Prime pagine - Codice Edizioni

Transcript

Prime pagine - Codice Edizioni
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
1-08-2005
10:25
Pagina ix
L’universo non è soltanto più strano di quanto immaginiamo.
L’universo è più strano di quanto possiamo immaginare.
SIR ARTHUR EDDINGTON
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
1-08-2005
10:25
Pagina x
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
1-08-2005
10:25
Pagina xi
Prefazione
Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro meta,
i fiumi riprendono la loro marcia.
QUOLÈT 1,7
Nella mente umana esistono due impulsi primari in conflitto tra
loro: da un lato cerchiamo di semplificare le cose, fino a giungere all’essenza, dall’altro analizziamo l’essenziale, cercando di arrivare alle
sue più vaste implicazioni.Tutti noi viviamo un conflitto del genere
e ci ritroviamo, di tanto in tanto, a valutarne le conseguenze. Ad
esempio, trovandosi sulla riva del mare, molti finiscono per meditare
sulla maestosità del mondo, sebbene il mare sia, fondamentalmente,
soltanto una cavità piena d’acqua. Esiste un’immensa letteratura sull’argomento, in certi casi assai antica, che spesso considera il conflitto in questione come morale, o come tensione tra il sacro e il profano. Di conseguenza considerare il mare qualcosa di elementare e finito, come potrebbe fare un tecnico, corrisponde a una visione
animistica ed elementare, mentre la percezione di una risorsa dalle
infinite possibilità è avanzata e tipicamente umana.
Tuttavia tale conflitto non riguarda soltanto la percezione, è anche fisico. Il mondo naturale è governato sia dai principi essenziali
sia dagli straordinari principi organizzativi che ne scaturiscono.Tali
principi sono trascendenti, nel senso che resterebbero validi anche
se i principi essenziali dovessero subire qualche piccolo cambiamento. La nostra visione conflittuale della natura riflette un conflitto intrinseco alla stessa natura, la quale consiste simultaneamente di elementi primari e di strutture organizzative stabili e complesse formate da questi elementi, come ad esempio il mare.
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
1-08-2005
10:25
Pagina xii
xii
Prefazione
L’essenza della vita.
Naturalmente sulla riva del mare possiamo anche divertirci, ed è una
cosa da non dimenticare soprattutto quando stiamo passeggiando su
un pontile, e l’acqua è la sotto, invitante. La vera essenza della vita
consiste nell’aggirarsi troppo vicino a una giostra, così da essere colpiti dallo yo-yo di uno dei suoi passeggeri. Fortunatamente, noi fisici
siamo pienamente consapevoli della nostra tendenza a uno stile decisamente pomposo, e facciamo ogni sforzo possibile per controllarci.
Questa attitudine è stata espressa con precisione in una lettera scritta
dal mio collega Dan Arovas, docente presso la University of California di San Diego, e indirizzata al cronista e umorista Dave Barry:
Caro Dave,
sono un tuo affezionato lettore, e non perdo mai un tuo articolo. Darei
qualsiasi cosa per saper scrivere altrettanto bene. Ho costruito una capanna in cima a un albero in tuo onore, e sono andato ad abitarci. Sinceramente, Dan.
Dan mi ha riferito di aver ricevuto la seguente risposta:
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
1-08-2005
10:25
Pagina xiii
Prefazione
xiii
Caro Dan, grazie per la lettera e i per i complimenti.A proposito, ti lasciano gironzolare vicino a qualche testata nucleare? Cari saluti, Dave.
Alcuni anni fa, mi capitò di discutere con mio suocero (un professore universitario in pensione) in merito alla natura collettiva delle
leggi fisiche. Era pomeriggio inoltrato, avevamo appena finito di
giocare a bridge, e tanto per evitare di dover discutere con le nostre
mogli di qualche film terribilmente commovente, ci preparavamo
un paio di gin tonic. Io cercavo di fargli notare come il rapporto di
causa effetto, così attendibile nel mondo naturale, avesse qualcosa da
insegnarci in merito a noi stessi, dal momento che tale attendibilità è
dovuta più a principi di organizzazione che a regole microscopiche.
Per dirla altrimenti, le leggi della natura a cui ci dedichiamo emergono attraverso un’auto-organizzazione collettiva e non è affatto necessario conoscere ciò di cui sono fatte per comprenderle e farne
uso. Dopo avermi ascoltato attentamente, mio suocero mi disse che
non capiva dove volessi arrivare. Aveva sempre pensato che fossero
le leggi a determinare l’organizzazione, e non viceversa. Non riusciva a capire nemmeno se quel ragionamento alla rovescia avesse senso.Allora gli chiesi se le assemblee legislative e i consigli di amministrazione fossero all’origine delle leggi o se piuttosto dovessero la
loro esistenza alle leggi, e tutto gli fu improvvisamente chiaro. Ci
pensò per un po’ e poi mi confessò che non aveva più così chiaro il
perché delle cose e che avrebbe dovuto rifletterci ulteriormente.
Proprio così!
È un vero peccato che la scienza si sia tanto allontanata da ogni
altra forma di attività intellettuale, visto e considerato che in origine
le cose non stavano affatto così1.Gli scritti di Aristotele, ad esempio,
nonostante le ben note imprecisioni, risultano piacevolmente chiari,
significativi e accessibili2. Lo stesso può dirsi per L’Origine delle Specie
di Darwin3. Nella scienza moderna riscontriamo invece una certa
1
Il conflitto tra discipline scientifiche e classiche è ben noto, si veda C. P. Snow, The Two Cultures Cambridge University Press, Cambridge 1993 [tr. it. Le due culture, Marsilio,Venezia
2000]
2 Aristotele, Opere, 11 vol., Laterza, Roma-Bari 1993-200ªxx
3 Il trattato di Darwin è talmente chiaro e lineare che vale la pena di leggerlo. Si veda C. Darwin, The Origin of Species, a cura di G. Suriano, Bantam, New York 1999 [tr. it. L’origine della
specie, Bollati Boringhieri,Torino 1985].
