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QUESTIONE DI METODO
di Colin Dexter
Traduzione di Giuseppina Caricchio
1
Il pensiero dipende strettamente dallo stomaco: ma non
è detto che quelli che non hanno problemi di digestione siano
i più grandi pensatori.
Voltaire in una lettera a D'Alembert
Il martedì ebbe qualche conato di vomito. Il mercoledì
vomitò più volte. Il giovedì i conati di vomito furono frequenti, ma in realtà vomitò soltanto a intervalli. Il venerdì
mattina presto, debole e completamente esausto, trovò a
mala pena la forza di trascinarsi dal letto al telefono per scusarsi con i suoi superiori al Quartiere generale della polizia
di Kidlington della sua probabile assenza dall'ufficio in quegli ultimi giorni di novembre.
H sabato mattina, quando si svegliò, ebbe la gradevole
impressione di sentirsi molto meglio. Era seduto nella cucina
del suo appartamentino da scapolo a Oxford, indossava un
pigiama a righe chiassoso come una sedia da spiaggia, e si
stava appunto chiedendo se il suo stomaco avrebbe tollerato
un Weetabix, quando il telefono squillò.
— Qui Morse — disse.
— Buongiorno, ispettore capo! — (Una bella voce!) —
Se vuole avere la cortesia di rimanere in linea un istante, il
sovrintendente vorrebbe parlarle.
Morse rimase in linea. Altre alternative? Nessuna, in
realtà. E intanto diede una scorsa ai titoli del "Times" che era
stato appena infilato attraverso la buca delle lettere nel piccolo ingresso… piuttosto tardi, come ogni sabato.
— Le passo il sovrintendente — disse la stessa bella
voce. — Un momento, per favore.
Morse non disse nulla, ma fu sul punto di mettersi a pregare (cosa straordinaria per un ateo come lui) perché Strange
si sbrigasse a venire al telefono e a dirgli qualunque cosa
avesse da dire… Minuscole goccioline di sudore gli si stavano intanto formando sulla fronte e con la mano sinistra tirò
fuori il fazzoletto dalla tasca della giacca del pigiama.
— Morse? Ah, sì! Mi dispiace sentire che non sta tanto
bene. C'è un'epidemia di influenza in giro, sa? Il fratello di
mia moglie l'ha avuta… ehm… due settimane fa? No, mi
sbaglio. Dev'essere stato almeno tre settimane fa. Ma questo
non c'entra.
Le gocce di sudore si erano riformate, più grandi ora,
sulla fronte di Morse. Se le asciugò di nuovo, mentre farfugliava nel telefono qualche frase di circostanza.
— Non l'avrò fatta alzare, spero?
— No… no, sovrintendente.
— Bene, bene! Volevo soltanto sentirla, nient'altro.
Ehm… senta, Morse! — Evidentemente Strange era arrivato
a una conclusione. — Non c'è bisogno che lei venga in ufficio oggi… non ce n'è assolutamente bisogno! Salvo che non
si senta davvero meglio, voglio dire. Credo proprio che possiamo farcela senza di lei. Il cimitero è pieno di uomini indispensabili… Ah! Ah! Ah!
— La ringraziò, sovrintendente. È stato molto gentile a
chiamarmi, ne sono lusingato… ma in ogni caso sono ufficialmente fuori servizio questo weekend…
— Davvero? Ah! Bene. Proprio bene, non è vero? Questo le permette di starsene a letto.
— Può darsi, sovrintendente — replicò Morse stancamente.
— Mi ha detto che è alzato, vero?
— Sì, sovrintendente.
— Bene, ritorni a letto, Morse! Potrà concedersi così un
bel po' di riposo… questo weekend… voglio dire. Proprio
quello che ci vuole… un po' di riposo… quando non si sta
troppo bene… non le pare? Proprio quello che il medico ha
detto al fratello di mia moglie… quando è stato…
In seguito, a Morse parve di ricordare di aver concluso
quella conversazione telefonica in maniera appropriata…
esprimendo un cortese interesse per la convalescenza del cognato di Strange ma anche di essersi passato ancora una volta la mano sulla fronte, che sentiva molto umida e molto
molto fredda… e poi di aver respirato profondamente tre
volte… e infine di essersi precipitato in bagno…
Fu la signora Green, la donna di servizio che veniva il
martedì e il sabato mattina, a chiamare il 999 perché mandassero un'ambulanza. Lo aveva trovato nell'ingresso, seduto
per terra, con la schiena contro la parete: cosciente, apparentemente sobrio e abbastanza presentabile, salvo che per le
macchie marrone scuro sul davanti del pigiama a righe…
macchie che per il colore e la granulosità le richiamarono distintamente alla mente i fondi di caffè in una caffettiera. E
capì esattamente che cosa significavano, perché quel dottore,
insensibile e spietato, le aveva detto senza tanti riguardi, ormai erano passati cinque anni… che se lo avesse chiamato
immediatamente, suo marito sarebbe stato ancora…
— Sì, giusto — disse al telefono sorpresa lei stessa del
tono perentorio nella sua voce. — Proprio sul lato sud della
rotatoria di Banbury Road. Sì. Sarò lì ad aspettarvi.
Alle dieci e un quarto di quella stessa mattina, un Morse
ormai rassegnato si lasciò caricare sull'ambulanza dove, con
addosso un pigiama pulito e avvolto in una ruvida coperta
grigia, si mise seduto in atteggiamento difensivo di fronte a
una donna di mezza età in camice bianco, che sembrava considerare il suo rifiuto di distendersi sulla barella come un affronto personale e che ora, accigliata, gli spingeva in grembo
una bacinella di smalto bianco a forma di fagiolo, mentre lui
ancora una volta vomitava l'anima. Intanto l'ambulanza saliva per Headley Way, girava a sinistra per entrare nel complesso del John Radcliffe Hospital e si arrestava infine all'esterno del Pronto soccorso.
Mentre giaceva supino (su un carrello d'ospedale, ora), a
Morse passò per la mente che sarebbe potuto morire già una
mezza dozzina di volte senza che nessuno registrasse la sua
scomparsa. Ma era sempre stato un tipo impaziente (soprattutto negli alberghi, quando aspettava la colazione del mattino) e forse non era poi passato tanto tempo quanto immaginava, prima che qualcuno in camice bianco lo sottoponesse,
senza alcuna fretta, a un questionario che andava dai nomi
dei suoi parenti più stretti (ormai inesistenti, nel caso di Morse) alle sue preferenze in fatto di religione (anche queste,
ahimè, inesistenti). Tuttavia, una volta superati questi riti d'iniziazione, una volta iscritto al club e firmata la domanda
d'ammissione, Morse si ritrovò al centro di un'attenzione crescente. Da qualche posto saltò fuori prontamente una giovane infermiera, che prese con la mano sinistra l'orologio dal
risvolto inamidato del camice e con la destra il polso di Morse, gli misurò la pressione dopo avergli stretto le fasce nere
intorno al braccio con un accanimento (secondo lui) del tutto
inutile e poi confidò le sue scoperte a una tabella (intestata a
morse, e.) con un tale distacco da far pensare che soltanto la
più drammatica delle irregolarità avrebbe potuto dar luogo a
una qualche apprensione. Alla fine, la stessa infermiera rivolse la sua attenzione alla temperatura e Morse si sentì alquanto ridicolo mentre giaceva con quel termometro che gli
spuntava dalla bocca, prima che lei lo estraesse, lo studiasse
con evidente contrarietà, lo scuotesse energicamente per ben
tre volte, come se colpisse di rovescio una pallina da ping-
pong, e poi glielo infilasse di nuovo, con lo stesso fastidio di
prima, proprio sotto la lingua.
— Sopravviverò? — azzardò Morse, mentre l'infermiera
aggiungeva le sue ultime scoperte ai dati riportati sulla tabella.
— Ha un po' di temperatura — rispose la giovane, taciturna infermiera.
— Pensavo che tutti avessero un po' di temperatura —
borbottò Morse.
Ma l'infermiera gli aveva già voltato le spalle per occuparsi dell'ultimo infortunato.
Un ragazzo, con le gambe tutte impiastricciate di fango
e il resto del corpo imballato in un jersey a righe bianche e
nere da rugby, era stato appena portato dentro sulla sedia a
rotelle; un orribile taglio gli attraversava la fronte. Eppure, a
Morse parve pienamente a suo agio, mentre la stessa persona
in camice bianco lo interrogava diffusamente sulla sua vita,
sulla sua religione, sui suoi familiari. Parve ugualmente a
suo agio, quando la (stessa) infermiera lo sottopose alla trafila dello stetoscopio, dell'orologio e del termometro. Morse
non poté che invidiare la familiarità che si era immediatamente creata tra il giovanotto e l'altrettanto giovane infermiera.
Improvvisamente, e non senza amarezza, si rese conto
che la stessa giovane infermiera aveva visto lui… Morse!…
esattamente per quello che era: un uomo di cinquant'anni che
si era fatto strada a fatica nella vita e che ora era sul punto di
affrontare gli avvilenti fastidi di ernie, emorroidi, infezioni
urinarie e… sì!… di ulcere duodenali.
La bacinella a forma di fagiolo gli era stata lasciata a
portata di mano e Morse era scosso da violenti conati di vomito, anche se senza risultati visibili, quando un giovane medico (non più della metà dei suoi anni) si fermò accanto a lui
e diede una scorsa ai rapporti del personale dell'ambulanza,
del personale amministrativo e di quello medico.
— Lei ha guai seri allo stomaco… se ne rende conto?
Morse si strinse nelle spalle. — Finora nessuno mi ha
detto niente.
— Ma non c'è bisogno di essere Sherlock Holmes per
capire che qualcosa non funziona nel suo apparato digerente.
Morse stava per ribattere qualcosa, ma il dottore continuò: — E lei è appena arrivato, mi pare. Se, signor… ehm…
Morse, è così?… se ha un po' di pazienza, potremo dirle appena possibile di che si tratta, va bene?
— Ma in realtà io sto bene — protestò debolmente l'ispettore capo di polizia, mentre si sdraiava cercando di allentare la tensione dei muscoli delle spalle.
— No, lei non sta bene, temo! Nella migliore delle ipotesi, ha un'ulcera allo stomaco che tutto a un tratto ha preso a
sanguinare. — Morse avvertì un acuto spasmo al diaframma.
— E nella peggiore, lei ha un'ulcera perforata e, se le cose
stanno così…
— Se le cose stanno così…? — ripetè Morse debolmente. Ma il giovane medico non rispose subito e per qualche
minuto continuò a palpare, a premere, a massaggiare la pancia.
— Trovato qualcosa? — chiese Morse con un sorriso
forzato, come per scusarsi.
— Non le farebbe male perdere una decina di chili di
peso. Il suo fegato è ingrossato.
— Ma mi pareva che avesse parlato di stomaco!
— Oh, certo! Lei ha avuto un'emorragia allo stomaco.
— E che c'entra… che c'entra questo con il fegato?
— Lei beve molto, signor Morse?
— Be', chi non beve un paio di bicchieri al giorno?
— Lei beve molto? — (Le stesse parole, in un tono reso
appena un po' più basso dall'irritazione).
Nella misura in cui l'incipiente panico glielo consentiva,
Morse rispose, stringendosi di nuovo nelle spalle: — Sì,
bevo volentieri un bicchiere di birra.
— Quante pinte alla settimana?
— Alla settimana? — ripetè con voce stridula Morse,
oscurandosi in volto come un bambino a cui fosse stato assegnato un complicato esercizio di calcolo mentale.
— Al giorno, allora? — gli suggerì premurosamente il
medico.
— Due o tre, direi — rispose Morse dividendo mentalmente per tre.
— Beve alcolici?
— Di tanto in tanto.
— Che liquori beve?
Morse si strinse ancora nelle spalle. — Scotch… a volte
mi concedo un sorso di scotch.
— Quanto le dura una bottiglia di scotch?
— Dipende dalle dimensioni della bottiglia.
Ma Morse si rese subito conto che il suo accenno di
umorismo non era molto apprezzato. E si affrettò a moltiplicare per tre. — Una settimana… dieci giorni… più o meno.
— Quante sigarette fuma al giorno?
— Otto… o dieci? — rispose Morse, che ormai, capita
l'antifona, divideva tranquillamente per tre.
— Lei non fa un po' di moto… passeggiate, jogging, bicicletta, squash…?
Prima che potesse ritornare ai suoi calcoli mentali, Morse allungò la mano per prendere la bacinella a forma di fagiolo che era stata lasciata lì a portata di mano. E mentre vomitava, con risultati visibili questa volta, il dottore osservò
preoccupato i "fondi di caffè" mescolati alle rivelatrici macchioline di sangue di un bel colore rosso vivo, sangue che
veniva quotidianamente liberato dagli ossidi da dosi eccessive di nicotina e poi abbondantemente lubrificato con alcool.
Per qualche tempo, dopo tutto quello che era accaduto,
la mente di Morse rimase piuttosto confusa. Più tardi, comunque, fu in grado di ricordare un'infermiera china su di
lui… la stessa giovane infermiera di prima… ricordava le
dita perfettamente curate della mano sinistra, mentre teneva
nel palmo l'orologio. E poté quasi seguire i pensieri di lei,
mentre guardava accigliata l'inquietante rapporto tra il nume-
ro delle pulsazioni e l'intervallo di trenta secondi sul suo orologio.
A questo punto Morse capì che l'Angelo della morte era
passato battendo le ali sulla sua testa ed ebbe un improvviso
brivido di paura, come se per la prima volta nella sua vita lo
avesse sfiorato il pensiero che poteva morire. Perché, sia
pure per una frazione di secondo, gli era parso di intravedere
sul giornale un lusinghiero necrologio, un trafiletto in suo
onore.
2
Sapete perché noi siamo più leali e giusti nei riguardi
dei morti? Non abbiamo obblighi verso di loro, possiamo
prendercela comoda, possiamo pagare il nostro tributo di
stima tra un ricevimento e un incontro amoroso… nelle
nostre ore libere.
Albert Camus, La Caduta
Quando si svegliò la mattina seguente, Morse vide l'alba
grigia attraverso la finestra alla sua sinistra e un orologio che
segnava le quattro e cinquanta sulla parete, sopra l'arco alla
sua destra, al di là del quale poteva intravedere un'infermiera, piuttosto attraente, che sedeva in un cerchio di luce dietro
una scrivania, china su un grosso registro. Stava scrivendo, si
chiese Morse, qualcosa su di lui? In tal caso non c'era molto
da dire poiché, a parte una breve crisi di vomito nelle ore
piccole, si era sentito davvero molto meglio e non aveva
avuto bisogno di particolari attenzioni. Il tubicino, che si allungava fin su alla bottiglia della flebo agganciata al di sopra
del letto, continuava a premergli fastidiosamente contro la
pelle del polso destro, come se l'ago non fosse stato conficcato perfettamente al centro della vena, ma lui aveva deciso
di non parlare nemmeno di un inconveniente di così scarso
rilievo. Quello scomodo apparecchio lo immobilizzava, naturalmente… almeno fino a quando non avesse imparato a fare
come quel giovanotto del letto accanto, che aveva passato
quasi tutta la serata precedente ad andarsene in giro liberamente (almeno così sembrava) per l'ospedale, tenendo la sua
bottiglia alta sopra la testa come un atleta etiope che brandisce la torcia olimpica. Morse si era sentito molto imbarazzato, quando circostanze chiaramente incontrollabili lo avevano alla fine indotto a chiedere un "pappagallo". Ma fino a
quel momento gli era stata risparmiata l'umiliazione della temuta padella. E si augurava che il fatto di non aver ingerito
cibi solidi nei giorni precedenti comportasse una corrispondente inattività del suo intestino. E fin lì, tutto bene!
L'infermiera stava parlando molto seriamente a un giovane medico piuttosto mingherlino, con un camice bianco
che gli arrivava quasi alle caviglie e lo stetoscopio nella tasca destra. Subito i due si diressero in silenzio nella corsia
dov'era Morse, per poi scomparire dietro le tende tirate, già
dalla sera precedente, tutto intorno al letto nell'angolo opposto.
Quando Morse era stato portato lì il giorno prima, aveva
notato l'uomo che occupava quel letto: un tipo dall'aspetto
fiero, tra i settantacinque e gli ottant'anni, con un paio di baffi da ex ufficiale dell'esercito e un ciuffo di capelli candidi.
In quel momento, per un paio di secondi, gli occhi spenti del
vecchio soldato si erano posati sul volto di Morse, come se
volessero trasmettere un messaggio di speranza e di solidarietà. E in effetti quel vecchio morente avrebbe senz'altro rivolto al nuovo paziente un augurio di ogni bene, se fosse stato in grado di esprimere i suoi sentimenti. Ma la violenta setticemia, che aveva soffuso le sue guance ceree di un rosso
vivo, gli aveva tolto ogni capacità di parola.
Alle cinque e venti, il dottore riemerse da dietro le tende. Alle cinque e trenta, i portantini, prontamente chiamati,
avevano già portato via il morto. E quando, esattamente
mezz'ora dopo, la corsia fu completamente illuminata dalla
luce del giorno, le tende intorno al letto del defunto colonnello Wilfrid Deniston, Croce al valore militare, ora regolarmente aperte, lasciavano bene in vista le lenzuola fresche di
bucato, le coperte cambiate e debitamente ripiegate ad angolo retto. Se Morse avesse immaginato che il defunto colonnello non poteva sopportare nemmeno una nota di Wagner,
ne sarebbe stato in qualche modo addolorato; tuttavia, se
avesse saputo che il colonnello aveva praticamente imparato
a memoria l'intera opera poetica di A.E. Housman, ne sarebbe stato molto felice.
Alle sei e quarantacinque, Morse avvertì molto movimento nelle immediate adiacenze della corsia, sebbene all'inizio non vedesse niente: voci, tintinnio di stoviglie, cigolio
di ruote non bene oleate… e finalmente Violet, una donna
esuberante e piuttosto grassa, proveniente dalle Indie occidentali, fece la sua apparizione spingendo un carrello con il
tè. Questo evidentemente era il momento della bevanda mat-
tutina e Morse se ne rallegrò. Per la prima volta, dopo quegli
ultimi giorni, provò un vero desiderio di mangiare e bere. E
aveva già adocchiato con una certa invidia le caraffe d'acqua
e le bottiglie di spremuta sugli armadietti degli altri pazienti.
Per qualche ragione non c'era niente su quella del malato
proprio di fronte a lui, un certo Walter Greenaway: sul suo
letto pendeva un cartello rettangolare con la melanconica
scritta niente per bocca.
— Tè o caffè, signor Greenaway?
— Be', gradirei un bel bicchiere di gin e tonic, se lei non
ha niente in contrario.
— Con ghiaccio e limone?
— Niente ghiaccio, grazie. Ammazza il sapore del gin!
Violet si spostò con tutta la sua mole verso il letto vicino, lasciando il signor Greenaway senza ghiaccio, senza gin,
senza niente. Tuttavia, il gioviale e attempato paziente apparve tutt'altro che contrariato dall'essere stato lasciato all'asciutto e ammiccò allegramente in direzione di Morse.
— Tutto bene, capo?
— In via di guarigione — rispose prudentemente Morse.
— Ah! Proprio quello che il vecchio colonnello era solito dire: "In via di guarigione". Poveretto.
— Capisco — replicò Morse con un certo disagio. Dopo
che dal volto di Greenaway fu scomparsa la doverosa espressione di rammarico per il colonnello morto. Morse riprese il
dialogo.
— Niente tè per lei, allora?
Greenaway scosse il capo. — Loro sanno quello che
fanno, non le pare?
— Davvero?
— Bravissimo… questo dottore! E anche le infermiere!
Morse annuì, augurandosi che fosse vero.
— Ha il mio stesso problema? — s'informò confidenzialmente Greenaway.
— Prego?
— Lo stomaco, no?
— Ulcera… almeno così dicono.
— La mia è perforata! — Greenaway annunciò con un
certo sinistro orgoglio e compiacimento, come se la combinazione del peggio dei mali con il meglio dei medici fosse
un fatto di cui rallegrarsi. — Mi opereranno questa mattina
alle dieci… ecco perché non mi permettono di bere, capito?
— Ah! — Per qualche istante Morse ebbe quasi l'impulso di ribattere che il suo intestino era pieno di ulcere non
solo perforate, ma addirittura trapassate, trafitte. Ma una faccenda più importante richiedeva ora tutta la sua attenzione,
poiché Violet era tornata indietro e si era fermata, finalmente, vicino al suo letto.
Salutò il nuovo paziente con un allegro sorriso.
— Buongiorno, signor… ehm (cercando di decifrare le
lettere scritte con la biro sul cartello col nome) signor Morse!
— Buongiorno! — rispose Morse. — Vorrei un po' di
caffè, se non le dispiace… due cucchiaini di zucchero.
— Ah! Ah! Due cucchiaini di zucchero!— Gli occhi di
Violet, quasi uscendo dalle orbite, si volsero al soffitto. Poi
la donna scambiò un'occhiata d'intesa con Greenaway che se
la godeva un mondo. — Ora, mi stia a sentire! — fece, ritornando a Morse. — Lei non può prendere né caffè né tè e tanto meno zucchero. Intesi? — Agitò un indice scuro verso un
punto sopra il letto e Morse, storcendo il collo, riuscì a vedere dietro la bottiglia della flebo il cartello rettangolare con la
malinconica scritta NIENTE PER BOCCA.
3
Fiori, materiale per scrivere e libri sono sempre doni
bene accetti per i pazienti. Ma se qualcuno desidera portare
cibi o bevande, si rivolga alla caposala per sapere quali sono
le cose più adatte.
Oxford Health Authority,
Disposizioni per i pazienti e i visitatori
Il sergente investigativo Lewis entrò nella corsia subito
dopo le sette di domenica sera, stringendo in una mano un
sacchetto con l'aria un po' colpevole di chi passa la dogana.
Alla vista del suo fedele collaboratore, Morse si sentì davvero contento e anche un po' commosso.
— Come ha fatto a sapere che ero qui?
— Sono un investigatore, ispettore capo… lo ha dimenticato?
— Le avranno telefonato, immagino.
— Sì, il sovrintendente. Mi ha detto che lei non stava
affatto bene, quando le ha telefonato ieri mattina. Perciò ha
mandato Dixon a casa sua, ma l'avevano appena portata via
con l'ambulanza. Allora mi ha telefonato, dicendomi che mi
avrebbe forse fatto piacere accertare che il Servizio sanitario
funzionasse ancora a dovere… e sentire se lei aveva bisogno
di qualcosa.
— Per esempio, una bottiglia di scotch, intende dire?
Lewis ignoro la battuta. — Sarei venuto ieri sera, ma mi
hanno detto che non erano consentite le visite… salvo
che ai parenti stretti.
— Guardi che non sono un trovatello, Lewis. Ho una
prozia lassù ad Alnwick.
— Un bel viaggio per venire a trovarla!
— Soprattutto a novantasette anni…
— Non è male Strange, vero? — osservò Lewis dopo
una breve pausa imbarazzata.
— Be', quando si riesce a conoscerlo bene — convenne
Morse.
— Vuol dire che lei l'ha conosciuto bene? Morse scosse
il capo.
— Allora? — chiese Lewis allegramente. — Come vanno le cose? Che cosa dicono i medici? Qual è il problema?
— Problema? Nessun problema! È soltanto un caso di
scambio di persona.
Lewis rise. — Ma a parte gli scherzi…?
— A parte gli scherzi? Mi curano con grosse pastiglie
bianche, ognuna delle quali costa un paio di sterline, così mi
dicono le infermiere. Lo sa che per quel prezzo si può comprare una buona bottiglia di Claret?
— E il vitto… è buono?
— Il vitto? Quale vitto? A parte le pastiglie, non mi
hanno dato niente.
— Neanche da bere?
— Sta cercando di ostacolare la mia guarigione, Lewis?
— È questo che significa il cartello? — Lewis alzò gli
occhi al fatale avvertimento sopra la testa di Morse.
— È soltanto una precauzione — osservò Morse con
una noncuranza tutt'altro che convincente.
Gli occhi di Lewis si volsero di scatto in giù, questa volta verso il sacchetto.
— Coraggio, Lewis! Che cosa c'è in quel sacchetto?
Lewis ne tirò fuori una bottiglia di limonata e fu gradevolmente sorpreso nel notare sul volto di Morse un evidente piacere.
— Mia moglie ha pensato che… a lei non fosse permesso di bere… di bere altro.
— Molto gentile da parte sua! Le dica che nelle condizioni in cui mi trovo preferirei una bottiglia di quella roba
piuttosto che un'intera cassetta di whisky.
— Non dirà sul serio, ispettore?
— Comunque, glielo dica, mi raccomando!
— E questo è un libro — aggiunse Lewis, tirandolo fuori dal sacchetto… un libro intitolato Misure dell'ingiustizia:
uno studio comparativo sui crimini e sulle condanne nella
contea dello Shropshire, 1842-1852.
Morse prese il grosso volume e ne contemplò il titolo
troppo lungo, ma senza alcun evidente entusiasmo. — Ehm!
Ha di certo l'aria di essere molto interessante.
— Non dirà sul serio?
— No — rispose Morse.
— È una specie di cimelio di famiglia e mia moglie ha
pensato che…
— Dica a quella sua meravigliosa signora che ne sono
veramente entusiasta.
— E lei mi farà un vero favore, se lo lascerà per la biblioteca dell'ospedale, quando esce di qui.
Morse rise e Lewis, stranamente soddisfatto delle reazioni del suo capo, sorrise tra sé.
Stava ancora sorridendo, quando la graziosissima giovane infermiera, dal volto ricoperto di efelidi e dai capelli color
mogano, si avvicinò al letto di Morse e agitò un dito ammonitore, mettendo in mostra i suoi denti bianchissimi in una
smorfia di viva disapprovazione per la bottiglia di limonata
che Morse aveva posato sul suo armadietto.
Morse, a sua volta, annuì in segno di comprensione,
sfoggiando i suoi denti che erano sì regolari, ma niente affatto bianchi, mentre esprimeva un silenzioso "okay".
— Chi è quella? — sussurrò Lewis, quando l'infermiera
si fu allontanata.
— Quella, Lewis, è la Bella Fiona. Graziosa, vero? A
volte mi chiedo come fanno i medici a non metterle le loro
sporche mani addosso.
— Forse ci provano.
— Pensavo che fosse venuto qui a tenermi allegro.
Ma per il momento non parve che di allegria ce ne fosse
molta. La caposala (che Lewis non aveva notata, quando era
arrivato: era entrato senza chiedere nulla, come chiunque altro) evidentemente aveva tenuto sotto controllo la situazione
e, in particolare, il letto dove giaceva il "disidratato" ispettore capo di polizia. E si diresse proprio verso quel letto, con
passo risoluto, percorrendo il breve tratto che lo separava dal
suo posto di comando dietro la scrivania. Con la mano destra
afferrò la bottiglia incriminata, togliendola dal ripiano dell'armadietto, mentre fulminava con un'occhiataccia il malcapitato Lewis.
— Noi abbiamo le nostre disposizioni in questo ospedale… ce n'è una copia affissa proprio fuori dalla corsia. Perciò
le sarò grata se vorrà attenersi a tali disposizioni e rivolgersi
a me o a chiunque sia di turno, se ha intenzione di tornare di
nuovo. È essenziale che tali disposizioni vengano osservate,
cerchi di capirlo! Il suo amico, qui, non sta bene e noi facciamo tutto il possibile perché si rimetta al più presto. Questo
non potremo farlo, se continua a portargli quello che secondo
lei potrebbe fargli bene, perché finirebbe col portare proprio
le cose che gli fanno male. Capito? Mi auguro che lei si renda conto di quello che le sto dicendo.
La caposala dal volto arcigno e dalle labbra sottili aveva
un leggero accento scozzese. E Lewis, che intanto continuava ad arrossire e a impallidire in successione, provò un forte
senso di disagio, mentre la donna si voltava e… scompariva.
Anche Morse per qualche istante parve stranamente intimidito e taciturno.
— Chi è quella? — chiese Lewis, per la seconda volta
quella sera.
— Lei ha appena avuto uno scontro con l'anima furente
della nostra caposala… tutta dedita a un ideale di fredda efficienza, una specie di calvinismo alla Thatcher.
— E quello che lei dice…?
Morse annuì. — Sì, è lei che comanda, Lewis, come
probabilmente avrà già capito.
— E che bisogno ha di essere così dura?
— Lasci perdere, Lewis! Probabilmente qualche delusione amorosa o roba del genere. Non c'è da sorprendersi con
una faccia…
— Come si chiama?
— La chiamano "Nessie".
— È nata vicino al Loch?
— Dentro il Loch, Lewis.
I due uomini ridacchiarono. Ma la cosa era stata spiacevole e per Lewis in particolare era difficile passarci sopra.
Per qualche minuto, si informò degli altri pazienti e Morse
gli riferì della morte dell'ex ufficiale dell'Esercito indiano,
avvenuta all'alba. Per altri cinque minuti, si scambiarono osservazioni a proposito del Quartiere generale della polizia a
Kidlington, della famiglia di Lewis e delle prospettive, tutt'altro che incoraggianti, della Oxford United nel campionato
di calcio in corso. Ma niente riuscì a far dimenticare del tutto
il fatto che quella fottuta caposala (così Morse si espresse nei
suoi riguardi) aveva gettato un'ombra scura su quella visita
serale e certamente aveva amareggiato Lewis. Lo stesso
Morse si sentì tutto a un tratto invaso da una vampata di calore e (a voler essere sinceri) anche un po' affaticato dalla
conversazione.
— È il caso che me ne vada, ispettore.
— Che altro c'è in quel sacchetto?
— Niente…
— Lewis! Il mio stomaco può anche essere in disordine,
per il momento, ma le mie orecchie ci sentono ancora bene!
Un po' alla volta, le nuvole nere cominciarono a dissolversi e quando, dopo aver a lungo esitato, Lewis fu sicuro
che l'ufficialessa di dogana era momentaneamente distratta,
tirò fuori una piccola bottiglia piuttosto piatta, avvolta in soffice carta velina di un blu molto simile al colore dell'uniforme di Nessie.
— Ma non finché non glielo avranno permesso! — sussurrò, infilando di nascosto il regalo nella mano di Morse,
sotto le coperte.
— Bell's? — chiese Morse. Lewis annuì.
Fu un momento di grande felicità.
Ma per un attimo l'attenzione generale fu attirata dal
suono di una campana che proveniva da chissà dove e i visitatori cominciarono ad alzarsi e a prepararsi per andar via:
alcuni forse con un po' di riluttanza, ma la maggior parte con
malcelate tracce di sollievo. Quando si alzò per andarsene,
Lewis affondò ancora un volta la mano nel sacchetto e ne
tirò fuori il suo ultimo dono: un libro in edizione economica
intitolato Il biglietto azzurro, con la provocante illustrazione
di una ninfetta vestita in modo succinto sulla copertina.
— Ho pensato… ho pensato che potesse farle piacere
qualcosa di più leggero, ispettore. Mia moglie non sa…
— Mi auguro che sua moglie non l'abbia mai sorpreso a
leggere questa robaccia, Lewis!
— Non l'ho ancora letto.
— Be'… il titolo è un po' più corto dell'altro…
Lewis annuì e i due si scambiarono un sorriso di complicità.
— Mi dispiace, è ora di andare! — la Bella Fiona sorrise a entrambi, ma specialmente (almeno così pareva) a
Lewis, per il quale di colpo ogni nuvola fu spazzata via dalla
carta meteorologica. In quanto a Morse, fu lieto di rimanere
di nuovo solo e, quando finalmente la corsia si svuotò dell'ultimo visitatore, il complesso ospedaliero, lentamente, inesorabilmente, si riconvertì ancora una volta alla cura e all'assistenza di ricoverati.
Fu soltanto dopo ulteriori misurazioni del polso e della
pressione, dopo la somministrazione di altri medicinali, che
Morse ebbe l'opportunità di leggere (non visto) la presentazione della seconda opera letteraria (be', di una certa letteratura) che era ora in suo possesso:
Tuffandosi nell'acqua, il giovane Steve Mingella era riuscito a trarre in salvo il corpo della bambina sullo yacht preso a nolo e a praticarle la sua maldestra versione della respirazione bocca a bocca. Miracolosamente, la bambina, che
aveva appena sei anni, era sopravvissuta e per alcuni giorni
Steve era stato al centro dell'attenzione di tutti i circoli nautici lungo le isole della Florida. Dopo il suo ritorno a New
York ricevette una lettera, un biglietto del padre della bambina, il playboy proprietario del locale notturno, il più esclusivo, costoso ed esotico della città: un club specializzato nelle
più ardite fantasie sessuali. Il libro si apre con Steve che
avanza con una certa diffidenza sul tappeto dell'ingresso di
quell'erotico paese delle meraviglie ed esibisce alla bionda in
topless, seduta al banco della reception, il biglietto che ha ricevuto… un biglietto color azzurro cupo…
4
I miei visitatori della sera, se non hanno l'orologio,
dovrebbero leggere l'ora sulla mia faccia.
Emerson, Journals
Mezz'ora dopo che Lewis se ne fu andato, Fiona ritornò
al letto di Morse e gli disse di sbottonarsi il pigiama, di girarsi sul fianco sinistro e di esporre la natica destra. Tali ordini
essendo stati eseguiti (come Morse era solito esprimersi,
quando studiava i classici), fu chiamata l'arcigna Nessie per
iniettargli il contenuto incolore di una siringa. Morse, che
non poteva vedere niente al di sopra della sua spalla, ebbe
l'impressione che l'iniezione non fosse stata fatta con l'abilità
professionale che era lecito attendersi, e non riuscì a trattenere un'imprecazione, quando lo stantuffo della siringa fu premuto e il suo corpo si contrasse come se gli venisse conficcata nel sedere una sbarra di ferro.
— Le verrà un po' di sonnolenza — fu il laconico commento del Mostro di Lochness, che lasciò Fiona a versare il
disinfettante su un pezzo di garza e a strofinare energicamente la parte dov'era stata praticata l'iniezione.
— Sarebbe arrivata molto in alto quella donna a Buchenwald! — esclamò Morse. Ma dalla mancanza di una qualsiasi reazione da parte di Fiona si rese subito conto che i
campi nazisti di concentramento erano remoti, nel passato
della ragazza, come i soccorsi di Mafeking nel suo. E si sentì
vecchissimo. Erano passati ormai quarantaquattro anni dalla
fine della Seconda guerra mondiale… e quella giovane… infermiera… poteva avere soltanto… Morse avvertì un senso
di stanchezza, un'enorme stanchezza. Quello che voglio dire
è… (Morse si abbottonò a fatica il pigiama)… quella donna
è così… dura! Già Lewis aveva usato quella parola.
— Si è reso conto che questa è stata la mia prima iniezione? Mi dispiace, se le ho fatto un po' male… spero di far
meglio in seguito.
— Pensavo che fosse stata…
— Sì, lo so. — Lei gli sorrise e le palpebre di Morse si
abbassarono pesantemente sugli occhi stanchi. Nessie lo aveva detto che si sarebbe sentito un po'… stanco…
La testa gli ricadde sul petto e Fiona lo sistemò sui cuscini, guardandolo teneramente e chiedendosi per l'ennesima
volta nella sua vita perché tutti gli uomini che l'attraevano
erano felicemente sposati da lunghissimo tempo oppure erano troppo vecchi.
Morse sentì il tocco leggero di una mano sul suo polso
destro e, svegliandosi, si trovò a fissare il volto di un personaggio dall'aspetto straordinario. Era una donna minuta, sui
settantacinque o ottant'anni, dai sottilissimi capelli bianchi e
dal volto non bello e profondamente solcato da rughe. Da un
antiquato apparecchio acustico, nel suo orecchio sinistro,
partiva un cordoncino legato a una batteria, sistemata nella
tasca di un cardigan di lana grigio, sporco e sformato. Sembrava candidamente ignara del fatto che avrebbe dovuto scusarsi per aver svegliato un degente piuttosto affaticato. Chi
era? Chi l'aveva lasciata entrare? Erano le nove e quarantacinque di sera, sull'orologio appeso alla parete, e c'erano due
infermiere di turno. Via! Via! Vecchia cornacchia!
— Signor Horse? Signor Horse? Lei è il signor Horse,
vero? I suoi occhi miopi guardarono di traverso il cartellino
col nome e la sua bocca si allargò in un sorriso che scopriva
tutta la dentiera.
— Morse! — disse Morse. — M… O…
— Devono aver scritto male il suo nome, signor Horse.
Dovrò ricordarmi di dirlo…
— Morse. M… O… R… S… E…!
— Sì, ma c'era da aspettarselo. Me l'avevano già detto
che a Wilfrid rimanevano pochi giorni da vivere. E tutti diventiamo più vecchi, le pare? Più vecchi, ogni giorno che
passa.
"Sì, sì, ma vattene! Non vedi che sono maledettamente
stanco?".
— Cinquantadue anni, siamo stati insieme.
Morse, in ritardo, capì chi era e accennò un moto di
comprensione: — Quanto tempo!
— Gli piaceva stare qui, sa? Era così grato a tutti voi…
— Ma io sono venuto qui soltanto un paio di giorni fa…
— È proprio per questo che lui ci teneva che io vi ringraziassi tutti… tutti i suoi amici qui. — La donna parlava in
maniera compassata con la dizione di una professoressa di
latino in pensione.
— Era una brava persona… — cominciò Morse non sapendo che cosa dire. — Avrei voluto conoscerlo ma, come
ho detto, sono qui soltanto da un giorno o due… qualcosa
allo stomaco… niente di grave…
L'apparecchio acustico cominciò a mandare strani suoni
striduli e la vecchia signora armeggiò inutilmente con i vari
interruttori. — Ed è questa la ragione per cui (cominciava
ora a sottolineare a intervalli le parole) le ho portato questo
piccolo libro. Lui ne era così fiero. Non lo diceva, naturalmente… ma lo era. Ci ha messo tempo ed è stato un giorno
davvero felice per lui, quando il libro è stato stampato.
Morse annuì in segno di gratitudine, mentre la donna gli
metteva nelle mani un libretto con la copertina verde bottiglia. — Molto gentile da parte sua, come ho detto, sono venuto qui soltanto…
— Wilfrid ne sarebbe stato così felice. Oh, Dio mio!
— E mi promette di leggerlo, vero?
— Oh, sì… certamente!
La vecchia signora armeggiò di nuovo col suo sibilante
apparecchio, sorrise con l'aria indifesa di un angelo in difficoltà e disse: — Arrivederci, signor Horse! — e passò oltre
per esprimere la sua eterna gratitudine al paziente del letto a
fianco.
Morse diede un'occhiata distratta al volumetto che gli
era stato così regalato: potevano essere non più di… quante?
… forse venti pagine. Gli avrebbe senz'altro dato un'occhiata
più tardi, come aveva promesso. Domani, forse. Per il momento, non poteva fare altro che chiudere di nuovo i suoi occhi stanchi. Ripose Assassinio sull'Oxford Canal di Wilfrid
M. Deniston nel suo armadietto, sopra Misure di Ingiustizia
e // biglietto azzurro, di cui era venuto appena in possesso.
Sì, domani…
Quasi immediatamente cadde in un sonno profondo, durante il quale sognò di una lunga corsa attraverso i campi
della sua infanzia.
Al traguardo, in lontananza, sedeva una bionda in topless, con un fermaglio d'argento intorno alla vita e, nella
mano sinistra, una pinta di birra sormontata da un cappello di
schiuma ammiccante.
5
Questo tipo di scrittura ha il potere di far dimenticare ai
lettori di chiedersi che cosa significhi o se davvero significhi
qualcosa.
Alfred Austin, The Bridling of Pegasus
L'endoscopia, eseguita sotto l'azione di un leggero anestetico alle dieci della mattina seguente (lunedì), convinse i
chirurghi del John Radcliffe Hospital che nel caso di Morse
il bisturi non era forse indispensabile. Anche la loro prognosi
fu abbastanza incoraggiante, purché il paziente fosse disposto ad adattarsi a un regime più sobrio e controllato per mesi
e forse per anni. Inoltre, a conferma del loro inespresso ottimismo, al paziente sarebbero state concesse quella sera stessa una mezza tazza di minestrina e una porzione di gelato
alla vaniglia… e per Morse un qualsiasi altro ghiotto menu à
la carte difficilmente sarebbe stato più gradito.
Lewis si presentò alla caposala Maclean alle sette e
trenta di quella sera e fu lasciato passare attraverso "la dogana" senza dover dichiarare un biglietto di augurio per una rapida guarigione (da parte della segretaria di Morse), un tu-
betto di dentifricio alla menta (da parte della signora Lewis)
e un asciugamano pulito (della stessa provenienza).
Per dieci minuti circa, i due parlarono allegramente del
più e del meno e Lewis ebbe la netta sensazione che il suo
capo si stesse rapidamente riprendendo.
Fiona, la Bella, fece una fugace apparizione verso la
fine della visita: sprimacciò i cuscini e posò sull'armadietto
di Morse una caraffa di acqua fredda.
— Proprio carina — azzardò Lewis.
— Lei è sposato… l'ha forse dimenticato?
— Ha già letto qualcosa? — Lewis indicò l'armadietto.
— Perché me lo chiede?
— È mia moglie… è curiosa di sapere…
— Sono arrivato quasi alla metà, glielo dica. Roba da
far strabuzzare gli occhi!
— Non parlerà sul serio?
— Lo sa come si scrive "strabuzzare"?
— Che… con una o due "b" vuole dire?
— E sa cos'è la "seggetta"?
— Qualcosa su cui ci si siede?
Morse rise… una risata sana, Spensierata. Era un piacere avere Lewis lì con lui. E Lewis, un po' confuso, era felice
del buonumore dell'ispettore.
Di colpo, lì vicino al letto, apparve la caposala Maclean
in persona. — Chi le ha portato quella caraffa d'acqua? —
chiese con la sua voce bassa, ma autorevole.
