Silas Carson (Dott. Sanjar), Serban Celea (Dott. Iulian Cornel), Derek Ezenagu (Dott. Wangari), Tim Silano (Mike Warner), David Lipper (Bob Deacon), George Remes (Jim), Arsha Aghdasi (Abdi Abikarim) Durata: 94’ l nemico invisibile (The Dying of the Light il titolo originale) è il nuovo thriller spionistico di Paul Schrader. Una pellicola sulla quale negli Usa si è scatenata una guerra che ha visto contrapposti il regista e gli attori contro i produttori, colpevoli ha dichiarato Schrader, di avergli sottratto in fase di montaggio ogni controllo sul thriller. Regista, produttore esecutivo e attori hanno infatti disconosciuto la copia distribuita dalla produzione in quanto non conforme alle loro intenzioni. L’opera conserva gli elementi narrativi che sono propri di Schrader, ma ne tradisce, sia sul piano del contenuto che su quello della forma, l’estetica di base. Il nucleo essenziale del film sembra essere l’ennesima opera sul terrorismo islamico, che sa come nascondersi abilmente, ma è fondamentalmente orientata a trattare di un odio insanabile a cui “il nemico invisibile” della malattia sia dell’aguzzino che della sua vittima, pone dei limiti contro cui non c’è arma, o strategia che possa trionfare. Quello che il regista ci propone potrebbe sembrare inizialmente il solito film americano incentrato sulla caccia al terrorista islamico, che tanto tocca il cuore degli spettatori in questo periodo. In realtà, la narrazione non si concentra unicamente sul lato più thriller della vicenda, ma lascia grande spazio alle debolezze psicofisiche di un uomo non più giovane, che nella vita ha subito di tutto, inciso nel corpo e nell’anima e per di più ora piegato da una malattia che ne intacca la memoria e le facoltà intellettive. Ed è proprio questo il nemico invisibile, un rivale impossibile da sconfiggere: la degradazione del proprio I 34 corpo. Persino il rivale di Lake, Banir, è piegato dall’anemia e lo scontro finale tra i due avrà più i connotati di uno sfogo d’odio verso la propria condizione. Una specie di doppio conto alla rovescia per due rivali con poco tempo a disposizione, che vedono la morte come una sorta di liberazione. Assistiamo a una rappresentazione di una Cia che non sembra avere più valori da sostenere e difendere. Quasi che le menzogne, le intercettazioni, le autorizzazioni ai trasferimenti di sospetti in territori in cui poter applicare la tortura non fossero mai avvenuti. L’idea probabilmente era quella di realizzare uno spionistico crepuscolare, in cui la materia era l’interessante conflitto interiore che dilania il protagonista; tuttavia, nell’insieme il film, stenta a decollare restando in bilico fra dramma etico e thriller. Però, se una prima sequenza d’azione consumata sopra un ponte in Romania viene proposta già nel corso dei primi fotogrammi, il resto della oltre ora e mezza di visione si concentra in maniera quasi esclusiva sui dialoghi, rischiando non solo di spingere lo spettatore a sprofondare nel sonno, ma anche e soprattutto di far apparire il personaggio di Cage in qualità di ennesimo parente di 007 tutt’altro che propenso a cimentarsi nelle assurde imprese atte a garantire intrattenimento. Tanto che del tutto inadeguata finisce per apparire la violenta conclusione che sfiora le tonalità splatter, che avrebbe avuto sicuramente senso se anche l’intera operazione si fosse basata sul sentimento di vendetta. Rimontato, rimixato, rimusicato e con una color correction completamente diversa Il nemico Invisibile non somiglia più forse a Film quello che il regista aveva in mente: è un film dei produttori e non più suo. Un film ripiegato su sé stesso, che vorrebbe soffermarsi su temi come virtù, ostinazione, tradimento, disillusione, ma con profili macchiettistici e risvolti privi di mordente. Il ritmo è claudicante, il finale scontato e Tutti i film della stagione privo di sorpresa e anche la recitazione di Cage rasenta l’inespressività. Il grande attore premio Oscar aveva già lavorato con Schrader, però questa volta non entusiasma, anzi delude le aspettative, sfoggiando un’interpretazione che a tratti soffre eccessivamente la dose massiccia di caricatura che l’attore tende a donare al suo personaggio. Non convince neanche nel suo rapporto con il personaggio interpretato da Anton Yelchin, troppo freddo e distaccato. Veronica Barteri L’ATTESA Italia, Francia, 2015 Regia: Piero Messina Produzione: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori per Indigo Film, in collaborazione con Medusa Film, in coproduzione con Fabio Conversi, Jérôme Seydoux, Vivien Aslanian, Romain Le Grand, Muriel Sauzay per Barbary Films Pathé Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 17-9-2015; Milano 17-9-2015) Soggetto: liberamente ispirato al dramma “La vita che ti diedi” di Luigi Pirandello Sceneggiatura: Giacomo Bendotti, Ilaria Macchia, Andrea Paolo Massara, Piero Messina A nna vive in un’enorme villa di sua proprietà nelle campagne della Sicilia orientale. In casa le tiene compagnia solo il tuttofare Pietro, fedele servitore, che ha il compito di mantenere l’ordine e di obbedire agli ordini della signora. Di origine francese, è arrivata in Italia da giovanissima con l’autostop e ha imparato gradualmente ad adattarsi alla terra in cui vive, apprendendone le tradizioni e rispettandone le regole. Nei grandi ambienti della villa c’è aria di lutto, appena dopo il funerale di Giuseppe, il suo unico figlio. Anna non vuol farsene una ragione e finge che non sia morto, pur vestendo di nero e facendo coprire di teli scuri tutti gli specchi della casa. Tra l’incredulo e il sofferente, la donna sembra come in attesa di qualcosa o qualcuno che le faccia credere che lui sia ancora vivo. La solitudine e la disperazione vengono interrotte dall’arrivo preannunciato da Parigi della giovane e bella fidanzata di Giuseppe, Jeanne. Questo fatto autorizza Anna a occultare ancor più che Giuseppe sia morto, mentendo alla ragazza e facendole credere al ritorno del figlio da lì a pochi giorni. Le due donne hanno in comune la lingua, che ne agevola la comunicazione e che crea un’intesa. Le due cominciano a uscire all’aperto, a fare passeggiate e ad andare al lago dove Jeanne ama immergersi. Anna sembra riprendere vita; inizia persino a cucinare con passione, ritrovando il sorriso, come se la speranza fosse rientrata in Direttore della fotografia: Francesco Di Giacomo Montaggio: Paola Freddi Musiche: Alma Napolitano, Marco Mangani, Dimitri Sillato, Piero Messina Scenografia: Marco Dentici Costumi: Maurizio Millenotti Interpreti: Juliette Binoche (Anna), Lou De Laâge (Jeanne), Giorgio Colangeli (Pietro), Domenico Diele (Giorgio), Antonio Folletto (Paolo), Corinna Lo Castro (Rosa), Giovanni Anzaldo (Giuseppe), Razor Pizzuti (Mafioso) Durata: 100’ lei. Pietro, consapevole della situazione, rimprovera la signora per la tortura che sta infliggendo alla ragazza e la sprona più volte a dire la verità, ma inutilmente. Jeanne invita a cena anche due ragazzi conosciuti al lago e trascorrono tutti insieme una serata tra vino e musica. Tuttavia, entrambe le donne hanno qualcosa da nascondere: Anna il telefono cellulare del figlio, in cui Jeanne continua a lasciare messaggi in segreteria, e Jeanne qualcosa che ha incrinato il rapporto con il ragazzo l’estate precedente. Mentre Anna sembra essere padrona della situazione, Jeanne non capisce i motivi per cui Giuseppe tardi ad arrivare e non si faccia vivo con lei. Con lo scorrere delle ore, Anna decide di prendere in mano la situazione e di annunciare alla giovane che Giuseppe non ha più alcuna intenzione di rivederla. La ragazza, disperata decide di partire il giorno dopo. Pietro, indignato, lascia la casa, non prima però di aver messo il cellulare di Giuseppe nella camera di Jeanne. Anna, dopo aver parlato con l’immagine del figlio che ha fatto ritorno a casa, decide di assistere alla processione pasquale e cerca invano di incrociare Giuseppe. Intanto Jeanne trova il cellulare e sente gli ultimi messaggi lasciati da Anna a Giuseppe, prima della sua scomparsa. È solo in quel momento che apprende la verità. Al ritorno di Anna le due donne si abbracciano in lacrime, senza parlarsi. Poi Jeanne va via e lascia Anna nella sua disperazione. 35 rande successo al Festival di Venezia, L’attesa di Piero Messina, regista siciliano al suo primo lungometraggio, prende ispirazione dall’opera teatrale di Luigi Pirandello La vita che ti diedi. Il regista, assistente di Sorrentino, mette in gioco la propria sicilianità, depurandola però da qualsiasi nozione folcloristica, per porre invece al centro lo spazio, sia esso quello degli interni della villa, su cui pesa il senso della perdita, che il paesaggio dell’anima. Evidenzia poi uno sguardo attento alla ritualità primordiale, quando fa della processione della Settimana Santa un momento nodale della vicenda. Perché quella che viene narrata è la storia di una Passione, già dalla primissima inquadratura, vista però dal punto di vista di una Mater Dolorosa. Anna non può e non sa accettare la separazione da Giuseppe e, nel momento in cui si trova davanti Jeanne, comprende di avere l’opportunità di poter prolungare, suo tramite, la presenza di chi non c’è più. Il progressivo avvicinamento tra le due donne dovrebbe proteggere la giovane da un dolore difficile da gestire, ma in realtà è un bisogno inconfessabile della madre. L’attesa di chi non c’è più diventa così uno scavo nelle dinamiche di un’elaborazione di un lutto, da un lato e di una ipotetica presa di consapevolezza di una separazione da qualcuno che è ancora vivo dall’altro. Una delle domande a cui spetta allo spettatore fornire una risposta è quale sia la più difficile da superare. A muovere G Film il confronto emotivo tra le due donne è la scomparsa di Giuseppe, scomparsa le cui ragioni fino alla fine non vengono mai palesate. Anna e Jeanne devono confrontarsi con la perdita, partendo una da una posizione di vantaggio rispetto all’altra: a muovere le fila è Anna, che, negando la perdita del figlio, annega in tre giorni di finzione e apparente normalità il suo dolore. Jeanne non intuisce mai le ragioni dell’alone di tristezza che circonda quella donna così sofisticata, ma ne ammira la personalità e le attenzioni. A riportare Anna con i piedi per terra è la processione pasquale, che si tiene la sera del sabato santo. Tradizione vuole che durante la processione, allo scoccare della mezzanotte, la statua raffigurante il Cristo risorto incroci il percorso di quella raffigurante Maria: in tal modo, la madre ha la possibilità di ricongiungersi al