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Archivio selezionato: Sentenze Tribunale Autorità: Tribunale Data: 02/03/2016 n. 370 Classificazioni: RESPONSABILITÀ CIVILE - Amministrazione pubblica - - U.S.L. e ospedali pubblici (Servizio Sanitario Nazionale) REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI - - Sezione Civile - in composizione monocratica in persona del giudice Cinzia Ferreri ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. ___ del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 201_ vertente tra C. B. (avv. XX); Attore contro AZIENDA SANITARIA -, in persona del legale rappresentante pro tempore (avv. XX); convenuta nonchè Società XX di assicurazioni (avv. XX) terza chiamata e XX Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a. in L.C.A.; terzo chiamato contumace Oggetto: responsabilità professionale. Fatto RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con l'atto introduttivo del giudizio l'attore ha convenuto l'Azienda sanitaria provinciale di chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa di una patologia infettiva da “Pseudomonas aeruginosa” di origine nosocomiale diagnosticata in data 09.01.2009 ed insorta in seguito ad una serie di ricoveri e interventi chirurgici (dal 19.07.2007 al 10.09.2008) per il trattamento di una frattura pluriframmentaria (scomposta) collo dell'astragalo sn, IV classe secondo Hawkins-Canale-Kelly, riportata dall'attore in occasione di un infortunio sul lavoro in data 19.07.2007. Costituendosi in giudizio, l'Azienda sanitaria provinciale di -, preliminarmente ha chiamato in causa le proprie compagnie assicurative Società XX assicurazioni e XX di Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a. in L.C.A; nel merito ha contestato le domande attoree, chiedendone il rigetto perchè infondate in fatto e in diritto; in subordine ha chiesto dichiarare XX assicurazioni e Società XX assicurazioni obbligate a garantire e manlevare l'azienda sanitaria delle somme che la stessa fosse tenuta eventualmente a corrispondere in relazione ai fatti per cui è causa, condannandole ai corrispondenti rimborsi. Costituitasi in giudizio, Società XX assicurazioni ha eccepito l'inoperatività della garanzia assicurativa derivante dalla polizza RCT/O PA n. (omissis...), avente per oggetto, in virtù, di apposita clausola contrattuale, unicamente le richieste di risarcimento avanzate nel relativo periodo di efficacia; nel merito ha chiesto il rigetto delle domande attoree, perchè infondate in fatto e in diritto; in subordine ha chiesto ridurre il quantum del risarcimento alla misura eccedente le prestazioni erogate ed erogande dall'INAIL. La domanda è fondata e va accolta nei termini appresso indicati. In punto di diritto, giova osservare che la struttura sanitaria “risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dall'inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l'ospedale si avvale” (cfr. Cass. sentenza n. 1620 del 03/02/2012). L'anzidetta qualificazione va ribadita pur alla luce della previsione recata dall'art. 3, comma 1, della legge n. 189/12 (cd. legge Balduzzi). Invero, la Suprema Corte ha chiarito “L'art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve", fermo restando, in tali casi, "l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile", non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve dovendosi considerare il riferimento all'art. 2043 c.c.” (Cfr. Cass. n. 8940 del 17.04.2014). Aderendo a questo orientamento sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d'opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall'art. 1218 c.c. Dal riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità del sanitario discende che, in ordine alla distribuzione dell'onere della prova, è a carico del danneggiato la prova dell'esistenza del contratto e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie), nonchè del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico di questi ultimi o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (cfr. Cass. sentenza n. 4400/2004; n. 9085/2006). Dunque in ragione della natura contrattuale del rapporto sottostante opera una presunzione semplice di responsabilità a carico sia degli enti che dei medici alle loro dipendenze ex art. 1218 c.c. e l'onere della prova che l'insuccesso non sia dipeso da mancanza di diligenza (e, soprattutto, di perizia professionale specifica) incombe a carico dei medici e degli enti di appartenenza. Con