Clan di Asiago - Fondazione Brownsea
Transcript
Clan di Asiago - Fondazione Brownsea
Ieri, Oggi e Domani Riflessioni del Clan di Asiago dopo il campo a Nyandiwa (Kenya) E’ il tardo pomeriggio dell’ 8 luglio 2011, dopo un anno e mezzo di preparazione e 33 ore di viaggio ci troviamo sotto alla veranda della casa dei volontari del Centro Scout di Nyandiwa, un piccolo villaggio della regione dei Gwassi in Kenya, che si affaccia sul lago Vittoria. Noi siamo il clan “Maji Sata” del gruppo scout Asiago1° e siamo qui dopo aver aderito al progetto Harambee della Fondazione Brownsea. Brownsea è una Fondazione di Milano che si occupa da oltre trent’anni di cooperazione allo sviluppo, mettendo al centro del suo operare l’attenzione alla persona e il metodo scout. Quello che ci ha spinto a intraprendere questo viaggio è il desiderio che vive dentro ognuno di noi: vivere l’avventura! E c’è forse un’avventura più grande? Nove ragazzi, tra i diciassette e i ventotto anni di un paese di montagna dell’Italia settentrionale che si lasciano coinvolgere in un progetto che li porterà dall’altra parte del mondo, nel cuore dell’Africa, per conoscere un altro luogo, un'altra cultura, un altro modo di vivere! La grande avventura dell’amicizia e dell’amore verso della gente che ha bisogno di noi, ma che può anche dare tantissimo, per chi sa vivere questo incontro con il giusto atteggiamento, e che sa vivere l’avventura con tutto il corpo e con il cuore. Bisogna viverla con gli OCCHI. I nostri occhi nelle tre settimane in cui siamo stati in Kenya prima si sono stupiti nel vedere le diversità e alcune “stranezze”. Abbiamo visto impauriti il caos dell’autostazione di Nairobi, le piaghe nella testa di un ragazzo, la sporcizia e la miseria. Si sono poi rasserenati nell’osservare che queste “stranezze” non erano altro che un modo di vivere, uno dei tantissimi. Ed allora hanno potuto osservare la perizia e l’amore di una bambina verso suo fratello più piccolo, hanno potuto osservare la felicità nel condividere le piccole cose, la dignità nel vivere serenamente la propria povertà. E’ con gli occhi aperti che noi abbiamo vissuto l’avventura. Bisogna viverla con le ORECCHIE. Il primi rumori del nostro viaggio davano fastidio, ci disturbavano: sono stati quelli dell’autobus che ci ha portato da Nairobi a Migori. Il motore spompato dell’autobus, la strada sconnessa che faceva ballare le sospensioni e vibrare i vetri nei telai senza guarnizioni, un predicatore che andava avanti e indietro nel corridoio in cerca di attenzione, le botte delle mani sul fianco dell’autobus che facevano da segnale di fermata e poi le grida e gli schiamazzi di chi voleva venderti qualsiasi cosa o semplicemente farsi notare. Poi le orecchie hanno imparato a riconoscere parole, esclamazioni, canti, ad ascoltare anche chi sembra non aver niente da dire, a riconoscere i sentimenti dal tono della voce, dalla cadenza, dalla musica delle parole, anche senza capirne il significato. E’ con le orecchie attente che noi abbiamo vissuto l’avventura. Bisogna viverla con le MANI. Le mani dei primi giorni erano titubanti, incerte, timorose. Attente a non toccare cose sicuramente sporche, infette, non “sterili”. Le mani, poi, hanno incontrato altre mani, mani amiche, mani che non avevano paura di sporcarsi. Poi con le mani liberate dal timore ne abbiamo strette altre, abbiamo creato legami, abbiamo suonato la musica dell’amicizia, abbiamo toccato il cuore dei nostri fratelli. E’ con le mani libere che noi abbiamo vissuto l’avventura. Bisogna viverla con i PIEDI. Con i piedi sotto il tavolo non si vive l’avventura. I piedi sono il nostro mezzo di trasporto più intimo, più antico. E’ con i piedi che ci siamo spostati da Nyandiwa ai villaggi vicini. I piedi hanno consentito agli occhi di osservare, alle orecchie di ascoltare e alle mani di incontrare. Lungo la strada abbiamo incontrato bambini che andavano a scuola, con le loro uniformi stracciate e la felicità nel poterci dare una mano e venire con noi anche solo per un centinaio di metri. Abbiamo incontrato madri con secchi in testa che andavano verso la fontana per portare alla loro baracca la preziosissima acqua per la loro famiglia. Abbiamo incontrato uomini orgogliosi del loro cellulare attaccato al collo (che magari neanche funzionava) o delle loro scarpe, desiderosi di parlare con noi, di chiederci da dove venivamo, per quale squadra di calcio facevamo il tifo o per sapere come si vive in Italia. Abbiamo incontrato i vecchi, sull’uscio della loro misera baracca, che ci invitavano ad entrare, per offrirci anche quello che non hanno. E’ con i piedi stanchi che noi abbiamo vissuto l’avventura. Bisogna viverla con la TESTA. Spesso, troppo spesso lasciamo che gli altri decidano per noi, o che comunque condizionino il nostro pensiero. Succede quando ascoltiamo gli “ho sentito”, gli “hanno detto”, i “si dice”. Spesso quando si parla di Africa e di cooperazione ci si lascia influenzare da quello che sentiamo alla tv o leggiamo nel giornale. Quando si vive un’ esperienza come la nostra si impara a conoscere invece il lato autentico delle cose, si capiscono le dinamiche che portano realmente ad uno sviluppo e quelle invece che sono solamente un pretesto mosso magari solamente da fini speculativi. Abbiamo visto come l’assistenzialismo possa portare al degrado e alla mortificazione della persona, e invece come la promozione dell’autosviluppo porti ad una autentica crescita della persona e della collettività. Quando un bambino ti guarda e ti supplica di fargli un regalo è molto difficile dirgli di no, difficilissimo. Tuttavia, quando si capisce l’importanza di quel “no”, ecco che noi stiamo operando il bene di quel bambino. Noi non siamo i bianchi esseri superiori che portano benessere, ma siamo degli amici che vogliono conoscerti e crescere con te. Questo è stato forse l’insegnamento più difficile da assimilare nella nostra preparazione, ma quello più importante. Ed è solo liberando la nostra testa dai pregiudizi che siamo stati capaci di farlo nostro. E’ con la testa sgombra che abbiamo vissuto la nostra avventura. Bisogna viverla con il CUORE. E’ grazie al cuore che ci siamo spinti ad intraprendere questo cammino, abbiamo superato le difficoltà, abbiamo trovato il coraggio. Ci sono stati momenti di smarrimento, di fatica, di tensioni. Ma è quando la strada è in salita e crediamo di non potercela fare, che il cuore ci può aiutare. Troviamo la forza nelle cose belle che ancora la vita ci può regalare. Nell’amicizia, nell’accoglienza, nell’amore, nella fede. Il cuore degli africani ci ha insegnato tanto. Con la loro gioia di vivere, con la semplicità con cui affrontano i problemi di una vita molto più difficile della nostra, con l’entusiasmo e la curiosità nell’incontrarci. E’ con il cuore limpido che abbiamo vissuto la nostra avventura. Ecco allora che con gli occhi aperti, con le orecchie attente, con le mani libere, con i piedi stanchi, con la testa sgombra e con il cuore limpido abbiamo potuto vivere a pieno la nostra avventura. E quando saremo capaci di vivere così anche la nostra quotidianità ecco che potremo apprezzare al meglio l’avventura della nostra vita!