LA NATURA: UNA CONCEZIONE "MECCANICISTICA"

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LA NATURA: UNA CONCEZIONE "MECCANICISTICA"
LA NATURA: UNA CONCEZIONE "MECCANICISTICA"
O "VITALISTICA"?
Introduzione a Schelling 1
Una introduzione soft: quale concezione dell'universo ti convince?
La concezione cartesiana e illuministica: l'universo è una grande "macchina" i cui ingranaggi
sono regolati da leggi immutabili (si tratta, appunto, di "leggi della natura", di leggi, cioè, che
non possono mutare).
E' una concezione che ha affascinato molti, perfino il grande Kant. Tieni presente, comunque,
che non tutti – nella stessa età moderna – sono d’accordo. Leibniz, ad esempio, è convinto
che la materia - checché ne dicesse Cartesio - non ha nulla di passivo, non è semplicemente
"estensione" (un concetto, questo, di tipo "statico" essendo un concetto, come sai,
"geometrico": estensione=spazio), un'estensione che ha bisogno di un moto che viene
dall'esterno, ma qualcosa di vitale, energia stessa.
Soffermiamoci sulla concezione leibniziana. Leibniz non solo sostiene che la materia è energia,
forza (il fatto stesso che i corpi oppongono "resistenza" alla loro penetrazione, è indice di
questa "forza"), ma arriva a dire che la materia è, in ultima analisi, spirito. Cosa ne dici?
Mi sembra letteralmente folle l'idea di Leibniz: come è possibile assimilare la "forza" della
materia allo spirito che, proprio in quanto è spirito, non può avere alcuna forza? Non c'è
bisogno di scomodare gli stoici per dire che solo i "corpi" possono agire!
La tua perplessità è, indubbiamente, legittima. Si tratta di intendersi sui termini. Lo spirito
nella concezione cartesiana e kantiana (tanto per citare alcuni autori) è attività. Se la materia
è considerata "forza", "energia", non puoi negare che vi sia una certa analogia tra materia e
spirito: ambedue hanno in comune l’“attività".
Approfondiamo. Si può passare dall’analogia alla identificazione? Come sai per Leibniz la
materia è, in ultima analisi, spirito. Cosa ne dici?
Mi pare condivisibile. La materia, proprio perché è estesa, è divisibile all'infinito. E cosa ci può
essere in fondo a questa divisione all'infinito se non qualcosa di non materiale?
E' questa la tesi di Leibniz, una tesi che si basa su un argomento logico-matematico (come sai
Leibniz era un grande matematico: ti ricordi, sicuramente, che ha scoperto il calcolo
infinitesimale). Si tratta di un approccio molto diverso da quello atomistico.
Tuffiamoci nell'ottica leibniziana. Per Leibniz - come sai - la materia non solo è, in ultima
analisi, spirito, ma è - proprio perché spirito - pensiero, rappresentazione. Si tratta,
ovviamente, di un pensiero inconscio, di una sorta di coscienza inconscia. Cosa ne dici?
Una coscienza inconscia è una contraddizione nei termini: come può una "coscienza" essere
"non coscienza" (inconscia)?
E' questa, ad esempio, la tesi di Locke. Si tratta di una tesi ineccepibile dal punto di vista
logico. E' un fatto, comunque, che la psicoanalisi ha teorizzato l'inconscio: secondo Freud, cioè,
esiste una sfera della psiche umana che è inconscia. E' chiaro, tuttavia, che nell'ottica di Freud
non si tratta di una contraddizione: egli non parla di "coscienza inconscia", ma di "psiche
inconscia".
Leibniz, poi (come sai), usa un argomento molto forte - così pare - per affermare la sostanziale
omogeneità tra "materia" e "spirito": la natura - dice - non facit saltus. Cosa ne dici?
Mi sembra un argomento corretto: se lo spirito costituisse un "salto di qualità" rispetto alla
materia, come si spiegherebbe tale spirito nell'ambito della teoria dell'evoluzionismo, teoria
oggi quasi universalmente accettata dagli scienziati?
