BrandForum 1 Comunicare il no profit attraverso il testimonial

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Comunicare il no profit attraverso il testimonial
Scritto da Alessandro Aquilio
1. Premessa
2. Definizione e ruolo del testimonial nella pubblicità sociale.
3. Analisi tipologica ed applicazioni concrete
a. Il Testimonial per esperienza.
b. Il Testimonial Anonimo.
c. Il Testimonial – Simbolo.
Simbolo.
d. Il Testimonial per Affinità.
e. Il Testimonial Sirena.
1. Premessa.
In un momento storico in cui l’etica sembra impossessarsi di una grande rilevanza e godere di una
crescita sempre maggiore, è necessario che il mondo della comunicazione pubblicitaria eluda ogni
fallace richiamo compromettente (come può essere quello legato ad un impegno concretizzatosi solo
perché di moda o come facile mezzo per perseguire immediati quanto disonesti guadagni). È quindi
fondamentale che chi si occupa di pubblicità sociale sia conscio del ruolo e del compito che è chiamato
a rivestire, dedicandosi con maturità allo svolgimento dello stesso, cercando di colmare quel vuoto
teorico che in decenni è stato realizzato colpevolmente intorno al delicato campo della comunicazione
no profit.
Negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo, la letteratura in materia sta cominciando a muovere passi a volte affrettati, a volte più consapevoli – nella direzione del perseguimento di una autorevole voce che
inizi a colmare anni di ingiustificato silenzio.
Non è più ammissibile ritenere la pubblicità sociale al pari di una costola della pubblicità commerciale,
essendo palese che ne rappresenta invece una parte autonoma e del tutto autosufficiente,
contraddistinta da scopi e strategie specifici: più che di ambito particolare, per la pubblicità sociale si
dovrebbe parlare di figlia della pubblicità generalmente intesa e sorella di quella commerciale, con la
quale condivide alcuni aspetti genetici, ma pochi tratti caratteriali.
Il mondo del no profit si sta dotando di tecniche proprie, che sappiano al meglio comunicarne lo spirito
e gli obiettivi, finalmente consapevole dell’impossibilità che strategie consone alla promozione di
prodotti o beni, possano essere catapultate sic et simpliciter nel ben più etereo mondo della
comunicazione senza scopo di lucro.
Pratica fondamentale in questo ambito, è certamente quella che fa capo all’utilizzo del testimonial nelle
campagne sociali, che è bene analizzare onde comprenderne la maturazione, il percorso svolto e quello
che deve essere ancora intrapreso.
2. Definizione e ruolo del testimonial nella pubblicità sociale.
Non è certamente facile per un ente no profit scegliere un personaggio che sappia vestire i valori e la
morale che ne guidano l’agire, ed è proprio per tale ragione che è indispensabile che questa scelta sia
effettuata con particolare attenzione, onde evitare i rischi sempre alti di cadere nel tranello di affidare
un messaggio ad un testimonial non appropriato o, peggio ancora, ad un testimonial che vada in
qualche modo ad offendere le persone sfortunatamente colpite dalla problematica oggetto della
campagna.
Come dimostra un’indagine del 2002 realizzata dall’agenzia di pubblicità “Euro RSCG Mezzano
Mignani”, il ricorso al testimonial è oramai pratica usuale e diffusa: su un campione di 996 imprenditori
ed operatori del settore sociale, del no profit e del volontariato, quasi sette intervistati su dieci (ben il
65% del totale) ritengono che utilizzare un testimonial sia una opzione valida e da adottare, mentre il
23% vi ricorre soltanto se il suo impegno non va a stridere con il messaggio stesso ed infine un esiguo
10% si dice contrario a tale mezzo comunicativo.
Questi dati non devono però trarre in inganno: l’appoggio di cui gode il ricorso al testimonial, non
certifica il buon uso che se ne intende fare, né tanto meno va a sanare quel vuoto tipologico e
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conoscitivo che lo distingue dal suo parente più prossimo, il testimonial commerciale.
Ecco quindi che è necessario, prima di parlare di differenti tipologie di testimonial, chiarire e definire chi
sia il testimonial sociale.
Due sono le categorie che compongono tale figura e precisamente:
1) Il personaggio celebre.
2) La persona non conosciuta, che deve però essere strettamente legata al disaggio oggetto della
comunicazione ed intorno alla quale va ad essere edificata una campagna che la renda unica e
incontrovertibile protagonista.