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
xiv
1-08-2005
10:25
Pagina xiv
Prefazione
opacità, sgradevole effetto collaterale della professionalità scientifica,
ed è proprio per tale motivo che noi scienziati siamo spesso (e a ragion veduta) messi alla berlina. Ecco perché, tornando a casa dopo
una giornata di lavoro, tutti provano un perverso piacere nell’incollarsi alla radio e ascoltare la trasmissione Doctor Science, dove arrivano
telefonate con i quesiti più bizzarri, del genere «Perché le mucche
stanno tutte nella stessa direzione mentre pascolano?» (risposta: «Devono allinearsi in direzione del Wisconsin più volte al giorno!»), per
poi concludere «E ricordate, ne so più di voi! Ho una laurea in scienze!»4. A questo proposito, una volta mio suocero mi fece notare che
l’economia era sempre stata una materia meravigliosa, fino a quando
non l’avevano trasformata in scienza. Non aveva affatto torto!
Grazie a quella conversazione sulle leggi fisiche ho cominciato a
pensare a quali risposte scientifiche si potessero dare a problemi ovviamente ben poco scientifici (del tipo «Viene prima l’uovo o la gallina?»), come appunto la questione delle leggi, dell’organizzazione
che deriva dalle leggi e delle leggi come risultato dell’organizzazione. Ho quindi cominciato a rendermi conto che molte persone avevano idee molto precise in materia, senza peraltro essere in grado di
giustificare la loro scelta. Sono infine giunto a una decisione nel momento in cui mi sono accorto che io e i miei colleghi, prendendo
spunto da L’Universo Elegante5, il celebre libro di Brian Green che
elabora alcune teorie della meccanica quantistica dello spazio, finivamo inevitabilmente per discutere sempre delle stesse cose. Una
delle domande ricorrenti era se la fisica potesse essere considerata un
prodotto razionale della mente umana o fosse piuttosto una sintesi
basata sull’osservazione dei fenomeni. La domanda non derivava mai
da un problema esistenziale, ma ovviamente da una questione economica, visto che la mancanza di fondi è uno dei comuni denominatori universali della scienza. Peraltro si finiva sempre per andare a
4
Il Ducks Breath Mystery Theatre,conosciuto in certi ambienti come il Monty Python americano, fu creato nel 1975 da un gruppo di studenti dell’Università dello Iowa. Dopo essersi trasferiti a San Francisco, divennero famosi per le loro messe in scena, e cominciarono a comparire regolarmente nel corso della trasmissione Science Friday della National Public Radio.
È possibile reperirne registrazioni e quant’altro all’indirizzo http://www.drscience.com.
5 B. Greene, The Elegant Universe: Superstrings, Hidden Dimensions, and the Quest for the Ultimate Theory, Norton, New York 1999 [tr. it. L’universo elegante. Superstringhe, dimensioni nascoste e
la ricerca della teoria ultima, Einaudi,Torino 2005].
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
Prefazione
1-08-2005
10:25
Pagina xv
xv
parare sull’inutilità di costruire modelli del mondo belli ma impossibili da verificare sperimentalmente, per poi porsi domande sulla natura della scienza. Quando a Seattle, a Taipei e a Helsinki si è ripetuta la stessa sequenza logica, ho infine intuito che la discordia prodottasi in seguito al libro di Greene riguardava fondamentalmente il
problema che ci eravamo posti io e mio suocero dopo quella partita
a bridge. Inoltre, si trattava di una disputa meramente ideologica:
non aveva niente a che fare con la verità, riguardava piuttosto ciò
che s’intende per “verità”.
Di solito in fisica si dice che una buona formalizzazione promuove il progresso, mentre una cattiva notazione lo ritarda. Non c’è
dubbio. Gli alfabeti fonetici richiedono un tempo d’apprendimento
minore rispetto agli alfabeti ideografici, e quindi la scrittura è più facilmente accessibile. I numeri decimali sono più facili da usare rispetto a quelli romani. Lo stesso concetto si applica alle ideologie. Se
consideriamo la nostra comprensione della natura come un’interpretazione matematica, le implicazioni sono profondamente diverse
rispetto al percepirla come una sintesi empirica. In un determinato
contesto possiamo considerarci padroni dell’universo, nell’altro è l’universo a dominarci. Non c’è quindi da stupirsi che i miei colleghi,
laggiù nelle trincee della scienza sperimentale, si siano tanto scaldati,
visto che il nocciolo della questione non è affatto scientifico, ma riguarda piuttosto la concezione e la collocazione di noi umani nell’ambito dell’universo.
