Tra trucioli e telai - ALPINE SPACE PROGRAMME
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Tra trucioli e telai - ALPINE SPACE PROGRAMME
TRA TRUCIOLI E TELAI Artigianato di qualità nella montagna friulana ANTONIO ANGELO BAUSSANO INIZIATIVA CONFINANZIATA DALL’UE FONDO EUROPEO DI SVILUPPO REGIONALE MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI PROGRAMMA DI INIZIATIVA COMUNITARIA INTERREG III B - SPAZIO ALPINO PROGETTO CRAFTS Cooperazione tra le Regioni Alpine per Promuovere Sinergie Trans-settoriali e transnazionali Cooperation among Regions of the Alps to Forward Trans-sectorial and transnational Synergies REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA Direzione centrale risorse agricole, naturali forestali e montagna Servizio affari generali amministrativi e politiche comunitarie Attività di studio e ricerca sull’artigianato alpino tradizionale e tipico, per riconoscerlo come artigianato di qualità e di eccellenza TRA TRUCIOLI E TELAI Artigianato di qualità nella montagna friulana Rapporto finale di ricerca Antonio Angelo BAUSSANO TRA TRUCIOLI E TELAI Ringraziamenti Desidero rivolgere un particolare ringraziamento, per il loro prezioso contributo e per la loro fattiva collaborazione, a Marina BORTOTTO, Direttore del Servizio affari generali, amministrativi e Politiche comunitarie della Direzione centrale risorse agricole, naturali, forestali e montagna della REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, a Luciana ZANIER, Project Manager per la REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA del Progetto “CRAFTS”, a Alessandra STRAULINO, Responsabile dei Progetti comunitari del Comune di Sutrio (UD), a Leila MEROI, laureanda in Psicologia, a Raffaella CARGNELUTTI, già Presidente della Fondazione Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo (UD), a Domenico MOLFETTA, ricercatore e studioso di Storia locale, ai titolari delle imprese artigiane che ho avuto il piacere di incontrare e di intervistare: - Diemme legno snc - Pontebba (UD) F.lli Rossiti - Tolmezzo (UD) Il C.L.A.P. - Paularo (UD) Il Fiore Dipinto - Tarvisio (UD) Il Vento e il Sole - Tarvisio (UD) L’Ebanista - Paluzza (UD) Mobili MEC - Sutrio (UD Revelant Gino e Giusto - Paularo (UD) SERMOBIL - Tolmezzo (UD) Carnica Arte Tessile Villa Santina (UD) TUFTING TAPPETI - Prato Carnico (UD) Tessitura artigiana di Sauris - Sauris (UD) De Antoni Carnia - Comeglians (UD) Antonio Angelo BAUSSANO Agosto 2005 –2– INTRODUZIONE Introduzione Le attività artistico-artigianali tradizionali che costituivano un settore chiave dell’economia montana delle diverse regioni che compongono l’arco alpino rappresentano, tutt’oggi, una vera e propria ricchezza sia in termini culturali che economici. Tale ricchezza, perché possa continuare nel futuro, deve essere attraverso la creazione di sinergie con altri ambiti strategici dell’economia montana in primis il settore del turismo. Nell’ambito del Programma d’Iniziativa comunitaria INTERREG III B Spazio Alpino, il Servizio affari generali, amministrativi e politiche comunitarie della Direzione risorse agricole, naturali, forestali e montagna, che vanta una rilevante esperienza nella partecipazione a progetti europei dovuta all’elaborazione e all’attivazione di iniziative per lo Spazio Alpino già nel corso della precedente programmazione dei fondi strutturali 1994/1999, ha ritenuto strategico presentare, in qualità di partner capofila, il progetto CRAFTS (acronimo di “Cooperazione tra le regioni alpine per lo sviluppo di sinergie tran-settoriali e transnazionali”), che propone interventi per la salvaguardia e la valorizzazione dell’artigianato alpino e per la tutela e conservazione del patrimonio culturale dei “maestri artigiani” attraverso la creazione di sinergie con il turismo che portino ad una nuova figura professionale di operatore turistico-artigiano. In accordo con la metodologia d’intervento sperimentata dalla Regione Piemonte (partner progettuale) con il progetto “Piemonte Eccellenza Artigiana”, la presente ricerca s’inserisce tra le attività previste dal progetto CRAFTS quale indagine attuata su un’area del territorio montano regionale (la Carnia) che si pone l’obiettivo di definire metodologie e strumenti per individuare e per identificare le forme di artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, rilevabili nei settori della lavorazione del legno e delle lavorazioni tessili individuati come settori di attività artigiana di notevole rilevanza qualitativa a livello locale, nell’intento di attribuire loro uno specifico riconoscimento di qualità e di eccellenza. La ricerca svolge un’approfondita analisi storica delle attività tradizionali legate alla lavorazione del legno e del tessile che inquadra perfettamente l’evoluzione che tali due settori hanno avuto nel tempo. Il lavoro inoltre costituisce una ricca e importante raccolta di informazioni e dati, sia di natura quantitativa che qualitativa, sulle attuali attività artigianali legate ai comparti oggetto della ricerca, fornendo altresì interessanti indicazioni e spunti di riflessione utili a orientare e supportare ulteriori interventi a sostegno dello sviluppo delle produzioni artigiane da avviare nell'immediato futuro. Un sentito ringraziamento al Dott. Baussano che con notevole professionalità e impegno ha svolto un lavoro che auspico possa costituire un importante documento sia per la definizione ulteriori progetti futuri nell’ambito della cooperazione transnazionale sia per l’elaborazione di un’apposita disciplina regionale del settore mediante la quale qualificare e certificare le produzioni artigianali tipiche del territorio montano regionale. Marina BORTOTTO Direttore del Servizio Affari generali, amministrativi e politiche comunitarie –3– SOMMARIO Sommario 1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7 2. Finalità e aspetti metodologici dell’indagine. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11 3. Contributi per una definizione di “Artigianato di qualità” . . . . . . . . . . . . . . pag. 15 4. Cultura e tradizione alpina: alla ricerca di un’identità . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 4.1 Artigianato del legno e radici della tradizione carnica. . . . . . . . . . . . . pag. 4.2 Artigianato tessile e radici della tradizione carnica . . . . . . . . . . . . . . . pag. 21 25 37 5. Le attività svolte dalle imprese artigiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5.1 Comparti di attività relativi alle lavorazioni del legno 5.1.1 La fabbricazione di carpenteria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5.1.2 La fabbricazione di mobili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5.1.3 La fabbricazione di serramenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5.1.4 La fabbricazione di oggettistica varia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5.1.5 L’esecuzione di interventi di restauro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5.2 Comparti di attività relativi alle lavorazioni tessili 5.2.1 La fabbricazione di arazzi e di tappeti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5.2.2 La fabbricazione di biancheria per la casa . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5.2.3 La fabbricazione di tessuti a maglia e confezione . . . . . . . . . . . . . pag. 53 55 57 60 61 62 66 68 70 6. Il contenuto di qualità delle lavorazioni eseguite sotto il profilo artistico, tradizionale, tipico ed innovativo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 6.1 Comparti di attività relativi alle lavorazioni del legno . . . . . . . . . . . . . pag. 6.2 Comparti di attività relativi alle lavorazioni tessili . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 73 73 76 7. Le destinazioni di mercato dei manufatti prodotti e/o dei servizi resi . . . . . . pag. 7.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni del legno. . . . . . . . . . . . . . . pag. 7.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni tessili . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 83 83 86 8. Le azioni da intraprendere per il sostegno e lo sviluppo dei settori artigiani indagati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 8.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni del legno . . . . . . . . . . . . . . . pag. 8.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni tessili . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 91 91 98 –5– TRA TRUCIOLI E TELAI 9. La professionalità artigiana nei settori di attività indagati e il mercato del lavoro in Friuli-Venezia Giulia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 103 9.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni del legno. . . . . . . . . . . . . . . pag. 103 9.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni tessili . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 109 10. L’orientamento dei giovani verso le attività svolte nei settori artigiani indagati e la loro formazione professionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 115 11. Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 121 –6– 1. Premessa Nell’affrontare le complesse tematiche sottese all’analisi delle diverse attività svolte nel settore artigiano è stato osservato che, ogni qual volta si abbia l'opportunità di imbattersi più o meno casualmente in una delle tante espressioni dell'artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo di qualità di una certa area geografica del nostro Paese e la nostra personale sensibilità ne sia stata in qualche misura colpita, si avverte un piacevole effetto di fascinazione che incuriosisce, attrae, cattura. Se, poi, queste espressioni appartengono alla terra e ai luoghi in cui si è nati hanno molto probabilmente il potere di scatenare emozioni assai più intense e profonde che traggono la loro forza dai vissuti personali più intimi, risvegliati in maniera inaspettata ed improvvisa dentro di noi dalla percezione di questi stimoli, all’interno dei quali ritroviamo e riconosciamo la loro natura intrinseca sotto forma di affetti, di valori condivisi, di esperienze significative e chissà quant'altro. Riscopriamo, tutto ad un tratto, le tracce indelebili che un originario impatto con tali sollecitazioni ha lasciato nella nostra memoria: a volte, la suggestione provata è così forte e intensa da far riemergere e di riportare alla nostra coscienza il vigore o la delicatezza di sapori più volte gustati, altre volte la penetrante sensazione di profumi avvolgenti o appena avvertiti, altre volte ancora l’incantata epifania di immagini particolarmente vivide o assorbenti, al punto da lasciarci attoniti. Se si supera la dimensione coinvolgente di queste esperienze e ci si abbandona a una riflessione più pacata, si individua il percorso attraverso il quale queste espressioni, arrivate in molti casi pressoché intatte fino ai giorni nostri, sotto forma di manufatti di pregio ad elevato contenuto artistico o di semplici prodotti tipici derivati da antiche tradizioni locali, si sono consolidate e affermate nel tempo. Esse rappresentano il risultato di un "saper fare" artigiano particolarmente ricco e diversificato nei vari settori di attività, depositario di connotazioni tipiche, proprie di aree regionali specifiche, tramandato gelosamente, dove possibile, di generazione in generazione. L’individuazione di questi caratteri originali ed autoctoni, che risultano appartenere a popolazioni insediatesi storicamente in questi territori e che ci si appresta a definire in modo rigoroso e coerente, deve avvenire nel rispetto di un preciso contesto culturale e la loro ricerca deve essere effettuata all’interno della trama profonda di consuetudini, di usanze, di modi di vivere riconoscibili, da un punto di vista filologico, come elementi fondamentali riconducibili a una precisa identità regionale. (1) I risultati che conseguono da questo “saper fare” riflettono un processo evolutivo in continuo divenire in cui le abilità e le conoscenze sviluppate dall'Homo faber si sono consolidate in una tradizione e hanno reso possibile il suo superamento attraverso l'innovazione. Parte di questo patrimonio è stato impiegato per ideare e realizzare nuove tecniche e nuovi manufatti, parte è stato risparmiato, riscoperto e valorizzato per testimoniare la ricchezza dei valori di una cultura: purtroppo questa spartizione è avvenuta in modo non proprio casuale, ma nemmeno avveduto e molti di questi valori sono andati irrimediabilmente perduti. Nel recente passato, per limitare l'analisi retrospettiva ad un ambito temporale ancora accessibile, il processo di industrializzazione sviluppatosi nell'immediato secondo dopoguerra in alcune regioni italiane e protrattosi con alterne vicende fino ai giorni nostri, non si è certamente preoccupato di salvaguardare e di conservare questo necessario equilibrio. Il settore artigiano si è progressivamente e rapidamente impoverito, a seguito di un sistematico saccheggio del patrimonio di risorse fisiche, informative e umane fino ad allora accumulato, operato dalla grande industria per alimentare la propria macchina organizzativa: basterebbe pensare ai massicci flussi migratori dal Sud e dall'Est del Paese verso queste regioni o a quelli provenienti dalle vallate alpine più prossime ai nascenti poli industriali per rendersi conto della sua entità e della sua vastità. In questo ultimo e particolare ambito, le attività superstiti si sono dovute trasformare e adeguare alle mutate condizioni sociali e economi- –7– TRA TRUCIOLI E TELAI che che hanno interessato queste aree: nonostante gli sforzi operati per sopravvivere, il settore artigiano alpino, soprattutto quello dedito alla produzione di manufatti di pregio artistico e di qualità, riconoscibili per i loro caratteri tradizionali, tipici e, a volte, innovativi, ha dovuto subire un'altrettanto rapida e progressiva marginalizzazione economica. La determinazione e la tenacia, doti proverbiali del lavoratore artigiano, con le quali gli operatori del settore hanno difeso e riaffermato in questi anni la loro attività, nella convinzione che tradizione e innovazione potessero e dovessero trovare spazi di convivenza e di reciproco supporto, hanno contribuito a far sì che verso di essa maturasse una nuova sensibilità e una nuova attenzione, sia da parte dei soggetti che animano l'economia regionale, sia da parte di quelli che istituzionalmente la governano. Nel maggio del 1997 la Regione Piemonte ha promulgato la legge n. 21 che detta "Norme per lo sviluppo e la qualificazione dell'artigianato" nell'intento di esprimere una precisa volontà politica nei confronti di questo importante settore dell'economia piemontese, avvalendosi a tal fine di strumenti operativi efficaci che ne agevolassero sotto diversi aspetti il governo e ne programmassero lo sviluppo futuro. Il legislatore, nell'affrontare la materia, ha rivolto un'attenzione del tutto particolare alle attività svolte nell'ambito dell'artigianato artistico e tipico di qualità, dedicando loro un'intera sezione della legge (il Capo VI del Titolo II). Ad esse si guarda con profonda sensibilità e spiccato interesse per raggiungere in questo specifico settore di attività due importanti obiettivi: - quello della tutela e della salvaguardia del patrimonio artistico, culturale, storico e tecnico accumulato nei secoli dalla tradizione artigiana piemontese. Un patrimonio che, nonostante le difficoltà incontrate nel corso della sua evoluzione, è stato conservato, trasmesso e valorizzato con continuità, tenacia e valenza dagli operatori del settore, di generazione in generazione fino ai giorni nostri; - quello della promozione di un insieme di iniziative che riscoprano, consolidino e rinvigoriscano nei suoi diversi aspetti questo pro- cesso, adeguandolo alle esigenze di qualificazione e di innovazione che il contesto economico, sociale e tecnologico attuale pone. Il dettato legislativo indica in quale modo e con quali strumenti si vogliono perseguire queste finalità che richiedono in via prioritaria di operare, attraverso opportune iniziative, un attento e preciso lavoro di riordino del settore in base al quale poter procedere, in una fase successiva, ad un'approfondita valutazione e ad una rigorosa selezione di quelle attività artigiane che privilegiano e che esaltano le sue specificità qualitative. Le azioni di promozione, di tutela, di salvaguardia individuate dalla normativa esprimono, come sottolineato in apertura, una precisa intenzionalità politica della Regione Piemonte a sostenerlo, ma anche a creare le premesse e le condizioni operative per un suo sviluppo. Alcuni degli aspetti problematici fin qui esaminati sono quelli che si vogliono affrontare attraverso gli interventi mirati che il Programma Europeo Interreg III B - Spazio Alpino prevede di realizzare con il Progetto CRAFTS (Cooperation among Regions of the Alps to forword Trans-sectorial and transnational Synergies) in specifiche aree montane. Il patrimonio culturale di queste aree è stato compromesso e rischia di scomparire definitivamente per una serie di cause concomitanti legate allo spopolamento e alla radicale modificazione del tessuto sociale, soprattutto a seguito del rapido progresso tecnologico degli ultimi cinquant’anni. Le attività tradizionali che costituivano la base dell’economia montana sono state quasi completamente abbandonate e la graduale trasformazione dell’artigianato ha innescato un progressivo processo di obsolescenza dei metodi e delle tecniche di lavorazione abituali. Questo patrimonio culturale è in forte pericolo: la professionalità artigiana sopravvive con i pochi Maestri rimasti, il ricambio generazionale incontra notevoli difficoltà ad affermarsi, il numero delle imprese artigiane che operano sul territorio diminuisce sensibilmente. Il Progetto CRAFTS intende valorizzare l’artigianato alpino di qualità attraverso la creazione di sinergie con il turismo per favorire la nascita di nuove forme di integrazione delle –8– PREMESSA risorse economiche locali ed incentivarne lo sviluppo. In questo senso è orientato l’impegno della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia che, attraverso il Servizio affari generali, amministrativi e politiche comunitarie della Direzione centrale risorse agricole, naturali, forestali e montagna e in accordo alla metodologia d’intervento sperimentata dalla Regione Piemonte con il progetto “Piemonte Eccellenza Artigiana”, si è proposta di attuare, su un’area del proprio territorio montano, la Carnia, un’indagine mirata sui settori della lavorazione del legno e delle lavorazioni tessili, individuati come settori di attività artigiana di notevole rilevanza qualitativa a livello locale: nelle pagine che seguono tale iniziativa viene illustrata nei suoi aspetti operativi. Note (1) Cfr. BAUSSANO A. A., “L’arte come risorsa d’impresa. Artigianato del legno e del restauro ligneo”, REGIONE PIEMONTE - Stendhal, Torino, 1999. –9– 2. Finalità e aspetti metodologici dell’indagine L’attività d’indagine descritta di seguito si pone l’obiettivo di definire metodologie e strumenti per individuare e per identificare le forme di artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, rilevabili nei settori di attività appena ricordati (lavorazione del legno e delle fibre tessili) e presenti sul territorio montano della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, nell’intento di attribuire loro uno specifico riconoscimento di qualità e di eccellenza. Prendendo spunto dall’esperienza maturata in seno alla Direzione Artigianato e Commercio della Regione Piemonte a partire dal 1998, per dare attuazione alla legge regionale 21/97, recante “Norme per lo sviluppo e la qualificazione dell’artigianato” e, in particolare, al Capo VI, relativo all’artigianato artistico e tipico di qualità, l’attività qui proposta intende approfondire le conoscenze finora acquisite, relative a questi due settori, e raccoglierne di aggiuntive prendendo in esame le loro particolari caratteristiche qualitative Tra le azioni mirate alla tutela e alla promozione dell’artigianato artistico e tipico di qualità, la creazione e lo sviluppo di un sistema informativo che rilevi in maniera organica e coerente i fenomeni e le dinamiche di natura artistica, economica, professionale e tecnologica in atto nei due settori e negli eventuali comparti in cui si esprime questa forma di artigianato, assumono una funzione di fondamentale importanza per la loro sopravvivenza. Queste conoscenze, oltre a fornire un quadro aggiornato delle connotazioni quantitative e qualitative delle attività economico-produttive svolte dalle imprese artigiane dell’area montana che operano in questo ambito, costituiscono una base documentaria indispensabile per l’elaborazione di specifici “Disciplinari di produzione”, attraverso i quali fornire la descrizione dettagliata dei processi e delle tecniche produttive e di lavorazione adottate, dei materiali impiegati e delle trasformazioni da essi subite e di quant’altro possa essere d’aiuto per meglio individuarle e classificarle, da utilizzare per la predisposizione di una normativa specialistica, mirata a favorire l’artigianato di qualità. Le iniziative di ricerca e di studio proposte dal presente documento, per l’identificazione e la conoscenza delle imprese artigiane di qualità operanti nei comparti artistico, tradizionale, tipico e innovativo dei settori di attività relativi alla produzione di manufatti lignei e tessili, presenti sul territorio regionale, interessano un’area montana specifica, la Carnia, storicamente caratterizzata, sotto questo profilo, da una tradizione fortemente radicata, e si sviluppano su due versanti principali le cui caratteristiche sono descritte di seguito: a) il primo versante è costituito dalle attività di indagine che si pongono l’obiettivo di acquisire, da fonti informative differenziate (primarie, secondarie, documenti, studi e ricerche, testimonianze, bibliografie ecc.) un insieme di dati di natura quantitativa e qualitativa, relativi ai soggetti economici (imprese) che operano nei due settori dell’artigianato alpino prescelti e alle loro produzioni specifiche, al fine di costruire un sistema informativo, aggiornato e implementabile, dal quale sia possibile cogliere con buon anticipo la natura e l’entità dei fabbisogni che questi manifestano (necessità di sostegno tecnologico-organizzativo, economico, promozionale, informativo, formativo ecc.). La base su cui poggia questo strumento di fondamentale importanza che renderà possibili ed affidabili futuri interventi di analisi quantitativa in questo contesto, è costituita essenzialmente da dati di natura anagrafica e merceologica. Per tali, intendiamo riferirci a informazioni riguardanti: - la denominazione dell'impresa artigiana; - la sua localizzazione sul territorio (indirizzo, recapito telefonico ecc.); - il nominativo del/i suo/i titolare/i e/o di eventuali altri referenti; - il settore e comparto in cui svolge la sua attività (codificazione regionale, ISTAT, altre ecc.); - le produzioni realizzate e la loro destinazione di mercato; - il numero degli eventuali collaboratori del titolare/i e la loro professionalità; - altre eventuali, di specifico interesse. – 11 – TRA TRUCIOLI E TELAI La raccolta di questi dati, effettuata secondo le caratteristiche e le modalità di una rilevazione censuaria, consente di determinare in modo attendibile la numerosità dell’universo delle imprese artigiane, attive sul territorio montano e nei settori presi in esame, e in prospettiva (medio-lungo periodo) l’andamento demografico di questa particolare popolazione (anagrafe delle imprese). Questo modulo di base del sistema informativo costituisce un riferimento necessario e indispensabile per ogni altro intervento conoscitivo nell’ambito dell’analisi quantitativa (demografia d’impresa, indagine campionaria, studi di settore/comparto ecc.) di rilevanza locale e/o comparativa. Esso rappresenta, altresì, il punto di partenza per la progettazione e la realizzazione di studi e di ricerche finalizzate all’analisi qualitativa dei settori e dei relativi comparti dalle quali possano emergere le loro caratteristiche peculiari e i fabbisogni evidenziati in apertura; b) il secondo versante d’indagine, infatti, è rappresentato da iniziative mirate all’analisi qualitativa. Nell’ambito del Progetto CRAFTS, il Working Package 2 manifesta in questo senso una specifica esigenza che assume caratteri di priorità poiché si pone come precisa finalità quella di giungere, attraverso questi strumenti d’indagine, ad individuare, ad identificare e a conoscere in maniera più approfondita un particolare sottoinsieme di quell’universo citato in precedenza ovvero quello delle imprese artigiane di qualità operanti nei comparti artistico, tradizionale, tipico e innovativo dei diversi settori di attività presenti nell’area del territorio montano presa in esame. Nella momentanea assenza dell’universo delle imprese artigiane che operano sul territorio, la prospettiva di individuare e di selezionare