— Tutto in regola — cominciò Morse. — Il dottore ha
detto…
— Infermiera Welch! — Quelle semplici minacciose
parole arrivarono dall'altra parte della corsia e Lewis abbassò
gli occhi sul pavimento con un senso di pena e di disagio,
mentre l'allieva infermiera Welch si avvicinava circospetta al
letto di Morse e veniva duramente ripresa dalla caposala. Il
permesso di assumere liquidi sarebbe entrato in vigore a partire dall'alba del giorno dopo… e non prima. L'allieva infermiera non aveva forse letto le istruzioni, prima di iniziare il
giro con le caraffe d'acqua? E se le aveva lette, si rendeva
conto che nessun ospedale poteva funzionare in maniera soddisfacente se qualcuno si comportava con una tale faciloneria? E se la cosa poteva apparire ora irrilevante, si rendeva
conto, l'allieva infermiera, che avrebbe potuto rivestire vitale
importanza in altra occasione?
Un altro piccolo, sgradevole episodio. Un episodio che a
Lewis lasciò un sapore amaro in bocca, quando qualche minuto dopo salutò il suo capo. Morse non aveva detto niente la
volta precedente e non disse niente nemmeno in quel caso.
Mai, pensò, lui avrebbe rimproverato uno dei suoi dipendenti
in termini così bruschi in presenza di altre persone; e poi si
ricordò, non senza una certa amarezza, che anche a lui era
accaduto spesso di fare esattamente la stessa cosa. Avrebbe,
perciò, gradito l'occasione di dire una parola gentile alla povera Fiona, così duramente strigliata, prima che andasse a
casa. Al momento, nella corsia, non c'era nessuno in giro: l'a-
tleta etiope stava facendo ancora una volta il giro dell'ospedale e due degli altri pazienti si erano trascinati a fatica verso
il gabinetto. Soltanto una giovane donna, di circa trentanni,
una bionda piuttosto attraente (la figlia di Walter Greenaway, immaginò Morse, e non si sbagliava) stava ancora seduta accanto al padre. Quando era arrivata, aveva rivolto a
Morse una rapida occhiata, ma non parve nemmeno notarlo,
quando si avviò verso l'uscita e premette il pulsante dell'ascensore. Era il padre che monopolizzava i suoi pensieri e
non dedicò perciò che una frettolosa attenzione all'uomo, che
sembrava si chiamasse Morse e i cui occhi, come non aveva
mancato di notare, l'avevano seguita con vivo interesse, mentre usciva dalla corsia.
Erano ormai le otto e quaranta.
Con un lieve senso di colpa per non aver ancora aperto
il prezioso volume, che la signora Lewis aveva avuto la compiacenza di affidare alle sue mani. Morse prese il libro dall'armadietto e diede una scorsa al primo paragrafo:
La diversità piuttosto che la conformità ha quasi costantemente
caratterizzato i comportamenti criminali di ogni società tecnologicamente sviluppata. L'impegno di risolvere i conflitti e/o le incongruenze che possono derivare dall'analisi e dall'interpretazione di tali comportamenti (vedi Appendice 3, pp. 492 e segg.) è assolutamente vitale; e l'inevitabile reinterpretazione di dati sempre mutevoli è alla base
di diversi recenti studi sulle cause del comportamento criminale. Tuttavia, contrastanti scelte strategiche nell'ambito di aree eterogenee,
dottrine rigidamente differenziate, la maggiore conoscenza dei mute-
voli risultati economici, così come le peculiarità fisiche, fisiologiche
o fisionomiche… tutti questi fatti (come diremo meglio in seguito)
possono suggerire eventuali altre vie, tuttora inesplorate dagli studiosi
del comportamento criminale nella Gran Bretagna del diciannovesimo secolo.
— Cristo! — imprecò Morse. Qualche anno prima
avrebbe potuto anche considerare l'eventualità di occuparsi
di quelle incomprensibili assurdità.
Ma ora non più. Fermandosi a considerare la stupidità
dell'editore per aver consentito che quell'ammasso di ampollosi paroloni arrivasse nelle mani del compositore, chiuse
con cura la ponderosa opera… risoluto a non riaprirla mai
più.
In realtà, sarebbe venuto meno a quel proposito più presto di quanto pensasse, ma per il momento nel suo armadietto c'era qualcosa che lo attirava di più: il libretto pornografico che Lewis (grazie a Dio) aveva introdotto lì di contrabbando.
Una scritta gialla sulla lucida copertina di carta patinata
prometteva al lettore "Travolgente libidine e sensualità primitiva".
Questa promessa era sostenuta dall'illustrazione di una
formosissima bellezza, che prendeva il sole su qualche
spiaggia dorata di un'isola dei mari del Sud, completamente
nuda, fatta eccezione per un filo di perle intorno al collo.
Morse aprì il libro e (sebbene un po' più lentamente della pri-
ma volta) ne lesse un secondo paragrafo. E fu subito colpito
dallo stile essenziale, ben diverso dalle ampollose, sociologiche scemenze che aveva appena letto:
Emerse dalla piscina e cominciò a slacciarsi la camicetta
bagnata che le aderiva al corpo. E mentre lo faceva, i giovanotti ammutolirono tutti, incitandola… supplicandola… in
un coro muto, ma assordante… di spogliarsi in fretta e completamente strabuzzando gli occhi nel vedere le unghie laccate di rosso delle sottili dita sinuose, che si infilavano nella
camicetta con gesti lenti, provocanti, per slacciare un altro
bottone…
— Cristo! — Era la prima volta che diceva quella parola, una parola che meritava il primo premio per la sua blasfema virulenza. Si riappoggiò ai cuscini con un sorriso soddisfatto sulle labbra pregustando la prospettiva, per il giorno
dopo, di un paio d'ore di piacevole eccitazione. La provocante copertina poteva essere facilmente ripiegata e non gli sarebbe stato difficile assumere sul momento l'espressione di
un seminarista, che leggesse i versetti di uno sconosciuto
profeta. Ma qualunque cosa accadesse, era ormai da escludere che l'ispettore capo Morse potesse essere pienamente informato sui delitti e sulle pene nello Shropshire del diciannovesimo secolo.
Per il momento, in ogni caso.
Rimise II biglietto azzurro nel suo armadietto sopra Misure di ingiustizia. Sotto i due libri giaceva, finora del tutto
dimenticato, l'Assassinio sull'Oxford Canal, il volumetto del
colonnello Deniston stampato a proprie spese, sotto gli auspici della Oxford and County Local History Society.
Mentre Morse si addormentava di nuovo, la sua mente
si chiedeva se ci fosse soltanto un errore di ortografia nel
breve paragrafo che aveva appena letto. Avrebbe consultato
il Chambers, quando fosse tornato a casa, per vedere se "strabuzzare" si scrivesse effettivamente con una sola "b". Nemmeno Lewis sembrava che lo sapesse.
6
Mi piace la convalescenza. È la fase della malattia per
cui vale la pena di ammalarsi.
G.B. Shaw, Torniamo a Matusalemme
Alle due di notte accadde l'inevitabile, ma fortunatamente Morse riuscì ad attirare la vigile attenzione dell'infermiera che aleggiava, come una novella Nightingale, nel buio
delle corsie dell'ospedale. Il rumore delle tende tirate intorno
al suo letto parve a Morse così forte da svegliare i morti. Invece nessuno degli altri pazienti si mosse e lei… quella santa
ragazza… fu solamente meravigliosa.
— Non so nemmeno come metterlo quell'affare — le
confessò Morse.
Eileen, era questo il suo nome, senza il minimo imbarazzo gli spiegò bisbigliando come esattamente un ammalato
poteva cavarsela in un tale frangente. Poi, lasciandolo con un
mezzo rotolo di carta igienica bianca e l'assicurazione che
sarebbe ritornata entro una decina di minuti, se ne andò. Tutto si concluse con una bacinella di acqua calda e una spruzzatina di un gradevole deodorante.
Puah! Meno peggio di quanto Morse avesse temuto…
grazie a quell'eterea ragazza. E mentre le rivolgeva un sorriso di gratitudine, ebbe la vaga sensazione che ci fosse negli
occhi di lei qualcosa che andava al di là di una frettolosa prestazione professionale. Ma Morse avrebbe sempre pensato
che ci fosse qualcosa, anche se non era vero, perché lui era il
tipo di persona che considerava indispensabile un certo margine di fantasia. E la sua immaginazione seguì la snella figura di Eileen, mentre con molta grazia si allontanava: una bella statura, più di un metro e settanta di altezza, circa venticinque anni, occhi verde-nocciola in un volto dai lineamenti
delicati e dagli zigomi piuttosto alti. Nessun anello al dito.
Così bella, così sana, nella sua uniforme profilata di blu!
Dormi, Morse.
Alle sette e trenta, dopo aver fatto colazione a base di un
unico Weetabix e di un sorso di latte parzialmente scremato
(e niente zucchero), Morse notò con grande soddisfazione
che il divieto niente per bocca non era più in vigore e si versò un bicchiere d'acqua con la voluttà di un ostaggio appena
liberato. Seguirono, quella mattina, le consuete misurazioni
del polso e della pressione, le abluzioni in una bacinella portatile, il rifacimento del letto, l'assegnazione di un'altra caraffa d'acqua (!), una "galante" conversazione con Fiona, l'acquisto del "Times", una tazza di Bovril servita dalla vivace
Violet e (grazie a Dio) nessun bastone tra le ruote della macchina ospedaliera da parte dell'eminenza grigia installata al
suo posto di comando.
Alle dieci e cinquanta, una coorte di medici in camice
bianco, con i loro assistenti, si dispose intorno al letto per valutare i progressi dall'ammalato. Il più autorevole del gruppo,
dopo aver dato una scorsa alla cartella clinica di Morse,
squadrò il paziente con uno sguardo sospettoso.
— Come si sente, questa mattina?
— Penso di poter vivere per qualche settimana ancora…
grazie a tutti voi — rispose Morse con un tono adulatorio decisamente di cattivo gusto.
— Trovo qui qualcosa sulla sua inclinazione a bere —
continuò il medico, per niente impressionato dalla sua falsa
gratitudine.
— Sì?
— Lei beve troppo. — Non era una domanda.
— Troppo, lei crede?
Il medico chiuse la cartella con un sospiro e la restituì a
Nessie. — Nel corso della mia lunga carriera di medico, signor Morse, ho imparato che esistono due categorie di dati
statistici che non cambiano mai: le prodezze sessuali di quelli che sono affetti da diabete mellito e l'inclinazione a bere
della nostra classe media.
— Io non sono un diabetico.
— Lo diventerà, se continua a bere una bottiglia di scotch alla settimana.
— Be'… non direi proprio una alla settimana.
— Intende dire che qualche volta ne beve due?
Un lampo malizioso passò negli occhi del medico, mentre faceva segno alla compagnia dei suoi accoliti di dirigersi
al letto del povero Greenaway e lui si sedeva su quello di
Morse.
— Ne ha già bevuto un goccio?
— Un goccio di che?
— Non ci si può sbagliare, lo sa… — Il medico accennò
all'armadietto. —… Con quella carta igienica.
— Oh!
— Non lo faccia stasera… d'accordo? Morse annuì.
— E un altro consiglio. Aspetti che la caposala abbia finito il suo turno!
— Mi scorticherebbe vivo! — borbottò Morse.
Il medico gli rivolse uno sguardo strano. — Be', dal momento che lei ne parla… sì. Ma non è quello a cui pensavo,
no.
— Qualcosa di peggio?
— È la più intransigente vecchia strega della sua categoria, ma non dimentichi che viene dal nord.
— Non so proprio se…
— Probabilmente — (il medico si chinò per bisbigliare
all'orecchio di Morse) — probabilmente tirerebbe le tende e
ne pretenderebbe la metà!
Morse cominciò a sentirsi più a suo agio e dopo aver
passato una ventina di minuti con il "Times" (lette le lettere e
risolto il cruciverba), con una mano sola ripiegò la copertina
di // biglietto azzurro e, appoggiandosi comodamente ai cuscini, attaccò il Capitolo primo.
— Un libro interessante?
— Così così. — Morse non si era accorto della presenza
di Fiona e si strinse nelle spalle, tenendo strette le pagine con
la mano sinistra.
— Come è intitolato?
— Ehm…Il… Il paese azzurro.
— Un giallo, vero? Mia madre deve averlo letto, credo.
Morse annuì imbarazzato. — A lei piace leggere?
— Leggevo molto, quando ero giovane e bella!
— Quando? Stamattina?
— Si tiri su.
Morse si piegò in avanti, mentre lei sprimacciava i cuscini con qualche colpo bene assestato, riprendendo poi il
suo giro.
— Graziosa quella ragazza, non le pare? — Questa volta non era Lewis a fare quell'ovvia osservazione, ma il povero Greenaway, che ora si era abbastanza ripreso e leggeva
anche lui un libro, il cui titolo era ben visibile: L'età del vapore.
Morse infilò il suo nell'armadietto, cercando di non farsi
notare. Lo aveva trovato comunque un po' deludente.
— Non è Il biglietto azzurro? — chiese Greenaway.
— Prego?
— Si è sbagliato a dire il titolo… è Il biglietto azzurro.
— Davvero? Ah, sì! Non so nemmeno io stesso perché
lo leggo.
— La stessa ragione per cui l'ho letto io, immagino. Con
la speranza di un po' di sesso tra una pagina e l'altra.
Morse sorrise, sconfitto.
— È una delusione, tutto sommato — continuò Greenaway, con la sua voce stentorea. — Mia figlia ogni tanto mi
porta un paio di questi libri.
— Quella che era qui ieri sera?
L'altro annuì. — Lavora in biblioteca da dodici anni, da
quando ne aveva diciotto. Attualmente è alla Bodleiana.
Morse ascoltò pazientemente i dati, ripetuti chissà quante volte, relativi alla lunghezza degli scaffali negli scantinati
della Bodleiana e stava già apprendendo qualcosa sul curriculum vitae della figlia, quando il monologo fu interrotto dagli inservienti addetti alle pulizie, che si misero a spingere
energicamente i letti di qua e di là e a inzuppare i loro strofinacci in secchi d'acqua sporca.
All'una e mezzo, dopo quello che gli apparve un miserabile pranzo, Morse fu informato che quel pomeriggio sarebbe passato da vari reparti per esami clinici e che per l'occasione la flebo sarebbe stata temporaneamente rimossa. E
quando, alla fine, un portantino lo sistemò in una sedia a rotelle, ebbe la precisa sensazione di essere salito di un gradino
o due nella scala della convalescenza.
Soltanto alle tre e mezzo ritornò in corsia, stanco, impaziente, morto di sete. Con una certa rudezza, pur senza fargli
male, una taciturna Nessie, appena prima di smontare, gli
aveva di nuovo infilato nel polso destro il tubicino che scendeva giù da un nuovo flacone di soluzione salina. E con gli
occhi di Greenaway, ora completamente sveglio, puntati su
di lui, Morse decise che le fantasie sessuali di Steve Mingella potevano aspettare per un po'. E quando una donna piccolina dal volto insignificante (che certamente sostituiva Violet) ebbe versato dalla zuppiera un liquido viscoso appena
sufficiente a coprire il fondo della sua scodella, l'euforia di
Morse era quasi svanita. Non avrebbe nemmeno rivisto
Lewis… come gli aveva annunciato, doveva accompagnare
la moglie a una festa (non meglio specificata).
Alle sette e cinque riuscì ad applicare gli auricolari e a
sintonizzarsi con la trasmissione "The Archers". Alle sette e
venti decise di immergersi nell'Opus Magnum del colonnello. Alle sette e mezzo era così assorto nella lettura che, soltanto dopo aver finito la Parte prima, notò la presenza in corsia di Christine Greenaway, la bella bionda della Bodleiana.
7: Assassinio sull'Oxford Canal
Copyright © 1978 di Lewis M. Deniston, OBE, MC.
Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta,
sotto qualsiasi forma, senza l'autorizzazione scritta del titolare del copyright.
L'autore desidera esprimere la propria gratitudine per
l'assistenza che gli è stata da più parti generosamente accordata e, in particolare, dalla Biblioteca Bodleiana di Oxford,
dalla Proceedings of the North Oxford Locai History Society
e dai Court Registers della Corte d'Assise della città di Oxford, anni 1859 e 1860.
Altre notizie relative ai processi menzionati nelle pagine
seguenti possono trovarsi nei numeri del Jackson's Oxford
Journal del 20 e 27 agosto e in quelli del 15 e 22 aprile 1860
dello stesso giornale.
PARTE PRIMA
: Una Ciurma Scellerata
Non è raro che, percorrendo le viuzze fuori mano delle
nostre grandi o piccole città, si inciampi (quasi letteralmente,
direi) in misere pietre tombali, nascoste in cimiteri abbandonati… cimiteri che sembrano completamente separati da
ogni costruzione adibita a luogo di culto e che sono capitati
per puro caso all'estremità di un muro di mattoni rossi o a ridosso di grandi case… trascurati, silenziosi, dimenticati.
Fino a qualche anno fa era ancora possibile trovare un cimitero del genere in fondo a una graziosa stradina di North Oxford, il cui nome, ora, è Middle Way, che collega la fila di
negozi di Summertown in South Parade alle lussuose case
lungo Squitchey Lane verso nord. Ma nei primi anni del
1960 molte di quelle pietre tombali, che erano state erette in
file irregolari nel cimitero della parrocchia di Summertown
(poiché questo era il suo vero nome) furono rimosse da quella che doveva essere un'estrema dimora, allo scopo di offrire
una vista meno deprimente a chi si prenotava per l'acquisto
di un nuovo appartamento in costruzione su quel terreno, che
allora veniva considerato molto appetibile, anche se un po'
funereo. In altri tempi, una volta che il morto fosse stato deposto nella sua piccola cella, lì sarebbe rimasto; ma dopo il
1963 nessuno avrebbe potuto più individuare con certezza
quel luogo di eterno riposo.
Le poche pietre tombali ancora ben conservate, che tuttora è possibile vedere ritte contro il muro perimetrale di
quella specie di enclave, rappresentano all'incirca un decimo
delle pietre tombali erette lì tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta del secolo diciannovesimo da parenti e amici desiderosi
di ricordare il nome dei morti, ora noti forse soltanto a Dio,
che avevano vissuto la loro vita terrena nella Sua fede e nel
Suo timore.
Una di queste lapidi, una lastra di pietra calcarea ormai
verde di muschio, nella terza fila a partire dall'attuale via
maestra, reca un'iscrizione funeraria che può essere ancora
notata dall'occhio esperto di un attento epigrafista… ma non
c'è tempo da perdere, se si vogliono ancora decifrare quei caratteri che il tempo sta cancellando.
Dietro questo toccante (anche se insolitamente lungo)
epitaffio, si cela la storia di una sfrenata libidine e oscena
ubriachezza, la storia di una giovane donna sventurata e indifesa, che si trovò alla mercé di alcuni rozzi e scatenati barcaioli nel corso di un allucinante viaggio effettuato quasi centoventi anni fa, le cui peripezie sono oggetto del presente
racconto.
Joanna Franks era nativa di Derby. Suo padre, Daniel
Carrick, agente della Nottinghamshire and Midlands Friendly Society, aveva goduto per buona parte della sua vita coniugale di una posizione discretamente agiata e della considerazione generale della comunità locale. Ma più tardi, e certamente negli anni che precedettero la tragica fine della sua
unica figlia (aveva anche un maschio, più giovane, che si
chiamava Daniel) andò incontro a momenti difficili.
Il primo marito di Joanna fu un certo ET. Donavan, la
cui famiglia proveniva da County Meath. Viene definito da
uno dei suoi contemporanei "un irlandese dalle molte risorse" e poiché era un uomo grande e grosso, sappiamo che era
comunemente (e prevedibilmente) conosciuto col nomignolo
di Donavan il Forte. Era un prestigiatore di professione e si
esibiva in molti teatri e music-hall, sia a Londra che in provincia. Allo scopo di farsi la pubblicità di cui aveva drammaticamente bisogno, si era attribuito, a un certo momento, il
magniloquente titolo di "Imperatore di tutti gli illusionisti". E
la seguente locandina fu stampata a sue spese per annunciare
il suo debutto nel Music-Hall della città di Nottingham nei
primi giorni del settembre 1856:
F. T. Donavan, cittadino del mondo e dell'Irlanda, informa umilmente e rispettosamente tutti i membri dell'alta aristocrazia e della
piccola nobiltà terriera, nonché i cittadini dello storico circondario di
Nottingham che, in considerazione della sua superiore bravura, finora
ineguagliata, nella Magia e nell'Illusionismo, gli è stato conferito dal
supremo conclave dell'Assemblea dei più famosi Maghi, nell'anno testé trascorso, il titolo di Imperatore di tutti gli illusionisti. E questo
soprattutto in virtù dello sbalorditivo numero consistente nel tagliare
la testa a un galletto e nel restituire poi il volatile alla sua originaria
vitalità. È stato proprio Donavan, l'uomo più grande del mondo, ad
affascinare, la scorsa settimana, il suo enorme pubblico, immergendosi con tutto il corpo, strettamente legato e incatenato, in una vasca
piena di acido altamente corrosivo per undici minuti e quarantacinque
secondi, come è stato accuratamente documentato con un cronometro
di precisione.
Tre anni prima, Donavan aveva scritto (e aveva trovato
un editore disposto a stamparla) l'unica cosa che ci abbia tramandato, un lavoro intitolato Manuale Generale di Magia.
Ma la carriera del grande uomo cominciava un po' alla volta
a rivelarsi un fallimento e non c'è nessuna traccia, fino al
1858, di una sua qualsiasi apparizione sulle scene. In quell'anno morì, amareggiato, senza un erede, mentre era in vacanza con un amico in Irlanda, dove si trova tuttora la sua
tomba, in un cimitero che domina la Bertnaghboy Bay. Qualche tempo dopo, la sua vedova, Joanna, conobbe un certo
Charles Franks, uno stalliere di Liverpool, e se ne innamorò
perdutamente.
Come il primo, anche il secondo matrimonio fu apparentemente felice, malgrado i tempi difficili e la penuria di
denaro. Joanna fu costretta a trovarsi un lavoro come sarta e
disegnatrice presso una certa signora Russel, abitante a Liverpool, al numero 34 di Runcorne Terrace. Ma il marito
ebbe meno fortuna nella ricerca di un lavoro stabile e alla
fine si decise a tentare la sorte a Londra. Qui le sue speranze
si realizzarono, poiché fu quasi immediatamente assunto
come stalliere presso la malfamata locanda George & Dragon in Edgeware Road, dove noi lo troviamo regolarmente
sistemato nella primavera del 1859. Verso la fine di maggio
di quello stesso anno mandò a sua moglie una ghinea (tutto
quello che era riuscito a racimolare) implorandola di raggiungerlo a Londra al più presto possibile.
La mattina di sabato, 11 giugno 1859, Joanna Franks salutò la signora Russel in Runcorne Terrace e s'imbarcò con
due piccoli bauli su una chiatta che da Liverpool la portò a
Preston Brook, il terminale a nord del Trent and Mersey Canal, che era stato aperto circa ottant'anni prima. Qui passò su
una barca "espresso" della Pickfors & Co. che stava partendo
per Stoke-on-Trent e Fradley Junction. Di lì, passando per
Coventry e Oxford Canal, avrebbe raggiunto Londra seguendo il corso del Tamigi. Il prezzo del biglietto di sedici scellini e undici pence era notevolmente inferiore a quello del treno della linea ferroviaria Liverpool-Londra, che era stata
inaugurata circa venti anni prima.
Joanna era una donna minuta e molto attraente e indossava un vestito blu con un fazzoletto bianco intorno al collo
e un cappellino di seta stampata con un bel nastro rosa. I suoi
vestiti, probabilmente non nuovi, non erano dozzinali e le
conferivano un aspetto davvero decoroso. E anche un aspetto
molto seducente, che ben presto scopriremo.
Il capitano della piccola imbarcazione, la Barbara Bray,
era un certo Jack "Rory" Oldfield di Coventry. Secondo le
testimonianze di altri barcaioli e di conoscenti, era fondamentalmente un buon uomo, dai modi bruschi, ma sinceri.
Sposato, senza figli, aveva quarantadue anni. Gli uomini
dell'equipaggio erano: il trentenne Alfred Musson, alias Al-
fred Brotherton, un tipo alto e magro, sposato, con due bambini piccoli; Walter Towns, alias Walter Thorold, figlio ventiseienne e analfabeta di un bracciante agricolo, che aveva lasciato la sua città nativa nell'Oxfordshire una decina di anni
prima; Thomas Wootton, un ragazzo del quale nessuna notizia sicura ci è pervenuta, tranne che i suoi genitori provenivano da Ilkestone nel Derbyshire.
La Barbara Bray lasciò Preston Brook alle sette e trenta
di sabato sera, 11 giugno. A Fradley Junction, all'estremità
meridionale del Mersey Canal, superò senza difficoltà le
chiuse e alle dieci di domenica sera, il 19 di giugno, scivolò
silenziosamente nel tratto superiore del Coventry Canal e
puntò verso sud in direzione di Oxford. Il viaggio era stato
sorprendentemente positivo e non era accaduto niente che facesse presagire i tragici eventi che aspettavano la Barbara
Bray e l'unica passeggera pagante, la piccola e attraente
Joanna Franks, alla quale rimaneva tanto poco da vivere.
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Lo stile è il marchio della propria personalità impresso
sulla materia a portata di mano.
André Maurois, L'arte di scrivere
Dopo aver letto quelle poche pagine, Morse cominciò a
porsi quesiti su alcuni dettagli di scarso rilievo e ad avvertire
un certo disagio a proposito di un paio di punti di maggiore
importanza. Non volendo deturpare il testo stampato con osservazioni a margine, scrisse alcuni appunti sul retro del
menu giornaliero dell'ospedale, che era stato lasciato (per
sbaglio) sul suo armadietto.
Lo stile del colonnello era piuttosto pretenzioso, un po'
troppo ridondante per il gusto di Morse, e, tuttavia, molto al
disopra del livello medio di scritti del genere, ed esprimeva
un garbato stimolo a indurre la maggior parte dei lettori a
voltar pagina, quasi loro malgrado, per leggere il seguito.
Una delle più evidenti caratteristiche del suo stile era l'influenza della "Elegy Written in a Country Churchyard" di
Gray, una poesia che certamente gli era stata cacciata in gola
in qualche scuola privata, quando era ragazzo, e che gli aveva lasciato in eredità una visione piuttosto lugubre del genere
umano. Ma c'erano anche una o due finezze stilistiche, come
quella "estrema dimora" che Morse era pronto a commentare
con un sincero "Bravo!". Ma avrebbe voluto avere a disposizione il suo prezioso Chambers English Dictionary, poiché,
sebbene si fosse frequentemente imbattuto nella parola "stalliere" nel risolvere il cruciverba, non sapeva esattamente che
cosa facesse uno stalliere. E il cappellino di seta "stampata"
non era poi di così ovvia comprensione.
A proposito di scrivere… e di scrivere libri… anche ET.
Donavan (il primo marito di Joanna) doveva avere cognizioni letterarie. Dopo tutto, aveva trovato un editore disposto a
pubblicargli la sua grande opera. E fino a qualche anno prima della sua morte, quel prestigiatore irlandese istruito attirava le folle dappertutto, a quanto pareva, tra Croydon e Burton-on-Trent… Doveva senz'altro avere qualcosa quell'uomo
dalle molte risorse! "Il più grande uomo del mondo": forse
era un'espressione un po' eccessiva, ma non era forse comprensibile un tantino di megalomania nel materiale pubblicitario di un attore così riccamente dotato?
"Bertnaghboy Bay?": Morse annotò il nome sul menu.
Le sue conoscenze geografiche erano minime. Alla scuola
media i suoi insegnanti gli avevano insegnato qualche nozione sulle esportazioni dell'Argentina, della Bolivia, del Cile e
di altri paesi e, all'età di otto anni, aveva imparato… e ancora
sapeva (con eccezione del South Dakota) tutte le capitali degli Stati Uniti d'America. Ma le sue conoscenze geografiche
finivano lì. Dopo aver vinto una borsa di studio per il locale
ginnasio, gli era stata imposta la scelta tra le due "G": Greco
o Geografia. Ma in realtà non era stata una vera scelta, perché lo avevano destinato, volente,o nolente, alla sezione di
greco, dove i paradigmi dei nomi e dei verbi precludevano
qualsiasi conoscenza delle contee irlandesi. Dove si trovava
Bertnaghboy Bay?
Era paradossale, forse, che Morse si sentisse tutto a un
tratto affascinato dall'Oxford Canal. Sapeva che molta gente
era infatuata della navigazione e trovava del tutto giusto che
i genitori cercassero di ispirare ai loro figlioli l'amore per la
vela, per le passeggiate, per gli animali, per l'osservazione
degli uccelli, e per altre cose del genere. Ma, nell'esperienza
limitata di Morse, il canottaggio pareva un'attività eccessivamente sopravvalutata. Una volta, su invito di una coppia abbastanza simpatica, aveva accettato di farsi portare dal terminale dell'Oxford Canal, a Hythe Bridge Street, su fino al
Plough a Wolvercote: un viaggio di appena tre chilometri,
che avrebbe richiesto (gli avevano assicurato) non più di
un'ora, ma che in realtà era stato così pieno zeppo d'imprevisti che la meta era stata alla fine raggiunta, quando avevano
appena il tempo di bere qualcosa; e tutto questo a mezzogiorno, in una domenica calda e afosa. Quella particolare barca
aveva richiesto il lavoro di due persone, una che governava il
timone e l'altra che continuava a saltar fuori per quelli che
nella guida turistica erano definiti "piccoli e graziosi ponti
levatoi". Ora, nella barca di Joanna erano in quattro… cinque, con lei. Perciò doveva essere stata terribilmente affolla-
ta, durante quel lungo e tedioso viaggio, mentre veniva lentamente tirata da un recalcitrante cavallo. Un viaggio troppo
lungo, si disse Morse. Cominciava a farsi un'idea della situazione. In treno, il viaggio sarebbe stato molto più rapido, naturalmente. E il prezzo da lei pagato, sedici scellini e undici
pence, sembrava a prima vista piuttosto esorbitante per un
passaggio su una barca da carico. Nel 1859? Certamente, sì.
Quale sarebbe stato allora il prezzo del biglietto in treno?
Morse non ne aveva idea. Ma c'era modo di scoprirlo: certa
gente queste cose le sapeva…
Era ancora in grado di richiamare alla mente il quadro
nella cabina in cui lui aveva fatto quel viaggio: l'immagine di
un lago, con un castello, una barca a vela e le montagne…
tutto nei colori tradizionali: rosso, giallo, verde. Ma che genere di vita si conduceva in barche simili? Barche del diciannovesimo secolo con equipaggi formati da gente di ogni provenienza; dalla Black Country; dai villaggi di minatori intorno a Coventry, a Derby e a Nottingham; dalle casette a schiera di Upper Fisher Row vicino al terminale di Oxford… e
con i loro carichi di carbone, di sale, di maioliche, di prodotti
agricoli e di tante altre cose. Quali altre cose? E perché poi
tutti quegli "alias"? Forse gli uomini degli equipaggi erano
considerati una banda di delinquenti, già prima che venissero
chiamati in corte? Tutti sull'Oxford Canal, avevano due
nomi… un soprannome e il nome registrato sul certificato di
battesimo? Certamente qualsiasi giuria sarebbe stata condizionata da pregiudizi contro tali… tali… anche prima di…
Morse cominciava a sentirsi stanco; aveva sollevato di scatto
la testa due volte, dopo che il sonno gliela aveva fatta reclinare lentamente sul petto.
L'infermiera di turno, Eileen Stanton, aveva preso servizio alle nove di sera e Morse era ancora profondamente addormentato quando, alle nove e quarantacinque, lei si avvicinò silenziosamente al suo letto e piano piano gli tolse dalla
mano il menù dell'ospedale e lo depose sull'armadietto. Stava
probabilmente sognando qualche piatto prelibato del ristorante Les Quat'Saisons, lei pensò, ma lo avrebbe svegliato di
lì a poco per le sue pillole serali.
9
Che mondo interessante e incantevole quello dei libri…
purché ci si avvicini non con l'obbligo dello studente o con la
curiosità dello sfaccendato, ma con l'entusiasmo di chi è
animato da spirito d'avventura.
David Grayson, Adventures in Contentment
La mattina seguente (mercoledì) fu ricca di avvenimenti. I Bran Flakes, i toast semibruciati e freddi, il tè lungo e
tiepido, serviti di prima mattina da Violet, furono molto graditi e, quando alle dieci Fiona venne a staccare la flebo (definitivamente), a Morse parve che gli dei gli sorridessero. Più
tardi, quando, libero da ogni impedimento e senza l'assistenza di nessuno, percorse il corridoio per andare in bagno, si
sentì come Florestano appena liberato dal carcere, nel secondo atto del Fidelio. E quando con la piena libertà di movimento di entrambe le braccia s'insaponò abbondantemente
mani e faccia, e constatò quale scempio aveva fatto nei giorni precedenti della sua barba, si sentì un uomo straordinariamente felice. Decise che una volta che fosse uscito di lì, si
sarebbe ricordato di tutto il personale, ma senza esagerare, e
in particolare avrebbe invitato la sua infermiera preferita (per
il momento non riusciva ancora a decidersi tra la Bella e l'Eterea!) in un ristorante di North Oxford, dove avrebbe potuto
sfoggiare la sua (limitata) conoscenza del greco moderno, ordinando un menù tipico del ristorante Mezethes Tavernas, un
tempo definito un "festino epicureo dal primo stuzzichino al
dolce finale". Dieci sterline a testa o, un po' più e, con il
vino, forse un liquore, e qualche altro extra, trenta sterline
sarebbero bastate, sperava… Purché l'Eterea Eileen non fosse di turno quella sera. Aveva parlato di impegni domestici.
"Domestici?". Morse era perplesso, ma non poi tanto. Tuttavia, se non si fosse fatta vedere in giro, Morse aveva deciso
che, per favorire la sua convalescenza, avrebbe anche potuto
svitare il tappo della piccola bottiglia proprio quella sera.
Ritornato in corsia, lasciò trascorrere il tempo, si sarebbe potuto dire, in maniera soddisfacente. Alla tazza di Bovril, servita alle dieci e trenta, fece seguito un'ennesima enumerazione da parte del signor Greenaway delle eccezionali
doti della figlia: una donna senza la quale, a quanto pareva,
la Bodleiana avrebbe trovato gravi difficoltà nell'espletamento delle sue tante funzioni accademiche. Dopo di che, Morse
ricevette la visita di una dietista dell'ospedale, una giovane
signora, insignificante e dall'aria seriosa, che gli snocciolò
tutta una serie di ortaggi a basso contenuto calorico, di cui
avrebbe potuto rimpinzarsi ad libitum: asparagi, germogli di
bambù, fave, fagiolini, fagioli (di Spagna), broccoli, cavoletti
di Bruxelles, cavoli (di tutti i generi), cavolfiori, sedano, cicoria, erba cipollina, zucchine, cetrioli… e questo era soltan-
to un campione degli alimenti che avrebbero potuto costituire un sano regime dietetico. Morse fu così impressionato da
tutte le miracolose opportunità che lo aspettavano, che si
astenne persino dal fare commenti sull'affermazione che il
succo di pomodoro e il succo di rape erano una gustosa e nutriente alternativa alle bevande alcoliche. Cercò, rispettosamente, di annuire di tanto in tanto, convinto che avrebbe potuto, dovuto e ancor più voluto perdere ben presto una dozzina di chili. Quale prova della fermezza dei suoi nuovi propositi, insistette infatti per avere soltanto un mestolo di patate,
senza nemmeno un po' d'intingolo, quando Violet passò a
servire il pranzo.
Subito dopo mezzogiorno, dopo aver ascoltato una replica di The Archers, gli passò per la mente un pensiero
quanto mai gradevole: nessun lavoro al Quartiere generale
della polizia, nessuna preoccupazione per il pasto serale, nessun pensiero per il domani, eccetto forse quello provocato
dalla nuova consapevolezza della sua malattia… e della morte. Ma nemmeno questo lo preoccupava più di tanto, come
aveva confidato a Lewis: nessun parente prossimo, nessuna
persona a carico, nessuna necessità di andare oltre il semplice soddisfacimento delle proprie esigenze personali. E Morse
sapeva esattamente che cosa voleva, ora, mentre si appoggiava ai cuscini, pulito, fresco, rilassato. Poiché, per quanto
strano potesse sembrare, non avrebbe dato ora nemmeno una
moneta falsa per un altro paio di capitoli di // biglietto azzurro. In quel momento sentiva, e molto forte, l'entusiasmo del
viaggiatore… il viaggiatore sul canale da Coventry a Oxford.
Con vera gioia, perciò, si accinse a leggere la Parte seconda
di Assassinio sull'Oxford Canal.
10
PARTE SECONDA:
Un Delitto Accertato
Sebbene a quel tempo ci fossero dichiarazioni contrastanti su singole circostanze, nella fatale sequenza degli
eventi, le linee generali della vicenda, come si presentano
adesso, e come in effetti si sono sempre presentate, sono fuori discussione.
Il tratto di circa cinque chilometri del Coventry Canal
(di maggiore interesse, ora, per chi è appassionato di archeologia industriale piuttosto che per gli amanti della quiete rurale) sembra sia stato percorso senza particolari incidenti,
con soste accertate alla Three Tuns Inn di Fazely e, in seguito, alle Atherson Locks, più a sud. Quello che è certo è che la
Barbara Bray raggiunse Hawkesbury Junction, all'estremità
nord dell'Oxford Canal, un'ora circa prima della mezzanotte
di lunedì, 20 giugno. Attualmente, la distanza da Hawkesbury Junction a Oxford è all'incirca di centoventi chilometri e
nel 1859 il viaggio era appena un po' più lungo. Perciò possiamo calcolare che, sia pure con un paio di lunghe soste durante il percorso, l'equipaggio raddoppiato della Barbara
Bray avrebbe dovuto farcela in circa trentasei ore. E cosi
sembra che sia avvenuto. Nelle pagine seguenti vengono ricostruite quelle ore cruciali, sulla base sia delle testimonianze raccolte nei susseguenti processi (perché ce ne furono
due), sia delle ricerche svolte dall'autore di questo libro, e da
altri, sui documenti esistenti presso gli archivi della Oxford
Canal Company e della Pickford & Co. Da tutto il materiale
documentario emerge chiaramente un dato di fatto incontrovertibile: il corpo di Joanna Franks fu rinvenuto poco dopo le
cinque e trenta di mattina, mercoledì 22 giugno, nell'Oxford
Canal, in un bacino d'acqua di forma triangolare noto come il
"Duke's. Cut": un breve raccordo tra l'Oxford Canal e il Tamigi, inaugurato dal quarto Duca di Marlborough nel 1796, a
circa quattro chilometri a nord dell'Hayfield Wharf nella città
di Oxford.
Ma, per il momento, è il caso di fare un salto in avanti
nel tempo. Dopo l'inchiesta del coroner alla Running Horses
Inn (una locanda, ora demolita, ma in precedenza situata all'angolo di Upper Fisher Row vicino allo Hythe Bildge di
Oxford), i quattro uomini dell'equipaggio della Barbara
Bray furono immediatamente accusati dell'assassinio di
Joanna Franks e rinchiusi nella vicina prigione di Oxford.
Nel primo processo, celebrato presso la Corte d'Assise di
Oxford nell'agosto del 1859, furono tre i reati contestati agli
uomini della Barbara Bray: omicidio premeditato di Joanna
Franks; violenza carnale contro la stessa donna con differenti
capi d'accusa per i singoli imputati, gli uni per aver commesso il fatto e gli altri per complicità e favoreggiamento; e infi-
ne furto di oggetti vari appartenenti al marito della donna.
Tutto l'equipaggio, come un solo uomo, si proclamò innocente di ogni accusa. (Wootton, il ragazzo che all'inizio era
stato accusato insieme agli altri, non fu menzionato negli atti
finali di accusa).
Il signor Sergeant Williams, il Pubblico ministero, dichiarò di voler prendere in considerazione per primo il reato
di violenza carnale. Ma dopo che ebbe illustrato la sua tesi, il
Giudice (il signor Traherne) decise che non c'erano prove
certe che i detenuti avessero commesso effettivamente quel
reato e suggerì ai Giurati di emettere un verdetto di non colpevolezza per quel capo d'imputazione. Il signor Williams,
allora, rivolse istanza alla corte perché il processo per assassinio fosse rinviato fino alla successiva udienza della Corte
d'Assise, in considerazione del fatto che un testimone essenziale, Joseph Jarnel, un ex compagno di cella di Oldfield nella prigione di Oxford, già rinviato a giudizio per bigamia,
non poteva essere sentito in corte, prima che gli fosse condonata la pena dal Segretario di Stato. Il capitano della Barbara Bray, a quanto risultava, aveva fatto alcune importanti
confidenze a Jarnel nel periodo in cui i due uomini condividevano la stessa cella. Sebbene questa richiesta fosse strenuamente contrastata dall'avvocato difensore di Oldfield, il
Giudice Traherne alla fine accolse la domanda di rinvio.
Per il secondo processo, celebrato nell'aprile del 1860,
fu designato il Giudice Augustus Benham. Il pubblico locale
era molto eccitato e una folla ostile si assiepava lungo le
strade che portavano alla Corte d'Assise di Oxford. Il caso
giudiziario aveva anche suscitato notevole interesse tra i
membri della professione forense. I tre prigionieri si presentarono alla sbarra con le cinture di cuoio e i panciotti senza
maniche, usati solitamente a quel tempo dai barcaioli, e furono formalmente accusati di aver intenzionalmente assassinato Joanna Franks, di averla trascinata, spinta e gettata nell'Oxford Canal, provocandone così la morte per soffocamento e annegamento. Che cosa era esattamente avvenuto in
quegli ultimi fatali chilometri, su quel tratto di acqua noto
col nome di Duke's Cut nell'Oxford Canal? La tragica storia
cominciò presto a dipanarsi.
Ci sono motivi più che validi per ritenere che il viaggio
da Preston Brook fino all'imbocco dell'Oxford Canal a Hawkesbuy fosse stato relativamente tranquillo, anche se saltò
subito fuori che Oldfield era rimasto in cabina con Joanna
mentre la barca veniva spinta attraverso i tunnel di Northwich e di Harecastle. Ma quando la Barbara Bray raggiunse le
chiuse isolate di Napton Junction, circa quarantacinque chilometri a sud di Hawkesbury e ad approssimativamente settantacinque chilometri da Oxford, le cose parvero cambiare,
come vedremo, drammaticamente.