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Friedrich Wilhelm Joseph Schelling nasce in Germania nel 1775. I suoi studi: teologia a Tubinga e matematica e
scienze naturali a Lipsia. A Jena segue alcune lezioni di Fichte di cui diventa per un certo periodo ammiratore ed amico.
Nel 1798, grazie all'appoggio di Goethe, viene nominato professore all'università di Jena. Nel periodo di Jena - il piu'
fecondo - pubblica, tra l'altro, "Sistema dell'idealismo trascendentale", "Filosofia dell'arte". Nel periodo di Monaco
(dove insegna all'accademia delle scienze) sviluppa la svolta in senso religioso. Diventa amico di Hegel - con lui dirige
(l'amicizia si rompe quando Hegel, dopo aver preso le distanze da Fichte appoggiando Schelling, prende le distanze
anche da Schelling). Nel 1841 viene chiamato da Federico Guglielmo IV ad occupare la cattedra già di Hegel (morto
nel '31). Muore nel 1854
Nell'ottica evoluzionistica - che è un'ottica "scientifica" - naturalmente l'origine dello spirito
dalla materia (se intendiamo per spirito qualcosa di diametralmente opposto alla materia)
rappresenterebbe un grosso "problema". Se poi per "spirito" si intendesse qualcosa di non
verificabile scientificamente, la stessa ipotesi di derivazione dello spirito dalla materia non
sarebbe neppure scientifica.
Che tra materia e spirito ci sia omogeneità (e non eterogeneità come pensava Cartesio) non è
solo un'opinione di Leibniz, ma anche - per un certo aspetto - l'opinione del grande Kant. Nella
"Critica del Giudizio", infatti, Kant non vede più il regno della "natura" e il regno dello "spirito"
come due entità contrapposte. Per lui, cioè, la stessa natura in qualche misura esprime istanze
dello spirito. Pensa ad esempio all'armonia-bellezza di un tramonto: l'armonia, l'ordine, la
bellezza non sono indici di una intelligenza? Pensa ad una sorta di finalismo che si manifesta
nel mondo della vita vegetale e animale.
Se poi entriamo nell'idealismo di Fichte troviamo un'assoluta omogeneità in quanto per Fichte
non vi è nulla al di fuori dello spirito. No?
Quanto mi dici mi sembra una presa in giro: la "natura" non è un "non-io", non è, cioè,
qualcosa di contrapposto all'Io?
E' vero che per Fichte la "natura" è vista come contrapposta all'Io (non è un caso che sia
chiamata "non-io"). E' anche vero, però, che tale non-io è una creazione dell'Io: è l'Io che si
pone dei limiti per superarli.
E' qui che "incontriamo" Schelling. Schelling è sulla stessa lunghezza d'onda del Kant della
"Critica del Giudizio", come è sulla stessa lunghezza d'onda della nuova cultura dominante - il
Romanticismo - che vede la natura non come una "macchina", ma come palpitante di vita,
come palpitante addirittura di vita divina. Siamo lontanissimi, ormai, dalla concezione
meccanicistico-deterministica tipica dell'Illuminismo.
Schelling arriva a dire che la natura è la stessa "preistoria" dello spirito, che è "spirito
inconscio". Per lui Fichte ha di fatto svalutato la natura riducendola ad un semplice "non-io", ad
un mero "limite" dello Spirito. Schelling, invece, proprio in sintonia col nuovo clima romantico,
ritiene necessario rivalutare il ruolo della natura. Su cosa si basa? Egli vede nella natura non
qualcosa di inerte, di passivo, ma qualcosa di attivo: le stesse forze elettriche e magnetiche
(con i poli positivo e negativo) indicano la presenza nella natura di un'"attività", attività che
nell'età moderna (da Cartesio a Kant a Fichte) era vista come la caratteristica dello Spirito.
Cosa dici di questo argomento schellinghiano?
Mi pare risibile: cosa c'entrano queste forze con lo spirito inconscio di cui parla Schelling?