Se tiriamo le fila di queste due visioni del mondo, possiamo andare molto lontano. Quand’ero ragazzo i miei genitori mi portarono
a Yosemite, dove avevamo appuntamento con gli zii, che venivano da
Chicago. Mio zio era un brillante e affermato legale, si occupava di
brevetti e gli piaceva fare sfoggio della sua immensa conoscenza.Ad
esempio, in una certa occasione, avendo saputo che avevo appena assistito a una lezione di Charles Townes, l’inventore del laser, volle
darmi una dettagliata descrizione del funzionamento di quel congegno. Ovviamente, ne sapeva più lui del professor Townes! Tornando
alla gita a Yosemite, lui e la zia avevano prenotato una camera all’Ahwahnee, il più lussuoso albergo della zona, dove avevano invitato i
miei per un paio di colazioni al buffet; poi erano partiti alla volta del
deserto, attraverso il Tuolumne Pass, e quindi avevano fatto ritorno a
casa. Penso che non abbiano visto neppure una sola cascata da vici-
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
xvi
1-08-2005
10:25
Pagina xvi
Prefazione
no. Non ce n’era motivo: visto e considerato che avevano già avuto
l’occasione di osservarne le altre, il concetto era ormai chiaro. Dopo
la loro partenza, io e i miei risalimmo le rive del fiume Merced, godendo della violenza e del fragore delle acque, fino alle Nevada Falls,
dove facemmo un picnic su un enorme blocco di granito, nei pressi
di un prato straripante di fiori selvatici. Anche noi avevamo ben
chiaro il concetto di “cascata”, ma eravamo abbastanza profondi da
non prendere quella nostra conoscenza troppo sul serio.
La visione del mondo alla base dell’atteggiamento di mio zio nei
confronti delle bellezze di Yosemite, visione che probabilmente coincide con quella che ha Brian Greene della fisica, viene descritta
con grande chiarezza da John Horgan nel suo libro La fine della scienza, in cui spiega come ormai ogni questione fondamentale sia perfettamente compresa, al punto che non possiamo far altro che occuparci dei dettagli6. Di fronte a constatazioni del genere i colleghi
sperimentali finiscono inevitabilmente per perdere la pazienza, già
messa a dura prova, visto che oltre a essere un’affermazione sbagliata,
è anche ingiusta. Ecco perché la ricerca di qualcosa di nuovo sembra
sempre una causa persa, almeno fino al momento in cui qualcuno fa
una scoperta. D’altronde, se ciò che si voleva trovare fosse stato pienamente manifesto, nessuno avrebbe dovuto mettersi a cercarlo!
Sfortunatamente, si tratta di una concezione ampiamente condivisa. Una volta mi trovai a chiacchierare con lo scomparso David
Schramm, famoso cosmologo dell’Università di Chicago, a proposito
dei getti galattici. Si tratta di tenui pennellate di plasma che si irradiano da alcuni nuclei galattici, fino a raggiungere distanze incredibili, talora diverse volte superiori al raggio della galassia stessa. Questi
getti sono alimentati in qualche modo dalla rotazione meccanica del
nucleo e non è ben chiaro come possano rimanere così sottili estendendosi per distanze enormi: insomma una faccenda che trovo assai
interessante. Comunque, per tornare all’incontro, David liquidò la
questione definendo la faccenda dei getti come una sorta di “fenomeno meteorologico”. Gli interessava soprattutto l’universo nelle
sue fasi primordiali, nonché le osservazioni astrofisiche che potessero
chiarirne la storia, anche solo parzialmente. Dal momento che quei
6 J. Horgan, The End of Science: Facing the Limits of Knowledge in the Twilight of the Scientific Age,
Addison-Wesley, Reading 1997 [, tr. it. La Fine della Scienza,Adelphi, Milano 1998].
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
Prefazione
1-08-2005
10:25
Pagina xvii
xvii
getti non avevano niente di particolare da dirgli, almeno non in relazione alle questioni che lui riteneva fondamentali, li aveva catalogati
alla stregua di tante altre inutili e seccanti distrazioni. Per contro, io
ho sempre trovato i fenomeni meteorologici estremamente affascinanti, e credo che chiunque sostenga il contrario abbia torto.
Penso che i fenomeni organizzativi fondamentali, come il tempo
atmosferico, possano dirci qualcosa d’importante su fenomeni più
complessi, come ad esempio gli esseri umani. La loro natura primaria ci permette di dimostrare con certezza assoluta come siano governati da leggi microscopiche, ma paradossalmente mette in evidenza che alcuni dei loro aspetti più sofisticati sono indifferenti agli
estremi di quelle leggi. Per dirla altrimenti, nel contesto di questi
semplici casi siamo in grado di dimostrare che l’organizzazione può
acquisire significato e vita autonoma, fino a trascendere le parti di
cui si compone. La scienza fisica ci dice quindi che considerare l’intero essere come qualcosa di più della somma delle sue parti non è
soltanto una teoria ma un fenomeno fisico. La natura si gestisce sia
in base a regole microscopiche fondamentali sia attraverso principi
di organizzazione, potenti e universali.Alcuni di questi principi sono
noti, ma dobbiamo dire che nella stragrande maggioranza dei casi
non ne sappiamo un granché. Ne vengono continuamente scoperti
di nuovi. Quando si raggiungono livelli profondi di sofisticazione è
molto più difficile documentare le relazioni tra causa ed effetto, ma
non ci sono prove che la generazione gerarchica delle leggi che ritroviamo nei fenomeni primari sia rimpiazzata da qualcosa di diverso. Quindi se un semplice fenomeno fisico può realmente acquisire
indipendenza rispetto alle leggi essenziali da cui deriva, la stessa cosa
vale anche per noi. Sono di carbonio, ma potrei anche non essere
mai stato solo quello. Il senso di ciò che sono trascende gli atomi di
cui sono fatto.