William Stevens, un impiegato della Pickford & Co.,
confermò, come risulta dai Court Registers della Corte d'Assise di Oxford ( 1860) e dalle cronache del processo riportate
dal Jackson's Oxford Journal (aprile 1860), che la Barbara
Bray raggiunse Napton Lock verso le undici di mattina di
martedì, 21 giugno, e che vi rimase ferma in tutto per circa
un'ora e mezzo. "C'era a bordo una passeggera" che subito si
lamentò con Stevens per "il comportamento degli uomini in
compagnia dei quali era costretta a viaggiare". Stevens ammise che avrebbe dovuto prendere nota del reclamo (la Barbara Bray era dopo tutto una barca della Pickford & Co.).
Ma non l'aveva fatto, limitandosi a suggerire alla donna
di fare le sue rimostranze negli uffici della società, non appena fosse giunta a Oxford, dove avrebbe potuto trasferirsi su
un'altra barca per l'ultima tappa del viaggio. Stevens era stato
testimone di violenti alterchi tra Joanna e uno dei barcaioli e
ricordava di aver sentito la donna pronunciare le seguenti parole: "Lasciami in pace… non voglio avere niente a che fare
con te!". Due degli uomini (Oldfield e Musson, pensava) si
erano espressi in termini assolutamente disgustosi, anche se
conveniva con l'Avvocato della difesa che il linguaggio di
quasi tutti i barcaioli a quei tempi era ugualmente deplorevole. Quello che sembrava del tutto evidente a Stevens era che
gli uomini dell'equipaggio cominciavano a eccedere nel bere
ed espresse anche l'opinione che "attingessero piuttosto liberamente agli alcolici che facevano parte del carico". Prima di
ripartire, la donna si era di nuovo lamentata del comportamento dei barcaioli e Stevens le aveva ripetuto il suggerimento di aspettare a decidere, una volta che la barca fosse arrivata al terminale dell'Oxford Canal, dove era previsto che
si scaricasse una parte delle merci trasportate.
A quanto pare, il suggerimento di Stevens non rimase
inascoltato. A Banbury, a una ventina di chilometri più a
sud, Joanna fece un risoluto tentativo di trovare un mezzo di
trasporto alternativo per il resto del viaggio. Matthew Laurenson, guardiano dello scalo a Tooley's Yard, ricordava
molto distintamente le "pressanti domande" di Joanna sugli
orari "dei primi treni per Londra e di quelli che da Oxford
portavano a Banbury". Ma non c'erano mezzi convenienti e
ancora una volta fu suggerito a Joanna di aspettare finché
fossero arrivati a Oxford: mancava soltanto poco più di una
trentina di chilometri. Laurenson collocò l'ora di questo incontro tra le sei e mezzo e le sette del pomeriggio (non c'è da
sorprendersi che i tempi non sempre coincidano esattamente
nelle testimonianze rese in corte: non dimentichiamo che siamo a quasi dieci mesi dalla data dell'assassinio), e fu in grado di riferire come sua generale impressione che la sfortunata donna era "piuttosto agitata e impaurita".
Il caso volle che Joanna avesse, ora, una compagna di
viaggio, almeno per un breve tratto, dal momento che Agnes
Laurenson, la moglie del guardiano dello scalo, doveva servirsi anche lei della Barbara Bray per andare a King's Sutton
Lock (sette o otto chilometri più a sud). Anche lei fu chiamata a testimoniare al processo. Ricordando che a bordo c'era
"una compagna di viaggio che sembrava molto agitata", la
signora Laurenson dichiarò che Joanna poteva anche aver
bevuto qualcosa, ma che a lei sembrava del tutto sobria, per
quanto potesse giudicare, diversamente da Oldfield e Mus-
son, e che Joanna era molto preoccupata per la propria incolumità personale.
Il racconto ora si avvia verso la sua tragica conclusione.
E fu il padrone del Crown & Castle ad Aynho (poco più a
sud di Banbury) a fornire alcune delle più significative e
schiaccianti testimonianze. Dopo che la signora Laurenson
ebbe lasciato la barca a King's Sutton, sembrerebbe, a sentire
il proprietario della locanda, il quale aveva incontrato Joanna
alle dieci di quella sera, che lei non si fidasse più di stare
sola con i barcaioli ubriachi. Era arrivata a piedi un po' prima
e aveva confessato di essere così spaventata da quegli spudorati ubriaconi della Barbara Bray che aveva deciso di proseguire a piedi lungo l'alzaia, persino a quell'ora tarda della
notte, poiché preferiva correre il rischio minore d'imbattersi
in ladri o banditi di strada. Sperava (aveva detto) di poter risalire senza rischi sulla barca più tardi, quando i barcaioli
avessero un po' smaltito la sbornia. Mentre aspettava che la
barca arrivasse, il padrone della locanda le offrì un bicchiere
di birra, ma Joanna rifiutò. Lui l'aveva tenuta d'occhio, comunque, e mentre la donna sedeva ai bordi del canale, gli
sembrò che affilasse di nascosto un coltello sullo spigolo di
pietra della chiusa (più tardi, Musson fu trovato con un taglio
sulla guancia sinistra che poteva essere stato procurato, e
probabilmente lo era, da quello stesso coltello). Quando la
barca si era accostata al pontile, un uomo dell'equipaggio (il
proprietario della locanda non era in grado di indicare quale)
aveva "imprecato contro la donna augurandole di bruciare tra
le fiamme dell'inferno, perché non poteva più sopportarne la
vista". Quando infine Joanna ritornò a bordo, l'albergatore si
ricordò di aver notato che le era stato offerto da bere. E pensava, in effetti, che Joanna avesse accettato un bicchiere di
qualcosa. Ma questa testimonianza non dev'essere presa in
nessuna considerazione, in quanto Bartholomew Samuels, il
chirurgo di Oxford, che eseguì l'autopsia subito dopo il ritrovamento del cadavere, non trovò nessuna traccia di alcol nel
corpo della povera Joanna.
George Bloxam, il capitano dell'equipaggio di una barca
della Pickford & Co. diretta a nord, dichiarò di aver incrociato la barca di Oldfield appena a sud di Aynho e che c'erano
stati, come al solito, scambi di battute tra i due equipaggi.
Oldfield si era espresso nei riguardi della sua passeggera in
termini assolutamente "disgustosi" giurando e minacciando
che gliel'avrebbe fatta pagare. Bloxam aveva aggiunto che
Oldfield era ubriaco fradicio e che anche Musson e Towns
"erano belle partiti, tutti e due".
James Robson, custode della Somerton Deep Lock, riferì che lui e sua moglie Anna erano stati svegliati verso mezzanotte da un urlo di terrore che proveniva dalla chiusa. Sul
momento, avevano pensato che fosse il pianto di un bambino
piccolo, ma quando avevano guardato giù dalla finestra della
loro camera da letto, avevano visto soltanto alcuni uomini
fermi vicino alla barca e una donna seduta sopra la cabina
con le gambe a penzoloni. Tre cose i Robson furono in grado
di ricordare di quella terribile notte, sicché la loro testimo-
nianza risultò cruciale al processo. Joanna aveva urlato terrorizzata: "Io non scendo di qui! Non azzardatevi a toccarmi!".
Uno degli uomini aveva gridato: "Attenti alle gambe! Attenti
alle gambe!". E poi la donna aveva ricominciato a urlare:
"Che ne avete fatto delle mie scarpe…? Oh! Ditemelo, per
favore!". Anna Robson aveva chiesto chi fosse quella donna
e uno dell'equipaggio le aveva risposto: "Una passeggera…
non si preoccupi!", aggiungendo che la donna stava litigando
con il marito, che era pure a bordo.
Per quanto potesse apparirle minacciosa, l'enorme casa
di guardia, piantata lì nella notte come una sentinella sovrastante le acque scure del canale, le si offriva come l'ultima
speranza di vita, se avesse chiesto riparo entro le sue mura.
Ma lei non chiese riparo.
A quel punto, o poco dopo, sembra che la donna terrorizzata avesse ripreso a camminare lungo l'alzaia per sottrarsi
ai barcaioli. Ma era certamente di nuovo a bordo, quando la
barca superò la chiusa di Gibraltar. Dopo di che… e soltanto
dopo brevissimo tempo… doveva aver ripreso a camminare
a piedi (ancora una volta!), dal momento che Robert Bond, il
mozzo della Isis, una piccola imbarcazione, dichiarò di averla oltrepassata mentre camminava sull'alzaia. Bond ricordava
di essere rimasto molto sorpreso nel vedere una donna così
attraente, che camminava tutta sola nella notte, e di averle
chiesto se c'era qualcosa che non andava.
Ma lei aveva soltanto scosso il capo, affrettando il passo
e scomparendo nella notte. Avvicinandosi alla chiusa di Gi-
braltar, Bond aveva raggiunto la barca di Oldfield e uno degli uomini dell'equipaggio gli aveva chiesto se avesse visto
una donna camminare lungo l'alzaia, aggiungendo in termini
estremamente volgari che gliel'avrebbe fatta pagare, quando
l'avesse avuta di nuovo nelle sue grinfie.
Nessuno, a parte gli scellerati barcaioli della Barbara
Bray, avrebbe mai più rivisto Joanna Franks.
11
Perbacco, Watson, se la sta cavando egregiamente! Lei
ha fatto davvero un lavoro eccellente. È vero che le sono
sfuggiti i fatti di maggiore importanza, ma ha scoperto il
metodo giusto.
Sir Arthur Conan Doyle, A Case of Identity
Come per la Parte prima, Morse si ritrovò a prendere alcune annotazioni (mentalmente, questa volta), mentre leggeva la conclusione di quella triste storia. Chissà perché, provava un vago senso d'insoddisfazione. Qualcosa lo tormentava, qualcosa che aveva a che fare coi fatti narrati nella Parte
prima, ma per il momento non riusciva a stabilire di che cosa
si trattasse. Se ne sarebbe ricordato, una volta che avesse riletto qualche pagina. Non c'era nessuna fretta. Il problema
teorico, che la sua mente aveva improvvisamente colto al
volo, non era altro che un piccolo innocente motivo di divertimento, privo di qualsiasi importanza. E tuttavia, nella sua
mente i dubbi persistevano: c'era qualcuno, qualcuno, che
potesse leggere quella storia senza porsi domande su uno o
due punti riportati con tanta sicurezza? Oppure su due o tre
punti? Oppure su tre o quattro?
Qual era il comune modo di divertirsi dei barcaioli del
canale, nel corso di quelle loro "interminabili soste"? Il cambio dei cavalli costituiva ovviamente una delle principali attività, ma non era un divertimento per nessuno. Un salto nel
bordello locale, allora? Certo un rifugio per i più assatanati.
E l'alcol? Si bevevano tutta la loro paga, quei barcaioli, nei
bar dal basso soffitto che sorgevano lungo la loro rotta? Perché no? Che altro c'era da fare? E sebbene l'alcol (come
qualcuno sostiene) influisca negativamente su certe prestazioni, come si può negare che spesso stimoli il desiderio? Il
desiderio, in questi casi, di violentare una bella passeggera.
Quante domande!
Ma se il sesso era alla base di quanto era accaduto, perché le incriminazioni di violenza carnale furono lasciate cadere al primo processo? D'accordo, non c'era negli anni Cinquanta del secolo scorso il mezzo di accertare il dna biologico, non c'era nessun codice genetico che potesse essere letto
nelle frettolose eiaculazioni di qualche povero disperato. Ma
persino a quei tempi l'accusa di violenza carnale poteva essere provata senza eccessiva difficoltà. E la vecchia battuta di
Confucio, a proposito della relativa impossibilità di muoversi
per un uomo con i pantaloni calati intorno alle caviglie, dev'essere apparsa fuori della realtà allora come adesso. Certamente per Joanna Franks.
Il riferimento ai Court Registers era stato una sorpresa
e, certamente per il sociologo, sarebbe stato motivo d'interesse leggere qualcosa sull'atteggiamento dei contemporanei nei
riguardi della violenza carnale nel 1859. Sarebbe stato certamente un atteggiamento molto meno comprensivo di quello
che risultava da un titolo del "Times", che Morse aveva appena ricevuto: "Precedente legislativo in una causa civile…
Trentacinquemila sterline di danni per la vittima di una violenza carnale". Ma dov'erano quei Court Registers, se pure
ancora esistevano? Avrebbero potuto spiegare (Morse suppose) le riserve del colonnello circa le possibili contraddizioni.
Ma quali considerazioni? Ci doveva essere stato qualcosa
nella mente del vecchio Deniston, qualcosa che lo disturbava, un piccolo dettaglio. I greci avevano una parola per esprimerla: parakrousis, cioè una nota leggermente stonata in un
concerto altrimenti melodioso.
Quella "nota stonata" l'aveva forse suonata la signora
Laurenson? Qualunque fosse stata la situazione di Joanna, la
Laurenson (col pieno consenso del marito, si ha motivo di
supporre) si era imbarcata sulla Barbara Bray per recarsi a
King's Sutton, su una barca piena, come il lettore veniva indotto a credere, di alcoolizzati sessualmente scatenati. Difficile da mandar giù? A meno che il custode del pontile, Laurenson, non fosse del tutto felice di liberarsi della moglie per
quella notte… o per qualsiasi altra notte. Ma un tale modo di
ragionare pareva un po' fantasioso. E c'era poi un'altra possibilità… una possibilità semplicissima e in realtà molto sorprendente: che i barcaioli della Barbara Bray, non fossero,
poi, così pericolosamente ubriachi quella notte. Ma no! Ogni
indizio puntava nella direzione opposta, puntava al fatto che
i pantaloni dei barcaioli erano calati, come quelli del violentatore confuciano, appena un po' al disopra dei lacci degli stivali. Stivali… scarpe…
Perché si parlava tanto di quelle scarpe? Perché comparivano così frequentemente nella storia? Ci sarebbero stati altri indumenti intimi che gli uomini dell'equipaggio avrebbero
potuto strappare a Joanna, se avessero voluto realizzare un
rapporto sessuale più comodo. Era possibile che qualcuno di
loro fosse affetto da una particolare forma segreta di feticismo per i piedi?
Morse, pur ripetendosi di smetterla di fare lo stupido, rilesse attentamente le due ultime pagine del testo. Un po' elaborata l'immagine della vecchia casa della chiusa, ritta come
una sentinella e sovrastante le acque scure del canale. Non
brutta, però, e quanto meno tale da indurre Morse a fare un
viaggetto in macchina per andare a vederla con i propri occhi, appena si fosse ristabilito. A meno che urbanisti e progettisti non l'avessero già abbattuta.
Come avevano fatto con quella di St. Ebbe…
Erano questi i pensieri di Morse dopo la lettura della
Parte seconda del libro. Era del tutto naturale che desiderasse
prolungare il piacere che gli procurava il testo del colonnello. Eppure, bisogna ammetterlo, ancora una volta non era
riuscito ad afferrare i veri problemi sollevati dal racconto. Di
solito Morse vinceva agevolmente il confronto con le intelligenze più acute, e anche ora i suoi processi mentali erano
limpidi e originali, ma, per il momento, molto al di sotto del-
le sue reali possibilità. Era troppo vicino al quadro: si trovava nel punto in cui i colori dei fianchi della piccola imbarcazione non gli permettevano di cogliere le linee di un disegno
d'insieme. Aveva bisogno di allontanarsi un po' dal quadro,
per poter avere una visione più sintetica della situazione.
"Sintetizzare" era stato sempre uno dei termini preferiti da
Morse. Rilesse rapidamente tutta la Parte seconda. Ma non
gli parve di vedere in termini generali molto più di quanto ci
aveva visto prima, anche se c'erano alcuni particolari che gli
erano sfuggiti durante la precedente lettura, e che immagazzinò alla rinfusa nel suo cervello.
C'era, per esempio, quella "G" maiuscola che il colonnello prediligeva tutte le volte che desiderava sottolineare l'enormità dell'ingiustizia umana e la infallibilità della Giuria e
dei Giudici… come la lettera maiuscola "D" che le chiese
cristiane usavano per riferirsi a Dio.
E poi quei passaggi attraverso i due tunnel, quando Oldfield era rimasto seduto nella cabina in compagnia di
Joanna… o quando, come Morse credeva di capire, aveva
messo le mani addosso alla povera donna spaventata in quel
buio pesto, dicendole di non aver paura…
E poi quegli ultimi confusi paragrafi! Joanna era stata
disperatamente ansiosa di saltar fuori dalla barca e di allontanarsi dai suoi persecutori ubriachi: su questo non c'era alcun
dubbio. Ma in tal caso, perché, in base alla stessa testimonianza, era stata anche così ansiosa di ritornare a bordo della
barca?
Fantasie! Ma c'erano almeno due cose che potevano essere concretamente verificate. Si affermava che "non c'erano
mezzi di trasporto convenienti", e ogni investigatore degno
del nome poteva facilmente verificarlo. Che possibilità c'erano, quando Joanna arrivò a Banbury? Non era difficile accettare quanto sarebbe costato un qualsiasi percorso alternativo
per Londra. Qual era, per esempio, il prezzo del biglietto ferroviario per Londra nel 1859? E, in particolare, qual era il
prezzo del biglietto ferroviario da Liverpool a Londra, un
prezzo che, a quanto pareva, era al di sopra delle risorse finanziarie dei coniugi Franks?
Interessante…
Come lo erano, a pensarci bene, quelle parole tra virgolette nel testo… presumibilmente parole trascritte e riportate
verbatim, e perciò elementi essenziali di prova ai fini processuali. Morse ricontrollò le citazioni disseminate nel testo e
una in particolare attirò la sua attenzione: "Dei primi treni
per Londra… e di quelli che da Oxford portavano a Banbury". Ora, se quelle erano le parole testuali pronunciate da
Joanna… se lo erano… perché aveva chiesto l'orario dei treni "da Oxford a Banbury?" Avrebbe dovuto chiedere, invece,
informazioni sui treni da Banbury a Oxford. A meno che… a
meno che…
Di nuovo, tutto parve assumere maggiore interesse… almeno per Morse. Infine, che cosa si doveva pensare di quella
faccenda del bere? Aveva bevuto, Joanna… o non aveva bevuto? C'era una strana ambivalenza nel testo, ed era questo
forse che aveva in mente il colonnello, quando aveva parlato
di "dichiarazioni contrastanti"? Ma no… non era possibile.
Bartholomew Samuels non aveva trovato tracce di alcol nel
corpo di Joanna. E così era! 0, piuttosto, lo sarebbe stato per
molti.
Il pensiero dell'alcol aveva cominciato ad assillare la
mente di Morse e, alla fine, con grande circospezione si versò un dito di scotch nel bicchiere sull'armadietto, aggiungendovi un'uguale quantità di acqua. Una sensazione splendida!
Peccato che nessuno avrebbe mai preso in considerazione i
suoi convincimenti, e cioè che lo scotch fosse uno stimolante
necessario per le sue cellule cerebrali! Poiché, poco dopo
aver bevuto, la sua mente straripava d'idee… di eccitanti
idee… e lui scopriva anche di poter cominciare a verificare
un paio delle sue ipotesi quella sera stessa.
Sempre che la figlia di Walter Greenaway fosse venuta.
12
La prima cosa che si deve avere in una biblioteca è uno
scaffale. Di tanto in tanto questo può essere decorato con
qualche libro. Ma l'importante è lo scaffale.
Finley Peter Dunne, Mr Dooley Says
Mentre percorreva Broad Street alle sette e quaranta della mattina seguente (giovedì), Christine Greenaway pensava
(ancora pensava) all'uomo che le aveva parlato la sera prima
nella corsia 7C, all'ultimo piano del John Radcliffe Hospital.
(Le accadeva raramente di apprezzare le manifestazioni di
orgoglio del padre per le doti della sua amorevole figlia.)
Non è che il pensiero di Morse l'avesse ossessionata a partire
dal momento in cui le aveva parlato, ma era stato come se,
quasi inconsciamente, durante la notte, si fosse resa conto
della sua esistenza. E tutto perché le aveva chiesto, con tanto
garbo, di cercare qualcosa per lui alla Bodleiana. Le era sembrato così sincero, così riconoscente. E questa era davvero
una sciocchezza, perché lei lo avrebbe comunque aiutato di
buon grado. Soprattutto per questa ragione aveva scelto di
diventare bibliotecaria: possedere gli essenziali dati di orientamento nel campo della Storia e della Letteratura per essere
in grado di fornire ogni possibile elemento di risposta a tanti
curiosi quesiti. Persino all'età di cinque anni, con le trecce
che le arrivavano alla vita, aveva invidiato la bibliotecaria
della Suramertown Library che, come lei adesso, infilava
schede in lunghi cassetti dietro l'altissimo bancone. Invidiava
ancora di più quella che timbrava la data sulla copertina dei
libri presi in prestito e inseriva le schede relative nelle singole cartelle. Non che lei, Christine Greenaway, si dedicasse
ancora a questi umili lavori. Le inevitabili domande a proposito di chi, per esempio, aveva scritto // Vento tra i Salici erano ormai dimenticate. Christine era ora la più anziana delle
tre rispettabili bibliotecarie che sedevano all'estremità nord
della Bodleian's Lower Reading Room. I suoi doveri professionali consistevano nell'assistenza a professori e studenti
dell'Università: verifica di scontrini, chiarimenti sulla collocazione dei libri e suggerimenti sui libri di consultazione, oltre a contatti telefonici (il giorno prima, una chiamata dall'Università di Upsala). Negli ultimi anni si era sentita importante e aveva tratto molta soddisfazione dal suo lavoro: si
sentiva una rotella essenziale nell'ingranaggio della macchina universitaria. Naturalmente, nella sua vita, aveva avuto
grosse delusioni, come molti altri del resto, lei lo sapeva.
Sposata a ventidue anni, a ventitré aveva divorziato. Nessun'altra donna nella vita del marito, nessun altro uomo nella
sua… sebbene ci fossero state (e ce n'erano ancora) tante opportunità. No! Il guaio era che il marito si era rivelato così
immaturo e irresponsabile… e soprattutto così noioso! Appe-
na i due si erano messi a fare andare avanti la casa, tenendo
la contabilità mese per mese, controllando gli estratti conto
della banca… be', Christine aveva scoperto che quello non
avrebbe mai potuto essere l'uomo che ci voleva per lei. E
ora, stando così le cose, non poteva più sopportare l'idea di
un maschio piuttosto ignorante e aggressivo come compagno
di letto. Libera da qualsiasi preoccupazione finanziaria, poteva decidere quello che voleva su cose che per lei erano davvero importanti. Era divenuta un membro abbastanza attivo
di parecchie associazioni, come la Greenpeace, l'Associazione per il disarmo nucleare e l'Associazione per la protezione
degli uccelli. Ma non si sarebbe mai iscritta a uno di quei
club specializzati, dove avrebbe potuto incontrare una persona più interessante del suo precedente consorte. Se si fosse
mai guardata intorno per cercare un altro marito, doveva essere qualcuno che in qualche modo le ispirasse rispetto: rispetto per la sua conversazione o per la sua esperienza o per
la sua intelligenza o per la sua cultura o… Be', per qualsiasi
cosa che non fosse orgoglio per le proprie prodezze sessuali.
Perciò (si chiedeva), tutto questo che c'entrava con lui? Non
l'attirava certo il suo aspetto. Quasi calvo e con una discreta
pancetta. Anche se, a voler essere sinceri, cominciava a sentirsi attratta, suo malgrado, dagli uomini il cui peso fosse appena al di sopra di quello normale. Forse perché lei non era
mai riuscita ad aumentare di qualche chilo… anche se amava
rimpinzarsi di torte stracariche di crema e di pesce e patatine
fritte impregnate di grasso.
Scordatelo! Dimenticalo, Christine!
Questa esortazione finì per avere la meglio, mentre
camminava quella mattina lungo la Broad Street, lasciandosi
a sinistra il Balliol e il Trinity College, procedendo poi su
per i gradini semicircolari fino al cortile ricoperto di ghiaia
dello Sheldonian Theater. Di lì, prendendo a destra, oltrepassò la scritta si prega di fare silenzio, che campeggiava sotto
l'arco, e arrivò in quello che era il suo vero territorio: il Quadrangle of Schools.
Per molti giorni, da quando sei anni prima aveva cominciato a lavorare alla Bodleiana, aveva colto la bellezza di
quello scenario. Ma col passare dei mesi e degli anni si era
ormai abituata a quello scorcio che, sulle cartoline in vendita
nel Proscholium, veniva ancora definito "Il Cuore d'Oro di
Oxford". Percorreva ogni giorno il quadrangolo ricoperto di
ghiaia, con la Torre dei cinque ordini alla sua sinistra, e procedendo oltre la statua di bronzo del terzo conte di Pembroke
entrava infine nella Biblioteca Bodleiana, attraverso l'unica
grande porta sul lato occidentale, sotto i quattro ordini di archi ciechi di pietra gloriosamente ingiallita dal tempo.
Ma era tutto diverso, oggi… quanto diverso! Avvertì
ancora una volta le spigolose irregolarità della ghiaia sotto le
suole delle costose scarpe di pelle dai tacchi a spillo. E di
nuovo notò, non senza provarne piacere, i nomi delle Facoltà
Medioevali sulle porte a lei familiari, intorno al quadrangolo.
In particolare rivolse ancora una volta lo sguardo a quello da
lei preferito: schola naturalis philosophiae, scritto in lettere
maiuscole dorate in rilievo, con il bordo marrone su un fondo del più cupo blu di Oxford. E mentre saliva la scala di legno che portava alla Lower Reading Room, Christine Greenaway si chiese, con un timido sorriso sulle sottili, deliziose
labbra, come mai aveva avuto bisogno di tanto tempo per ricominciare ad apprezzare le trascurate delizie che la circondavano.
Appese il soprabito nel guardaroba riservato alle bibliotecarie e si dedicò ai suoi compiti quotidiani. Quella prima
ora (dalle sette e quarantacinque alle otto e quarantacinque)
era sempre noiosa: bisognava rimettere a posto i libri lasciati
sui tavoli il giorno prima e accertarsi che i nuovi lettori trovassero al loro posto, negli scaffali, i libri di cui avevano bisogno.
Ripensò ai brevi scambi di conversazione della sera precedente, quando lui le aveva rivolto la parola (soltanto a un
paio di metri di distanza): — Lei lavora alla Bodleiana, ho
sentito.
— Sì… Sì!
— Forse… è un po' sfacciato da parte mia, non conoscendola…
—… ma vorrebbe che io cercassi qualcosa per lei.
Morse aveva annuito, con un sorriso accattivante.
Christine doveva aver saputo che era qualcuno della polizia… notizie del genere si diffondevano sempre molto in
fretta nelle corsie. I suoi occhi l'avevano fissata per qualche
secondo, ma lei non ne aveva colto né l'azzurro né l'autore-
volezza: soltanto la loro tristezza e vulnerabilità. Eppure aveva avvertito che quegli occhi difficili da decifrare in qualche
modo erano penetrati profondamente dentro di lei e avevano
gradito quello che vi avevano visto.
"Una sciocchina, ecco quello che sei!" si disse. Si stava
comportando come una scolaretta, presa da un'improvvisa
cotta per il suo professore. Ma rimaneva il fatto che… in
quel momento lei era pronta a fare salti mortali per accontentare quell'uomo dai capelli già brizzolati e dal chiassoso pigiama a righe, che occupava il letto proprio di fronte a quello
del padre.
13
Ah, riempi la coppa!… A che serve ripetere come il
Tempo scivola sotto i nostri piedi? Il Domani non è ancora
nato e l'ieri è già morto. Perché crucciarsene se l'Oggi è
felice?
Edward Fitzgerald, The Rubaiyat of Omar Khayyam
Era stato piuttosto vago e non era stato facile stabilire
esattamente che cosa volesse. Dettagliate informazioni sulle
compagnie di assicurazione negli anni Cinquanta del secolo
scorso… specialmente, se possibile, di quelle del Midlands.
A intervalli, nel corso della mattinata, Christine aveva impiegato un'ora o più per rintracciare i cataloghi giusti e un'altra
ora per localizzare il materiale utile. Ma per l'ora del pranzo
(Dio sia lodato) aveva completato la ricerca e avvertiva un
senso di euforia simile, pensò, a quello degli studiosi che
ogni giorno scavavano nei tesori della sua Grande Biblioteca, per estrarne le loro piccole pepite d'oro. Aveva trovato in
un'opera di consultazione esattamente quello che Morse
(l'uomo colpevole di aver turbato la sua calma) le aveva
chiesto di trovare.
Poco dopo mezzogiorno, con una delle sue colleghe, si
era recata al King's Arms, all'angolo di Holywell Street, dov'era solita godersi i suoi cinquantacinque minuti della pausa
di mezzogiorno, con un solo bicchiere di vino bianco e un
sandwich al salmone e cetriolo. Fu quando Christine si alzò
in piedi per ordinare altri due bicchieri di vino che la sua collega la guardò incuriosita.
— Hai sempre detto che due bicchieri di vino ti fanno
venir sonno.
— E allora?
— Allora mi addormenterò anch'io, va bene?
Erano buone amiche e certamente Christine le avrebbe
raccontato una versione riveduta e corretta della sua visita al
John Radcliffe Hospital la sera prima, se non si fosse unita a
loro un'altra collega. Dopo di che, le tre ragazze si addentrarono in un'allegra e animata conversazione a proposito dell'arredamento della casa e dell'ingiustizia degli interessi sul
mutuo.
O almeno due di loro, per essere più precisi. La terza,
che aveva partecipato di meno alla conversazione, lavorò anche meno del solito quello stesso pomeriggio. Dopo aver accuratamente fotocopiato le sue scoperte, si augurò che le ore
passassero in fretta, perché era impaziente di mostrare il risultato delle sue ricerche. E lei… be', voleva semplicemente
rivedere quell'uomo.
Tutto qui!
Alle sei e trenta di quella sera, a casa sua, nel villaggio
di Bletchington, a qualche chilometro da Oxford in direzione
di Otmoor, si passò con cura lo smalto rosso sulle unghie
ovali ben curate e alle sette si mise in viaggio per l'ospedale.
Dal suo posto di osservazione, anche Morse era in ansiosa
attesa di rivedere Christine Greenaway. La sera prima aveva
subito apprezzato la professionalità di Christine, quando lei,
dopo aver capito di cosa si trattava, aveva accennato al modo
in cui avrebbe svolto le sue ricerche. E ne aveva notato anche la sincerità e la vivacità degli occhi… occhi azzurri, quasi come i suoi… e la tranquilla determinazione della piccola
bocca. Così, alle sette e venticinque, era seduto nel suo letto
appena rifatto, ritto contro i cuscini, lavato e con i radi capelli pettinati, quando improvvisamente si sentì lo stomaco
come preso in una morsa e per due o tre minuti il dolore non
allentò la presa. Morse chiuse gli occhi e strinse i pugni con
tale forza che la fronte gli si imperlò di sudore. Sempre con
gli occhi chiusi rivolse una tacita preghiera a qualche essere
superiore, malgrado le sue recenti dichiarazioni che andavano dall'agnosticismo a un dichiarato ateismo.
Due anni prima, alla Oxford Book Association aveva
ascoltato un tetro Muggeridge proporre la inquietante tesi filosofica della Terrìbile Simmetria, in base alla quale i debiti
e i crediti nei libri mastri sono inesorabilmente ed eternamente bilanciati, e l'uomo che cerca di concedersi un piacere
segreto si troverà presto in coda per pagare il suo debito… e,
più spesso che mai, con l'aggiunta di qualche pesante sovrap-
prezzo. Quale assurda pretesa (aveva asserito il saggio) che
l'edonista potesse essere un uomo felice!
Dio mio!
Perché mai Morse aveva contemplato il piacere di un
bicchierino? Il prezzo del peccato era la morte e il piacere
della sera raramente valeva la pena del mattino dopo (diceva
qualcuno). Tutti i mortali (Morse lo sapeva) erano destinati a
percorrere lo stretto sentiero che conduce dalle fiamme dell'Inferno al Giorno del Giudizio, ma lui ora implorava che
nel suo caso quegli ultimi pochi passi potessero essere procrastinati di almeno una settimana o due.
Poi, improvvisamente come era venuto, il dolore passò e
Morse aprì di nuovo gli occhi.
L'orologio dietro la scrivania della caposala (era corsa la
voce funesta che Nessie sarebbe stata di turno quella sera)
segnava le sette e trenta, quando i visitatori cominciarono ad
affluire con i loro doni nascosti nei sacchetti di Sainsbury e
di St. Michael con fasci di fiori destinati agli ultimi ricoverati.
La vita è, ahimè, così piena di delusioni! Una visita inaspettata avrebbe monopolizzato quella sera tutto il tempo di
Morse. Recando tra le braccia una vera collezione di crisantemi bianchi un po' appassiti, una donna sui sessantanni e
dall'aspetto triste requisì l'unica sedia disponibile a fianco al
suo letto.
— Signora Green! Molto gentile da parte sua venirmi a
trovare!
Morse si sentì venir meno, ma ebbe un vero tuffo al
cuore quando la zelante signora Green cominciò a mettere in
dubbio la sua capacità di sbrigarsela abilmente per cose così
importanti come gli asciugamani, la pasta dentifricia, la polvere di talco e i pigiami puliti (specialmente questi ultimi).
Era molto bello da parte sua (chi avrebbe potuto negarlo)
prendersi tutto quel disturbo per venire a trovarlo (tre autobus, come Morse ben sapeva); ma in quel momento scoprì,
lui ne era perfettamente consapevole, di desiderare soltanto
che la donna si alzasse e se ne andasse.
Alle otto e cinque, dopo una mezza dozzina di "Devo
proprio andare!", la signora Green si rizzò su suoi poveri piedi per accingersi a tornare a casa, non senza aver lasciato le
sue istruzioni per mantenere in vita i crisantemi. Infine, dopo
un resoconto, per fortuna breve, della sua ultima visita al pedicure in Banbury Road, si trascinò sui suoi piedi doloranti
fuori della corsia 7C.
Di tanto in tanto, dal suo posto accanto al padre, Christine Greenaway aveva accennato a voltarsi, mentre adempiva
ai suoi doveri filiali, e due o tre volte i suoi occhi si erano incrociati con quelli di Morse: quelli di Christine con un sorriso di comprensione appena dissimulato, quelli di Morse che
esprimevano tutta l'impotenza di una balena arenata sulla
sabbia.
Proprio mentre la signora Green se ne stava andando, un
medico in camice bianco, accompagnato dall'infermiera di
turno, decise (sconsideratamente) di dedicare dieci minuti
del suo tempo a Greenaway padre e poi di confidare a parte,
sottovoce, la sua prognosi a Greenaway figlia. E per Morse
quella interruzione nella routine serale cominciava a farlo
imbestialire, proprio come l'attesa della prima colazione in
qualche sgangherata locanda.
In quel momento, arrivò Lewis.
A Morse non era mai accaduto di essere così poco contento di vedere il suo collaboratore. D'altra parte, era stato
proprio lui a dare istruzioni a Lewis perché ritirasse la corrispondenza dal suo appartamento. Erano arrivate parecchie
lettere e un paio di biglietti di auguri: le scarpe di Morse
(l'altro paio) erano pronte per essere ritirate in Grove Street;
il suo libretto di circolazione doveva essere rinnovato entro
venti giorni; un libro incredibilmente costoso intitolato The
Transmission of Classical Manuscripts giaceva a sua disposizione presso la Oxford University Press; una fattura dell'idraulico per la riparazione a un rubinetto non era stata ancora
saldata; la Wagner Society voleva sapere se era disposto a
partecipare al sorteggio di biglietti per il Ring di Bayreuth;
Peter Imbert lo invitava a tenere a Hendon nel prossimo anno
una conferenza, in occasione del simposio sulla criminalità
nei centri cittadini. La sua abituale corrispondenza era uno
spaccato della vita: una parte era gradita, l'altra avrebbe preferito dimenticarla.
Alle otto e ventitré minuti, secondo l'orologio della corsia, Lewis chiese se Morse desiderava altro.
— Sì, Lewis, se ne vada, per piacere! Ho bisogno di
parlare per cinque minuti con… — Morse accennò vagamente col capo nella direzione del letto di Greenaway.
— Bene, ispettore, se è questo che vuole… — Si alzò
lentamente in piedi.
— È proprio quello che voglio, Lewis! Gliel'ho appena
detto, no?
Lewis tirò fuori un magnifico grappolo di uva bianca
(due sterline e mezzo alla libbra) dal suo sacchetto. — Ho
pensato… abbiamo pensato, mia moglie e io… che questa le
avrebbe fatto piacere, ispettore.
E se ne andò. Morse si rese conto, immediatamente
dopo che se ne fu andato, che non si sarebbe mai perdonato
una tale deplorevole manifestazione d'ingratitudine. Ma il
danno ormai era fatto: nescit vox missa reverti.
Due minuti dopo suonò il campanello e Christine, nell'andarsene, passò davanti al suo letto e gli porse sei grandi
fogli fotocopiati.
— Mi auguro che sia quello che voleva.
— Le sono tanto grato. È… è un peccato che non abbiamo avuto modo di…
— Lo capisco. Lo capisco benissimo — lei replicò. — E
mi faccia sapere se c'è altro che io possa fare per lei.
— Senta… forse, se noi…
— Andiamo, per favore! — La voce dell'infermiera di
turno, che stava facendo rapidamente il suo giro nella corsia,
suonò imperiosa, all'orecchio di Morse, quasi come quella di
Nessie.
— Le sono tanto grato — ripetè Morse. — Davvero!
Come le dicevo, è…
— Sì — replicò Christine sottovoce.
— Verrà domani? — si affrettò a chiederle Morse.
— No… domani no. Aspettiamo dei bibliotecari che
verranno dalla California.
— Su, andiamo, perfavore! — ripetè l'infermiera.
La signora Green, il sergente Lewis, Christine Greenaway… ormai se n'erano tutti andati. Il carrello dei medicinali
stava già passando nella corsia e le infermiere cominciavano
un altro giro di misurazioni e di somministrazioni di medicine.
E Morse provò una stretta al cuore.
Erano le nove e venti quando, appoggiato alla pila di cuscini, finalmente si dispose a dare una scorsa al materiale fotocopiato da Christine. E ben presto fu completamente e felicemente assorbito nella lettura: il momentaneo scoraggiamento era già superato.
14
Essere nel mondo dei vivi era per se stesso un privilegio
dei sopravvissuti, perché molti dei suoi pari… dei suoi
fratelli e sorelle… si erano già arresi alla nascita o appena
nati o nell'infanzia.
Roy and Dorothy Porter, In Sickness and in Health
I documenti che Morse stava ora esaminando erano proprio la cosa che ci voleva (ne era certo) per soddisfare alla
teoria delle fonti originali d'informazione, che proprio allora
dilagava nei programmi di studio a tutti i livelli. Per
Morse… la cui preparazione scolastica di carattere storico
era limitata a poco più di un'infarinatura sulle prime macchine da semina e su altre macchine agricole della fine del diciottesimo secolo… la lettura di quei fogli era affascinante.
Di particolare interesse (così appariva a Morse) era la prefazione al Manuale delle Assicurazioni 1860 (benedetta quella
ragazza… aveva persino trovato l'anno esatto!) in cui l'anonimo autore riaffermava la sua volontà di continuare a battersi in "questa valle di lacrime",.finché le sue forze glielo
avessero consentito:
Perciò tutti i nostri sforzi devono essere diretti, non a oltrepassare quella che possiamo definire la biblica 'età media' della vita… 'quei
famosi settantanni…' ma di arrivarci ragionevolmente vicino. Poiché,
soltanto attraverso la continua vigilanza e l'impegno nell'opera di autopreservazione, la media fissata può essere rispettata e, con un po' di
fortuna, di senso comune (e la grazia di Dio), raggiunta.
Era interessante trovare l'Onnipotente tra parentesi, persino nel 1860, e Morse pensò che gli avrebbe fatto piacere
conoscere l'autore di quel testo. Tuttavia, quando lo stesso
autore più avanti affermava che "la mortalità si era ridotta
del 40% tra il 1720 e il 1820", Morse cominciò a chiedersi
che cosa potesse significare una tale sconcertante affermazione, oltre tutto infondata da un punto di vista scientifico…
e, in realtà, completamente priva di senso. Quello che gli
sembrò subito chiaro, mentre leggeva quei caratteri minuti,
fu che in quegli anni la gente cominciava a vivere più a lungo e che, verso la metà del diciannovesimo secolo, le compagnie di assicurazioni avevano già preso a confrontarsi con
questo fenomeno sociologico, fissando premi e tariffe sempre più allettanti, malgrado le fosche statistiche annuali che
contraddistinguevano il periodo fino agli anni Cinquanta.
Come per esempio quelle del 1853, che ora Morse stava
prendendo in considerazione. Del mezzo milione circa di decessi riportati nelle pagine del Manuale, 55.000 erano dovuti
a tubercolosi, 25.000 a polmonite, 24.500 a convulsioni,
23.000 a bronchite, 20.000 a morte prematura e deperimento
organico, 19.000 a tifo, 16.000 a scarlattina, 15.000 a diarrea, 14.000 per disturbi cardiaci, 12.000 a pertosse, 11.000 a
idropisia, 9.000 ad apoplessia, 8.500 a paralisi, 6.000 ad
asma, 5.750 a cancro, 4.000 a disturbi dentari, 3.750 a morbillo, 3.500 a difterite, 3.250 a vaiolo, 3.000 a parto e così di
seguito, fino a cifre minori riguardanti decessi per malattie
del cervello, dei reni, del fegato e di altre parti deperibili del
corpo… e per vecchiaia! Addizionando in fretta queste cifre,
nella sua testa Morse si rese conto che per i due terzi circa
dei 500.000 decessi non veniva indicata la causa della morte.
E fu costretto perciò a supporre che, anche prendendo in
considerazione altre categorie ("assassinii" per esempio), dovevano esserci a quei tempi molte persone della cui morte
per un motivo o per l'altro non veniva specificata la causa,
anche se venivano regolarmente tenute presenti nelle statistiche nazionali. Forse non erano abbastanza importanti perché
la loro particolare malattia fosse indicata sul certificato di
morte. Poteva darsi anche che molti dei medici, delle ostetriche, delle infermiere o degli addetti all'assistenza dei poveri
semplicemente non lo sapessero o non gliene importasse
niente.