Chiarito chi sia il testimonial sociale, è giusto ora elencarne le principali caratteristiche:
- carico elevato di responsabilità che è chiamato ad accettare (va a legarsi infatti, non ad un’azienda
ma ad un sistema valoriale).
- vicinanza e partecipazione alla mission dell’ente (con cui dovrebbe fondare un legame non solo
prettamente lavorativo, ma di empatia emotiva e morale).
- elevato livello di expertise (più esperienza diretta ha del problema trattato, più risulta credibile ed
efficace la campagna stessa).
- collaborazione di medio – lungo periodo (il testimonial è chiamato ad un impegno reale, in prima
persona).
Giunti a questo punto, il tema è sufficientemente maturo per permettere una catalogazione delle
differenti tipologie di testimonial ed una appropriata comprensione delle stesse.
3. Analisi tipologica ed applicazioni concrete.
Da una nostra osservazione del panorama comunicativo odierno, cinque sono i tasselli che
compongono il quadro tipologico ed è importante analizzarli nel dettaglio in una sorta di climax
discendente, dal più efficace al più negativo, avvalendosi dell’aiuto di esempi concreti che ne
certifichino l’esistenza e ne giustifichino l’analisi:
a) Il Testimonial per esperienza.
È la figura regina dell’intero quadro, la più funzionale e credibile: l’ente no profit sceglie di strutturare
una campagna sociale attorno ad un personaggio celebre coinvolto, in prima persona o indirettamente,
nella situazione di disagio su cui verte lo sforzo di sensibilizzazione. Tale tipologia concretizza numerosi
vantaggi, poiché infatti il personaggio non solo crea interesse grazie alla propria notorietà (incuriosendo
ed attraendo il pubblico e quindi aiutando il ricordo del messaggio stesso), ma fornisce anche una
testimonianza vera ed illustre sulle difficoltà del disagio ed ancor più sulla speranza della guarigione: la
celebrità si spoglia in tal modo della propria fama, scende dal piedistallo della notorietà e diviene
persona come tante, confessando di aver sofferto e di avercela fatta. Il pubblico, quindi,
automaticamente tende a fidarsi dal momento che riconosce in tale collaborazione interessi di utilità
sociale e non puramente lavorativi.
Tra le campagne più riuscite nell’ambito del no profit va ad inserirsi la comunicazione dell’Associazione
Italiana per la Ricerca sul Cancro, affidata a Sandra Mondaini.
Mondaini La collaborazione tra l’ente e l’attrice è
cominciata nel lontano 1973, anno in cui suo marito Raimondo Vianello venne colpito dalla malattia,
ma si è ulteriormente rafforzata a partire dagli anni ’90 durante i quali il cancro ha più volte colpito la
Mondaini stessa. Il rapporto che negli anni si è molto intensificato, ha coinvolto la testimonial a 360°:
non solo spot o campagne, ma anche partecipazioni a convegni ed a programmi televisivi, divenendo in
tal modo concreta portavoce dell’ente; il pubblico, dal canto suo, ha inoltre dimostrato di apprezzarla
molto, riconoscendole l’autorità e la credibilità indispensabili nel trattare un argomento così delicato ed
importante. L’attrice nella duplice veste di parente di un ammalato prima e vittima del cancro poi, si è
dimostrata un’ottima testimonial per esperienza, incarnandone tutti gli aspetti positivi, dalla
fidelizzazione del pubblico, alla totale disponibilità nel farsi promotrice della sensibilizzazione in
materia, all’incoraggiamento a lottare per vivere.
b) Il Testimonial Anonimo.
Del tutto simile per efficacia, finalità comunicative e struttura alla precedente tipologia, il testimonial
anonimo vi si discosta solo per una caratteristica: il personaggio non è una celebrità, ma un uomo
comune direttamente colpito dal disagio. Va quindi ad offrire non solo la propria esperienza come
testimonianza reale e credibile, ma diviene anche protagonista assoluto della strategia pubblicitaria e
non semplice comparsa: siamo di fronte ad un testimonial che dona la propria umanità per la
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sensibilizzazione della collettività, che lo osserva a sua volta con uno sguardo non sospettoso, capendo
invece la sincerità e dell’ente e del suo portavoce che, in questo caso come non mai, sembrano
collimare perfettamente.