Le linee guida di tale concezione sono formulate chiaramente
nell’estesa collezione di scritti di Ilya Prigogine7 nonché, in modo
perfino più originale, nel famoso saggio di P.W.Anderson intitolato
More is Different8, pubblicato oltre trent’anni fa. Il saggio appare at7
I. Prigogine, The End of Certainty: Time, Chaos, and the New Laws of Nature, Simon and
Schuster, New York 1997 [tr. it. La fine delle certezze: il tempo, il caos e le leggi della natura, Bollati Boringhieri,Torino 1997.
8 P.W.Anderson, More is Different, in “Science”, 177, 393, 1972.
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
xviii
1-08-2005
10:25
Pagina xviii
Prefazione
tuale oggi come allora, ed è una fonte d’ispirazione tale che continuo a farlo leggere agli studenti che intendono lavorare con me.
Tuttavia la mia è una visione assai più radicale di quella dei miei
due predecessori, è ciò soprattutto alla luce dei più recenti eventi.
Sono sempre più convinto che tutte le leggi della fisica che conosciamo, e non solo una parte di esse, abbiano origini collettive. In altri
termini, la distinzione tra leggi fondamentali e leggi derivate dalle
leggi fondamentali sarebbe un semplice mito, più o meno equivalente all’idea di poter padroneggiare l’universo grazie alla sola matematica. Le leggi fisiche non possono essere predeterminate mediante l’analisi del puro pensiero, ma devono essere scoperte sperimentalmente, perché si ottiene il controllo della natura solo quando la natura
stessa lo permette attraverso il principio di organizzazione.Tale teoria
potrebbe portare il sottotitolo “Fine del riduzionismo” (teoria secondo la quale i fenomeni divengono immancabilmente via via più nitidi quando vengono frazionati in parti e componenti sempre più piccole) ma non sarebbe una definizione appropriata. Ogni fisico è in
cuor suo fondamentalmente riduzionista, nessuno escluso. Lo sono
anch’io, e non m’interessa tanto contestare il riduzionismo quanto
trovare la sua giusta collocazione nel grande mosaico della natura.
Per dimostrare questo mio punto di vista dovrò discutere apertamente alcune teorie sconvolgenti: l’idea che il vuoto dello spaziotempo sia materia, la possibilità che la relatività non sia un elemento
fondamentale, la natura collettiva della computabilità, le barriere
epistemologiche alla conoscenza teorica, gli ostacoli analoghi che si
frappongono alla falsificazione sperimentale, e infine la natura mitologica di alcune importanti componenti della moderna fisica teorica. Questo radicalismo è, ovviamente, in parte funzionale a questo
volume, dal momento che la scienza, in quanto attività sperimentale,
non può essere definita radicale o conservatrice, ma solo fedele ai
fatti.Tuttavia questi grandi quesiti, che non sono affatto scientifici
ma piuttosto filosofici, risultano essere estremamente interessanti,
perché si tratta di ciò di cui ci serviamo per soppesare le qualità,
comporre le leggi e compiere le scelte della nostra vita.
L’obiettivo che mi propongo non è quindi quello di sollevare un
gran polverone fine a se stesso, ma di provare a vedere con maggior
chiarezza che cosa sia diventata la scienza. Per riuscirci è necessario
distinguere decisamente la scienza quale agente del progresso tecno-
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
Prefazione
1-08-2005
10:25
Pagina xix
xix
logico dalla scienza come mezzo per capire i fenomeni, esseri umani
inclusi. Il mondo in cui viviamo oggi, al contrario di quanto prospetta una facile idealizzazione della moderna mitologia scientifica, è
colmo di fenomeni meravigliosi e fondamentali che non abbiamo
ancora saputo cogliere perché non li abbiamo osservati, o che non
abbiamo saputo osservare perché non ne abbiamo la capacità tecnica. La scienza ha un potere enorme: attraverso la sua rigida obiettività può rivelarci verità che non avevamo neppure immaginato. In tal
senso continua a essere un patrimonio inestimabile, nonché una delle più grandi creazioni dell’umanità.
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
1-08-2005
10:25
Pagina xx
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
1-08-2005
10:25
Pagina xxi
Ringraziamenti
Questo libro non sarebbe mai stato realizzato senza l’inestimabile apporto dell’infaticabile Steve Lew, a cui si devono l’idea iniziale e tutto il lavoro necessario a incoraggiarmi nella stesura e promuovere l’opera presso gli editori. Steve è stato fondamentale soprattutto perché
mi ha stimolato ad andare avanti con il progetto, perché gli scienziati
hanno responsabilità e obblighi contrattuali che devono necessariamente essere messi da parte se ci si vuole dedicare alla stesura di un
volume. L’interazione con Steve rappresenta indubbiamente uno dei
momenti più memorabili della mia lunga carriera accademica, e sono
ben felice di poterlo ringraziare lo straordinario contributo che ha
agevolato l’organizzazione del lavoro, e per l’immenso aiuto nell’analizzare le problematiche dei progressi della fisica da un punto di vista
umanistico.Voglio ringraziarlo anche per le sue idee. Il tono, la forma
e la portata del progetto sono in parte suoi, visto e considerato che
tutto questo si è fatto largo nel corso di una serie di chiacchierate, avvenute nel mio ufficio per diversi mesi. E quindi grazie di cuore, Steve, per tutto questo e per l’aiuto nella revisione delle bozze.