Mentre, sprofondato di nuovo nei cuscini, pensava alle
circostanze di cui era stata vittima la sventurata Joanna
Franks, che non era morta né di tubercolosi né di polmonite,
Morse cadde in un sonno così profondo che saltò la sua tazza
di Horlicks delle dieci di sera e il suo prezioso biscotto digestivo. Più tardi, alle undici e quarantacinque, si svegliò di
nuovo, tutt'altro che ristorato, con la gola secca e la testa limpida. Le luci nella corsia erano state abbassate e gli altri pazienti intorno a lui sembravano pacificamente addormentati,
a parte quello che era stato ricoverato nel tardo pomeriggio e
intorno al quale lo staff medico si era affannato con un'aria
di sinistra preoccupazione: l'uomo che ora giaceva con gli
occhi fissi al soffitto e che senza dubbio stava contemplando
l'imminente collasso delle sue terrene fortune.
Nessie non si vedeva da nessuna parte: la scrivania era
vuota.
Morse aveva fatto un brutto sogno. Era ancora al Ginnasio e stava giocando a cricket. Quando arrivava il suo turno
di battuta, non riusciva a trovare le scarpe; e quando alla fine
le trovava, i lacci continuavano a spezzarsi. Stava per scoppiare in un pianto disperato, quando si era svegliato. Il sogno
era in qualche modo collegato al discorso della signora
Green a proposito del suo pedicure? O era invece legato al
fatto che Lewis gli aveva portato il biglietto del calzolaio? O
forse nessuna delle due cose c'entrava affatto? Non era forse
più verosimile che c'entrasse quella giovane donna, che nel
1859 aveva gridato con una nota di terrore e di disperazione
nella voce: "Che ne avete fatto delle mie scarpe?".
Si guardò di nuovo intorno: la scrivania era ancora vuota.
Non avrebbe certo turbato la quiete della corsia, se avesse acceso la sua lampada da notte. Specialmente se la luce si
fosse proiettata solo in un piccolo cerchio sui suoi cuscini.
Leggendo non avrebbe disturbato nessuno poi e la luce
dell'uomo che stava morendo era rimasta accesa per tutto il
tempo.
Premendo l'interruttore, accese la luce senza che nessuno protestasse. Nel frattempo, non c'erano ancora tracce di
Nessie.
La Parte terza di Assassinio sull'Oxford Canal era lì, ma
Morse non voleva finirla troppo in fretta. Si ricordò che,
quando stava finendo di leggere Bleak House (a suo parere,
il più grande romanzo di lingua inglese), ne aveva deliberatamente rallentato la lettura, man mano che le ultime pagine si
assottigliavano sempre di più sotto le sue dita. Non gli era
mai accaduto di desiderare tanto che la storia non finisse! Il
racconto del colonnello non era poi tanto avvincente e, tuttavia, Morse desiderava procrastinarne la conclusione… o almeno così si disse. Questo gli lasciava la possibilità, niente
affatto spiacevole, di concedersi qualche altro capitolo di //
biglietto azzurro… ora che Greenaway era profondamente
addormentato. L'indagine sui comportamenti criminali nello
Shropshire del diciannovesimo secolo faceva già parte della
moltitudine di libri che non avrebbe mai letto.
Morse si calò subito nel pieno delle prodezze di una
bionda alla quale mancava solo che si facesse stampare sulle
calze nere qualche freccia direzionale con su scritto "Di qui
per…" nel caso che avesse avuto le calze, cioè, o anche solo
le mutandine. Così, tra donne fatali che mostravano le forme
e si facevano palpeggiare tette e natiche, Morse si concesse
una gradevole parentesi di piacere erotico. Ed era così assorto e distante, che non la sentì avvicinarsi.
— Ma che cosa crede di fare?
— Stavo…
— Le luci si spengono alle dieci. Lei sta disturbando i
malati in corsia.
— Ma se dormono tutti!
— Non per molto ancora, con lei in giro!
— Mi dispiace…
— Che cosa sta leggendo?
Prima che potesse correre ai ripari, Nessie gli aveva
strappato il libro dalle mani e Morse non poté fare altro che
guardarla impotente. Lei non fece nessun commento, non
espresse nessuna riserva e, per un attimo, parve persino che
un lampo di divertimento balenasse in quegli occhi severi,
mentre scorrevano in fretta un paio di paragrafi.
— È ora di dormire! — disse, ma senza particolare
asprezza, restituendogli il libro. La sua voce era rigida come
la sua uniforme e Morse ripose il libro, sicuramente sfortunato, nel suo armadietto. — E stia attento con il suo succo di
frutta! — Spostò di un qualche millimetro a sinistra il bicchiere riempito a metà, spense la luce e se ne andò. Morse si
accucciò dolcemente sotto le coperte nel calore e nel conforto del suo letto, come il giglio di Tennison che scivola lentamente nel grembo del lago…
Quella notte, fece un sogno in Technicolor (ci avrebbe
giurato), anche se sapeva bene che una tale asserzione sareb-
be stata contestata dai neurologi. Gli pareva di vedere la pelle color ocra della sirena succintamente vestita, con le sue
calze nere con le frecce stampate sopra, e di ricordarne persino le mutandine color lavanda. Quel sogno era quasi perfetto! Quasi. Perché nella sua mente, Morse covava ancora un
bisogno insistente che tuttavia cercava ancora un nome, un
posto e un tempo reali, e pretendeva di averli, prima che nella sua immaginazione quella bellezza sensuale e sfrenata potesse essere sua. E nel confuso computer mentale di Morse,
quella sirena prese il nome di Joanna Franks, giovane e provocante mentre si dirigeva verso il Duke's Cut, nel mese di
giugno del 1859.
Quando si svegliò (o piuttosto fu svegliato) la mattina
seguente, si sentì perfettamente ristorato e decise che non
avrebbe corso il rischio di una terza umiliazione a causa di //
biglietto azzurro. Con la colazione, il termometro, le pulizie,
la rasatura, la pressione, il giornale, le compresse, il Bovril…
con tutte queste cose alle spalle… e nessun visitatore in vista… si accinse a scoprire che cosa esattamente era accaduto
a quella giovane donna che aveva dominato le sue fantasie
notturne.
15
PARTE TERZA:
II Processo Continua
Il corpo di Joanna Franks fu trovato al Duke's Cut verso
le cinque e mezzo di mercoledì mattina, 22 giugno 1859.
Philip Tomes, un barcaiolo, riferì che stava discendendo il
canale verso Oxford, quando vide qualcosa nell'acqua, qualcosa che gli parve sul momento un vestito da donna. Ma non
fu in grado di stabilire che altro ci fosse nelle acque scure del
canale. L"'oggetto" si trovava vicino alla riva opposta all'alzaia; alla fine, Philip Tomes scoprì che era il corpo di una
donna, senza cappello né scarpe. Galleggiava lungo la sponda, con la testa rivolta a nord e i piedi a sud e non dava segni
di vita.
Giaceva con la faccia in giù, che sembrava completamente nera. Tomes fermò la sua barca e con un gancio d'attracco accostò piano il corpo verso la sponda dell'alzaia,
dove lo tirò fuori dall'acqua con l'aiuto di un pescatore di
Kidlington, John Ward, che per caso s'era trovato a passare
lungo il canale a quell'ora del mattino. In realtà, era stato
Ward ad avere l'idea di trasportare il corpo, che era ancora
caldo, alla Plough Inn di Wolvercote.
Risulta da vari indizi, strettamente collegati, sebbene alcuni di essi fossero stati forniti dagli stessi imputati, che Oldfield e Musson (e, secondo un'altra versione, anche Towns)
erano scesi dalla Barbara Bray all'incirca nel punto in cui
Joanna aveva trovato la morte ed erano stati visti insieme
sulla riva del canale dalla parte dell'alzaia, poco più a sud del
Duke s Cut. Un tale era passato di lì nel momento cruciale,
alle quattro di mattina o appena dopo, e loro gli avevano
chiesto se avesse visto una donna camminare lungo il canale.
L'uomo aveva risposto, come Oldfield e Musson ricordavano, con un deciso "No!" e aveva fatto per andarsene in tutta
fretta. Ma i due uomini (o forse tre), in preda a evidente agitazione, avevano continuato a rivolgergli la stessa domanda.
È chiaro che la testimonianza di quest'uomo avrebbe potuto essere decisiva per la convalida delle dichiarazioni dei
barcaioli. Ma l'uomo non fu mai trovato, malgrado le ricerche svolte su vasta scala in tutta la zona. Un individuo, che
rispondeva vagamente alla sua descrizione, un certo Donald
Favant, aveva firmato il registro al Nag's Head a Oxford il 20
o il 21 giugno… non lo si sapeva con certezza… ma non si
presentò mai. Rimane perciò il fondato dubbio, che fu sollevato anche allora, che l'intera storia fosse un'abile invenzione
di quegli uomini disperati.
Jonas Bamsey, guardiano dell'Oxford Hayfield Wharf
alle dipendenze della Oxford Canal Authority, dichiarò in
tribunale che la Barbara Bray aveva regolarmente effettuato
il suo parziale scarico, ma che Oldfield non aveva denuncia-
to la scomparsa di alcun passeggero: questo adempimento faceva certamente parte dei doveri del capo dell'equipaggio,
secondo le disposizioni della suddetta Authority. In base alle
vaghe e scarse testimonianze su questo punto, sembra invece
che i barcaioli si fossero confidati con alcuni loro conoscenti
in Upper Fisher Row: la loro passeggera, avrebbero sostenuto, era improvvisamente impazzita, voleva suicidarsi e, almeno in un'occasione, nel viaggio verso sud da Preston Brook,
erano dovuti intervenire per impedirle di buttarsi in acqua.
Più tardi, durante quella giornata terribile, quando l'equipaggio della Barbara Bray fece la manovra per superare
la chiusa e immettersi nel Tamigi a Iffley, circa tre chilometri a valle del Folly Bridge, Oldfield parlò con il custode, Albert Lee, e riferì a lui e a sua moglie (che per caso si chiamava anche lei Joanna) che una passeggera sulla sua barca era
annegata, ma che era una squilibrata e aveva dato filo da torcere a lui e ai suoi compagni di equipaggio sin da quando si
era imbarcata a Preston Brook. Oldfield, ovviamente, era ancora ubriaco fradicio. Sollecitato a chiarire meglio quello che
stava cercando di dire, dichiarò soltanto che "quella era stata
una gran brutta faccenda". La passeggera era "impazzita" ed
era stata vista l'ultima volta a Gibraltar Lock. Oldfield si rifiutò decisamente di prestar ascolto a Lee, che gli consigliava di tornare a Oxford per far luce su tutta la tragedia. E questo insospettì Lee ancora di più. Perciò, dopo la partenza della Barbara Bray, lui stesso si mise immediatamente in cammino per Oxford dove prese contatto con il Pickford Office,
che a sua volta si rivolse alla Polizia della Oxford Canal Authority.
Quando la scellerata imbarcazione arrivò finalmente a
Reading (per qualche ragione, con più di due ore di ritardo),
l'agente di polizia Harrison era lì pronto con i rinforzi necessari per prendere in custodia l'intero equipaggio: tutti gli uomini, compreso il ragazzo, erano completamente ubriachi e
piuttosto aggressivi, quando li aveva ammanettati e scortati
temporaneamente in una cella della prigione di Reading.
Uno di loro, come Harrison distintamente ricordava, era stato
tanto spudorato da inveire contro la povera Joanna Franks:
"Maledetta quella strega!".
Hannah McNeill, l'inserviente alla Plough Inn di Wolvercote, dichiarò che, quando il corpo inzuppato d'acqua era
stato portato dal canale, avevano dato a lei l'incarico di togliere i vestiti a Joanna. La manica sinistra era strappata via
alla cucitura e il polsino della stessa manica era anch'esso lacerato. Tomes e Ward, per quanto li riguardava, furono categorici nel sostenere che non avevano provocato nessuno
strappo ai vestiti di Joanna quando, con la massima cautela,
l'avevano tirata fuori dalle acque del Duke's Cut.
Katharine Maddison dichiarò di aver aiutato Hannah
McNeill a togliere gli indumenti bagnati dal corpo di Joanna.
In particolare, aveva notato lo stato delle mutande di cotone
della morta, che erano strappate sul davanti. Questo indumento fu mostrato in tribunale e molti, in seguito, ritennero
che l'esibizione di un indumento così intimo fosse servita
soltanto a esasperare il senso di generale avversione nei confronti degli uomini spietati, che ora erano chiamati a rispondere del suo assassinio.
Il signor Samuel, il chirurgo di Oxford che aveva esaminato il corpo all'apertura dell'inchiesta, rilevò tracce di escoriazioni al gomito sinistro e di ecchimosi sotto tutti e due gli
zigomi. Lo stesso chirurgo descrisse il volto della donna
morta come "scolorato e sfigurato". A suo parere, era possibile che le ecchimosi facciali fossero state provocate da incidenti non meglio specificati, avvenuti nell'acqua o mentre la
trascinavano a riva. Tuttavia, una tale possibilità sembrava
ora, sia al Giudice che alla Giuria, sempre più remota.
Il giovane Wootton diede poi la sua versione dei tragici
eventi e su un punto fu categorico: Towns era "mezzo ubriaco" la notte precedente al ritrovamento del corpo di Joanna e
dormiva profondamente nel momento in cui l'assassinio doveva essere stato commesso, perché lui (Wootton) lo aveva
sentito "russare rumorosamente". Non saremo mai in grado
di stabilire se Towns avesse costretto Wootton a fornire questa testimonianza in tribunale con minacce e cose analoghe.
Dagli sviluppi successivi, tuttavia, sembra possibile dare abbastanza credito alla testimonianza di Wootton.
Joseph Jarnell, il prigioniero per sentire il quale il processo era stato rinviato, riferì alla corte le compromettenti
confidenze che Oldfield gli aveva fatto, quando i due condividevano la stessa cella. In sostanza, tali "confidenze" si risolvevano in un tentativo piuttosto rozzo da parte di Oldfield
di addossare la maggior parte della colpa di tutto quello che
era successo a Musson e a Towns. Ma, malgrado la serietà
dell'uomo e la coerenza del suo resoconto, l'esposizione di
Jarnell produsse poca o nessuna impressione. Tuttavia, la sua
testimonianza, se non proprio convinzione, risvegliò un certo
interesse. Tra le tante fandonie, che Oldfield aveva cercato di
diffondere, c'era quella secondo cui Joanna Franks aveva più
di cinquanta sterline d'oro in uno dei suoi due bauli, che Towns lo aveva scoperto e che Joanna lo aveva sorpreso nell'atto di frugare nei suoi bagagli. Lei aveva minacciato (a sentire
Oldfield) di denunciarlo al più vicino Pickford Office, se non
si fosse ravveduto e scusato e se non avesse restituito subito
il maltolto. (Una tale sciocchezza non fu presa in nessuna
considerazione allora ed è completamente da scartare ora).
Il coltello che Joanna era stata sorpresa ad affilare fu in
seguito ritrovato insieme ad altri oggetti in uno dei due bauletti; la corda che lo teneva chiuso era stata tagliata e il baule
era aperto. Si pensò che a un certo punto gli uomini avessero
scassinato i bagagli di Joanna, dopo averla assassinata, e che
avessero riposto il coltello in uno dei bauli. È molto probabile che gli uomini intendessero rubare qualcosa dai bagagli di
Joanna in quanto, come abbiamo visto, nell'atto di incriminazione contro gli uomini dell'equipaggio della Barbara Bray
al primo processo, nell'agosto del 1859, veniva dato particolare rilievo all'accusa di furto. Il Pubblico Ministero al secondo processo era così fiducioso nell'esito della sua azione, che
rinunciò all'imputazione di furto per puntare su quella d'as-
sassinio. Ed è questa la ragione per cui l'accusa per il reato
minore (comunque difficile da provare) fu in seguito esclusa.
Lo stesso era accaduto nel primo processo, come abbiamo
visto, per l'accusa di violenza carnale. Può avere un qualche
strano macabro interesse notare che, al primo processo, le
accuse di violenza carnale e di furto (come quella di assassinio) erano state sollevate contro ognuno dei membri dell'equipaggio, incluso il giovane Wootton.
Tra tutte le testimonianze rese in quel memorabile secondo processo, celebrato a Oxford nell'aprile del 1860, fu
certamente quella di Charles Franks a suscitare la maggiore
commozione e solidarietà. Il poveretto piangeva disperatamente quando salì sul banco dei testimoni, e sembrava non
avesse nemmeno la forza fisica di alzare gli occhi per guardare in faccia i prigionieri. Era stato profondamente innamorato di Joanna e, voltando le spalle a quegli uomini abietti
chiamati in giudizio davanti alla corte, spiegò come, a seguito di un'informazione che aveva avuto per caso, si fosse precipitato nell'Oxfordshire e avesse visto il cadavere della moglie al momento dell'inchiesta. Sebbene il corpo fosse spaventosamente sfigurato (e qui il poveretto non riuscì a contenere la sua disperazione), aveva riconosciuto la moglie da un
piccolo segno dietro l'orecchio, un segno di cui soltanto i genitori o un marito innamorato potevano essere a conoscenza.
Una convalida dell'identificazione (ammesso che ci fosse bisogno di una convalida) fu fornita dalle scarpe, trovate
più tardi nella cabina di prua della Barbara Bray, che corri-
spondevano esattamente, anche nei minimi dettagli, alla forma dei piedi della donna morta.
Alla conclusione dell'udienza e dopo una lunga ricapitolazione delle risultanze processuali da parte del Giudice, signor Augustus Benham, la Giuria, per bocca del suo portavoce regolarmente eletto, chiese al Giudice l'autorizzazione a
ritirarsi per decidere sul verdetto.
16
In un hotel in riva al mare a Brighton, consumò
un'eccellente colazione a base di pancetta e uova, di toast e
marmellata. Poi fece un giro per la città prima di tornare alla
stazione e di salire su un treno per Worthing.
Dal verbale di una testimonianza resa al processo contro
Neville George Cleverly Heath, la mattina dopo l'assassinio
di Margery Gardner
Forse era effetto del sogno.
Comunque, Morse capì che qualcosa lo aveva sollecitato a valutare più attentamente il racconto del colonnello. Poiché cominciava ora a prendere coscienza di due o tre fatti essenziali che erano stati lì davanti ai suoi occhi per tutto il
tempo.
Il primo era il carattere stesso di Joanna Franks. Come
mai, quali che fossero le circostanze, involontarie o deliberate, in cui Joanna aveva trovato la morte, gli uomini della
Barbara Bray avevano sostenuto con tanta insistenza che la
sciagurata donna aveva dato a tutti filo da torcere, sin dal
momento in cui era salita a bordo a Preston Brook? Come
mai continuavano a imprecare contro di lei e a maledirla in
eterno, anche dopo averla buttata nel canale e tenuta con la
testa sott'acqua finché non era stata più in grado di battersi,
di lottare contro le loro mani assassine? C'era stata una spiegazione soddisfacente di tali fatti? C'era ancora la Parte quarta della storia, è vero, ma per il momento la risposta era no.
C'era comunque (come ora veniva in mente a Morse)
una possibile chiave di lettura a cui il buon colonnello non
aveva mai neppure accennato, per eccesso di decenza o per
mancanza di immaginazione, e cioè che Joanna Franks fosse
una seducente adescatrice. Una donna che durante le interminabili ore di quel lungo viaggio aveva continuato a stuzzicare gli uomini dell'equipaggio, a spingerli con le sue provocatorie avances a vari gradi di esasperazione, ad alimentare le
inevitabili gelosie tra di loro.
Smettila, Morse!
Sì, doveva smetterla. Non c'era nessuna prova che suffragasse una supposizione del genere. Nessuna! Tuttavia
quel pensiero continuava a tormentarlo. Una donna molto attraente… noia… alcol… un tunnel… ancora noia… altro alcol… ancora un tunnel… buio… desiderio… opportunità…
ancora altro alcol… e ancora insane voglie… Sì, tutto questo, forse, anche il colonnello poteva averlo capito. E se lei
stessa, Joanna, fosse stata l'elemento catalizzatore di tutta la
situazione? Se fosse stata lei a desiderare gli uomini proprio
come loro avevano desiderato /et? E se (dillo esplicitamente,
Morse!) se lei avesse avuto tanta voglia di sesso, quanta ne
avevano loro?
"Domande da uomini!" si disse. "Proprio il genere di
pensieri che vengono a un vecchio maschilista come te!"
C'era un secondo fatto essenziale che, dal punto di vista
della giustizia criminale, sembrò a Morse molto più convincente e molto meno controverso. In tribunale, l'orientamento
generale era decisamente contro gli uomini della Barbara
Bray… la "presunzione di colpevolezza" prevaleva ampiamente sulla "presunzione di innocenza". Persino l'onesto colonnello si era lasciato condizionare dai suoi pregiudizi: in
cuor suo, aveva già deciso che le preoccupazioni dei barcaioli per la passeggera che non tornavano più (la credevano annegata?) erano soltanto ostentate "con grande prontezza di
spirito", al fine di crearsi un alibi in qualche modo credibile.
Era arrivato alla conclusione che quegli stessi barcaioli, "ancora ubriachi fradici" (e che presumibilmente continuavano a
bere senza misura), avevano spinto la loro "scellerata imbarcazione" lungo il Tamigi fino a Reading, senza avere nemmeno la decenza di parlare con qualcuno dell'assassinio che
avevano commesso durante il viaggio, come se si trattasse di
una bazzecola da niente. Tendevano i malviventi (si chiese
Morse) a ubriacarsi sempre di più… o a essere più sobri…
dopo aver commesso un crimine così efferato? Una riflessione interessante…
Sì, c'era poi un terzo punto… un punto che sembrava
piuttosto strano a Morse: le accuse di furto e di violenza carnale contro i barcaioli erano state lasciate cadere. Era avvenuto perché il Pubblico Ministero, convinto com'era della
loro colpevolezza, aveva deciso di procedere per l'accusa più
grave di assassinio, con la certezza (pienamente giustificata)
di avere prove sufficienti per condannare "Rory" Oldfield &
Co. per il reato maggiore? Oppure era avvenuto per scarsa fiducia nella propria capacità di arrivare a un verdetto di colpevolezza per i reati minori?
Come Morse vagamente ricordava dai lontani anni della
scuola, né la violenza carnale né il furto sarebbero stati considerati reati minori verso la metà del secolo scorso, ma… O
era forse successo che quelle accuse fossero cadute semplicemente perché non c'erano prove valide per sostenerle? E se
le cose stavano così, l'accusa di assassinio era stata mossa
per la semplice ragione che rappresentava l'unico modo di
assicurare quei miserabili alla giustizia? Per quanto riguardava la reiterata violenza carnale, le testimonianze dovevano
essere state decisamente elusive, come aveva sostenuto il
giudice al primo processo. Ma che dire del furto? Il presupposto del furto è che la persona da derubare abbia qualcosa
che valga la pena di rubare. Perciò, che cosa aveva su di sé la
povera Joanna o cosa teneva nei suoi bagagli che valesse la
pena di rubare? Era un fatto accertato che non aveva il becco
di un quattrino. L'importo del prezzo del viaggio in barca sul
canale glielo aveva mandato il marito da Londra e persino di
fronte al rischio di viaggiare insieme a una masnada di ubriaconi assatanati… un rischio reale, specialmente dopo aver
raggiunto Banbury… non aveva preso o non era stata in grado di prendere nessun mezzo di trasporto alternativo per rag-
giungere il marito, che l'aspettava a Londra in Edgeware
Road. Perciò, che cosa poteva avere con sé che valesse la
pena di rubare?
E poi c'erano quelle benedette scarpe! Joanna se le era
tolte deliberatamente? Le faceva piacere sentire sotto i piedi
la terra umida lungo l'alzaia, come un hippy che cammini all'alba a piedi nudi sull'erba bagnata intorno a Stonehenge?
Che strana situazione! Più ci pensava e più numerosi
erano gli interrogativi che si affollavano nella sua mente.
Aveva una buona esperienza di casi in cui le prove giudiziarie e patologiche erano state determinanti ai fini dell'esito del
processo. Ma non era molto convinto delle conclusioni a cui
(presumibilmente) si era pervenuti in base ai reperti, non
molto scientifici, del signor Samuels. Per Morse (privo, bisogna ammetterlo, di una qualsiasi competenza medica o scientifica) le condizioni del vestito e le escoriazioni riscontrate
sul corpo si sarebbero potute spiegare più facilmente, se
Joanna fosse stata tenuta stretta da dietro, con la mano sinistra dell'aggressore che le immobilizzava il polso sinistro e la
destra premuta forte contro la bocca, sulla quale il pollice e
l'indice avrebbero quasi immancabilmente prodotto il tipo di
escoriazioni menzionate negli atti processuali.
E che dire di quel Jarnell? Il Pubblico Ministero doveva
essere stato molto impressionato, alla prima udienza, dalle
considerazioni implicite nella sua testimonianza. Diversamente, perché si sarebbe rinviato di sei mesi il processo soltanto sulla base della parola di quell'avanzo di galera? Persi-
no il colonnello gli aveva dedicato particolare attenzione.
Come si spiegava, allora, che, quando si era regolarmente
presentato a dare la sua versione dei fatti al secondo processo, nessuno avesse voluto sentirlo? C'era stato qualche cosa,
un fatto nuovo, che aveva indotto la corte a minimizzare, o
quanto meno a screditare, le rivelazioni che il suo compagno
di cella, Oldfield, gli aveva presumibilmente fatto? Era un
fatto che tra tutte le accuse mosse contro Oldfied mancava
quella di incoerenza. In tre occasioni, dopo la morte di Joanna, aveva sostenuto che "lei era fuori di sé", "era impazzita",
"aveva perduto la testa"… E non c'era stata nessuna contraddizione tra le dichiarazioni degli uomini dell'equipaggio circa il fatto che almeno in un'occasione (si voleva intendere
due, forse?) erano accorsi a trattenere Joanna dal buttarsi in
acqua. Un particolare importante era stato rivelato da Jarnell:
Oldfield, non soltanto si era proclamato innocente dell'assassinio, ma aveva anche tentato di attribuirne la responsabilità
ai suoi uomini. Non era certo un comportamento lodevole!
Ma se lo stesso Oldfield era innocente, a chi altri avrebbe
potuto attribuirne la colpa? In ogni caso, nessuno allora aveva voluto ascoltare seriamente quello che Jarnell o Oldfield
avevano da dire. E se avessero avuto ragione? O se uno di
loro avesse avuto ragione?
A questo punto, uno strano pensiero passò nella mente
di Morse e andò ad annidarsi in un angolino del suo cervello,
per essere eventualmente utilizzato in futuro. E nello stesso
momento una riflessione più importante lo colpì: non doveva
dimenticare che quella era soltanto una partita che giocava
con se stesso, che stava cercando soltanto di occupare il tempo, in quei pochi giorni di ospedale, nella soluzione di un
problemino che lo divertisse, come un intricato e difficile
cruciverba. Anche se lo turbava un po' il modo in cui tutti
avevano continuato a truccare le carte contro gli ubriaconi,
che avevano assassinato Joanna Franks.
E quel piccolo dubbio rimaneva.
Se avessero…
17
Gli scrittori di romanzi polizieschi vanno alla ricerca di
situazioni complicate e ingegnose, e sono portati a scartare
l'ovvio e ad assolvere l'imputato se è appena possibile. E si
sentono a disagio finché non siano andati oltre le apparenze e
non abbiano trovato una nuova e soddisfacente spiegazione
del mistero.
Dorothy L. Sayers, The Murder of Julia Wallace
L'eventualità che i barcaioli potessero non essere responsabili dell'assassinio di Joanna Franks era uno di quei
pensieri avventati che evaporano al levarsi della ragione.
Poiché, se i barcaioli non erano colpevoli, chi altri mai poteva esserlo? Tuttavia, Morse ne era convinto, se il processo
fosse stato celebrato un secolo dopo, non si sarebbe mai arrivati a un verdetto di colpevolezza. Indubbiamente, a quel
tempo, la decisione della Giuria era sembrata rassicurante e
soddisfacente, specialmente ai corvi ostili e assetati di sangue che si assiepavano lungo le strade. Ma si doveva proprio
arrivare a una sentenza? È vero, le prove indiziarie erano tali
da condannare anche un santo, ma in realtà mancava qualunque prova certa. Nessun testimone dell'assassinio, nessun in-
dizio sul modo in cui l'assassinio era stato commesso, nessun
movente plausibile. Soltanto il tempo e il luogo, e Joanna
con la faccia in giù nelle acque del Duke's Cut.
A meno che, naturalmente, non fossero stati tralasciati
alcuni brani di dichiarazioni, sia nel primo che nel secondo
processo. Il colonnello era stato chiaramente interessato più
ai costumi discutibili dei barcaioli che a una qualsiasi convalida delle testimonianze rese e poteva avere semplicemente
omesso le dichiarazioni dei testimoni che avrebbero potuto
convalidarle. Sarebbe stato interessante forse, nella innocua
partita che Morse stava giocando, dare un'occhiata ai Court
Registers, se ancora esistevano, o dare una scorsa ai numeri
del Jackson's Oxford Journal, che parlavano del caso e che
certamente esistevano ancora, in microfilm, alla Oxford Central Library (e con ogni probabilità anche alla Bodleiana). In
ogni caso, non aveva ancora portato a termine la lettura del
libro del colonnello. Diamine, potevano esserci altre rivelazioni in quell'ultima eccitante Parte quarta!
Che ora si accingeva a leggere.
Quasi immediatamente avvertì la presenza di Fiona accanto al suo letto: la Bella Fiona dai seni prorompenti, che
mandava un vago profumo d'estate e un acuto odore di disinfettante. La ragazza si sedette sul letto e Morse sentì la pressione del suo corpo, mentre si protendeva a guardare oltre la
sua spalla.
— Interessante?
Morse annuì. — È il libro che quella vecchia signora è
venuta a portarmi… sa, la moglie del colonnello.
Fiona non si mosse e Morse si sorprese a leggere la stessa breve frase per la terza, la quarta, la quinta volta, senza
capirne nemmeno lontanamente il senso, mentre il morbido
corpo di Fiona premeva contro il suo. Si rendeva conto, la
ragazza, di creare un momento d'intimità indimenticabile,
anche se così lieve?
Poi Fiona rovinò tutto.
— È un bel po' di tempo che la lettura non mi attira.
L'ultimo libro che ho letto è stato Jane Eyre, quando mi sono
diplomata.
— Le è piaciuto? — (La povera, cara Charlotte aveva
occupato per lungo tempo un posto particolare nel cuore di
Morse.)
— Piuttosto noioso. Eravamo costrette a leggerlo, lei lo
sa, per gli esami.
Dio mio!
— Accavallando le gambe inguainate in un paio di calze
nere, Fiona si levò una scarpa dal tacco basso e ne scosse via
un'invisibile pietruzza.
— Quand'è che la gente si toglie le scarpe? — chiese
Morse. — Di solito, voglio dire.
— Che domanda ridicola!
— Quando c'è dentro una pietruzza, come lei adesso?
Fiona annuì. — E quando si va a letto.
— E poi?
— Be', quando si va a fare il bagno a Blackpool.
— Oppure?
— Quando si sta seduti, a guardare la televisione coi
piedi sul sofà, se non c'è in giro una mamma pignola come la
mia.
— E quando ancora?
— Ma perché vuol saperlo?
— Forse quando si ha un callo o qualcosa del genere —
insistette Morse. — E si va dal pedicure.
— Sì. Se si ha male ai piedi. Oppure se ci si deve togliere i collant per qualche ragione…
— Quale ragione, per esempio?
Morse colse un guizzo di piacere negli occhi della ragazza, mentre di colpo scattava in piedi, dava una ravviata
alle lenzuola e sprimacciava i cuscini. — Be', se ancora non
lo sa alla sua età…
Oh, Dio mio!
L'età.
Morse si sentiva giovane come sempre, ma tutto a un
tratto, e distintamente, fu in grado di vedersi come lo vedeva
quella ragazza.
Vecchio!
Per fortuna, di lì a poco, il suo umore sarebbe stato risollevato dall'apparizione del tutto inaspettata del sergente
Lewis, il quale spiegò che lo scopo di quella visita fuori orario (erano le due e un quarto del pomeriggio) era interrogare
una donna ricoverata al centro di rianimazione, a seguito di
un ennesimo, terribile scontro sull'autostrada A34.
— Andiamo bene oggi, ispettore?
— Mi sentirò molto meglio, quando mi sarò scusato per
essere stato così sgarbato con lei.
— Ah sì? Quando? Pensavo che lo fosse sempre con
me.
— Me ne dispiace tanto, glielo assicuro — replicò Morse calmo e tranquillo.
Lewis, che aveva continuato a covare il suo risentimento, era venuto in corsia con molta riluttanza. Ma quando, dieci minuti dopo, ne uscì, provò lo stesso piacere che provava
sempre, quando scopriva che Morse aveva bisogno di lui, anche se si trattava soltanto d'incaricarlo di svolgere una banale
ricerca (Morse gli aveva brevemente illustrato la situazione)
per accertare se esistevano ancora i Registri della Corte d'Assise di Oxford, relativi agli anni 1859-60 e, in caso affermativo, di vedere se c'erano ancora gli atti dei due processi.
Dopo che Lewis se ne fu andato, Morse si sentì molto
più in armonia con l'universo. Lewis gli aveva prontamente
concesso il suo perdono, provava un senso di soddisfazione
che, proprio come Lewis, faceva fatica a definire e solo in
parte capiva. E mentre Lewis era impegnato a indagare sui
Registri del Tribunale, c'era un'altra ricercatrice su cui Morse
poteva contare: una bibliotecaria qualificata che sarebbe riuscita a trovare senza particolari difficoltà i numeri del Jack-
son's Oxford Journal che tanto lo interessavano. Ma quella
sera, ahimè, non sarebbe venuta.
Pazienza, Morse!
Alle tre del pomeriggio, cominciò a leggere la quarta e
ultima puntata del libro del defunto colonnello Deniston.
18
PARTE QUARTA:
La Sentenza
Ricevute le istruzioni del caso, la Giuria si ritirò immediatamente nella Clerk of Indictments Room. Dopo un'assenza di tre quarti d'ora, i Giurati rientrarono in aula. Vennero
letti i nomi degli imputati e tutti parvero in ansiosa attesa del
verdetto che sarebbe stato di lì a poco pronunciato. In risposta alle rituali domande del Giudice, il signor Benham, il rappresentante della Giuria, rispose che i Giurati erano tutti
d'accordo nel ritenere ognuno dei tre prigionieri alla sbarra
colpevole dell'assassinio di Joanna Franks. Nessun segno palese di emozione, si disse, fu visibile sul volto degli uomini
della Barbara Bray alla lettura della sentenza: soltanto Oldfield impallidì per un istante.
Il copricapo nero, simbolo di morte, fu posato sulla testa
del Giudice che, dopo aver chiesto ai prigionieri se avessero
qualcosa da dire, lesse la sentenza nei termini solenni che seguono:
Jack Oldfield, Alfred Musson, Walter Towns, dopo un lungo e
accurato esame delle circostanze relative al presente caso, e dopo la
prescritta decisione da parte della Giuria, siete stati giudicati tutti col-
pevoli di uno dei più abietti crimini: l'assassinio di una donna indifesa
e innocua che era stata affidata alla vostra protezione. La donna, non
si ha motivo di dubitarne, è stata oggetto della vostra lussuria; successivamente, per evitare che il vostro crimine fosse scoperto, l'avete
brutalmente assassinata. Non sperate nel perdono di questo mondo!
Rivolgetevi alla misericordia di Dio, per ottenere quel perdono che
Lui solo può accordare ai peccatori che si pentono dei loro misfatti e,
intanto, preparatevi per la morte infamante che vi attende. Questo
caso è uno dei più penosi, dei più ripugnanti, dei più sconvolgenti che
sia mai venuto a mia conoscenza e non mi rimane che infliggervi la
terribile e giusta condanna prevista dalla Legge, e cioè che siate riportati nella prigione da dove venite e di lì sul luogo dell'esecuzione; che
ognuno di voi sia appeso per il collo finché non sopravvenga la morte: che in seguito i vostri corpi siano seppelliti nel recinto della prigione e che vi sia negato il privilegio del suolo consacrato. Possa Iddio avere pietà delle vostre anime!
Concluso il processo e pronunciata la sentenza, i tre
condannati continuarono a proclamarsi innocenti. La moglie
di Oldfield, infatti, che era andata a trovarlo in prigione, era
così agitata per le proteste d'innocenza del marito che "lei
stessa fu presa da un attacco di convulsioni".
Era parso abbastanza chiaro, da varie testimonianze,
comprese quelle di Oldfield e Musson, che Towns era in
qualche modo meno coinvolto degli altri due nei fatti delittuosi che avevano avuto luogo durante il viaggio sul canale.
Perciò, non suscitò alcuna sorpresa il fatto che qualcuno degli avvocati della difesa ravvivasse ora l'opportunità di una
revisione in extremis dalla sentenza a carico di Towns. Una
lettera che rifletteva la loro opinione fu portata a Londra da
uno dei difensori e si ottenne così uno speciale colloquio con
il Segretario di Stato. In seguito a questa azione, la condanna
a morte di Towns fu sospesa proprio all'ultimo istante. La
buona notizia gli fu annunciata nel momento in cui i tre condannati stavano ricevendo per l'ultima volta il Santo Sacramento per mano del Cappellano della Prigione. Towns scoppiò a piangere e, prendendo per mano ciascuno dei suoi compagni, li abbracciò affettuosamente, ripetendo "Dio ti benedica, amico mio!", "Dio ti benedica, amico mio!". In seguito,
fu deportato in Australia, perché vi scontasse la condanna all'ergastolo, e lì era ancora vivo nel 1884, quando fu intervistato da un certo Samuel Carter (un cittadino di Coventry,
come Oldfield e Towns) che era molto interessato alla storia
locale e che pubblicò le sue esperienze, al suo ritorno in Inghilterra l'anno seguente, in un libro intitolato Travels and
Talks in the Antipodes (Farthinghill Press, Nottingham,
1886).
Oldfield e Musson furono regolarmente giustiziati nella
pubblica piazza a Oxford. Secondo le cronache dei giornali
del tempo, almeno diecimila persone assistettero al macabro
spettacolo. Risulta che fin dalle prime ore del mattino la gente si era issata sui muri di cinta, arrampicata sugli alberi e appollaiata sui tetti delle case di fronte, per poter meglio vedere
quei terribili fatti. Per ordine del Governatore era stato appeso, sulla porta della prigione, un cartello con cui si annunciava che l'esecuzione non avrebbe avuto luogo prima delle un-
dici. Anche se questo annuncio provocò molta contrarietà,
gli spettatori continuarono a rimanere in attesa e, all'ora stabilita, quando l'esecuzione alla fine ebbe luogo, non si sarebbe potuto trovare nemmeno un centimetro quadrato di spazio
disponibile.
Il primo ad apparire fu il Cappellano della Prigione, che
leggeva solennemente il servizio funebre della Chiesa d'Inghilterra. Poi seguirono i due condannati e, alle loro spalle, il
Boia e il Governatore, insieme ad altri funzionari della prigione. Ai due condannati furono legate le braccia, poi entrambi si diressero con passo sicuro verso il patibolo e salirono i gradini che portavano alla botola senza bisogno di aiuto.
Quando le corde furono beh sistemate intorno al loro collo, il
Boia strinse a ognuno la mano e poi, mentre il 1 Cappellano
intonava il suo melanconico servizio, fu tirato il fatale chiavistello e, in meno di due minuti, dopo violente convulsioni,
i due sciagurati malfattori cessarono di vivere. La distorsione
delle vertebre cervicali e la rottura della vena giugulare avevano un effetto decisivo, se non proprio istantaneo. L'impiccagione aveva appagato ancora una volta il sadismo della
folla: non si ha notizia di disordini cittadini, quando il pubblico si disperse per rincasare in quella splendida giornata di
sole.
Si seppe più tardi, anche se la cosa non era stata al momento notata, che l'ultimo atto compiuto da Oldfield in vita
era stato quello di consegnare al Cappellano un biglietto da
recapitare alla sua giovane moglie: in esso, fino all'ultimo,
proclamava di non essersi macchiato de' crimine per cui ora
pagava con la vita.
Volantini stampati e diffusi solo in quella zona e che
fornivano particolari sensazionali sul processo e sull'avvenuta esecuzione furono immediatamente messi in vendita nelle
strade di Oxford, e andarono subito a ruba. Contenevano persino un completo resoconto, con precisi riferimenti biblici,
dell'ultimo sermone tenuto ai condannati alle sei di sera della
domenica precedente la loro esecuzione. Il versetto, chiaramente scelto con diabolica insensibilità, non avrebbe potuto
certamente arrecare ai condannati alcun conforto spirituale o
fisico: "Non mi hanno dato ascolto, né hanno teso l'orecchio,
ma si sono intestarditi, hanno fatto peggio dei loro padri"
(Geremia, cap. 7 vers. 26).
L'orrore della popolazione locale per l'assassinio di
Joanna Franks non si esaurì con la condanna dei colpevoli.
Molti, sia laici che ecclesiastici, pensavano che si dovesse
fare qualcosa di più per cercare di migliorare i costumi dei
barcaioli che circolavano sui corsi d'acqua. Ci si rendeva
conto, naturalmente, che i barcaioli venivano generalmente
chiamati a lavorare nel giorno del Signore e che perciò non
avevano nessuna possibilità o quasi di partecipare al Servizio
Festivo. Una lettera del Reverendo Robert Chantry, Vicario
della Parrocchia di Summerton, fu una fra le tante che furono
scritte per sollecitare un maggiore impegno, da parte dei proprietari di barche, perché dispensassero i barcaioli dal lavoro
nei giorni festivi, per permettere a quelli che lo desideravano
di assistere alla celebrazione del servizio religioso. Strano a
dirsi, questa partecipazione sarebbe stata più che possibile
per i barcaioli della Barbara Bray, se la barca avesse fatto
scalo a Oxford, dal momento che Henry Ward, un ricco mercante di carbone, nel 1838 aveva costruito una speciale
"Cappella dei Barcaioli", una cappella galleggiante, ormeggiata all'altezza dello Hythe Bridge, dove veniva tenuto un
servizio religioso ogni domenica pomeriggio e ogni mercoledì sera. Per Joanna Franks, così come per lo sconsolato marito e per i genitori, fu una vera tragedia che il sermone, tenuto
agli assassini la domenica prima della loro esecuzione, fosse
con ogni probabilità il primo e l'ultimo che avessero mai sentito.