La tua obiezione e' legittima. Dal punto di vista "scientifico" farebbe... ridere un argomento del
genere. Devi, però, tener presente i presupposti di Schelling, che sono i presupposti di una
cultura diffusa: considerato che l'attività è una peculiarità dello spirito, una volta si scopre che
la natura è presente anche nella natura, si sostiene che anche la natura è, in ultima analisi,
spirito.
Dobbiamo cercare di cogliere la "ricerca" di Scelling all'interno di certi parametri culturali del
tempo. All'interno di questi parametri (che abbiamo analizzato) la soluzione di Schelling ha una
sua coerenza. Questo non significa che sia valida. Continuiamo. Schelling - nonostante utilizzi
dati scientifici - è lontano dall'apprezzare la scienza. E in questo è in sintonia col clima
romantico. Vero? Come mai questa diffidenza nei confronti della scienza?
Provo a rispondere: immagino perché la scienza non risponde all'ansia tipicamente romantica
dell'Assoluto, dell'Infinito.
E' proprio così: la scienza - il sapere per eccellenza tanto esaltato dall'Illuminismo - non è in
grado di soddisfare la domanda di assoluto che avverte l'uomo "romantico".
Per Schelling la scienza si limita a studiare le cause prossime di un fenomeno. Solo la filosofia
(o la fisica "speculativa") è in grado di vedere un qualsiasi evento della natura come il prodotto
di un'Attività infinita che permea la stessa natura. Solo la filosofia, cioè, è in grado di cogliere
le cause ultime (o prime) dei singoli fenomeni: ogni evento è la manifestazione dell'Attività
infinita. Cosa ne dici?
Mi pare un'ottica risibile, un'ottica oscurantista: come si fa a snobbare l'approccio scientifico
quando questo è l'unico che può basarsi su qualcosa di sperimentabile?
E' indubbiamente facile smontare l'ottica schellinghiana. Non dimenticare, comunque, che la
concezione secondo la quale per conoscere una qualsiasi "parte" è necessario conoscere il
Tutto, ha una sua "logica". Approfondiremo ampiamente il discorso con Hegel.
Per Schelling se noi partiamo dall'analisi della natura, noi troviamo lo "spirito" (è il discorso che
abbiamo finora affrontato). Se partiamo dall'analisi dello spirito, noi troviamo la natura. E'
l'approccio che abbiamo visto in Fichte: il non-io è logicamente in relazione con l'Io, è il limite
senza del quale l'Io non potrebbe essere attivo. Da qui la tesi schellinghiana secondo cui
all'origine di tutto (il Principio, l'Assoluto) non può esserci l'Io fichtiano, ma non può neanche
esserci la sola natura.
Per Schelling il Principio (l'Assoluto) è l'identità indifferenziata di Spirito e Natura, di Io e nonio, di Soggetto e Oggetto, di Conscio ed Inconscio. Cosa ne dici?
Mi sembra una tesi intelligente: come potrebbe Dio produrre la natura se fosse puro spirito? La
natura può derivare da Dio solo se concepiamo Dio come spirito e natura insieme.
La tua osservazione ha indubbiamente una sua logica: tu dici che se la natura deriva da Dio,
tale natura non può che essere già contenuta in Dio, altrimenti - sembra che tu voglia dire - la
natura proverrebbe dal nulla. Tieni, comunque, conto, dell'obiezione "cristiana" secondo cui il
"problema" è risolto mediante la "creazione dal nulla" della materia.
Riprendiamo il discorso. Per Schelling l'Assoluto è identità indifferenziata di Spirito e Natura.
Schelling, cioè, non dice soltanto che la natura è contenuta in Dio, ma che spirito e natura
sono identici. Cosa ne dici?
Mi pare una tesi non convincente: se in Dio la natura si identificasse con lo spirito e viceversa,
si avrebbe una palese contraddizione! Dire che lo spirito è la natura è come dire che lo spirito è
non spirito, è come dire che lo spirito si identifica col suo opposto!