Devo molto anche al professor David Pines, che mi ha aiutato
con pazienza a far decollare il progetto, e si è dedicato alla revisione
critica delle bozze. Durante la visita di David a Stanford, nell’estate
del 1999, ci siamo resi conto di condividere la stessa visione della fisica dell’organizzazione collettiva, e analoghe aspirazioni a tradurre
quanto ci sembrava così ovvio in un linguaggio comune e accessibile; viste e considerate le differenze nel nostro background, si è trattato di una scoperta sorprendente! Tutto ciò è culminato nel saggio
The Theory of Everything, scritto insieme, che affronta per la prima
volta i temi fondamentali poi sviluppati in questo volume1. La gran1 R. B. Laughlin e D. Pines, in “Proceedings of the National Academy of Science”, 97, 28, 2000.
0 Laghlin_ Pg rom. 00i-xxii
xxii
1-08-2005
10:25
Pagina xxii
Ringraziamenti
de popolarità di quel saggio, che ci ha colti entrambi di sorpresa, ci
ha costretti a considerare la necessità di un’analisi più approfondita.
In seguito alla visita di David ho anche cominciato a occuparmi attivamente dell’Institute for Complex Adaptive Matter, forum interdisciplinare nell’ambito del quale si analizza come la matematica si
sviluppi a partire dall’osservazione sperimentale, e non viceversa. In
questo istituto ci proponiamo anche di incoraggiare (forse sarebbe
meglio dire costringere) gli scienziati a spiegarsi reciprocamente le
ricerche in cui sono impegnati in termini il più possibile accessibili.
Impossibile sopravvalutare i vantaggi di una pratica del genere! La
mia conoscenza della scienza deve più ai seminari sponsorizzati da
questo istituto e ai contatti personali che ne sono derivati che a tutte le mie altre attività professionali messe assieme.
Vorrei esprimere un particolare ringraziamento alle due istituzioni che mi hanno esentato dai doveri accademici durante la stesura del libro. Uno è l’Institute for Materials Research di Sendai, in
Giappone, dove, nel novembre del 2002 ho trascorso parte del mio
congedo sabbatico. Devo ricordare in particolare la calda ospitalità
del professor Sadamichi Maekawa, con cui ho condiviso molte gradevoli serate accompagnate da splendido sushi e anguille, gustati
presso i locali sulle rive del fiume Hirose. L’altro è il Korea Institute
for Advanced Study di Seoul, dove sono attualmente professore aggiunto. La mia visita in Corea, nel settembre del 2003, è stata particolarmente fruttuosa, e per tale motivo sono profondamente grato
al mio anfitrione, il professor C.W. Kim (come dimenticare la sensazionale varietà di ristoranti che abbiamo sperimentato insieme!).
Infine non posso ovviamente esimermi dal ringraziare mia moglie Anita, per la sua pazienza davvero infinita, ripagandola con la
promessa di prendermi finalmente una vacanza, in modo da fare insieme quel viaggio nel Maine che abbiamo già progettato diverse
volte: potremo così visitare i luoghi dell’infanzia e magari scovare
qualche buona aragosta!
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
1-08-2005
10:26
Pagina 1
Un universo diverso
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
1-08-2005
10:26
Pagina 2
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
1-08-2005
10:26
Pagina 3
Capitolo 1
Legge di frontiera
La natura è un concetto collettivo, e sebbene la sua essenza sia presente in
qualsiasi individuo di ogni specie, la sua perfezione non può mai essere racchiusa in un singolo oggetto. HENRI FUSELI
Molti anni fa, quando vivevo nei pressi di New York, mi recai al
Museum of Modern Art per vedere una retrospettiva di Ansel
Adams, il grande fotografo della natura. Come molti altri americani
nati nel West, avevo sempre amato le sue opere ed ero convinto di
saperle apprezzare molto di più di quanto potessero fare i newyorchesi, così mi ero precipitato là per potermele finalmente godere
dal vivo. Ne valeva davvero la pena! Chiunque abbia l’occasione di
contemplare da vicino quelle immagini si rende subito conto che
non si tratta semplicemente di asettiche vedute di alberi e di piante,
ma di attente meditazioni sul significato delle cose, sulle infinite ere
della Terra, nonché sulla precarietà delle umane preoccupazioni. La
mostra mi impressionò profondamente e mi colpì molto più di
quanto mi sarei aspettato. Ancora oggi, quando mi trovo ad affrontare qualche problema complesso, o a dover distinguere tra ciò che
ha importanza e ciò che non ne ha, mi ritornano in mente proprio
quelle immagini.
Grazie all’eccellente documentario American Experience, di Ric
Burns, il pubblico televisivo ha potuto recentemente rammentare
come l’opera di Ansel Adams, così come qualsiasi altra arte, sia il prodotto di un luogo e di un tempo specifico, oltre che dell’artista stesso1. Nella prima parte del XX secolo, quando Adams era un ragazzo
era appena stata dichiarata l’abolizione della frontiera, gli americani
1
Ansel Adams: American Experience, regia di Ric Burns. Per ulteriori informazioni si veda
http://www.pbs.org/wgbh/amex/ansel.
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
4
1-08-2005
10:26
Pagina 4
Un universo diverso
In Europa il mito della frontiera viene spesso liquidato come provincialismo d’altri tempi.
avevano dibattuto animatamente su ciò che la scomparsa della frontiera potesse significare per il loro futuro2.