Ma tutto questo è accaduto tanto tempo fa. La cappella
galleggiante ormai non c'è più. E nessuno oggi è in grado
d'indicare, sia pure approssimativamente, lo squallido terreno
nei pressi della Prigione di Oxford, dove famosi criminali e
assassini e altri eventuali dannati furono un tempo sepolti.
19
Noi leggiamo cose bellissime, ma non ne afferreremo
mai completamente il senso finché non avremo fatto le stesse
esperienze dell'autore.
John Keats, Lettera a John Reynolds
Morse fu contento che il colonnello non avesse seguito
il famoso consiglio che il dottor Johnson rivolgeva agli scrittori: "Una volta scritta una bella frase, bisognerebbe subito
cancellarla". Poiché la Parte quarta era certamente la parte
meglio scritta di quel libro, che si stava rivelando come il
miglior contributo alla sua soddisfacente (almeno fino a quel
momento) convalescenza. Tornò indietro di qualche pagina
per gustare ancora alcune di quelle belle frasi. Sicuramente
splendida era l'espressione "appagato ancora una volta il sadismo della folla" e anche "diabolica insensibilità". Ma non
erano soltanto raffinatezze stilistiche. Sembravano suggerire
che le simpatie del colonnello si fossero a poco a poco orientate in altre direzioni. Mentre prima i suoi pregiudizi a proposito dei barcaioli erano apparsi così evidenti, ora, man
mano che la narrazione proseguiva, si faceva sempre più evi-
dente la sua compassione per gli sventurati uomini dell'equipaggio.
Del resto, lo stesso valeva per Morse.
Era una storia così bella! Non c'era da sorprendersi, perciò, che il colonnello, rovistando tra i tanti cimiteri del diciannovesimo secolo, avesse dissepolto proprio quella. C'erano tutti gli ingredienti per attirare un largo pubblico di lettori, se solo fosse riuscito ad aprire uno spiraglio nella porta
della pubblicità. La Bella e la Bestia: ecco di cosa si trattava,
fondamentalmente.
Almeno così aveva visto la storia il colonnello.
Per Morse, che già da molto tempo aveva rinunciato alle
tiepide consolazioni della religione convenzionale, la possibilità offerta alle anime peccatrici di accostarsi al Santo Sacramento, prima che una corda strangolasse barbaramente il
loro corpo mortale, sembrava stranamente in contrasto con il
divieto di sepoltura in quello che veniva definito un "suolo
consacrato". E Morse si ricordò di un brano, che un tempo
aveva fatto parte del suo bagaglio mentale, le cui parole ora
gli tornavano lentamente in mente. Un brano tratto da Tess
of the D'Ubervilles in cui Tess stessa cerca di seppellire il figlio illegittimo dove "crescono le ortiche e dove tutti i bambini non battezzati, gli ubriaconi, i suicidi e l'altra gente di
quel tipo…" Come finiva? Non era… ah, sì!… "altri presunti
dannati vengono deposti?". Bene, bene! Un piccolo plagio
del colonnello. Avrebbe dovuto metterla tra virgolette quella
memorabile frase. In effetti, aveva un po' barato. C'erano al-
tri punti in cui aveva barato? Involontariamente, forse? Soltanto un po'?
Era il caso di controllare?
Anche quella cappella galleggiante incuriosiva Morse,
soprattutto da quando aveva letto una certa notizia in un numero recente dell'"Oxford Times". Ricordava vagamente
che, sebbene la Oxford Canal Company versasse regolarmente i fondi per la sua manutenzione, la barca su cui la cappella era stata sistemata era andata a fondo (come le speranze
dei barcaioli) e la cappella era stata trapiantata, per così dire,
a terra, verso la fine del secolo, in Hythe Bridge Street. Ora,
nella sua ultima ristrutturazione, era divenuta un moderno
edificio a doppi vetri.
Per il momento, Morse non riusciva a ricordare chi degli
altri membri dell'equipaggio fosse sposato. Ma faceva piacere sentire che la moglie di Oldfield gli era rimasta a fianco
nella buona e nella cattiva sorte. E la sorte si era rivelata maledettamente "cattiva". Come sarebbe stato interessante saperne di più, anche della sua storia! Con quanto piacere
Morse avrebbe subito interrogato quella donna! La destinataria (e presumibilmente non poteva essere che lei) di quel terribile biglietto che era stato consegnato al Cappellano, proprio ai piedi della forca, doveva aver fatto molta fatica a credere che suo marito potesse aver commesso un crimine così
orribile. Ma lei aveva conosciuto soltanto una piccola parte
del dramma, soltanto un paio di apparizioni: la prima, culminata in uno svenimento e, la seconda, in un piccolo doloroso
messaggio dalla tomba. Morse scosse il capo tristemente. "Ai
nostri giorni, legioni di reporter del "News of the World", del
"Sunday Mirror" e di tutti gli altri giornali andrebbero alla
caccia di particolari sulla vita di quella povera donna" pensò.
"Tenterebbero di carpirle informazioni sensazionali sul condannato: di sapere se russava, se aveva dei tatuaggi sugli arti
superiori e inferiori, oppure con quale frequenza lui e sua
moglie avevano rapporti sessuali o come il caro marito la salutava, rientrando dalle sue spedizioni criminali."
"Viviamo in tempi degeneri" concluse Morse. Eppure,
nel suo intimo sapeva che un tale modo di pensare era assurdo. In realtà, lui non era certamente migliore di quei cronisti
costantemente in cerca di notizie scandalose. Non aveva appena confessato a se stesso quanto piacere gli avrebbe fatto
poter interrogare la signora Oldfield e parlare di tutte le cose
di cui senz'altro lei era a conoscenza? E se lei (che pensiero
consolante!), se lei avesse fatto entrare i cronisti uno dopo
l'altro, separatamente… e avesse preteso ventimila sterline
per ogni intervista?
Ma ora non c'era nessuna possibilità d'intervistarla o di
parlare con lei… con nessuno di loro… Poi, improvvisamente, a Morse venne in mente che una possibilità c'era: Travels
and Talks in the Antipodes di Samuel Carter. Quello poteva
rivelarsi un testo di estremo interesse! E quel libro (il pensiero procurò a Morse un particolare piacere) si sarebbe trovato
certamente su uno scaffale di tre o quattro grandi biblioteche
nazionali, la più importante delle quali doveva essere in ogni
caso la Bodleiana.
A Lewis era stato già assegnato un piano di ricerche. E
desso cominciava ad accumularsi dell'altro lavoro per la seconda ricercatrice: poteva cercare sia il "Jackson's Oxford
Journal" sia, ora, il libro di Carter… Lo aveva consultato il
colonnello? Secondo le supposizioni di Morse, doveva averlo fatto, e questo lo deludeva un po'.
Il venerdì Morse ricevette la visita del sergente Lewis e
anche di Christine Greenaway, che aveva improvvisamente
cambiato idea e rinunciato a un ricevimento in Wellington
Square. Nessun disturbo. Anzi, il contrario! Morse ne fu
enormemente felice.
20
Che personaggi odiosi sono coloro che si definiscono
Ricercatori Originali!
J.M. Barrie, My Lady Nicotine
Come tutte le volte che andava a Oxford di sabato, Christine Greenaway raggiunse in macchina Pear Tree e salì sull'autobus Parkand-Ride. Scese a Cornmarket e proseguì a
piedi fino a Carfax, svoltò a destra in Queen's Street e attraversò l'affollatissimo passaggio pedonale dirigendosi verso
Bonn Square. Subito dopo Selfridges, spinse le porte della
Westgate Central Library. Tra le convinzioni errate espresse
dall'ispettore capo Morse, la sera precedente, c'era l'affermazione che per lei sarebbe stato un gioco da bambini pescare
la scheda di un qualsiasi giornale: doveva aver già effettuato
in passato altre ricerche così semplici e quindi non le sarebbe
mancata la capacità professionale e la preparazione necessaria per portare a termine una rapida ricerca. Christine non gli
aveva detto che la Bodleiana non aveva mai, a quanto le risultava, microfilmato l'intera stampa nazionale a partire dal
diciannovesimo secolo, né che lei apparteneva a quella
schiera di persone costantemente in guerra con tutti i possibi-
li aggeggi elettrici ed elettronici. Si era limitata ad annuire:
sarebbe stato certamente un lavoro facile e lei sarebbe stata
felice di rendersi utile, ancora una volta. Ma, a essere sinceri,
la cosa non le dispiaceva affatto. La mattina presto aveva telefonato a una sua conoscente, impiegata al Reparto Consultazione della Westgate Central: quest'ultima le aveva assicurato che non ci sarebbero state difficoltà per consultare le annate 1859 e 1860 del "Jackson's Oxford Journal". Per quanto
tempo avrebbe dovuto prenotare il materiale? Un'ora? Due?
Christine pensava che un'ora sarebbe stata sufficiente. Dalle
dieci e trenta alle undici e trenta, allora?
Forse Morse, tutto sommato, aveva visto giusto. Sarebbe stato molto facile.
Al secondo piano della Central Library, nella sala della
Storia Locale, Christine si trovò presto seduta su una sedia in
vinilpelle verde oliva di fronte a un microlettore, un apparecchio che in qualche modo faceva pensare alla metà superiore
di una cabina telefonica, con uno schermo quadrato verticale
di una sessantina di centimetri di lato, sul quale le pagine del
giornale apparivano fotografate in colonne larghe sei o sette
centimetri. Nessun pesante librone da portare in giro o da
sfogliare. "Un gioco da bambini." I comandi, contrassegnati
con Messa a fuoco dell'immagine, Ingrandimento, Controllo
luce, erano stati già regolati per lei da un giovane bibliotecario e Christine doveva semplicemente girare con la mano destra una manovella per far scorrere, alla velocità desiderata,
le pagine del "Jackson's Oxford Journal".
Fu lieta, tuttavia, di scoprire che il Journal era un settimanale, e non un quotidiano, e ben presto trovò le cronache
relative al primo processo dell'agosto 1859. Mentre prendeva
tutta una serie di appunti su quello che aveva trovato, cominciò a provare, anche lei come Morse, un interesse sempre
crescente per quella remota storia. E quando arrivò alla fine
della sua ricerca sul secondo processo, nell'aprile 1860, la vicenda l'aveva ormai completamente affascinata.
Avrebbe voluto ritornare indietro per chiarire meglio alcuni dettagli, ma cominciava a sentirsi gli occhi un po' affaticati. E non appena i caratteri presero a ballarle davanti come
una fila di soldati pronti a incolonnarsi a destra, capì che era
il caso di dare un po' di riposo a quella meravigliosa macchina.
Aveva trovato un paio d'informazioni che Morse avrebbe certamente molto gradito. Almeno così si augurava.
Stava rivedendo rapidamente gli appunti che aveva scribacchiato, per accertarsi di poterli trascrivere più tardi in un
testo più leggibile, quando si rese conto di una conversazione
che si stava svolgendo alle sue spalle, a tre o quattro metri di
distanza, al tavolo delle informazioni.
— Sì, ho tentato alla County Hall… niente da fare,
temo.
— La cosa migliore, allora, secondo me, sarebbe di rivolgersi all'Archivio Comunale. Hanno un ufficio…
— Sono stati loro a mandarmi qui!
— Oh! — Il telefono squillò e l'impiegato si scusò per
rispondere.
Christine raccolse i sui appunti, chiuse il microlettore e
si avvicinò alla scrivania.
— Noi ci siamo già visti ieri sera — cominciò Christine.
Il sergente Lewis la salutò sorridendo.
— A quanto pare, sono stata più fortunata di lei, sergente.
— Già, a me dà sempre i compiti più rognosi… non so
perché me la prendo tanto… ed è anche il mio giorno libero.
— Pure il mio.
— Ci dispiace di non poterle essere utile, signore —
disse l'impiegato (un'altra richiesta liquidata!). — Ma se non
sanno niente all'Archivio Comunale…
Lewis annuì. — Be', grazie comunque. Il sergente stava
scortando Christine verso le porte girevoli, quando l'impiegato lo richiamò: — Potrebbe provare alla Stazione di polizia
di St. Aldates. Ho sentito che durante la guerra molti documenti e altro materiale sono stati ammucchiati lì dalla polizia
— "Quale guerra?" brontolò, senza farsi sentire, Lewis —
forse…
— Molte grazie!
— Non saranno molto disponibili col pubblico, certo lei
lo sa…
— Oh, sì.
Ma il telefono squillò di nuovo e l'impiegato si accinse a
rispondere, convinto di essersi sbarazzato dell'ultimo cliente,
spedendolo in un posto dove non avrebbe cavato un ragno
dal buco.
Quando camminava sola nelle strade affollate, Christine
a volte si sentiva un po' spaurita, ma quel giorno, mentre tornava a piedi verso Carfax in compagnia del sergente Lewis,
che la sovrastava con la sua robusta figura, provava una sensazione di sicurezza.
L'orologio della Tom Tower suonava mezzogiorno.
— Vogliamo bere qualcosa? — propose.
— No, grazie. Non reggo gli alcolici e poi è un po' presto, non le pare?
Lewis sorrise. — Questa è una dichiarazione che il mio
capo non farebbe mai! — disse, ma provò quasi una sensazione di sollievo. La conversazione in punta di forchetta non
era fatta per lui e, sebbene Christine gli sembrasse una persona simpatica, preferiva tornare subito a dedicarsi alla sua
missione.
— Gli è affezionato? Al suo capo, voglio dire.
— Certo, è il migliore nel suo campo.
— Davvero? — chiese Christine tranquillamente.
— Andrà a trovarlo stasera?
— Penso di sì. E lei?
— Se trovo qualcosa… il che al momento mi sembra
piuttosto improbabile.
— Non si sa mai.
21
Dalla culla alla tomba la biancheria intima è la prima
cosa.
Bertolt Brecht, L'opera da tre soldi
Verso la fine degli anni Ottanta si stava procedendo alla
ristrutturazione generale e all'ampliamento dei locali del
Quartiere generale della polizia di St. Aldates… e i lavori
erano ancora in corso, quando il sergente Lewis entrò dall'ingresso principale, quel sabato mattina. La Polizia aveva sempre conservato ostinatamente la sua struttura gerarchica e di
conseguenza i rapporti tra i livelli più alti e quelli più bassi
non erano particolarmente confidenziali. Ma Lewis conosceva abbastanza bene il sovrintendente capo dai tempi di Kidlington e fu felice di trovarlo lì.
Di sicuro, il sovrintendente Bell lo avrebbe aiutato, se
avesse potuto; in effetti, la visita di Lewis non poteva avvenire in un momento migliore: angoli e ripostigli erano stati
sgomberati e il contenuto di decine di polverosi armadi e di
casse e cassette vedeva per la prima volta, da tempi immemorabili, la luce del giorno. Gli ordini di Bell erano stati
chiari: conservare qualsiasi documento che meritasse di esse-
re conservato e, in caso contrario, distruggere. Ma, stranamente, fino a quel momento quasi tutto quello che avevano
riscoperto era apparso a qualcuno meritevole di essere conservato, col risultato che le reliquie e i ricordi di quei tempi
remotissimi, senz'altro dal 1850 in avanti, erano stati ammucchiati alla rinfusa in una stanza, in attesa che storici, cattedratici, sociologi, criminologi, cultori di storia locale e
scrittori li valutassero adeguatamente. Secondo Bell, in quel
momento nella stanza doveva esserci una donna poliziotto,
con l'incarico di catalogare in qualche modo il materiale e, se
Lewis avesse voluto dare un'occhiata in giro…
Spiegando che quella era la sua pausa per il pranzo, l'agente di polizia Wright, una simpatica brunetta sui venticinque anni, continuò a mangiare i suoi sandwich e a scrivere
biglietti di auguri natalizi. Con una mano, gli fece cenno che
poteva guardare dove voleva nella stanza; Lewis le aveva già
spiegato in breve qual era l'oggetto della sua ricerca.
— È tutto a sua disposizione, sergente. O, almeno, vorrei che lo fosse!
Lewis capì subito che cosa voleva dire la ragazza. Morse gli aveva dato una copia del libro del colonnello (ne erano
tate lasciate parecchie nella corsia), ma per il momento non
vedeva nessuna possibilità di collegare quello che era accaduto nel 1859 e nel 1860 con il caotico mucchio di scatole,
incartamenti, sacchi, casse e pile di documenti sbiaditi e
spiegazzati che giacevano lì in giro. A dire il vero, era chiaro
che era stato fatto un tentativo di selezionare il materiale:
una cinquantina di etichette di color giallo, su cui erano scritte le date, erano state applicate a una parte del materiale, che
era stato separato dal resto, apparentemente in ordine cronologico.
Ma Lewis cercò invano tra quelle etichette gli anni 1859
1860. Valeva la pena di dare una rapida occhiata al resto?
Era luna e quarantacinque, dopo quella che si era rivelata un'occhiata tutt'altro che rapida, quando Lewis emise un
sottile fischio.
— Ha trovato qualcosa?
— Le dice niente questo? — chiese Lewis. Aveva tirato
fuori un piccolo baule tutto scheggiato, lungo circa sessanta
centimetri, largo trenta e alto venti: una cassetta piccola che
poteva essere trasportata da una persona con poca fatica, poiché a una targhetta di ottone di una decina di centimetri per
uno e mezzo, inchiodata sul coperchio, era fissata una maniglia semicircolare molto ben modellata, anch'essa di ottone.
Ma quello che aveva colpito subito Lewis, suscitando in
lui una grande eccitazione, erano le iniziali incise sulla targhetta: "J. D.". Lewis non aveva letto il volumetto del colonnello con molta attenzione (e nemmeno con particolare interesse) ma si ricordava distintamente dei due piccoli "bauli"
che Joanna aveva caricato sulla barca e che presumibilmente
erano stati trovati nella cabina della Barbara Bray, dopo l'arresto degli uomini dell'equipaggio. Fino a quel momento,
Lewis aveva avuto solo una vaga idea del tipo di baule di cui
poteva trattarsi: li aveva notati all'esterno dei college di Ox-
ford, quando gli allievi arrivavano. Comunque, nel libro si
affermava effettivamente che Joanna portava con sé due bauli. E a giudicare dall'aspetto consunto della maniglia, si capiva che quel bauletto era stato usato spesso. E il cognome del
primo marito di Joanna cominciava con la lettera "d"!
La donna poliziotto si avvicinò e s'inginocchiò accanto
al baule. I due piccoli ganci ai lati del coperchio si muovevano facilmente. La serratura era aperta e il coperchio si sollevò senza difficoltà: all'interno, il baule era foderato di una
stoffa verde intenso e c'era una piccola borsa di tela sulla
quale, ricamate in lana gialla sbiadita, erano visibili le stesse
iniziali del baule.
Lewis emise un altro fischio. Più forte, questa volta.
— Lei può… possiamo? — Faceva assai fatica a dare
alla voce un tono normale, tanta era la sua eccitazione. La ragazza lo fissò incuriosita per qualche istante prima di rovesciare con molta cautela sul pavimento il contenuto del sacchetto: una piccola chiave arrugginita, un pettine tascabile,
un cucchiaio di metallo, cinque bottoni, un uncinetto, un pacchetto di aghi, un paio di scarpe dai tacchi bassi e un po' malandate, e un paio di mutande di cotone.
Lewis scosse la testa stupito e incredulo. Raccolse le
scarpe con una certa circospezione, come se stessero per disintegrarsi. Poi, con l'indice e il pollice, prese le mutande di
cotone.
— Pensa che potrei portare via queste scarpe e le…
ehm…? — chiese.
L'agente di polizia Wright lo fissò di nuovo con espressione divertita.
— Non si preoccupi — precisò Lewis. — Non sono per
me.
— Ah, no?
— Sono per Morse… lavoro per lui.
— Non vorrà dirmi che alla sua età gli è venuta la mania
delle mutande da donna?
— Lo conosce?
— No, ma mi piacerebbe conoscerlo.
— È in ospedale, purtroppo.
— Tutti dicono che beve molto.
— Un po', forse.
— Lei lo conosce bene?
— Nessuno lo conosce proprio bene!
— Bisognerà che lei firmi, se vuole portarle via…
— Mi dia il registro.
—… e si ricordi di riportarle.
Lewis sorrise. — In ogni caso, sarebbero un po' piccole
per me. Le scarpe, voglio dire.
— Per non parlare poi dell'altro… ehm… dell'altro indumento — aggiunse l'agente Wright.
22
Non prendertela per un nome! Il nome è una cosa
incerta, non puoi contarci!
Bertolt Brecht, Un uomo è un uomo
Lo stesso sabato in cui il sergente Lewis e Christine
Greenaway rinunciarono al loro tempo libero per causa sua,
Morse cominciò a sentirsi di nuovo bene. Ed era anche impegnato a esplorare nuovi territori, dal momento che dopo il
pranzo gli avevano annunciato che era libero di girare a suo
piacimento nell'ospedale. Accadde così che verso le due e
mezzo scoprisse la strada per la sala comune, un locale arredato con poltrone, un televisore a colori, un tavolo da gioco,
uno scaffale pieno di libri e un'enorme pila di riviste, la prima delle quali, Morse notò, era una copia della "Country
Life" dell'agosto di nove anni prima. La stanza era deserta e,
dopo essersi bene assicurato che la via era libera, Morse buttò uno dei tre libri che portava con sé in fondo al cestino per
la carta straccia sistemato in un angolo: // biglietto azzurro
gli aveva procurato soltanto vergogna e imbarazzo e ora, di
colpo, si sentì come un pellegrino che si fosse liberato del
suo fardello di peccati.
La superficie del televisore sembrava completamente liscia, senza alcuna traccia d'interruttori o comandi utili per
mettere in funzione l'apparecchio. Perciò Morse si sistemò in
una poltrona e si rituffò tranquillamente nella contemplazione dell'Oxford Canal.
La domanda posta ai Giurati non era stata, naturalmente,
"Chi ha commesso il crimine?", ma soltanto "Sono colpevoli
i prigionieri?". Per un investigatore come lui, la domanda
fondamentale sarebbe stata la prima. Così, mentre se ne stava lì seduto, provò a chiedere a se stesso in tutta onestà:
"Dunque! Se i barcaioli sono innocenti, chi è il colpevole?".
Se questa fosse stata la domanda chiave del Giudice, per
Morse il caso non sarebbe durato un minuto di più, per la
semplice ragione che non ne aveva la minima idea. L'unica
cosa che poteva fare era qualche meditata riflessione sulla
colpevolezza dei barcaioli. O sulla loro innocenza…
Quattro quesiti, allora.
Primo: poteva una Giuria essere convinta, al di là di
ogni ragionevole dubbio, che i barcaioli avevano assassinato
Joanna Franks? Risposta: no! L'accusa non aveva prodotto
nemmeno uno straccio di prova che potesse essere sostenuta
in tribunale da un qualche testimone del delitto… e i barcaioli erano stati condannati proprio per l'assassinio.
Secondo: era stato accordato ai prigionieri il tanto venerato principio della "presunzione di innocenza", onore e vanto dell'Ordinamento giudiziario britannico? Risposta: assolutamente no! Preconcetti, niente altro che preconcetti, aveva-
no prevalso sin dall'inizio del primo processo e l'atteggiamento dei magistrati non meno che del pubblico era stato,
per tutto il tempo, di aperto disprezzo e di ripugnanza verso
quegli uomini rozzi, ignoranti e irreligiosi della Barbara
Bray.
Terzo: i barcaioli, o alcuni di loro, erano davvero colpevoli di qualcosa? Risposta: quasi certamente, sì; e, con ogni
probabilità, dei due reati che erano stati lasciati cadere…
quelli di violenza carnale e di furto. Quanto meno, c'erano
sufficienti indizi per supporre che gli uomini avessero insidiato la loro passeggera e, senz'altro, la reale possibilità che
tutti e tre… o tutti e quattro?… avessero cercato di far violenza alla povera Joanna, sciagurata (anche se sessualmente
provocante).
Quarto: c'era un criterio di carattere generale… anche se
le prove non erano convincenti e anche se la giuria fosse stata indebitamente influenzata… in base al quale quella sentenza poteva essere considerata ragionevole, "giusta", come
si dice nei manuali di giurisprudenza? Risposta: no, mille
volte no! Ora Morse sentiva quasi di poter mettere il dito
sulla causa maggiore del suo disagio: le conversazioni udite
e fedelmente riportate tra i principali personaggi della storia,
tra gli uomini dell'equipaggio e Joanna, tra loro e altri barcaioli, tra loro e i custodi delle chiuse, delle banchine, tra loro e
le guardie… tutto ciò per una ragione o per l'altra non quadrava. Non quadrava, se erano colpevoli. Era come se un
commediografo inesperto si fosse imbattuto nella trama di un
assassinio e si fosse messo a scrivere pagine e pagine di dialoghi non pertinenti, fuorviami e in qualche caso contraddittori. Perché c'erano momenti in cui sembrava che fosse lei,
Joanna Franks, la Furia vendicatrice, e gli uomini dell'equipaggio semplicemente vittime del suo fatale potere. E, inoltre, il comportamento di Oldfield e di Musson dopo l'assassinio era per Morse un persistente motivo di sorpresa e si faceva molta fatica a capire perché l'Avvocato della difesa non
avesse cercato di ficcare in testa al Giudice e alla Giuria l'assoluta inattendibilità di quello che, secondo l'accusa, i due
avevano fatto e detto. Si può anche ammettere che uno psicopatico si comporti in maniera totalmente irrazionale e irresponsabile. Ma quegli uomini non erano un quartetto di psicopatici. E, soprattutto, sembrava a Morse assolutamente
fuori dell'ordinario che, anche dopo aver ucciso Joanna
Franks (come si sosteneva), gli uomini dell'equipaggio continuassero, ventiquattro o trentasei ore più tardi, a bere, a imprecare e a maledire per l'eternità l'anima di quella donna.
Morse aveva conosciuto molti assassini, ma mai uno che si
comportasse in quella maniera… e tanto meno quattro. No!
Semplicemente non quadrava, non quadrava affatto. In realtà, dopo tutti quegli anni, la cosa non era affatto importante.
Aprì di scatto, all'indice, il grosso volume in cui venivano riportate le malefatte degli abitanti dello Shropshire nell'Ottocento e i suoi occhi caddero sul titolo "The Shropshire
Union Canal". Cercò pigramente nel testo la pagina corrispondente e lesse tutto un paragrafo con crescente interesse.
(Perfette signora Lewis!). Anche qui lo stile era intricato e
tortuoso. L'autore era tuttora incapace di definire una vanga
semplicemente come un attrezzo munito di una larga lama
per scavare la terra. Ma il messaggio era abbastanza chiaro:
Con un tale tasso di criminalità sui canali, non dovrebbe essere
motivo di sorpresa il fatto che riscontriamo innumerevoli casi di reticenza da parte di molti dei barcaioli, in faccende quali la registrazione
dei nomi, per quanto riguardava sia le barche in cui prestavano la loro
opera, che le loro stesse generalità. In particolare, quanto ai nomi delle persone, scopriamo che molti di quelli che lavoravano sull'acqua o
sulle banchine avevano un doppio nome ed erano spesso più conosciuti con il loro soprannome che con il nome di battesimo. Per diverse ragioni sociologiche (alcune delle quali ancora da analizzare), si
può dedurre con relativa certezza che i barcaioli, nella loro generalità,
erano potenziali criminali e tutto induce a ritenere che la loro professione (se così si può chiamare) offrisse ampie opportunità per realizzare tale potenzialità. Talvolta vendevano parte del loro carico, sostituendo, per esempio, grosse quantità di carbone con uguali quantità di
roccia o pietre. Ci accade frequentemente di venire a conoscenza di
casi (v. specialmente SCL, Canal and Navigable Water Commission,
1842, Voi. LX, pp. 61-4, 72-5, 83-6, et passim) di barcaioli che bevevano liberamente vini pregiati e whisky facenti parte del carico e che
riempivano poi le bottiglie vuote con acqua. Anche i funzionari di dogana non sempre facevano il loro dovere e occasionalmente si lasciavano corrompere per chiudere un occhio…
Anche i suoi occhi cominciavano a chiudersi e Morse
mise da parte il libro. Il punto era stato così chiarito: i barca-
ioli erano imbroglioni e spesso rubavano parte del loro carico. Ecco perché Walter Towns era noto anche come Walter
Thorold. E così gli altri. "È tutto molto semplice, quando si
sa come stanno le cose" pensò Morse. "Sarà tutto così semplice un giorno, nella Grande biblioteca computerizzata del
cielo, quando ai problemi che hanno assillato tante generazioni di saggi e di filosofi sarà data immediata risposta, soltanto battendo la domanda su qualche celeste tastiera?"
Il giovane con la flebo portatile entrò nella sala, accennò
un saluto in direzione di Morse, scovò chissà dove un telecomando e cominciò a passare rapidamente da un canale all'altro, con un'impazienza che Morse trovava piuttosto irritante.
Era ora di tornare in corsia.
Mentre si allontanava, il suo sguardo cadde automaticamente sullo scaffale. Morse si fermò. Lì, sul ripiano inferiore, uno vicino all'altro, lesse i titoli Victorian Banbury e Oxford (Collegamenti ferroviari). Dopo averli presi tutti e due,
ritornò in corsia.
Se si tenevano gli occhi bene aperti, forse non c'era affatto bisogno di un computer celeste.
Walter Algernon Greenaway (Waggie, per gli amici)
aveva tentato, inutilmente, di risolvere il cruciverba dell'"Oxford Times". Non vi era molto portato, ma i cruciverba lo
avevano sempre affascinato. E quando il giorno prima aveva
visto Morse risolvere quello del "Times" in una decina di minuti, ne aveva provato molta invidia. Morse si era appena rimesso a letto, quando Greenaway lo chiamò.
— Lei è molto bravo con le parole incrociate…
— Abbastanza.
— Se ne intende di cricket?
— Non molto. Qual è la definizione?
— "Un famoso duck (zero punti) di Bradman".
— Quante lettere?
— Sei. Ho visto Bradman all'Oval nel 1948. Non ha segnato nemmeno un punto, quella volta.
— Io non mi preoccuperei molto del cricket — replicò
Morse. — Pensi soltanto a Walt Disney.
Greenaway inumidì la punta della matita e pensò, ma
senza alcun risultato, a Walt Disney. 1 — Chi è l'autore del
cruciverba, questa settimana? — chiese Morse.
— Un tale che si firma "Quixote".
Morse sorrise. Una coincidenza? — Qual era il suo
nome di battesimo?
— Ah! Capisco, adesso! — esclamò Waggie, inserendo
felice le lettere di Donald all'1 orizzontale.
23
Tutto quello che il genere umano ha fatto, pensato,
realizzato o quello che è stato, è tutto lì, magicamente
conservato nelle pagine dei libri.
Thomas Carlyle
Embaras de richesses… Morse non avrebbe potuto scegliere un paio di libri più ricchi di informazioni, se avesse gironzolato tutto il giorno tra gli scaffali della Biblioteca di
zona di Summertown.
Per prima cosa, apprese dal Victorian Banbury che, dal
1850 circa, il servizio di diligenza su lunghi percorsi in direzione di Londra, via Banbury, era stato soppresso, principalmente, a causa della istituzione della nuova linea ferroviaria
da Oxford alla capitale. Tuttavia, le corse in diligenza tra
Banbury e Oxford erano addirittura aumentate e negli anni
1850 e 1860 i collegamenti tra Banbury e Oxford erano regolarmente assicurati. Inoltre, l'autore forniva tutti i dettagli relativi alle corse in diligenza previste nei giorno in questione
e sulle quali Joanna Franks doveva aver chiesto informazioni. Certamente aveva visto i cavalli delle diligenze galoppare
verso sud almeno in tre diverse occasioni, nella mattinata del
giorno successivo, e passeggeri caricati alla Swan Inn di
Banbury scendere alla Angel Inn, in High Street a Oxford. E
il costo dei viaggio era decisamente basso: due scellini e un
penny. Ancora più interessanti per Morse erano le informazioni che riguardavano Oxford: i treni diretti alla stazione di
Paddington a Londra, in base al suo secondo prontuario del
servizio ferroviario tra Oxford e Londra, erano di gran lunga
più frequenti e più rapidi di quanto avesse immaginato. Presumibilmente anche a Joanna, quel giorno fatale a Banbury,
erano state fornite le stesse informazioni: non meno di dieci
treni al giorno, con partenze alle 2.10, 7.50, 9.00, 10.45,
11.45, 12.55, 14.45, 16.00, 17.50, 20.00. Embaras du choix.
Indubbiamente le tariffe sembravano esorbitanti, con biglietti
di prima, seconda e terza classe rispettivamente di 16, 10 e 6
scellini, per un percorso di una novantina di chilometri. Ma
lo storico delle ferrovie di Oxford era stato tanto diligente da
aggiungere che c'erano anche tre diligenze al giorno, almeno
fino agli anni 1870, via Henley e Reading: la Blenheim e la
Prince of Wales, che partivano alle dieci e trenta del mattino,
e la Rivai un'ora più tardi, che richiedeva un biglietto che costava un "intero scellino" in meno rispetto al biglietto di terza classe in treno. E in che punto della metropoli terminavano la loro corsa quelle diligenze? Davvero straordinario: in
Edgeware Road!
Così, Morse per qualche minuto considerò la situazione
dal punto di vista di Joanna… una Joanna che (non c'era nessun motivo per dubitarne) era allo stremo. Arrivando di sera
tardi a Banbury, doveva essersi subito resa conto della situazione. Nessun mezzo per ripartire subito, ma la possibilità
concreta di passare la notte in una delle locande lungo la
banchina, forse. Non certo una sistemazione in un albergo a
quattro stelle… ma una stanza discreta, che non le sarebbe
costata più di due scellini. Poi, la mattina seguente, avrebbe
preso una delle diligenze per Oxford: l'orario ne menzionava
una alle nove e trenta, che arrivava a Oxford alle tredici circa. Non avrebbe avuto nessuna difficoltà, quindi, a prendere
il treno delle quattordici e quarantacinque per Paddington…
o un altro dei tre treni successivi, nel caso che accadesse
qualcosa ai cavalli. Semplicissimo! Se avesse deciso di sottrarsi per sempre ai suoi aguzzini, la situazione non presentava particolari problemi: due scellini circa per la notte, due
scellini e un penny per la diligenza, cinque scellini per un biglietto ferroviario di terza classe: questo significava che per
meno di dieci scellini le veniva offerta un'ultima possibilità
di salvarsi. E Joanna avrebbe potuto farlo, senza troppa fatica, senza molta spesa.
Ma non l'aveva fatto. Perché? Veniva dato per scontato
che lei non avesse il becco di un quattrino e tanto meno una
mezza ghinea. Ma non aveva proprio niente da vendere, da
impegnare? Non aveva niente di suo da dare in cambio? Che
cosa c'era nei suoi due bauli? Proprio niente che avesse valore? Allora, se le cose stavano così, perché erano stati sollevati sospetti di furto? Morse scosse il capo lentamente. Dio,
quanto avrebbe pagato per poter dare un'occhiata a quei due
bauli!
Era l'ora del tè e Morse non immaginava nemmeno che
quel suo desiderio era già stato esaudito.
24
Magnus Alexander corpore parvus erat (Persino
Alessandro Magno non aveva la statura minima prescritta
per entrare nella Polizia).
Proverbio latino
I turni normali delle infermiere al John Radcliffe Hospital avevano il seguente orario: la mattina dalie 7.45 alle
15.45, il pomeriggio dalle 13 alle 21.30 e la notte dalle 21
alle 8.15. Più simile per temperamento a un gufo che a un'allodola, Eileen Stanton non condivideva le obiezioni che venivano comunemente sollevate contro il turno di notte. Nata
con una leggera propensione alla malinconia, forse era per
natura una creatura della notte. Ma quella settimana, le cose
erano andate diversamente. E quel giorno era di turno al pomeriggio.
Sposata a diciannove anni e divorziata a venti, ora, cinque anni dopo, viveva appena fuori Oxford, a Wantage, con
un uomo che aveva quindici anni più di lei e che aveva celebrato il suo quarantesimo compleanno la sera prima (ecco la
spiegazione dello spostamento del turno). La festa era stata
un successo fino a poco prima di mezzanotte, quando il fe-
steggiato era stato coinvolto in una penosa scazzottata, di cui
era responsabile proprio lei! Al cinema o in televisione, il
protagonista che è stato tramortito con una spranga di ferro
non fa altro che sfregarsi per un paio di minuti la parte dolorante, prima di riprendere la sua eroica missione. Ma la
vita, come Eileen sapeva benissimo non era così… la vittima, molto più verosimilmente, finiva in una unità di terapia
intensiva con lesioni cerebrali permanenti. Una cosa molto
più dolorosa. Come era successo la notte precedente (o meglio, quella stessa mattina!), quando il suo convivente era
stato colpito in faccia: aveva avuto il labbro superiore paurosamente spaccato e uno dei denti spezzato alla radice. Non
certo una bella cosa per il suo aspetto, per il suo orgoglio,
per gli invitati, per Eileen. Tutt'altro che una bella cosa!
Per l'ennesima volta, Eileen ritornava con la mente su
quell'incidente, mentre raggiungeva Oxford in macchina,
parcheggiava la Metro verde e gialla nel parcheggio riservato
al personale dell'ospedale e si dirigeva allo spogliatoio nel
seminterrato per cambiarsi d'abito. Tornare in corsia le
avrebbe fatto bene, lei lo sapeva.
Le era stato abbastanza facile, finora, evitare qualsiasi
coinvolgimento emotivo con i pazienti e per il momento non
desiderava altro che mettersi alle spalle qualche ora di scrupoloso lavoro… per dimenticare la notte precedente, quando
lei aveva bevuto e civettato un po' troppo sfacciatamente con
un uomo che non aveva mai visto prima. Non aveva nessun
postumo della sbornia, anche se a un tratto cominciò a chie-
dersi se qualche postumo ci fosse effettivamente stato: il fatto era che non aveva avuto modo di prestarci attenzione, con
tutti i motivi di agitarsi che aveva avuto. Comunque, era ora
di dimenticare tutti i suoi guai e d'immergersi in quelli degli
altri.
Eileen aveva notato Morse (e lui aveva notato lei),
quando era andato nella sala comune, lo aveva visto tornare
mezz'ora dopo e passare il resto del pomeriggio immerso
nella lettura. Amava i libri, a quanto pareva. Ma era simpatico… e sarebbe andata a scambiare quattro chiacchiere con
lui quando lo avesse visto smettere di leggere. Cosa che
Morse non fece.
Lo osservò di nuovo, alle sette e quaranta di sera, quando lui si tirò su appoggiandosi contro i cuscini. E più attentamente osservò la donna che gli sedeva al fianco: vestito blu,
capelli castani dai riflessi dorati, volto dai lineamenti minuti
e regolari proteso in avanti. A Eileen parve che i due fossero
ansiosi di parlare l'uno con l'altra: non era la conversazione
stanca e convenzionale che caratterizzava tante visite ospedaliere. Due volte, persino mentre lei la guardava, la giovane
donna, nel calore della discussione, sfiorò la manica del
chiassoso pigiama di Morse con la punta delle dita, dita che
erano sottili e forti come quelle di un musicista. A Eileen
non sfuggiva il senso nascosto di quei gesti. Anche Morse
faceva del suo meglio per fare colpo su di lei, con quel suo
sorriso così abilmente studiato e gli occhi fissi in quelli della
ragazza. Oh, sì! Capiva che cosa provavano l'uno per l'altra,
con le loro stomachevoli gentilezze reciproche! Ma si rendeva conto di invidiarli e specialmente la donna… quella petulante figlia di Waggie!
Nelle poche occasioni che aveva avuto di parlare con
Morse, aveva capito che la conversazione di quell'uomo, e
forse anche la sua vita, erano tanto interessanti. Raramente
aveva incontrato uomini come lui… uomini che si intendevano di tutto, di architettura e di storia, di letteratura e di musica, tutti argomenti da cui in quegli ultimi anni si sentiva fortemente attratta. A un tratto, provò un gran sollievo al pensiero che molto probabilmente il suo quarantenne dalle labbra gonfie non sarebbe stato in grado, quella sera, di baciarla.
Un uomo (se ne rendeva conto ora) era rimasto in piedi,
pazientemente, davanti alla scrivania.
— Ha bisogno di qualcosa?
Il sergente Lewis annuì e la fissò. — Ho avuto istruzioni
precise. Devo presentarmi alla caposala tutte le volte che
porto all'ispettore capo un sacchetto pieno di esplosivo al
plastico.
— Non sia così severo con la caposala Maclean!
— Non sono io… è lui! Dice che è una vecchia inacidita… una vecchia…
Eileen sorrise. — A volte, non ha molto tatto.
— Mi sembra che… ehm… che abbia una visita per il
momento.
— Sì.
— Forse è meglio non disturbare, che ne dice? È un tipo
che si arrabbia facilmente.
— Davvero?
— Specialmente se…
Eileen annuì e sollevò lo sguardo sul volto cordiale di
Lewis, dicendosi che gli uomini, tutto sommato, non erano
poi così cattivi come lei aveva cominciato a pensare.
— Che tipo è… l'ispettore Morse? — chiese.
Christine Greenaway si alzò per andarsene e Morse d'un
tratto si rese conto, mentre lei stava in piedi vicino al letto, di
quanto fosse piccola, malgrado le scarpe dai tacchi alti che di
solito portava. Gli tornarono alla mente delle parole che aveva riletto di recente: "… una donna minuta e attraente che indossava un vestito blu Oxford…".
— Quanto è alta lei? — chiese Morse, mentre Christine
si risistemava il vestito.
— Quanto sono bassa, vorrà dire? — I suoi occhi scintillarono e parve prendersi gioco di lui. — Senza scarpe,
sono un metro e cinquantatré e mezzo. E non dimentichi quel
mezzo: forse non è molto importante per lei, ma per me sì.
Porto sempre i tacchi alti, così arrivo a una statura quasi normale. Uno e sessanta circa.
— Che numero porta di scarpe?
— Trentasei. Il suo piede non potrebbe certo entrarci.
— Ho dei piedi bellissimi — replicò Morse serio.