figlio. In cuor suo, nella dimensione irreale che s’è creata, Anna spera di rivedere il suo Giuseppe, accorgendosi solo al mattino Tutti i film della stagione che la sua era mera illusione. Anna non accetta l’idea che il figlio non possa più far ritorno tra le sue braccia e per lei Jeanne rappresenta l’ultimo appiglio all’esistenza di Giuseppe. Mentire alla ragazza è l’unica possibilità per rimandare l’agonia e per viverla il più tardi possibile. Nessuno è in grado di farla desistere dal suo progetto: neanche il fedele Pietro (interpretato da un bravissimo Giorgio Colangeli), silenzioso e intimidatorio, può annullare il suo piano. La presenza di Jeanne restituisce ad Anna, seppur idealmente, il figlio perduto; i vestiti del lutto vengono abbandonati in favore dei colori, i drappi neri sugli specchi vengono strappati via, il cibo riprende forma e sapore, prima della resurrezione e della pace interiore. Messina si serve di una Sicilia fuori dal tempo, ancestrale e onirica. I paesaggi segnati dalla lava, le immense ville barocche, gli aerei antincendio, costruiscono un dramma in cui le emozioni non si esternano, ma si interiorizzano. Le due protagoniste, entrambe francesi, usano lo stesso linguaggio, come a dire che la cosa importante è che si capiscano loro e tra loro. Non che capisca lo spettatore. Le atmosfere di una caldissima Sicilia, location e ambientazione totale del film, contribuiscono ad alimentare il mistero di cui è avvolto l’atroce dolore. Il manierismo registico che caratterizza il discepolo di Sorrentino affiora nel compiacimento delle riprese geometriche degli interni, nelle insistite riprese del paesaggio, con le zone laviche, le spiagge, i tempi lunghissimi. Con una attenzione quasi maniacale alla composizione visiva, allo stile e ai dettagli, il regista ottiene però il risultato di indebolire in parte la partecipazione emotiva dello spettatore alla storia. Per fortuna, la musica assume un ruolo determinante; è proprio sulle note di Waiting for a miracle di Leonard Cohen che infatti si consuma l’attesa di un miracolo, nella sequenza chiave in cui la madre immagina di parlare con il figlio, che è tornato a casa. Un non luogo che per pochi giorni unisce due universi all’apparenza paralleli, che hanno in comune il concetto di attesa. Anche lo spettatore attende il momento in cui ogni verità salterà al pettine. Grandi le prove attoriali, con una Lou de Laâge di una bellezza disarmante, occhi di ghiaccio, spontanea e credibile. Ma è Juliette Binoche l’anima del film. Lo è la sua femminilità, la sua grazia, che riempiono lo schermo tanto che non è possibile immaginare questo film senza di lei. Una prova recitativa intensa, fatta di sguardi, scrutata nelle sue espressioni fino all’ossessione; modello di madre dolente, che rende sopportabili certi silenzi che paiono infiniti. Veronica Barteri IL FIDANZATO DI MIA SORELLA (How to Make Love Like an Englishman) Stati Uniti, 2014 Regia: Tom Vaugham Produzione: Southpaw Entertainment, Irish Dreamtime, Landafar Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 22-7-2015; Milano 22-7-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Matthew Newman Direttore della fotografia: David Tattersall Montaggio: Matt Friedman Musiche: Stephen Endelman Scenografia: John Collins R ichard Haig è un professore di poesia romantica al Trinity College di Cambridge con il vizio Costumi: Lizzy Gardiner Effetti: Eric J. Robertson Interpreti: Pierce Brosnan (Richard Haig), Salma Hayek (Olivia), Jessica Alba (Kate), Malcolm McDowell (Gordon), Ben McKenzie (Brian), Duncan Joiner (Jake), Merrin Dungey (Angela), Fred Melamed (Piggott), Ivan Sergei (Tim), Lombardo Boyar (Ernesto), Marlee Martin (Cindy), Lee Garlington (Wendy), Paul Rae (Chad), Robert Mailhouse (Alan), Lindsey Sporrer (Misty), Seth Morris (Barry) Durata: 102’ delle belle donne. Richard ha ereditato il vizio di essere una vera canaglia da suo padre, Gordon, ex professore di inglese e 36 grande donnaiolo in gioventù, un uomo che crede ancora con forza nell’amore libero. Richard sta per diventare padre, ma Film ancora non lo sa. La madre del suo bambino è una giovane studentessa americana, Kate che ha frequentato il suo corso. Ma ancora prima di apprendere la notizia, Richard incontra casualmente in un locale una frizzante e sensuale scrittrice di romanzi, Olivia, alle prese con una serie di disastri sentimentali. Subito dopo, nello stesso locale, il professore scoprirà che Olivia, l’unica donna capace di tenergli testa e di mettere in dubbio i suoi comportamenti da eterno dongiovanni, è la sorella di Kate, la studentessa da cui aspetta un figlio. Proprio in nome del bene del bambino, Kate e Richard decidono di trasferirsi nella solare Malibu per crescere il loro figlio. I primi tempi tutto sembra filare liscio e Richard si dedica completamente al piccolo Jake. Ma dopo qualche anno, Kate si innamora di un ragazzo più giovane, Brian, che si trasferisce in breve tempo a casa sua. Ma la convivenza tra i tre non è facile. Per di più, Richard rischia di perdere il suo diritto di soggiorno negli Stati Uniti e di conseguenza suo figlio. Quindi Richard convince Kate a lasciarlo vivere nella dependance per gli ospiti finché non saranno pronti i documenti per richiedere il permesso soggiorno negli Stati Uniti. Ma, all’improvviso, nella villa arriva Olivia per una visita alla sorella. Attratto dalla donna, Richard perde il controllo e, dopo essere stato fermato dalla polizia per guida in stato di ebbrezza, compromette la sua situazione già difficile. Richard decide di affidarsi a Ernesto, un avvocato messicano che si occupa di immigrazione, per cercare di recuperare credibilità. Ma i responsabili dell’ufficio immigrazione americani non si lasciano impressionare e, per la prima volta nella sua vita, Richard si rende conto che i suoi Tutti i film della stagione comportamenti irresponsabili rischiano di fargli perdere tutto ciò che ha di più caro. Non solo il piccolo Jake e Olivia, ma anche Kate e Brian fanno ormai parte della sua famiglia. Richard si accorge di aver bisogno di loro tanto quanto loro hanno bisogno di lui. E proprio quando tutto sembra ormai compromesso, è proprio Gordon, il padre di Richard, a convincerlo a non arrendersi e a fare di tutto per tenere unita la propria famiglia. L’abbraccio finale di Richard con tutta la sua famiglia allargata sancirà una nuova fase nella vita del professore, ormai ex dongiovanni innamorato della bella Olivia. rendere la sophisticated comedy uno dei filoni di maggior successo della Hollywood degli anni d’oro è stato proprio il fascino dei suoi protagonisti, divi e delle divine del mondo di celluloide. E proprio su questo mix vincente (in versione 2.0) è stata modellata la commedia Il fidanzato di mia sorella interpretata da un tris di attori che mescolano fascino e sensualità: l’ex 007 Pierce Brosnan, la caliente ‘chica’ messicana Salma Hayek e la bellissima attrice statunitense Jessica Alba. La storiella è leggera e l’epilogo piuttosto banale, tuttavia il film diretto da Tom Vaughan non è privo di qualche elemento d’interesse. Il confronto tra l’Inghilterra delle millenarie tradizioni di Cambridge e la patinata Malibu, paradiso di surfisti e belle ragazze, diviene, via via contrasto tra vecchia Europa e nuovo mondo, tra menti aperte da secoli di cultura, da un lato, e rigidi protocolli che regolano le leggi sull’immigrazione, dall’altro. E proprio su questo argomento, lo strano triangolo sentimentale tra un professore A piuttosto maturo e due donne bellissime (e molto più giovani) prende una strada diversa, complice il tocco di un regista inglese coadiuvato da uno sceneggiatore suo conterraneo. D’altronde, oggi la commedia non è più solo sentimento, o meglio non solo. Gli affari di cuore spesso si mescolano con tematiche sociali di grande attualità; in questo caso, il problema dei cittadini immigrati in un paese straniero (anche quando a cadere nella rete delle pastoie burocratiche sono stimati docenti universitari). Peccato però che alla fine, dopo tanto ragionare sulle difficoltà del cambiamento dello stile di vita nel passaggio da un continente all’altro (è la storia vissuta davvero dallo sceneggiatore del film, Matthew Newman, inglese che vive negli States) e sulle rigide leggi sull’immigrazione vigenti negli Stati Uniti, tutto si ricomponga. E così tra uno sketch e l’altro, un battibecco e una gaffe, la commedia procede verso un finale decisamente scontato che inneggia alla famiglia allargata e al “vogliamoci bene” con immancabile redenzione del maturo don Giovanni. Il fidanzato di mia sorella finisce per essere un film per nulla memorabile, solo una commediola piena di bellezze patinate (dai luoghi agli attori), su cui svetta, per simpatia e sensualità, la bella Salma Hayek (sono affidate a lei, una donna disarmante per schiettezza e sincerità, le scene più divertenti). Piccolo ruolo per il carismatico divo britannico Malcolm McDowell, nei panni del papà di Brosnan (con poca verosimiglianza anagrafica, a voler essere pignoli), maturo e incallito donnaiolo, irascibile e narcisista, lui si un modello da non seguire. Elena Bartoni THE LOBSTER (The Lobster) Irlanda, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, 2015 Regia: Yorgos Lanthimos Produzione: Ed Guney, Lee Magiday, Ceci Dempsey, Yorgos Lanthimos per Element Pictures, Scarlet Films, Faliro House, Haut et Court, Lemming Film, in associazione con Limp Distribuzione: Good Films Prima: (Roma 15-10-2015; Milano 15-10-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Yorgos Lanthimos, Efthymis Flippou Direttore della fotografia: Thimios Bakatakis Montaggio: Yorgos Bakatakis Scenografia: Jacquline Abrahams Costumi: Sarah Blenkinsop Effetti: Olivier Cauwet, BUF Interpreti: Colin Farrell (David), Rachel Weisz (Donna miope), Jessica Barden (Donna che sanguina dal naso), Olivia Colman (Direttrice dell’hotel), Ashley Jensen (Donna dei biscotti), Ariane Labed (Domestica), Aggeliki Papoulia (Donna senza cuore), John C. Reilly (Uomo col difetto di pronuncia), Léa Seydoux (Capo dei Solitari), Michael Smiley (Nuotatore solitario), Ben Whishaw (Uomo zoppo) Durata: 118’ 37 Film I n un prossimo futuro imprecisato, le persone single, secondo le regole della città, vengono arrestate o portate in un hotel di lusso, in cui sono costretti a trovare, in quarantacinque giorni, un compagno o una compagna con cui fare coppia. Se falliscono vengono trasformati in animali. David viene abbandonato dalla moglie, dopo anni di matrimonio e portato nell’albergo. Si porta dietro il cane, in