specifico riferimento alle ipotesi in cui l'eziologia del danno sia ricondotta alla contrazione di una patologia infettiva in ambiente ospedaliero - cd. infezione nosocomiale - applicando il ricordato criterio di riparto dell'onere probatorio graverà sulla struttura sanitaria convenuta, una volta che sia stato accertato il nesso causale tra il lamentato pregiudizio e l'infezione de qua, l'onere di dimostrare di avere diligentemente adempiuto la "prestazione" offerta al paziente, anche sotto il profilo dell'adozione, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e delle leges artis onde scongiurare l'insorgenza di patologie infettive a carattere batterico; nonchè della prestazione, ad opera del proprio personale medico, del necessario e doveroso trattamento terapeutico successivo all'eventuale contrazione dell'infezione da parte del paziente. In merito all'accertamento del nesso di causalità va ricordato che giurisprudenza di legittimità ha accolto (sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite penali n. 30328/ 2003) il criterio della “probabilità logica”. Sulla scorta del principio della “ragionevole probabilità”, la Cassazione civile ha affermato che “in tema di responsabilità civile, per l'accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica. Ne consegue che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile” e che “è configurabile il nesso causale - la cui sussistenza deve essere provata dal danneggiato ai sensi della norma generale prevista dall'art. 2697 cod. civ. - fra il comportamento omissivo del medico e il pregiudizio subito dal paziente qualora attraverso un criterio necessariamente probabilistico si ritenga che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili probabilità di evitare il danno verificatosi” (cfr. Cass. Sentenza n. 14759/2007; n. 867/2008). Ciò premesso, in ordine alla degenza ospedaliera dell'attore presso l'azienda ospedaliera “Ospedali riuniti di XX” e alla relativa vicenda clinica, emerge dalla documentazione versata in atti e dall'accertamento tecnico del ctu, oltre ad essere pacifico tra le parti, che C. B.: - in data 19.07.2007, in seguito ad un infortunio sul lavoro, riportava “frattura pluriframmentaria (scomposta) collo dell'astragalo sn (Hawkins IV- Canale-Kelly)”; - ricoverato presso la UO di Ortopedia dell'Ospedale di XX in data 01.08.2007 veniva sottoposto ad intervento chirurgico di osteosintesi con viti metalliche e riempimento osseo mediante Norian ed in data 04.08.2007 veniva dimesso in buone condizioni; - in data 15.04.2008 e in data 29.05.2008 veniva sottoposto a rimozione dei mezzi di sintesi; - in data 02.09.2008 veniva ricoverato presso la Divisione di Ortopedia dell'Ospedale di XX con diagnosi di “osteonecrosi post- traumatica astragalo sin con artropatia dolorosa del retropiede” ed in data 04.09.2008 veniva sottoposto ad intervento di artrodesi per via retrograda con chiodo T2 della Stryker della caviglia, apponendo sostituto osseo. In data 10.09.2008 il paziente veniva dimesso; - in data 10.10.2008 e in data 07.11.2008 effettuava i routinari controlli ambulatoriali ortopedici, che risultavano nella norma. Il controllo del 18.12.2008 consigliava un prolungato trattamento riabilitativo, non segnalando anomalie, ma nei giorni a seguire veniva effettuato un tampone della ferita chirurgica; - In data 09.01.2009, poi, veniva evidenziata una “infezione (sottocutanea?) del sito chirurgico”, sostenuta da Pseudomonas Aeruginosa multiresistente come emerso dall'esame colturale eseguito, per cui i sanitari effettuavano terapia antibiotica come da antibiogramma e ricoveravano nuovamente il paziente nel febbraio 2009 per eseguire toilette chirurgica ed ulteriori esami colturali che confermavano la presenza di infezione da Pseudomonas, per cui venivano praticate terapie mediche specifiche (antibioticoterapia, medicazioni, ossigenoterapia iperbarica). In relazione alle censure mosse dall'attore, il c.t.u. - con relazione coerente e lineare, logicamente sviluppata e pienamente esaustiva rispetto ai quesiti proposti, interamente fondata sulle emergenze dei documenti in atti e sull'esame obiettivo del paziente, i cui risultati si condividono pertanto in questa sede - ha accertato che “il germe identificato a seguito dell'esame colturale del gennaio 2009 e successivamente confermato anche in sede di focolaio di frattura (esame colturale su pezzo chirurgico refertato il 24.05.2009) era lo Pseudomonas Aeruginosa, con una