— Ora credo che dovrò preoccuparmi di mio padre più
che dei suoi piedi — lei gli bisbigliò, mentre gli sfiorava an-
cora una volta il braccio e Morse da parte sua appoggiava
lievemente la sua mano sinistra su quella di Christine. Fu un
momento magico per tutti e due.
— E lei non dimentichi di dare un'occhiata a…
— Non lo dimenticherò.
Poi se ne andò e soltanto la scia di un costoso profumo
rimase nell'aria intorno al letto.
— Mi stavo proprio chiedendo — disse Morse con aria
assente, mentre Lewis sedeva al posto di Christine sulla sedia di plastica — che numero di scarpe potesse avere Joanna
Franks. Immagino, naturalmente, che anche allora le scarpe
avessero un numero. Non è certo una moderna invenzione,
come per esempio i collant delle donne, le pare? Che ne pensa, Lewis?
— Le farebbe piacere, ispettore, se io le mostrassi esattamente che numero di scarpe portava Joanna Franks?
25
Chi è incapace di commettere gravi crimini non è
portato a sospettarne gli altri.
La Rochefoucauld, Massime
A Morse veniva generalmente attribuita, dai suoi colleghi, un'intelligenza non comune, un'intelligenza che raramente affiorava nei comuni rapporti umani, ma che gli conferiva sempre un vantaggio di circa sei lunghezze sugli altri
in ogni indagine criminale.
C'era un dono, però, che non gli era mai stato concesso,
e Morse stesso lo sapeva… quello di leggere rapidamente.
Qualcuno avrebbe potuto osservare, quindi, che quella sera
impiegò un tempo sproporzionatamente lungo, una volta che
Christine e Lewis se ne furono andati, dopo aver bevuto la
tazza di Horlick e inghiottito le pillole e dopo essersi fatta
fare l'iniezione, per leggere fino in fondo le colonne fotocopiate dal "Jackson's Oxford Journal". Christine gli aveva detto che, non soddisfatta degli appunti che aveva preso, era ritornata alla Central Library nelle prime ore del pomeriggio e
aveva convinto una delle sue conoscenti a permetterle di fotocopiare direttamente il materiale dai voluminosi originali,
evitando di fare la coda. Morse, anche se lo avesse saputo,
certamente non avrebbe mostrato molta gratitudine. Una delle sue debolezze era appunto la tendenza ad accettare la disponibilità degli altri, senza mai rendersi veramente conto
dei sacrifici che tale disponibilità poteva comportare, e quindi senza apprezzarli nel modo dovuto.
Quando da ragazzo era stato condotto a visitare luoghi
d'interesse archeologico, Morse non era mai riuscito a condividere la passione di quei fanatici, che andavano in solluchero per qualche mattone romano tutto sbrecciato.
Sin da allora, era stata la parola scritta, piuttosto che gli
oggetti costruiti dagli uomini, a stuzzicare la sua curiosità e a
ispirargli l'amore per il mondo antico. C'era da aspettarsi perciò che, sebbene la straordinaria scoperta di Lewis si sarebbe
rivelata l'unica drammatica breccia nel mistero dell'assassinio sull'Oxford Canal, la vista di quel misero paio di logore
scarpe e dell'ancor più misero paio di mutande spiegazzate si
rivelasse per Morse piuttosto deludente. Almeno, per il momento. Ma le "offerte" di Christine, quelle sì che erano attraenti e stimolanti!
Dalle cronache del giornale, fu subito chiaro che il colonnello non aveva tralasciato nessun dettaglio, anche se di
scarsa importanza. Eppure, come accade nella maggior parte
dei casi criminali, erano proprio i dettagli apparentemente innocui, marginali, quasi irrilevanti, quelli che potevano cambiare in un baleno l'interpretazione di fatti dati per scontati. E
lì c'erano parecchi dettagli (fino a quel momento, del tutto
ignoti per lui) che gli fecero aggrottare più volte le sopracciglia.
Primo: leggendo tra le righe un po' sbavate del materiale
fotocopiato, pareva abbastanza chiaro che l'accusa di "furto"
era stata probabilmente lasciata cadere, al primo processo,
perché gli indizi puntavano prevalentemente sul giovane
Wootton e perciò era necessario un procedimento giudiziario
individuale… e (per giunta) a carico di un minore. Se c'era
qualcun altro dell'equipaggio coinvolto nel furto, questo non
poteva essere Towns (l'uomo deportato in Australia). E con
ogni probabilità nessun chiaro indizio poté essere usato contro i due uomini impiccati alla fine per assassinio. Che cos'era allora che gli occhi bramosi del ragazzo avevano notato
per indurlo a rubare dal bagaglio di Joanna Franks? Nessuna
risposta emergeva chiaramente dalle testimonianze. Ma c'era
una cosa su cui i ladri puntavano, nel 1859 come nel 1989:
soldi!
Ehm!
Secondo: c'erano indizi sufficienti per far pensare che,
con ogni probabilità, all'epoca del suo secondo matrimonio,
fosse Joanna il maggior sostegno della famiglia. Qualunque
fosse la ragione per cui "si era perdutamente innamorata di
Charles Franks, uno stalliere di Liverpool", era stata Joanna
a esortare il nuovo marito a non lasciarsi abbattere dalla sfortuna, che li aveva perseguitati nei primi mesi della loro vita
coniugale. Un brano di una sua lettera a Charles Franks era
stato letto in tribunale, presumibilmente (come Morse vede-
va la cosa) per sostenere le tesi che, contrariamente a quanto
affermavano i barcaioli secondo i quali Joanna era fuori di
sé, era invece Charles che sembrava vicino a un crollo mentale: "Con profondo dispiacere, mio caro marito, leggo la tua
triste, farneticante lettera… cerca, mio caro, di fare ogni
sforzo per evitare quello che io temo potrebbe accaderti, se
non dai un po' di requie alla tua mente tormentata. La perdita
della ragione è una cosa terribile e troncherebbe tutte le nostre speranze. Sii forte e saremo presto di nuovo insieme e
non avremo più preoccupazioni". Una toccante ed eloquente
lettera.
Erano tutti e due un po' squilibrati?
Ehm!
Terzo: da varie deposizioni, in tutti e due i processi, risultava che, sebbene le barche "espresso" funzionassero meglio secondo la rigorosa formula "due dentro e due fuori", in
pratica capitava spesso che i quattro membri dell'equipaggio
si alternassero nei loro vari compiti in modo da soddisfare
esigenze o preferenze personali. O brame, forse? Perché
Morse stava leggendo, ora, con molto interesse la testimonianza resa in tribunale (dov'era lei, colonnello Deniston?)
dalla quale risultava che Oldfield, il capo dell'equipaggio
della Barbara Bray, aveva pagato sei pence a Walter Towns
perché lo sostituisse nell'arduo compito di spingere la barca
attraverso la galleria Burton. Morse si fregò le mani: la sua
immaginazione aveva già anticipato la possibilità che fosse
accaduta una cosa del genere.
Ehm!
Quarto: dall'insieme delle testimonianze risultava evidente che nella prima metà del viaggio Joanna, senza fare
tante storie, si era unita al gruppo dei barcaioli nelle varie
fermate: era rimasta in loro compagnia, aveva mangiato allo
stesso tavolo, aveva bevuto con loro, aveva riso alle loro battute. Non c'erano state battute, però, nella seconda metà del
viaggio quando, come l'accusa aveva insistentemente sottolineato, Joanna appariva soltanto una povera anima indifesa e
infelice, che urlava (a volte letteralmente) per chiedere aiuto,
comprensione, protezione, pietà. E poi c'era un'altra circostanza decisiva, drammatica! Mentre i barcaioli si ubriacavano sempre di più, Joanna diveniva sempre più sobria, perché
la documentazione prodotta dal coroner, come fu riferito in
tribunale, era incontestabile: nel suo corpo non era stata trovata nessuna traccia di alcol.
Ehm!
Morse continuò a sottolineare con la penna blu i più
strani brandelli di conversazione che il cronista giudiziario
aveva ritenuto opportuno riportare:
"Non ti senti attratto?" (Oldfield) "No, non ne ho voglia." (Bloxam) "Ne ho avuto già abbastanza di lei e anch'io voglio… altrimenti
la…" (Oldfield) "Maledizione a quella puttana! Se è annegata, io non
ci posso fare proprio niente." (Oldfield) "Lo ha detto anche prima che
lo avrebbe fatto, e adesso sembra che lo abbia fatto sul serio." (Musson) "Spero che quella maledetta puttana stia bruciando nelle fiamme
dell'inferno!" (Oldfield) "Al diavolo quella donna! Che sappiamo noi
di lei? Se aveva intenzione di annegarsi, perché noi dovremmo trovarci in tutti questi guai?" (Towns) "Se lui testimonierà contro di noi,
sarà per altre cose, non per quella donna." (Oldfield)
Ehm!
Citate in maniera incoerente, senza nessun ordine cronologico, queste frasi estrapolate a caso dai verbali dei processi
concorrevano a rafforzare in Morse la convinzione che non
erano quelli i commenti che ci si potrebbe aspettare da un assassino. Si potrebbe pensare a un senso di vergogna, di rimorso, di paura… sì!… persino, in qualche caso, di trionfo e
di esultanza per aver portato a termine l'impresa. Ma non…
non la furiosa rabbia e il disgusto manifestati dai barcaioli,
dopo che Joanna era morta.
C'era infine un altro, significativo brano di una testimonianza che il colonnello non aveva menzionato. A quanto pareva, Oldfield aveva affermato che, verso le quattro di quel
fatale mattino, i barcaioli avevano in effetti raggiunto Joanna, che era in uno stato di grande confusione mentale. Lui e
Musson erano riusciti a scoprire dove si trovava la donna
dalle grida angosciate con cui chiamava il marito: "Franks!
Franks! Franks!". Inoltre, Oldfield sosteneva di averla addirittura persuasa a ritornare sulla barca, sebbene ammettesse
che lei ne era saltata fuori di nuovo (di nuovo!) quasi subito,
per riprendere a camminare sull'alzaia. Poi, sempre secondo
Oldfield, due di loro, lui stesso e Towns questa volta, erano
di nuovo scesi a riva, dove avevano incontrato un altro potenziale testimone (il Donald Favant menzionato nel libro del
colonnello). Ma i barcaioli non erano stati creduti. In particolare, questo secondo incontro lungo l'alzaia era stato liquidato sdegnosamente dall'accusa: "Il confuso ricordo di menti
annebbiate dal vino, nel migliore dei casi; nel peggiore,
un'invenzione di quegli incalliti assassini". Sì! Quello era
esattamente il genere di commenti che aveva sempre incrinato la passione di Morse per la giustizia. Come poliziotto, conosceva soltanto i rudimenti del Diritto Inglese, ma credeva
fermamente nel principio che un uomo dev'essere ritenuto innocente fintantoché la sua colpevolezza non sia stata dichiarata a seguito di un processo. Era un principio fondamentale,
non soltanto di legge formale, ma di giustizia naturale…
— Tutto bene? — chiese Eileen, rimboccando automaticamente le lenzuola.
— Pensavo che se ne fosse già andata.
— Sto andando via adesso.
— Lei mi sta viziando.
— Le piace leggere, vero? Morse annuì. — Di tanto in
tanto.
— La lettura è il suo passatempo preferito?
— Be', direi la musica… la musica, penso, a volte mi
piace di più.
— Perciò, se legge un libro, mentre il giradischi
suona…
— O l'uno o l'altro, non tutti e due insieme.
— Ma sono i suoi passatempi preferiti, non è così?
— A parte una cenetta a lume di candela con una bella
ragazza come lei.
Eileen arrossì. Le sue guance si accesero come quelle
del colonnello mentre stava morendo.
Prima di addormentarsi quella sera, Morse fece scivolare la mano nell'armadietto vicino al letto e si versò da bere. E
mentre centellinava lo scotch, a un tratto il mondo cominciò
a non sembrargli più tanto brutto…
Quando si svegliò (o piuttosto fu svegliato) la mattina
seguente (domenica), si meravigliò che un'idea così ovvia,
come quella che gli era venuta in mente, avesse impiegato
tanto tempo a materializzarsi. Di solito, la sua capacità di
analisi era fulminea come il proverbiale guizzo di una lucertola. Almeno, così era solito ripetersi.
26
C'è una legge scritta nel più oscuro dei Libri della Vita
ed è questa: se guardi una cosa novecentonovantanove volte,
sei perfettamente al sicuro; ma se la guardi per la millesima
volta, corri il terribile rischio di vederla per la prima volta.
G.K. Chesterton, Il Napoleone di Notting Hill
Proprio quello che avviene con le parole incrociate. Te
ne stai lì a riflettere per ore e ore su qualche astrusa definizione, e non cavi un ragno da un buco. Ma prova ad allontanarti… ancora un po'… ancora un po' di più… e la risposta è
lì davanti a te che ti guarda in faccia con una beffarda aria di
trionfo. Erano quelle scarpe, naturalmente, le scarpe che aveva fissato con tanta intensità da non riuscire a vederle davvero.
Morse aspettò con molta impazienza che le sue abluzioni mattutine fossero terminate, prima di riprendere il libro
del colonnello, indugiando nelle varie operazioni come aveva sempre fatto da ragazzo, quando mangiava meticolosamente tutto il bianco d'uovo finché gli rimaneva soltanto il
cerchio dorato del tuorlo nel quale, finalmente, affondare le
ultime patatine che gli rimanevano.
Quali erano le parole precise del resoconto del
processo? Morse annuì: quando Charles Franks aveva guardato il corpo, lo aveva riconosciuto, così orribilmente sfigurato com'era, da "un piccolo segno dietro l'orecchio sinistro
della moglie, un segno di cui soltanto i genitori o un marito
innamorato potevano essere a conoscenza". O un furfante.
Perdio, era mai possibile che un riconoscimento venisse effettuato nei tribunali inglesi con tanta superficialità? Non
soltanto un'impercettibile deturpazione di cui nessun altro
avrebbe potuto essere al corrente, ma un'impercettibile deturpazione che esisteva sulla testa di Joanna Franks soltanto
perché esisteva nella testa del suo secondo marito. Oh, doveva essere proprio lì! Il medico, il coroner, l'ispettore di polizia, quelli che avevano spogliato la donna morta e l'avevano
rivestita per una decorosa sepoltura cristiana… tanti testimoni che potevano, se ce ne fosse stata la necessità, confermare
l'esistenza di un tale difetto su quello che era stato in vita un
volto così carino.
Ma chi avrebbe potuto convalidare il fatto che il volto
era quello di Joanna? Il marito? Sì, lui aveva espresso la sua
opinione. Ma gli altri, gli unici che avrebbero potuto saperlo,
i genitori, dov'erano? A quanto pareva, non erano stati presenti al processo contro i barcaioli a Oxford. Perché? Forse
la madre era troppo sconvolta dal dolore per poter fornire
una testimonianza coerente? Chissà se era ancora viva, al
momento del processo?
Ma il padre era vivo. L'agente della compagnia di assicurazioni…
Morse ritornò con la mente al punto centrale che stava
cercando di sostenere davanti alla sua giuria immaginaria
(con la "g" minuscola). Nessuna corte avrebbe accettato un'identificazione così unilaterale senza qualche riscontro… e
c'era stato qualcosa (di nuovo Morse rilesse le parole testuali): il riscontro veniva fornito "dalle scarpe trovate più tardi
nella cabina di prua della Barbara Bray, che corrispondevano esattamente, anche nei minimi dettagli, alla forma dei piedi della donna morta". Perciò non c'era nessun dubbio: primo, le scarpe trovate nella cabina appartenevano a Joanna
Franks; secondo, le scarpe erano state usate dalla donna annegata; terzo, quindi, la donna annegata era Joanna Franks…
Q.E.D. Un tale sillogismo avrebbe soddisfatto persino Aristotele.
Incontrovertibile! Tutte e tre le affermazioni erano vere
come Verità di Fede. E in tal caso, le scarpe dovevano appartenere alla donna annegata. Ma… se la prima proposizione
non fosse stata vera? Se le scarpe non fossero appartenute a
Joanna? Allora l'inevitabile conclusione era una sola: il corpo che galleggiava a faccia in giù nelle acque del Duke's Cut
nel 1859 non era quello di Joanna Franks.
Un momento, Morse! (La voce dell'accusa urlava nelle
sue orecchie). D'accordo! Forse che l'identificazione, come si
presentava, come si presenta, può apparire un po' debole?
Ma, ha lei… lei… una… una qualche ragione per invalidare
una tale identificazione? E la voce che rispondeva nel cervello di Morse… la voce di Morse… era ferma e sicura: certo!
E, col permesso dei miei dotti amici, io vi dirò ora quello che
è veramente successo tra le tre e le cinque del mattino di
mercoledì, 22 giugno 1859.
Signori! Noi che siamo impegnati nella ricostruzione
della dinamica e della causa del delitto siamo spesso tormentati dallo stesso assillante pensiero: qualcosa deve essere accaduto e deve essere accaduto in un particolare modo. Ogni
teoria, ogni ricostruzione, ogni ipotesi è meno che niente rispetto alla semplice, concreta verità di quanto è veramente
accaduto. Se soltanto… se soltanto potessimo vedere tutto,
vedere tutto come è realmente accaduto! Signori, sono in
procinto di dirvi…
Il giudice (con la "g" minuscola) disse: — Proceda!
27
O imaginativa, che ne rube tal volta sì di fuor, ch'uom
non s'accorge, perché d'intorno suonin mille tube…
Dante, Purgatorio
Ritta vicino alla porta, a sinistra della cabina di prua, lei
poteva vederli tutti e due. Un cronista li avrebbe visti sbavare, vomitare; certamente li avrebbe sentiti russare "stentoreamente". Ma Joanna doveva aver notato a quel punto soltanto
un semplice fatto, una circostanza tutt'altro che drammatica:
i due profondamente addormentati… Oldfield e Musson…
soltanto il sollevarsi e l'abbassarsi della trapunta stinta che li
ricopriva, tradendo il loro respiro irregolare. Ubriachi? Sì,
ubriachi fradici: ci aveva pensato Joanna stessa.
Non c'era voluto molto per persuaderli… ma la scelta
del momento era importante. Fece un sorriso sinistro e consultò il piccolo orologio d'argento che portava sempre con sé,
l'orologio che suo padre le aveva regalato per il suo ventiduesimo compleanno (non il ventunesimo), quando dall'ufficio Brevetti di Londra erano arrivati un po' di soldi. E ancora
una volta, ora, la sua mano stringeva il prezioso orologio
come se fosse stato un talismano, in vista dell'imminente impresa.
Di tanto in tanto parlava sottovoce… molto sottovoce…
allo scaltro ragazzo dalla faccia piena di foruncoli, che le stava accanto all'entrata della cabina: con la mano sinistra sul timone a forma di Z, dipinto a strisce rosse, verdi e gialle, e la
mano destra (dove lei stessa l'aveva messa) che accarezzava
il corpetto del suo vestito.
Venticinque metri più avanti, il cavallo (un buon cavallo) arrancava un po' più lentamente, ora, con le corde tese sui
fianchi, lungo l'alzaia silenziosa, turbata solo dallo sciabordio delle acque del canale contro la Barbara Bray, che continuava a navigare verso sud nel buio della notte.
Joanna si diede una rapida occhiata alle spalle, verso
una specie di paravento di vimini che proteggeva la barca a
poppa. — Un po' più avanti, Tom! — bisbigliò, mentre la
barca imboccava la curva a gomito di Thrupp, subito dopo il
villaggio di Hampton Gay. — E non dimenticare il nostro
piccolo patto — aggiunse, mentre si metteva sul fianco della
barca, che Wootton spingeva lentamente sempre più vicino
alla sponda sinistra del canale.
Wootton avrebbe festeggiato il suo quindicesimo compleanno soltanto nel febbraio del 1860, ma era più maturo
della sua età, anche se non in tutti i sensi. Prima che Joanna
salisse a bordo a Preston Brook, non si era mai infatuato di
una donna come si era infatuato di lei. Sapeva perfettamente
che la stessa cosa era accaduta a tutti gli uomini dell'equipag-
gio. Joanna Franks esercitava un'irresistibile attrazione sessuale. Forse era il modo in cui i suoi occhi scintillavano,
quando parlava, forse era il modo in cui si inumidiva con la
lingua gli angoli della bocca, dopo aver mangiato un bel
piatto di bistecche di montone con piselli in qualche taverna
dal soffitto basso lungo il canale, forse era la sua diabolica
capacità di controllarsi, dopo aver bevuto tutta la sua razione
di liquore… quel liquore scacciapensieri, atteso con ansia,
che tutti i barcaioli (compreso Wootton) bevevano assiduamente durante i loro viaggi. E Oldfield l'aveva posseduta…
Wootton ne era del tutto certo! L'aveva posseduta nel buio
pesto di una di quelle gallerie, quando lui, Wootton, aveva
accettato con piacere i sei pence e spinto la Barbara Bray
lentamente verso il puntino di luce che diventava sempre più
grande, mentre gli arrivavano gli strani, eccitanti rumori della battaglia amorosa che si svolgeva nella cuccetta sotto di
lui.
Anche Towns aveva preso sei pence da Oldfield per l'attraversamento di una galleria più a sud. E tutti e due. Towns
e Musson… l'allampanato Musson dallo sguardo carico di libidine… sapevano anche troppo bene quello che accadeva,
desiderosi anch'essi di partecipare al festino. Non c'era da
stupirsi, quindi, di quel brutto incidente, quando Towns si
era scagliato contro Musson con un coltello!
Come d'accordo, Thomas Wootton le aveva procurato la
lanterna. La notte, anche se scura, era asciutta e calma e la
fiamma tremolò appena, quando lei la prese e saltò agilmente
dalla Barbara Bray, col cappellino in testa e le scarpe ai piedi, sull'alzaia, dove subito sparì alla vista del ragazzo, che
ora teneva gli occhi fissi davanti a sé con un sorriso lascivo
sulla bocca larga.
Era normale, naturalmente, per le donne a bordo di una
piccola barca, scendere a terra a intervalli quasi regolari: le
necessità fisiche, per le donne, richiedevano maggiore riservatezza di quanta ne occorresse per gli uomini. Ma Joanna
avrebbe potuto fermarsi più a lungo del solito quella sera…
così almeno aveva detto.
Si fermò nella boscaglia a guardare la sagoma della barca che lentamente si dileguava nella notte. Poi, ritenendo di
non essere più a portata d'orecchio dell'equipaggio, chiamò
ad alta voce l'uomo per nome, dapprima senza ricevere risposta. Poi chiamò di nuovo e infine una terza volta… finché
udì un fruscio tra i cespugli lungo il muro di pietra di una
grande casa, e un soffocato, ansioso "Sst!".
L'aria della notte era molto calma; e la voce della donna
arrivò distintamente giù lungo il canale, e fece voltare nel
buio sia il ragazzo al timone, sia l'uomo che conduceva lo
stoico cavallo. Ma non riuscirono a vedere nulla e, dato che
non sentirono nient'altro, non ci pensarono più.
Il grido di Joanna, però, era stato sentito anche da uno
degli uomini che si supponeva dormissero.
Intanto, Joanna e il suo complice erano sgattaiolati furtivamente lungo la fila di casette di pietra grigia, che fiancheggiavano il canale a Thrupp, e si erano nascosti nell'ombra.
Poi, scivolando inosservati oltre le finestre scure e silenziose
della Boat Inn, procedettero più liberamente lungo il breve
sentiero fiancheggiato da siepi che portava sulla strada maestra da Banbury a Oxford.
Per la Barbara Bray nei successivi cinque chilometri
dell'Oxford Canal c'erano ancora da superare le chiuse di
Roundham, di Kidlington Green e di Shuttleworth, quest'ultima appena a nord dello specchio d'acqua noto col nome di
Duke's Cut. Il passaggio attraverso queste chiuse (così accuratamente calcolato) avrebbe offerto ogni opportunità. Non
c'erano problemi. Erano stati molto più laboriosi gli accordi
per incontrarsi: e certamente Oldfield, più di una volta nelle
ultime ventiquattro ore, aveva osservato Joanna con sospetto,
quando lei aveva fatto (non sempre per necessità) le sue passeggiate diurne e notturne. Ma lei sapeva come prendere Oldfield, il capobarca della Barbara Bray.
— Tutto pronto?
— Zitta, ora — replicò brusco l'uomo.
Si diressero verso un carro coperto trainato da un cavallo pezzato che adesso era legato a un faggio proprio sul ciglio della strada. La luna appariva e scompariva da dietro
una nuvola che si muoveva lentamente nel cielo. Non un'anima viva in vista.
— Il coltello? — lui chiese.
— L'ho affilato.
L'uomo annuì con maligna soddisfazione.
Joanna si tolse il mantello e glielo porse e prese in cambio quello che lui a sua volta le passò… del tutto simile al
suo, ma molto più dozzinale, sia per il taglio che per il tessuto, e leggermente più lungo.
— Non avrai dimenticato il fazzoletto?
Immediatamente lei controllò e tirò fuori dalla tasca destra del suo mantello di prima un quadratino di lino bianco,
orlato di pizzo, con le iniziali J.F. ricamate in seta rosa.
Una trovata intelligente!
— È… è lì dentro? — chiese Joanna, indicando la parte
posteriore del carro, con voce aspra, che per la prima volta
tradiva un certo nervosismo. Lui fece un cenno col capo, con
i piccoli occhi scintillanti nel volto ricoperto da una folta
barba.
— Non voglio assolutamente vederla.
— Non ce ne bisogno! — L'uomo prese la lanterna e la
puntò su una mappa disegnata a mano, indicando con l'indice
destro un ponte sul canale a circa quattrocento metri a nord
della chiusa di Shuttleworth. — Noi arriviamo… qui! Tu
aspetti lì e poi li raggiungi, d'accordo? Sali di nuovo a bordo
e, infine, dopo che avrete superato la chiusa… tu…
— Come d'accordo!
— Sì. Ti butti dentro. Puoi stare in acqua tutto il tempo
che vuoi. Ma assicurati che nessuno ti veda uscirne. Il carro
sarà vicino al ponte. Tu sali nel carro e te ne stai tranquilla.
Io sarò lì appena avrò…
Joanna prese il coltello dalla tasca della gonna. — Vuoi
che lo faccia io?
— No! — L'uomo si affrettò a prenderle il coltello.
— No?
— Il fatto è che — lui riprese — che la sua faccia… be,
e diventata tutta nera!
— A me pareva che i morti diventassero bianchi — bisbigliò Joanna.
L'uomo montò a cassetta e aiutò la donna a salire, prima
di sparire per un momento nell'interno buio del carro dove,
tenendo la lanterna lontana dalla faccia, sollevò la gonna della donna morta e con l'abilità di un chirurgo praticò un taglio
di circa dieci o quindici centimetri sul davanti delle sue mutande di cotone.
L'uomo stava porgendo a Joanna due bottiglie di birra
scura Running Horse, quando… sentì la ferma presa della
mano di lei sulla spalla che lo scuoteva, lo scuoteva, lo scuoteva…
— Un po' di minestrina, signor Morse?
Era Violet. (Non la minestrina.)
28
Noi viviamo in un mondo di menzogne. L'alcol è un
modo per uscirne, la morte un altro.
Tennessee Williams, La gatta sul tetto che scotta
Il "Rapporto" era una pratica regolare di tutte le corsie
nel John Radcliffe Hospital e consisteva nella riunione del
personale medico e paramedico al momento del cambio di
turno: la mattina, il pomeriggio, la sera. In parecchie corsie,
il weekend offriva ai primari e ai medici anziani la possibilità di dedicarsi ad attività secondarie, quali la vela o la BMW.
Ma nelle corsie con piccoli reparti chirurgici, come per
esempio la corsia 7C, il "Rapporto" si svolgeva durante il
weekend come in tutti gli altri giorni della settimana. E così
accadde la seconda domenica di degenza di Morse in ospedale. La riunione delle ore tredici di quel giorno, infatti, era
piuttosto affollata: c'erano il primario, un giovane interno, la
caposala Maclean, l'infermiera di turno Stanton e due allieve
infermiere. Stipati nel piccolo ufficio della caposala, esaminarono a una a una le cartelle cliniche dei degenti in corsia,
discutendo brevemente convalescenze, ricadute, prognosi,
medicazioni e problemi relativi.
Morse, a quanto pareva, non costituiva più un problema.
— Morse! — Sul volto del primario si poteva cogliere
l'accenno di un sorriso, mentre gli veniva sottoposta la cartella clinica.
— Sta facendo progressi straordinari — sottolineò la caposala in tono quasi protettivo, come una mamma in una riunione serale di genitori, quando viene informata che suo figlio non si impegna come dovrebbe.
— Alcuni di noi — confidò il primario (restituendo la
cartella clinica) — vorrebbero tanto convincere questi bevitori irriducibili che l'acqua è una cosa meravigliosa. Non è
lei, naturalmente, che vorrei tentare di convincere, ma… —
fece, rivolto alla caposala.
Per un minuto o due, le pallide guance della caposala
Maclean si colorirono di un diffuso rossore e una delle allieve infermiere fece fatica a dissimulare un sorriso di soddisfazione per il suo imbarazzo.
Ma, stranamente, l'altra allieva, la Bella Fiona si rese subito conto che quel rossore avrebbe potuto far apparire persino bello il suo viso.
— Non sembra che beva poi tanto, le pare? — osservò
il giovane medico, scorrendo con gli occhi le copiose annotazioni, molte delle quali erano state prese da lui stesso.
Il primario sbuffò sprezzante: — Sciocchezze! — e batté il dito sui fogli incriminati. — È un gran bugiardo! Come
tutti i bevitori e i diabetici! — ribatté, rivolto al giovane medico. — Gliel'ho già detto, mi sembra.
Era del tutto comprensibile che l'accenno di un sorriso
aleggiasse, ora, sulle labbra della caposala Maclean, le cui
guance avevano ripreso il loro normale pallore di sempre.
— Ma lui non è diabetico… — obiettò il giovane medico.
— Gli dia due anni di tempo!
— Comunque sta migliorando. — Il medico (e giustamente!) era deciso a rivendicare per sé un po' di merito per il
felice passaggio dell'ispettore capo Morse attraverso le istituzioni del servizio sanitario nazionale.
— Ha avuto una fortuna sfacciata! Pensavo proprio di
dovergli tagliare via una buona metà delle sue frattaglie!
— Deve essere, tutto sommato, un uomo dalla costituzione molto robusta — convenne la caposala che ormai aveva recuperato il pieno controllo di sé.
— Penso di sì — ammise il primario. — Le uniche debolezze sono lo stomaco, i polmoni, i reni, il fegato… specialmente il fegato. Potrebbe tirare fino ai sessanta, se fa
quello che gli diciamo, cosa di cui dubito.
— Lo tratteniamo ancora per qualche giorno?
— No! — decise il primario dopo una pausa. — No! Lo
mandi a casa. Sua moglie potrà curarlo bene quanto noi.
Qualche medicina e una visita ambulatoriale tra due settimane… da me. D'accordo?
Eileen Stanton stava per fare notare al primario il suo
errore, quando un'infermiera irruppe nella stanza. — Mi di-
spiace, signorina Maclean… ma c'è un arresto cardiaco,
temo… in uno dei letti…
— È morto? — chiese Morse.
Eileen, che era venuta a sedersi sul suo letto, annuì tristemente. Era pomeriggio inoltrato.
— Che età aveva?
— Non lo so esattamente. Qualche anno meno di lei,
penso. — Il suo volto era cupo. — Forse se…
— Lei ha l'aria di aver bisogno delle affettuose premure
di qualcuno — la interruppe Morse, leggendo nei suoi pensieri.
— Sì! — lo fissò e gli sorrise, decisa a scrollarsi di dosso la sua tristezza. — E lei, mio caro signore, non potrà più
contare sulle nostre affettuose premure… d'ora in avanti. La
buttiamo fuori domani. Ne abbiamo abbastanza di lei!
— Me ne vado via, vuol dire? — Morse non sapeva con
certezza se fosse una buona o una cattiva notizia. Ma glielo
disse lei.
— Una buona notizia, vero?
— Sentirò la sua mancanza.
— Sì, anch'io… — Morse vide le lacrime sgorgarle dagli occhi.
— Perché non mi racconta che cos'è che non va? — le
chiese con molta dolcezza e lei glielo disse.
Gli raccontò della brutta settimana che aveva passato,
della comprensione che avevano avuto per lei in ospedale,
permettendole di cambiare il turno di notte e in particolare
della caposala che era stata così gentile… ma intanto grosse
lacrime le rigavano le guance. Si girò, coprendosi il viso con
una mano e cercando con l'altra il fazzoletto. Morse le mise
gentilmente in mano il suo fazzoletto sudicio e per un momento i due rimasero entrambi in silenzio.
— Le voglio dire una cosa — fece Morse alla fine. —
Dev'essere piuttosto lusinghiero avere un paio di spasimanti
che si picchiano per causa sua.
— No! Non lo è! — Le lacrime ricominciarono a formarsi nei suoi grandi occhi tristi.
— Sì! Ha ragione. Ma voglio farle una confidenza. Non
le farà certo bene… — bisbigliò Morse. — Anzi la farà stare
peggio. Il fatto è che se mi ci fossi trovato anch'io a quel suo
ricevimento, quando si sono picchiati per causa sua… mi sarei battuto pure io contro quei due! E sarebbero stati tre gli
uomini a battersi per lei, non soltanto due.
Eileen sorrise tra le lacrime e si asciugò le guance: si
sentiva già molto meglio. — Sono tutti e due ben piantati e
uno di loro frequenta un corso di arti marziali.
— D'accordo, avrei perduto! Ma mi sarei battuto per lei,
non le pare? Ricorda le parole del poeta? "Meglio combattere e perdere… che… che…" (Morse evidentemente aveva dimenticato le parole del poeta).
La ragazza si avvicinò col volto a pochi centimetri dal
suo e lo fissò negli occhi: — Non mi sarebbe dispiaciuto, se
lei avesse perduto: mi avrebbe permesso di curarla.
— Lei mi ha curato — replicò Morse — e gliene sono
grato! Senza dire altro, Eileen si alzò in piedi e Morse, con
un po'
di tristezza, la seguì con lo sguardo mentre si allontanava.
29
Io penso che rattristi i santi in cielo vedere quante
creature desolate sulla terra hanno conosciuto in ospedale i
semplici doveri della solidarietà e del reciproco conforto.
Elizabeth Barret Browning, Aurora Leigh
C'è un senso di tristezza che immancabilmente e misteriosamente accompagna la conclusione di un viaggio o di un
periodo di soggiorno. Se tale tristezza sia o no il presagio
dell'ultimo viaggio, che tutti dobbiamo fare, se più semplicemente sia o no una serie di lunghi o protratti addii… non è
importante discuterne qui. Ma per Morse, la notizia che sarebbe stato presto dimesso dal John Radcliffe Hospital era
meravigliosa e allo stesso tempo un po' triste. Il piacere della
musica lo aspettava? Sicuro! Presto si sarebbe goduto di
nuovo l'Addio di Odino dall'ultimo atto della Valchiria e poi
Pavarotti in una delle opere di Puccini… certamente a metà
mattina, quando i suoi vicini di casa erano fuori, a occuparsi
dell'Oxford Committee for Famine Relief. E avrebbe potuto
dedicarsi ai libri, anche. Si augurò che la guardia del quartiere avesse fatto il suo dovere in North Oxford e che la sua prima edizione di A Shropshire Lad (1896) fosse ancora al suo
posto nello scaffale: un volumetto bianco che si ergeva fiero
tra i suoi compagni, senza nessuna copertina particolare,
come un Principe reale senza guardia del corpo. Sì, sarebbe
stato bello essere di nuovo a casa: godere di quello che
ascoltava, che leggeva, che mangiava… o che beveva. Be',
entro limiti ragionevoli. Eppure, non c'era dubbio: avrebbe
rimpianto l'ospedale! Avrebbe rimpianto le infermiere, gli altri pazienti, la routine, le visite… tutto quanto si riferiva all'istituzione che, con i suoi pochi difetti e le sue molte virtù, lo
aveva accolto ammalato e lo rimetteva ora in libertà relativamente sano.
Ma l'abbandono della corsia 7C non sarebbe stata per
Morse un'esperienza memorabile. Quando un semplice squillo di campanello gli fece capire che avrebbe dovuto unirsi al
gruppo che sarebbe partito con l'ambulanza per North Oxford, non ebbe nemmeno il tempo di salutare nessuno. Uno
dei suoi compagni di corsia ("Waggie") era in bagno, impegnato nelle sue prime abluzioni postoperatorie. Un altro dormiva profondamente. Un altro ancora era stato appena portato al reparto radiologico. Il tedoforo etiope era seduto sul suo
letto con l'aria di chi non voleva essere assolutamente disturbato ed era immerso nella lettura de // biglietto azzurro (!). E
l'ultimo era relegato (e lo era da ore) dietro le tende che circondavano il letto: evidentemente gli rimaneva ben poco della sua vita terrena e forse aveva già detto addio a tutti. In
quanto alle infermiere, molte erano impegnate a svolgere i
loro compiti (una o due facce nuove, comunque), e Morse si
rese conto di non essere che uno dei tanti pazienti e per di
più uno che non aveva più bisogno di particolari attenzioni
come era accaduto una settimana prima. Non si aspettava di
rivedere Eileen, che ora aveva ripreso il turno di notte. Non
vide neanche la caposala, mentre un allegro, giovane portantino con gli orecchini e i capelli a spazzola lo spingeva sulla
sedia a rotelle. Vide invece la Bella Fiona che, seduta pazientemente accanto a un uomo anziano, gli teneva una sputacchiera davanti alle labbra gocciolanti. Con la mano libera
gli fece un segno di saluto e atteggiò la bocca a un "Buona
fortuna!". Ma Morse non sapeva leggere il movimento delle
labbra e, così, senza aver capito, fu spinto lungo il corridoio
d'uscita dove lui e il portantino rimasero in attesa che l'ascensore di servizio arrivasse al settimo piano.
30
Lente currìte, noctis equi!
(Oh, galoppate lentamente, cavalli della notte!)
Ovidio, Amores
Sebbene la signora Green avesse tenuto parzialmente
acceso il riscaldamento centrale, l'appartamento sembrava
freddo e tutt'altro che accogliente. Gli avrebbe fatto piacere
trovare qualcuno a riceverlo: certamente (e in modo particolare) Christine… o Eileen o Fiona… o, a ben pensarci, persino il temuto mostro di Lochness in persona. Ma non c'era
nessuno. Lewis non era venuto a ritirare la corrispondenza,
che era stata infilata nella buca della posta; così Morse raccolse da terra due biglietti di auguri natalizi (di cui uno della
sua compagnia di Assicurazioni, con il facsimile della firma
del direttore) e i suoi due giornali della domenica. Tali giornali, anche se ogni tanto c'erano variazioni qua e là nei titoli,
riflettevano invariabilmente il conflitto tipico di Morse tra la
Raffinatezza intellettuale, lo Spirito rozzo: Morse doveva
scegliere tra il titolo di prima pagina dell'uno, che era Sinodo
sulla Disputa della Privatizzazione, e Schiava del Sesso, Sei
settimane di Tortura in una Bara Foderata di Seta, che cam-
peggiava sulla prima pagina dell'altro. Se Morse avesse scelto il secondo (come in effetti fece) avrebbe avuto almeno la
scusante che quello era indubbiamente il titolo più attraente.
E quella domenica, come al solito, per prima cosa sfogliò le
pagine con fotografie di attrici maggiorate e con servizi speciali sugli intrighi di Hollywood e sulle infedeltà sentimentali. Poi si preparò una tazza di caffè solubile (lo preferiva di
gran lunga a quello vero) prima di mettersi a leggere informazioni sulle ultime oscillazioni nei mercati azionari del
mondo e le scoraggianti prospettive di malattie e di fame per
milioni e milioni di uomini dell'infelice terzo e quarto mondo.
Alle cinque e mezzo squillò il telefono e Morse ebbe un
Unico desiderio: che fosse Christine!
Ed era Christine!
Non soltanto aveva scovato il raro (e preziosissimo) libro del quale Morse le aveva parlato, ma aveva passato un'ora o più di quel pomeriggio ("Non lo dica a nessuno") a leggerne le pagine di maggiore interesse e a scoprire ("Mi auguro che non rimanga deluso!") che soltanto un breve capitolo
era dedicato alla conversazione che aveva avuto luogo tra
Samuel Carter e l'ormai anziano Walter Towns, circa il processo dei barcaioli.
— Ma è fantastico! — esclamò Morse. — Da dove sta
telefonando?
— Da… ehm… da casa. — (Perché quella esitazione?)
— Forse…
— Senta! — lo interruppe. — Ne ho fatto una fotocopia.
Vuole che gliela spedisca per posta? 0 potrei…
— Potrebbe leggermela rapidamente al telefono? Non è
molto lunga, lei ha detto?
— Non sono molto brava a leggere.
— Metta giù il ricevitore… la richiamo io! Così possiamo parlare finché vogliamo.
— Non sono ancora ridotta a questo punto, sa?
— D'accordo… coraggio, allora!
— Pagina 187, comincia… è pronto?
— Sono pronto, signorina!
"Tra le persone incontrate a Perthin in questi ultimi mesi
del 1884 c'era un tale chiamato Walter Towns. Sebbene fosse
noto come una celebrità locale, ho avuto difficoltà a capire
esattamente che cosa potesse aver conferito tale notorietà al
poveraccio al quale sono stato presto presentato: un ometto,
non più alto di un metro e mezzo, mingherlino, dall'aspetto
sparuto, con profonde rughe che gli solcavano le guance dagli occhi fino alla bocca. La sua carnagione giallognola non
era stata affatto toccata dai raggi di un sole che in questa parte del mondo è piuttosto violento, e la magrezza del suo volto era ancor più accentuata dall'assenza di denti in tutta l'arcata superiore della mascella. I suoi occhi, tuttavia, esprimevano una latente (se pur limitata) intelligenza e anche una
sfumatura di tristezza, come se stesse rievocando cose fatte
tanto tempo prima e fatte male. In realtà, la situazione di
quell'uomo era più melodrammatica di quanto i miei lettori
potrebbero desiderare, perché Walter Towns era stato strappato alla forca proprio all'ultimo minuto. L'ho intervistato
perciò con la massima curiosità e interesse.