Alla fine, si era deciso che non fosse il caso d’imitare l’Europa, e
che parte dell’identità americana dovesse inevitabilmente mantenersi legata a una condizione selvaggia; senza questo concetto la vita
2
J. M. Faragher, Rereading Frederick James Turner,Yale University Press, New Haven 1999.
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
Legge di frontiera
1-08-2005
10:26
Pagina 5
5
stessa avrebbe perso di significato. Nacque così la metafora della
frontiera, che ha definito fino a oggi la cultura americana, e che
comprende tanto il mito del cowboy e l’ideale dell’uomo austero e
duro, così come l’infinita gamma di possibilità offerta dai panorami
del West. L’opera di Adams raggiunse la piena maturità all’ombra di
tale metafora, e trasse la sua forza soprattutto suscitando nostalgia per
quella natura selvaggia e incontaminata.
L’ideale della frontiera non è provincialismo d’altri tempi.Anche
se viene spesso definito così, soprattutto in Europa, dove la natura
mitologica del West è sempre stata identificata facilmente, ma spesso
trattata con sospetto. Quand’ero militare di stanza in Germania, all’inizio degli anni ’70, mi capitò di leggere un lungo articolo sull’America, apparso sulla rivista “Stern”: era la prima volta che m’imbattevo in quella percezione tutta europea del concetto di frontiera. La
Guerra fa ormai parte della storia, ma articoli del genere continuano
ad apparire con sempre maggiore frequenza. Non si tratta però di
una percezione corretta. Sebbene la confluenza delle forze che hanno prodotto le fotografie di Adams sia tipicamente americana, le immagini di per sé non lo sono. Il desiderio di una frontiera da varcare
è profondamente radicato nell’animo umano, e individui di diverse
parti del mondo, con un diverso retroterra culturale, non hanno alcuna difficoltà a comprenderlo immediatamente e intuitivamente.
Non c’è cultura al mondo nella quale si debba scavare troppo per
trovare una forma di riconoscimento, e di identificazione, con l’ideale della natura selvaggia. Ecco perché l’opera di Adams è conosciuta e apprezzata ovunque.
Il concetto di scienza quale grande frontiera umana è analogamente eterno3. Ovviamente la scienza non è l’unico campo nel quale possiamo ancora immergerci nell’avventura, ma è pur sempre l’unico contesto in cui possiamo ritrovare la genuina impetuosità della
natura. Non si tratta però dello spettrale opportunismo tecnologico
del quale le società moderne sembrano non riuscire a fare a meno,
ma di quel pristino mondo naturale che esisteva prima ancora della
3
L’associazione della scienza con lo spirito della frontiera rappresenta l’idea cardinale di un
famoso rapporto, Scienza, la frontiera infinita, consegnato nel 1945 da Vannevar Bush al presidente Roosevelt, in seguito al quale venne infine creata la National Science Foundation. Si
veda G.P. Zachary, Endless Frontier:Vannevar Bush, Engineer of the American Century, MIT Press,
Cambridge 1999; nonché V. Bush, Endless Horizons, Ayes Co. Pub., Manchester 1975.
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
6
1-08-2005
10:26
Pagina 6
Un universo diverso
comparsa dell’uomo: il grande spazio abbracciato dal cavaliere solitario che attraversa il fiume con tre bestie da soma sotto lo sguardo
fisso di picchi immensi. È la coreografia dei sistemi ecologici, la
grandiosa evoluzione dei minerali della Terra, il moto dei cieli, la nascita e la morte delle galassie. Per parafrasare Mark Twain, quelli che
hanno vociferato a proposito della morte di tale ideale hanno davvero esagerato!
Mi occupo di fisica teorica, una branca della scienza che si dedica
alla causa ultima dei fenomeni. Ovviamente i fisici non possono
vantare alcun monopolio sulle cause ultime, visto che tutti quanti
amano metterci mano, entro certi limiti. Penso proprio che sia un
tratto atavico dello spirito umano, acquisito molto tempo fa in Africa, quando si doveva sopravvivere in un ambiente fisico nel quale le
correlazioni tra le cause e gli effetti erano più che concrete, come
nel caso della vicinanza dei leoni e delle possibilità di finire divorati.
Siamo programmati per trovare le relazioni causali tra i fenomeni, e
quando scopriamo una regola con tutta una sequela di implicazioni
siamo profondamente soddisfatti4. E siamo allo stesso modo programmati anche per non sopportare di trovarci nella situazione opposta, quando siamo davanti a una gran mole di fatti da cui non riusciamo a dedurre alcun significato. Chi di noi non vorrebbe scovare una teoria definitiva, un insieme di regole generali dalle quali
poter ricavare verità qualsiasi, senza più subire il frustrante confronto
con le prove sperimentali? È proprio l’interesse a trovare una teoria
definitiva che rende la fisica così interessante anche per i non addetti ai lavori, sebbene si tratti per molti versi di una faccenda puramente tecnica e astrusa.
Nella fisica teorica si mescolano le notizie buone e quelle cattive.
Dopo un primo contatto con la materia, potremmo credere di aver
soddisfatto l’aspirazione a una teoria assoluta, almeno per ciò che
concerne i fenomeni su scala umana. Ci ritroviamo orgogliosamente capaci di padroneggiare una serie di relazioni matematiche che,
per quel che ne sappiamo, abbracciano l’intero mondo naturale, dal
nucleo dell’atomo in su. Sono semplici e belle, e possono essere descritte in due o tre righe. Ma ecco che la semplicità si rivela assai de4 S. J. Gould, The Lying Stones of Marrakech,Three Rivers Press, New York, 200, pp. 147 e seguenti.