In Italia nel 2004 è stata realizzata la campagna “E allora?” fortemente voluta da Pubblicità Progresso,
rivolta alla sensibilizzazione nei confronti dei disabili ma non fondata su scorretti espedienti in cerca di
facile commiserazione, ma su una impostazione ironica, spiazzante, tesa al cambiamento dell’agire del
pubblico più che al vacuo pietismo. Protagonisti degli spot sono alcuni ospiti della Cooperativa
Solidarietà di Lorenzo Crosta: affermano il diritto ad esistere e lo fanno mostrando il proprio volto e
rivelando il proprio nome, rispondono serenamente ma fermamente “E allora?” a chi li guarda con pietà
per quell’handicap che in realtà, è questo lo scopo del messaggio, è troppo spesso solo negli occhi di
guarda. Uno spot ben fatto, testimonial anonimi validi ed al centro della scena (protagonisti anche di un
sito web che porta il nome della campagna), rispetto e gran senso morale, rendono questa campagna
una vera perla nella comunicazione no profit.
c) Il Testimonial – Simbolo.
Non coinvolto direttamente dal disagio oggetto di campagna, il testimonial – simbolo
è un personaggio famoso che decide di lottare a favore di una causa che lo avvolge
emotivamente ed è tale il suo offrirsi all’ente che si realizza una vera identificazione
tra testimonial e marca sociale, rendendo difficile agli occhi del pubblico distinguere
dove inizi uno e dove finisca l’altro.
È quindi un testimonial sùmbolon, ovvero un soggetto che non solo ne rappresenta
un altro, ma ne diviene segno di riconoscimento, grazie ad un accordo fondato su
premesse tanto eteree quanto fondamentali, quelle dell’uguaglianza etica. In Italia
tale tipologia è perfettamente rappresentata dal comico Giobbe Covatta che da anni
collabora con Amref contro la povertà nelle zone più disagiate del Continente Nero. Covatta ha
realizzato spot (a lui si deve il celebre “Basta poco che ce vo’?”), film e libri per promuovere
l’associazione, trascorre lunghi periodi in Africa come volontario, il suo impegno è chiaro, forte,
disinteressato ed altrettanto riconosciuto e stimato dal pubblico, che sovente lo ritiene il fondatore
dell’Amref stessa: ciò è ulteriore conferma di quanto l’attore si sia sovrapposto all’ente nell’immaginario
comune e di quanta efficacia è capace tale figura tipologica.
d) Il Testimonial per Affinità.
È questa una figura particolarmente delicata e ricca di sfumature, di certo tra le più complesse del
quadro. Il testimonial per affinità non raggiunge la stessa funzionalità delle tre tipologie che lo
precedono, non riesce a divenire simbolo dell’ente e d’altronde non è colpito dal disagio, eppure è
estremamente ambito da chi si occupa di pubblicità sociale: vediamo per quale ragione. Il testimonial
per affinità è un personaggio celebre che si dedica alla comunicazione no profit spinto da un bisogno
personale che lo rende vicino al problema trattato: è la scelta compiuta da chi decide di dedicare il
proprio tempo e la propria fama alla sensibilizzazione su particolari temi avvertiti come parte di sé; non
siamo davanti ad una collaborazione, ma ad un rapporto che la travalica per fondarsi su un’uguaglianza
di sensibilità, su un’intersezione di bisogni, su un’affinità profonda. I vantaggi di tale figura sono
evidenti: l’ente può avere fiducia in un testimonial fedele e dedito alla causa (la collaborazione ha
generalmente durata lunga), il personaggio può soddisfare un proprio bisogno personale. Esempio
quanto mai adatto nella pubblicità nostrana è rappresentato da Renzo Arbore per Lega del Filo d’Oro,
ente che lotta per la causa di chi è impossibilitato sia all’uso della vista che dell’udito. Arbore ha
sovente detto che lui, uomo di spettacolo, voleva impegnarsi per chi non avrebbe mai potuto vedere i
colori o ascoltare le musiche del suo mondo e fondamentale fu l’incontro, nel 1988, con la Lega: da
quell’anno non si sono mai lasciati. I due soggetti si sono scelti, si sono cercati e venuti incontro, hanno
attraversato insieme quasi vent’anni: certamente Arbore non è divenuto un simbolo, fortunatamente
non è coinvolto dal disagio, ma è altrettanto certo che sia un ottimo testimonial per affinità, da
guardare non solo con ammirazione, ma come esempio per la comunicazione no profit.
e) Il Testimonial Sirena.