realtà suo fratello, che ha subito lo stesso trattamento qualche anno prima. Deve trovarsi una partner, altrimenti, allo scadere dei giorni, verrà trasformato in un’aragosta, come da lui stesso scelto. Ma che non voglia anche lui diventare un cane è molto apprezzato dall’amministrazione: ormai in giro ce ne sono troppi. Nell’albergo i single sono trattati come reclusi: hanno vestiti tutti uguali, regole ferree e non possono praticare vita sessuale. È persino proibito darsi piacere. Bisogna partecipare a un certo numero di attività, tra cui lo sport e i concerti, che dovrebbero favorire la confidenza tra gli ospiti. Chi non ci sta e decide di fuggire ha l’alternativa di vivere da solitario nel bosco, ma ogni tanto gli ospiti dell’albergo vengono mandati a caccia dei ribelli, con fucili carichi di fiale soporifere e per ognuno dei solitari che catturano ottengono un giorno di permanenza in più. Chi riesce a trovare un compagno che abbia caratteristiche simili, forma una coppia. La coppia ha diritto alla stanza doppia e a un soggiorno sullo yacht. Se la coppia riesce a resistere gli viene affidato un figlio in prova e poi può andare a vivere in città. La città è un posto dove mostrarsi sempre felici e, soprattutto, in coppia. Il mondo dell’ipocrisia, mondo nel quale però anche i ribelli del bosco ogni tanto Tutti i film della stagione devono andare per fingersi altro da sé. I solitari che decidono di nascondersi nei boschi vivono tra gli alberi e le scogliere, simili ad un gruppo di terroristi. Obbligati a trascorrere il tempo in solitudine e a sentire la musica nelle proprie cuffie, ballando da soli, sono destinati a vivere eternamente solitari. Anche nel loro microcosmo vige un regolamento ferreo che porta a scavarsi la propria fossa e a essere mutilati in caso di intimità con gli altri. David nell’albergo incontra solo donne svitate e paranoiche. Una, da lui rifiutata, si butta dalla finestra, l’altra, completamente incapace di provare sentimenti, arriva a uccidergli il canefratello. Così decide di fuggire nel bosco e qui incontra una possibile anima gemella, miope proprio come lui. I due inizialmente si amano in silenzio, inventando un loro alfabeto fatto di gesti pur di comprendersi. Poi la leader del gruppo scopre il loro segreto e punisce brutalmente la donna rendendola cieca. David propone alla sua compagna di scappare in città e la porta in un ristorante. L’idea è quella di accecarsi, per essere finalmente uguali. remio della giuria al Festival di Cannes, l’ultimo film dell’anticonformista regista greco Yorgos Lanthimos The Lobster traduce in un iperrealismo grottesco la paura contemporanea e inarrestabile del rimanere soli, terrore paragonabile solo a quello di vivere con qualcuno. Al debutto con una pellicola in lingua inglese, Lanthimos realizza un prodotto spiazzante, che arriva diretto come un pugno nello stomaco. Superando anche i confini dell’inverosimile, si entra in quelli dell’irreale, con delle metamorfosi, che diventano vere e proprie allegorie da P 38 interpretare. Per cui il nucleo tematico del film non è tanto quello dei single da bandire, educare e semmai trasformare; questo è solo l’escamotage per arrivare a qualcosa di molto più profondo. In questo caso la “regola” iniziale che dobbiamo accettare è quella di un mondo in cui non esiste il vero amore e forse neanche i sentimenti. La prima parte del film ci ricorda molto Lans Von Trier, copiato nel ritmo, nella voice off e in alcune sequenze, come la prima caccia nel bosco. La voce fuori campo appare didascalica e non necessaria ai fini della comprensione e domina un forte schematismo spaziale. Tre infatti sono i luoghi del film: l’albergo, il bosco e la città. L’albergo rappresenta probabilmente il luogo della ricerca della propria strada. È uno spazio pieno di regole (come del resto lo sono tutti i luoghi del film, a sottolineare quanto gli uomini appaiano come burattini privi di personalità), o accetti di diventar coppia o decidi di restare, con tutti i rischi del caso, un Solitario. Oppure muori e diventi un animale. Da questo luogo di mezzo puoi andare quindi in due direzioni: nel bosco, simbolo dello stato naturale, quello ossia dell’uomo visto come essere solitario, individualista e incapace di provare emozioni, oppure nella città, luogo dell’apparenza e del falso. Ma nessuno è un luogo felice, nessuno un luogo autentico, in nessuno di essi l’uomo è libero e felice. Critica forte nei confronti dell’uomo, che è ridotto ad automa. Non esistono esseri umani buoni e giusti; o fingono, oppure sono esseri individualisti e completamente anaffettivi. Anche la faccenda della “cosa in comune” è la dimostrazione di quanto poco serva per fingersi anima gemella e potersi permettere una vita normale in un mondo che di “normale” non ha proprio nulla. Un mondo dove la violenza è all’ordine del giorno, così come freddo e meccanico appare il sesso. L’amore è il frutto di menzogne e convenienza. Forse l’unico vero accenno d’amore si nasconde dietro quei gesti in codice nel bosco, per raccontare il bisogno di affetto o condivisione umana. Che tuttavia ci viene negato, per lasciare lo spettatore ancora una volta nell’attesa, andando via un attimo prima di scoprire la verità. Un tavolo di ristorante dove forse qualcuno tornerà o forse no. Attacco aspro anche alle strutture, alle convenzioni e alle ipocrisie che il vivere in una società ci impone, laddove l’uomo, anche se si ribella, non può in ogni caso salvarsi da se stesso. Non è difficile leggere nel film infatti anche una certa sfiducia nell’organizzazione sociale contemporanea e una rappresentazione della mercificazione dei Film Tutti i film della stagione messa in scena che non limita neanche gli inserti splatter, guarda caso sugli animali. Completa il quadro una colonna sonora ossessiva e disturbante, una regia fredda come quello che racconta, che trasmette una sensazione di forte straniamento. Ed è proprio in questo grande affresco, nella molteplicità di letture e nel desiderio di realizzare un’opera dai molti livelli di lettura, che il film forse pecca e fallisce. Anche lo stile distante, asettico e impenetrabile della recitazione crea un senso di sfasamento. Il cast, internazionale, è però degno di nota. Colin Farrell, irriconoscibile, con un sentimenti da parte di tutte le istituzioni, che si propongono come coagulanti nella ricerca di un altro individuo da amare. Anche la violenza onnipresente, spietata, brutale e insensibile sembra una versione concreta di quella più sottile violenza psicologica operata dal condizionamento sociale. L’umanità è dunque azzerata, come succede nella scena tremenda dell’uccisione del cane, in cui nessuno ne esce bene. Gli unici sereni e liberi sembrano essere proprio gli animali nel bosco. Comico, tragico, violento, The Lobster procede per paradossi, slittando in una filo di pancetta, capelli spettinati, occhialetti, camiciola e impacciate movenze da impiegato è fantastico nel suo vacillare in bilico proprio al centro di questa situazione assurda. Rachel Weisz interpreta un personaggio smarrito e stralunato, a cui non resta che decidere se seguire il proprio istinto individualista o sacrificarsi, letteralmente, per farsi coppia. Oltre a loro John C. Reilly, Ben Whishaw, Lea Seydoux e le amate attrici greche di Lanthimos, Ariane Labed e Angeliki Papoulia. Veronica Barteri NON ESSERE CATTIVO Italia, 2015 Regia: Claudio Caligari Produzione: Paolo Bogna, Simone Isola, Valerio Mastandrea per Kimerafilm con Rai Cinema e Taodue Film, in collaborazione con Leone Films Group Distribuzione: Good Films Prima: (Roma 8-9-2015; Milano 8-9-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Claudio Caligari, Giordano Meacci, Francesca Serafini Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi Montaggio: Mauro Bonanni Musiche: Paolo Vivaldi, Alessandro Sartini (collaborazione), Cristiano Balducci (musiche di repertorio) Scenografia: Giada Calabria 1 995 Ostia. Vittorio e Cesare hanno poco più di vent’anni e sono amici da una vita. Vivono di scorribande notturne tra locali, alcol e droga. I due con le loro comitive combattono nella periferia romana un disagio familiare, comune ed esistenziale. Cesare ha perso la sorella e vive con la madre precocemente invecchiata e la nipotina malata di aids. Vittorio, che inizialmente ha al suo fianco la compagna Viviana, trova in Linda il nuovo amore. È una ragazza madre conosciuta casualmente, abbandonata dal suo uomo e che Vittorio si trova a voler affiancare in tutto, anche per l’educazione del figlio. Vittorio quindi decide di mettere la testa sulle spalle, formare una famiglia vera con Linda e cerca di mettersi a lavorare seriamente in maniera onesta, perdendo di vista un po’ l’amico Cesare. Questo intanto scopre Viviana come sua dolce metà, decide di andare a vivere con lei e insieme scelgono una casa diroccata e abbandonata come dimora del loro amore. Cerca così di uscire anche lui dal tunnel della droga chiedendo aiuto Costumi: Chara Ferrantini Interpreti: Luca Marinelli (Cesare), Alessandro Borghi (Vittorio), Silvia D’Amico (Vivana), Roberta Mattei (Linda), Alessandro Bernardini (Brutto), Valentino Campitelli (Grasso), Danilo Cappanelli (Lungo), Manuel Rulli (Corto), Emanuela Fanelli (Smandrappata), Giulia Greco (Smandrappata), Claudia Ianniello (Smandrappata), Elisabetta De Vito (Madre di Cesare), Alice Clementi (Debora), Emanuele Grazioli (Lenzetta), Luciano Miele (Mario), Stefano Focone (Samanta), Massimo De Santis (Prete), Andrea Orano (Tommasino), Alex Cellentani (Padrone del bar) Durata: 100’ a Vittorio, ma riesce difficilmente a non ricadere nella trappola. Nel frattempo, poi, la sua amata nipotina si aggrava e muore. I due che nella prima parte del film si drogano e spacciano stupefacenti, in un secondo tempo cercano di trovare un lavoro “normale” in un cantiere. È così che Vittorio e Cesare cominciano a sperimentare un limbo della sopravvivenza, in cui vengono emarginati dai loro ex amici, ma anche dagli altri operai nel cantiere. Cesare cerca di ingannare il capo cantiere, il suo spirito non riesce a vivere il lavoro in maniera onesta, anche se si tratta di un’occupazione più legale dello spaccio. Ognuno con il proprio carattere, i due, legati da un rapporto fortissimo, riescono con difficoltà a vivere nella normalità. Il destino riserverà loro strade diverse. alle atmosfere pasoliniane (da Accattone viene ripreso il nome Vittorio) e scorsesiane, Non essere cattivo è un racconto durissimo di vita vera e di droga. Una storia di amicizia, di voglia di vivere di due