da questo il sottoinsieme di quelle che svolgono realmente delle attività rilevanti e significative per la loro qualità nei comparti artistico, tradizionale, tipico ed innovativo dei settori di attività artigiana prescelti, per sottoporle ad un'indagine strutturale minuziosa, è da ritenersi, nel breve periodo e per le ragioni dette, come assolutamente impraticabile. L'individuazione delle fonti di dati e il lavoro di riordino delle informazioni disponibili presso di esse, riguardanti i due settori da indagare, hanno rivelato, infatti, con tutta evidenza la loro natura spuria. Procedure burocratico-amministrative, predisposte da soggetti istituzionali diversi (Consiglio Nazionale dell'Artigianato, ISTAT, INFOCAMERE), hanno consentito di acquisire fino ad oggi un insieme di dati relativi a queste attività, mirato essenzialmente al recupero di una documentazione di base che giustificasse il loro avvio, la loro gestione e il loro controllo nel tempo. La loro classificazione merceologica, ad esempio, è stata perlomeno approssimativa, se non addirittura arbitraria e casuale: molto spesso quest'operazione si è configurata come semplice attribuzione d'ufficio di codificazioni ufficiali (ISTAT, altre), effettuata sulla base di dichiarazioni spontanee degli interessati e mai verificate in concreto. I dati di settore finora disponibili, derivati dall'analisi dell'universo delle imprese artigiane registrate negli archivi camerali, sono purtroppo inaffidabili per l’accertamento delle caratteristiche qualitative dei manufatti prodotti. In alternativa a questo primo percorso d'indagine, è stato predisposto un analogo intervento su un numero limitato e indubbiamente rappresentativo, in termini qualitativi, di testimoni privilegiati, scelti con oculatezza e ponderazione all'interno degli ambiti operativi (produzione di manufatti lignei e tessili) in cui si esprime l'artigianato di qualità a livello locale. Gli stessi dati, di cui si è appena parlato, sono risultati molto utili, nonostante la loro povertà di contenuto informativo, poiché hanno consentito di arrivare per successive approssimazioni ad un “panel” di aziende artigiane del settore delle lavorazioni del legno e del settore delle lavorazioni delle fibre tessili, all’interno del quale sono avvenute l’individuazione e la scelta dei testimoni. Il numero dei testimoni prescelto per ognuno di essi è stato determinato in funzione di una stima di massima dei dati attualmente disponibili e, in particolare, alla luce di una definizione dei singoli comparti ispirata a criteri di rigore e di coerenza. – 12 – FINALITÀ E ASPETTI METODOLOGICI DELL’INDAGINE Gli artigiani dei settori indagati presenti nell’area del territorio montano preso in esame, scelti e contattati in qualità di testimoni privilegiati, sono stati sottoposti ad un'intervista nel corso della quale sono state affrontate le tematiche più significative per la loro attività, riconducibili tuttavia a un percorso d'indagine comune, estensibile a tutto l’insieme delle attività svolte nell’ambito dell'artigianato di qualità regionale, riguardante: - Manufatti e prodotti realizzati; - Produzione prevalente; - Tipologia del ciclo di lavorazione impiegato; - Estensione del ciclo di lavorazione; - Attività di aggiornamento e/o studio in campo artistico, tecnico, culturale, storico-geografico ecc. richieste per recuperare e/o mantenere e/o sviluppare la propria professionalità e la qualità dei manufatti/prodotti realizzati; - Caratteristiche specifiche (artistiche, tradizionali, tipiche, innovative) delle attività svolte e loro aspetti qualitativi; - Destinazioni di mercato di manufatti e prodotti; - Valutazione dell'opportunità di intraprendere iniziative di sostegno e di sviluppo del settore/comparto di appartenenza; - Competenze professionali di ruolo e loro espressione durante lo svolgimento del ciclo di lavorazione; - Requisiti preliminari per l'acquisizione delle competenze di ruolo; - Professionalità artigiane presenti nel settore/comparto e mercato del lavoro; - Prospettive occupazionali offerte dal settore/comparto; - Orientamento e formazione dei giovani verso il settore/comparto e le professionalità artigiane emergenti. Le informazioni raccolte nel corso delle interviste, rielaborate sotto forma di studio di casi aziendali, costituiscono una documentazione specialistica di interesse locale, da utilizzare per la predisposizione di "Disciplinari di Produzione” relativi ai settori di attività artigiana presi in esame. In secondo luogo, esse forniscono un quadro d'insieme delle problematiche che interessano, in particolare, uno spaccato dell'artigianato montano di qualità, dal quale emerge con maggior chiarezza e finalizzazione la natura degli interventi (in ambito economico, tecnologico, occupazionale, formativo ecc.) che gli Organi di governo locale, ai vari livelli, potranno predisporre nell'immediato futuro per il suo sostegno e il suo sviluppo. – 13 – 3. Contributi per una definizione di “Artigianato di qualità” Riprendendo alcune argomentazioni proposte nel recente passato, il problema di definire a priori in che cosa si possa esprimere tale contenuto solleva, senza ombra di dubbio, questioni di carattere teoretico e metodologico di non facile soluzione, perlomeno in questo specifico contesto. (2) Bisognerebbe ripercorrere la storia dell'attività umana, dalle sue origini fino ai giorni nostri, per soffermarsi ad osservare e ad esaminare l'insieme delle varie condizioni che in epoche diverse hanno determinato la comparsa, l'affermazione e il declino di certi ruoli professionali: quello dell'artigiano-artista del mondo classico, quello dell'artigiano-inventore medioevale, quello dell'artista-scienziato del Rinascimento e proseguire fino ad un passato più recente per penetrare e capire la contrapposizione artigiano/artista proclamata dal Bauhaus di Gropius, nell'intento di cogliere in quali forme questi contenuti si sono di volta in volta esplicitati, al punto da connotarli e riconoscerli in un senso o nell'altro. Del resto, questa evoluzione non si è mai arrestata, è tuttora in atto e proseguirà di pari passo con quella della nostra specie. Per quanto ci riguarda, è rilevabile nei suoi vari aspetti all'interno dei singoli comparti che sono stati indagati e si manifesta in ognuno di essi per qualche carattere peculiare che molto spesso non rientra negli schemi di lettura convenzionali. Per evitare sterili prese di posizione e per allargare il più possibile l'orizzonte speculativo, fino a comprendere la totalità delle forme in cui si esprime il lavoro dell'uomo, un contributo chiarificatore potrebbe fornire, attraverso un'analisi comparata delle stesse, la chiave di volta per un superamento di quegli schemi e uno strumento efficace per tentare di capire in quale direzione e verso quali prospettive procede e si sviluppa il processo evolutivo e, dunque, anche quello che interessa più da vicino l'artigianato artistico e tipico di qualità. Il presupposto di fondo, da cui prendono spunto le riflessioni che seguono, è quello di considerare il comportamento umano, e perciò anche quello lavorativo, come forma particolare di comunicazione all'interno del gruppo sociale in cui viviamo. Ogni forma di comunicazione, per essere tale, deve avvalersi di un insieme di segni e di simboli, veicolati da altrettanti comportamenti, codificati in un linguaggio (verbale, gestuale, iconico ecc.) ovvero in una struttura organizzata in cui quei segni, quei simboli e quei comportamenti assumono un preciso significato. (3) Ciò permetterà ai soggetti che intendono comunicare tra loro di poterlo fare con modalità diverse, senza incorrere in errori di reciproca comprensione, ma soprattutto di chiarire quelle situazioni in cui l'utilizzo di uno stesso riferimento segnico può creare confusione e fraintendimenti. È il fenomeno della cosiddetta "ambiguità" che affligge e caratterizza molte situazioni dialogiche, non ultima quella che vede contrapposte due attività umane di specifico interesse per questo contesto come, ad esempio, quella artistica e quella artigianale: evidentemente, le considerazioni che seguono potrebbero essere estese senza difficoltà anche a termini qualificativi di tale attività, particolarmente rilevanti per le finalità che qui ci si pone, quali “tradizionale”, “tipica”, “innovativa”, “di qualità”. (4) Crediamo che non ci siano più difficoltà od ostacoli a considerare le diverse forme dell'espressione artistica come veri e propri linguaggi (quello pittorico, quello musicale ecc.) e considerare come tali quei comportamenti specialistici che conosciamo come tecniche artigianali. (5) Di qui la necessità di operare uno sforzo intellettuale per individuare una metodologia d'indagine unitaria, rigorosa e coerente che permetta di capire i fondamentali di queste due attività e, nel caso specifico, quello che debba intendersi per "artigianato artistico". Il modello linguistico, qui proposto in forma sintetica, serve a decifrare e a denotare forma e contenuto dell'insieme di attività che vanno sotto questo nome, ma anche a fare chiarezza su ciò che può essere definito come tale ovvero a "disambiguare" i termini del discorso. – 15 – TRA TRUCIOLI E TELAI Questo modello, che affonda le sue radici teoriche nei campi della linguistica e delle logica formale, si impernia sull'approfondimento analitico di tre aspetti fondamentali: - l'aspetto semantico, - l'aspetto sintattico, - l'aspetto pragmatico. Questi tre aspetti, che si manifestano simultaneamente nello svolgimento di una qualsiasi attività umana attraverso specifici comportamenti, verranno trattati di seguito, in maniera disgiunta e brevemente approfondita, per conoscerne l'intrinseca natura e per comprenderne le potenzialità esplicative. In primo luogo, l'aspetto semantico riguarda il sistema di segni e di simboli utilizzati in un determinato contesto linguistico e il significato loro attribuito. Per tale, i linguisti intendono la rappresentazione mentale (non condivisa) che ognuno di noi ha di un determinato oggetto, ruolo, funzione, sentimento, attività ecc., per distinguerlo dalla sua denotazione segnica (significante), operata all'interno di un determinato codice linguistico (più o meno condiviso). Dobbiamo ritenere, ad esempio, che la parola "Madre", largamente condivisa e riconoscibile nella lingua italiana, evochi in tutti noi ricordi, emozioni ecc. che rimandano a una sua rappresentazione mentale esclusiva, molto intima e personale. In questo contesto, le parole "Arte" e "Artigianato" sarebbero altrettanti significanti che solleciterebbero in ognuno di noi particolari significati. Fin qui sembrerebbe abbastanza semplice affrontare la questione, ma la complicazione nasce nel momento in cui ci accorgiamo che è proprio sul piano del significato attribuito ai due termini che non c'è accordo o, perlomeno, c'è confusione. Tentare di addivenire ad una accezione dei termini condivisa, che tragga il suo fondamento da analisi serie condotte nel campo della storia dell'arte, ma anche in quella della tecnologia, per citare due ambiti disciplinari di sicuro riferimento, consentirebbe di ordinare e di valutare meglio i dati ottenuti dalle indagini condotte sul settore. Un approccio valutativo di natura deduttiva, aprioristico come quello condotto, ad esempio, sulla classificazione delle attività economiche proposta dall’ISTAT, potrebbe essere proficuamente ed efficacemente integrato da un analogo modo di procedere di natura induttiva, di valutazione a posteriori. Il primo potrebbe essere utilizzato per operare su una classificazione preesistente ma imprecisa e fuorviante, mentre il secondo per sostenere con maggior forza e fondatezza la necessità di una sua revisione e/o aggiornamento. In questa fase sarebbe bene far emergere la contraddizione, il paradosso, l'antinomia esistente ed emergente dal confronto dei due termini, "Arte vs/ Artigianato", e dalle complicazioni che derivano dalla loro combinazione "Arte artigianale vs/ Artigianato artistico" e che potrebbero essere forse chiarite da una rigorosa indagine filologica condotta sui due fronti: riteniamo che solo una attenta ricostruzione e una corretta interpretazione della letteratura e della documentazione critica, prodotta dall'ambiente storico e culturale in cui questi termini sono venuti affermandosi, possa aspirare a dirimere la questione. Quanto della loro accezione semantica è condiviso? Quanto è rifiutato e perché? Quali le possibili mediazioni? Un'indagine di questo tipo coinvolgerebbe inevitabilmente, ma definitivamente l'intero vocabolario a cui si attinge ogni giorno in maniera più che disinvolta: vengono alla mente termini come "Artista", "Artigiano", "Opera d'arte", "Capo d'opera", "Manufatto", "Mestiere", "Passione", "Unicità", "Riproducibilità" e così via. A questo punto non vorremmo essere fraintesi: lungi da noi l'idea di raggiungere in questo senso l'esaustività semantica; riteniamo necessario e indifferibile, piuttosto, dare spessore e credibilità culturale a una questione forse da troppo tempo sottovalutata che danneggia gravemente il settore dell'artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo di qualità. In secondo luogo, l'aspetto sintattico è costituito dalla dichiarazione delle regole che governano l'insieme di segni e di simboli, costituenti un determinato linguaggio. Un riferimento immediato in questo senso ci è dato dalla "grammatica" ovvero dall’insieme – 16 – CONTRIBUTI PER UNA DEFINIZIONE DI “ARTIGIANATO DI QUALITÀ” delle convenzioni adottate e vigenti all’interno di una particolare forma espressiva della comunicazione umana, che presiede e governa la forma del linguaggio verbale, scritto e orale. Nel nostro contesto d'indagine l'equivalente è costituito dall'insieme dei processi e delle tecniche impiegate nei due ambiti di attività artigiana presi in esame: una "grammatica" gestuale, riscontrabile e riconoscibile nella manualità necessaria per potervi agire. Il che comporterebbe una metodica ricostruzione dei modi di produzione propri di questi due settori ovvero delle regole e delle modalità che presiedono alla realizzazione di un'opera d'arte o di un manufatto di artigianato artistico, tradizionale, tipico o innovativo di qualità: non solo dei procedimenti, delle tecnologie, delle attrezzature, degli strumenti e altro. impiegati nello svolgimento delle stesse e nella valutazione dei risultati ottenuti, ma anche delle professionalità emergenti sulle quali questi si reggono e si tramandano. Questa dovrebbe essere, a nostro avviso, la base costitutiva dei cosiddetti "Disciplinari di produzione" che dovranno regolare in futuro le attività svolte nei diversi settori del lavoro artigiano caratterizzato dalle forme e dai contenuti predetti. Da ultimo, consideriamo l'aspetto pragmatico che in determinato contesto linguistico rappresenta la situazione in cui l'insieme di segni e di simboli viene usato ovvero quello della loro riproduzione e della loro riproducibilità. Per quanto ci riguarda, costituisce l'ambito in cui la definizione del nostro problema sul piano semantico (ciò che debba intendersi per arte/artigianato e per l'insieme di riferimenti concettuali che da questa distinzione deriva) si fonde con quella ottenuta sul piano sintattico (l'insieme delle regole che presiedono all’esecuzione, al controllo e alla valutazione delle due attività e dei prodotti che esse realizzano) per consentire la loro riproduzione e la loro riproducibilità secondo un ciclo ricorsivo diversamente finalizzato. Una volta raggiunto un soddisfacente livello di accezione e di condivisione della terminologia che qui ci interessa (ad esempio, “artigiana”, “artistico”, “tradizionale” ecc.), recuperate e stabilite le regole e i procedimenti (materiali, tecniche, tecnologie, conoscenze, competenze e così via) attraverso le quali si realizza un certo manufatto, la sua riproducibilità risulta condizionata dal rispetto di queste regole nell’ambito di quel contesto terminologico, mentre la conformità della sua riproduzione a queste stesse regole e a quant’altro stabilito è riconoscibile (ed eventualmente riconosciuta) attraverso riscontri oggettivi. In altre parole, l'individuazione di ciò che si realizza in una bottega d'arte o, viceversa, in una bottega d'artigiano dovrebbe essere oggetto di un processo di conoscenza induttivo, ricostruito a posteriori, basato sul sistematico confronto tra ciò che si realizza e ciò che dovrebbe essere realizzato, nel rispetto di regole predefinite che, nel nostro caso, coincidono con i cosiddetti "Disciplinari di produzione". Inutile dire che tale confronto e valutazione, per problemi di equità e di giustizia (tralasciando la buona fede e il suo contrario) dovrebbero essere operati da un organismo tecnico "super partes", di provate capacità professionali e di esperienza nei due settori, garante allo stesso tempo degli interessi delle categorie artigiane e di quelli dei loro committenti. Un primo contributo concettuale e metodologico alla stesura dei “Disciplinari di produzione” potrebbe essere quello di valutare, tra gli “addetti ai lavori” e con l’obiettivo di cogliere i contenuti e l’estensione del loro significato, l’accettabilità e la condivisibilità (aspetto semantico) delle seguenti definizioni di carattere generale: 1. Artigianato artistico Con riferimento a quanto espresso nella premessa del presente documento potrà dirsi artistica, la realizzazione di un esemplare unico o a numero limitato, in qualsivoglia materiale il cui utilizzo è dettato da una esigenza estetica, che sia eccellente da un punto di vista tecnico ed abbia valenza formale innovativa ed autonoma; ovvero comunichi una scelta stilistica e/o esprima il linguaggio proprio del suo creatore, sia un esempio di perfezione esecutiva nel solco della tradizione o proponga, a livello sperimentale, nuove procedure di realizzazione. Il concepimento e il risultato dell’opera può essere attuato da parte di un artigiano, – 17 – TRA TRUCIOLI E TELAI indipendentemente dalla sua educazione all’arte, attraverso una formazione scolastica propria o per sensibilità personale, perfezionata da un apprendimento al fianco di esperti maestri d’opera. 2. Artigianato tradizionale, tipico ed innovativo di qualità. 2.1 Tradizionale è il prodotto realizzato in qualsivoglia materiale che rispetta e ripropone una tradizione tecnica e formale che si è conformata nel corso del tempo in un particolare contesto storico e culturale. 2.2 Tipica è la realizzazione di un prodotto in qualsivoglia materiale che contiene uno o più caratteri tecnici e formali, peculiari e nel tempo divenuti comuni ai prodotti della stessa categoria, realizzati nella medesima zona geografica, in modo tale che il prodotto stesso, grazie a questi suoi caratteri propri e costanti, sia riconoscibile e la sua origine precisamente identificabile. 2.3 Innovative sono le modificazioni introdotte in modo più o meno profondo nei materiali che costituiscono un prodotto, nelle sue peculiarità estetiche e funzionali e/o nei criteri e/o nei sistemi impiegati per realizzarlo che rappresentano, di per se stesse, elementi di novità rispetto al passato. 2.4 Di qualità sono i criteri e/o i sistemi impiegati per realizzare un prodotto ai quali siano attribuibili meriti tecnici, estetici o bontà d’ideazione e di fattura, tali per cui sia stata adottata, da parte dell’artigiano, un’attenzione particolare nella scelta della forma e dei materiali ovvero nell’applicazione delle tecniche esecutive. 3. Settori e comparti di attività artigiana. Dalla più ampia definizione di “Settore delle lavorazioni del legno” o di “Settore delle lavorazioni tessili”, è necessario ricostruire il sistema di regole (materiali, tecniche, tecnologie, conoscenze, competenze ecc.) che consentono di realizzare un manufatto riconoscibile come appartenente alle categorie appena citate e organizzarlo, a seconda delle loro finalità, del loro contenuto e della loro forma, in comparti di attività omogenei e coerenti. Nel “Settore delle lavorazioni del legno”, in accordo con i sistemi di codificazione e di classificazione delle attività economiche ufficiali, potrebbero essere ricondotte le classi seguenti: (6) - Taglio, piallatura e trattamento del legno (Cod. ATECO 20.1); - Fabbricazione di fogli da impiallacciatura; compensato, pannelli stratificati, pannelli di truciolato ed altri pannelli di legno (Cod. ATECO 20.2); - Fabbricazione di carpenteria in legno e falegnameria per l’edilizia (Cod. ATECO 20.3*); - Fabbricazione di imballaggi in legno (Cod. ATECO 20.4); - Fabbricazione di altri prodotti in legno, in sughero, e materiali da intreccio (Cod. ATECO 20.5*); - Costruzione di veicoli in legno e di parti in legno di autoveicoli (Cod. ATECO 35.50.2); - Fabbricazione di altri mezzi di trasporto (Cod. ATECO 35.11.2, 35.12); - Fabbricazione di mobili (Cod. ATECO 36, 36.1, 36.11*, 36.12.2 36.13, 36.14*, 36.15); - Restauro finalizzato alla conservazione di opere d’arte (Cod. ATECO 92.31); - Fabbricazione di oggettistica varia (Cod. ATECO 36.40, 36.50*, 36.6*); - Altri eventuali. Con criteri analoghi, nel “Settore delle lavorazioni tessili” potrebbero essere fatte rientrare, invece, queste altre classi di attività: - Preparazione e filatura di fibre tessili (Cod. ATECO 17.1*); - Tessitura (Cod. ATECO 17.2*); - Finissaggio dei tessili (Cod. ATECO 17.3); - Confezionamento di articoli tessili, esclusi gli articoli di vestiario (Cod. ATECO 17.4*); - Altre industrie tessili (Cod. ATECO 17.5*); - Fabbricazione di tessuti a maglia (Cod. ATECO 17.6); - Fabbricazione di articoli di maglieria (Cod. ATECO 17.7*); – 18 – CONTRIBUTI PER UNA DEFINIZIONE DI “ARTIGIANATO DI QUALITÀ” - Confezione di vestiario in tessuto ed accessori (Cod. ATECO 18.2*); - Fabbricazione di calzature (Cod. ATECO 19.30.1. 