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
Legge di frontiera
1-08-2005
10:26
Pagina 7
7
ludente, un po’ come gli orologini digitali da quattro soldi che hanno solo uno o due pulsanti. Le equazioni sono diabolicamente difficili da gestire, e possono essere risolte solo in un numero assai limitato di casi. Dimostrarne la correttezza richiede analisi lunghe, complesse e quantitative. E bisogna anche avere dimestichezza con una
grande mole di conoscenza, sviluppatasi dalla Seconda guerra mondiale in poi. Sebbene i concetti fondamentali fossero stati affrontati
da Schrödinger, Bohr e Heisenberg negli anni ’20, tali principi poterono essere messi alla prova quantitativamente, con esperimenti
compiuti in un’ampia gamma di condizioni, solo con lo sviluppo
dei più potenti computer e grazie allo spiegamento di eserciti di tecnici competenti, foraggiati dai governi. Per non dimenticare, poi, alcuni progressi tecnologici fondamentali, come la depurazione del silicio e il perfezionamento dei macchinari capaci di produrre fasci
atomici. In realtà, noi fisici abbiamo potuto appurare l’esattezza della nostra concezione del mondo solo grazie alla Guerra fredda e all’importanza economica di congegni elettronici, radar e misurazioni
accurate del tempo (in virtù dei quali l’attività finanziaria è stata
semplificata in contesti molto diversi).
E così, ottant’anni dopo la scoperta della teoria definitiva, ci ritroviamo nei pasticci. La ripetuta conferma sperimentale di tali relazioni ha ormai ufficialmente chiuso la frontiera del riduzionismo, almeno a livello della realtà quotidiana. Come nel caso della chiusura
della frontiera americana, si è trattato di un evento culturale significativo, e anche in questo caso ci si è chiesto un po’ dappertutto che
cosa potesse significare per il futuro della conoscenza. C’è persino
un noto bestseller che sostiene la fine della scienza e l’impossibilità
di giungere a nuove scoperte veramente significative. Nel contempo, la lista di comuni e semplicissimi fenomeni che si rivelano “troppo complessi” per poter essere descritti con le equazioni di cui sopra
continua ad allungarsi in modo allarmante.
Quelli che, come noi, si trovano davvero sulla frontiera, e passano
la notte ad ascoltare l’ululare dei coyote, non possono che riderne di
soppiatto. Ci sono davvero poche cose che un vero pioniere trova più
divertenti delle riflessioni sulla natura selvaggia compiute da questi
personaggi, che nella loro condizione di uomini civilizzati riescono a
malapena a orientarsi in direzione del più vicino supermercato. Credo
che questo momento della storia sia incantevolmente simile all’inver-
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
8
1-08-2005
10:26
Pagina 8
Un universo diverso
no passato da Lewis e Clark sull’estuario del fiume Columbia. Grazie
al coraggio e alla determinazione dei due, la spedizione aveva aperto
un varco attraverso l’intero continente, e aveva portato poi a scoprire
che il valore dell’impresa non consisteva tanto nell’aver raggiunto il
mare, ma nell’aver compiuto il viaggio.All’epoca la frontiera ufficiale
era un’invenzione legale, che riguardava più i diritti di proprietà e la
politica di assegnazione delle terre ai coloni che non un autentico
confronto con la natura. Oggi vale la stessa considerazione. L’autentica
frontiera, ovvero la frontiera intrinsecamente selvaggia, potrebbe essere proprio oltre l’uscio, basta aver voglia di dare un’occhiata.
Sebbene sia un luogo selvaggio, anche la frontiera è regolata dalle sue leggi. Nel mitico vecchio West per legge s’intendeva la forza
della civiltà in una terra che ne era assolutamente priva, e spesso tale
legge era fatta rispettare da personaggi eroici, che trattenevano i più
barbari istinti umani con la forza della volontà. Chiunque poteva decidere se obbedire o meno a quel genere di leggi, con la consapevolezza che se decidevi di non adeguarti c’erano buone possibilità di
essere fatto fuori a colpi di pistola. Ci sono peraltro leggi naturali, relazioni tra i diversi fenomeni, che restano valide indipendentemente
dal fatto che qualcuno le rispetti. Il Sole sorge ogni mattina. Il calore fluisce dai corpi caldi a quelli freddi. Se un branco di cervidi si
rende conto della presenza di un puma, se la dà immancabilmente a
gambe. Si tratta dell’esatto opposto delle leggi di quel periodo mitico, dal momento che queste leggi scaturiscono dalla natura selvaggia e ne costituiscono l’essenza, invece di rappresentare un modo per
tenerla a freno. In effetti, descrivere tali stati con il termine “legge”
può risultare in qualche misura fuorviante, poiché implica l’idea di
una sorta di regola alla quale fenomeni naturali altrimenti disobbedienti scelgono di ottemperare. Non è corretto. Si tratta soltanto
della codificazione del modo d’essere dei fenomeni della natura.
Le leggi fondamentali che conosciamo sono, senza eccezioni,
frutto di fortunate scoperte, piuttosto che di deduzioni. Ciò è pienamente compatibile con la nostra comune esperienza quotidiana.
Il mondo è colmo di regolarità sofisticate e di relazioni causali che
possono essere quantificate, ed è proprio questo il modo in cui riusciamo a capirci qualcosa e a piegare la natura ai nostri fini.Tuttavia, la scoperta di tali relazioni è fastidiosamente imprevedibile e di
certo non può essere preventivata neppure dai più grandi esperti
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
Legge di frontiera
1-08-2005
10:26
Pagina 9
9
scientifici. Questa visione pratica e realistica continua a essere valida
anche nel momento in cui esaminiamo la materia con maggior attenzione, quantitativamente.Viene fuori che il dominio dell’uomo
sull’universo è soprattutto un bluff, molto fumo e niente arrosto. L’idea che tutte le leggi fondamentali della natura siano ormai conosciute è soltanto una componente dell’inganno. La frontiera è ancora là, e si mantiene splendidamente selvaggia.