figure al confine D 39 che faticano a vivere nella normalità. Questi ragazzi ciclicamente ricadono nel tunnel della droga e, attraverso le loro vicende personali, Caligari regala a noi spettatori una rappresentazione della borgata romana ma anche dell’umanità. La scelta di ambientare la storia a metà degli anni ’90 è stata dettata dal voler ricostruire un cambiamento della società che era stato caratterizzato anche da un diverso uso degli stupefacenti. Oramai le droghe pesanti erano arrivate anche a ceti più popolari. Attraverso la “realistica” fotografia di Maurizio Calvesi, prende quindi vita un racconto sensoriale: visivo innanzitutto ma anche uditivo. Non essere cattivo è, al contempo, ciò che sta scritto sull’ orsacchiotto della nipote di Cesare, è l’urlo di chi vede dall’esterno due umanità rovinate e perse nel mondo della droga, ma anche quel grido interiore dei due ragazzi che cercano, con ogni sforzo, di venir via da una condizione di degrado. Cesare e Vittorio si staccano dalla loro comitiva, vivono momenti di emarginazione, lì come anche con il nuovo datore di lavoro, ma Film nonostante questo ci provano. Il loro sogno di una vita diversa parte da due bambini: nel caso di Vittorio, dal figlio di Linda e, in quello di Cesare, dalla nipotina Debora e dalle donne che per entrambi i protagonisti hanno un ruolo centrale. La volontà è fortissima così come anche la speranza dei due sognatori. Quando Cesare e Viviana vanno Tutti i film della stagione ad stare in una casa disabitata accorre la disperazione della fantasia, o la fantasia della disperazione, che dir si voglia. La storia d’amore tra Linda e Vittorio nasce da un’arma affidata per caso in spiaggia alla ragazza durante una fuga del ragazzo. I sentimenti raffigurati sono “tanto e troppo” reali nonostante le condizioni disastrose. Non c’è vena di patetismo o compassione, anzi; tutti i personaggi, ognuno a modo proprio, sono segnati dalla vita. Con amarezza è come se si volesse sostenere che per Vittorio e Cesare l’unica soluzione per sopravvivere sia la droga. Uscito postumo dopo la morte di Caligari grazie all’aiuto di Valerio Mastrandrea, Non essere cattivo è un film in cui la sceneggiatura scorre liscia grazie anche alla bravura del cast in particolare dei protagonisti interpretati da Alessandro Borghi e Luca Marinelli. Dopo il discusso Amore tossico del 1983 e L’odore della notte del 1998 il regista rivolge la propria attenzione più sui personaggi che sulle azioni e cita ancora una volta se stesso, in particolare nella scena iniziale che fa da filo conduttore. Candidato agli Oscar, Non essere cattivo mette a nudo una bellezza cinematografica non convenzionale, ricercata da sempre e strumento perfetto per indagare e rappresentare nel migliore dei modi una certa realtà. Quella “bellezza” invisibile agli occhi anche quando tutto intorno sa di morte e di disperazione. Giulia Angelucci LOVE IS IN THE AIR – TURBOLENZE D’AMORE (Amour & Turbulences) Francia, 2013 Regia: Alexandre Castagnetti Produzione: Révénce, Manchester Films, Thelma Films, Universal Pictures International France, in associazione con Indéfilms Kinology Distribuzione: Nomad Film Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Vincent Angell, Natasha Gomes de Almeida, Nirina Ralanto (adattamento e dialoghi), Brigitte Bernol (adattamento e dialoghi), Julien Simonet (adattamento e dialoghi), Xavier Nemo (adattamento e dialoghi), Alexandre Castagnetti (adattamento e dialoghi), Nicolas Bedos (adattamento e dialoghi) Direttore della fotografia: Yannick Ressigeac J ulie è una scultrice di talento alla ricerca del successo, Antoine un giovane avvocato sciupafemmine. Una mattina i due si incontrano sull’aereo che li riporterà a Parigi. Cosa hanno in comune? Una storia d’amore travagliata e finita male. Il volo intercontinentale diventerà occasione di bilanci e recriminazioni, accuse e riappacificazioni. Attraverso i flashback riviviamo le tappe della storia tra i due: il primo incontro a una mostra, il fascino di Antoine e la riservatezza di Julie. Poi la convivenza, le incomprensioni, le gelosie e i litigi. E infine la separazione Montaggio: Scott Stevenson Musiche: Nicolas Wauquiez, Evymoon Scenografia: François Emmanuelli Costumi: Emmanuelle Youchnovski Effetti: Alain Carsoux, Joel Pinto Interpreti: Ludivine Sagnier (Julie), Nicolas Bedos (Antoine), Jonathan Cohen (Hugo), Arnaud Ducret (Franck), Brigitte Catillon (Claire), Jackie Berroyer (Arthur), Clémentine Célarié (Marie), Michel Vuillermoz (Georges), Lila Salet (Stéphanie), Ina Castagnetti (Aïssa), Sophie-Charlotte Husson (Nina), Cédric Novet (Enzo), Ania Gaver (Ex Amante), Jean-Philippe Goudroye (Renato), Kelly Kopen (Pearl) Durata: 96’ definitiva. Julie riceve un’offerta per una borsa di studio a Tokio, ma è Antoine a rispondere al telefono e a rifiutare, fingendosi il fratello, per paura di perderla. Pochi giorni dopo, la ragazza scopre tutto e lo lascia. Eccoci dunque sull’aeroplano. I sentimenti tra i due sono tutt’altro che scemati. Improvvisamente il velivolo viene colpito da forti turbolenze. D’istinto la coppia si dà la mano e si dichiara ancora una volta. Poi tutto torna normale. Scopriamo che Julie dovrà sposarsi a breve con un avvocato. Antoine perde ogni speranza di riconquistarla. Arrivati a Parigi, Antoine si 40 reca proprio nello studio del futuro marito della donna per un colloquio di lavoro. Qui, ubriaco e disperato, egli racconta del suo amore per una ragazza. Julie è dall’altra parte della porta e sente tutto. La donna lascia il compagno e insegue il suo vero amore. I due si ritrovano e si baciano con passione. gnorato quasi completamente dal pubblico italiano (circa ottomila euro incassati nel primo weekend) complice la distribuzione minima, Love is in the air – Turbolenze d’amore è invece un film I Film piacevole, un’onesta commedia sentimentale che del genere porta i tipici difetti ma che, al contempo, presenta spunti originali e apprezzabili. La struttura teatrale – l’incontro tra i due protagonisti in un luogo claustrofobico dal quale non possono fuggire– che sembrava poter penalizzare il film sul piano del ritmo, ne diviene invece punto di forza, occasione di originalità attraverso i numerosi flashback che battono il tempo, allontanano la noia e aiutano la narrazione (nota di merito per l’ottimo montaggio), il tutto mescolato a un umorismo leggero e Tutti i film della stagione zuccheroso. Il film funziona, fa sorridere e strizza l’occhio al pubblico attraverso vicende su cui tutti sono passati almeno una volta e in cui tutti possono immedesimarsi: i primi incontri, l’amore che si accende, la passione, la complicità e poi le difficoltà, le discussioni, i compromessi e, infine, le recriminazioni, le polemiche, le colpe. Nonostante il plot elementare, la pellicola riesce dunque per buona parte della durata a intrattenere con una propria identità, anche grazie alla buona caratterizzazione dei protagonisti. Poi, inevitabilmente, con l’avvicinarsi dell’atterraggio, l’elemento sentimentale, smielato e caramelloso, si fa violentemente spazio, dominando l’intero finale segnato dalla retorica della dichiarazione strappalacrime, della corsa contro il tempo, dell’amore che trionfa. Nell’insieme, a ogni modo, Love is in the air – Turbolenze d’amore si rivela un filmino a grandi tratti godibile, che, nel mare magnum delle commedie sentimentali, avrebbe meritato certamente maggiore attenzione. Giorgio Federico Mosco RUTH & ALEX – L’AMORE CERCA CASA (5 Flights Up) Stati Uniti, 2014 Regia: Richard Loncraine Produzione: Charlie Peters, Lori McCreary, Curtis Burch, Tracy Mercer per Revelations Entertainment, Latitudine Productions Distribuzione: Videa Prima: (Roma 25-6-2015; Milano 25-6-2015) Soggetto: dal romanzo “Heroic Measures” di Jill Ciment Sceneggiatura: Charlie Peters Direttore della fotografia: Jonathan Freeman Montaggio: Andrew Marcus Musiche: David Newman Scenografia: Brian Morris Costumi: Arjun Bhasin R uth e Alex sono una coppia intorno ai settanta che vive a Brooklin, in una bella casa luminosa scelta quarant’anni prima: da allora, lui pittore in cerca di affermazione, lei giovanissima modella, poi insegnante, non hanno smesso di amarsi e di essere felici (considerati anche i pregiudizi del tempo, lui infatti è un nero) in un appartamento una volta ritenuto periferico e diventato nel corso degli anni di gran moda e di gran prezzo. L’età però avanza e i due tentano di mettere fine a una scomodità sempre più presente dati i cinque piani di scale senza ascensore: si rivolgono così a Lily, una loro nipote agente immobiliare con lo scopo di sostituire il loro appartamento tanto amato con un altro più agevole. Nel frattempo, una fatto eccezionale accade nei pressi: il ponte di Williamsburg è reso impraticabile da un camion incidentato alla cui guida la polizia pensa fosse un terrorista pronto a entrare in azione e ora in fuga e braccato in tutta la città. Contemporaneamente, Ruth e Alex trovano un appartamento che sembrerebbe avere tutte le caratteristiche che possano Effetti: David Isyomin Interpreti: Morgan Freeman (Alex Carver), Diane Keaton (Ruth Carver), Cynthia Nixon (Lily Portman), Claire van der Boom (Ruth giovane), Korey Jackson (Alex giovane), Carrie Preston (Miriam Carswell), Michael Cristofer (Larry), Diane Ciesla (May), Josh Pais (Jackson), Maddie Corman (Donna amichevole), Miriam Shor (Donna fredda), Gary Wilmes (Sig. Vincent), Liza J. Bennett (Sig.ra Vincent), Ted Sod (Sig. Rahim), Sterling Jerins (Zoe), Ilana Levine (Madre di Zoe), Maury Ginsberg (Dott. Kramer), Eric Sheffer Stevens (Sig. Schuyler), Alysia Reiner (Blue Leggings), Henry Kelemen (Justin), Hani Furstenberg (Sig.ra Schuyler), Hannah Dunne (Debbie) Durata: 92’ soddisfarli e arrivano quasi a concretizzare un’offerta. In mezzo a tutta questa grande confusione di acquirenti e venditori, di atti di terrorismo presto rientrati e di personaggi contraddittori, Ruth e Alex si rendono conto di una cosa fondamentale: loro hanno già un appartamento che amano e che ha visto anno dopo anno il concretizzarsi della loro unione e dei loro ricordi e decidono così di non muoversi, stanno bene dove stanno, poi si vedrà... un’operazione condotta a tavolino, una sit com piacevole costruita sulla mostruosa bravura di due star di Hollywood che prestano la fantastica precisione dei loro ritmi di spettacolo a una storia di anzianità come se ne vedono da tempo in America: Diane Keaton è bravissima a fare la moglie cinematografica (proprio lei che nella vita non si è mai sposata) ripescando gli sguardi, gli