19.30.2); - Riparazione di altri beni di consumo (Cod. ATECO 52.74); - Restauro finalizzato alla conservazione di opere d’arte (Cod. ATECO 92.31); - Altri eventuali All’interno di questi primi due raggruppamenti delle classi di attività potrebbero esser individuati, per ognuno dei settori artigiani considerati, specifici comparti facilmente riconoscibili per la tipologia e per la qualità dei manufatti che in essi vengono prodotti. Occorre sottolineare che la classificazione operata dall’Istituto centrale di statistica, molto spesso, non riflette un'immagine dell’organizzazione della produzione e del lavoro nei due settori che abbia un risconto attuale. Questo accadeva, soprattutto per quelle lavorazioni che un tempo costituivano una vera e propria specializzazione professionale all'interno del ciclo di produzione di un determinato manufatto, erano estranee alla logica organizzativa del laboratorio artigiano che lo doveva costruire e venivano, perciò, affidate all'esterno, ad altri artigiani dotati di quella competenza esclusiva. Nel settore delle lavorazioni del legno, ad esempio, il costruttore di mobili affidava, di regola, la verniciatura del manufatto prodotto a un collega, esperto in questo tipo di trattamento superficiale, che aveva fatto di questa attività il suo mestiere. In tempi più recenti, per un insieme di vicissitudini che hanno interessato e travagliato gran parte del settore, queste lavorazioni sono state riassorbite e riportate all'interno del suo laboratorio: le sue competenze, tra l’altro, hanno necessariamente assorbito quelle del verniciatore e questa trasformazione ha inevitabilmente ridisegnato il suo ruolo professionale nel senso del "job enlargement" e del "job enrichement". (7) Spetterà, dunque, a una Commissione di esperti e di artigiani dei due settori proporre una nuova aggregazione che riconduca le singole lavorazioni, effettuate al loro interno e riconoscibili, per la loro natura, come lavorazioni artistiche, tradizionali, tipiche ed innovative di qualità, a un certo numero di comparti principali, individuati secondo principi di rigore e di coerenza: principi che consentiranno successivamente di pervenire a una precisa regolamentazione degli stessi, esplicitata e formalizzata in uno specifico “Disciplinare di produzione” di settore. Per ogni comparto, inoltre, dovranno valere le regole generali dettate da questo documento e la Commissione incaricata di valutare e di riconoscere l’eccellenza della produzione realizzata da una certa impresa artigiana dovrà svolgere questo compito verificandone la conformità e l’adeguatezza: a questo proposito, sembra opportuno suggerire fin d’ora che con il termine manufatto si debba intendere “il prodotto finito della lavorazione di propria competenza”. Le imprese artigiane, infine, qualora ne posseggano i requisiti, potranno essere annotate contemporaneamente in più comparti di uno stesso settore per la tipologia delle lavorazioni (artistiche, tradizionali, tipiche ed innovative di qualità) eseguite sui materiali che gli sono propri. Sulla base di queste considerazioni di carattere concettuale e metodologico dovrebbe ora risultare più agevole riconoscere i tratti che caratterizzano le lavorazioni eseguite nei diversi comparti produttivi dei settori artigiani indagati: cosa che ci proponiamo di fare in un prossimo capitolo. Note (2) Cfr. BAUSSANO A. A., “L’arte come risorsa d’impresa”, cit. (3) Cfr. HJELMSLEV L., “Il linguaggio”, Einaudi, Torino, 1970; ECO U., “Trattato di semiotica generale”, Bompiani, Milano, 1991. (4) Cfr. MORRIS C., Segni, linguaggio e comportamento”, Longanesi & C., Milano, 1977; GOODMAN N., “I linguaggi dell’arte”, Il Saggiatore, Milano, 1991. (5) Cfr. EMPSON W., “Sette tipi di ambiguità”, Einaudi, Torino, 1965. (6) Classificazione delle attività economiche ATECO 2002, ISTAT, Roma. (7) Cfr. BONAZZI G., “Dentro e fuori della fabbrica”, Franco Angeli, Milano, 1984. – 19 – 4. Cultura e tradizione alpina: alla ricerca di un’identità Come veniva anticipato in Premessa, se viene superato il momento di piacevole coinvolgimento e di suggestione emotiva provocati dall’impatto con una delle tante espressioni dell'artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo di qualità di una certa area geografica del nostro Paese è possibile individuare il percorso attraverso il quale le stesse, arrivate in molti casi pressoché intatte fino ai giorni nostri, sotto forma di manufatti di pregio ad elevato contenuto artistico o di semplici prodotti tipici derivati da antiche tradizioni locali, si sono consolidate e affermate nel tempo. Esse, si diceva, rappresentano il risultato di un "saper fare" artigiano particolarmente ricco e diversificato nei vari settori di attività, depositario di connotazioni tipiche, proprie di aree regionali specifiche, tramandato gelosamente, dove possibile, di generazione in generazione. L’individuazione di questi caratteri originali ed autoctoni, che risultano appartenere a popolazioni insediatesi storicamente in questi territori e che ci si appresta a definire in modo rigoroso e coerente, deve avvenire nel rispetto di un preciso contesto culturale e la loro ricerca deve essere effettuata all’interno della trama profonda di consuetudini, di usanze, di modi di vivere riconoscibili, da un punto di vista filologico, come elementi fondamentali riconducibili a una precisa identità regionale. (8) Quest’ultimo aspetto è di importanza cruciale e, in accordo con le premesse concettuali e metodologiche avanzate nelle pagine precedenti, pare indispensabile fare un’attenta riflessione proprio sul significato da attribuire al termine “identità”. Facendo riferimento a certi manufatti o a certi prodotti, sembrerebbe scontato immaginarla come un qualcosa che appartiene a un determinato territorio: manufatti o prodotti realizzati in un luogo ben individuato. Così facendo, tuttavia, si dimentica che l’identità si definisce, in primo luogo (e soprattutto) come differenza emergente e rilevabile dal confronto con altre entità e/o realtà: nel caso specifico, l’identità “locale” di quei manufatti o di quei prodotti assume una fisionomia propria, sottolineata da tratti inconfondibili, in funzione di un rapporto di reciprocità e di scambio, nel momento in cui (e nella misura in cui) li si confronta con omologhi, appartenenti a culture e a sistemi di vita diversi. Questa affermazione, ancorché condivisa, sembra particolarmente vera per le finalità della presente iniziativa se la ricerca ha per oggetto le attività svolte nei diversi comparti del settore delle lavorazioni del legno e di quello delle lavorazioni tessili in una specifica area montana della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, la Carnia, poiché esse, di tale identità, sono parte costitutiva essenziale. Riteniamo che quella appena formulata, da semplice proposta assertiva, si trasformi possibilmente in concreta e convinta prassi operativa per individuare e per identificare le forme di artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, rilevabili nei settori di attività appena ricordati e presenti nell’area montana presa a riferimento, nell’intento di attribuire loro uno specifico riconoscimento di qualità e di eccellenza. È assai probabile, allora, che i manufatti e i prodotti realizzati da questi artigiani e da questo artigianato, in una prospettiva di continuità nella tradizione e di apertura all’innovazione, riescano ancora a veicolare e a trasmettere magicamente quel piacevole coinvolgimento e quella suggestione emotiva rendendocene partecipi: del resto, per sottolineare l'abilità e la maestria di un provetto artigiano non si dice forse di lui che "è un mago"? In Carnia, la ricerca di questa identità è stata agevolata dalla presenza di attività artigiane superstiti, nonostante gli sconvolgimenti di varia natura che la memoria storica ci consente di ripercorrere e di ricordare, ma anche dal cospicuo numero di manufatti che, nel tempo, sono stati salvati dal degrado e dall’incuria. Una buona parte di essi, insieme a quelli provenienti dalla tradizione locale precedente, è conservata ed è visibile nelle sale del Museo Carnico delle Arti Popolari di Tolmezzo (UD), allestito intorno a un consistente nucleo di reperti, significativi dell’espressione della – 21 – TRA TRUCIOLI E TELAI valentia artigiana e della cultura materiale di quell’area, raccolti negli anni dal suo fondatore, Michele Gortani (1883-1966), esponente di spicco della comunità scientifica friulana e della vita politica locale. Un patrimonio di testimonianze di quella cultura e di quel “saper fare”, sviluppatasi nel tempo tra le genti carniche, a dir poco inestimabile, recuperato e sistematizzato con la meticolosità e con la competenza che erano proprie di questo studioso, nell’intento di preservarlo dalla distruzione e dall’oblio per trasmetterlo, intatto, alle generazioni successive; un patrimonio di beni culturali che va inteso nella sua accezione più ampia ed estesa, fino a comprendere, oltre ai capolavori e alle espressioni artistiche di maggior pregio, anche la cultura e le tradizioni popolari, gli strumenti di lavoro, gli oggetti di uso quotidiano, la cosiddetta “cultura materiale”, lo stesso paesaggio. L’intenzionalità manifestata da Gortani, forte e determinata, si riscontra come costante rintracciabile nei vari aspetti della sua esistenza ed è particolarmente evidente nelle sue parole quando chiarisce le motivazioni che lo hanno animato e spinto ad intraprendere questa faticosa e difficile impresa: “Amor mi mosse,che mi fa parlare… amore verso la mia terra e la sua gente, la sua vita, le sue tradizioni; tanto più forte, quanto più povera, dimenticata, priva di appoggi e di aiuti. Nel ricercare, dopo le devastazioni della guerra 1915-18, quali delle patrie memorie si potevano rintracciare, esultammo nello scoprire quali tesori rimanevano ancora a testimoniare il gusto e la capacità tecnica degli artigiani carnici. Abilità e buon gusto non limitati alle abitazioni, nelle loro strutture e nei mobili, ma estesi agli attrezzi da lavoro, ai doni per le spose, alla biancheria da casa, agli arnesi più umili della cucina. Amore alla casa, alla famiglia, al lavoro: le virtù cardinali di una stirpe forte e gentile…” (9) Una testimonianza lucida, cosciente e, soprattutto, appassionata nella quale è riconoscibile la stessa intenzionalità che oggi muove i prosecutori della sua opera perché “funga da supporto storico, divulgativo e promozionale dell’antico artigianato artistico locale da prende- re quale modello per il rilancio del settore (assai auspicato dallo studioso) nell’ambito di un più ampio progetto di rivitalizzazione dell’economia montana della zona” (10), ma anche un prezioso documento che attesta con quale sensibilità e con quale attualità lo studioso guardava alla conservazione di tale patrimonio culturale. Dal testo riportato emerge la sua forte identificazione con i valori propri della cultura alpina che, pur nella diversità dei contesti ambientali tipici di quest’area, appaiono essere il denominatore comune rintracciabile nell’impronta etica alla quale le genti che li abitano conformano la loro esistenza: spirito di sacrificio, forte e responsabile senso del dovere, profondo legame affettivo provato per i luoghi della propria nascita, senso di appartenenza, di rispetto e di difesa affermato nei confronti degli elementi fondamentali grazie ai quali si perpetuano le tradizioni locali. Impronta etica che in Friuli, e particolarmente in Carnia, risente dei fortissimi condizionamenti esercitati nel tempo dalle credenze religiose che hanno dato conforto e speranza alle popolazioni locali e nella quale convivono inevitabilmente aspetti sacri, intimamente mescolati con quelli profani. Nel presentare i risultati di una ricerca condotta sul patrimonio edilizio superstite in quest’area montana, un profondo conoscitore della cultura alpina ribadiva che, nonostante le critiche ricevute, rimaneva fermamente convinto che un’analisi dell’architettura rustica dovesse “partire dalle radici etno-culturali della gente che l’ha prodotta; prime fra tutte le religiose, le più documentate e le meglio documentabili anche attraverso l’arte povera, quella compresa, voluta e vissuta dalla gente. D’altronde lo studio della casa non può prescindere dall’uomo, anzi su di lui va incentrato: l’abitazione, i suoi insiemi e i suoi dintorni rappresentavano un tempo tutto il mondo, la vita, il lavoro del contadino. Da questo microcosmo riuscivano ad evadere a malincuore i più intraprendenti, non per propria scelta, ma costretti ad emigrare per sfamare le bocche a carico; sulla donna gravava allora un impegno doppio in ossessiva ripetitività stagione dopo stagione. – 22 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ Tuttavia anche la donna conosceva altri mondi attraverso gli occhi del suo uomo o quelli della fantasia, stimolata da un ricco patrimonio di credenze popolari; ed a sua volta, la donna, se ne faceva interprete coi figli. Le veglie invernali, las filas, occasioni di ritrovo comunitario, consentivano di sognare ascoltando resoconti di viaggi o racconti immaginari dei gans, pagàns, salvàns, mazzaròt di bosc, o storie di strìes, le streghe ritenute di casa in alcune località della Carnia… …Connesso al sentimento religioso, parte innato, parte inculcato…, non poteva mancare un doveroso rispetto verso autorità ed istituzioni. La storia, a questo proposito, insegna che gli uomini della Carnia, i Ciarniéi, si dimostrarono sempre sudditi fedeli del Patriarcato d’Aquileia prima, della Repubblica Veneta poi; ciò perché tra tutti gli abitanti del Friuli, i Carnici erano i più radicati nelle tradizioni. Lo stesso legame di Patria [Patrie Friul], instauratosi coi secoli, costituiva una sorta di patto di solidarietà sancito al fine di ribadire l’unità storico-linguistica, cementata dallo stesso credo religioso. A ben analizzare, il concetto di patria, proprio perché formatosi quando il divino contenuto in natura formava ancora per molti versi oggetto di culto, nasconde anch’esso un significato immanente e viscerale, assai più intimo di quanto non sia l’astrazione romantica che ne verrà fatta negli anni del Risorgimento. Patria è dolce suono di lingua materna; profilo di case ben noto in una cerchia di montagne amiche; rimembranza di luoghi; avvenimenti, canti liturgici e feste paesane; dovere civico ed impegno politico; fatica quotidiana rallegrata da gioie famigliari; angolo di terra sacra nel cimitero del villaggio… Patria e famiglia si sposano integrandosi a vicenda: la terra natale simboleggia la prima, il focolare domestico, il fogolar, la seconda. Sulla montagna friulana questa parte della casa, l’essenza addirittura di essa, riveste quasi il ruolo di ara destinata ad alimentare gli affetti, la fede-fiducia nei legami di sangue, lo struggente desiderio del ritorno per chi è costretto a lavorare lontano.” (11) Probabilmente, è in questo continuo divenire degli eventi che deve essere ricercata la risposta su ciò che debba intendersi con la notazione “tradizione alpina” alla quale spesso si fa riferimento discutendo e argomentando di questioni concernenti l’ambiente montano e alla quale lo stesso Gortani dedica nel suo scritto un esplicito rimando. Recentemente, alcune attente riflessioni, sviluppate intorno a questo stimolante interrogativo, propendono per ritenere che esso come concetto statico sia “qualcosa che non esiste, perché si tratta di una frontiera culturale in continuo movimento, che proprio nel movimento trova la sua ragione di esistere e la propria sopravvivenza. Nel senso che se si ferma muore.” (12) Di qui l’osservazione puntuale, sotto il profilo della ricostruzione storica e storiografica, che gran parte delle trasformazioni introdotte nel corso dei secoli, a formare il fitto ed intricato tessuto della cultura e della tradizione alpina, non sono mai rimaste estranee a questo territorio. Esse rientrano “nel quadro di una circolarità – fra montagna e pianura, fra realtà rurale e urbana, e addirittura fra continenti – e di processi di innovazione che interessano la civiltà alpina al pari di ogni altra. La storia [di queste trasformazioni] smentisce una volta di più il luogo comune che porta a considerare le Alpi una realtà separata e chiusa, refrattaria agli apporti esterni, al mutamento. Una sorta di naturale riserva dell’arcaicità, distinta dalla purezza di una tradizione, contaminata dall’esterno solo in tempi recenti e per questo in declino o in via di scomparsa. In epoca moderna gli scambi fra montagna, pianura e città sono stati certamente più intensi e profondi che nelle epoche precedenti, determinando mutamenti radicali e generalizzati. Si è anche determinata una maggiore asimmetria, a tutto danno della montagna, colonizzata dalla cultura urbana, accrescendone la funzione di luogo di consumo anziché di produzione; ma non per questo le Alpi e la cultura alpina hanno perso la loro vitalità e specificità. Queste si sono piuttosto trasformate, in grado maggiore che in passato, e anche in tempi molto più rapidi, ma attraverso processi che, a ben vedere, non sono mai stati estranei alla realtà alpina. – 23 – TRA TRUCIOLI E TELAI Oggi come ieri, l’innovazione, il cambiamento, hanno assunto (in molti casi, non in tutti) il carattere di un’appropriazione da parte della cultura alpina, il cui successo si dimostra tanto maggiore quanto più felice è l’innesto su una tradizione esistente, la cui trasformazione non corrisponde necessariamente a un suo degrado o a un suo depauperamento, quanto piuttosto a un processo fisiologico. Perché non c’è tradizione senza innovazione. Perché se non si rinnova, una tradizione muore: ne può essere conservata la memoria ma non il valore, che o è attuale o non è.” (13) Dalle considerazioni fin qui sviluppate sembrano emergere con particolare evidenza due categorie storico-antropologiche che aiutano a comprendere con maggiore chiarezza l’evoluzione determinata dalle trasformazioni introdotte nel passato nella cultura e nella tradizione alpina e a dare una prospettiva di mantenimento e di sviluppo, verosimile ed attendibile, per il prossimo futuro: lo stato di bisogno legato alla sopravvivenza dell’Homo alpinus in quell’ambiente e il processo di acculturazione nel quale è stato giocoforza coinvolto per favorire l’assimilazione e l’integrazione di tali trasformazioni nella tradizione locale, al punto da essere considerate caratteri autoctoni. Capacità di adattamento alle condizioni ambientali e compatibilità spasmodicamente ricercata tra tradizione ed innovazione sembrano, dunque, essere gli elementi fondamentali sui quali è venuta affermandosi e consolidandosi la cultura alpina; ma se l’ambiente montano modella gli uomini attraverso i loro vari tipi di attività, questa impronta non incide ovunque nello stesso modo. (14) I brevi cenni storici che seguono si propongono di evidenziare le tappe più importanti e significative di questo percorso con evidente riferimento ai settori artigiani presi in esame, soffermandosi in particolare e appositamente su quegli aspetti prettamente tecnici e/o locali, recuperati da un lontano passato e/o da un più vicino presente, che conferiscono a tali attività i tratti e le connotazioni, si diceva, di un’inconfondibile identità. L’approccio metodologico è stato orientato, in questo caso, verso il recupero, senza dubbio inconsueto, di frammenti che solitamente non compaiono nella “Grande Storia” degli eventi politici ed economici ai cui si fa normalmente riferimento, né alla subalterna ma, perlomeno, documentata “Storia dell’Arte”: quelli difficilmente recuperabili e, ancor meno, databili che contribuiscono alla faticosa ricostruzione di una promettente “Storia delle tecniche”, ingiustamente trascurata nell’ambito della ricerca storica ufficiale. Pur riconoscendo il fatto che questa “Storia”, rispetto alle consorelle, è troppo poco progredita, uno dei più grandi cultori di queste discipline, vissuto nel secolo scorso, considerava che sarebbe stato tuttavia giusto chiedersi se il ritardo di cui soffre non dipendesse, almeno in parte, dall’estrema difficoltà che si incontra a scriverla. Ostacoli che, a suo avviso, non erano insormontabili, a patto che si prendesse chiaramente coscienza della loro natura, utilizzando al proposito tre grandi categorie di documenti estremamente illuminanti, i testi, l’iconografia e gli oggetti: in ogni caso, purtroppo, tali documenti, molto spesso, non restituiscono altro che delle informazioni frammentarie ed incerte. “Lavori senza gloria, gli sforzi degli artigiani non hanno che assai raramente attirato l’attenzione delle cronache” osservava, a proposito della lacunosità dei testi, lo studioso chiedendosi subito dopo: “Certo un resoconto o una carta segnalano, qua e là, più o meno oscuramente, uno strumento o un procedimento nuovo; ma dov’è la prova che questa testimonianza sia coeva all’invenzione o all’acquisizione?” (15) D’altra parte, l’iconografia è sovente “anacronistica” perché legata a rappresentazioni di maniera, riprodotte per consuetudine, e gli oggetti sono, in gran parte, venuti meno: qualora se ne sia recuperato qualcuno, solo eccezionalmente è possibile determinare con relativa certezza il momento della sua fabbricazione. Se, dunque, la “Grande Storia” tace sulle vicissitudini incontrate dalla “Storia delle tecniche”, a partire dagli ultimi tumulti della preistoria fino al XVIII secolo, invenzioni e acquisizioni avvenute in questo lunghissimo lasso di tempo stanno a testimoniare la notevole capacità di rinnovamento del lavoro e delle professionalità artigiane al mutare delle condizioni di vita. – 24 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ L’Homo Europaeus, in altri termini e in modo specifico, fu per eccellenza un Homo faber, non soltanto perché, da sempre, seppe creare ma anche perché seppe imitare o adattare e perché, dalla fusione di questi apporti, riuscì a costruire una civiltà della tecnica. Ritornando al tema della nostra ricerca, possiamo allora constatare che il periodo storico compreso tra i secoli XVII e XVIII è per le genti della Carnia quello in cui i tratti e le connotazioni di cui si parlava poc’anzi prendono una forma più marcata, rispetto al passato, e si affinano al punto da conferire, a quella che oggi conosciamo come tradizione locale, una fisionomia autentica, immediatamente riconoscibile. Nei suoi scritti Gortani riporta che “grama e faticosa esistenza condusse per millenni la popolazione della Carnia, costretta ad una laboriosa povertà dall’avversa natura del suolo e del clima. Del suolo, perché, anche a prescindere dalla frequenza di terreni improduttivi per la sterilità della roccia madre, troppe sono le pendici in rapida degradazione sotto l’attacco delle acque sregolate, che raccolte in torrentacci impetuosi si affrettano al vicino mare con veloci correnti. Del clima, per la piovosità eccessiva che non soltanto richiede amplissimi greti onde smaltire le acque, ma abbassa le fasce altimetriche della vegetazione arrestando a bassissima quota le colture redditizie e troppo limitando l’area delle foreste. In tali condizioni, l’industriosità delle genti carniche, forzate dalla penuria a procacciarsi nutrimento fuori dai confini della patria, diede vita per secoli ad una emigrazione diffusa, sostenuta in parte dagli scambi commerciali e in parte dall’abilità dei nostri operosi e coscienziosi lavoratori. La lunga forzata lontananza non valse ad estinguere e neppure a illanguidire nei nostri l’amore per la casa e per il luogo natale, che anzi trassero vigore dal sentimento nostalgico, ravvivato al contatto con le genti cui arrideva la fortuna di poter lavorare in casa loro. E ciascuno, non appena lo favoriva la sorte, volle da sé costruire la propria abitazione, e ingentilirla poi, con innato buon gusto e con abilità paziente, per la sua famiglia e per quella dei propri figli. Ogni generazione contribuendo in tal modo ad abbellire la casa, e ogni generazione contando fra i suoi membri artigiani più valenti degli altri, o commercianti più fortunati, o imprenditori più abili, si venne a costituire col tempo in ogni villa (tale era in passato la designazione delle singole borgate e borgatelle) una gerarchia di patrimoni più o meno consistente quindi una diversa capacità economica e abitazioni di diversa struttura e diversamente arredate, pur sempre restando nel dominio delle arti e tradizioni popolari. Né si devono prendere i fenomeni demografici attuali [1965] a modello di quelli del passato: ché se oggi la consistenza numerica della popolazione stenta a mantenere le sue posizioni, così non era in passato; e agli 80.000 abitanti attuali della zona vediamo contrapporsi i 23.000 che si contavano alla metà del Cinquecento, i 31.291 risultanti dai censimenti veneti negli anni 1780-84 ed i 42.608 nel 1802, designando così un progressivo incremento assai notevole, malgrado avverse circostanze, nei secoli XVII e XVIII. Declinando col passare del tempo le fortune delle famiglie, anche i beni mobili ed immobili passarono di mano, e, così cangiando, pervennero frazionati ai tardi nipoti. Si spiega in tal modo la ventura che avemmo di trovare ancora, sia in umili case, sia in dimore quasi signorili, testimonianze (a noi preziose per nobiltà di linee o per dovizia di ornati) di un artigianato artistico che risale in massima parte al Settecento, anche se ripete motivi tramandati da tempi assai anteriori. Si tenga presente che siamo in una regione montana con viabilità fino a pochi anni addietro difficile e scarsa, e dove non poté venir meno la norma che rende alle nuove fogge, dettate dalla moda o dal gusto, lenta e tardiva la penetrazione tra i monti.” (16) 4.1 Artigianato del legno e radici della tradizione carnica Le ricerche intraprese nell’ambito della “Storia delle tecniche” si avvalgono della tecnologia, come strumento di analisi e opportunità di studio, per riconoscere nelle varie epoche i processi di acquisizione, di trasformazione, di utiliz- – 25 – TRA TRUCIOLI E TELAI zazione e di consumo dei diversi materiali e dei prodotti della natura da parte di una certa popolazione, insediatasi in un certo luogo, siano essi ben conservati o dei quali siano rimasti solo frammenti o tracce indirette. Le modalità di gestione, che conosciamo comunemente sotto il termine di “economia”, delle materie prime sono desunti dallo studio della selezione dei materiali grezzi utilizzati e dalla destinazione d’uso dei prodotti ottenuti dalla loro trasformazione. Il ciclo delle lavorazioni ovvero, per dirla in altro modo, la concatenazione delle operazioni che hanno consentito di fabbricare strumenti e utensili, e così pure i manufatti ricavati dal loro impiego, viene ricostruita non solo attraverso lo studio di questi oggetti, ma anche da un insieme di informazioni aggiuntive raccolte, come ricordato, da documenti diversi: nel caso di epoche storiche remote tali informazioni provengono dalla ricerca archeologica che non sempre riesce a fornire conferme affidabili alle ipotesi e alle congetture formulate dagli studiosi. Gli anelli di queste catene operazionali, infatti, solitamente legati tra loro da criteri improntati a principi di logica e di razionalità, possono essere suddivise in tappe, fasi o stadi costituiti da una serie di azioni che rivelano una stessa tecnica o una stessa finalità perseguita da sottoporre ad attenta analisi: in questo modo, procedendo dal concreto all’astratto e viceversa, sono messi in evidenza gli schemi mentali, concettualizzati e resi operativi, sottesi a tutte le attività di carattere tecnico. L’interpretazione e la sintesi di queste informazioni, tenendo conto delle costrizioni esercitate dall’ambiente naturale e dai materiali stessi, permettono di distinguere le scelte tecniche specifiche e tradizionali di quella popolazione e di avvicinarsi, quindi, alla sua cultura materiale e alla sua economia: non solo, ma di metterle anche in stretta relazione con altre manifestazioni del suo comportamento (ad esempio, l’alimentazione, l’organizzazione dello spazio, le credenze religiose ecc.) e, attraverso studi comparati, con quelle di altri gruppi sociali. (17) È con questi riferimenti analitici e metodologici, purtroppo