momentanea sovrapposizione in sede di ferita (tampone di ferita del 21.05.2009), verosimilmente per pressione antibiotica, da parte di Staphylococcus Epidermidis”. Il c.t.u. dopo avere chiarito che, ai fini epidemiologici, l'infezione del sito chirurgico viene considerata tale se insorge dopo 48 ore dall'intervento e fino a 30 giorni dopo, ha precisato che qualora sia utilizzato e impiantato materiale protesico/sintetico, come nel caso di specie, il periodo di insorgenza va considerato fino a 12 mesi dopo l'intervento. Pertanto, il ctu ha riconosciuto che l'infezione contratta da C. B. “sostenuta da germe multiresistente e diagnosticata quattro mesi dopo l'intervento di artrodesi retrograda eseguita presso la UO di Ortopedia dell'Ospedale di XX, (ma già verosimilmente sospettata dopo due mesi dagli stessi sanitari che prescrivevano accertamenti infettivologici quali il dosaggio di VES e PCR, oltre alla prosecuzione di terapia antibiotica) assume… i canoni di una infezione nosocomiale”. Il c.t.u. ha concluso “è verosimile che nel caso in esame si sia verificata una contaminazione del sito chirurgico da parte di batteri (primo fra tutti, Pseudomonas Aeruginosa), sebbene sia stata effettuata una corretta terapia antibiotica sia come profilassi preoperatoria che in seguito all'intervento; tale contaminazione può verosimilmente dirsi secondaria al ricovero ospedaliero del settembre 2008, volto all'esecuzione dell'artrodesi necessaria al trattamento dell'osteonecrosi post-traumatica dell'astragalo sinistra patita dal paziente secondariamente al trauma subito nel luglio 2007. L'infezione da P. Aeruginosa ha determinato nell'immediato il fallimento dell'atto operatorio sopra citato, con la necessità di eseguire ulteriori interventi chirurgici (18.02.2009 di toilette chirurgica; 21.05.2009 di rimozione dei mezzi di sintesi – su cui si rilevava la presenza dello Pseudomonas – toilette chirurgica e impianto di spaziatore antibiotato; 21.07.2009 di espianto di spaziatore e nuova artrodesi con impianto di osso omologo e ASLirato midollare; 26.05.2011 di revisione di artrodesi con innesti iliaci omoplastici, per una pseudoartrosi dell'artrodesi tibio-tarsica; 10.01.2012 nuova artrodesi tibio-tarsica con chiodo retrogrado e correzione delle dita del piede a sinistra) per la risoluzione dei postumi correlati”. Applicando i sopra richiamati criteri di riparto dell'onere probatorio, la struttura sanitaria convenuta era gravata dall'onere di dimostrare di avere adottato le cautele prescritte dalla vigente normativa in tema di preservazione delle condizioni igieniche dei locali destinati all'effettuazione degli interventi chirurgici ed al ricovero dei pazienti e di sterilizzazione e profilassi preventiva della strumentazione adoperata. Tale onere probatorio non può ritenersi assolto. Invero, dalla documentazione versata in atti dalla convenuta AS., emerge che l'ospedale di XX ha istituito un organismo di gestione e controllo delle infezioni ospedaliere e che detto organismo nel suo operato si è avvalso della collaborazione dell'istituto di Igiene della facoltà di Medicina dell'Università degli studi di XX, con il quale dal 2005 è stata stipulata una convenzione, annualmente rinnovata, per l'opera di consulenza e controllo dell'infezioni ospedaliere e per il monitoraggio ambientale, soprattutto nelle aree ad alto rischio infettivo, quali sale operatorie e terapie intensive. Nondimeno, la ASL ha versato in atti esclusivamente la documentazione relativa alle sale operatorie prese in esame dal monitoraggio microbiologico ambientale effettuato nel febbraio 2009, periodo successivo al ricovero (settembre 2008) durante il quale presumibilmente C. B. ha contratto la Pseudomonas Aeruginosa. Nessuna prova è stata offerta in merito all'effettiva asepsi del periodo precedente, durante il quale il paziente è stato ricoverato e operato. Del resto non essendo noti il momento e lo specifico ambiente (nell'ambito dell'ospedale) nel quale l'infezione è insorta, non può comunque ritenersi sufficiente la documentazione versata dall'ASL convenuta, (come già evidenziato, riguardante il monitoraggio microbiologico ambientale eseguito solo su talune sale operatorie), giacchè l'infezione può essere stata diffusa in altro luogo dell'ospedale. Può, pertanto, ascriversi alla struttura sanitaria convenuta una diretta responsabilità in ordine alla causazione dell'infezione. Infatti, la mancata dimostrazione della preesistenza dell'infezione