smarrimenti e le passioni del suo grande passato newyorkese (mentore Woody Allen) non rinunziando alla sua forza seduttiva che, nonostante gli anni che non nasconde, continua a brillare di È 41 fascino e di luce senza tempo; Morgan Freeman, più responsabile e taciturno, preferisce stare con i piedi per terra, ben conoscendo la materia di cui sono fatti i sogni da cui si compiace essere talvolta sopraffatto, gattone e sornione, per gli scoppi di sconsiderato ed eterno ottimismo, di cui è capace l’amatissima moglie. Non c’è però solo questo. Altri due elementi innervano e scuotono il prevedibilissimo e sdolcinato affaire immobiliare. Intanto il panorama di esseri che visitano gli appartamenti in vendita: una galleria di persone e personaggi oppressi da tic, fissazioni, manie e paranoie, vero quadro di un’umanità che sospintasi orgogliosamente in mare aperto sta andando ora alla deriva senza alcun costrutto di intelligenza e senso comune. Il secondo elemento è dato dall’accaduto sul ponte che coinvolge un camion non si sa se guidato da terroristi pronti al disastro o altro: non è questo il punto perchè i network televisivi e le organizzazioni dei media della costa orientale si gettano sull’avvenimento come rapaci, non tanto per commentare e approfondire il possibile disastro stradale, ma per utilizzare il Film fragore della notizia, accartocciatasi presto nel vuoto fino alla normale conclusione, come mezzo di affermazione della propria immagine e della forza d’urto dell’armata pubblicitaria. Tutti i film della stagione Davvero uno spaccato terribile della società di oggi spinta oltre ogni limite di fronte a cui le schermaglie e i ricordi delle due anziane star sembrano appartenere a un’epoca già ora lontanissima e inspie- gabile per la preminenza che viene data al valore dei sentimenti e delle relazioni umane. Fabrizio Moresco EX_MACHINA (Ex Machina) Gran Bretagna, Stati Uniti, 2015 Costumi: Sammy Sheldon Differ Effetti: Double Negative, Utopia Interpreti: Domhnall Gleeson (Caleb), Oscar Isaac (Nathan), Alicia Vikander (Ava), Sonoya Mizuno (Kyoko), Corey Johnson (Jay), Claire Selby (Lily), Symara A. Templeman (Jasmine), Gana Bayarsalkhan (Jade), Tiffany Pisani (Katya), Elina Alminas (Anber) Durata: 108’ Regia: Alex Garland Produzione: Film4, Dna Films Distribuzione: Universal Pictures International Prima: (Roma 30-7-2015; Milano 30-7-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Alex Garland Direttore della fotografia: Rob Hardy Montaggio: Mark Day Musiche: Ben Salisbury, Geoff Barrow Scenografia: Mark Digby C aleb Smith, un ragazzo ventiquattrenne eccellente programmatore, si aggiudica la possibilità di trascorrere una settimana nella casa in montagna di Nathan Bateman, l’amministratore delegato della grande società informatica per cui lavora. Nathan gli rivela subito che la sua casa non è altro che un grande istituto di ricerca, dove da solo, dopo decenni, ha progettato una I.A., un’intelligenza artificiale. Caleb è in realtà, a sua insaputa, stato scelto per eseguire il test di Turing, per capire se l’I.A è una vera intelligenza e ha coscienza di sé. Il giovane programmatore inizia subito il test, conosce Ava, un robot con pelle e circuiti dalle affascinanti sembianze femminili e comincia a parlarci, sorprendendosi di quanto sia intelligente e simile a un essere umano. I test proseguono ogni giorno e, con il passare del tempo, Ava sembra essere attratta da Caleb. Il ragazzo vorrebbe saperne di più, ma Nathan si comporta in modo vago e misterioso e si ubriaca spesso e maltratta la sua concubina. Durante il solito test, si verifica un blackout e Ava, sapendo di non essere vista dalle telecamere di Nathan, dice a Caleb di non fidarsi di lui. Il ragazzo insospettito decide di indagare e scopre altre I.A progettate da Nathan prima di Ava, usate anche come strumenti sessuali e poi ribellatesi a lui fino a impazzire. Caleb organizza un piano per far scappare Ava, dopo aver ulteriormente saputo che sarà formattata. Invece vengono scoperti da Nathan che aveva sentito le loro conversazioni. Ava però riesce a uscire dalla sua stanza e con l’aiuto di Kyoko, anche lei un robot, uccide Nathan. Caleb invece non riesce a uscire, rimane bloccato e vede Ava uscire dalla casa e lasciarlo lì. a prima esperienza di Alex Garland, lo sceneggiatore di 28 giorni dopo, dietro la macchina da presa può essere considerata un vero e proprio successo. Ha davvero un’anima molto classica Ex machina e fa di tutto per mascherarla con un efficace veste modernista. La pellicola di fantascienza psicologica, tutta basata sulla parola e sul ragionamento, è strutturata intorno a uno scienziato che si spinge oltre quello che dovrebbe essere consentito, dove la scienza sfiora il sovrannaturale e sperimenta nel suo castello remoto e inaccessibile quella che chiamiamo “vita”. Accanto a lui un più giovane e inesperto ragazzo di scienza, che si lascia contaminare troppo da quel che vede. Tra di loro una creatura che odia il proprio padre. Nello scontro di intelligenze a tre del film, Nathan, Caleb e Ava combattono tramite la parola una guerra di strategia e menzogne in cui, come spesso capita nella fantascienza contemporanea, sembra che solo il video registrato possa rivelare la verità. La realtà guardata con gli occhi è la cosa più ingannevole in assoluto, terreno di mistificazioni, mentre il video è la realtà, lo strumento di conoscenza del mondo per come è realmente, l’arma che svela gli inganni. È quindi tutto ciò che è tecnologico a meritare fiducia. Come per il mito di Frankenstein anche qui il punto di tutto sarà chiedersi chi dei personaggi in ballo sia davvero il mostro e chi meriti l’appellativo di essere umano. Inevitabile pensare a Under the skin o Lei, la pellicola di Spike Jonze, ma mentre lì c’erano le emozioni sconnesse da un corpo necessariamente analogico a cui far capo, qui a portare avanti la storia è una sottile tensione. Una “gothic story” che L 42 prende spessore e velocità, e investe con forza una situazione hitchcockiana, in cui nulla è davvero come sembra. La tensione si costruisce pian piano, non svelando subito le carte, modellando l’intreccio thriller e sfruttando la claustrofobia degli interni e la vastità degli esterni, trovandosi la magione di Nathan nella natura incontaminata. Seguendo un filo conduttore lineare e ben definito, Garland porta in scena un’articolata guerra psicologica tra i protagonisti, fatta di domande esistenziali, bugie e concetti filosofici, che, alimentando l’interesse dello spettatore, rende il film molto di più interessante del previsto. Infine lentamente l’attenzione si pone dalla parte dell’inumano piuttosto che dell’umano, per raccontare nuovamente dell’insopprimibile desiderio di vivere, mettendo in luce la crudeltà di Ava, decisamente degna dell’umanità da cui prende spunto il suo essere. Mentre Nathan, il suo creatore è assunto a ruolo di Dio. Come nella tragedia greca in cui la divinità appariva in alto su una macchina scenica, “ex machina” (da cui appunto il tiolo), e decideva il finale arbitrariamente. Esteticamente il film è di una precisione inaudita, che rischia la freddezza e un senso di oppressione. La visione stessa, filtrata attraverso le telecamere di sorveglianza, gli specchi, le ombre e le luci metalliche di una casa-laboratorio senza finestre, è fonte di angoscia. Quel manicheismo che a poco a poco si forma per tutta la durata del film dà un’idea forte, evidente, per nulla sbrigativa, che ha la stessa intensità di un sentimento. Ma che forse rimane agghiacciata per l’eccessivo formalismo. Il tema dell’umano è analizzato nel suo confronto con la solitudine, il conflitto con la tecnologia, in Film Tutti i film della stagione una rappresentazione algida, con musiche minimaliste ipnotiche, interpreti silenziosi e quasi dolenti. Ex Machina si interroga, formalmente, sul divario che c’è fra la freddezza della materia grigia e la luminosità dei sentimenti, passando attraverso le passioni, dove sentimento e pensiero si confondono. Niente che possa essere raccontato per filo e per segno, ma si tratta di una formula accuratamente imbastita per generare una fantascienza vibrante di dubbi, ambiguità e incertezze. Il finale poi è inaspettato e spiazzante. Come a dire l’ingrediente primo dell’umanità è la ricerca della libertà. Nel cast il simpatico Domhnall Gleeson, Alicia Vikander, nella parte dell’affascinante androide, un inquietante Oscar Isaac nei panni di Nathan e Sonoya Mizuno, la geisha androide. Veronica Barteri ARIANNA Italia, 2015 Regia: Carlo Lavagna Produzione: Tommaso Bertani, Carlo Lavagna, Damiano Ticconi per Ring Film con Rai Cinema, in associazione con Ang Film, Asmara Films, Essentia Distribuzione: Istituto Luce - Cinecittà Prima: (Roma 24-9-2015; Milano 24-9-2015) Soggetto: Carlo Lavagna, Carlo Salsa Sceneggiatura: Carlo Salsa, Carlo Lavagna, Chiara Barzini Direttore della fotografia: Hélène Louvart A rianna, diciannovenne e i genitori ritornano nella vecchia casa di Bolsena dove la ragazza non aveva più messo piede da quando aveva tre anni. Un problema accompagna Arianna da tempo e in questo ultimo periodo è diventato pressocchè ossessivo: non ha ancora avuto le prime mestruazioni nonostante le cure ormonali che il padre medico e un suo collega ginecologo le prescrivono per fare finalmente sbocciare la sua femminlità. In questo periodo estivo, Arianna ritrova amici e conoscenti che non vedeva dai suoi primi anni, soprattutto Celeste, sua cugina e amica del cuore, già donna, accompagnata da un ragazzo con cui ha già sperimentato le prime gioie del sesso. Arianna sente che tutto questo le è precluso, soprattutto dopo i primi tentativi con Martino con cui non riesce ad avere un rapporto completo. Decide allora di Montaggio: Lizi Gelber Musiche: Emanuele De Raymondi Scenografia: Fabrizio D’Arpino Costumi: Zazie Gnecchi Ruscone Interpreti: Ondina Quadri (Arianna), Massimo Popolizio (Marcello), Valentina Carnelutti (Adele), Corrado Sassi (Arduino), Blu Yoshimi (Celeste), Eduardo Valdarnini (Martino) Durata: 83’ andare a fondo dei suoi problemi e della sua ambiguità psicologica, indipendentemente dalle continue e generali assicurazioni che le dice il padre. La ragazza si reca quindi prima da una ginecologa della zona che ha subito dei dubbi e le prescrive degli accertamenti da fare nell’ospedale di Viterbo. I medici dell’ospedale, a seguito di visite e TAC hanno un quadro completo della situazione che anche Arianna comprende del tutto quando ottiene la cartella clinica completa. Lei alla nascita presentava caratteristiche