sommari in questo particolare contesto, che tentiamo di ricostruire e di evi- denziare alcuni dei momenti più importanti e più significativi del percorso evolutivo compiuto dall’Homo sapiens dal momento in cui si trasforma in Homo faber per mettere a punto una tecnologia che, a ben vedere, è servita a scandire la periodizzazione di tale percorso, dalla preistoria (età della pietra, del bronzo, del ferro) fino ai giorni nostri: la tecnologia del legno. Il legno è una materia prima che per le particolarità delle sue caratteristiche è assai prossima a quella “ideale”: è un materiale leggero, facile da lavorare, dal quale si possono ricavare manufatti di dimensioni relativamente grandi, ha buona resistenza alle sollecitazioni meccaniche e via dicendo. Probabilmente i suoi unici inconvenienti sono quelli di non essere reperibile in aree climatiche avverse o poco favorevoli allo sviluppo di forme di vita vegetale e la sua deperibilità con il passare del tempo che provoca deterioramenti irreversibili e distruttivi sulle suppellettili e sugli oggetti con esso realizzati. L’analisi funzionale effettuata dagli studiosi su reperti preistorici hanno evidenziato che gli strumenti di pietra ritrovati servivano in gran parte a lavorare proprio il legno, utilizzato come materiale da costruzione (e non solo) estremamente versatile ed efficiente. L’utilizzo di materiali alternativi (ad esempio, l’osso) per realizzare strumenti, utensili, immanicature ed oggetti vari non è sempre facile da interpretare in quanto non è dato sapere se questi venissero scelti per le loro caratteristiche intrinseche o piuttosto come suoi sostituti perché diventato raro o introvabile a causa delle mutate condizioni ambientali e climatiche o, ancora, per il loro specifico significato simbolico e/o la loro funzione rituale nel contesto delle pratiche cultuali. Il legno non è soltanto un materiale da costruzione, ma è sempre stato impiegato dall’uomo anche come combustibile con il quale riscaldarsi o con il quale realizzare procedimenti fisico-chimici ( si pensi a quello ceramico o a quello metallurgico) sempre più complessi per trasformare altre materie prime. La scoperta del fuoco e il conseguente sviluppo della capacità di utilizzo di questa fonte energetica rappresentano un punto di svolta – 26 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ fondamentale nella storia dell’umanità soprattutto dal punto di vista cognitivo. “Un diverso modo di considerare la storia procede… dalla convinzione che la prima creazione di sussidi tecnici per il mantenimento dell’esistenza fisico-biologica non costituisca un presupposto, ma sia piuttosto a sua volta espressione della storicità (o cultura) umana. Questa si fonda su quel modo d’essere specificamente umano, che si manifesta fondamentalmente nella coscienza, propria solo dell’uomo. Questa capacità di riflessione che contraddistingue la natura umana è, nella sua genesi iniziale sotto l’aspetto di un primordiale risvegliarsi dell’Io, qualcosa d’ indipendente e di primario rispetto a mutamenti nella costituzione fisica e nelle capacità tecniche. Il problema della misura in cui una impresa culturale abbia per conseguenza uno sviluppo della coscienza, o invece sia essa stessa il frutto di un tale sviluppo, si pone molto spesso nella storia. Il constatare in ciò una evidente interazione non basta a caratterizzare il fenomeno. Un’analisi di sviluppi storici posteriori, meglio documentati dalle fonti, nella loro concomitanza di mutamenti tecnico-materiali e di trasformazioni attinenti alla sfera dello spirito e della coscienza, mostra una distinzione tra la creatività culturale del singolo e l’imitazione dei molti. Per questi ultimi è evidente che, assieme alle manifestazioni culturali tecnico-materiali, essi accolgono e realizzano anche l’espressione della coscienza ad esse collegata. All’opposto, in chi è creativamente attivo, l’atteggiamento della coscienza che è alla base di una realizzazione culturale è da considerarsi primario rispetto a questa. Nel caso dell’utilizzazione del fuoco ciò significa: la caduta di un fulmine con il conseguente incendio di una steppa non avrebbe potuto stimolare un essere prometeico alla utilizzazione di quella forza naturale, se tale essere non avesse posseduto la predisposizione a ciò necessaria.” (18) Fino a quel momento, dunque, è possibile affermare che, nella prima fabbricazione di utensili e di oggetti, la via che collega lo scopo proposto al manufatto finito attraverso la materia prima fornita dalla Natura appare relativamente breve, mentre l’impresa mitologicamente attribuita a Prometeo presuppone non solo una maggiore misura di intenzionalità razionale, congiunta a una capacità cognitiva (intelligenza) differenziata, ma soprattutto una forma di coscienza più caratterizzata. Al di là della metafora, il superamento della fatidica “prova del fuoco” dischiude all’umanità scenari fino ad allora inimmaginabili all’interno nei quali le tecniche si affinano e si consolidano con il trascorrere dei millenni: in questo ambito, parlare di date non ha molto senso ma grosso modo i riferimenti cronologici si rifanno a circa due milioni di anni fa. Non dovrebbe, quindi, sorprendere più di tanto constatare che nell’antico Egitto, per tutto il periodo di sviluppo della civiltà faraonica, gli attrezzi degli artigiani siano rimasti sostanzialmente gli stessi: già nella lontana epoca della prima dinastia (intorno al 3.000 a. C.) gli artigiani possedevano una completa padronanza delle tecniche di trasformazione dei diversi materiali conosciuti e disponevano di strumenti, utensili e attrezzature specifici per assolvere questo scopo. Per quanto ci riguarda, nel campo della lavorazione del legno, i falegnami di quei tempi erano in grado di fabbricare un gran numero di manufatti di qualità, sia sotto il profilo tecnico sia sotto quello estetico, impiegando sistemi costruttivi del tutto identici a quelli attuali come, ad esempio, le connessioni tra singoli particolari mediante incastri a linguetta o a coda di rondine. (19) Gli ebanisti erano in grado di realizzare con grande abilità manufatti sui quali eseguivano delicati intarsi con l’apporto di essenze lignee diverse, di avori e di “faience”, nonostante la materia prima fosse assai poco disponibile localmente. “Soltanto di un prodotto naturale l’Egitto presenta una notevole deficienza, precisamente di un buon legname da costruzione, che doveva essere importato dal Libano tramite un commercio che è altrettanto antico quanto la navigazione marittima. Gli alberi indigeni, principalmente l’acacia e il sicomoro, erano troppo nodosi e poco elastici per fornire un legname di buona qualità, benché dal loro legno si ricavassero semplici mobili di uso domestico quali scatole spesso impiallacciate con avorio, ebano e altri legni per abbellirne l’aspetto. – 27 – TRA TRUCIOLI E TELAI Gli Egiziani, fin dalla più remota antichità si mostrarono abili nell’utilizzare varie specie di giunchi e canne nel confezionare molti oggetti di vimini, quali tavole, supporti, sgabelli e recipienti.” (20) È possibile rilevare, a questo punto evolutivo delle tecniche di costruzione di ciò che serviva alla vita quotidiana di quella popolazione, uno snodo fondamentale e determinante per lo sviluppo di procedimenti e di sistemi costruttivi differenziati, a seconda dei materiali di base impiegati e delle finalità a cui tali modalità operative miravano, che conservano tuttavia nella loro essenza logica una base concettuale e cognitiva comune. A proposito della produzione di cesti e stuoie, gli archeologi documentano che “i lavori d’intrecciatura più primitivi ritrovati in Egitto rivelano, già dagli albori, raffinati prodotti artigianali, produzione di qualità in quel più ampio contesto di materiali etnologici che comprende tutti gli utensili gli strumenti utili alla ricostruzione della vita di una comunità. Per le fasi più antiche, quelle cioè in cui probabilmente l’intrecciatura preesistette alla tessitura, non si conserva al momento attuale documentazione di sorta, mentre i primi resti databili di stuoie o di cesti risalgono ad un’epoca in cui già compaiono esemplari di tessuti. A partire dal 5.000 a. C. circa, le tecniche di intrecciatura e di tessitura appaiono già diversificate, sebbene siano ancora riconoscibili molte affinità nel processo di lavorazione, che prevede per esempio nel caso delle stuoie una sorta di primitiva tessitura.” (21) Molti dei reperti ritrovati dagli archeologi nei diversi siti in cui si sviluppò la civiltà egizia sono dunque particolarmente significativi in quanto ci permettono di comprendere come funzionasse, dal punto di vista economico e sociale, una comunità di quel antico passato. Alcuni di questi ritrovamenti hanno di per sé qualcosa di unico e di irripetibile (si pensi alla scoperta nel 1922 della tomba intatta del giovane faraone Tutankhamon ad opera di Howard Carter e di lord George Herbert Carnarvon, contenente uno stupefacente ed inimmaginabile corredo funebre), mentre altre hanno fornito e forniscono tuttora informazio- ni sufficienti perché gli studiosi possano cominciare a valutare, a verificare e a trovare eventuali conferme alle ipotesi formulate a proposito degli sviluppi delle varie branche della tecnologia antica: quella relativa alle lavorazioni eseguite sul legno appare, come si accennava, straordinariamente avanzata. (22) “Tra gli arredi domestici, una rilevanza particolare hanno i mobili, che rivestono un duplice significato: puramente strumentale, se si considerano le esigenze pratiche cui essi rispondono, ma allo stesso tempo estetico, per la varietà di forme e di decorazioni che li caratterizzano come espressione di alto artigianato. In questo settore, la documentazione proveniente dall’Egitto è eccezionalmente ampia rispetto a quella di altre civiltà antiche, e la conservazione di una quantità così elevata di reperti è stata possibile grazie al clima egiziano che presentava caratteristiche di notevole equilibrio idrometrico ed anche, soprattutto, alla collocazione in ipogei sigillati, dunque quasi insensibili alle variazioni climatiche esterne: da necropoli desertiche è pervenuta appunto la maggior parte di materiale egizio pur afferente alla vita quotidiana. Nelle collezioni del Museo Egizio di Torino gli elementi d’arredo rappresentano un’entità particolarmente consistente dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo e consentono perciò di valutare la vastissima area di impiego del legno, le conoscenze tecniche allora raggiunte, gli strumenti e i modi di lavorazione, e di seguire l’evolversi delle tipologie e delle forme attraverso i tempi ed il loro diversificarsi a seconda della destinazione. Il legno, che è la materia prima più ampiamente usata per fabbricare mobili, pur essendo assai scarso in Egitto (ma forse meno di oggi, almeno fino in epoca storica), ebbe tuttavia numerosi campi di applicazione: dalle opere architettoniche all’arredo domestico, agli strumenti di lavoro, ai mezzi di trasporto (imbarcazioni, carri), alla scultura a tutto tondo e a rilievo, alle suppellettili strettamente funerarie (sarcofagi, stele, apparati canopici). La sua scarsità, o ancor più l’assenza di varietà pregiate o di dimensioni tali da ottenere grandi tavole, incrementarono assai precocemente, e su larga scala dalla III dinastia, le importazioni; contemporaneamente, si sviluppò una tecnologia – 28 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ assai affinata, basata su rigorosi criteri di economia, finalizzati al massimo utilizzo delle risorse interne: tutte le specie locali adatte per lavori di falegnameria erano impiegate, sopperendo alle piccole dimensioni e al minor pregio con una scelta oculata dei materiali a seconda della destinazione e con accurati sistemi di assemblaggio e di rifinitura.” (23) La qualità che contraddistingue i diversi manufatti è percepibile non solo dalla loro accurata fattura, evidente testimone di una competenza tecnica molto elevata, ma anche dalla loro singolare semplicità e dal loro elegante disegno. “Privi di qualsiasi aggancio decorativo superfluo, trovano nella loro funzionalità le ragioni della loro forma: ma questa funzionalità è interpretata nei termini di quella stessa pulizia geometrica che nella statuaria riusciva a trasferire il caratterizzante di una figura (come qui la possibilità di impiego di un oggetto) in un limpido rapporto di elementi. Lo stesso si può dire di un poggiatesta, scelto un po’ a caso, da una tomba di ignoto a Torino: il legno è amorosamente plasmato, appena rifilato sui margini delle varie parti dell’oggetto, equilibrato e armonioso quanto ben adoperabile. Questo congiungere un modo di vedere così altamente razionale e matematico con un piacere tecnico del fare manuale senza pecche appare in una folla di monumenti del tempo… … Ma abbiamo preferito mettere in evidenza esempi meno illustri, perché in realtà più significativi di un livello quotidiano del gusto. Arte e artigianato son difficili da separare nella cultura egizia.” (24) Guardando allo sviluppo di altre civiltà preesistenti o coeve a quella egizia, l’esiguità delle testimonianze raccolte e dei reperti archeologici ritrovati, unita alla loro specifica natura ha indotto gli studiosi interessati a ricostruire una “Storia delle tecniche”, fondata su criteri di rigore scientifico e di coerenza metodologica, ad avvalersi di approcci comparativi. In questi casi, gli studi di “tecnologia comparata” costituiscono l’unico modo adeguato di trattare i pochi dati a disposizione e, ai fini di una maggiore comprensione, è più promettente paragonare specifiche tecniche in civiltà diverse che fare un inventario separato per cia- scuna civiltà per poi confrontare, valutare e decidere quali siano i dati utilizzabili. I confronti effettuati su specifici manufatti dovrebbero riguardare non solo la forma, la funzione e l’esecuzione degli stessi, ma dovrebbero superare quest’approccio meramente descrittivo e studiare l’esito della sfida che vede contrapposti il costruttore e i materiali a sua disposizione, gli attrezzi, gli strumenti e gli utensili impiegati per eseguire un certo intervento e i risultati ottenuti. Di pari importanza sono i vantaggi offerti e le limitazioni poste dalle condizioni ecologiche ed ambientali di un particolare territorio che molto spesso contribuiscono ad indicare e a determinare la direzione nella quale potrà avvenire lo sviluppo della tecnologia e, più in generale, come si è ricordato in precedenza, dell’intera economia delle popolazioni che lo abitano. A quest’ultimo proposito, occorre tenere in debita considerazione l’influenza esercitata su tale sviluppo dal contesto ideologico-religioso che permea la loro cultura poiché esso può causare effetti inaspettati e contradditori: imporre restrizioni o creare nuovi bisogni, provocare ristagni o stimolare innovazioni creative. Nella civiltà mesopotamica, ad esempio, la mancanza di legname, di pietre adatte alla costruzione e alla decorazione di edifici, unita alla scarsità di minerali metallici, fornì lo stimolo per intraprendere un’attività economica che superava il quadro del sistema ridistribuivo e che trovava negli scambi commerciali con i paesi stranieri una valida alternativa di sopravvivenza e di sviluppo. (25) Infine, non deve essere sottovalutato il condizionamento che la struttura sociale di quelle popolazioni può produrre sull’evoluzione della tecnologia praticata: la sua stratificazione può favorire la coesistenza di livelli separati all’interno della stessa tecnologia, di sue espressioni che accostano il sacro al profano, di condizioni esistenziali che vedono convivere posizioni di prestigio con posizioni di sussistenza, di competenze autoctone sovrapposte a competenze importate o imposte. Per la comprensione dello sviluppo di una civiltà in riferimento ad altre, gli studi di tecnologia comparata assumono, dunque, un significato – 29 – TRA TRUCIOLI E TELAI ed un’importanza pari (o addirittura maggiore) a quella rivestita da analoghi approfondimenti compiuti in ambito filologico e/o religioso. Alla luce di questi riferimenti metodologici diventano allora intelligibili periodi oscuri della “Grande Storia, altrimenti indecifrabili, in cui non si fa menzione (o ci si limita a citazioni marginali) di ciò che accadde a questa importante componente della cultura umana. In epoca ellenistica, a partire dall’VIII secolo a. C., le arti sono al centro di riflessioni che pongono le basi sulle quali si fonda la tradizione più antica del pensiero filosofico europeo ma anche quelle da cui si origina una disciplina di pensiero specifica, l’estetica. Fa la sua comparsa l’idea del bello, certamente la più vicina al mondo sensibile, che diviene oggetto di dispute nelle quali viene coinvolto direttamente e pesantemente il ruolo svolto dall’ arte (tékhne) nel miglioramento della vita spirituale dell’uomo: il pensiero arcaico distingue tra le sue varie forme assegnando questa definizione solo a quelle attività che comportano il trattamento di certi materiali e l’uso di determinati strumenti ed implicano, pertanto, un lavoro manuale. A differenza delle altre, poste sotto la tutela delle Muse, tali attività sono considerate servili e, perciò, degne di spregio: il giudizio espresso dal pensiero platonico è estremamente severo a questo riguardo poiché considera l’arte come cosa frivola, indegna dell’uomo saggio, che distrae e irretisce l’anima (psykhé) rendendola succube dei sensi e delle passioni. Pur continuando a fornire il loro costante contributo al miglioramento delle condizioni di vita quotidiana, queste attività sono successivamente riscattate dal pensiero aristotelico che intravede nelle loro manifestazioni, nonostante le implicazioni di natura servile, un esplicito legame di connessione con la scienza (epistéme). (26) È da queste dispute e da un’iconografia superstite che veniamo a sapere che i colonnati dei templi greci, come ad esempio l’Heraion di Olimpia, erano in origine realizzati in legno e che, a causa dei frequenti incendi, vennero in seguito sostituiti da manufatti in pietra. Eventi che non hanno risparmiato la colossale e stupefacente statua di Zeus, collocata nel tempio a lui dedicato nella stessa città, capola- voro di ebanisteria e di intarsio alto oltre dodici metri, realizzato da Fidia nel V secolo a. C. e descritto da Pausania nella sua “Periegesi della Grecia”. (27) A questi importanti documenti si aggiungono le rappresentazioni dipinte sul vasellame o modellate sugli innumerevoli pìnakes fittili ritrovati tra le offerte votive dei templi dedicati ai diversi esponenti del Pantheon greco nelle quali sono chiaramente riconoscibili un gran numero di suppellettili domestiche e di arredi come sedie, scranni, tavoli, letti, cassapanche, serramenti ecc. di evidente uso quotidiano. In tali rappresentazioni e nei pochi reperti, giunti fino a noi e provenienti dagli scavi archeologici, i manufatti lignei appaiono torniti, incisi, intagliati a rilievo, dipinti e denotano una capacità costruttiva pienamente padroneggiata da coloro che li hanno realizzati, unita a un disegno ispirato da un raffinato gusto estetico. Competenze tecniche che ritroviamo impiegate in epoca romana per le stesse finalità ma anche, e soprattutto, in modo massiccio per rafforzare la poderosa macchina bellica predisposta per l’espansione dell’impero: gli studi avviati in questo senso dal siracusano Archimede proseguono con Erone di Alessandria d’Egitto, divenuta nel frattempo centro di una cultura sempre più specializzata anche dal punto di vista tecnico e scientifico, e raggiungono con Ctesibio di Alessandria, Stratone di Lampsaco e Vitruvio la loro massima espressione sul piano applicativo. Emerge in questo contesto il ruolo determinante svolto da una professionalità complessa, del tutto inedita rispetto al passato, quella dell’architetto-ingegnere-meccanico. “L’architetto-ingegnere-meccanico è al vertice di una gerarchia che comprende tutti gli addetti alle macchine, sia quelli che le costruiscono, sia quelli che le mettono in opera. C’è una graduazione molto articolata in questa gerarchia che gli sottostà. Al livello più basso si collocano quanti devono erogare forza con un grado zero di intelligenza o di abilità; la migliore esemplificazione è data qui da coloro che camminano sulle ruote idrauliche, facendole girare, da quelli che tirano la corda delle pulegge o spingono i bracci degli argani. – 30 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ Costoro possono essere sostituiti da animali, se la situazione lo consente, o anche da forze fenomeniche, come l’acqua che cade, se ce n’è di disponibili. Non appena si sale in questa gerarchia, c’è la fascia molto differenziata di tutti coloro che compiono le operazioni in cui una tale sostituzione non è più possibile. Sono coloro che devono regolare la forza che erogano, in base sia al funzionamento della macchina, sia alle diverse circostanze del suo uso. Si tratta di esperti che devono avere colpo d’occhio e pratica dei materiali e dei limiti della loro affidabilità; devono poi, in certe occasioni, avere ulteriori qualità, come l’audacia. Vi sono poi coloro dai quali dipende, nel momento della costruzione e non dell’uso, la qualità della macchina, sotto il profilo per cui questa dipende a sua volta dalla qualità del materiale impiegato e dal suo trattamento: fabbri, carpentieri ecc. Costoro detengono un certo sapere e una certa intelligenza empirici. Va sottolineata l’ampiezza di questa fascia; le capacità che vi si trovano depositate non sono soltanto quelle acquisite in un pratica ripetuta, ma anche quelle trasmesse oralmente, lungo canali padre-figlio e maestro-apprendista, relative a tutte le tecniche che non hanno superato la soglia della trattazione scritta.” (28) Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, bisogna giungere fino agli inizi del XI secolo, vale a dire in quel periodo storico che molto spesso si suole designare con il nome di Alto Medioevo, per vedere cambiare lo scenario dell’arte europea e con essa le sue applicazioni decorative o minori. Fino a quel momento, le sue connotazioni sono molto discontinue, sia per le diverse ascendenze culturali che, per la stretta connessione con le tradizioni locali e con le vicende storiche in atto in quel periodo, contribuirono a delineare e a rendere riconoscibili i tratti delle produzioni artistiche nelle singole e ben differenziate aree nelle quali vennero realizzate, sia per i diversi risultati da esse conseguiti sul piano qualitativo nel riferirsi a linguaggi e a stili che ben poco o nulla ebbero a che fare tra loro. L’arte alto-medioevale fu straordinariamente ricca di suggerimenti e di fermenti, alcuni dei quali giunsero a maturazione nell’XI e XII secolo, creando le basi per la formazione dello stile romanico: anche in questo caso, le testimonianze iconografiche e i manufatti rimasti indicano indirettamente l’esistenza di una cultura tecnica particolarmente affermata. L’invasione longobarda in Italia, avvenuta nel 568, penetrò nel Paese dal Friuli e proprio qui, a Cividale, ha lasciato alcune importanti tracce del suo passaggio: nella Chiesa di S. Martino, sul fronte dell’altare, fatto costruire dal duca Ratchis (Altare Ratchis) intorno al 744-49, è visibile un esempio della scultura barbarica meno raffinata che raffigura una Maiestas Domini ovvero il Cristo assiso su un trono, fiancheggiato da due serafini, mentre sui fianchi appaiono la Visitazione e l’Adorazione dei Magi. (29) In quest’ultima scena, come in quella centrale, nonostante le limitazioni tecniche dello scultore, è osservabile la rappresentazione di manufatti (trono, trono con baldacchino, poggiapiedi) che denotano una fattura particolarmente elaborata e curata. Nel frattempo, l’avvento e l’affermazione della religione cristiana avevano spostato dai luoghi di culto pagani il complesso sistema della ritualità che accompagna il rapporto dell’uomo con la sua spiritualità e con la sua concezione del “Divino”, per trasferirlo all’interno di chiese e di abbazie sorte in tutt’Europa, a seguito dell’opera di evangelizzazione praticata da schiere di monaci e di predicatori. “Verso il terzo anno dopo il Mille avvenne in quasi tutto l’orbe terrestre, ma specialmente in Italia e in Gallia, che si rinnovassero le basiliche delle chiese, ancorché molto opportunamente situate ne avessero pochissimo bisogno… Era come se il mondo stesso, scrollandosi di dosso quanto aveva di antico e respingendolo, si rivestisse di un candido mantello di chiese. I fedeli non si contentarono di cambiare in meglio quasi tutte le chiese cattedrali e i monasteri di diversi santi, ma anche i piccoli oratori dei villaggi.” (30) Con queste parole un monaco cluniacense del XI secolo, Rodulfus Glaber, riferiva alle cronache gli accadimenti di quel lontano passato e rendeva testimonianza del fervore costruttivo che annunziava l’avvento dell’arte romanica. Lo straordinario fiorire delle arti in questo periodo coincide