nella persona del paziente, l'accertata riconducibilità eziologica dell'infezione ad un agente patogeno diffuso in ambito ospedaliero, in uno alla mancata dimostrazione dell'efficace sterilizzazione del campo operatorio, della strumentazione chirurgica adoperata e dei locali di degenza, inducono ad affermare che la azienda ospedaliera non abbia esattamente adempiuto l'obbligo di porre a disposizione del paziente attrezzature idonee ad evitare l'insorgenza della complicanza infettiva. Per quanto concerne il danno biologico lo stesso deve determinarsi nella misura di invalidità temporanea e permanente accertata dal c.t.u., nella relazione logica e lineare, fondata su principi scientifici condivisibili oltre che sui documenti agli atti, le cui conclusioni pertanto si condividono. Va evidenziato che il ctu, nella valutazione del danno, correttamente ha tenuto conto delle condizioni di salute di C. B. antecedenti alla contrazione dell'infezione e delle menomazioni che avrebbe verosimilmente patito anche in presenza di un normale decorso postoperatorio. Infatti - in questa sede – può essere accordato unicamente il ristoro del "maggior danno", ossia della menomazione a carattere permanente ulteriore rispetto agli esiti scaturenti dalla patologia che ha richiesto l'intervento chirurgico di artrodesi (valutabili nella misura del 20-22%, come danno anatomico e funzionale, ed in tale misura già risarciti dall'INAIL) e specificamente residuata quale conseguenza dell'infezione di origine ospedaliera, quantificata nella misura del 4% (cfr. pag. 55 della relazione di consulenza). Pure va riconosciuto il ristoro dell'invalidità temporanea, pari a complessivi 40 giorni di invalidità temporanea totale ed a complessivi 15 mesi di invalidità temporanea parziale al 50%. Il c.t.u., ha invece escluso che i postumi permanenti evidenziati, causalmente riconducibili esclusivamente all'infezione nosocomiale, abbiano avuto incidenza sulla capacità lavorativa specifica del danneggiato, già ridotta in misura moderato-severa dall'anchilosi tibio-tarsica e sotto-astragalica che comunque il soggetto avrebbe riportato a seguito del trauma iniziale, anche in assenza della successiva complicanza infettiva. Occorre, infine, evidenziare che il danno cd. biologico costituisce una categoria tendenzialmente omnicomprensiva, abbracciando le diverse voci di danno non patrimoniale alla persona elaborate dalla giurisprudenza (quali il danno esistenziale, il danno morale, il danno alla vita di relazione, il danno estetico etc.), quindi deve ritenersi inammissibile l'attribuzione congiunta del danno biologico e delle altre voci di danno alla persona, onde evitare duplicazioni risarcitorie (Cass., S.U. sentenze 11 gennaio 2008 nn. 26972, 26973, 26974 e 26975). Conseguentemente, il giudice - in sede di liquidazione del danno - deve valutare, nella loro effettiva consistenza, tutte le sofferenze fisiche e psichiche, nonchè i pregiudizi esistenziali subiti dal soggetto leso. In merito alla quantificazione dei danni, ritiene questo giudice, che debba trovare applicazione l'art. 3 comma 3 L. n. 189/2012, che prescrive che il danno biologico e non patrimoniale conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria sia risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209. Nel caso in esame, tenuto conto dei postumi permanenti accertati (4%), dell'età della parte lesa all'epoca del fatto (41 anni), il danno biologico permanente può essere liquidato nella somma di € 3.486,73, (espressa in moneta attuale), l'invalidità temporanea deve, invece, liquidarsi considerata la durata e la misura individuata dal c.t.u. in € 12.382,58 per un totale di € 15.869,31=. In ragione della tipologia delle lesioni riportate e delle cure resesi necessarie, devono presumersi patite dall'attrice sofferenze in termini di dolore fisico, paura, disagio e difficoltà nell'affrontare l'evento traumatico. Quanto appena evidenziato giustifica il riconoscimento, dell'aumento del 25% del risarcimento per un totale complessivo pari ad € 19.836,64. La somma suddetta somma è espressa in valori attuali, e devalutata all'epoca del fatto ammonta ad € 18.299,48=. A tale somma devono aggiungersi i danni patrimoniali per spese mediche documentate. Al riguardo va rilevato che C. B. ha documentato esclusivamente le spese sostenute per le consulenze medica di parte. Va evidenziato che tale spesa, in linea di principio, rientra tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, ma