Il conflitto logico tra l’idea di una frontiera aperta da un lato e la
presenza di un sistema di regole fondamentali dall’altro viene risolto
dal fenomeno dell’emergenza. Sfortunatamente con questo termine
si indicano ormai troppe cose, diverse tra loro, inclusi fenomeni sovrannaturali non regolati da leggi fisiche. Non faccio riferimento a
questo: intendo il principio fisico di organizzazione. Possiamo facilmente constatare come la società umana nelle sue diverse forme disponga di regole organizzative che trascendono l’individuo.Ad esempio, un’azienda automobilistica non cessa di esistere se uno dei suoi
ingegneri finisce sotto un camion. Finite le elezioni, il governo di
uno Stato come il Giappone non subisce mutamenti troppo significativi. Dobbiamo però considerare che anche il mondo inanimato
ha le sue regole organizzative, e che anch’esse prendono in considerazione molti fenomeni che sono altrettanto importanti per noi
umani, come ad esempio le leggi fisiche superiori di cui ci serviamo
nella vita quotidiana. Fenomeni comuni come la coesione dell’acqua o la rigidità dell’acciaio sono solo alcuni degli infiniti esempi
che potremmo citare. In natura troviamo moltissime cose che potremmo definire versioni rudimentali di un dipinto impressionista.
Un campo di fiori, così come ce lo propongono Renoir o Monet, ci
affascina perché costituisce un perfetto insieme unitario, mentre le
porzioni di pittura che lo compongono sono forme irregolari e imperfette. L’imperfezione delle singole pennellate ci racconta come
l’essenza del dipinto sia la sua organizzazione.Analogamente, troviamo estremamente interessante il fatto che certi metalli siano capaci
di emettere campi magnetici nel momento in cui vengono portati a
temperature estremamente basse, e l’interesse è dovuto al fatto che
gli atomi di cui sono composti tali metalli non potrebbero mai compiere singolarmente un’impresa del genere.
Dal momento che i principi di organizzazione, o più precisamente le loro conseguenze, possono essere leggi, queste ultime pos-
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
10
1-08-2005
10:26
Pagina 10
Un universo diverso
sono organizzarsi a loro volta in nuove leggi, da cui ne possono derivare altre ancora, all’infinito. Dalle leggi del moto elettronico si
producono le leggi della termodinamica e della chimica, che generano le leggi della cristallizzazione, che a loro volta producono le
leggi della rigidità e della plasticità, da cui giungiamo alle leggi dell’ingegneria e della tecnica. Il mondo naturale è caratterizzato quindi da una struttura gerarchica a generazione interdipendente, del tutto simile alla società delle pulci, così descritta da Jonathan Swift:
Quindi, come i naturalisti potranno osservare, nelle pulci
Troviamo pulci più piccole, che vivono alle spalle delle prime,
E quest’ultime ne hanno di più piccole ancora, che ne suggono il sangue
E così via, ad infinitum.
La tendenza all’organizzazione è talmente forte che distinguere una
legge fondamentale da uno dei suoi sottoprodotti può diventare difficile.Ad esempio, l’unica prova che il comportamento dei gatti non
sia fondamentale è che i gatti non reagiscono più correttamente
quando, per così dire, vengono spinti oltre i loro limiti operativi.
Analogamente, l’unico motivo per cui siamo certi che gli atomi non
sono oggetti fondamentali è dato dal fatto che si frantumano quando sono fatti scontrare a velocità elevata. Questo principio può essere trasposto su scala sempre minore: anche i nuclei di cui sono fatti
gli atomi si disintegrano nel momento in cui subiscono collisioni a
velocità ancor più elevata, e le parti che si liberano dal nucleo manifestano un comportamento analogo in collisioni a velocità ancor superiore, e via discorrendo. Possiamo quindi affermare che la tendenza del mondo naturale a formare una struttura gerarchica di leggi
fisiche non è soltanto il semplice soggetto di speculazioni accademiche. È proprio grazie a tale caratteristica che possiamo conoscere il
mondo. Inoltre, ciò riduce le leggi fondamentali, quali che siano, a
qualcosa di irrilevante, incapace di tiranneggiarci. E soprattutto, è
questa la ragione per cui possiamo continuare a esistere pur senza
comprendere i segreti fondamentali dell’universo.
Quindi la presunta fine della conoscenza, e la chiusura della frontiera che ciò simboleggia, non rappresenta affatto una crisi incombente, ma è soltanto uno dei tanti imbarazzanti e boriosi attacchi parossistici che caratterizzano la lunga storia della civilizzazione. Alla
fine anche questa mania passerà e sarà dimenticata. La nostra non è
Laghlin_ Cap. 01 001-011/B
Legge di frontiera
1-08-2005
10:26
Pagina 11
11
certo la prima generazione che si sforza di capire le leggi di organizzazione della frontiera, che si illude d’esserci riuscita e che si porta
un fallimento nella tomba. Sarebbe meglio mantenere una certa
umiltà, un po’ come quel pescatore irlandese che commenta serenamente che il mare è così grande, e la sua barca così piccola. Lo spazio
selvaggio di cui abbiamo bisogno per vivere, crescere e definire ciò
che siamo, è vivo e vegeto, e le sue gloriose leggi si dispiegano tutt’intorno a noi.