essenzialmente con un gene- – 31 – TRA TRUCIOLI E TELAI rale riassetto della vita politica, economica e sociale e con un intensificarsi del sentimento religioso, stimolato dalla crescente autorità degli ordini monastici e manifestato nel diffusissimo rituale del pellegrinaggio, compiuto da sterminate masse di fedeli di ogni estrazione sociale verso i luoghi di culto più venerati del mondo cristiano. Nell’ambito dell’architettura e delle arti decorative, la scultura svolge un ruolo di primo piano interpretando un repertorio vastissimo nel quale sia i fondamentali temi della religiosità cristiana, sia le più sottili rappresentazioni simboliche e le più dotte allegorie si traducono figurativamente con una concretezza che testimonia un’adesione totale e profonda all’essenza umana e ai suoi stili di vita quotidiana. Temi ricorrenti, riprodotti con particolare efficacia per quei tempi, che si ritrovano nei manufatti lignei che si sono conservati come i portali delle chiese, spesso decorati con intagli minuti e preziosi, e gli arredi sacri: doveva trattarsi molto probabilmente di un capolavoro il crocifisso ligneo di Lavaudieu, realizzato intorno al 1130, di cui si è conservata la testa al Louvre di Parigi. Negli anni successivi, e fino agli inizi del Rinascimento (periodo di discussa determinazione cronologica, comunque compreso tra il XIV e il XVI secolo) è lo stile gotico a trionfare, con la sua elegante linearità che trova nell’arte sacra il modo di suggerire lo slancio verso l’alto e di esprimere l’intensa aspirazione alla trascendenza. (31) Le cosiddette arti minori o decorative fanno da sfondo a questo trionfo o vi compaiono marginalmente, soverchiate dai capolavori dell’architettura, della scultura e, in minore ma crescente misura, dalla pittura: le scene giottesche, osservabili negli affreschi conservati nella Basilica di S. Francesco ad Assisi e nella Cappella degli Scrovegni a Padova e realizzate dal pittore fiorentino intorno al 1300, rappresentano, a margine della sacralità dei soggetti celebrati, scene di vita quotidiana in cui sono visibili arredi e suppellettili del tempo. Nel Quattrocento prende avvio il rinnovamento artistico probabilmente più profondo e decisivo che abbia mai sperimentato la civiltà occidentale: “a tal punto determinante per gli sviluppi successivi dell’espressione artistica, che una tradizionale storiografica ormai plurisecolare ha voluto attribuire a tale fenomeno, specie nel suo svolgimento italiano, i caratteri di una vera e propria resurrezione delle arti; emerse a nuova consapevolezza e a nuovo fulgore dopo l’eclisse medioevale e quasi rinate, alla fine di una lunga faticosa gestazione, agli ideali e alle forme dell’antichità classica. Da ciò appunto il termine Rinascimento con il quale si usa indicare la civiltà artistica rinnovata del XV secolo, soprattutto nel suo polo italiano.” (32) In questo periodo, trascurando di soffermarci (per evidenti motivi) sulle trasformazioni introdotte da questo rinnovamento nelle arti maggiori, la tarsia lignea assume quasi il valore di “dimostrazione” esemplare dei principi prospettici proposti da Brunelleschi, diventando anche mezzo di diffusione di stili pittorici più (Bramante e Botticelli) o meno (Piero della Francesca e Paolo Uccello) raffinati: le cronache raccontano come quest’ultimo passasse giorno e notte a scervellarsi per disegnare, in prospettiva e da angoli diversi “delle palle a settantadue facce a punte di diamanti”. (33) Il vertice più alto nello sviluppo anche tecnico della tarsia fu raggiunto, probabilmente, da Fra Giovanni da Verona, monaco olivetano (ramo dell’Ordine benedettino) vissuto tra il 1457 e il 1525, nella decorazione degli stalli e del leggio visibili nella sagrestia di S. Maria in Organo a Verona. “La più bella sagrestia che fusse in Italia… Una sagrestia bellissima di prospettive di legno, fatte da Fra Giovanni da Verona, gran maestro di commessi, e in tal magisterio nessuno mai fu più valente di lui”, scriveva Giorgio Vasari a proposito di questi arredi. (34) In accordo con i nuovi ideali estetici e in parallelo con lo svolgimento contemporaneo dell’architettura, l’arredo domestico, al pari di quello ecclesiastico, si rinnova radicalmente e il mobile viene concepito secondo criteri di monumentale semplicità e di armoniosa eleganza. “Nessun’altra epoca ebbe, come questa, il culto della bellezza e mai gli artisti profusero quantità altrettanto cospicue di genialità e di impegno per produrre una saliera o un cofano, una spada – 32 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ o un arazzo… Il mobile, soprattutto in area toscana, romana e veneta, si ispira ai moduli architettonici dominanti e ai repertori della decorazione classica (bacellature e zampe leonine, girali d’acanto, lesene scanalate, mascheroni, grottesche). Tipici sono i cassoni in noce scolpito con superbi motivi antichizzanti di mitologia e di storia romana, traduzioni liberamente creative del sarcofago classico; gli armadi a uno o a due ordini , di struttura parallelepipeda, con una decorazione architettonica più o meno esuberante a seconda delle aree culturali di produzione; la sedia nei tipi sempre più elaborati della dantesca, della savonarola (quest’ultima evoluzione del modello antico della sedia da campo o del faldistorio); il seggiolone a gambe diritte con schienale in cuoio spesso preziosamente operato; il tavolo ottagonale o rettangolare con sostegni ad anfora, a zampe leonine, a cariatidi grottesche o antropomorfe; la credenza con o senza alzata, a due o più ante che nell’Italia centrale, e a Firenze in particolare, si distingue per l’eleganza delle proporzioni e la sobrietà della raffinata decorazione. C’è da dire infatti che in quest’epoca i legnaioli dipendono direttamente dagli architetti i quali progettano i manufatti più importanti oppure forniscono repertori di forme con i loro trattati teorici. Così, a Firenze, l’artigianato ligneo dipende da Baccio d’Agnolo, dall’Ammannati, dal Buontalenti, dal Vasari, mentre a Venezia gli ispiratori principali dei locali marangoni [falegnami, maestri d’ascia, carpentieri] sono il Sansovino e il Palladio. Il Vasari arriva addirittura a teorizzare una sorta di legittima continuità professionale fra il mestiere del legnaiolo e quello di architetto, in quanto le due attività si fondano entrambe sulla conoscenza delle forme e sulla pratica del loro corretto rapporto.” (35) Già prima del Rinascimento, le varie attività artigianali e artistiche si erano organizzate in efficienti corporazioni: queste non avevano, come alla Corte sabauda, il solo scopo di curare l’addestramento e di controllare la perizia dei loro affiliati, ma specialmente di salvaguardarne gli interessi, assistendoli in caso di malattia o in altre necessità. I “marangoni” veneziani erano divisi in quattro categorie, tre delle quali si dedicavano alla costruzione di mobili: i “marangoni da noghera”, dediti alla fabbricazione di arredi in noce senza impiallacciatura; i “marangoni da remessi”, più raffinati dei primi, ai quali soli era riservato il diritto di impiallacciare e di intarsiare; i “marangoni di soazze” che costruivano cornici e anche le finestre delle gondole; la quarta categoria comprendeva, infine, i maestri d’ascia e i carpentieri. In questo contesto e in aggiunta alle testimonianze dell’influsso longobardo ritrovate a Cividale, le tracce dell’evoluzione subita nel tempo dall’artigianato ligneo friulano ricompaiono grazie agli studi condotti in questo senso dal già citato Gortani. Nel tentativo di recuperare informazioni e documenti che potessero permettere una ricostruzione attenta e minuziosa delle tradizioni e delle arti popolari in Carnia, a proposito delle lavorazioni del legno, lo studioso arriva a concludere che “anche per il settore artigianale dell’intaglio, dove i carnici eccellono, sappiamo assai poco, eccezion fatta di quelli che passarono nel campo dell’arte. Dagli intagliatori in legno della Carnia rampollarono verso la metà del Quattrocento tre famiglie di artefici che nelle botteghe di Udine acquistarono abilità e rinomanza: Domenico Mioni da Tolmezzo, Martino (Mioni) da Tolmezzo col figlio Giovanni Martini e Floriano Floreali col figlio Floreano delle Catinelle. Artisti che in quei tempi calamitosi acquietarono l’ansia dei conterranei di abbellire con figurazioni propiziatrici le chiese e diedero modo ai posteri di constatare a quale altezza era assurto l’artigianato della scultura lignea in Carnia fin da quel tempo remoto. Dei loro discendenti e seguaci opere modeste e pochi nomi ci sono rimasti. Il numero delle opere eseguite fa pensare che verso la metà del ‘600 avessero bottega anche in Carnia Giovanni Antonio Agostini da Udine e Girolamo Comuzzi e figli da Gemona, con i quali lavorò Giovanni Paulini da Formeaso: intagliatori cui si devono le macchinose incorniciature barocche di altari, a colonnine traforate con intrecci sovraccarichi di fronde, che adornano tuttora numerose chiesuole dei nostri paesi.” (36) Il fervore rinascimentale si protrae, dunque, fino agli inizi del Seicento, preparando un fertile terreno per l’affermarsi di nuove e feconde – 33 – TRA TRUCIOLI E TELAI correnti di pensiero (si pensi al Classicismo, al Naturalismo, al Barocco, all’Accademismo) che imprimeranno al settore artistico, nella sua più vasta accezione, un impulso di straordinaria intensità dal quale non resteranno immuni, come si è appena visto, neanche gli artigiani del legno che operavano in Carnia. Nel corso del XVII secolo, l’arte di costruire mobili è protagonista di uno sviluppo senza precedenti che conduce all’elaborazione di nuovi manufatti come il tavolo a muro, poi trasformato dalla creatività degli artigiani nella “console” o il divano, mentre a quelli preesistenti (sedie, scrivanie, stipi ecc.) viene riconosciuta una maggiore importanza alla loro funzione di componenti d’arredo. “Ebano, noce, bosso, palissandro, ciliegio sono fra le essenze più usate. Molti dei mobili più importanti del secolo presentano un carattere monumentale, ricco e sontuoso, determinato dagli intagli dorati e dalla coesistenza di legni rari e di materie pregiate quali la tartaruga, l’avorio, l’argento, le pietre dure. Si rompono ora gli schemi rettilinei e si affermano linee curve e spezzate, elementi scolpiti, torniti, dipinti. L’arte del mobile italiano, così come le altre arti applicate, mostra una grande varietà di forme nelle diverse regioni, più o meno condizionate dalle tradizioni locali e dalle novità del Barocco.” (37) Novità che in Carnia tarderanno ad arrivare e ad affermarsi poiché la tradizione è ancora saldamente ancorata alla produzione di componenti d’arredo essenziali, dal punto di vista funzionale, ma fortemente caratterizzati sotto il profilo del significato simbolico loro assegnato: emblematico, a questo proposito, è il caso della cassapanca nuziale. La forma e il sistema di costruzione di questo genere di mobile rispecchiano antiche caratteristiche, derivate dalle epoca storiche precedenti e condivise, come riferimento culturale e tecnico, con le popolazioni dell’area circostante, che sono state conservate e mantenute inalterate anche in quelle successive. (38) A proposito degli esemplari conservati nel Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo, Gortani commenta: “Il mobile che fu maggiormente diffuso nelle case della Carnia, e ritenuto indispensabile per fondare un nuovo focolare, è la cassa o cassapanca nuziale (casse), in cui era contenuto il corredo della sposa. È logico pertanto che sulla cassa nuziale si siano concentrate di preferenza l’ingegnosità e la perizia degli artigiani locali, e si gareggiasse nell’averla elegante, - povera o ricca che fosse – secondo canoni che ne stabilivano le proporzioni, che, se anche non risultano da documenti, emergono dal confronto tra gli esemplari superstiti… … L’ossatura è quanto mai semplice: quattro assi piane e due fianchi, quasi sempre tutti di noce e in un pezzo solo ciascuno; i fianchi assicurati con un incastro a coda di rondine. Il lato posteriore sempre grezzo; i fianchi solo raramente decorati. Coperchio piatto, sporgente qualche centimetro sulla facciata e sui fianchi, articolato con cardine a bandelle lanceolate o gigliate, o (nella bassa Carnia, e specie in tipi economici), ad anelli accoppiati. La forma generale è sempre quella del cassone sansovino, cioè del cassone veneto cinquecentesco. Internamente su un fianco c’è un ripostiglio con coperchio ove si mettevano le cose preziose. Sotto il coperchio, sul davanti e sui fianchi, corre costantemente un dentello, intagliato da una serie simmetrica di incavi eseguiti a sgorbia,, in direzione perpendicolare al coperchio; disegno del dentello per lo più molto semplice, a guisa di ugnatura, ma talora variato e aggraziato, ora soltanto con fossette puntiformi, ora con archetti o incavi arcuati, alternati con le ugnature, ora con minute festonature, ora inclinando gli incavi in direzione obliqua al coperchio, ora simulando col disegno una fila di foglie sfrangiate, o, nelle casse intarsiate, con una stretta fascia di linee chiare disposte a zig-zag. La facciata, secondo il costume friulano, è per lo più divisa in tre scomparti; due lesene laterali molto larghe (fino a 20 cm), e un vasto campo mediano in cui domina un motivo di ornato che abbraccia il foro della serratura. Talvolta, e sopra tutto nelle casse più lunghe, si aggiunge una lesena centrale.” (39) È in questa tipologia di manufatti che ritroviamo i caratteri di una schietta originalità dai quali emergono i tratti inconfondibili di quell’identità culturale, propria di quest’area montana, che andavamo ricercando. Gli stili della regalità francese, affermatisi in quegli anni in tutt’Europa, o la preziosità del – 34 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ mobile laccato veneziano, fisicamente assai più vicino ad essa e potenzialmente in grado di condizionarla sotto il profilo del gusto, non intaccano né contaminano la sua fisionomia originale, nonostante la produzione di questo genere di mobilio sia stata molto abbondante. Occorre notare, infatti, che nel caso del mobile veneziano, “per soddisfare la forte richiesta di arredi raffinati e al fine di contenere i costi e i tempi di lavorazione, le maestranze si indirizzavano verso un’alta specializzazione. Esse si dividevano le varie fasi di lavorazione di uno stesso mobile: agli intaiadori si affiancavano altre categorie di artigiani che ne completavano l’opera: i tappezzieri, i bolzeri, i doratori, i vetrai, gli specchieri e, soprattutto, i depentori. Questo lavoro collettivo spiega come quasi tutti gli arredi settecenteschi veneziani, anche i più ricercati, siano rimasti anonimi…. …La metà del Settecento segna il prevalere dell’attività di intaiadori e di depentori su quella dei marangoni da noghera e da remessi: accanto agli arredi in noce naturale e impiallacciati si afferma infatti la moda dei mobili intagliati e laccati. Si usavano raramente, a Venezia, i preziosi legni orientali come il palissandro o il mogano. Più adoperato di tutti era il cirmolo che bene si prestava a venir impiallacciato o, essendo tenero e docile all’intaglio, dipinto e laccato. [A differenza del passato] Eccezionalmente un intaiadore sottostava alle direttive dell’architetto per rari mobili imponenti, ma solitamente modellava e scolpiva guidato dal suo estro. Il mobile veneziano trae la sua bellezza proprio dall’improvvisazione sia nell’intaglio sia nella decorazione policroma. I depentori della Serenissima furono i primi in Italia ad imitare le lacche cinesi e giapponesi… … L’intaiadore consegnava il mobile in cirmolo accuratamente levigato e stuccato al depentore; questi disegnava e dipingeva la decorazione, abilmente componendola su superfici piane, curve, incavi o rilievi, dopo aver steso il colore di fondo. Poi, per proteggerla, vi stendeva fino a diciotto strati successivi di vernice trasparente, la sandracca, preparata seconda svariate ricette. Nei mobili meno costosi, detti appunto a lacca povera, le scene figurate erano, anziché disegnate, stampate su carta, ritagliate, incollate e quindi ricoperte di sandracca.” (40) Il rispetto della tradizione nella costruzione del mobile in Carnia resiste anche alle influenze esercitate sul settore dalle mode ottocentesche e dai successivi suggerimenti avanzati dal Liberty e dall’Art Nouveau, anche se, attualmente, qualcosa di questo periodo sembra essere stato assorbito a livello locale ma, per il momento, ancora in misura marginale e limitatamente a uno specifico comparto: la carpenteria in legno. Almeno trent’anni prima che il Liberty teorizzasse e divulgasse i propri ideali di rinnovamento, un artigiano austriaco, Michael Thonet, aveva sperimentato, intorno al 1840, nuove tecniche per laminare e curvare il legno in modo da ottenere forme che evitassero o riducessero drasticamente i costosi sistemi di modellazione ad intaglio e di connessione ad incastro. Il procedimento consisteva nel sottoporre le lamine di legno, imbevute di colla, al calore e all’umidità prodotti dal vapore, in modo da ottenere una massa compatta, elastica e flessibile da sottoporre successivamente a pressione e a modellatura in forme speciali: una volta raffreddate, le forme venivano aperte e il legno si presentava nelle dimensioni e nel disegno corrispondenti alle singole parti del mobile da realizzare, che venivano poi assemblate tra loro mediante semplici viti. “Il sistema, oltre a consentire una produzione a livello industriale, anticipava uno dei principi del moderno design: quello della comprensione delle caratteristiche del materiale come sistema generatore non solo di tecniche, ma anche di forme. Le strisce di faggio incollate, trattate al vapore e piegate erano provviste infatti di elasticità maggiore rispetto al pezzo di legno massiccio modellato secondo la stessa forma e potevano dar luogo a disegni più liberi piegandosi agevolmente in curve, riccioli, complesse volute che formavano schienali di sedie, braccioli di poltroncine e divanetti, gambe di tavoli o ganci appendiabiti.” (41) Questa tecnica geniale, pensata per ottenere un diverso e migliore impiego della tradizionale materia prima, il legno, è stata applicata in una molteplicità di contesti per la realizzazione di manufatti inediti: nella patria del suo inventore (e da qualche tempo anche in Carnia, in Val – 35 – TRA TRUCIOLI E TELAI Canale) essa è oramai applicata con efficacia ed affidabilità nella produzione del legno lamellare, prevalentemente destinato ad usi di carpenteria. Dal punto di vista tecnico, il legno lamellare nasce col fine di superare i limiti dimensionali del tondame dal quale si ricavano le travature: infatti, da un solo fusto è impossibile ottenere elementi di sezione e lunghezza necessarie a consentire la copertura di luci libere superiori ad una certa ampiezza ed inoltre il portamento tipico dei fusti non consente di ottenere travi curve, o della curvatura voluta, di sezione sufficiente. Al primo problema si è ovviato storicamente tramite la realizzazione di travi composte più o meno effettivamente collaboranti, ad esempio tramite giunzioni a dente di sega; quest’ultima soluzione, la cui prima intuizione si fa risalire a Leonardo, è attuabile con semplicità, ed è stata frequentemente utilizzata nel caso di membrature orizzontali, quali ad esempio le catene, che devono superare luci molto ampie. Nel passato, il secondo problema fu affrontato per la prima volta nel XVI secolo, quando si sviluppò nei costruttori l’idea di utilizzare il legno mediante assemblaggio di varie parti per ottenere centine ed archi. Il primo tentativo concreto a cui si sappia dare paternità è stato quello di Philibert Delorme in Francia, il quale riuniva mediante chiodatura più tavole in strati sovrapposti dando approssimativamente la forma dell’arco voluto, quindi profilando con una sega l’estradosso. Le tavole mantengono la loro planarità e la trasmissione dei carichi è affidata essenzialmente alla tenuta della chiodatura: il passo successivo è stato compiuto da Emy nel 1823, realizzando archi mediante chiodatura di tavole unite in pacchi con bulloni passanti. In seguito, prima Migneron e poi Wiebeking, misero a punto un sistema che prevedeva un arco con lamelle formate da travi curvate a freddo e tenute a pressione da staffe metalliche, ma a differenza del francese Migneron, nel sistema ideato da Wiebeking, il bloccaggio delle travi era assicurato da biette in legno che assorbivano le possibili tensioni di scorrimento; infine, nel 1905, con lo sviluppo delle potenzialità prestazionali dei collanti, Hetzer iniziò ad applicare la tecnica che ha portato alle attuali strutture in legno lamellare incollato. In Italia, l’introduzione del legno lamellare come sistema costruttivo alternativo è storia recente e ha avuto inizio nella regione alpina che per tradizione storica possiede una solida cultura del legno, in Alto Adige: è soprattutto in Val Pusteria, intorno al 1960, che il lamellare, importato dalla vicina Austria, fa la sua prima comparsa per essere utilizzato, soprattutto, nella ricostruzione dei fienili dove è impiegato per sostituire le grandi travi di colmo in legno massello, introvabili sul mercato. Fu così, che nel 1970, per non dover ricorrere all’importazione, un’impresa italiana impiantò a Bressanone uno stabilimento e iniziò per prima la produzione del legno lamellare nel nostro Paese. Questa moderna tecnologia di utilizzo del legno, consiste nella divisione del tronco in tavole, essiccate ed assortite in qualità, giuntate di testa a formare le “lamelle” calibrate in spessore (di norma intorno ai 33 mm) che vengono successivamente disposte a pacchi e tra loro incollate a formare le travi, elementi strutturali compositi di dimensioni, sezione e caratteristiche geometriche, svincolate dalla geometria iniziale del tronco. Le caratteristiche di resistenza meccanica sono superiori a quelle del legno massiccio da cui provengono, grazie alla scelta delle tavole ed alle eliminazioni di tutti quei difetti non compatibili con l’uso strutturale, nonché all’uso di collanti sintetici ad elevata resistenza, sia meccanica che all’azione prolungata nel tempo degli agenti atmosferici. Affinché si possa parlare di travi in legno lamellare, si deve essere in presenza di più di due tavole incollate tra loro, lo spessore delle lamelle di regola non dovrebbe superare i 40 mm e la larghezza i 220 mm: nel caso che la larghezza superi tale misura si dovrà procedere ad utilizzare tavole tra loro accostate (procedimento che tuttavia non può essere agevolmente utilizzato nei moderni cicli produttivi automatizzati) oppure snervate tramite fresature longitudinali. La lunghezza degli elementi costruttivi non è limitata, se non da problemi di produzione (predisposizione degli stabilimenti con spazi ed – 36 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ attrezzature idonee), di trasporto e di montaggio: la dimensione in altezza della sezione è condizionata dagli stessi fattori suddetti e in Italia, di regola, non si superano i 2,20 metri. Con il sistema costruttivo in legno lamellare, applicato su vasta scala nel secondo dopoguerra, grazie allo sviluppo ed all’affidabilità raggiunta dai collanti, è possibile realizzare travature in legno a sezione piena di diverse misure, di lunghezze notevoli ed anche curvate: il tutto con una crescente automazione degli impianti di produzione ed con una tendenza sempre maggiore della filosofia di progettazione, rivolta alla costruzione di prefabbricati. Senza fare violenza al materiale legno e senza snaturarlo è, quindi, possibile produrre travature nelle dimensioni e nelle forme volute, tali da rendere agevole ed economica la realizzazione dei più svariati sistemi statici. Il comparto della carpenteria, tuttavia, non è che uno degli ambiti di utilizzo di questa materia prima “ricreata”: a conclusione di questi brevi, e necessariamente sintetici, cenni storici sulla tecnologia del legno, crediamo di poter affermare che, come avvenuto per il passato, anche per il presente, sarà la fantasia e la creatività degli artigiani contemporanei a suggerirci se con essa si possono realizzare manufatti di qualità, sia sotto il profilo di un loro impiego funzionale sia sotto il profilo della loro gradevolezza estetica. 