"Sulle acque dell'Oxford Canal, nel 1860, era stata assassinata una donna e i sospetti erano caduti sull'equipaggio
di una piccola imbarcazione diretta a sud, verso Londra. I
quattro membri dell'equipaggio, compresi lo stesso Towns e
un ragazzo di circa quattordici anni, erano stati arrestati e
sottoposti a processo. Mentre il ragazzo era stato assolto, gli
altri tre erano stati condannati e incarcerati nella prigione
della città di Oxford, in attesa della pubblica esecuzione capitale. Era stato lì, due o tre minuti dopo l'ultima visita del
Cappellano ai prigionieri nelle loro celle della morte, che Towns aveva ricevuto la notizia della sospensione della sentenza. Certo, pochi esseri umani sono passati attraverso un'esperienza così drammatica. Eppure la mia conversazione con
Towns si è rivelata piuttosto deludente. Quasi analfabeta
com'era (cosa del resto comprensibile), l'uomo faceva anche
fatica a farsi capire. Al forte accento dialettale dell'Inghilterra occidentale si erano sovrapposte le deformazioni del modo
di parlare degli australiani, ed erano talmente forti che io riuscivo a seguirne le sue dichiarazioni solo con grande difficoltà. In breve, l'uomo sembrava incapace di affrontare le
difficoltà della vita… specialmente quelle a cui un uomo libero deve tener testa. E Towns era un uomo 'libero', dopo
aver scontato quindici anni di lavori forzati nel penitenziario
di Longbay. Un uomo finito, spento. Un uomo invecchiato
anzitempo (aveva soltanto quarantasette anni), un vecchio
forzato (un reietto) che aveva provato l'inesprimibile angoscia di chi sta per essere impiccato.
"In quanto ai raccapriccianti e macabri eventi, legati alle
ultime ore di tali criminali, non sono riuscito a cavarne granché. Tuttavia, alcuni fatti possono essere di un certo interesse
per i miei lettori. È accertato, per esempio, che i prigionieri
avevano fatto colazione a base di agnello arrosto con verdure, anche se sembra probabile, a giudicare dal confuso ricordo di Towns, che una tale colazione, o qualcosa di simile, sia
stata servita ai condannati durante tutto il periodo successivo
al giorno in cui era stata fissata la data della loro esecuzione.
Più angoscioso, dal punto di vista di Towns, era il fatto che
gli venisse negata la possibilità d'incontrarsi con i suoi compagni di pena e, se ho capito bene quello che lo sventurato
diceva, proprio questa 'limitazione' era stata la cosa più difficile da sopportare. Towns non riusciva a ricordare bene se
quella fatale notte avesse dormito poco o niente affatto, se
avesse pregato per invocare il perdono e la salvezza. Ma un
miracolo era effettivamente avvenuto!
"Sorprendentemente, non era stata l'impiccagione in se
stessa al centro degli angosciosi pensieri di Towns quella
notte. Era stata piuttosto la consapevolezza dell'interesse della gente per il caso: la notorietà, l'infamia, l'orrore, l'abominazione, il macabro spettacolo, la fama. Una fama che avrebbe potuto indurre quegli sfortunati uomini a percorrere gli ultimi pochi fatali metri con una certa forza d'animo, che si sa-
rebbe imposta all'ammirazione persino degli spettatori più
insensibili.
"Per quanto riguardava il delitto, Towns si protestava
del tutto innocente… una protesta non senza precedenti negli
archivi criminali! Ma il suo ricordo del viaggio sul canale…
e specialmente della stessa vittima, Joanna Franks… era
molto vivido e toccante. La donna era stata, agli occhi di Towns, enormemente attraente e non c'era da sorprendersi se
era divenuta quasi immediatamente l'oggetto delle loro voglie e causa di aperte gelosie. Infatti, Towns ricordava che
una volta due dei barcaioli (i due che erano stati alla fine impiccati) erano venuti alle mani proprio a causa di quella donna provocante e desiderabile. E uno di loro aveva un coltello! Persino il ragazzo, Harold Wootton, ne era stato ammaliato e la donna, tanto più vecchia di lui, quasi certamente
aveva approfittato della sua infatuazione. Nello stesso tempo, da quello che Towns ha dichiarato e dal modo in cui lo
ha fatto, sono portato a escludere che lui abbia avuto rapporti
sessuali con la donna.
"C'è un'aggiunta interessante da fare. Nel primo processo (come ho letto successivamente) l'accusa di violenza carnale o di furto aveva avuto maggior peso di quella di assassinio. Eppure, nel secondo processo, è stata l'accusa di assassinio a essere sostenuta. In casi del genere si può osservare che
l'accusa per un reato minore viene spesso lasciata cadere,
quando l'accusa di un reato più grave sembra più facilmente
sostenibile. Era questa, allora, la ragione per cui Towns era
sembrato più disposto a dire qualcosa a proposito dell'accusa
di furto? Non lo so. Ma lui era convinto, da quanto mi ha
raccontato, che Wootton era forse più interessato al furto che
alla violenza carnale. Dopo tutto, la possibilità di avere rapporti sessuali nel 1860 non era, del resto come adesso, una
rarità sulle vie d'acqua inglesi".
— Bene, ecco tutto! Lo spedisco questa sera, in modo
che lei…
— Non potrebbe fare un salto qui a portarlo?
— Be', è un brutto momento, questo — rispose Christine, dopo una breve pausa d'imbarazzato silenzio.
— D'accordo! — Morse non aveva bisogno di altre
spiegazioni. Aveva immerso il termometro nell'acqua e la
temperatura si era rivelata un po' troppo fredda per poter penare di fare il bagno insieme.
— Sa — disse Christine — io… io vivo con qualcuno…
— Il quale non pensa che lei debba passare tutto il suo
tempo ad aiutarmi.
— Ho anche continuato a parlare di lei — disse tranquillamente.
Morse tacque.
— Il suo indirizzo è quello che risulta dalla guida telefonica? E. Morse?
— Sì, è quello.
— La iniziale "E" per quale nome sta? Non ho mai saputo come chiamarla.
— Tutti mi chiamano "Morse".
— Lei non mi dimenticherà, vero? — chiese Christine
dopo una breve pausa.
— Cercherò di farlo, suppongo.
Morse continuò a pensare a lei per parecchi minuti,
dopo aver rimesso a posto il ricevitore. Poi si ricordò della
testimonianza di Samuel Carter e si meravigliò che un ricercatore dell'indubbia esperienza e dell'onestà di Carter potesse
commettere tanti errori in tre o quattro pagine: la data dell'assassinio, il marcato accento dell'Inghilterra occidentale, l'età
di Towns, il nome di battesimo di Wootton, l'accusa di violenza carnale lasciata cadere… Tuttavia, era molto interessante. Morse aveva persino intuito quella rissa col coltello!
Be', quasi: aveva pensato all'uomo sbagliato, ma…
31
La seconda linea costiera è rivolta verso la Spagna e
l'Occidente, e non molto lontano si estende l'isola d'Irlanda
che, secondo le stime, è grande soltanto la metà della
Britannia.
Giulio Cesare,
De Bello Gallico… sulla geografia dell'Irlanda
Dieci minuti dopo, il telefono squillò ancora e Morse
sentì nelle ossa che era di nuovo Christine Greenaway. Era
Strange, invece.
— È tornato a casa, allora, Morse… sì? Bene! Se l'è vista brutta, a quanto mi dicono.
— Sono in via di guarigione, ora, sovrintendente. È
molto gentile da parte sua chiamarmi.
— Non c'è nessuna fretta, sa… in quanto a ritornare in
ufficio, voglio dire. Al momento, siamo un po' a corto di personale, ma si prenda pure qualche altro giorno… per rimettersi in sesto. È una faccenda delicata, lo stomaco, lei lo sa.
Perché non cerca di andare via per qualche giorno… ambiente nuovo, albergo a quattro stelle? Lei può permetterselo,
Morse.
— La ringrazio, sovrintendente. Comunque, mi hanno
dato quindici giorni di convalescenza all'ospedale.
— Quindici giorni? Quindici giorni?
— Ehm… è una cosa delicata, lo stomaco, sovrintendente.
— Sì, be'…
— Tornerò in ufficio al più presto. E forse non mi farebbe male seguire il suo consiglio e cioè andarmene via per un
po'.
— Le farà molto bene! Il fratello di mia moglie (Morse
gemette dentro di sé) — è appena tornato da una vacanza
meravigliosa. In Irlanda… nel sud dell'Irlanda… in macchina… Fishguard… Dan Laoghaire… poi la costa
occidentale… lo sa, Cork, Kerry, Killarney, Connemara…
una meraviglia, a sentir lui. Ha detto che non si sarebbe visto
un terrorista nemmeno con il cannocchiale!
Era stato gentile da parte di Strange telefonare. Mentre
si sprofondava nella sua poltrona, Morse allungò pigramente
una mano per prendere dallo scaffale, riservato ai libri più
voluminosi, l'Adante; l'Irlanda, a pagina 10, aveva la forma
di una losanga verde e gialla: era un paese che Morse non
aveva mai prima preso in considerazione. Dov'era Kerry?
Ah, sì! Lassù a ovest di Tralee. Mosse il dito sulla mappa
lungo la costa verso Galway Bay. Poi la vide: Bertnaghboy
Bay. E improvvisamente il pensiero di andare a Connemara
gli parve oltremodo allettante. Da solo? Sì, forse doveva andarci da solo. E, in effetti, la cosa non gli dispiaceva. Era in
qualche modo, per temperamento, un solitario… poiché, sebbene non fosse mai del tutto felice quando era solo, era di solito un pochino più infelice quando era con gli altri. Sarebbe
stato bello portarsi dietro Christine, ma… e per qualche minuto i pensieri di Morse ritornarono alla corsia 7C. Avrebbe
mandato una cartolina a Eileen e a Fiona. E forse una anche
a "Waggie" Greenaway? Sì, sarebbe stato un pensiero gentile: "Waggie" era in bagno, quando lui era uscito dall'ospedale, ed era stato un simpatico…
D'un tratto Morse avvertì un fremito di eccitazione alla
nuca e poi nelle spalle. I suoi occhi si dilatarono e scintillarono come se in lui si fosse attivata una corrente interiore. Si
sdraiò nella poltrona e sorrise tra sé.
Una domanda interessante si fece strada nella sua mente: qual era la procedura per l'esumazione nella Repubblica
d'Irlanda?
32
Oh, quale ingarbugliata trama noi tessiamo quando
cominciamo a praticare l'inganno!
Sir Walter Scott, Marmion
— Lei che cosa? — chiese sbalordito Lewis che era andato a trovarlo verso le sette e mezzo di sera. ("Non prima
che The Archers sia finito": era stato questo il preciso ordine
dell'ispettore.) Lui stesso aveva fatto una piccola, interessante scoperta… be', in realtà, era stata la donna poliziotto alla
stazione di St. Aldates che l'aveva fatta. Comunque, sperava
che la cosa potesse divertire Morse nella sua assurda volontà
di "trovare Joanna Franks". Ma vedere Morse galoppare in
testa a tutti alla caccia di qualche sua immaginaria volpe
(Lewis non ne dubitava) era, se non proprio insolito, un po'
sconcertante.
— Vede, Lewis — (Morse, ormai non lo tratteneva più
nessuno) — questo è uno dei più begli imbrogli che ci sia capitato tra le mani. I problemi inerenti al caso… quasi tutti…
saranno risolti immediatamente, non appena avremo fatto un
altro passo nella "immaginaria inverosomiglianza".
— Ecco, mi ha già confuso le idee, ispettore — protestò
Lewis.
— No, non le ho confuso le idee. Faccia anche lei soltanto un altro passo avanti. Lei pensa di brancolare nel buio,
vero? Ma tutti brancoliamo nel buio. Io brancolavo nel buio,
finché non ho fatto un altro passo avanti. E, una volta che
l'ho fatto, mi sono trovato in pieno sole.
— Mi fa piacere sentirlo — borbottò Lewis.
— È semplicissimo. Quando ho letto quella storia, c'era
qualcosa che non mi convinceva… ero incerto, inquieto. Era
la faccenda della identificazione che mi preoccupava… e
avrebbe preoccupato qualsiasi investigatore del giorno d'oggi, lei lo sa! Ma, quello che più conta, se consideriamo la
psicologia dell'intera…
— Ispettore! — (Accadeva forse per la prima volta che
Lewis interrompesse il suo capo in modo così perentorio.) —
Potremmo… potrebbe… per favore lasciar perdere tutto questo discorso sulla psicologia? Sono già stufo di sentirne parlare da quelli dei servizi sociali. Non potrebbe dirmi semplicemente e…
— La sto annoiando: è questo che vuol dirmi?
— Esattamente, ispettore.
Morse annuì divertito. — Parliamone semplicemente, allora, va bene? Leggo una storia in ospedale che suscita il mio
interesse. Penso… penso… sono stati arrestati gli uomini
sbagliati e due di loro sono finiti impiccati per l'assassinio di
quella sgualdrinella di Liverpool. Come ho appena detto, ho
pensato che l'identificazione di quella donna fosse un po' sospetta. E quando ho letto le parole che i barcaioli avrebbero
usato riferendosi a lei… be', ho capito che ci doveva essere
qualcosa di fondamentalmente sbagliato. Vede…
— Lei ha detto che sarebbe venuto subito al punto,
ispettore.
— Ho pensato che il padre di Joanna… No! Ricominciamo dall'inizio! Il padre di Joanna ottiene un posto come
agente di assicurazione. Come molti altri nella sua condizione, cerca per prima cosa di assicurare qualcuno della sua
stessa famiglia, che si lasci facilmente convincere. Lui ci
guadagna una bella provvigione e, dopo tutto, non vende un
prodotto falso, non le pare? Ho motivo di pensare che Joanna
e il suo primo marito, il nostro amico prestigiatore, abbiano
presto figurato nella lista dei titolari di una polizza. Poi i
tempi si fanno duri e, per colmo di sfortuna, il signor Donavan, l'uomo più grande del mondo, se ne va al Creatore. E
quando il cordoglio di Joanna per la morte del marito si è un
po' attenuato, o piuttosto è svanito completamente, lei scopre
di aver fatto un ottimo affare con l'assicurazione sulla vita
del marito. Riscuote cento sterline, guadagnandoci considerevolmente, con una polizza che era stata stipulata soltanto
due o tre anni prima. Ora, più di cento sterline negli anni
1850 erano una grossa somma di denaro. Joanna, a quel punto, cominciò forse ad apprezzare le possibilità d'illeciti guadagni insite nel sistema e a intravedere nel settore delle assicurazioni non soltanto un potenziale beneficio per il futuro,
ma una concreta fonte di profitto nell'immediato. Così, dopo
la morte di Donavan, quando incontrò e sposò Franks, una
delle prime cose che fece fu di insistere perché il secondo
marito stipulasse un'assicurazione non sulla propria vita…
ma su quella di lei. Il padre poté concludere tale transazione
senza alcuna difficoltà, anche se è probabile che, subito dopo
tale operazione, la Notts and Midlands Friendly Society cominciasse à nutrire qualche sospetto sul padre di Joanna,
Carrick… Daniel Carrick… e gli facesse sapere che la sua
opera non era più…
— Ispettore!
Morse alzò la mano destra. — Joanna Franks non è stata mai assassinata, Lewis! È stata l'ideatrice, la testa pensante… c'era lei dietro un raggiro che avrebbe fruttato un considerevole profitto di cui c'era disperato bisogno. Era un'altra
donna, più o meno della stessa età e della stessa statura,
quella che è stata ripescata nell'Oxford Canal. Una donna
procurata dal secondo marito di Joanna, lo stalliere di Edgeware Road che aveva già compiuto il suo viaggio, un viaggio che di certo, non era stato difficile per lui\ Così era partito con carro e cavallo da Londra, per raggiungere la moglie a
Oxford. O, per essere più precisi, Lewis, a qualche punto di
approdo sul canale a nord di Oxford. Ricorda il libro del colonnello? — (Morse cercò il brano che aveva in mente) —
Lui… eccolo qui!… "spiegò come a seguito di una informazione che gli era giunta all'orecchio si era precipitato nell'Oxfordshire"… Che bugiardo!
Lewis, a questo punto interessato suo malgrado, fece un
vago cenno di assenso. — Perciò, quello che lei vuol dire,
ispettore, è che Joanna ha ideato questa truffa dell'assicurazione e che probabilmente ci ha guadagnato una bella sommetta per sé e anche per il padre?
— Sì! Ma non soltanto questo. Ascolti! Posso sbagliarmi, Lewis, ma penso che non soltanto Joanna è stata falsamente identificata come la moglie legittima di Charles
Franks… da Charles Franks… ma che Charles Franks fosse
l'unico marito della donna che, si supponeva, era stata assassinata sulla Barbara Bray. In breve, il "Charles Franks" che
scoppiò a piangere al secondo processo non era altri che
Donavan.
— Puah!
— Un uomo dalle molte risorse: un attore, un prestigiatore, un imitatore, un truffatore, un astuto maneggione, un
incallito assassino, ma anche un marito affettuoso, un testimone in lacrime, il primo e l'unico marito di Joanna Franks.
ET. Donavan. Abbiamo pensato… lei ha pensato… anch'io
ho pensato… che tre fossero i personaggi principali del nostro piccolo dramma. E ora io le dico, Lewis, che in tutta
probabilità ne abbiamo soltanto due. Joanna e suo marito…
l'uomo più grande del mondo, l'uomo sepolto sulla costa occidentale dell'Irlanda, dove si infrangono le ondate provenienti dall'Atlantico… almeno così dice la gente.
33
Stet diffìcilior lectio.
(Che la parte più difficile del testo aspetti.)
Principio comunemente adottato dai commentatori di
fronte a differenti interpretazioni di antichi manoscritti
Lewis taceva. Che altro poteva fare? Aveva in tasca un
prezioso indizio, ma la mente di Morse stava volando nella
stratosfera e quindi non aveva senso interromperlo di nuovo.
Depose sul tavolino da caffè la busta, che conteneva un unico foglio fotocopiato… e continuò ad ascoltare.
— Nella ricostruzione degli ultimi giorni di vita di Joanna troviamo degli indizi dai quali parrebbe che la donna non
fosse nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. A conferma di tale circostanza, starebbe il fatto che a un certo punto
lei si era messa a chiamare il nome del marito: "Franks!
Franks! Franks!". D'accordo? Ebbene, non era quello il nome
che gridava: lei stava chiamando il suo primo marito, Lewis!
Ero lì seduto a pensare a "Waggie" Greenaway…
— E a sua figlia — borbottò Lewis senza farsi sentire.
—… e poi mi è venuto in mente "Hefty" Donavan. ET. Donavan. E ci scommetterei la mia paga di un mese che quella
"F" sta per "Frank"! Diamine, chi ha mai sentito una moglie
chiamare il marito col suo cognome?
— Io sì, ispettore.
— Sciocchezze! Non più ai giorni nostri.
— Non mi riferisco ai giorni nostri. È stato…
— Lei chiamava Frank Donavan, creda a me!
— Ma forse quella donna era un po' toccata in testa e in
tal caso…
— Sciocchezze!
— Be', non potremo mai saperlo con certezza, le pare,
ispettore?
— Sciocchezze, le dico.
Morse si appoggiò allo schienale della poltrona con l'aria compiaciuta e baldanzosa di chi è convinto che ciò che
lui stesso ha per tre volte definito "sciocchezze" debba essere, in base a leggi universali, necessariamente errato. — Se
soltanto ne conoscessimo la statura, di Joanna e dell'altra
donna, chiunque questa fosse. Ma una possibilità c'è, non le
pare? Quel cimitero, Lewis…
— Che cosa preferisce prima, ispettore? La notizia buona o quella cattiva?
Morse lo guardò accigliato. — Questa è… — chiese indicando la busta.
Morse estrasse lentamente dalla busta il foglio fotocopiato e lo esaminò attentamente.
— Non è il verbale del coroner, ispettore, ma è come se
lo fosse. Questo medico deve averla vista prima dell'autopsia. Interessante, non le pare?
— Molto interessante.
Il verbale era stato redatto su un comune pezzo di carta,
datato e firmato da quello che sembrava essere un certo "Dr.
Willis", perché la scrittura, non soltanto era quella tipica dei
medici, ma era resa ancora più illeggibile da tutte quelle "m"
"n" "v" "u" "r" e "s" che non si distinguevano luna dall'altra.
Erano certamente gli appunti di un meticoloso medico locale, che era stato chiamato a confermare la morte e a prendere
i provvedimenti più urgenti: in questo caso, quasi certamente, scaricare l'intera faccenda sull'autorità giudiziaria. Tuttavia, in quel pezzo di carta c'erano due piccole, preziose perle:
il buon Willis aveva misurato esattamente l'altezza della donna morta e aveva fatto un paio di osservazioni assai pertinenti (e a quanto pareva corrette).
Deludente, però, dal punto di vista di Morse, era l'inequivocabile asserzione che il corpo era ancora caldo. Proprio questo documento doveva essere stato alla base dei risultati della successiva autopsia e di lì ripreso in corte e nel
racconto del colonnello. Ed era un vero peccato poiché, se
Morse non si sbagliava nel ritener che un'altra donna era stata buttata in acqua al posto di Joanna Franks, quella doveva
essere stata uccisa nelle prime ore della mattina e non poteva
essere stata annegata tre o quattro ore più tardi. Troppo rischioso. Era certo strano che la faccia della donna morta si
fosse annerita così in fretta, ma non si poteva contestare il
semplice fatto che il primo medico che aveva esaminato il
corpo lo avesse trovato ancora caldo. Ma era proprio questo
che risultava dal verbale… "ancora caldo"? No! No! Non risultava affatto. Diceva soltanto "caldo"… o no?
Morse rilesse di nuovo attentamente il verbale del medico e avvertì lungo la schiena un fremito che gli era familiare.
Era mai possibile? Avevano tutti frainteso le parole del medico? Tutte le annotazioni erano separate luna dall'altra da
qualche segno di interpunzione… trattini (otto) o punti fermi
(quattro) o punti di domanda (uno soltanto). Tutte le annotazioni tranne una: "corpo caldo completamente vestito…" eccetera. Non c'era né un trattino né un punto tra queste due
annotazioni, chiaramente prive di qualsiasi legame… a meno
che la fotocopia non fosse del tutto fedele al testo originale.
No! La soluzione era di gran lunga più semplice. Non c'era
nessuna interruzione che richiedesse un segno di punteggiatura! Morse riguardò di nuovo la decima riga del verbale, e
prese in considerazione altri tre fatti. In tutto il testo, le "s"
erano scritte quasi diritte come linee verticali. Delle quindici
"i", non meno di sei erano rimaste senza puntino e poi Willis
doveva avere un debole per la parola "was" (era). Perciò
quella riga doveva forse… doveva certamente!… leggersi
come segue: "on the mouth (right side) – body was in full
clothes" ("sulla bocca (lato destro) – il corpo era completamente vestito"). Il corpo non era "caldo" (warm), non nella
convinzione di Morse. Per lui, di colpo, il corpo era divenuto
freddo, molto freddo.
Lewis, pur accettando la possibilità di una diversa lettura, non sembrò condividere l'eccitazione da cui Morse era visibilmente preso. E forse era arrivato il momento di dargli la
cattiva notizia.
— Nessuna possibilità di verificare tutto questo nel vecchio cimitero di Summertown, ispettore.
— Perché no? Le pietre sepolcrali sono ancora lì, alcune
almeno. Dice così, no?… "io stesso le ho viste".
— Sono state tutte portate via, quando sul posto hanno
costruito delle case.
— Anche le pietre di cui parla il colonnello? Lewis annuì.
Morse sapeva benissimo, naturalmente, che qualsiasi
possibilità di ottenere l'autorizzazione a scavare in un angolo
del giardino di una casa di riposo era da escludere. Eppure, il
pensiero che avrebbe potuto forse trovare una conferma della
sua teoria… Ma non era una questione di vita o di morte, lui
lo sapeva. Non era nemmeno importante riparare a una lontana e tragica ingiustizia. Non era importante per nessuno, salvo che per lui. Fin da quando dai suoi primi giorni di scuola
in avanti, era venuto in contatto con le difficoltà della vita…
con il significato delle parole, con l'algebra, con le storie poliziesche, con le definizioni delle parole incrociate… lui era
stato sempre ansioso di trovare le risposte, che fossero pienamente soddisfacenti o meno. E ora, qualunque fosse stata la
motivazione, che l'aveva indotto a occuparsi di quel remoto
assassinio, provava un terribile senso di frustrazione al pensiero che la donna… o una donna… che lui cercava, fosse rimasta sepolta fino a tempi recentissimi in una tomba a North
Oxford. Ma era stata proprio Joanna Franks la persona sepolta a Summertown? Non c'era nessuna possibilità di saperlo,
ora… non con sicurezza. Ma se il meticoloso Dr. Willis era
stato preciso nelle sue misurazioni, quella donna non poteva
assolutamente essere Joanna.
Dopo che Lewis se ne fu andato, Morse fece una telefonata.
— Qual era l'altezza media delle donne nel diciannovesimo secolo?
— In quale periodo del diciannovesimo secolo, Morse?
— Diciamo verso la metà.
— Una domanda molto interessante.
— Allora?
— Variava, immagino.
— Coraggio, mi serve un'ipotesi!
— Scarsa alimentazione, mancanza di proteine… cose
di questo genere. Non molto alte in maggioranza. Certo non
più alte delle vittime di Jack lo Squartatore negli anni 1880:
uno e quarantadue, uno e quarantacinque, uno e quarantasette… più o meno. Be', questa era suppergiù l'altezza di quelle
care signore. Salvo una. Non si chiamava Stride? Sì, Liz
Stride. La chiamavano Liz la Lunga… tanto era più alta di
tutte le altre donne nelle case di correzione. Mi segui,
Morse?
— Quanto era alta… Liz la Lunga?
— Non lo so.
— Potresti accertarlo?
— Proprio adesso?
— E poi richiamarmi?
— Accidenti!
— Grazie, Max.
Morse era da tre minuti immerso nel duetto d'amore del
Primo Atto della Valchiria, quando il telefono squillò.
— Morse? Uno e cinquantotto. Morse fece un fischio.
— Prego?
— Ti ringrazio. Max. A proposito, sei al laboratorio per
tutto il giorno, domani? Ho qualcosa che vorrei mostrarti.
Perciò la "piccola figura" misurava due centimetri più di
Liz la Lunga, Liz Stride! E il numero delle scarpe, come
Lewis aveva accertato, era il trentanove! Bene, bene, bene!
Ogni fatto finora dissotterrato (anche se questa non era forse
la parola giusta) rafforzava virtualmente l'ardita ipotesi di
Morse. Ma non c'era, ahimè, nessuna possibilità di accertare
la verità. In ogni caso, non la verità a proposito di Joanna
Franks.
34
Zotici predoni hanno sparato alla Sinistra civetta: la torre è silente sotto la pallida luna; ma lady Porter, in cerca di
preda, presto la venderà per quattro soldi.
E.O. Parvot, "The Spectator"
La comunicazione ricevuta dalla compagnia di Assicurazioni era il terzo e ultimo sollecito per il versamento del
premio del mese precedente. E la prima cosa che Morse fece,
la mattina dopo, fu quella di spedire un assegno con una breve lettera di scuse. Morse non ci capiva molto nelle faccende
di soldi, ma una dozzina di anni prima aveva giudicato conveniente pagare un premio mensile di cinquantacinque sterline per un ammontare complessivo di dodicimila sterline, più
gli interessi, da versare al compimento del sessantesimo
anno… un traguardo che si profilava sempre più vicino. Non
si era mai posto il problema di ciò che sarebbe successo, se
fosse morto prima della scadenza della polizza. Non aveva
nessuna preoccupazione per se stesso: nessun problema finanziario per il momento, nessuna persona a carico, un discreto stipendio e un mutuo sulla casa che avrebbe finito di
pagare entro due anni. Rispetto alla maggioranza del genere
umano era molto fortunato, lo sapeva! Comunque, forse
avrebbe dovuto decidersi a fare testamento…
Nemmeno a farlo apposta, con Lewis aveva parlato di
assicurazioni il giorno prima, inventandosi tutto (lo ammetteva lui stesso). Ma era proprio così improbabile quello che
aveva immaginato? Tutte quelle truffe ai danni dell'assicurazione? Diede un'occhiata ai primi documenti fotocopiati che
Christine gli aveva portato in ospedale e ancora una volta
esaminò i dati e le cifre del tariffario per il 1859 della Nottinghamshire and Midlands Friendly Society.
Joanna era nata nel 1821. Perciò nel 1859 aveva trentotto anni. Se avesse stipulato una polizza di assicurazione sulla
vita un anno o due prima, cioè al compimento del trentaseiesimo anno, avrebbe pagato un premio annuale di tre sterline,
otto scellini e nove pence. In due anni, avrebbe versato meno
di sette sterline contro un rimborso di cento. Niente male. E
se Donavan avesse già intascato una somma simile…
Morse lasciò il suo appartamento a metà mattina (era la
prima volta che usciva, dopo il suo ritorno a casa) e imbucò
la lettera. Non incontrò nessun conoscente, mentre svoltava a
destra in Banbury Road e poi ancora a destra in Squitchey
Lane. Poi, prendendo la seconda traversa a sinistra, subito
dopo la cappella Evangelica (attualmente convertita in un
piccolo gruppo di abitazioni) si inoltrò giù per Middle Way.
Era una mattinata grigia e umida e un nugolo di corvi (forse
sbagliando l'ora) gracchiava tra gli alberi alla sua destra. Oltrepassò la Bishop Kirk Middle School, tra le graziose caset-
te allineate da una parte e dall'altra della strada, con le loro
finestre a bovindo ornate di colonnine… e, alla sua sinistra,
ecco Dudley Court, un condominio in mattoni color giallo
bruno al posto del vecchio cimitero della Parrocchia di Summertown. Un prato a forma di rettangolo, di circa cinquanta
metri per venticinque, si estendeva al di là di un muretto alto
una cinquantina di centimetri, scavalcato il quale Morse si
trovò sul terreno erboso disseminato di alberi di tasso e di
cespugli di bacche rosse. Alla sua sinistra, il terreno era delimitato dal fabbricato del Social Club. E contro la parete
esterna, sotto i rami di un gelsomino invernale, cresciuti senza nessun ordine apparente e nascosti dalle foglie di faggio,
riuscì a distinguere i resti di quattro o cinque vecchie pietre
tombali troncate alla base, simili ad altrettanti denti scheggiati sporgenti dalle gengive. Il fatto che la parete fosse così
vicina aveva evidentemente impedito di scavare più in profondità per rimuovere le pietre. Ma tutte le altre pietre tombali erano state rimosse forse già da parecchi anni… e debitamente registrate in qualche polverosa scatola piena di documenti, abbandonata sugli scaffali del locale ufficio Diocesano. Bene, Morse aveva almeno accertato un fatto: nessuna
testimonianza di sepoltura sarebbe venuta fuori da quei bei
prati. Nessuna! Eppure, sarebbe stato interessante sapere
dove sorgeva la lapide che aveva segnato (come il colonnello
l'aveva chiamata) la dimora ultraterrena di Joanna Franks.
O di chiunque altro.
Continuò oltre Dudley Court, dove un albero di Natale,
adorno di lampadine rosse, verdi e gialle, era già illuminato;
oltre la sede della North Oxford Conservative Association,
nella quale non aveva mai (e non avrebbe mai) messo piede;
oltre la Spiritualist Church, in cui (finora) non era mai entrato; oltre il basso edificio del Women's Institute HQ, dove una
volta aveva tenuto una conferenza sui pregi del Neighbourhood Watch Scheme. Infine, svoltando a sinistra, sbucò in
South Parade, proprio di fronte all'ufficio Postale, nel quale
si avventurava una volta all'anno per pagare la tassa di circolazione della sua Lancia. Ma, mentre camminava tra i vecchi,
familiari punti di riferimento, la sua mente era lontana e una
decisione precisa era stata presa. Se era proprio destino che
non dovesse trovare una delle "due persone sospettate" sarebbe andato a cercare l'altra! Aveva bisogno di un po' di riposo. Si sarebbe concesso un periodo di vacanza.
C'era un'agenzia di viaggi, dall'altra parte della strada; la
ragazza seduta alla prima scrivania a destra gli rivolse un radioso sorriso.
— Posso esserle utile, signore?
— Sì, grazie. Vorrei… — (Morse si sedette anche lui)
—…vorrei prenotare una vacanza, in macchina, in Irlanda…
nella Repubblica d'Irlanda, cioè.
Più tardi, quel giorno, Morse si recò alla William Dunn
School of Pathology in South Parks Road.
— Ti dispiace dare un'occhiata a questa roba? Astenendosi dal fare un qualsiasi apprezzamento, Max
fissò incerto l'amico, sbirciando sopra il bordo delle lenti a mezzaluna.
— Max, voglio soltanto sapere…
—… se provengono da M&S o da Littlewoods?
— Lo strappo, Max… lo strappo.
— Lo strappo? Quale strappo? — Max prese le mutande con una certa ripugnanza e le esaminò (come parve a
Morse) in maniera piuttosto superficiale. — Non c'è nessuno
strappo qui, Morse. Non il minimo segno di stiramento della
fibra del tessuto… cotone, è così?
— Credo di sì.
— Be', non abbiamo bisogno di un microscopio per scoprire che si tratta di un taglio: un taglio netto, pulito, diritto,
va bene?
— Con un coltello?
— Con che altro vuoi che si taglino le cose?
— Con un trinciante? Un paio di…?
— Morse, l'immaginazione umana è davvero una cosa
meravigliosa!
Era anche meraviglioso che Morse avesse ricevuto da
Max una risposta così inequivocabile a uno dei suoi quesiti:
la prima risposta del genere, in realtà, nella loro lunga e cordiale amicizia.
35
Non spargere su questo tumulo
Le rose che lei tanto amava;
Perché turbarla con le rose
Di cui non può sentire il profumo?
Edna St. Vincent Millay, Epitaph
L'ispettore Mulvaney lo scorse mentre parcheggiava la
macchina. Quando, dieci anni prima, la piccola stazione di
polizia di Kilkearnan era stata convertita nella brutta copia di
un Quartiere generale per la prevenzione della criminalità, la
Garda aveva ritenuto opportuno che la squadra di quattro poliziotti fosse diretta da un ispettore. Ora, guardando indietro,
sembrava forse una decisione un po' affrettata. Con circa un
migliaio di abitanti, Kilkearnan aveva la sua normale razione
di scazzottate e di risse all'esterno di un paio dei quattordici
pub. Ma la piccola comunità era riuscita a tenersi fuori dai
contrabbandi internazionali o dallo spionaggio industriale.
Persino gli incidenti stradali erano una rarità, anche se
questo era da attribuire alla relativa scarsità delle macchine,
più che alla sobrietà degli automobilisti. C'erano turisti, naturalmente, ma persino quelli, con le loro potenti Rover e
bmw, soprattutto nei mesi estivi, erano portati più spesso a
fermarsi a fotografare un asino che a costituire un rischio per
gli occasionali ubriachi.
L'uomo che stava parcheggiando la sua Lancia nell'unico posto disponibile (a parte quello riservato all'ispettore
stesso), Mulvaney lo sapeva, era il poliziotto inglese che
aveva telefonato il giorno prima, per chiedere assistenza nella ricerca di un cimitero (ma senza precisare il motivo…).
Forse si trattava di quello che dominava la Bertnaghboy Bay,
dato che era l'unico cimitero segnato sulla mappa locale.
Mulvaney era stato in grado di assicurare all'ispettore capo
Morse (era questo il suo nome) che doveva trattarsi del cimitero sul fianco della collina a ovest del paese: i morti del posto erano stati sempre sepolti lì, aveva affermato
Mulvaney… perché non c'erano altri cimiteri.
Dalla finestra, Mulvaney osservò Morse con una certa
curiosità. Non accadeva spesso che ci fossero contatti tra la
Polizia Britannica e la Garda e l'uomo che si avvicinava all'ingresso principale (l'unico) pareva un esemplare piuttosto
interessante: sui cinquantacinque anni, radi capelli grigi, un
po' di grasso superfluo e forse qualche segno che, come si
augurava Mulvaney, tradiva la sua propensione ad alzare un
po' troppo il gomito. Mulvaney non fu deluso dal nuovo arrivato, quando lo introdussero nel suo ufficio.
— Lei è in qualche modo legato al Mulvaney di Kipling? — chiese subito Morse.
— No, signore. Ma la sua è stata una bella domanda… e
l'istruzione, anche quella è una bella cosa.
Morse accennò alla sua inverosimile, ridicola e interessata missione e Mulvaney provò subito una forte simpatia
per lui. Nessuna possibilità, naturalmente, di ottenere un permesso di esumazione, ma forse Morse poteva essere interessato alle strane usanze locali relative allo scavo di una fossa
nella Repubblica d'Irlanda. Non si poteva mai scavare una
fossa di lunedì e questo per ragioni perfettamente valide che
lui aveva dimenticato. E quello non era un lunedì, vero? E se
veniva scavata una fossa, anche di lunedì, bisognava farlo
sempre… sempre, signore!… di mattina o la sera precedente.
Un'altra cosa importante riguardava le forche e i badili. Dovevano essere sistemati in croce sopra la tomba aperta, per
ragioni che non era certamente necessario spiegare a un
uomo della cultura di Morse. Infine, vigeva ancora la consuetudine secondo cui il parente più stretto del morto era tenuto a procurare una certa quantità di whisky irlandese da offrire intorno alla tomba agli altri membri della famiglia in
lutto e anche ai becchini, che con tanta fatica avevano scavato il suolo compatto e duro. Certo era un lavoro che faceva
venir sete, quello di scavare le fosse!
Perciò Morse, il parente più stretto, uscì nella principale
(e unica) High Street e comprò tre bottiglie di malto irlandese. Erano arrivati a un'intesa e Morse sapeva che, qualunque
fossero i problemi posti dall'equazione Donavan-Franks, la
faccenda dell'illegittimità dell'operazione sarebbe stata risol-
ta (se poteva essere risolta) con la piena comprensione e con
la collaborazione (non ufficiale) della Garda Irlandese.
Nella sua mente, Morse aveva immaginato una batteria
di lampade ad arco che illuminavano una ben delimitata tomba, con barriere innalzate tutto intorno, una squadra di agenti
per impedire al pubblico di curiosare e i fotoreporter che
puntavano i loro teleobiettivi sul posto. L'ora? Alle cinque e
mezzo del mattino, l'ora canonica per un'esumazione. E l'eccitazione sarebbe stata grande.
Ma non doveva essere così.
Insieme, Morse e Mulvaney avevano individuato abbastanza facilmente l'ultima dimora dell'uomo più grande del
mondo. In tutto, nella zona recintata del cimitero sul fianco
della collina, dovevano esserci state tre o quattrocento tombe. Una mezza dozzina di splendidi angeli e madonne facevano buona guardia qua e là, su alcuni dignitari di un tempo
e parecchie grosse croci celtiche contrassegnavano altre tombe. Ma la maggior parte dei morti giaceva abbandonata sotto
comuni pietre sepolcrali. Quella di Donavan, una povera
cosa ricoperta di muschio e di licheni con chiazze bianche e
giallastre, non era più alta di una sessantina di centimetri e
pendeva all'indietro, formando col terreno un angolo di una
ventina di gradi. La superficie della lapide era così consumata dalle intemperie che si potevano appena intravedere le linee generali delle lettere… e soltanto ai margini di una parte
centrale in via di disintegrazione.
— È lui! — esclamò Morse con aria di trionfo. — Sembra che si chiamasse Frank di nome.
— Che Dio conservi in pace la sua anima! — gli fece
eco Mulvaney —… se c'è, naturalmente.
Morse sorrise. Peccato aver conosciuto Mulvaney soltanto ora! — Come farà a spiegare…? — gli chiese.
— Dobbiamo solo scavare "un'altra" fossa, signore.
Allo spuntar del giorno… e proprio secondo le regole.
Tutto si svolse rapidamente. Mulvaney aveva ordinato,
ai due uomini incaricati, di scavare una fossa rettangolare davanti alla pietra tombale. E dopo aver scavato per una profondità di ottanta o novanta centimetri, una delle vanghe urtò
contro qualcosa che sembrava una bara di legno e che in effetti lo era davvero. Quando tutta la terra nera fu rimossa e
ammucchiata ai lati della buca, Morse e Mulvaney si trovarono a guardare una povera, semplice bara, su cui non era
stata nemmeno avvitata la targa col nome. Il coperchio, una
tavola di olmo dello spessore di circa tre centimetri, era in
discreto stato di conservazione, anche se tutto deformato.
Non parve necessario rimuovere la bara e Morse, tradendo
ancora una volta la sua inveterata ripugnanza per i cadaveri,
rinunciò all'onore di sollevare il coperchio.
Fu lo stesso Mulvaney che, stando scomodamente a
gambe divaricate sopra la fossa con le scarpe tutte infangate,
si piegò a sollevare il coperchio della bara, che venne via facilmente, poiché le viti si erano disintegrate da chissà quanto
tempo. Mentre il coperchio veniva lentamente sollevato,
Mulvaney vide, come anche Morse, pendere dal suo interno
una specie di muffa biancastra e nella bara, sopra il corpo,
una specie di protezione cosparsa della stessa muffa.
Tutto intorno, sul fondo della bara, era chiaramente visibile uno strato di segatura scura e umidiccia che pareva fresca, come se il corpo fosse stato sepolto soltanto il giorno
prima. Ma quale corpo?
— Perfettamente conservato, non le pare? È la torba che
c'è nel terreno che fa questo effetto.
Era stata l'osservazione di uno dei becchini, che sembrava molto più impressionato dalla perfetta conservazione del
legno che dall'assenza di un corpo. Perché la bara non conteneva nessun corpo. Conteneva invece un tappeto di colore
verdastro, lungo circa un metro e mezzo, arrotolato intorno a
qualcosa che faceva pensare a una mezza dozzina di blocchi
quadrati di torba. Di Donavan non c'era nessuna traccia…
nemmeno un pezzetto strappato dall'ultimo volantino pubblicitario del più grande uomo del mondo.
36
Il sapere di un uomo muore con lui e persino le sue virtù
sbiadiscono nel ricordo. Ma i dividendi delle azioni che
lascia in eredità mantengono viva la sua memoria.