Sirena.
Ultimo tappa di questo affascinante viaggio è il Testimonial Sirena, che deve il suo nome alla duplice
faccia che lo caratterizza: una suadente e l’altra estremamente pericolosa, esattamente come le sirene
mitologiche, attraenti e mortali nel contempo.
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È giusto quindi analizzare singolarmente i due risvolti della medaglia, cominciando
dal Testimonial Sirena di Primo Tipo. Appartiene a tale suddivisione la celebrità scelta
dall’ente soltanto in base alla fama ed all’attrattività che può avere sul pubblico, non
essendoci punti di contatto tra i due soggetti; con questo, bisogna però dire che il
risultato non appare sgradevole, anzi: la campagna non è offensiva ma tutto
sommato piacevole, anche se evidenzia il superficiale livello di complicità che lega
l’ente al testimonial, che non a caso non è chiamato a portare la propria
testimonianza ma ad interpretare un ruolo, a recitare. La funzionalità del testimonial è infinitamente
minore rispetto a quanto visto per le precedenti figure, come pure il livello di credibilità dell’intera
operazione è nettamente inferiore, ma il tutto si mantiene entro confini comunque rispettosi ed
accettabili, mai guidati dalla malafede o dalla malizia. Caso simbolo di questa sottotipologia è
rappresentato dal rapporto tra l’Associazione Italiana contro le Leucemie e il Mieloma e l’attrice Virna
Lisi (2004): certamente scelta per la sua immagine dolce e rassicurante, la Lisi non solo non ha alcun
punto in comune con l’associazione (le motivazioni della collaborazione restano quindi non chiare) ma,
fattore inequivocabile, l’attrice è anche chiamata a recitare la parte della volontaria Ail, non si espone
come persona, sta più semplicemente svolgendo il suo lavoro. L’effetto complessivo della campagna è
comunque sufficiente ma non riesce a stabilire un maturo rapporto empatico con il
pubblico.
Il Testimonial Sirena di Secondo Tipo è invece il volto più pericoloso dell’intero
quadro tipologico: caratterizzato dalla mancanza di legami chiari con l’ente che lo ha
scelto, da una collaborazione che dura lo spazio di una comparsata fugace, da un
tono complessivo imbarazzato ed imbarazzante per i risultati prodotti e da un
distacco palese con la marca, scredita non soltanto la propria credibilità e quella
dell’ente che lo ha voluto, ma può arrecare danni gravi all’intero sistema della
comunicazione sociale, rinfocolando il mai sopito fuoco della circospezione che il pubblico nutre nei
suoi confronti. Purtroppo i pochi problemi realizzativi, la superficialità che la pervade, la facile
scorciatoia che spesso rappresenta, rendono tale figura molto diffusa all’interno del mondo del no
profit, dimenticando che il ricorso al testimonial a tutti i costi può far trascurare il vero obiettivo di ogni
campagna sociale: la veridicità di quanto detto, il rispetto non solo per chi è coinvolto dal disagio, ma
anche per la collettività e per l’intero apparato che opera nel sociale, immolati invece sull’altare della
comunicazione in nome di una precaria quanto vanesia ricerca di un momento di attenzione. Esempio
di quanto detto è la collaborazione tra Fiorello e l’Associazione Ricerca Piera Cutino Onlus (2003): pur
sottolineando che il presente è un giudizio tecnico e non certamente etico (dato che l’Associazione
svolge una nobile ed encomiabile attività nella lotta contro la talassemia), è palese l’esito deludente
che la campagna ha raggiunto. Il tono generale è pedagogico, più che uno spot sembra di assistere ad
una lezione in materia, Fiorello appare stranamente impostato, dimesso, quasi impacciato ed in
imbarazzo (e certamente la scarna location non gli è di aiuto), i punti in comune tra i due soggetti sono
molto labili per non dire invisibili: lo spot sembra improvvisato, pervaso da toni compassionevoli e
pietisti che sfiorano il confine della falsità. È quindi, sfortunatamente, un esempio calzante per
illustrare come non vada strutturata una campagna sociale.
(*) Alessandro Aquilio, nato nel 1979, si laurea in Scienze della Comunicazione nel 2004 presso l’Università
Macerata, con una tesi in Teorie e Tecniche della Comunicazione Pubblicitaria. Attualmente lavora nel settore
Comunicazione di Sanofi – Aventis, multinazionale farmaceutica E-mail:
[email protected]
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