il giudice può, ai sensi dell'art. 92, primo comma, c.p.c., escluderle dalla ripetizione, ove le ritenga eccessive o superflue (cfr. Cass. n. 84/2013; n. 3380/2015). Ebbene, ritiene il Tribunale che le spese per la consulenza medico legale vadano rimborsate nella misura di € 400,00, ritenendosi eccessivo l'importo di € 1.200,00 per il mero esame della documentazione medica e la valutazione dei postumi invalidanti, considerato che l'attore si era già sottoposta a diversi esami ed interventi. Sulle somme sin qui liquidate, si devono calcolare, in ragione del ritardo con cui vengono corrisposte al danneggiato e stante la natura di debito di valore dell'obbligazione risarcitoria, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, applicando gli interessi sulla somma capitale rivalutata di anno in anno, secondo i principi espressi dalle S.U. della Suprema Corte con sentenza n. 1712/1995. Pertanto l'Azienda Sanitaria di - è tenuta a pagare all'attore la somma di € 22.820,81, oltre interessi dalla data della presente decisione al soddisfo. Va rigettata la domanda di manleva avanzata dall'ASL di - nei confronti della compagnia XX in forza del rapporto assicurativo derivante dalla polizza RCT/O PA n. (omissis...), atteso che i pregiudizi di cui C. B. ha chiesto il ristoro nel presente giudizio non rientrano entro l'ambito temporale di applicabilità della garanzia medesima (cfr. polizza ed allegate condizioni di contratto, doc. n. 5 allegato alla produzione della convenuta). Ed invero, l'art. 21 del capitolato speciale di appalto, con riferimento alla validità temporale dell'assicurazione, chiaramente circoscrive l'operatività della garanzia alle sole richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'ente contraente nel corso del periodo di efficacia dell'assicurazione e riferite a comportamenti colposi posti in essere nel medesimo periodo o non oltre ventiquattro mesi antecedenti il periodo di validità della polizza. Ebbene, la garanzia è stata stipulata con decorrenza dal 30.09.2005 al 30.09.2008 e dal 01.10.2009 al 31.12.2009 mentre è pacifico che la richiesta di risarcimento da parte dell'attore sia pervenuta per la prima volta all'azienda Ospedaliera in data 18.03.2010, e alla compagnia assicurativa in data 04.06.2010, ovvero dopo tre mesi dalla scadenza della polizza assicurativa, dunque in un periodo successivo alla vigenza della stessa e quando era ormai inefficace (cfr. doc. 6 e 7 produzione della compagnia assicurativa); Circa le domande proposte dall'azienda convenuta nei confronti di Fa. assicurazioni e riassicurazioni, giova rilevare che in data 28 luglio 2011 la predetta compagnia XX è stata posta in liquidazione coatta amministrativa, conseguentemente le domande proposte nei confronti di Fa. devono dichiararsi improcedibili ex art. 249 del D.Lgs. n. 209/2005. Tra attore e convenuta le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Nei rapporti tra la convenuta e la terza chiamata, si ravvisano ragioni idonee a giustificare la compensazione delle spese processuali. Le spese di c.t.u., liquidate come da decreto in atti, si pongono definitivamente a carico della Azienda sanitaria convenuta. Diritto PQM P.Q.M. Il Tribunale di -, Sezione Civile, in composizione monocratica, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, definitivamente pronunciando, così provvede: condanna l'Azienda Sanitaria di -, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a C. B., per i titoli di cui alla parte motiva, la complessiva somma di € 22.820,81, oltre interessi legali dalla data della presente decisione al saldo; condanna l'Azienda Sanitaria di -, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione in favore di C. B. delle spese del giudizio che si liquidano in € 4.038,00, di cui € 450,00 per spese, oltre oneri ed accessori come per legge; compensa le spese del giudizio tra l'Azienda Sanitaria di - e XX assicurazioni; pone definitivamente le spese di c.t.u. liquidate come da separato decreto, a carico di Azienda Sanitaria di -; dichiara improcedibili le domande proposte da Azienda Sanitaria di - nei confronti di XX. assicurazioni e riassicurazioni s.p.a.; rigetta ogni altra domanda. -, 02 marzo 2016. Note Legislazione Correlata (3) Codice Civile (1942), Art. 1218 Codice Civile (1942), Art. 1228 Codice Civile (1942), Art. 2697 Portali (1) Ridare GIURISPRUDENZA COMMENTATA © Copyright Giuffrè 2016. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156