4.2 Artigianato tessile e radici della tradizione carnica Se i protagonisti della trattazione appena terminata sono stati il legno e i suoi straordinari impieghi, soprattutto, nell’ambito delle cosiddette arti minori o arti applicate che dir si voglia, in quella che seguirà non sarà una specifica materia prima ad attirare la nostra attenzione ma, piuttosto, uno strumento di lavoro, a dir poco, geniale, utilizzato dall’uomo fin dai tempi più remoti. Anche in questo caso, attraverso una sintetica ricostruzione delle vicende storiche legate all’evoluzione di questo strumento e delle sue modalità di utilizzo, dai primordi ai giorni nostri, andremo a ricercare le tracce che segna- lano la nascita di una tradizione tessile in Carnia, fortunatamente sopravvissuta agli eventi del passato grazie al suo forte radicamento nella cultura locale. La tecnica della tessitura, conosciuta fin dal Paleolitico Superiore, è derivata dalla pratica di intrecciare elementi vegetali come giunchi, vimini o erbe per ottenere cesti e stuoie: poi, come forse si ricorderà, le produzioni di specifici manufatti si sono diversificate e sono diventate autonome. Il ciclo delle operazioni compiute sulle materie prime impiegate per produrre il tessuto segue una logica di addizione graduale che gli studiosi considerano del tutto analoga a quella utilizzata per la realizzazione dei primi manufatti ceramici finora rinvenuti, appartenenti alla stessa epoca storica. Fibre animali e vegetali venivano ritorte a formare fili che, opportunamente e precisamente interconnessi, servivano a formare strutture e materiali inesistenti in natura, come gli intrecci e i tessuti: la ricostruzione dei procedimenti tecnici, messi a punto dai nostri progenitori per sopravvivere, fornisce elementi estremamente interessanti per formulare l’ipotesi di una prima suddivisione della “Storia delle tecniche”, operata anche su base sessuale a partire proprio da quel periodo, in due grandi ambiti di attività. “Il primo comprende le attività che procedevano per estrazione e per riduzione, cioè prelevando dall’ambiente naturale le materie prime e frammentandole progressivamente. Tale ambito include in primo luogo la caccia e la scheggiatura della selce, attività che ricadrebbero nella sfera maschile. Un secondo ambito potrebbe invece includere attività femminili, quali la fabbricazione della ceramica e la tessitura, che avrebbero potuto procedere in senso esattamente contrario, cioè aggregando parti minori in strutture complesse, e nell’invenzione di materiali artificiali. Il rischio di queste interpretazioni è che esse si basano sui modelli di divisione del lavoro del mondo moderno ; nessuno può escludere, in realtà, che esistessero cacciatrici abilissime, o che gli splendidi coltelli solutreani fossero stati fabbricati da donne. È certo, invece, che i più antichi ornamenti, che dovevano essere affissi – 37 – TRA TRUCIOLI E TELAI mediante fili (perline, alamari, bottoni), si datano a 30.000 ani fa circa; mentre le più antiche raffigurazioni di copricapi e di perizomi intrecciati, e forse tessuti, si ritrovano proprio sulle statuette delle Veneri che, come quella di Dolni Vestonice, risalgono a 23.000 anni fa circa, quando fanno la comparsa anche i primi aghi in osso.” (42) L’ipotesi avanzata, nonostante l’incertezza delle interpretazioni, appare verosimile, almeno per ciò che riguarda la suddivisione tra uomini e donne dei ruoli svolti all’interno del gruppo sociale di appartenenza: la condizione femminile, come vedremo in seguito, è sempre stata fortemente discriminata e penalizzata. Con l’apprendimento della filatura di fibre vegetali, quali il lino e la canapa, si ottennero tessuti anche di ottima fattura per quei tempi, se si considera che erano prodotti su telai poco più che rudimentali Il telaio, infatti, anche se realizzato in questa forma ancora primitiva, rappresenta lo strumento che, a differenza dell’intreccio eseguito manualmente “hic et nunc”, consente di approntare in anticipo (oggi diremmo “programmare”) tutte le condizioni (ideazione e progettazione di un particolare tipo di intreccio, scelta e predisposizione dei materiali da impiegare, definizione delle operazioni che si intendono eseguire su di essi ecc.) per ottenere un manufatto con caratteristiche particolari, il “tessuto” appunto. Si tratta, dunque, di utilizzare il filato disponendolo nel modo più appropriato perché possa essere eseguito il suo intreccio e, proprio prendendo spunto dalla gestualità manuale primigenia, operare opportunamente perché ciò avvenga: questo significa che avendo sistemato e teso un certo numero di fili in verticale (ordito), attraversandolo con altri fili disposti in orizzontale (trama), si ottiene un loro intreccio che costituisce la cosiddetta “armatura” del tessuto. Da questa prima ed elementare descrizione, si intuisce facilmente quanto si possa, volendo, rendere più complesso il procedimento intervenendo su un insieme di variabili combinate tra loro in modo differenziato: ad esempio, il materiale utilizzato come filato, le sue dimensioni o il suo colore, per limitare il discorso ad alcune di esse. Ciò ha consentito in tempi successivi di riprodurre il manufatto stesso secondo principi di efficienza e di affidabilità senza porre, peraltro, limiti alla fantasia e alla creatività di chi lo eseguiva e di trasformare una semplice tecnica in una vera e propria forma di espressione artistica. Come è stato anticipato, la ricerca antropologica e le scoperte archeologiche testimoniano in modo ancora frammentario che le origini della tessitura sono da far risalire ad epoca preistorica: bisogna arrivare a tempi relativamente più recenti per ritrovarla come tecnica oramai affermata, attraverso la quale poter realizzare un gran numero di manufatti, diversificati tra loro per destinazione funzionale, accuratezza di esecuzione e qualità estetica. Studi molto sistematici, condotti sulla civiltà egizia, rivelano che: “La tessitura in Egitto risale alle epoche preistoriche. Un frammento di tessuto di lino, a trama semplice, è stato rinvenuto dentro un vaso in un granaio datato intorno al 5.000 a. C. (Faijum A) e, in uno strato sottostante, si trovavano dei semi di lino. Un telaio orizzontale, formato da due bastoni fissati al suolo per mezzo di quattro pioli, su cui sono tesi i fili dell’ordito, è dipinto su un piatto rosso a decorazione bianca rinvenuto in una tomba femminile di Badari (fine V millennio). Accanto al telaio sono rappresentate due figure umane che tendono i fili su uno stenditoio.” (43) Tra i materiali impiegati per produrre i filati, il lino era certamente quello utilizzato più frequentemente e in larga misura, mentre le altre fibre, animali (lana) o vegetali (canapa e altre) che fossero, erano piuttosto rare, anche per ragioni diverse dalla loro difficile reperibilità. “La lana, che pur doveva essere ben nota, data la presenza di pecore e capre, non sembra fosse usata, o almeno non era usata nelle sepolture da cui provengono nella quasi totalità i tessuti rimasti, forse per interdetti di natura rituale. Erodoto (II, 81) infatti afferma: “Si vestono di tuniche di lino, guarnite di frange pendenti sulle gambe, e che si chiamano calasiris; su di essi gettano mantelli di lana bianca. Ma, vestiti di lana, non entrano nei templi né si fanno seppellire, chè sarebbe sacrilegio”. E altrove (II, 37) dice: “Tutta di lino deve essere la veste dei sacerdoti; e di papiro i calzari”. Anche nella Bibbia le fibre – 38 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ animali sono considerate impure e non devono essere indossate durante i riti religiosi.” (44) Se si escludono le lavorazioni di materiali intrecciati a mano, usati per produrre ceste, stuoie e attrezzature per la pesca come reti e nasse, non si ritrovano in quella civiltà, almeno in epoca più antica, sistemi e tecniche diverse dalla tessitura. Un’eminente egittologa inglese riporta a questo riguardo una descrizione sorprendente che chiarisce in modo più che soddisfacente a quale livello tecnico si fosse giunti in quei tempi lontani: “Gli attrezzi per la tessitura trovati a Kahun (Faijum) sono forse pochi di numero ma, insieme con i fusi e il filato, ci forniscono molte informazioni sulla pratica della tessitura nella città. Non vi era traccia in Egitto di apparecchi per tessere molto primitivi, come il telaio a tensione; il telaio più antico e unico fino al Secondo Periodo Intermedio, il telaio orizzontale o a terra, benché semplice, non è affatto primitivo. È ancora usato dai tessitori di villaggi e tribù del Vicino e Medio Oriente, perché è versatile e può essere facilmente riposto e trasportato in caso di migrazioni. Esso compare per la prima volta in Egitto dipinto su un piatto di ceramica da una tomba di donna di Badari, ed è il telaio usato dai tessitori di Kahun, che lasciarono dietro di sé un subbio (rullo) e alcuni portalicci. Si ritiene che il telaio verticale sia stato introdotto in Egitto dall’Asia occidentale per opera degli Hyksos intorno al 1.600 a. C. Questo telaio ha, invece di un subbio, una fila di pesi attaccati all’estremità inferiore dell’ordito, può produrre un tessuto più alto e i tessitori che sono raffigurati nell’atto di usarlo sono generalmente uomini. Tuttavia, il telaio orizzontale, secondo la consuetudine egiziana, rimaneva in uso. Esso consiste di due robusti subbi di legno, il subbio dell’ordito e quello del tessuto, ciascuno dei quali è sorretto da pioli infissi nel terreno. L’ordito è teso sopra i subbi e il tessitore lavora dalla parte del subbio del tessuto. È più difficile arrotolare il tessuto finito, e quindi pezze molto lunghe si tessono più facilmente sul telaio verticale, ma un vantaggio del telaio a terra è che permette l’inserimento di un certo numero di bacchette portalicci. Benché si supponga che la presenza di pesi da telaio in un sito denoti l’im- piego del telaio verticale, questi si possono anche appendere ai quattro angoli del telaio orizzontale, per tenere spaziati regolarmente i fili dell’ordito. Per produrre un tessuto semplice si dispongono attraverso i fili dell’ordito due bacchette portalicci, ciascuna delle quali porta una serie alterna di fili fissati ad essa mediante asole di spago. Sollevando una bacchetta, si alza una serie completa di fili alterni formando un’apertura, o primo passo d’ordito, attraverso cui la navetta della trama viene passata da un lato all’altro del telaio. Poi si abbassa questa bacchetta e si solleva l’altra per formare il secondo passo d’ordito, che permette alla trama di ritornare. Le bacchette portalicci sono sorrette da coppie di pietre o da appositi sostegni. Ben sette di questi ultimi furono trovati a Kahun. Tutti di legno, rozzamente sagomati per adattarsi alla bacchetta portalicci, quattro di peso leggero e gli altri tre di legno pesante e duro. Uno è anche stato usato come martello. Inoltre, rimangono tre modellini di sostegni per portalicci di legno dipinto, forse fatti per divertire i bambini e risvegliare il loro interesse per la tessitura.” (45) Come possiamo notare, il problema della sensibilizzazione e dell’orientamento dei giovani verso il lavoro artigiano veniva avvertito, in tutta la sua importanza e con evidente preoccupazione, già fin da allora. Sta di fatto che il telaio orizzontale rimase per lungo tempo il protagonista assoluto, insieme alla professionalità degli artigiani che lo sapevano utilizzare, di quella che possiamo rappresentarci come una delle fasi evolutive più significative e importanti nella storia dell’umanità. La studiosa citata ci ricorda che: “Questa attrezzatura, praticamente immutata, servì a tessere tutti i tipi di tessuto conosciuti sino al termine del Medio Regno, dalla stoffa finissima, quasi trasparente, a quella medio-fine per abiti, usi domestici e bende per mummie, e tela da sacchi grossolana che spesso si trova riciclata come involucro esterno per mummie.” (46) In coincidenza cronologica con quanto avveniva nel bacino del Nilo circa 5.000 anni fa, possiamo constatare che la tecnica della tessitura approdava a diversi risultati nella terra compresa più ad est, tra le rive del Tigri e dell’Eufrate: la Mesopotamia. – 39 – TRA TRUCIOLI E TELAI Ai fini del nostro studio, il recupero per brevi cenni di una memoria storica quasi totalmente rimossa, al di fuori del ristretto ambito accademico e/o dell’expertise, diventa necessario per cogliere l’ampiezza dell’evoluzione di cui si è parlato poc’anzi, ma anche per stabilire sorprendenti e istruttivi confronti con la realtà attuale. Probabilmente ai “non addetti ai lavori” sfuggono le distinzioni e le particolarità di certe lavorazioni, i loro contenuti tecnici, le abilità e le competenze necessarie per eseguirle a regola d’arte ecc., ma è proprio in questo antico contesto che hanno origine le tipologie di manufatti che ancora oggi sopravvivono, magari profondamente mutate rispetto a quei tempi, sotto terminologie ricorrenti delle quali è andata perduta molto spesso la connotazione semantica. È così che si scopre l’esistenza di profonde differenze tra i percorsi seguiti da tale evoluzione all’interno di civiltà coeve che, a prima vista, apparirebbero ingiustificate e inspiegabili, sul piano eminentemente ed esclusivamente tecnico, ma che diventano plausibili e comprensibili alla luce dei tratti culturali, etico-religiosi e di adattamento ambientale che le contraddistinguono. “Gli Egiziani svilupparono una tecnica di tessitura per il lino che fu chiaramente influenzata dalla tecnica di intrecciamento della stuoia; la fibra del lino fu usata solo per la semplice tessitura di stoffa. Né si ammisero elaborazioni tecniche, né si usarono alcuna delle possibilità offerte dalla sottile e regolare struttura della fibra del lino e della sua forza elastica. Quegli accorgimenti tecnici relativamente semplici che così facilmente modellano la struttura della tela sistemando l’ordito tramite l’uso di licci furono anch’essi ignorati.” (47) In assenza di restrizioni religiose come quelle vigenti in Egitto, le popolazioni nomadi e sedentarie stanziate nella terra tra i due fiumi (Sumeri, Assiri, Babilonesi) presero dimestichezza nella filatura e nella tessitura di una fibra animale largamente disponibile e particolarmente adatta alle condizioni climatiche di quelle zone, la lana. “L’arte della tessitura si sviluppò in Mesopotamia in circostanze differenti. L’uso naturale del pelo sottile e soffice strappato o cardato dalla pecora è quello di intrecciarlo mediante delle stecche e di ricavare da quest’intreccio, usando vapore e pressione, un materiale pieghevole, caldo e resistente all’acqua. Il prodotto che ne risulta è il feltro. Vorrei avanzare la proposta che fu appunto il feltro il prototipo cui si ispirò l’arte mesopotamica di tessere la lana, esattamente come alla stuoia di canne si ispirò l’arte egiziana di tessere il lino. In Mesopotamia il tessitore non si preoccupava della struttura del tessuto. Egli usava grattarlo, garzarlo e infeltrirlo in superficie per nascondere una qualsiasi struttura visibile e per presentare una superficie liscia e feltrosa. Piuttosto che usare differenti colori nella trama e nell’ordito egli amava decorare il prodotto finito con applicazioni, alamari e frange. Dal momento che il pezzo finito veniva usato come abito nel modo in cui usciva dal telaio, senza né tagliarlo, né cucirlo, potevano essere aggiunte delle strisce decorative multicolori per ravvivare il tessuto. Sembra che le popolazioni mesopotamiche siano state consapevoli del fatto che il livello tecnico dei loro prodotti tessili fosse inferiore a quello dell’Occidente. I re assiri nei loro resoconti sul bottino preso nel corso della loro continua attività bellica contro i loro vicini occidentali si riferiscono agli abiti multicolori non meno frequentemente che all’argento, all’oro e agli altri oggetti preziosi, sicché diviene evidente che essi apprezzavano moltissimo questi tessuti. Nel secondo millennio la regione oltre l’Eufrate, fino ai confini con l’Egitto, sviluppò una tecnologia tessile che superò tanto quella egiziana che quella mesopotamica specialmente per l’uso di fibre vivacemente colorate e di altre tecniche decorative, facendo uso probabilmente di un tipo primitivo di tessitura a modello, che consisteva nella produzione di strette strisce di stoffa. La famosa industria fenicia della porpora deve essere stata costruita su una lunga tradizione. A causa della scarsezza delle testimonianze letterarie, tutta questa evoluzione può essere solo arguita dalle superstiti descrizioni egiziane e mesopotamiche… Tutto il Vicino Oriente non sembra sia mai andato al di là del sistema di tessitura ad un liccio, che si sviluppò in Egitto e in Mesopotamia da fonti tecnologiche affatto – 40 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ distinte, come abbiamo qui cercato di mostrare. Fu la tecnica cinese a più licci – che permette la tessitura a modello – a diffondersi verso occidente dall’India al Mediterraneo negli ultimi secoli del primo millennio e a soppiantare i metodi arcaici delle prime grandi civiltà.”(48) Al tempo della fioritura della civiltà greca, la tessitura utilizzava indifferentemente telai sia a struttura orizzontale, sia a struttura verticale: ad essi lavoravano più persone contemporaneamente e la loro larghezza arrivava quasi ai due metri per produrre tessuti aventi un’altezza tale da potere confezionare tuniche senza maniche e senza cuciture, come il chitone ionico o quello dorico, aperto su un fianco, indossate, sorrette e adattate alle diverse esigenze grazie all’impiego di accessori quali borchie, cinture e fibbie. Paradossalmente, rispetto almeno alla moderna concezione del termine, con l’avvento della democrazia ad Atene, “il mutare della natura della ricchezza che circolava in città cambiò le usanze matrimoniali, e la donna perse qualsiasi diritto civile, finendo per esser costantemente relegata in casa. Si praticava spesso il matrimonio obliquo, nel quale ragazze poco più che adolescenti venivano date in sposa a uomini anziani, spesso della generazione precedente. La tessitura rimase una fondamentale attività economica, ma le donne erano condannate a svolgerla, con o senza l’aiuto di serve, nell’oscurità dei ginecei. Conocchia e telaio divennero metafore dell’asservimento della donna a una società che tollerava l’omosessualità maschile, ma era maschilista fino all’ottusità.” (49) Sembra non ci siano dubbi sul fatto che tale cambiamento abbia proiettato, in maniera più o meno direttamente, la sua ombra sulla costruzione del mito che ruota intorno alla figura di Aracne che, con la sua triste storia, sembra riflettere nella realtà quella di molte altre donne dell’epoca. Aracne, secondo il racconto di Ovidio, è una giovane della Lidia, il cui padre, Idmone di Colofone, era un tintore: la giovane si era acquistata una grande reputazione nell’arte di tessere e di ricamare, al punto che le tappezzerie che lei disegnava erano così belle che le ninfe della campagna circostante venivano ad ammirarle. La sua abilità faceva ritenere che fosse stata allieva di Atena Pallade, la dea delle filatrici e delle ricamatrici, ma la giovane negava di aver appreso alcunché dalla dea e affermava che quella capacità fosse dovuta esclusivamente al suo innato talento. Il suo orgoglio, che ci pare umanamente giustificabile, la portò impudentemente a sfidare la dea a gareggiare con lei, pronta a subire ogni pena in caso di sconfitta: fu così che Atena le apparve sotto le sembianze di una vecchia e, avvicinatala, la consigliò di chiedere perdono per l’offesa recata alla dea e di evitare, in tal modo, di scatenare la sua collera. I consigli rimasero inascoltati e, a rincarare la dose, Aracne, per nulla intimorita dalle eventuali conseguenze che ne sarebbero potute derivare, assunse in quel frangente un atteggiamento sprezzante nei confronti della dea: fu a questo punto che Atena si rivelò in tutta la sua maestà per raccogliere ed accettare la sfida. Entrambi si lanciano nella disputa con grande fervore realizzando ognuna una pezza finemente tessuta e riccamente ricamata: la dea riproduce il colle di Atene e rappresenta con dovizia di particolari la contesa accesasi tra i numi dell’intero Pantheon greco sul nome da attribuire alla città, mentre Aracne realizza, con eguale forza descrittiva, scene molto più prosaiche che ritraggono gli amori indecorosi ai quali questi si abbandonano. Atena, constata la perfezione tecnica con la quale Aracne ha eseguito il suo lavoro, è impossibilitata a sollevare critiche: neppure la divina Invidia l’avrebbe potuto fare, dice Ovidio, ma il disappunto provato dalla dea di fronte a quel capolavoro è tale da scatenare la sua collera furibonda Si avventa sulla tela ricamata che rivelava le colpe dei numi, la straccia in mille pezzi e con la spola di bosso, utilizzata per eseguire il lavoro e trovata a portata di mano, colpisce più volte alla fronte la malcapitata Aracne che, oltraggiata e in preda alla disperazione, tenta di suicidarsi impiccandosi. A questo punto Atena è mossa a compassione e decide pietosamente di mantenere in vita la giovane, liberandola dal cappio che le stringeva la gola e infliggendole una severa punizione, accompagnata da una terribile maledizione. – 41 – TRA TRUCIOLI E TELAI “Vivi, o malvagia, ma così come ora, pendente da un filo. E anche tra i tuoi discendenti continui il castigo fino ai tardi nipoti”: immediatamente dopo spruzzò il corpo di Aracne con un liquido magico che lo trasformò in quello di un ragno. (50) La cultura tecnica dei Greci, e come abbiamo visto, non solo quella, venne assimilata dai Romani, ma organizzata in modi produzione schiavistica ai quali molto probabilmente non potevano sottrarsi neppure le stesse donne romane, visto che erano ancora gli uomini a stabilire quali fossero i doveri femminili: “casta, pia, domiseda, lanifica” recitano quasi monotamente le epigrafi funerarie sulle quali i mariti ricordavano le virtù delle mogli defunte. (51) Evidentemente, quello raggiunto dalle arti muliebri dedite alla filatura e alla tessitura, doveva essere un livello di sviluppo particolarmente elevato, curato fin dal momento in cui prendeva forma la materia prima, la lana, attraverso forme di allevamento del bestiame che sorprendono per la loro ingegnosità. Strabone distingueva, infatti, tra la ruvida lana prodotta dai Galli nella Provenza settentrionale da quella, molto più fine, prodotta nella stessa regione dai Romani, grazie alla tecnica di tenere coperti gli ovini con delle pelli, la stessa che rese famose le lane di Taranto e dell’Attica. (52) Bisogna arrivare fino al XIII secolo d. C. per trovare un telaio i cui licci sono alzati e abbassati per mezzo di un sistema di leve azionato a pedale e la trama, avvolta su una spola, viene fatta transitare attraverso l’ordito mediante una rudimentale “navetta”: fino a quel momento, dunque, queste operazioni dovevano essere compiute manualmente dal tessitore ad ogni passo d’ordito. Intanto, la diffusione della tessitura a modello, impone gradualmente una tipologia di manufatto di grandissimo pregio, l’arazzo: si tratta di un tessuto ornamentale destinato soprattutto a rivestire pareti, eseguito a telaio con fili di seta, lana, oro e argento sul modello di cartoni figurati realizzati da valenti pittori. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, se gli architetti ispirarono il lavoro dei falegnami, al punto che la storia del mobile italiano del Cinquecento finisce col diventare una pietra miliare nella storia dell’architettura monumentale di questo secolo, nel settore tessile furono i grandi pittori dell’epoca a rifornire di disegni, che le avrebbero rese famose in tutta Europa, le arazzerie italiane. Gli esemplari più antichi, di produzione tedesca, risalgono al XI secolo, ma solo nel XIV secolo si affermano in Francia, a Parigi e Arras, città dalla quale il particolare tessuto eredita il nome, sedi di importanti manifatture che nel ‘400-‘500 vengono però eclissate da quelle fiamminghe di Tornai e Bruxelles. Arazzieri e pittori, come si diceva, collaborano strettamente: nel 1515-17 Raffaello invia all’arazziere Pietre Van Aelst di Bruxelles, il più titolato del momento, dieci cartoni con Gli atti degli Apostoli che serviranno per realizzare altrettante splendide opere destinate a impreziosire la Cappella Sistina a Roma, e in contemporanea sorgono anche in Italia, a Ferrara e a Firenze, le prime manifatture. (53) Nel ‘600 la scuola francese torna in auge per merito di Luigi XIV, il Re Sole, che promuove e sostiene la manifattura della famiglia Gobelin a Parigi e quella sorta nella città di Beauvais nel dipartimento dell’Oise, affidando agli arazzi la massima rappresentazione dei fasti reali. “La famiglia Gobelin possedeva una tintoria nel borgo Saint-Marcel sulle rive della Bièvre, alle cui acque erano attribuite proprietà eccezionali per questa industria: lì Enrico IV installava le manifatture di Francois de la Planche e di Marc de Comans. Nel 1662 (il primo ministro) Colbert decide di acquisire e di ampliare questi primi laboratori per costruirli come centro della Manifacture Royale des Meubles de la Couronne. Nel 1667 l’opera di ampliamento è pressoché terminata e viene concesso uno statuto agli addetti alla tessitura degli arazzi, come del resto anche agli scultori, ai pittori, ai bronzisti, ai mosaicisti, agli ebanisti, agli orafi attivi in quella sede: lo statuto indica chiaramente l’intenzione di creare una manifattura a forte organizzazione centralizzata con caratteri di industria protetta. Attivi nell’ambito delle norme del re, interpretate dal suo ministro, gli addetti alle manifatture sono artigiani di alto livello legati da un forte – 42 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ spirito di corpo, ma che hanno perso la loro indipendenza disciplinare ed economica; devono esplicare il loro talento nell’obbedienza ai programmi culturali e artistici dettati dal potere; ai maestri inoltre è imposto di reclutare giovani apprendisti francesi per educarli, nella loro specialità, alla grande arte tipica dell’assolutismo, avviandoli a perpetuare la tradizione. Singolare è il fatto che la manifattura reale comprenda tutte le arti e non solo quella degli arazzi: ma, proprio per il prestigio della produzione degli ateliers reali in questo campo, Gobelins diventa un termine generico sinonimo di arazzi… … Colbert mette a capo dei Gobelins un solo maestro con pieni poteri: è lui che deve fornire i modelli e dirigerne l’esecuzione. La scelta cade sul pittore Charles Le Brun che in quell’anno, il 1667, aveva quarantadue anni: uscito dall’atelier di Simon Vouet era stato in Italia tra il 1642 e il 1646, seguendo da vicino la linea di Poussin; l’atmosfera italiana non l’aveva però distratto dai suoi doveri di servitore del suo sovrano, nel cui nome egli esercita subito il proprio potere assoluto sulla manifattura reale.” (54) L’arazzo è comunemente considerato come un tessuto pesante, normalmente in lana, fatto a mano, a macchina, anche ricamato, usato per rivestire mobili o pareti e si differenzia da altre forme di tessuto disegnato per il fatto che le trame non si estendono lungo tutta l’ampiezza del tessuto, eccetto rarissime accidentalità del disegno. Ogni parte del disegno e dello sfondo è tessuta con la trama del giusto colore che viene inserito, avanti e indietro, solo nel punto o nella zona dove questo compare nel disegno. Tipicamente nella tessitura del tessuto liscio, la trama passa alternativamente sopra e sotto i fili d’ordito e nella passata di ritorno, sotto, dove prima era sopra e viceversa; le trame coprono completamente i fili d’ordito che appaiono nel tessuto solamente come una cordonatura parallela più o meno marcata secondo se sono più grossolani o più fini. A questo punto, vale la pena soffermarsi brevemente sulla tecnica di costruzione dell’arazzo che è certamente un esempio dell’altissima professionalità raggiunta nell’arte della tessitura dagli artigiani che lo eseguivano, gli arazzieri. “L’arazzo viene realizzato con una tecnica che ha molto in comune con la tecnica tessile, anche se per alcune particolarità è accostabile al ricamo. Con il ricamo ha in comune la possibilità di realizzare disegni a colori con particolari talora finissimi, con grande varietà di contrasti. Con la tecnica tessile ha in comune l’uso di un telaio costituito da un rullo, detto subbio (ensouble), sul quale è avvolto l’ordito (chaine), e da un altro subbio, sul quale viene avvolto il tessuto: come nel telaio tessile, i fili dell’ordito sono divisi in pari e dispari, tenuti separati da righelli di legno, chiamati verghe. I fili dell’ordito sono comandati da licci che, mentre nella tecnica tessile hanno collegamenti meccanici, qui sono comandati a mano dall’arazziere. La navetta (broche) passa tra i vari fili dell’ordito, percorrendolo però sempre nei due sensi: la trama viene così a ricoprire completamente sulle due facce, ogni filo dell’ordito (passata intera). Mentre nella tecnica tessile la navetta percorre l’ordito per tutta la larghezza del telaio, nella tecnica dell’arazzo la navetta può percorrere anche solo un tratto dell’ordito, seguendo le linee di contorno dettate dal disegno. Così il maestro dei ritratti o il maestro degli incarnati possono tessere di seguito un intero volto, un intero braccio, anche se i campi laterali e superiori al volto o al braccio sono ancora da tessere o sono già stati tessuti da altri specialisti. La spola contenuta nella navetta porta avvolto il filo della trama: in molti casi, avvolto sulla spola, non vi è un solo filo, ma vi sono più fili, di diversi colori. Si ottengono così sfumature di colore, anche disponendo di un basso numero di filati colorati di base. Un altro tipo di sfumatura si ottiene attraverso il cosiddetto tratteggio d’arazzo, che consente di realizzare campiture di colore, accostando a una passata intera un’altra passata di tono diverso. La combinazione dei due accorgimenti tecnici – avvolgimento sulla spola di più fili di colore diverso e trame accostate di sfumature diverse – ha consentito di realizzare già in epoca molto antica effetti divisionisti: quelli che seguono i pittori del tardo Ottocento, come Segantini e Seurat, cogliendo il principio della scomposizione della luce nei colori dello spettro solare e della sua ricomposizione mediante l’accostamento di colori complementari. – 43 – TRA TRUCIOLI E TELAI Come per il tessuto, permane la difficoltà nell’arazzo di rappresentare le linee delimitanti zone di colore diverso, quando esse non siano perpendicolari all’ordito o alla trama: le linee oblique risultano quindi spesso seghettate, come si può riscontrare anche nei damaschi. Data la possibilità di manovrare i licci solo in alcuni tratti del telaio, tessendo separatamente alcune campiture, si possono formare, parallelamente ai fili dell’ordito, linee di stacco, cioè fessure in cui il disegno è segnato da un taglio sottilissimo (hachure) e non da un colore scuro ottenuto con il filo della trama. Questo accorgimento indebolisce tuttavia la consistenza dell’arazzo ed esige l’esecuzione di ricuciture a mano ad arazzo finito. La difficoltà delle linee oblique seghettate e la presenza di linee di stacco solo in parallelo all’ordito hanno spesso consigliato di tessere l’arazzo in orizzontale anziché in verticale, realizzando cioè figure, che risultano in piedi nel cartone, sdraiate. Tale decisone è talora legata alla necessità di realizzare arazzi con subbi lunghi come il lato breve dell’arazzo e non come il lato lungo: infatti, data l’estensione di molti arazzi, il telaio risulterebbe di dimensioni eccessive. L’ordito dell’arazzo risulta essere realizzato dalle origini al Settecento con diversi tipi di filato: la scelta del filato è importante per la durata del’arazzo, ma non per il suo aspetto, essendo l’ordito ricoperto dalla trama. Questa particolarità consente anche di riportare direttamente sull’ordito le linee di contorno del disegno, mediante tacche ad inchiostro. Le tacche dividono la superficie dell’ordito, delimitandola in vari campi, lavorabili ciascuno separatamente. L’aumento del numero dei fili dell’ordito – dai quattro fili per ogni centimetro di rullo, come negli arazzi più antichi, agli otto fili dei Gobelins sotto Le Brun – è conseguente alla necessità di ottenere particolari minuti e sfumature pittoriche, dettate dai quadri ad olio dei grandi artisti del Seicento. Per realizzare i volti, veri e propri ritratti, ci si avvale di specialisti, chiamati ai Gobelins officiers de portraits; per eseguire i nudi ci si serve dei “maestri degli incarnati”; per le bordure dei “maestri delle bordure”. La trama, che è la sola parte in vista dell’arazzo, è costituita dal filato di lana, di seta, talora di lino e da fili d’oro e d’argento. Il filato viene tinto da specialisti, con le varie couleurs de tapisserie, secondo tecniche coperte dal segreto. Il filato della trama viene quindi avvolto sulla spola, un fuso in legno lungo una ventina di centimetri con un diametro di circa un centimetro. Su ogni spola può essere avvolto un filo di un solo colore, o, come si è detto, più filati di più colori, necessari per ottenere le sfumature. A ogni spola corrisponde un colore di base o una sfumatura di base. Per eseguire l’arazzo, l’arazziere è posto con il viso verso la finestra e ha davanti a sé l’ordito; dopo che è stato tracciato sull’ordito il modello egli collega i vari fili dell’ordito ai licci, per ogni campo delimitato dal modello, e tirando i fili del liccio fa passare la navetta con il braccio sinistro fra i fili pari e quelli dispari dell’ordito, eseguendo così la prima mezza passata. Segue la seconda mezza passata, ottenendo così una passata intera. La passata è fatta a mano nei telai ad alto liccio, a pedale in quelli a basso liccio. Con i secoli si è infatti affermato, accanto al telaio tradizionale detto “alto liccio”, con i fili dell’ordito verticale e subbi in basso e in alto, un tipo di telaio orizzontale detto “basso liccio”, con i fili dell’ordito in piano e subbi posti tutti e due in orizzontale davanti all’arazziere che lavora appoggiato sul subbio che avvolge l’arazzo finito. Nell’alto liccio l’arazziere ha la luce davanti a sé e l’ordito in controluce: lavorando ai licci e tenendo le spalle al di qua dell’ordito. Egli vede solo il rovescio dell’arazzo, mentre il diritto rimane rivolto verso la fonte di luce. Per vedere l’arazzo lavorato, l’arazziere deve spostarsi sull’altro lato. Il cartone è invece appeso parallelamente al telaio, dietro la schiena dell’arazziere: questi per vederlo deve volgere il capo all’indietro. Per semplificare il controllo dei particolari (disegno e colori) l’arazziere dispone di un piccolo specchio scorrevole, appeso sul telaio dietro l’ordito; tale specchio gli consente di osservare il cartone senza voltarsi e il lavoro eseguito senza girare la testa verso l’altra faccia del telaio. La grande lentezza del lavoro all’alto liccio – da mezzo a un metro quadro per ogni arazziere in – 44 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ ogni anno di lavoro – ha consigliato l’uso di telai a basso liccio, più simili a quelli correnti nel settore tessile, con ordito posto in orizzontale: il basso liccio consente il lavoro di più arazzieri allo stesso telaio e il comando a pedali per effettuare il passaggio della spola. Nella lavorazione a basso liccio l’arazziere ha sempre la finestra di fronte, il telaio di fronte a sé, il cartone dietro la schiena. Per semplificare il lavoro, il cartone o una sua copia è posto in orizzontale, davanti all’arazziere, sotto i fili dell’ordito. Così facendo l’arazziere finisce per realizzare, nell’arazzo ultimato, immagini speculari rispetto al cartone posto sotto l’ordito. Non sono rari, nei primi esempi, arazzi a basso liccio con scene di guerra nelle quali i combattenti sono tutti mancini, con la spada sempre nella mano sinistra e lo scudo infilato nel braccio destro. Per evitare questo inconveniente sono stati realizzati cartoni speculari rispetto all’arazzo, usando anche tecniche di ricalco oppure di spolvero, come per gli affreschi, oppure ancora di quadrettatura, come per la riproduzione o l’ingrandimento di un quadro. La distinzione fra arazzi eseguiti ad alto o a basso liccio è puramente tecnica: difficile notarla una volta che un arazzo sia staccato dal telaio. La riproduzione speculare (di figure umane, di sigle) è l’unico indizio che consenta di distinguere un arazzo eseguito a basso liccio da uno tessuto ad alto liccio. (55) A questo manufatto “rimane assegnato, anche nel Settecento, il tema della mediazione fra antico e nuovo: con tutte le resistenze che vengono da una tecnica complicata e costosa, saldamente gestita all’inizio da dinastie fiamminghe, che le volontà dei principi europei – francesi e italiani – non riuscivano facilmente a sostituire con maestranze locali; e insieme con tutte le flessibilità che vengono da un passaggio attraverso i cartoni, dei temi di una pittura a tesi, secondo i dettami di una committenza di corte destinata alle capitali europee. Il passaggio fra il Seicento e il Settecento avviene sotto il segno della sensibilità, e cioè, per quanto riguarda gli arazzi, della concreta possibilità di rappresentare in maniera vivida i segni di un gusto in veloce mutamento, in rapida evoluzione, attraverso tecniche perfezionate.” (56) Nella seconda metà del Settecento, ultimo interprete della trasposizione di questo genere di pittura in cartoni per arazzi sarà il pittore spagnolo Francisco Goya y Lucientes; la produzione di arazzi decade nell’Ottocento per un sensibile mutamento del gusto e della moda nel campo dell’arredo, in particolare di quello domestico, ma viene ripresa all’inizio del Novecento: la manifattura francese di Aubusson, già nota fin dai tempi dei Gobelins, commissiona cartoni a Pablo Picasso, a Joan Mirò, a Jean Lurcat. Resta, comunque, questo il tipo di telaio usato per diversi secoli con pochissimi miglioramenti, sul quale si sono poi innestati gli studi per la realizzazione dei telai meccanici che fanno la loro comparsa nel XVIII secolo: queste macchine erano azionate grazie allo sfruttamento dell’energia idraulica tramite l’impiego di ruote e mulini, sistemati lungo i corsi d’acqua. Nel corso di questo secolo, Francesi e Inglesi modificarono in continuazione il telaio meccanico fino a renderlo capace di produrre tessuti con piccoli disegni ed armature complesse, arrivando anche a servirsi di meccanismi tali da inserire in automatismo trame di differenti colori. È in questo periodo che la produzione di tessuti in Friuli conosce un’espansione senza precedenti che vede come protagonista l’intraprendenza di una nascente imprenditoria locale e che interessa, in particolare, l’area carnica. Agli inizi del 1700, la Repubblica di Venezia versava in uno stato di grave crisi economica e politica determinata da indirizzi di governo evidentemente contraddittori e controproducenti, rispetto ai segnali di profonda trasformazione provenienti dal contesto internazionale, tendente a salvaguardare ad oltranza gli interessi e i privilegi delle classi dominanti con strumenti opprimenti che penalizzavano ancora una volta le popolazioni residenti nelle aree più povere e decentrate della sua giurisdizione. “Un paio di necessarie riflessioni… sullo stato di salute della Repubblica e dei rapporti con la Terraferma, devono tuttavia tener conto di un panorama eteroclito, spesso interpretato, e non a ragione, unicamente come il riflesso di un progressivo disgregamento delle egemonie, quasi che l’indebolimento politico seguisse, in stretto – 45 – TRA TRUCIOLI E TELAI rapporto di causa-effetto, la volontà di difendere il nucleo storico-economico della città con misure che stringevano sempre di più il laccio alla vita del Dominio; con il corollario poi di una classe politica e patriziale parassitaria ed incapace. Il progressivo incremento della politica fiscale, la frammentarietà giuridico-economica, erano dunque, secondo moraleggianti linee di giudizio, il risultato palese dei colpi di coda di una struttura politico-sociale in profonda crisi che agiva in modo addirittura incongruo alla sua stessa sopravvivenza. Secondo questa chiave di lettura la cesura con la storia precedente veniva ampliata nell’opposizione tra l’immagine quattro-cinquecentesca di uno Stato fondato sulle “spontanee” dedizioni e sulla difesa dei costumi e dei privilegi locali, e l’ostilità, pur di lunga tradizione, con cui veniva mortificata ogni iniziativa che potesse competere con il mito della ricchezza della città… Il rigido protezionismo applicato dalla Repubblica e attuato attraverso una ferrea e mastodontica normativa di dazi e gravezze (si pensi che nel 1726 nella sola città il denaro pubblico veniva amministrato da 213 casse di 54 magistrature diverse), e un puntuale controllo doganale di ogni merce in transito attraverso il territorio, proprio nel Friuli frammentato com’era da “una pleiade di privilegi e di barriere difese con sanguinose turbolenze”, pareva scontrarsi con situazioni conflittuali innestandosi in un tessuto sociale spesso gravato da calamità naturali, da una congerie di ordinamenti di connotazione medievale e storicamente marginale. Lo iato sembrava inoltre sottolineato dal mancato assecondamento, da parte della Serenissima, di quei “segni di nuova vita” e di fermento economico e commerciale che avrebbe fatto da controcanto agli ultimi fuochi del patriarcato, e dal persistere di una identità storica molto singolare confluente nel concetto unitario di “Patria del Friuli”.” (57) Sta di fatto che le descrizioni del Friuli settecentesco, redatte minuziosamente dai cronisti dell’epoca, forniscono una conferma diretta della scarsa attenzione prestata dalla Serenissima nei confronti delle esigenze manifestate dalle popolazioni residenti sul territorio amministrato e della necessità improcrastinabi- le di porre mano allo stato di abbandono in cui, da troppo tempo, lo stesso territorio era stato lasciato, con il conseguente risultato di un progressivo impoverimento delle sue capacità economico-produttive e di un sensibile aumento dello stato di indigenza dei suoi abitanti. In questo difficile contesto “si rivela l’intatta vitalità e varietà delle imprese produttive e mercantili borghesi, ma anche aristocratiche, favorite dall’indirizzo liberista dei V Savi alla Mercanzia e, per alcuni anni, dall’azione della Deputazione al Commercio. I settori più attenti e culturalmente informati del panorama commerciale veneziano sembrano allora prodigarsi, nei primi decenni del Settecento, nella realizzazione di una integrazione coesiva tra l’attitudine mercantile di Venezia e un diverso modello imprenditoriale collegato alla rivitalizzazione delle antiche arti della terraferma. Lo stesso processo ha luogo in Friuli e in particolare in Carnia, dove era presente una lunga tradizione nel settore della filatura e tessitura domestica della lana, del lino e della canapa: l’obiettivo da raggiungere in questo comparto, era un prodotto economico, di larga produzione, che potesse affiancare i tradizionali prodotti di lusso e contrastare la concorrenza straniera, soprattutto tedesca, austriaca e svizzera.” (58) Nel XVIII secolo, infatti, Venezia è l’unico centro italiano che tenta ancora di reggere il mercato con una gamma piuttosto ampia di tessuti preziosi e raffinati, testimoniata da fonti informative anglosassoni che segnalano la produzione di ingenti quantità di tessuti in oro, in argento e in seta, realizzate nella città intorno al 1754. (59) Per la Repubblica veneta, gli inizi del Settecento sono caratterizzati, dunque, da un clima di cambiamento economico-produttivo che potrebbe essere definito come strutturale e “non è un caso che i riconosciuti precursori di questa concreta tendenza al rinnovamento, da lì a pochi lustri, in tempi di più diffusi dibattiti illuminati, fossero due imprenditori tessili, Nicolò Tron e Jacopo Linussio, così diversi negli esordi, quanto accomunati negli esiti. Nelle pagine del Dizionario delle arti e dei mestieri e del “Giornale d’Italia” di Francesco Griselini, - il più acuto diffusore delle nuove accezioni economiche nella Repubblica, - – 46 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ entrambi verranno infatti celebrati, intorno agli anni ’60 del Settecento, come i più autorevoli artefici di nuovi e possibili itinerari economici: il primo per essere il degno rappresentante di una nobiltà aurea ancora in grado di riproporsi come attiva e intraprendente, sensibile ed aperta ai fermenti culturali di stampo ormai irrinunciabilmente europeo e che all’occorrenza riesce ad investire ingenti capitali nell’introduzione di moderne tecnologie in grado di creare nuovi assetti produttivi; il secondo perché dimostrava molto praticamente che la prosperità poteva crearsi ovunque quasi dal nulla, da “piccolissimi principii” che si coniugavano all’acutezza delle scelte, alla perseveranza del lavoro. Entrambi comunque meritevoli di aver risanato, tramite il larghissimo impiego di forza-lavoro, intere aree antropiche: ed è forse questo l’aspetto di maggiore interesse. L’impatto sulla realtà sociale friulana, prettamente rurale, di un’attività che arriverà a coinvolgere il lavoro di 30.000 persone (tra diretti lavoranti e indotto), eviterà il penoso esodo dell’emigrazione fornendo nel contempo la garanzia di un felice dinamismo produttivo il cui successo (elevate produzioni di buona qualità a costi competitivi), avrebbe avuto riscontro in provvedimenti della Repubblica, come agevolazioni daziarie, diritti di privativa, incoraggiamenti produttivi.” (60) Ai fini della presente ricerca, l’attività avviata da Jacopo Linussio a Moggio (UD), nel lontano novembre del 1717, è inizialmente orientata a “far pettinar linni pella fabbrica di rigadini et altre tellerie da biancheggiarsi che venivano manipolate da tesseri nella provincia della Cargna.” (61) Viene acutamente osservato che “si tratta quindi di una lenta partenza, ma sin dall’inizio, si noti, consapevolmente organizzata su un sistema di produzione collegato al territorio che prevedeva l’utilizzazione di un prodotto già “manipolato”, semilavorato, accompagnandosi, nella sede centrale (dove si applicavano le lavorazioni di più alto mestiere), ad un uso limitato di telai e operai, conseguentemente mantenendo bassi salari e minimi investimenti. È la strategia industriale che sottenderà, coniugando tradizione carnica e nuova imprenditoria, l’intero ciclo vitale dell’azienda.” (62) Dopo gli esordi, nel volgere di pochi anni, questa strategia porterà ad una sorprendente espansione dei livelli produttivi e degli insediamenti manifatturieri sorti sul territorio carnico per farvi fronte: a quello di Moggio, fanno seguito gli opifici di Gleria di Moggio e di Tolmezzo. “L’attività produttiva, ormai rilevante (se si pensa che dalla sola manifattura di Moggio uscivano, nel 1725, 3.000 pezze di renzetti con un impiego di 200 maestri tessitori e 2.500 filatrici domiciliari), esigeva una accurata previsionalità che tenesse conto, per un verso, di limitare i costi produttivi (secondo l’ormai collaudato ciclo lavorativo, che alle operazioni di rocca e fuso domiciliari faceva seguire le lavorazioni più specializzate come la tessitura, la biancheggiatura e la tintura nelle due manifatture), e dall’altro di sfruttare al meglio, nella progressiva dilatazione dei mercati, gli indirizzi di carattere mercantilistico propugnati dalla magistratura dei V Saggi alla Mercanzia e supportati dalle compagini intellettuali più avanzate.” (63) Una strategia lungimirante, molto oculata ed attenta, tra l’altro, a non creare eccessiva competizione e ad evitare possibili conflittualità con le attività svolte dai tessitori veneziani: “le tendenze produttive poste in atto dal Linussio con il virage del 1726 tendevano piuttosto alla diversificazione e sperimentazione di nuove linee, in grado di fornire anche tessuti in larga misura precedentemente importati (servendosi delle informazioni e dei campioni che probabilmente gli fornivano i commercianti carnici, operanti dalla Boemia alla Baviera) senza pregiudicare dunque i tradizionali prodotti tessili veneziani.” (64) Nel Settecento, dunque, dalle manifatture Linussio usciva una gamma di prodotti estremamente varia e di buona qualità, all’interno della quale si ritrovavano, accanto a quelli propri della tradizione locale, quelli riprodotti traendo ispirazione da modelli importati da altri Paesi europei. “Questi suoi prodotti abbracciano in primis il “tessuto unito” che utilizzava soprattutto le fibre di lino ma anche di lana, originando numerose tipologie di stoffa. In buona parte di esse si evidenzia una caratteristica che ricorre nella produzione Linussio, cioè – 47 – TRA TRUCIOLI E TELAI quella di avvalersi dell’impostazione dell’ordito per creare nella stoffa a righe di colore e di dimensioni diverse, con l’ausilio di una sola trama monocroma. Nel genere unito, con questa impostazione, sono stati fabbricati i famosi “rigadini”. Righe di colore uniforme, ma anche in tonalità sfumata, disposte sempre in equilibrati ritmi, furono usate anche per realizzare i fondi delle stoffe del genere tessile con decoro, prodotto anch’esso da una sola trama. La larga produzione del tessuto unito, che ha portato a definire la fabbrica Linussio come la più grande manifattura di “tele” dell’Europa del Settecento, era affiancata alla fabbricazione di altre tipologie definite del genere “piccolo operato”, ossia di un tessuto decorato con minuti apporti di disegno solitamente eseguito con telaio a licci. Questo genere fa parte della cosiddetta transizione e va collocato appunto tra le stoffe “unite” e quelle definite “operate”.” (65) Una buona parte di questi manufatti, come è stato detto, è conservata ed è visibile nelle sale del Museo Carnico delle Arti Popolari di Tolmezzo (UD), allestito da Michele Gortani che, motivando la sua iniziativa, individuava nell’amore per la casa, per la famiglia e per il lavoro le virtù cardinali della stirpe carnica. L’obiettivo di rivitalizzare l’economia montana della zona, auspicato dagli attuali continuatori della sua opera, venne raggiunto con successo da Jacopo Linussio nel Settecento, al quale lo stesso Gortani riconosce le virtù cardinali appena menzionate ricordando che: “La tessitura era un’antica arte friulana, già fiorita durante il Patriarcato d’Aquileia (ossia prima del Quattrocento) e nel ‘500 dava pane e lavoro al gran numero di carnici che portavano in tutta Europa l’arte loro in cui si dimostravano “eccellenti e rari” secondo la testimonianza di Jacopo Valvason di Maniago. Jacopo Linussio era un uomo di eccezionale perspicacia