Non abbiamo niente da difendere - Informa

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Non abbiamo niente da difendere - Informa
Non abbiamo niente da difendere
Né delle leggi che dovrebbero garantirci, né un qualunque lavoro che dovrebbe permetterci di
“realizzarci”. Il lavoro non è altro che sfruttamento, fatica, noia, umiliazione. Ogni legge non
è altro che l’espressione della dominazione di alcuni strati sociali su altri, che costituiscono la
maggioranza della popolazione. I nostri famosi “diritti” non sono altro che il paravento del
mercanteggiamento fra la nostra docilità e l’espropriazione delle nostre vite.
Siamo numerosi a scendere nelle strade, in questi giorni. Giornalisti, sindacalisti e politici
(anche “alternativi”) vorrebbero irreggimentarci dietro il semplice rifiuto della “Legge
lavoro”. Ma, in effetti, ce ne sbattiamo di questa ennesima riforma di un Codice del lavoro
che esiste per aggiogarci al lavoro. Sputiamo sulla schiavitù a vita del contratto a tempo
indeterminato, come sulla difficoltà quotidiana della precarietà. Quello che riempie le strade,
in questi giorni, è il fatto che ne abbiamo abbastanza di questo mondo sempre più invivibile.
Quello che appare qui è il rifiuto del lavoro, la coscienza forse ancora imprecisa, ma ben
presente, che ogni legge è una catena. Ci sono, qui e là, delle piccole scosse nella normalità di
questa società: fremiti nei quali possiamo vedere un rifiuto della sottomissione e
dell’impotenza quotidiane, una critica della rassegnazione generalizzata.
Questo mondo è invivibile. Da una parte uno Stato sempre più repressivo – visto che la carota
dello Stato sociale sta finendo (non per tutte le categorie, certo: il vecchio precetto di dividere
per meglio regnare è sempre efficace), resta solo il bastone. Dall’altra parte, delle pretese
alternative che non rappresentano che la volontà di fare gestire questa stessa società da
sindacati e partiti di sinistra, che non hanno nemmeno più delle illusioni da vendere. Oppure
degli incubi tetri che danno un aspetto ancor più morboso all’autorità: chiusure comunitarie,
ritorno della religione e dell’oppressione morale.
In questo panorama cupo, aggrapparsi ad un angolo di territorio o ad una situazione sociale
determinata significa giocare sulla difensiva, rinunciare all’audacia dei sogni. Ma né una
qualunque “zona da difendere” in un mondo inghiottito dalle nocività, né una Giustizia che
esiste per sanzionare l’ineguaglianza e la privazione di libertà, né qualche diritto a farsi
sfruttare per tutta la vita, potranno mai accontentarci.
Questa piccola fessura nella normalità che sono le mobilitazioni con la scusa dell’ennesima
riforma del Codice del lavoro, vogliamo allargarla, affinché essa diventi una breccia, da cui
raggiungere la fine dello sfruttamento. Facciamo in modo che il vaso che comincia a
traboccare si rompa. Non accontentiamoci delle promesse politiche, cacciamo i mediatori
sociali (come i sindacati), scateniamo la nostra rabbia contro questa società che ci ruba,
giorno dopo giorno, le nostre vite. Prendiamocela con le basi morali e sociali dell’autorità. Ed
anche con le sue strutture materiali: negozi, luoghi di produzione, uffici pubblici, veicoli,
mezzi di trasporto di persone, merci ed energia… Prendiamocela con gli uomini e le donne
che l’incarnano: sbirri, padroni, giudici, capi di ogni risma, burocrati, vigilantes, politici,
secondini… In molti, in piccoli gruppi o soli, di giorno come di notte, quando e dove il potere
non ci aspetta.
Una recente scritta murale, spesso ripresa, dice: ”il mondo o niente”. Ma non abbiamo niente
da difendere in questo mondo che non ci appartiene in niente, a cui non apparteniamo. Un
mondo che vogliamo distruggere.
La festa non ci aspetta solo sulle sue macerie, ma già nella rivolta, qui ed ora. Non c’è ritorno
indietro.
Contro ogni legge, contro il lavoro. Contro questo mondo di reclusione e di sfruttamento.
Per la libertà!
[manifesto attacchinato a Parigi e altrove, inizio aprile]
https://nantes.indymedia.org/articles/34032