sessuali maschili e femminili contemporaneamente, era cioè intersessuale, situazione troppo semplicisticamente indicata come ermafrodita; dopo pochi anni ha subìto un intervento chirurgico per l’assegnazione definitiva di un sesso una volta per tutte, quello femminile: nato Matteo è divenuta quindi Arianna. Tutto questo è raccontato dalla ragazza durante una delle sedute presso un centro 43 di sostegno di autocoscienza a cui si è rivolta: il suo racconto è composto, padrone, lineare; sa che dovrà convivere tutta la sua vita con una diversità che risulterà agli altri spesso incomprensibile, ma con questa vita dovrà vivere, diventare adulta e in pace con se stessa. i voleva un debuttante, Carlo Lavagna (in concorso alla sezione Giornate degli Autori di Venezia 2015) per portare sullo schermo uno dei tabù più antichi, quello della doppia sessualità, dell’essere uomo e donna insieme, della impossibile definizione di una identità personale che appartiene a entrambi i sessi pur non appartenendo a niente e nessuno. La strada drammaturgica scelta dall’autore per avvicinarsi a questo tema angoscioso da cui il cinema si è tenuto sempre alla larga è quella della normalità, della sensibilità, della capacità umana di abbracciare anche ciò che è impossibile C Film per farne il senso della propria vita diversa e della propria, ugualmente ricca, emotività. Non ci sono eccessi quindi in questo film né isterie né frasi shock, nessuno si strappa i capelli ma tutto l’ambiente è immerso nel calore di una sensibile, giocosa normalità in cui genitori, amici, ragazzi e ragazze danno un pezzo del Tutti i film della stagione loro disponibile amore per dare vita a quella zattera di sentimenti su cui Arianna sale per costruire la propria esistenza: certamentre sarà presto capace (così si evince dall’ultima seduta presso il consultorio) di restituire agli altri quell’amicizia e quel calore che l’hanno aiutata a vivere. Dolcissima, composta e forte l’inter- pretazione della protagonista, Ondina Quadri, ultima nata tra le nostre attrici, ma già capace di tratteggiare con intensità e toccante fermezza una situazione di cui trasforma il disagio in limpidezza, il dolore in una quiete composta e adulta non priva di fascino e voglia di vivere. Fabrizio Moresco LA BELLA GENTE Italia, 2009 Regia: Ivano Di Matteo Produzione: Guido Servino, Guglielmo Ariè per X Film, in collaborazione con Solaris Cinematografica, 360 Entertainment Distribuzione: Istituto Luce-Cinecittà Prima: (Roma 27-8-2015; Milano 27-8-2015) Soggetto e Sceneggiatura: Valentina Ferlan Direttore della fotografia: Duccio Cimatti Montaggio: Marco Spoletini A lfredo e Susanna sono una coppia di cinquantenni benestanti, animati da nobili principi nei confronti dell’umanità. Lui architetto, lei psicologa, sono insieme dai tempi dell’Università, da quando manifestavano contro la discriminazione. Come ogni anno, sono pronti per trascorrere l’estate nella loro tenuta privata, nella campagna umbra. Sulla strada che collega alla statale, in mezzo alle distese di campi, Susanna tornando dal paese assiste alla brutalità con cui un uomo maltratta una giovanissima prostituta straniera. Da sempre attiva nella difesa contro gli abusi sulle donne, Susanna sente di non poter far altro che salvarla. Convinto così il marito, la donna prende con sé Nadja, un’ucraina di diciassette anni e la ospita a casa. La ragazza si dimostra docile, servizievole ed educata e, dopo averla pulita e rivestita, la coppia progetta per lei un futuro roseo e lontano dalla prostituzione. Dopo l’iniziale ritrosia, la giovane inizia ad aprirsi e a raccontare qualcosa di sé. In principio instaura un bel rapporto con entrambi i coniugi: Alfredo le fa da maestro, prestandole molti libri in russo e Susanna le fa da confidente e da amica. Fino a quando in casa non arrivano il figlio Giulio, con la fidanzata Flaminia, per festeggiare il compleanno di Susanna. Flaminia è una ragazza viziata, abituata agli agi e alla bella vita e il Musiche: Francesco Cerasi Scenografia: Luca Servino Costumi: Loredana Buscemi Interpreti: Monica Guerritore (Susanna), Antonio Catania (Alfredo), Iaia Forte (Paola), Giorgio Gobbi (Fabrizio), Victoria Larchenko (Nadja), Myriam Catania (Flaminia), Elio Germano (Giulio) Durata: 98’ soggiorno dai suoceri non le fa affatto piacere, dal momento che c’è anche la scomoda presenza di Nadja. All’improvviso tutto cambia, i rapporti diventano più tesi e Flaminia alla fine decide di ripartire da sola per l’isola del Giglio. Giulio comincia a flirtare con Nadja fino a quando la porta a letto, facendole chissà quali promesse. La relazione tra i due ragazzi tuttavia non è vista affatto di buon occhio da Susanna. La presenza della giovane infatti disturba gli equilibri familiari e Susanna inizia a sospettare di lei, proprio per quello da cui l’amica benestante all’inizio, l’aveva messa in guardia. La ragazza infatti non si accontenta di essere stata salvata, non si limita a stare “al suo posto” silenziosa e riconoscente, ma addirittura pretende di partecipare al benessere altrui, vorrebbe perfino essere amata dal figlio e sedurre suo marito che si dimostra con lei troppo buono e affettuoso. Dopo l’ennesima lite anche con il padre, Giulio decide di andarsene e raggiungere la fidanzata, senza neanche salutare Nadja. Susanna affronta in maniera diretta la ragazza dicendole che non può più stare con loro e che l’avrebbero portata in un centro di assistenza per donne in difficoltà. Così Alfredo la accompagna alla stazione e si sgrava la coscienza lasciandole una busta con dei soldi. L’equilibrio sembra così essersi ristabilito. 44 a belle gente, girato nel 2009, uscito nelle nostre sale soltanto ora, grazie alla tenacia del regista che non si è arreso dopo innumerevoli problemi con la distribuzione, è l’inedito secondo lungometraggio di Ivano De Matteo. Prodotto con l’articolo 8, è la storia di una famiglia dai valori saldi, che vanno pian piano sgretolandosi quando questi entrano in contatto con la realtà. Grande successo in Francia, vincitore del Festival di Annecy, La bella gente è un film che come i successivi (in ordine di produzione, ma non di uscita) Gli equilibristi e I nostri ragazzi fa parte di un’ideale trilogia sulla famiglia. Un certo tipo di famiglia, quella che si sgretola di fronte alle responsabilità che vanno oltre le convenzioni, che getta la maschera di fronte all’imprevisto, quando si deve rimettere tutto in discussione. La protagonista Susanna è lo specchio di una società illusa dal possedere dei precetti imprescindibili, che tuttavia non riesce poi a mettere in atto. Presa con sé la bella Nadja, solo il suo essere un’animale ferito saprà colmare di orgoglio il buonismo della donna, ma, non appena quel lato indifeso della ragazza col tempo saprà cicatrizzare le ferite, farà uscire fuori non più la vittima bensì la persona, allora tutto il bene che un atto di estrema generosità avrà saputo dare verrà messo in dubbio con asprezza e risentimento. Non più separati per caste L Film sociali, quella “bella gente” protagonista del film è l’insieme delle personalità che oramai costellano la nostra collettività, che sanno gridare ai quattro venti i proprio ideali, ma non sanno perseguirli. Dove tutto rimane solo apparenza e superficialità. Alla fine, più dei razzisti dichiarati, chi veramente fa rabbia e pena insieme sono proprio quelli bravi, impegnati, generosi, che vogliono fare il bene, senza però mettersi mai al livello del beneficato, dimostrando una compassione di facciata che si sfalda non appena la minaccia sconfina dai limiti che le sono stati imposti. È un film che affronta anche in modo intelligente una tematica molto attuale: il tema del confronto tra persone che in fondo hanno tutto e sono ricche di sovrastrutture, e gente semplice e ingenua che non ha niente. Alla fine è Nadja, due volte vittima e trattata come un oggetto da chi diceva di volerla aiutare, quella per cui facciamo il tifo e nel finale aperto del film possiamo sperarla salva, anche se il suo gesto vezzoso di mettersi il lucidalabbra non ci fa ben sperare. Ma in lei potrebbe celarsi chiunque. È facile Tutti i film della stagione aiutare una persona in difficoltà, ma fino a che punto si è capaci di accoglierla nella propria vita? Si descrive un’amarissima radiografia sociale che denuncia uno dei mali peggiori del nostro tempo, l’individualismo. L’intento non è probabilmente sottolineare l’ipocrisia della sinistra neoborghese, ma il pessimo andazzo di gran parte del ceto medio italiano, tutto concentrato a conservare una solidarietà di facciata effimera e vana, indispensabile per conservare il proprio status symbol e non certo mossa da autentica generosità. Da una parte i radical chic, abituati ad una vita di agiatezza, eppure “di sinistra”, tra lotte e contraddizioni sociali; dall’altra gli amici di Susanna e Antonio, cafoni di destra, volgari nei modi e quasi orgogliosi nel volerlo continuamente ostentare. In mezzo, la giovane e indifesa Nadja, letteralmente finita dalla padella della strada alla brace di questa famiglia solo all’apparenza irreprensibile. Alla fine anche loro la pagheranno, come tutti i clienti. E come sempre accade, una volta espulso il corpo estraneo, nel nucleo familiare tornerà tutto come prima, almeno in apparenza. Un treno che sul finale dà l’occasione per fuggire e rifarsi una vita e una porta chiusa di chi ormai è già ad un nuovo, calmo, inizio. Come a dire rimane fuori tutto ciò che non è come noi. Ciò che sembra invece zoppicare è la sceneggiatura, un po’ approssimativa e non priva di stereotipi. I personaggi, più di ogni altra cosa, sono disegnati con superficialità e lo spettatore non riesce a inserirsi fino in fondo nella realtà narrativa del film. A questo, poi, non collaborano nemmeno gli interpreti che si prestano in performance abbastanza schematiche. Si salva, forse, solo un Elio Germano, alla seconda collaborazione con il regista, abbastanza convincente nell’interpretazione di un trentenne odioso, viscido e viziato e Antonio Catania, nel ruolo di un marito accondiscendente e padre comprensivo. Nel cast anche Monica Guerritore, istintiva e rigida, Iaia Forte e Giorgio Gobbi nei panni della coppia di amici, la bella Victoria Larchenko e Myriam Catania, l’insopportabile fidanzata “pariolina”. Veronica Barteri VALUTAZIONI PASTORALI Arianna – complesso-problematico / dibattiti Attesa (L’) – consigliabile-problematico / dibattiti Bella gente (La) – n.c. Calvario – complesso-problematico / dibattiti Città di carta – n.c. 2 giorni a New York – futile / grossolanità È arrivata mia figlia – consigliabileproblematico / dibattiti Ex Machina – n.c. Fidanzata di mia sorella (La) – n.c. Fuga in tacchi a spillo – consigliabile / semplice Giovani si diventa – consigliabileproblematico / dibattiti Io e lei – complesso / superficialità Lobster (The) – complesso-problematico / dibattiti Love is in the Air – Turbolenze d’amore – n.c. Marguerite – consigliabile-problematico / dibattiti Mission impossibile – Rouge Nation – consigliabile / semplice Much Loved – complesso-scabrosità / dibattiti Nemico invisibile (Il) – consigliabile / problematico Non essere cattivo – complesso-problematico / dibattiti Padri e figlie – consigliabile / poetico Partisan – n.c. Per amor vostro – consigliabile-problematico / dibattiti Pitch Perfect 2 – n.c. 45 Poli opposti – consigliabile / brillante Professore per amore – n.c. Ruth & Alex – L’amore cerca casa – consigliabile / semplice Salvation (The) – n.c. Sangue del mio sangue – complessoproblematico / dibattiti Sicario – n.c. Spy – n.c. Suburra – complesso / realistico Taxi Teheran – consigliabile-problematico / dibattiti Ted 2 – futile / grossolanità Tomorrowland – Il mondo di domani – consigliabile / poetico Torneranno i prati – raccomandabileproblematico / dibattiti Transformers 4 – L’era dell’estenzione – consigliabile / semplice Film Tutti i film della stagione Mostra Nuovo Cinema, Pesaro 50+1 A cura di Flavio Vergerio Dopo i lunghi periodi di direzione artistica di Adriano Aprà (10 anni) e di Giovanni Spagnoletti (15) la conduzione della Mostra di Pesaro passa a Pedro Armocida, a lungo collaboratore dello stesso Spagnoletti. Sembra che durante l’autunno e l’inverno le intenzioni del consiglio d’amministrazione della manifestazione presieduto dal sindaco di Pesaro, il renziano Matteo Ricci, fossero diverse, puntando su un personaggio d’immagine (un noto attore televisivo). Contro le ipotesi di un cambio di rotta della Mostra, Armocida, sostenuto dal comitato scientifico e da operatori culturali locali, assicura invece continuità culturale rispetto all’antico spirito fondativo di Pesaro, dedicato alla scoperta e valorizzazione del cinema estraneo ed estromesso dai grandi circuiti commerciali e attento ai linguaggi innovativi e di “ricerca”. Il nuovo direttore ha ristrutturato significativamente la struttura del programma giornaliero, eliminando le proiezioni mattutine, sostituite da tavole rotonde e incontri con i registi. Nelle intenzioni del nuovo direttore il “+1” che si aggiunge agli anni del cinquantenario della Mostra (1965-2015) sta a significare la ricerca di un nuovo futuro per il cinema. Non solo e non tanto nuove frontiere dell’immagine, ma anche e soprattutto nuovi “discorsi critici”. Così durante la tavola rotonda sulle nuove forme critiche sono stati visti, tra l’altro, straordinari esempi di “video essay” presentati da Chiara Grizzaffi, montaggio per analogie e differenze di sequenze scaricate dall’infinita cineteca dal web (you-tube, streaming). Un’altra significativa tavola rotonda era dedicata al futuro del nuovo cinema promosso e filtrato dai festival, che ha messo a nudo metodi di selezione e programmazione di diverse manifestazioni, mettendo a confronto le diverse strategie di politica culturale. Una terza tavola rotonda era dedicata al Pasolini pesarese, in occasione del cin- quantenario della partecipazione del Poeta alla prima edizione della mostra in cui il grande PPP formulava la prima ipotesi, destinata alla raccolta di saggi “Empirismo eretico”, del cinema di poesia e della soggettiva libera indiretta. L’omaggio a Pasolini era sostanziato dalla riproposta di otto suoi capolavori, da Accattone (1961) al suo terribile testamento profetico, Salò (1975). L’evento principale era dedicato agli Esordi italiani degli anni ‘10 (2010-2015), che offriva l’opportunità di “recuperare” o rivedere (e ripensare) 17 opere prime di un cinema che al di là di tutte le difficoltà produttive e soprattutto distributive presenta una sorprendente vitalità e creatività, malgrado tutti i mortiferi luoghi comuni critici, frutto di disattenzione e di pregiudizio. Questa atteggiamento negativo della critica dei quotidiani è una concausa del “cinecidio” del cinema italiano, secondo un neologismo coniato molti anni fa da Lino Micciché. Durante la relativa tavola rotonda è stato ricordato, ad esempio, che nell’annata 2013-2014 su 90 film prodotti sono usciti in sala solo 39. Non a caso il cinema italiano “giovane” è stato definito più volte “invisibile”. La rassegna era accompagnata da un corposo volume che, oltre a raccogliere alcuni saggi puntuti e stimolanti di Gianni Canova, Giona A. Nazzaro, Federico Pontiggia e di molti altri, offre una raccolta rivelatrice di interviste ai registi e un elenco completa delle opere del periodo studiato. Segnaliamo che il Centro Studi Cinentografici pubblica sin dal 2003 un volume annuale intitolato problematicamente “Saranno famosi?” e curato da Carlo Tagliabue, che raccoglie le testimonianze dei registi esordienti, analisi delle tendenze tematico-narrative e studio del mercato distributivo. Delle 17 opere della retrospettiva, difficilmente riconducibili a istanze narrativotematiche e/o scelte estetiche comuni mi 46 piace segnalare alcuni film che riescono a coniugare un’apparente “realismo” documentaristico con una dimensione metafisica e addirittura “religiosa” delle vicende narrate e dei personaggi. Ananke di Claudio Romano narra di una coppia che per sfuggire a una terribile pandemia che sta estinguendo il genere umano vaga fra i monti, si rifugia in una solitaria valle sperduta e mette al mondo una nuova vita, nutrita da una capra, cui la abbandonano. Alcuni segni collocano la vicenda, scarnificata da tempi lunghi, vuoti narrativi e assenza di dialoghi, in una dimensione necessariamente simbolica. Ananke è al tempo stesso il nome e il cuore della capra, e nella mitologia greca la personificazione della potenza del destino. La coppia fuggitiva rappresenta le figure di Maria e Giuseppe, la casa abbandonata nei boschi è una antica chiesa, ormai desacralizzata. Ma la coppia sfugge al proprio destino cristologico per proseguire la propria fuga verso l’ignoto. Commenta l’autore nelle note di regia: “Soli, ignari e in balia degli eventi, faranno i conti con l’ineluttabile (...) Per sfuggire alla morte è sufficiente a sfuggire all’uomo?”. Di grande rigore stilistico, dotato di uno sguardo implacabile e penetrante, mi è apparso anche un altro film “scoperto” in ritardo a Pesaro, TIR di Alberto Fasulo. Il film indaga sulla solitudine e sulla perdita d’identità di un camionista croato, Branko, perennemente in viaggio sul suo camion attraverso le autostrade d’Europa. Branko guadagna il triplo del suo vecchio stipendio di insegnante, con l’illusione di dare una vita più dignitosa alla propria famiglia, ma comunica faticosamente con essa solo attraverso faticosi brandelli di telefonate. Le necessità economiche mal si conciliano con quelle dell’uomo. Il cinema italiano di consumo si fonda oggi, come noto, quasi unicamente sul genere della commedia, spesso esangue e impoverita degli antichi furori degli anni ’60. Film Lodevoli allora almeno tre tentativi generosi, anche se forse furbescamente “costruiti” con una certa accondiscendenza alle attese del pubblico. Scialla! di Francesco Bruni descrive con tocchi di una certa verità psico-sociologica la progressiva reciproca comprensione e interazione fra un “docente ripetitore” a domicilio e un alunno sciamannato, che si rivela essere il figlio occulto. I primi della lista di Roan Johnson racconta in modo beffardo e surreale le vicende tragicomiche di tre componenti del Movimento Studentesco pisano, velleitari rivoluzionari, che messi in agitazione (siamo nel giugno 1970) dalla notizia di un imminente colpo di Stato fascista fuggono in Austria ove vengono sbattuti in carcere per espatrio clandestino e poi ignominiosamente rispediti a casa. Di notevole vivacità e precisione narrativa infine Smetto quando voglio di Sidney Sibilia che descrive la vicende grottesche di un gruppo di ricercatori universitari, disoccupati o precari, che si inventano un nuova droga non codificata dalla legge, con cui creano una nuova rete di spacciatori, salvo entrare in conflitto letale con le organizzazioni malavitose. Lo spazio del “concorso” e del “fuori concorso”, che é per i festival maggiori occasione di autocelebrazione e di “lancio” dei film, per una rassegna filmica di cinema “altro” ovvero di ricerca rappresenta sempre un problema di reperibilità di film altrimenti vogliosi di maggiore visibilità mediatica, pescati nelle pieghe dei programmi di Berlino o Locarno. Malgrado queste difficoltà, si sono visti a Pesaro alcuni film interessanti per la loro strategia narrativa e per le tematiche inconsuete. Il film premiato, Un jeune poète dell’esordiente francese Damien Manivel, descrive l’ossessione di una difficile ispirazione poetica di un adolescente vagante per le strade assolate di Sète (forse non a caso la cittadina nella Camargue ove Agnés Varda girò nel ‘54 il suo primo lungometraggio, La pointe courte). Il protagonista sviluppa una confusa e slabbrata meditazione sull’amore e la morte, sospesa fra sconfitta esistenziale e pulsioni erotiche frustrate, volta al senso dell’assurdo e dell’ironia. Il giovane cerca di affogare in interminabili bevute la propria frustrazione adolescenziale, ma forse troverà alla fine il senso della propria ricerca. Film misterioso e forse volutamente irrisolto, che trova il proprio senso nell’inane percorso spaziale e nella flânerie disperata. Analogamente dedicato alla rappresentazione della solitudine e dell’erranza era l’argentino La mujer de los perros di Laura Citarella e Veronica Tutti i film della stagione Lliná, ritratto denso di implacabile realismo di una donna emarginata vagante in una terra di nessuno alla periferia di Buenos Aires, accompagnata da un muta di cani, unico suo rapporto con il mondo ostile che la circonda. Altro ritratto impietoso di una donna sola era rappresentato da La madre del cordero dei cileni Enrique Farias e Rosario Espinosa: la cinquantenne Cristina vive miseramente dedita alla cura della vecchia madre malata, rinunciando alla propria vita. Quando la donna scopre per mezzo dell’incontro con un’amica libera e disinibita, decide di uccidere la madre… Il film memorabile in virtù della sua atmosfera cupa e claustrofobica. Solo apparentemente più ottimista e solare Petting zoo della statunitense Micah Magee. Il film racconta in effetti con un retrogusto amarognolo