Oliver Wendell Homes, The Professor at the Breakfast
Table
Morse si rimise abbastanza in forma nei giorni che seguirono il suo ritorno dall'Irlanda. E ben presto, almeno a suo
giudizio, era riuscito a riacquistare quell'aspetto sano e vigoroso che il suo medico definiva tipico di un uomo in salute.
Morse non chiedeva di più.
Si era comprato di recente una vecchia registrazione di
Furtwaengler dell'Anello dei Nibelunghi e durante le ore di
godimento paradisiaco, che quella esecuzione gli procurava,
il caso di Joanna Franks e le dubbie circostanze del giallo
dell'alzaia dell'Oxford Canal persero un po' alla volta di significato. L'indagine gli aveva procurato immenso piacere,
ma ora era terminata. Era sicuro al novantacinque per cento
che nel 1860 erano state impiccate le persone sbagliate, e
inoltre non c'era apparentemente nient'altro che potesse fare
per eliminare quel fastidioso, piccolo cinque per cento di
dubbio.
Natale si avvicinava veloce; Morse era contento di non
essere costretto a fare quelle estenuanti scarpinate per i negozi e di non dover comprare né calzini né profumi. Aveva ricevuto una dozzina di biglietti di auguri, l'invito a due ricevimenti serali e un biglietto dal John Radcliffe Hospital.
Ricevimento di Natale
Le infermiere del John Radcliffe Hospital saranno onorate della sua presenza la sera di venerdì, 22 dicembre, dalle ore venti a mezzanotte, al Nurse's Hostel, Headington
Hill, Oxford Disco Dancing, Fantastici Rinfreschi, Favolosi
intrattenimenti! Non è richiesto l'abito da sera. RSVP
Il biglietto stampato era firmato in penna blu: "Corsia
7C"… e seguiva una semplice "X".
Fu il venerdì, 15 dicembre, una settimana prima del ricevimento di Natale, che gli occhi di Morse caddero su un
nome della colonna degli "Annunci Mortuari" dell'"Oxford
Times".
DENISTON Margery, si è spenta serenamente nella sua casa di
Woodstock il 10 dicembre, all'età di settantotto anni. Per sua espressa
volontà, il corpo sarà destinato alla ricerca medica. Il British Legion
Club di Lambourn esprime la sua gratitudine per le offerte ricevute in
memoria del defunto Colonnello W.M. Deniston.
Morse tornò con la mente all'unica volta che aveva visto
la strana vecchietta, tanto orgogliosa del libro del marito…
un libro che aveva suscitato in Morse un vivo interesse e un
libro che, fra l'altro, non gli era costato niente. Firmò un assegno di venti sterline e lo chiuse in una comune busta gialla.
Aveva francobolli per posta espressa e posta ordinaria; per
quella busta, andava bene anche un francobollo ordinario:
dopo tutto, non era questione di vita o di morte.
Si disse che sarebbe andato ai funerali, se ci fossero stati. Ma era contento che non ci fossero: le austere solenni parole del servizio funebre, specialmente i brani della Bibbia,
assumevano sempre più il significato di una incombente minaccia per la sua tranquillità di spirito e, per il momento, tutto questo era qualcosa di cui poteva fare benissimo a meno.
Cercò nella guida telefonica l'indirizzo della British Legion
di Lambourn e poi anche quello di "Deniston, W.M.". Ed eccolo! 46 Church Walk, Woodstock. Avevano figli? Non si
sarebbe detto dall'annuncio funebre. E allora? Che cosa ne
sarebbe stato delle cose del morto, se non c'era nessuno a cui
lasciarle? Era forse questo il caso della signora Deniston?
Come capita a chiunque non abbia figli e non sia sposato…
Fu piuttosto difficile parcheggiare la Lancia e, alla fine,
Morse si vide costretto a qualificarsi con un vigile che, scorbutico, con molta riluttanza, gli accordò il permesso di parcheggiare per pochissimo tempo a cavallo della doppia riga
gialla, a una ventina di metri dalla casa di pietra grigia in
Church Walk. Bussò alla porta d'ingresso e fu subito fatto
entrare.
In casa c'erano due persone: un giovane sui venticinque
anni che, come spiegò, aveva avuto da Blackwells l'incarico
di catalogare i libri di un certo interesse nella libreria del defunto Deniston, e un pronipote del vecchio colonnello, l'unico parente in vita, che (come Morse immaginava) era lì per
un'eredità che doveva essere piuttosto modesta, a giudicare
dai prezzi correnti degli immobili a Woodstock.
A lui Morse dichiarò francamente qual era lo scopo della sua visita: non era venuto per chiedere nulla. Desiderava
soltanto sapere se il defunto colonnello aveva lasciato appunti o documenti relativi al Murder on the Oxford Canal. E,
fortunatamente, la risposta fu "sì" anche se un "sì" non molto
incoraggiante. Nello studio c'erano un manoscritto e un dattiloscritto. A una delle prime pagine del manoscritto era attaccata con una clip una breve lettera… una lettera senza data,
senza l'indirizzo del mittente e senza busta.
Caro Daniel,
ci auguriamo che tu sia stato bene nei mesi scorsi. Saremo a
Derby ai primi di settembre, quando potremo ritrovarci con te. Di' a
Mary, ti prego, che il vestito da lei confezionato ha avuto un grande
successo e quindi raccomandale di andare avanti con l'altro, quando si
sentirà meglio.
Affettuosamente,
Matthew
Tutto lì. Ma era abbastanza perché il colonnello ritenesse opportuno di conservare la lettera. C'era un solo "Daniel"
di cui si parlava nel Murder on the Oxford Canal: Daniel
Carrick di Derby, e qui c'era quell'elemento essenziale di
prova che collegava il racconto del colonnello, in maniera
tangibile, quasi fisica, all'intera triste vicenda. Era vero, Daniel Carrick non aveva mai occupato un posto rilevante nelle
riflessioni di Morse, ma avrebbe dovuto occuparlo. Quel Daniel era sicuramente implicato, come gli altri due, nel raggiro… il doppio raggiro… per effetto del quale la Nottinghamshire and Midlands Friendly Society aveva dovuto sborsare
un bel po' di soldi prima per la morte del grande Donavan, di
cui esisteva soltanto la bara vuota, e poi per la morte della
misteriosa Joanna che non era mai annegata. Morse girò dall'altra parte la lettera sbiadita e spiegazzata e vide sul retro
alcune annotazioni scritte a matita quasi certamente dalla
mano del colonnello. "Niente agli atti della compagnia di Assicurazioni… era così povera a quel tempo la signora C?
Non era stata informata della morte di J.? Il 12 di Spring
Street era ancora occupato il 12-4-1976!".
Ecco l'unico tenue legame con il passato… un concreto,
palpabile foglio di carta, su cui c'era scritto qualcosa, l'unico
minuscolo punto di contatto con uno dei protagonisti di quel
dramma del diciannovesimo secolo. In quanto ai due principali attori, l'unica prova, che sarebbe potuta venir fuori a loro
carico, era sepolta (o non se polta) con i loro corpi. Ma chi
mai sapeva… o chi mai poteva sapere dove fossero sepolti
Joanna e il più grande uomo del mondo?
37
I balli moderni sono un sinistro segno dei nostri tempi. I
ballerini non si guardano nemmeno l'un l'altro. Non sono che
una folla di individui isolati, che continuano a dondolarsi in
una specie di autoipnosi.
Agnes de Mille, "The New York Times"
Gli invitati al ricevimento sapevano benissimo che
quando il custode diceva mezzanotte intendeva dire ventitré
e cinquantacinque, ma pochi di loro ce l'avevano fatta ad arrivare al Nurse's Hostel prima delle nove di sera. In ogni
caso, l'evento non era destinato ad aver un significato universale e in se stesso non avrebbe avuto granché da offrire, a
parte un paio di ricordi, qualche fotografia mal riuscita e l'ingrato lavoro di spazzar via tutto la mattina seguente.
Quando Morse mosse i primi passi attraverso la stanza
rumorosa, vibrante, sfavillante di luci, erano ormai le dieci e
trenta e subito si rese conto di aver commesso un tragico errore accettando quell'invito. "Non tornare mai indietro!":
questo era il consiglio che avrebbe dovuto seguire. Eppure,
era stato così sciocco da rievocare le bianche lenzuola e la
Bella Fiona e l'Eterea Eileen. Che idiota! Prese posto su una
traballante sedia di legno e sorseggiò un punch tiepido e insipido, servito a ogni nuovo arrivato in bicchieri di plastica
bianca. Se il sapore poteva essere un valido elemento di giudizio, quel beveraggio era composto per circa il due per cento di gin, il due per cento di Martini, il dieci per cento di succo di arancia e l'ottanta per cento di limonata: ci sarebbe voluto molto tempo, secondo i calcoli di Morse, prima che quei
Fantastici Rinfreschi avessero un qualche effetto su di lui. Ed
era appena arrivato alla conclusione che il meglio era rappresentato dai cubetti di mela che galleggiavano sulla superficie
della bevanda, quando Fiona, trascinando via dalla pista da
ballo il suo spasimante dall'aspetto malaticcio, gli si avvicinò.
— Buon Natale! — si chinò e gli diede un bacio. Morse
continuò a sentire le sue labbra asciutte contro la sua guancia
mentre Fiona gli presentava l'imbarazzato giovanotto, gli augurava di nuovo buon Natale poi spariva, lanciandosi in un
vortice di spasmodiche contorsioni, come una marionetta in
preda a una crisi di epilessia.
Il bicchiere di plastica era vuoto e Morse si avviò lentamente verso una lunga fila di tavoli dove, sotto un velo bianco, scorse tortine di pasta frolla ricoperte di zucchero e spiedini di salsicce.
— Attaccheremo con quella roba quanto prima! — disse
una voce familiare alle sue spalle e Morse, voltandosi, si trovò di fronte a Eileen, grazie a Dio sola e, come poche altre,
in uniforme.
— Salve! — la salutò Morse.
— Salve! — rispose lei a bassa voce.
— Mi fa piacere vederla!
Lei lo fissò e annuì quasi impercettibilmente. Un uomo
alto, con l'aspetto di chi sia appena uscito da una scazzottata,
si materializzò dal nulla.
— Le presento Gordon — disse Eileen volgendo lo
sguardo al volto scarno dell'uomo. E, dopo avergli stretto la
mano, Morse si ritrovò di nuovo solo a chiedersi dove andare, dove sistemarsi e in che modo squagliarsela alla chetichella.
Era ad appena qualche metro dalla porta d'ingresso,
quando tutto a un tratto lei gli si parò davanti.
— Non vorrà svignarsela, spero! Nessie!
— Salve! Oh, no! Sono… Non dovrei fermarmi a lungo,
naturalmente, ma…
— Sono contenta che sia venuto. Lo so che lei è un pochino troppo vecchio per queste cose… — Con il suo cantilenante accento scozzese sembrava volesse prendersi affettuosamente gioco di lui.
Morse annuì. Non poteva contraddire quell'affermazione
e quindi abbassò lo sguardo per prendere dal bicchiere l'ultimo cubetto di mela rimasto.
— Il suo sergente la serviva meglio… in quanto a bevande, voglio dire.
Morse la guardò, di colpo, quasi come se non l'avesse
mai guardata prima. La sua pelle in quella luce stroboscopica
appariva quasi opalina e gli occhi erano di un bel verde smeraldo. I capelli biondo rame pettinati all'insù, mettevano in
rilievo l'ovale del volto, in cui le labbra sottili erano appena
disegnate dal rossetto. Per essere una donna, era piuttosto
alta, quasi quanto lui. Se soltanto (Morse pensò) avesse indossato qualcosa di diverso da quello sciatto, insignificante
vestito che non le donava per niente…
— Balliamo, ispettore?
— Io? No! Il ballo non è proprio una delle cose che mi
attirino, temo.
— Che cosa…?
Ma Morse non avrebbe mai saputo che cosa stesse per
chiedergli. Un giovane medico, sorridente, col volto acceso e
così a suo agio là dentro, l'aveva afferrata per la mano e la
stava trascinando verso la pista.
— Su, vieni, Sheila! E il nostro ballo, ti sei dimenticata?
Sheila!
— Non cercherà di tagliare la corda…? — gli stava dicendo lei da sopra la spalla ma era ormai sulla pista, ora,
dove in breve tutte le altre coppie formarono un circolo e i
due, Sheila e il suo giovane cavaliere, si abbandonarono a
uno scintillante numero di danza mentre tutti gli altri battevano ritmicamente le mani.
Morse sentì una fitta di gelosia, mentre li seguiva con
gli occhi, il corpo del giovanotto stretto contro quello di lei.
Era fermamente deciso a restare, quando lei glielo aveva
chiesto. Ma appena la musica cessò e Nessie, nella sua nuova
versione, finse di crollare sfinita e divenne il centro dell'entusiasmo generale, Morse depose il bicchiere di plastica sul tavolo vicino all'uscita e se ne andò.
La mattina seguente, alle nove e trenta, dopo un sonno
piuttosto agitato, chiamò il John Radcliffe Hospital e chiese
della corsia 7C.
— Potrei parlare con la caposala, per favore?
— Chi la vuole?
— È… una comunicazione privata.
— – Mi spiace, non possiamo ricevere comunicazioni
private. Se vuol lasciare il suo nome…
— Le dica soltanto che uno dei suoi vecchi pazienti della corsia…
— E la caposala Maclean che desidera?
— Sì.
— Se ne è andata, ha lasciato ufficialmente il servizio la
settimana scorsa. È stata nominata Director of Nursing Services…
— È andata via da Oxford?
— Parte oggi. È restata qui per la festa di ieri sera…
— Capisco. Mi dispiace di averla disturbata. A quanto
sembra, non ho molta fortuna.
— Sì, è così.
— Dove andrà?
— A Derby… al Derby Royal Infirmary.
38
La definizione stessa del termine "slum" riflette la
propensione della classe media per le case a schiera, dove
grandi valori vengono attribuiti a modeste situazioni.
James Stevens Curi, The Erosion of Oxford
Poiché la guida veloce era la sua unica debolezza (a parte le uova con patate) Lewis fu felice di essere invitato a guidare la Lancia di Morse sebbene quello fosse uno dei suoi
giorni di riposo. Le prestazioni della macchina erano straordinarie e il pensiero di percorrere il tratto della MI fino all'innesto della A52 era per Lewis molto allettante. Inoltre
Morse non aveva taciuto sul fatto che lo scopo principale
della missione era accertare se la strada "Spring Street" esistesse ancora come era esistita fino al 1976, alla periferia
nord di Derby.
— Abbia pazienza, Lewis: è tutto quello che le chiedo.
Non c'era voluto molto per convincere Lewis. Era stato
un momento eccezionale nella sua vita, quando Morse aveva
dichiarato ai suoi superiori che era soprattutto lavorando con
lui, il sergente Lewis, che il suo cervello funzionava a pieno
regime.
E ora mentre lanciava la macchina nella corsia di sorpasso della MI a Weedon, Lewis si sentiva pienamente soddisfatto del tipo di vita che aveva condotto in tutti quegli
anni. Sapeva, naturalmente, che l'attuale missione era una
causa persa. Ma missioni del genere non erano un'eccezione
a Oxford.
Non fu facile localizzare Spring Street, malgrado la
mappa acquistata da un giornalaio all'angolo, nella periferia
nord di Derby. Morse si era fatto sempre più irritabile, quando i passanti a cui Lewis si rivolgeva, dopo aver abbassato il
vetro del finestrino, erano sembrati completamente ignari
della situazione oppure avevano fornito indicazioni contraddittorie. Alla fine, comunque, la Lancia andò a fermarsi in
un'area contrassegnata da un tabellone su cui era scritto derby development complex, con due altissime gru gialle che
descrivevano un arco completo sopra le squadre di operai addetti alla demolizione.
— Potrebbe essere già troppo tardi? — azzardò Lewis.
— Non importa… gliel'ho già detto, Lewis. — Morse
abbassò il vetro dalla sua parte e si rivolse a un operaio tutto
impolverato, con un elmetto bianco in testa.
— Avete già spianato Spring Street?
— Be', non ci vorrà molto, capo — rispose l'uomo, con
un vago cenno al penultimo gruppo di case a schiera.
Morse, un po' infastidito da quel familiare "capo", tirò
su il vetro, senza nemmeno ringraziare, e fece anche lui un
vago cenno a Lewis, che subito mise in moto e andò a fer-
marsi dietro una gru della ditta costruttrice, un paio di traverse più avanti. Una giovane donna di colore, che spingeva una
carrozzina, assicurò a Morse che, sì, quella era Spring Street
e i due uomini uscirono dalla macchina guardandosi intorno,
Forse, qualche decina di anni prima, la zona aveva conosciuto tempi migliori. Tuttavia, a giudicare dal suo stato
attuale, ci si chiedeva se una qualsiasi casa in un posto così
deprimente potesse aver mai figurato nella categoria delle residenze "desiderabili". Costruite nei primi anni del 1800, erano in buona parte state abbandonate e parecchie erano addirittura completamente sbarrate con tavole di legno. Alcune
erano abitate, poiché qua e là il fumo si alzava nell'aria grigia
da miseri comignoli gialli, e tende di pizzo bianco pendevano dalle finestre coi vetri ancora intatti. Morse osservò con
disgusto i barattoli di birra schiacciati e le cartacce con i resti
di patatine che ricoprivano lo stretto marciapiede. Poi si avviò lentamente fino a fermarsi davanti a una porta d'ingresso,
verniciata in un colore che cinquantanni prima sarebbe stato
azzurro Cambridge, sulla quale era avvitata una targhetta col
numero 20.
Lo stabile faceva parte di un gruppo di sei case a schiera
e Morse, continuando a camminare, arrivò a una porta sulla
quale, a giudicare da segni appena visibili, era stato fissato
un tempo il numero civico 16. Qui Morse si fermò e fece un
cenno a Lewis… i loro occhi si volsero alle due case adiacenti, che erano state sprangate per tener lontani teppisti o
occupanti abusivi. La prima doveva aver avuto certamente il
numero 14 e la seconda il 12. Quest'ultima, il miserevole oggetto del pellegrinaggio di Morse, recava ancora il cartello
"Burton Road" attaccato alla parete di fianco anche se di
Burton Road non si vedeva più nessuna traccia.
Un cancello di legno, che pendeva tristemente da uno
dei cardini arrugginiti, portava in un cortile completamente
ricoperto di rifiuti e di erbacce: in un angolo, c'erano un vecchio triciclo da bambino e un carrello nuovissimo rubato da
un supermarket. I mattoni scoloriti dei muri esterni cadevano
a pezzi e l'unica intelaiatura di finestra ancora esistente era
stata completamente divelta, lasciando l'interno della piccola,
misera dimora esposta a tutte le intemperie. Morse infilò la
testa nell'intelaiatura vuota sopra il davanzale annerito, ma si
tirò subito indietro con un'espressione disgustata: in un angolo dell'angusta cucina c'era un mucchio di escrementi e, a
fianco, fette di pane bianco rinsecchite e ricoperte di muffa.
— Non è proprio una bella vista, vero? — bisbigliò
Lewis alle spalle di Morse.
— Lei è stata cresciuta qui — osservò Morse a voce
bassa. — Ha vissuto qui con sua madre… e con suo padre…
—… e con suo fratello — aggiunse Lewis.
Già! Morse aveva dimenticato il fratello, il fratello più
giovane di Joanna, il ragazzo che aveva lo stesso nome del
padre… anche lui completamente dimenticato.
Con una certa riluttanza, Morse lasciò il piccolo cortile
e lentamente tornò davanti alla casa, fermandosi in mezzo
alla strada deserta a guardare la casetta in cui Joanna Car-
rick-Donavan-Franks aveva probabilmente trascorso i primi
venti anni o poco più della sua vita. Il colonnello non aveva
indicato quando era nata esattamente, ma… Morse ripensò
alle date: nata nel 1821 e sposata al "grande uomo" nel 1842.
Come sarebbe stato rassicurante trovare una data segnata su
una di quelle case! Ma di date nemmeno l'ombra. Se la casa
era stata fabbricata negli anni 1820, era possibile che lei
avesse passato i primi vent'anni della sua vita in quella minuscola stanza, tra il lavandino e le pentole, tra il tavolo da stiro
e la cucina economica e i suoi genitori…? E il fratello più
giovane?
Lui, Morse, aveva un vivido ricordo di una cucina altrettanto piccola in una casa che (come gli era stato detto) era
stata demolita per far posto a un negozio di tappeti. Ma non
vi era mai più ritornato. Era sempre un errore tornare dove si
era nati, perché lì la vita era andata avanti perfettamente anche dopo che si era andati via e gli altri se l'erano cavata
egregiamente con il loro lavoro, anche se erano condannati a
vendere tappeti. Sì, quasi sempre un errore: com'era stato un
errore, per esempio, tornare in ospedale, sarebbe stato un errore anche presentarsi alla Derby Royal Infirmary (come
aveva avuto intenzione di fare) e annunciare con aria indifferente a Nessie che era passato per caso di lì e che voleva soltanto congratularsi con lei per la sua promozione…
Lewis aveva continuato a chiacchierare, mentre questi e
altri pensieri analoghi passavano e ripassavano nella mente
di Morse, che non aveva sentito niente di quello che il sergente gli aveva detto.
— Prego, Lewis?
— Stavo soltanto dicendo che è proprio quello che noi
facevamo, tutto qui… sopra la testa, come dicevo, e poi segnare la data.
Morse, incapace di capire una parola di quel discorso
senza senso, annuì come se avesse capito tutto e si diresse
verso la Lancia. Un enorme graffito bianco, tracciato a
spruzzo sulla parte più bassa del muro di una casa nell'altro
isolato, attirò la sua attenzione: GIÙ LE MANI DAL CILE ! Era difficile stabilire a chi, in quel posto abbandonato, potesse essere rivolta quella esortazione. Lo slogan PROVA IL TÈ GEO
LUMLEY sembrava molto più pertinente: era dipinto su una finestra murata del primo piano della vicina casa d'angolo a
lettere azzurre su sfondo giallo ocra, divenuto adesso di un
grigio sbiadito, colore nave da guerra. Quello slogan Joanna
avrebbe potuto benissimo vederlo ogni giorno, tanto era vecchio, mentre per quella strada si recava a scuola o a giocare:
uno slogan che apparteneva al passato, che gli operai addetti
alla demolizione avrebbero ben presto cancellato dalla storia
locale quando avessero colpito con le gigantesche palle di
ferro il fianco della casa, facendola crollare in una nuvola di
polvere.
Proprio come i vandali dell'Oxford City Council, quando…
— Lascia perdere, Morse!
— Dove andiamo, ora, ispettore?
Ci volle un bel po' perché l'ispettore parlasse, ma alla
fine disse: — Direttamente a casa, penso. A meno che non ci
sia qualche altra cosa che lei voglia vedere.
39
Quello per cui pensavi di essere venuto non è che un
guscio, una scorza senza valore da cui lo scopo si allontana
non appena è raggiunto. Non avevi nessuno scopo oppure lo
scopo è al di là della meta sognata e si dissolve nell'atto
stesso di raggiungerlo.
T.S. Eliot, Little Gidding
Raramente Morse si impegnava in una conversazione
quando era in auto e, com'era prevedibile, rimase in silenzio,
mentre percorrevano il breve tratto che portava all'autostrada. Il suo cervello, come al solito, era preso nelle maghe del
suo complesso meccanismo, in cui tornava insistente a riecheggiare quell'unico motivo di irritazione. Era sempre contrariato dal fatto di non sapere, di non aver udito, persino
quando si trattava dei particolari più insignificanti.
— Che cosa mi stava dicendo poco fa?
— Vuol dire quando non mi stava ascoltando?
— Me lo dica adesso, Lewis.
— Mi riferivo a quando eravamo piccoli, ecco tutto. I
genitori misuravano l'altezza di ognuno di noi bambini. La
mamma lo faceva sempre, a ogni compleanno, contro la pa-
rete della cucina. Dev'essermi venuto in mente sbirciando in
quella casa. Non nella prima stanza: lì c'era la carta da parati,
e di qualità, anche. E, come dicevo, mia madre era solita
metterci una riga da disegno sopra la testa e poi tracciare con
la matita un segno e la data…
Di nuovo, Morse non lo stava più ascoltando.
— Lewis, giri e torniamo indietro!
Il sergente lo guardò piuttosto perplesso.
— Le ho detto semplicemente di girare — ripetè Morse,
calmo, per il momento. — E poi, piano, se non le dispiace…
non c'è bisogno di mettere in pericolo la vita dei pedoni o degli animali del posto. Ma giri, per piacere!
Il dito di Morse sull'interruttore della cucina produsse
soltanto un inutile click, anche se la lampadina fissata al portalampada che pendeva privo di paralume dalle sconnesse tavole intonacate del soffitto sembrava piuttosto nuova. Qua e
là sulla parete, la carta da parati giallastra era stata strappata
via e in alto, nell'angolo umido sopra il lavandino, ne pendeva un grosso lembo.
— Dove prendevate di solito quelle misure, Lewis?
— All'incirca qui, ispettore. — Lewis, appena dentro la
porta della cucina, con la schiena appoggiata alla parete, aveva piazzato di taglio la mano sinistra sopra la testa, prima di
girarsi per valutare l'altezza del punto su cui aveva fatto un
segno con le dita.
— Uno e settantotto, a meno che non mi sia un po' accorciato.
La carta da parati in quel punto era sporca di una miriade di impronte digitali e pareva che non la cambiassero da
mezzo secolo o più. Intorno all'interruttore che non funzionava, l'intonaco si era scrostato e lasciava scoperti i mattoni
della parete divisoria. Morse strappò via una striscia di quella carta gialla e, sorprendentemente, ne apparve sotto un'altra
di colore azzurro chiaro, molto ben conservata. Ma lì non
c'era nessuna traccia del passaggio di Joanna. I due uomini
rimasero in silenzio e immobili, mentre il pomeriggio di minuto in minuto sembrava farsi sempre più freddo e buio.
— Era soltanto un'idea, no? — chiese Morse.
— Una buona idea, ispettore!
— Be', una cosa è certa! Non resteremo qui tutto il pomeriggio a strappar via dalle pareti generazioni di carte da
parati, con il buio che incalza.
— Non ci vorrebbe poi tanto tempo, le pare?
— Che cosa? Tutta questa robaccia…
— Ma sapremmo dove guardare.
— Davvero?
— È soltanto una casa piccola e, se dessimo un'occhiata
in giro, fino a una certa altezza, un metro e venti o un metro
e cinquanta dal pavimento… soltanto al pianterreno, penserei…
— Ma lei è un genio! Non lo sapeva?
— E lei ha una bella torcia in macchina.
— No — replicò Morse. — Temo…
— Non importa, ispettore! Abbiamo ancora una mezz'ora Prima che si faccia troppo buio.
Mancavano venti minuti alle quattro quando Lewis
mandò, dallo stretto corridoio, un infantile urlo di eccitazione.
— C'è qualcosa, qui, ispettore! E, penso, penso…
— Piano, piano! — mormorò Morse, avvicinandosi impaziente con una espressione di trionfo negli occhi grigio azzurro.
Un po' alla volta la carta fu tirata via, mentre gli ultimi
barlumi di luce di quella giornata di dicembre filtravano attraverso lo sporco lucernario sopra le teste di Morse e di
Lewis, che di tanto in tanto si guardavano l'un l'altro con
un'eccitazione del tutto sproporzionata alla situazione. Poiché lì, sull'intonaco originale della parete, sotto tre strati di
carta da parati ancora chiaramente visibili, c'erano due serie
di righe tracciate con matita nera: quella di destra comprendeva otto misurazioni, cominciando dalla più bassa a circa
un metro e cinque fino alla più alta a circa un metro e mezzo,
con la data completa per ognuna di esse. L'altra, a sinistra,
con soltanto due misurazioni (ma con quattro date)… e con
l'intonaco scrostato diagonalmente per cui in basso non si vedeva più niente.
Per alcuni istanti, Morse rimase lì nel corridoio buio a
fissare la parete, come se si trattasse di una reliquia sacra.
— Cerchi una torcia, Lewis, e un metro a nastro!
— Dove?
— Dove vuole. Tutti hanno una torcia.
— Tranne lei, ispettore!
— Inventi qualcosa! Dica che siamo dell'Azienda del
gas e che c'è una perdita al numero 12.
— Non c'è nessun impianto del gas nella casa.
— Su, si dia da fare, Lewis!
Quando Lewis tornò, Morse stava ancora studiando i
suoi segni sul muro sorridendo felice alle otto righe a destra,
come un giocatore che controlla la colonna vincente della
schedina del totocalcio. Prese la torcia e la puntò esultante
sulla parete. La nuova luce (per così dire) gettata sulla situazione, confermò subito che qualsiasi eventuale scritta al di
sotto dei loro reperti era irrimediabilmente perduta. La torcia
illuminò anche una lettera in mezzo, tra le due serie di misurazioni, un po' spostata verso destra, e quindi appartenente
con ogni probabilità alla seconda serie.
La lettera "D"!
Daniel!
Le righe a destra dovevano segnare di volta in volta l'altezza di Daniel Carrick e, se così era, quelle di sinistra appartenevano a Joanna Franks!
— Sta pensando quello che penso io, Lewis?
— Credo di sì, ispettore.
— Joanna si sposò nel 1841 o nel 1842… — Morse parlava a se stesso più che a Lewis. — Questo concordava col
fatto che le misurazioni terminano nel 1841, alla stessa altezza che lei aveva nel 1840. E suo fratello minore, Daniel, un
po' alla volta la stava sorpassando… all'incirca la stessa altezza nel 1836 e più alto di parecchi centimetri nel 1841.
Lewis si trovò d'accordo con Morse. — E lei se li aspettava in questo ordine, vero? Prima Joanna e poi il fratello, a
destra di Joanna.
— Sì. — Morse prese il nastro bianco e lo lasciò rotolare sul pavimento. — E soltanto un metro e mezzo, questo.
— Non credo che ce ne vorrà uno più lungo, ispettore.
Lewis aveva ragione. Mentre Morse teneva il metro per
l'estremità, dov'era segnato lo zero, sulla riga più in alto
di quelle che dovevano essere le varie misure di Joanna,
Lewis s'inginocchiò puntando il raggio della torcia sulle sudice mattonelle rosse del pavimento. No! Un metro più lungo
non era proprio necessario, poiché l'altezza era soltanto di un
metro e quarantaquattro centimetri e, come Lewis sapeva, la
donna che era stata tirata fuori dalle acque del Duke's Cut era
alta invece uno e sessantadue… almeno diciotto centimetri
più di quando era alta Joanna, prima che lasciasse Spring
Street per sposarsi! Era mai possibile, anche solo lontanamente possibile, che fosse cresciuta di diciotto centimetri
dall'età di ventun anni a quella di trentotto? Espresse in parole le sue perplessità.
— Io non credo, ispettore, che una donna possa…
— No, Lewis, nemmeno io! Se non è impossibile, sarebbe almeno un caso più unico che raro.
— Perciò lei aveva ragione, ispettore…
— Al di là di ogni ragionevole dubbio? Sì, credo di sì.
— Al di là di qualsiasi dubbio? — chiese Lewis calmo.
— Suppongo che in ogni cosa rimanga sempre quell'uno
per cento di dubbio.
— Ma lei sarebbe più felice, se…
Morse annuì. — Sì, se noi avessimo trovato proprio
quell'imo per cento. Come, per esempio, una "J" qui sulla parete o… non saprei.
— Non c'è nient'altro da scoprire, allora, ispettore?
— No, sono sicuro che non c'è altro — rispose Morse,
ma soltanto dopo aver esitato una frazione di secondo.
40
Il mondo è rotondo e il punto in cui sembra che finisca
potrebbe esserne anche soltanto l'inizio.
Ivy Baker Priest, Parade
— Che facciamo, ora, ispettore? — la domanda sembrava fatta apposta per ridurre la tensione.
Morse non lo sapeva ed era lontanissimo con la mente:
— Tutto è accaduto tanto tempo fa, Lewis — disse lentamente.
Il che era senza dubbio vero, ma non rispondeva affatto
alla domanda. E Lewis incalzò, con il risultato che tutti e due
insieme andarono a cercare il capocantiere. A lui, presentando il suo tesserino, Morse diede istruzioni circa la proprietà
al numero 12 di Spring Street, soprattutto riguardo a una serie di fotografie da prendere, più presto possibile, dei segni a
matita sulla parete dell'ingresso; lasciò intendere che aveva
alle spalle la Direzione della M15 e anche quella della MI6.
Sicuro, il capocantiere pensava di poter provvedere a tutto
senza nessuna difficoltà. Ammise con modestia di avere lui
stesso una certa pratica di macchine fotografiche. Poi, Lewis
riportò la torcia e il metro a nastro alla persona che glieli
aveva dati, e che appariva piuttosto sconcertata, e per quel
pomeriggio non ebbero più nulla da fare.
Mancavano cinque minuti alle sei, quando finalmente
Lewis si allontanò per la seconda volta dalla periferia nord di
Derby, dirigendo la Lancia verso l'innesto della A52 con la
M1, in direzione sud. Alle sei Morse si protese in avanti e
accese la radio per ascoltare le notizie. In un modo o nell'altro, il bilancio di quell'anno era stato negativo, funestato da
epidemie, fame, disastri aerei, incidenti ferroviari, l'esplosione di un impianto di trivellazione e terremoti vari. Ma nessun
disastro cosmico era stato segnalato dal precedente notiziario
delle tredici e Morse spense la radio, rendendosi improvvisamente conto di quanto si fosse fatto tardi.
— Sa, Lewis, che è già passata l'ora di apertura dei pub?
— Non dovrebbe in questi giorni, ispettore.
— Ma lei lo sa che cosa voglio dire!
— È un po' presto…
— C'è qualcosa che dobbiamo festeggiare, Lewis! Si
fermi al primo pub e le offro una birra.
— Davvero?
Morse non era particolarmente noto per la sua generosità verso i dipendenti, o i superiori, e Lewis sorrise tra sé
mentre si guardava in giro in cerca dell'insegna di un pub.
Un'attività che gli era piuttosto familiare. — Ma io devo guidare, ispettore.
— Giusto, Lewis. Non vogliamo avere noie con la polizia!
Mentre sorseggiava il suo St. Clements e ascoltava Morse impegnato in un'interminabile conversazione con il proprietario del locale, circa la disonestà dei fabbricanti di birra,
Lewis provò un inspiegabile senso di felicità. Era stata una
bella giornata e Morse, dopo essersi scolato la terza pinta di
birra con la sua abituale rapidità, era apparentemente già
pronto a partire.
— La toilette? — chiese.
Il proprietario del pub gliela mostrò.
— Potrei usare il telefono?
— E lì, appena fuori della toilette.
Lewis sentì Morse che parlava al telefono. Era qualcosa
che aveva a che fare con un ospedale, ma lui non era il tipo
da impicciarsi degli affari degli altri e perciò uscì e rimase
vicino alla Lancia, in attesa che il suo capo riapparisse.
— Lewis… io… ehm… vorrei che facessimo un salto
all'ospedale, se non le dispiace. Il Derby Royal Hospital.
Non ci porta molto fuori strada, mi dicono.
— Di nuovo noie allo stomaco, ispettore?
— No!
— Non avrebbe dovuto bere tutta quella birra, però…
— Allora mi ci porta o no?
Morse, Lewis lo sapeva, stava diventando sempre più
restio a camminare a piedi, anche se si trattava soltanto di un
centinaio di metri, e ora insisté perché Lewis parcheggiasse
nell'area riservata alle autoambulanze, appena fuori dell'ingresso principale dell'ospedale.
— Quanto tempo si fermerà, ispettore?
— Quanto tempo? Non so, Lewis. Ma è la mia giornata
fortunata, non le pare? Perciò potrei trattenermi un po' a lungo.
Passò una mezz'ora prima che Morse tornasse. Lewis
stava chiacchierando allegramente con uno degli autisti delle
autoambulanze: l'argomento era l'ottima tenuta di strada della Lancia.
— Tutto bene, allora, ispettore?
— Ehm… be'… senta, Lewis! Ho deciso di passare la
notte a Derby.
Lewis inarcò le sopracciglia.
— Sì! Penso… vorrei trovarmi lì, quando prenderanno
quelle fotografie… lei sa…
— Io non posso fermarmi, ispettore. Sarò di servizio…
— Lo so. Non le sto chiedendo di restare. Tornerò in
treno… nessun problema… Derby, Birmingham, Banbury…
semplicissimo!
— Ne è certo, ispettore?
— Certissimo. Non le dispiace, vero, Lewis? Lewis
scosse il capo. — Be', penso che sia meglio…
— Sì, che lei vada. E non corra troppo!
— Vuole che l'accompagni… in un albergo o in qualche
altro posto?
— No, non occorre che si disturbi. Troverò senz'altro
qualcosa.
— Mi sembra che lei abbia già trovato qualcosa.
— Ah sì?
Mentre la Lancia accelerava lungo il raccordo per la MI
in direzione sud, Lewis rideva ancora tra sé ricordando l'espressione felice sul volto di Morse, quando si era voltato e
si era diretto di nuovo verso la porta girevole dell'ospedale.
EPILOGO
Il nome è per un uomo una condanna da cui non si
riprende mai.
Marshall McLuhan, Understanding Media
La mattina di venerdì 11 gennaio (aveva ripreso servizio
il giorno di Capodanno), Morse prese il primo Cathedrals
Express per Paddington. Quella mattina alle undici avrebbe
dovuto tenere un discorso allo Hendon Symposium sulla criminalità nei centri cittadini. Metropolitana fino a King's
Cross, poi la Northern Line. Semplice. Tutto il tempo che
voleva. In ogni caso, gli piaceva viaggiare in treno e, quando
Radio Oxford aveva annunciato ghiaccio sulla M40, non
aveva avuto più esitazioni. Significava anche, naturalmente,
che avrebbe potuto concedersi qualche libertà in più, se durante il viaggio fossero stati serviti dei rinfreschi.
Comprò il "Times" e l'"Oxford Times" all'edicola. Trovò un posto a sedere in fondo al treno e a Didcot aveva già
risolto il cruciverba del "Times", a parte una definizione.
Un'occhiata al suo fedele Chambers sarebbe bastata per risolvere immediatamente il problema, ma non aveva il dizionario con sé e, come sempre, si sentì contrariato dalla sua inca-
pacità di aggiungere il tocco finale a quello che faceva. Si affrettò a completare le caselle vuote con un paio di lettere fasulle (per far colpo sui suoi compagni di viaggio nel caso che
qualcuno lo osservasse) e poi lesse le lettere al direttore e gli
annunci mortuari. A Reading attaccò il cruciverba dell'"Oxford Times". Era firmato "Quixote" e Morse rise tra sé: si era
ricordato di "Waggie" Greenaway, quando aveva risolto un
cruciverba dello stesso autore, risolvendo la definizione "Il
famoso duck di Bradman" e completando con Donald la prima definizione orizzontale. Niente di così divertente, questa
volta… e tuttavia era un cruciverba molto interessante. Dodici minuti. Niente male!
Si rese appena conto del passaggio di "Maidenhead",
mentre il treno in corsa attraversava la città, e prese un fascio
di carte dalla sua cartella. Passando in rassegna l'elenco alfabetico dei partecipanti al Convegno, non trovò nessuna sua
conoscenza dalla lettera A alla lettera D. Poi passò ai nomi
sotto le lettere E e F:
Eagleton
Ellis
Emmet
Erskine
Farmer
Favant
Fielding
Tom Eagleton lo conosceva. E anche Jack Farmer. E...
Morse si arrestò e guardò di nuovo il nome centrale tra i tre
delegati alla lettera F. Gli sembrò vagamente familiare. E
tuttavia non riusciva a ricordare dove… non era certo un
nome comune. L'occhio di Morse proseguì lungo la lista… e
allora ricordò. Sì! Era il nome dell'uomo che aveva camminato lungo l'Oxford Canal, quando Joanna Franks era stata
assassinata… cioè quando si supponeva che Joanna Franks
fosse stata assassinata. L'uomo, forse, che era stato rintracciato al Neg's Head, dove aveva firmato il registro. Un uomo
misterioso. Forse quello non era affatto il suo vero nome,
poiché il canale pullulava di uomini che usavano falsi nomi.
Infatti, come Morse ricordava, due dei barcaioli della Barbara Bray avevano un falso nome: Alfred Musson, alias Alfred
Brotherton, e Walter Towns, alias Walter Thorold. Poteva
avere un profondo significato psicologico il fatto che i criminali fossero a volte restii a dare i loro nomi, anche se questo
comportava un maggiore rischio in caso di futura identificazione. Morse lo aveva constatato molto spesso. Era come se
il nome fosse una parte intrinseca dell'uomo e quindi non dovesse mai essere svelato completamente, come se facesse
parte della sua persona alla stessa stregua della pelle. Musson aveva conservato il suo nome di battesimo. E così aveva
fatto anche Towns.
Morse passò il resto del viaggio a guardare oziosamente
dal finestrino. Il suo cervello stava cercando di mettere ordine tra i pensieri confusi, mentre il treno entrava nella stazione di Paddington: Donald Bradman… Don Bradman, il
nome con cui tutti conoscevano il più grande battitore di tutti
i tempi. E ET. Donavan, il più grande uomo del mondo. E…
Perdio! Il sangue gli si gelò nelle membra, quando si ricordò dell'uomo che aveva identificato il corpo di Joanna
Franks: l'uomo che non aveva avuto la forza di alzare gli occhi per guardare in faccia i prigionieri, l'uomo che si era coperto il volto con le mani, mentre piangendo girava le spalle
ai barcaioli chiamati in giudizio davanti alla corte. Perché si
era comportato così? Si chiese Morse. Perché i barcaioli
avrebbero potuto riconoscerlo. Perché lo avevano visto, anche se fugacemente, nella luce dell'alba, quando "si era affrettato a proseguire per la sua strada a tutta velocità". Donald Favant… o Don Favant, come lui avrebbe certamente
preferito chiamarsi.
Morse trascrisse quelle lettere d-o-n f-a-v-a-n-t sul margine inferiore dell'"Oxford Times" e poi, sotto, il nome di cui
quelle lettere erano lo stupefacente anagramma: il nome di
ET. Donavan, il più grande uomo del mondo!