E' questo l'argomento che tirerà fuori Hegel. In questo quadro si colloca la tesi di Schelling
secondo cui non il "filosofo" che è in grado di cogliere l'Assoluto. Perché mai? Prova ad intuirlo.
Mi pare una posizione contraddittoria: non è il filosofo Schelling che ci parla di questo
Assoluto?
La tua è un'osservazione legittima. Schelling, comunque, vuole dire che è vero che il filosofo
argomenta sull'Assoluto, ma è anche vero che il filosofo - proprio perché il pensare presuppone
la distinzione tra soggetto che pensa e l'oggetto pensato - non è in grado di cogliere l'Assoluto
che è identità indifferenziata di Soggetto ed Oggetto.
Neanche la via "morale" indicata da Fichte, secondo Schelling, è in grado di portare
all'Assoluto. Questo perché l'azione morale implica una distinzione tra lo "spirito" che lotta e la
"carne" contro cui lo spirito lotta, una distinzione che non può consentire di cogliere l'Assoluto
che è assoluta identità indifferenziata di opposti. Per Schelling solo l'artista è il vero filosofo:
solo l'artista, in altre parole, è in grado di cogliere l'Assoluto. Cosa ne dici?
Mi sembra un'idea accettabile dal punto di vista romantico: per il Romanticismo, infatti, l'arte è
una forma di conoscenza e, in tale conoscenza, l'artista sperimenta la fusione tra il momento
inconscio dell'ispirazione ed il momento conscio della realizzazione.
E' proprio questa l'ottica di Schelling. Per lui l'Assoluto è identità indifferenziata di Spirito e
Natura, di Soggetto ed Oggetto, in altre parole è identità indifferenziata di conscio (spirito) ed
inconscio (la natura). Ora l'artista sperimenta proprio nel suo atto conoscitivo (l'arte è
conoscenza per il romanticismo e per l'idealismo) la fusione tra momento insconscio
(l'ispirazione) ed il momento conscio (la realizzazione consapevole del prodotto artistico). Da
qui la tesi secondo cui solo l'artista è in grado di cogliere l'Assoluto.
L'artista, quindi, è il vero filosofo. Il filosofo è chi è in grado di andare oltre i limiti della scienza
e cogliere il Tutto, l'Infinito. Ma è solo l'artista che è in grado di cogliere in profondità l'Assoluto
perché sperimenta una profonda fusione di conscio e di inconscio, di libertà (la scelta libera di
realizzare un prodotto) e di necessità (l'impulso dell'ispirazione). Lo stesso prodotto, poi, rivela
chiaramente una fusione profonda tra natura (vedi la forma sensibile - con colori, forme,
suoni... ) e spirito (il messaggio spirituale che permea i colori... ). Si tratta, indubbiamente, di
una tesi in piena sintonia con lo spirito romantico. Non è il caso che Schelling ad un certo
punto venga considerato dai Romantici il vero ideologo del Romanticismo non solo per aver
teorizzato la visione divina della natura, ma anche per aver teorizzato l'arte come il più alto
sapere.
Vi è una seconda fase del pensiero di Schelling (seconda fase che secondo alcuni critici è in
sintonia con la prima, mentre per altri rappresenta una vera e propria svolta). Il problema:
come si spiega il passaggio dall'Assoluto (Uno, Identità indifferenziata di natura e spirito) al
molteplice, al differenziato, al male che c'è nel mondo. Schelling, prendendo spunto dalla
stessa Bibbia ebraica, arriva a dire che in Dio convivono non solo Spirito e natura, non solo
Libertà e Necessità, ma anche Razionalità ed Irrazionalità, Amore ed Egoismo. La storia,
secondo Schelling, non è altro che "teofania" (manifestazione di Dio), cioè la progressiva
vittoria della Razionalità sulla Irrazionalità, della Libertà sulla Necessita', dell'Amore
sull'Egoismo. In questa teofania l'uomo gioca la sua parte: grazie alla sua libertà, può turbare
il piano divino, scegliendo il male.