la vicenda paradigmatica di una diciassettenne che nella sua soffocante città di provincia nel Texas sogna una vita diversa dopo aver vinto una borsa di studio per accedere al college. Ma una gravidanza inaspettata sembra cambiarle la vita. Sotto le pressioni dei genitori la ragazza decide di non abortire, va ad abitare dalla nonna, accetta un impiego e inizia un nuovo rapporto sentimentale. Quando inopinatamente perde il bambino riprende con amarezza e maggiore consapevolezza gli studi universitari: l’adolescenza è finita, ora inizia il duro percorso della vita. La condizione della donna all’interno di una inedita classe media iraniana è il tema centrale di un ennesimo atto d’accusa contro l’ipocrisia del regime, che dietro le parole d’ordine del regime integralista nasconde il suo gretto materialismo, sviluppato dallo sceneggiatore Hamed Rajabi, alla sua prima regia con il drammatico A Minor Leap Down (lett. Un piccolo salta giù). La trentenne Nahal, incinta di quattro mesi, scopre di avere in grembo il feto morto e viene convinta dalla famiglia borghese al raschiamento. La donna, sottoposta da tempo a un trattamento antidepressivo, si ribella alla mancanza di empatia della famiglia e inizia tutta un serie di disturbanti atti anarchici, rifiutando le cure farmacologiche. Il regista illustra così, a fronte dell’impossibilità di atti di ribellione socio-politici, la necessità di singoli atti di denuncia nella vita privata. Fra gli “eventi speciali”, accanto alla riproposta della copia restaurata dell’epocale Lo squalo di Steven Spielberg (1975), esempio perfetto di combinazione fra esigenze spettacolari e abilità di creazione narrativa in vitro del suspense e della paura, attendevamo con curiosità di recuperare il redivivo Krzysztof Zanussi con 47 la sua impegnativa coproduzione Polonia/ Russia/Italia, Corpo estraneo. Il grande regista polacco ha abbandonato da tempo le modalità narrative della sospensione del tempo e l’analisi dell’ambivalenza della condizione umana nei suoi film d’esordio (La struttura del cristallo, Illuminazione), per percorrere piuttosto lo sviluppo di teoremi dimostrativi troppo netti e prevedibili. Il film racconta la storia psico-teologica di una coppia di profonda fede cattolica (lei polacca, lui italiano di Ancona) che si trova a confrontarsi con il disfacimento morale della Polonia, passata violentemente dalla dittatura comunista a quella del capitalismo delle multinazionali. Mentre la ragazza si chiude in convento, sorda alle invocazioni d’amore del fidanzato, l’uomo si confronta con il cinismo di una dirigente cinica adusa a oscure manovre di potere, degna erede del regime comunista. Tayfun Pirselimoğlu La bella retrospettiva dedicata al turco Tayfun Pirsemoğlu ha contribuito alla maggiore conoscenza di un cinema consacrato a Cannes 2014 con Il regno d’inverno di Nuri Bilge Ceylan, altrimenti invisibile sui nostri schermi. I film di Pirsemoğlu si sono imposti alla nostra attenzione per la straordinaria coerenza narrativa e per il rigore di una ricerca estetica che dall’apparente realismo approda a una coinvolgente dimensione simbolica. Il suo film d’esordio nel lungometraggio, Innowhereland (2002), sviluppa nella dimensione del vuoto esistenziale la denuncia politica, in un momento storico in cui, nel passaggio dal regime militare a quello “moderato” islamico la polizia faceva sparire illegalmente i dissidenti. Si tratta dell’inane ricerca di una madre, moglie di un detenuto politico, del figlio scomparso. La donna si rifiuta di riconoscere il cadavere di un giovane, identificato invece dalla fidanzata, e continua la sua peregrinazione fra obitori e stazioni di polizia, sino a ipotizzare la partecipazione del figlio alla lotta armata, perdendosi in una lontana regione desertica. Innervato di ambigue immagini oniriche, il film riesce a coniugare la dimensione di una solitudine ossessiva con quella della testimonianza e dell’impegno ad opporsi al potere occulto della polizia. A partire dal film successivo Pirsemoğlu sembra abbandonare la superficie “politica” dei suoi personaggi per approfondire la profondità angosciosa della loro condizione umana, fatta di solitudine e vuoto di senso. Il protagonista di Riza, ad esempio, è un Film camionista bloccato in uno squallido albergo di provincia mescolato ad altri poveretti costretti a una vita miserevole, in attesa del nulla. Nel racconto ispirato a Dostoevskij, l’uomo commette un delitto abbietto per procurarsi del denaro, salvo ipotizzare una problematica salvezza con la vecchia fidanzata. In questo film si manifestano già compiutamente i materiali narrativi e gli scenari simbolici che troveranno ulteriore sviluppo nei film successivi. I personaggi di Pirsemoğlu vivono nella vuota attesa di una salvezza impossibile: il danaro, una donna, un figlio, un lavoro dignitoso. Consumano inutilmente la loro giornate fumando incessantemente, vedono passivamente la tv, vivono da soli in anonimi appartamenti o squallidi alberghetti, frequentano assiduamente bar e barberie (ma hanno sempre la barba lunga). Si tratta in tutta evidenza di riempire esistenze vuote con riti di passaggio verso una diversa, più gratificante, ma impossibile identità. E’ il caso del film più compiuto sul piano progettuale, Hair (2010), il ritratto senza redenzione un uomo di mezza età, artigiano e commerciante di parrucche, sognatore di musiche e paradisi brasiliani. L’uomo è malato di cancro, perde i capelli a causa della chemio ed è in preda a una cupa depressione. Si innamora timidamente di una donna che gli vende i propri bellissimi capelli e comincia a pedinarla, scoprendo che è sposata con un volgare e scostante addetto all’obitorio, che la tradisce. Fattosi angelo vendicatore, uccide il marito e cerca disperatamente di sostituirlo nel rapporto coniugale. Ma il morto inopinatamente riappare e impedisce con la propria presenza il rapporto stesso. L’esistenza dei personaggi di Pirsemoğlu, priva di un orizzonte di valori e di dignità sociale, è destinata alla ripetizione e alla circolarità. SGUARDI FEMMINILI RUSSI La Mostra di Pesaro presenta da alcuni anni una sezione dedicata a giovani registe Tutti i film della stagione russe esordienti e spesso appena laureate al famoso Vgik o ad altre scuole e accademie di cinema e d’arte. ASnche quest’anno la piccola rassegna di soli quattro film ci ha permesso di fare alcune ipotesi sulle nuove tendenze e attenzioni delle giovani cineaste. Uno solo dei quattro film (La fine di un’epoca, di Sof’ja Cerniševa) sviluppa una tematica direttamente politica. Il mediometraggio, dotato di una cifra narrativa vivace e a tratti surreale, colloca la vicenda di emarginazione e di lotta contro un regime burocratico asfissiante, nel 1952, negli ultimi mesi dello stalinismo (il dittatore muore il 5 marzo1953). La protagonista è una giovane dottoressa, Ira, che a causa delle sue origini semite, malgrado le sue qualità professionali, viene progressivamente esclusa dal lavoro. I colleghi e il caporeparto ospedaliero le dichiarano una solidarietà pelosa e ipocrita, abbandonandola al suo destino. L’unica che la aiuta a sopravvivere e ad affermare la propria dignità è una piccola delinquente anticonformista e però dotata di molta energia, con cui è obbligata a convivere nel piccolo appartamento comune. Di fronte all’atteggiamento dolente e passivo di Ira, questa le insegna e lottare e a far fronte al muro di gomma del regime, opponendovi la propria ironia Quando Stalin muore, esplode la gioia incontenibile delle due donne e della popolazione che era stata vessata dal regime. Ma il cambiamento repentino e surreale di atmosfera sembra voler dire, nelle intenzioni della regista, che tutto è destinato a rimanere identico, nell’infinito gioco di adattamento della società russa ai cambiamenti politici. Arrivederci mamma di Svetlana Proskurina, l’unica veterana del gruppo, racconta invece l’implosione di una famiglia apparentemente felice, costituita da una giovane coppia del ceto medio, con un figlio amato. La donna inopinatamente si innamora di un altro uomo e malgrado il perdono del marito e il rinnovato affetto del figlio, abbandona la famiglia verso un destino incerto. La lunga e affermata professionalità di sceneggiatri- 48 ce della Proskurina ( fra l’altro ha girato un documentario sul cinema di Sokurov) si manifesta nella sottile descrizione dei rapporti (espressi e al tempo stesso occulti) fra i personaggi, che evidenziano la difficoltà di conciliare sogni e desideri all’interno di un formale rapporto famigliare. La ricerca della propria identità e della figura del padre perduto è il tema centrale di Dammi un nome di Nigina Sajfullaeva. Due ragazze, teen-agers belle e disinibite, si recano dalla città a un villaggio marino in Crimea alla ricerca del padre di una di esse, che non ha mai conosciuto. Il desiderio di trovare il padre si mescola però al timore di rimanerne delusa e Olja scambia la propria identità con quella della propria amica Saša. Ma quello che all’inizio poteva apparire uno scherzo, si complica quando il padre, uno sbandato che vive di espedienti, coinvolge le due ragazze in traffici illeciti, assieme alla sua temporanea compagna. Quando poi interviene la polizia, Olja rivela all’uomo la propria vera identità all’uomo. Questi rimane incerto e perplesso. La figlia si rende conto che un’agnizione è impossibile e vi rinuncia. Il film è così segnato da una sorta di ambiguità identitaria. Forse, sembra dirci la regista, la stagione dei “padri” è finita e le nuove generazioni russe sono chiamate a costruirsi una propria autonomia esistenziale. Infine un’amara riflessione sul rapporto fra vite ormai consumate e la morte è apparso 21 giorni di Tamara Dondurej, costruito fra documentario e finzione. Ventun giorni è il crudele limite massimo di permanenza in case di riposo di malati terminali, fissato dallo stato. Secondo la nota filmografica del catalogo gli spettatori “sono accompagnati in un viaggio attraverso spazi fisici e mentali, fra corsie, giardini e ricordi”. I due protagonisti raccontando la propria storia entrano in una relazione profonda con la morte, che “diviene parte della vita”. Flavio Vergerio CALVARIO - di John Michael McDonagh IO E LEI - di Maria Sole Tognazzi Luglio-Agosto 2015 136 Anno XXI (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma PER AMOR VOSTRO SANGUE DEL MIO SANGUE di Giuseppe M. Gaudino di Marco Bellocchio L’ATTESA di Piero Messina NON ESSERE CATTIVO di Claudio Caligari TORNERANNO I PRATI - di Ermanno Olmi TAXI TEHERAN Euro 5,00 di Jafar Panahi