negli affari, abilità nell’industria, tenacia nel lavoro; e dovette la sua fortuna non soltanto alla capacità delle maestranze e all’eccellenza dei manufatti, ma anche alla abilità con cui seppe legare la grande industria all’artigianato domestico tradizionale, fino ad avere più di 1.200 telai sparsi nei vari centri abitati della regione, che lavoravan per lui… Il residuo di incannatoio per trarre la seta, gli stampi per decorare stoffe e gli scampoli di rasi e damaschi che abbiam potuto recuperare dopo le devastazioni belliche, mostrano con quanto garbo tutto fosse ordinato e disposto nella Fabbrica Linussio e presso i suoi collaboratori. La fabbrica, che era famosa in tutta Europa e che esportava i suoi manufatti in Asia e in America, si chiuse ai primi dell’Ottocento. Ma le sue maestranze artigiane continuarono, sia pure illanguidendosi via via, a produrre tessuti durante tutto il secolo, sì da bastare in parecchi luoghi ai bisogni locali, e da lasciare a noi le testimonianze visibili di simile attività. Vogliamo accennare in primo luogo alle coltivazioni di canapa e di lino che perduravano nel primo decennio del Novecento in tutte le nostre valli; alle gramole (frac da cjanàipe) e ai pettini (piètins) per dirompere e cardare i manipoli di fibre, ai fusi (fus) e mulinelli (mulignèi) e alle conocchie e ai telai superstiti della tessitura casalinga ed ai campioni delle stoffe con essi tessute, tutti residui di cui è larga rappresentanza nel Museo Carnico, sì da poter persuadere che perfino una parte delle così dette tovaglie umbre, trovate ancora in buon numero, se pure su disegni di importazione, erano qui di fattura locale… Delle tele di lino e di canapa tessute in loco, abbiam potuto riunire nel Museo Carnico una ricca serie di esemplari. Sono lenzuola per letti da uno a due posti, con relative federe, tovaglie e tovaglioli, asciugamani (sempre di canapa e di lino); non sappiamo se prodotti a mano in sito anche i fini tessuti di mussola e batista dei bianchi veli e fazzoletti da testa. Ma in famiglia non consta che si producessero i tessuti di maggior pregio, propri della fabbrica Linussio, quali rasi e damaschi; mentre si tessevano coperte e sopracoperte da letto bianche e colorate, e, oltre a tutta la biancheria di famiglia, tanto liscia quanto operata, stoffe per vestiti a molti colori svariati, di lana e mezzalana (lana e canapa), di lino, di cotone, di bavella, di seta. Circa la versatilità, dei nostri artigiani, il campionario del tessitore Comis di Forni di Sopra, conservato nel Museo, è veramente istruttivo. E i documenti rinvenuti a Solars di Ravascletto… mostrano, con l’eloquenza dei vecchi stampi, come non soltanto nella fabbrica – 48 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ Linussio, ma anche in località sperdute (come era sino a tutto il secolo XIX la remota Valcalda) vissero artigiani che sapevano decorare le tele con gli stampi a colori… Gli ultimi tessitori, sui primi del Novecento, andavano ancora in giro per vendere la merce di loro fattura, disposta in pezze sulla crame, sostegno legnoso in forma di seggiolino che si adattava con cinghie sulle spalle; i prodotti consistevano per lo più, ormai, in tela di canapa per biancheria da lavoro e da letto, e solo nei centri più remoti, come Sauris e Forni di Sopra e di Sotto, si tessevano ancora coperte da letto anche in lana colorata con disegni geometrici, e tele di cotone e di lino. Dovrebbero quindi trovare buon terreno i tentativi che si fanno per rinnovare l’artigianato della tessitura a mano, che ha nelle nostre valli così antiche e nobili tradizioni.” (66) Ritornando alle tappe salienti del processo storico-evolutivo che ha interessato il settore tessile, rileviamo che, all’inizio dell’Ottocento, un artigiano francese perfezionò i tentativi che si erano susseguiti per costruire una macchina che avesse la possibilità di produrre tessuti e tappeti a grandi disegni e con molti colori, secondo schemi costruttivi programmati: nacque così il telaio omonimo, tuttora largamente impiegato, che utilizzando un sistema di schede perforate era in grado di assicurare questo risultato. “Nei primi anni del nuovo secolo il tessitore di seta Jean Marie Jacquard costruiva il primo prototipo del nuovo telaio meccanico. Jacquard non era stato il primo a tentare un perfezionamento sostanziale del telaio a trazione; già nel 1725 Bouchon aveva fatto dei primi tentativi col sistema delle schede e nel 1745 Vaucanson aveva costruito un modello di telaio ulteriormente perfezionato, ma che si rivelò di poca utilità pratica. Nel 1804 Jacquard portò a termine il suo primo telaio che costituiva il risultato di lunghi studi e di precedenti scoperte e che presto si dimostrò non solo di grande valore pratico ma rappresentò anche il passaggio decisivo da un artigianato vecchio di secoli alla moderna produzione industriale. La novità essenziale del nuovo telaio, legato ancor oggi al nome di Jacquard, sta nel fatto che il lungo e stancante lavoro del tiratore, che fino a quel momento doveva preparare, per ogni nuova istruzione tecnica, le corrispondenti combinazioni di fili dell’ordito, veniva sostituito dal sistema delle schede perforate. Inoltre il lavoro veniva enormemente accelerato e fu possibile, per esempio, conservare il corredo di schede di un determinato disegno e ripeterlo poi al momento voluto senza che fosse necessaria la procedura, incredibilmente complicata, dell’allestimento del telaio fino allora indispensabile. I tessitori di seta lionesi, che per primi si erano trovati in piena crisi economica causata dalla Rivoluzione, videro nell’invenzione di Jacquard una minaccia. Quando questi lasciò Parigi per tornare a Lione, si trovò in piena rivolta: il nuovo telaio fu bruciato pubblicamente e Jacquard dovette abbandonare di nascosto la sua città natale. Il nuovo telaio non fu usato fino al 1820 dai tessitori di seta francesi. Ma questo non fu che un piccolo ritardo. Presto o tardi in tutta Europa e intorno al 1830 i telai meccanici tessevano ogni tipo di tessuto decorato – di seta o no – come pure producevano tappeti tessuti a macchina.” (67) Quindi si può affermare che il telaio meccanico con le sue continue modifiche è diventato la macchina per tessere. L’attuale tessitura è in grado di produrre una serie di articoli vastissima, che non solo utilizza tutte le tipologie di filati prodotti con tutte le fibre conosciute (animali, vegetali, minerali, artificiali, sintetiche ecc.), ma va dal tessuto per l’abbigliamento e per l’arredamento al tappeto, fino ai pizzi e ai merletti. Tutto questo grazie ai continui miglioramenti tecnici e tecnologici fatti nel corso degli ultimi trent’anni alla macchina per tessere. Oggi i telai non hanno più la navetta che interseca i fili d’ordito, ma una coppia di pinze che trasportano il filo di trama per tutta l’altezza del tessuto: questa modifica ha permesso di passare da una velocità di 80/90 colpi al minuto agli attuali 450 colpi al minuto con filati di pura lana, o ai 600/700 colpi al minuto con filati più resistenti. Altra innovazione è la “ratiera” elettronica che permette di gestire fino a 32 quadri con 6.000 licci leggendo l’armatura in modo computerizzato; i calcoli oggi gestibili da un telaio norma- – 49 – TRA TRUCIOLI E TELAI le a ratiera, quindi non “Jacquard”, arrivano fino a otto, mentre su telai manuali non c’era limite di inserimento dei colori poiché veniva fatto manualmente. (68) Per questo motivo l’artigiano poteva esprime la sua creatività senza limiti, in quanto poteva, lavorando a mano, dare libero sfogo alla propria fantasia e alla propria creatività: riteniamo che queste doti e queste capacità siano ancora presenti e particolarmente vive tra gli artigiani tessili della Carnia che abbiamo incontrato. (69) Note (8) Cfr. BAUSSANO A. A., “Sapori, aromi e cultura. Fare impresa nell’artigianato alimentare in Piemonte”, REGIONE PIEMONTE- Stendhal, Torino, 2001. (9) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, Catalogo del Museo, Società Filologica Friulana, Udine, 2000. (10) CARGNELUTTI R., “Presentazione”, in GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit. (11) DEMATTEIS L., “Case contadine nella Carnia e nel Friuli montano”, Quaderni di cultura alpina, Priuli & Verlucca, Editori, Ivrea (TO), 1989. (12) CAMANNI E. e JALLA D., “Il caso e la necessità” in AA. VV., “Prodotti della montagna”, L’Alpe, n. 9, Priuli & Verlucca, Editori, Ivrea (TO), 2003. (13) JALLA D., “La tradizione siamo noi”, in AA. VV., “Prodotti della montagna”, cit. (14) NIEDERER A., “Mentalità e sensibilità”, in GUICHONNET P., “Storia e civiltà delle Alpi. Destino umano”, Jaca Book, Milano, 1987. (15) BLOCH M., “Lavoro e tecnica nel Medioevo”, Laterza, Roma-Bari, 1998. (16) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit. (17) Cfr. LEROI-GOURHAN A., “Dizionario di preistoria”, Vol. I, Culture, vita quotidiana, metodologie, Einaudi, Torino, 1991. (18) MULLER-KARPE H., “ Storia dell’età della pietra”, Mondadori, Milano, 1992. (19) Cfr. GOYON G., “Il segreto delle grandi piramidi”, Newton Compton, Roma, 1985. (20) ALDRED C., “Gli Egiziani, tre millenni di civiltà”, Newton Compton, Roma, 1988. (21) BONGIOANNI A., “Lavori di intreccio per stuoie e cesti”, in DONADONI ROVERI A. M., “Civiltà degli Egizi. La vita quotidiana”, Museo Egizio di Torino-Istituto Bancario San Paolo di Torino, Electa, Milano, 1987. (22) Cfr. DAVID A. R., “I costruttori delle piramidi”, Einaudi, Torino, 1989. (23) LEOSPO E., “Lavorazione del legno: mobilio ed ebanisteria”, in DONADONI ROVERI A. M., “Civiltà degli Egizi. La vita quotidiana”, Museo Egizio di Torino-Istituto Bancario San Paolo di Torino, Electa, Milano, 1987. (24) DONADONI S., “L’Egitto”, Storia universale dell’arte, UTET, Torino, 1981. (25) Cfr. OPPENHEIM A. L., “Uno sguardo generale alla storia economica della Mesopotamia”, in POLANY K., “Traffici e mercati negli antichi imperi”, Einaudi, Torino, 1978. (26) Cfr. ARISTOTELE, “Fisica”, II, 2 e 8. (27) Cfr. PAUSANIA, “Periegesi della Grecia2, V, 11. (28) REPELLINI F., “Tecnologie e macchine”, in AA.VV., “Storia di Roma. Caratteri e morfologie”, Vol IV, Einaudi, Torino, 1989. (29) Cfr. PAOLO DIACONO, “Historia Langobardorum”, Rizzoli, Milano, 1991. (30) CARLI E., “Il Medioevo”, in AA. VV., “Storia universale dell’arte”, Vol. III, Fabbri Editori, Milano, 1984. (31) Il termine “gotico” fu originariamente usato dagli umanisti del XV secolo per indicare un ben noto tipo di scrittura medioevale opposto alla scrittura “ romana”. Più tardi, esso fu applicato con connotazione deprezzativi all’architettura (e in seguito anche alla scultura, alla pittura e alle arti minori) del periodo compreso fra la fine del romanico e l’inizio del Rinascimento). Cfr. CARLI E., “Il Medioevo”, in AA. VV., “Storia universale dell’arte”, cit. (32) PAOLUCCI A., “Il Quattrocento e il Cinquecento”, in AA. VV., “Storia universale dell’arte”, Vol. IV, Fabbri Editori, Milano, 1984. (33) POLVARA G. A., “Quei prodigiosi intarsi di Fra Giovanni”, Antiquariato, n. 86, Giorgio Mondatori e Associati, Milano, 1987. (34) Ibidem. Con il termine “commesso” si intende, più in generale, il disegno ornamentale ottenuto mediante una composizione di tessere con mastice su una superficie: in questo caso, Vasari si riferisce alla tarsia. (35) PAOLUCCI A., “Il Quattrocento e il Cinquecento”, in AA. VV., “Storia universale dell’arte”, cit. – 50 – CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ (36) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit. (37) SPINOSA N., MARTINELLI PEDROCCO E., “Il Seicento e il Settecento”, “Storia universale dell’arte”, Vol. V, Fabbri Editori, Milano, 1984. (38) Cfr. BREZIGAR I. M. et alii, “Cassoni popolari nel Goriziano sloveno”, Goriski Muzej, Nova Gorica, 2001. (39) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit. (40) Cfr. DISERTORI A., NECCHI DISERTORI A. M.,” Il mobile del Settecento. Italia”, Istituto Geografico De Agostini-Sotheby’s, Novara, 1985. La “sandracca” è una resina naturale che si ottiene dalla Tetraclinis articulata, una conifera dell’Africa settentrionale, fragile e trasparente, di colore giallo, inodore, solubile in alcol, etere e acetone, usata in questo caso per la preparazione di una vernice protettiva. (41) SELVAFOLTA O., “Il mobile del Novecento. Liberty”, Istituto Geografico De Agostini-Sotheby Parke Bernet & Co., Novara, 1985. (42) VIDALE M., “La lunga via dei tessuti”, Archeo, n. 219, De Agositini Rizzoli Periodici, 2003. Il Solutreano è una delle maggiori culture del Paleolitico Superiore, che prende nome dal sito di Solutré, nel dipartimento di Saone-et-Loire, in Aquitania, nel quale sono stati ritrovati i coltelli citati. Dolni Vestonice è anch’esso un sito archeologico della Moravia nel quale è stata rinvenuta la Venere preistorica di cui si parla, una statuetta femminile in terracotta che, al pari delle Veneri coeve finora ritrovate, presenta, nelle sue fattezze, dei caratteri sessuali fortemente accentuati. (43) DONADONI ROVERI A. M., “Civiltà degli Egizi. La vita quotidiana.”, Museo Egizio di Torino-Istituto Bancario San Paolo di Torino, Electa, Milano, 1987. (44) Ibidem (45) DAVID A. R., “I costruttori delle piramidi”, Einaudi, Torino, 1989. (46) Ibidem (47) OPPENHEIM A. L., “L’antica Mesopotamia”, Newton Compton, Roma, 1980. (48) Ibidem. A proposito delle pratiche cultuali delle civiltà sviluppatesi in quell’area Cfr. BOTTERO J., KRAMER S. N., “Uomini e dèi della Mesopotamia”, Einaudi, Torino, 1992. (49) VIDALE M., “La lunga via dei tessuti”, cit. (50) Cfr. OVIDIO, “Metamorfosi”, VI,1-145. (51) Cfr. CANTARELLA E., “La vita delle donne” in AA.VV., “Storia di Roma. Caratteri e morfologie”, Vol IV, Einaudi, Torino, 1989. (52) Cfr. GIARDINA A., “Uomini e spazi aperti” in AA.VV., “Storia di Roma. Caratteri e morfologie”, cit. (53) GABETTI M., “Arazzi. Rinascimento e Barocco”, Istituto Geografico De AgostiniSotheby’s, Novara, 1985. (54) Ibidem (55) GABETTI M., “Arazzi del Settecento”, Istituto Geografico De Agostini-Sotheby’s, Novara, 1985. (56) Cfr. FORTI GRAZZINI N., “La donazione di Francesco II Sforza, l’eredità dell’Infante d’Africa e gli arazzi del Museo del Duomo di Vigevano” in AA. VV., “Fra trama e ordito 2”, Catalogo della mostra, Leonardo-De Luca Editori, Roma, 1992. (57) GANZER G., “La Repubblica e la Terraferma: il XVII secolo” in AA. VV., “Jacopo Linussio. Arte e impresa nel Settecento in Carnia”, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia e Comunità montana della Carnia, Udine, 1991. (58) Ibidem (59) Cfr. DEVOTI D., “L’arte del tessuto in Europa”, Bramante Editrice, Milano, 1993. Sembra importante, a questo proposito, riportare il commento dell’Autrice che rileva: “Discordanti sono i pareri sull’indirizzo della tessitura veneta: da una parte si hanno documentazioni dirette di disegni veneziani che recano la scritta “Copiato da un campione di Francia” (disegno del 1765 nella Biblioteca del Musée des Arts Décoratifs di Parigi), dall’altra il Lalande, nel suo Viaggio in Italia, fatto nel 1765-1766, parla di sete scadenti prodotte a Venezia e rileva che la moda francese non ha attecchito molto nella città. Dopo la caduta della Repubblica Veneta sotto il dominio austriaco, si sperò in un nuovo potenziamento dell’industria a seguito dell’apertura dei mercati tedeschi; ciò però non avvenne, e alla gloriosa manifattura serica veneziana non rimase che ridursi a uno stato semiartigianale di cui a tutt’oggi sopravvivono alcune vestigia.” (60) GANZER G., “La Repubblica e la Terraferma: il XVIII secolo”, cit. (61) Ibidem (62) Ibidem (63) Ibidem (64) Ibidem (65) ARGENTIERI ZANETTI A., “Introduzione alle schede tecniche tessili della Manifattura Linussio”, in AA. VV., “Jacopo Linussio. Arte e impresa nel Settecento in Carnia”, Regione Autonoma FriuliVenezia Giulia e Comunità montana della Carnia, Udine, 1991. L’Autrice osserva, in nota, che: – 51 – TRA TRUCIOLI E TELAI “Ottenere soluzioni di decoro solo attraverso la fase di preparazione della macchina tessile e non con l’ausilio manuale dovuto all’inserimento delle trame broccate, costituisce un genere di produzione a costi contenuti.” (66) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit. (67) HEINZ D., “Tessuti”, in HEINZ D., BRUNHAMMER Y., NOUVEL O., ”Tessuti, tappeti e carte da parati“, I nuovi quaderni dell’antiquariato, Fabbri Editori, Milano, 1991. L’introduzione del telaio meccanico non suscitò solamente le proteste tra i tessitori lionesi: nel 1779 in Inghilterra, a Manchester, importante polo laniero e cotoniero britannico nel quale aveva fatto la sua comparsa questo nuovo telaio, Ned Ludd si scagliò contro uno di essi e lo distrusse dando origine, con questo gesto estremo di protesta, a un movimento popolare, il luddismo appunto, ostile all’introduzione delle macchine nell’industria, ritenute causa di disoccupazione e di bassi salari. Tra il 1811 e il 1816 si estese in tutto il Regno Unito, effettuò numerosi atti di vandalismo contro di esse e subì sanguinose repressioni. [N. d. A.] (68) La ratiera (dal francese ratière, trappola per topi, dalla quale viene qui recuperato un aspetto tecnico) è un dispositivo che comanda il movimento dei licci nei telai conformemente al disegno che corrisponde all’intreccio voluto. Secondo il tipo di telaio, tale comando può essere diretto o effettuato mediante apposito meccanismo. Viene impiegato per creare motivi piccoli a tutto tessuto e in questo caso si parla di disegni eseguiti “a ratiera”. I tipi più comuni di ratiera sono quelli detti rispettivamente a semplice alzata, a doppia alzata, a passo aperto, a passo chiuso, in funzione del diverso sistema di apertura dei licci. Cfr. PAINE M., “Tessuti classici”, Rizzoli, Milano, 1991. (69) Cfr. GRI G. P., “Tessere tela, tessere simboli. Antropologia e storia dell’abbigliamento in area alpina”, Forum, Udine, 2000. – 52 – 5. Le attività svolte dalle imprese artigiane Le considerazioni di carattere concettuale e metodologico avanzate nei capitoli precedenti, formulate nell’intento di attribuire, secondo fondamenti teorici di carattere interdisciplinare e criteri di rigore e di coerenza scientifica, una connotazione più precisa e circostanziata alla terminologia e al contesto operativo nel quale la stessa viene utilizzata, costituiscono un utile e, perlomeno, iniziale approccio a tematiche certamente complesse. Ad esse, ancorché condivise, si è fatto riferimento specifico nell’intraprendere le attività di studio e di ricerca sull’artigianato presente nella zona carnica, per riconoscerlo come artigianato di qualità e di eccellenza. A tale proposito, le tipologie di attività praticate dalle imprese artigiane, scelte in qualità di testimoni privilegiati e operanti nel settore delle lavorazioni del legno e nel settore tessile, sono state sottoposte ad un’analisi comparata che mette a confronto le attività economiche rilevate in questi settori dal Consiglio Nazionale dell’Artigianato e la relativa classificazione ISTAT delle stesse, in modo da verificare la loro corretta riconducibilità in quegli ambiti. Successive valutazioni e raffronti, avviati con le Associazioni Regionali Artigiane di Categoria, sulla cui collaborazione la Regione FriuliVenezia Giulia ha potuto contare anche nella fase della individuazione e della scelta dei testimoni privilegiati, hanno fatto ritenere possibile e metodologicamente corretto pervenire ad un’ulteriore aggregazione di queste lavorazioni in comparti omogenei e coerenti, effettuata in base ai processi tecnologici da esse impiegati. L’aggregazione ottenuta suddivide l’insieme delle lavorazioni artistiche, tradizionali, tipiche ed innovative di qualità realizzate dalle imprese artigiane del settore ligneo prese in esame, assegnandole a cinque comparti principali: - Fabbricazione di carpenteria in legno e falegnameria per l’edilizia - Fabbricazione di mobili; - Fabbricazione di serramenti; - Fabbricazione di oggettistica varia; - Esecuzione di interventi di restauro su manufatti lignei. Essa ha trovato oggettivo riscontro e validazione metodologica nella distribuzione delle stesse imprese per tipo di attività svolta, raramente riconducibile ad uno solo dei comparti produttivi prescelti come particolarmente rappresentativi dell’artigianato locale (TAB. 1 ) TAB. 1 - Imprese artigiane del settore ligneo prese in esame per comparto di attività CASI COMPARTO 1 Fabbricazione di carpenteria in legno x Fabbricazione di mobili 2 3 x Fabbricazione di serramenti x Fabbricazione di oggettistica varia x Esecuzione di interventi di restauro x Come si rileva dalla tabella, parte delle imprese che costruiscono mobili abbinano a questa attività prevalente, che rispecchia fondamentalmente quella della tradizione locale, quella della costruzione di serramenti o quella del restauro di manufatti lignei: i Casi 4 e 5 sono aziende artigiane particolari che, pur rientran- 4 5 6 7 8 9 x x x x x x x x x x do formalmente nel medesimo comparto, eseguono rispettivamente finiture superficiali (decorazioni pittoriche su mobili tradizionali), l’una, e interventi di restauro conservativo, l’altra. Il che potrebbe significare (e l’ipotesi è confermata per alcuni dei casi esaminati) che, rispet- – 53 – TRA TRUCIOLI E TELAI to al passato, è stato necessario diversificare la produzione dei manufatti perché, nello specifico comparto, la sola domanda di manufatti di qualità, legati alla tipicità e alla tradizione, ha subito una vistosa contrazione. La distribuzione per classi di ampiezza del personale occupato delle imprese coinvolte nell’indagine, ad esempio, assume un diverso significato, a seconda dei comparti in cui si articolano le attività di settore. (TAB. 2) TAB. 2 - Imprese artigiane del settore ligneo prese in esame per numero di addetti CASI NUMERO DI ADDETTI 1 2 Da 1 a 3 3 4 5 6 7 8 x x x x x x 9 Da 4 a 5 Da 6 a 10 x Superiore a 10 x x Nel settore tessile, le imprese esaminate riprendono e innovano profondamente la tradizione locale di linussiana memoria, re-interpretandola ed arricchendola di nuovi manufatti di grandissima qualità: arazzi, tappeti, raffinata biancheria per la casa, capi d’abbigliamento in lana cotta. (TAB. 3) Nei singoli comparti appare più evidente, come avremo modo di vedere meglio in seguito, lo sforzo prodotto dagli artigiani, per lo più donne, nel senso dello studio e della ricerca orientata su più fronti: quello dei manufatti realizzati, dei sistemi di produzione, dei mercati di sbocco, dei sistemi di comunicazione e così via. TAB. 3 - Imprese artigiane del settore tessile prese in esame per comparto di attività CASI COMPARTO 10 11 12 13 Fabbricazione di arazzi e di tappeti Fabbricazione di biancheria per la casa x x x x x Fabbricazione di tessuti a maglia e confezione La distribuzione per classi di ampiezza del personale occupato delle imprese coinvolte nell’indagine, a parte i Casi 10 e 11, riflette la x x struttura tecnologica ed organizzativa, tipica delle attività svolte nei diversi comparti del settore. (TAB. 4) TAB. 4 - Imprese artigiane del settore tessile prese in esame per numero di addetti CASI NUMERO DI ADDETTI 10 11 12 13 Da 1 a 3 x Da 4 a 5 Da 6 a 10 Superiore a 10 x – 54 – x x LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE In realtà, da questo punto di vista, il Caso 11 è esemplificativo di scelte imprenditoriali molto coraggiose e determinate, pur di mantenere in vita l’attività d’impresa in condizioni operative e logistiche disagiate; l’azienda, in particolare, destina solo pochi addetti alla produzione tessile, mentre gran parte della manodopera viene occupata in altro settore produttivo. I casi citati sono emblematici del processo di trasformazione, avvenuto in questi ultimi anni all’interno del settore, che ha portato ad innovare profondamente i sistemi produttivi pervenuti dalla tradizione ed utilizzati finora, senza apportare loro significative modificazioni: ad essa sono state affiancate soluzioni tecnologicamente molto avanzate che consentono di ottenere manufatti di qualità molto elevata. Di seguito, all’interno del loro specifico settore artigiano di appartenenza, questi comparti verranno presi in esame separatamente per poter conoscere più da vicino le loro connotazioni peculiari, le trasformazioni in atto e le problematiche emergenti dal contesto economico-produttivo che li caratterizza. 5.1 Comparti di attività relativi al settore delle lavorazioni del legno 5.1.1 La fabbricazione di carpenteria Nel settore delle lavorazioni del legno, questo è il comparto di attività che, negli ultimi decenni, ha subito il processo di trasformazione e di innovazione tecnologica più significativo e radicale, a seguito dell’introduzione di un materiale con caratteristiche prestazionali migliori del legno naturale, il legno lamellare. Come abbiamo visto in precedenza, dal punto di vista tecnico, il legno lamellare nasce dall’esigenza di superare i limiti dimensionali dei tronchi degli alberi abitualmente impiegati in carpenteria ovvero da quel complesso antichissimo di metodi e di tecniche costruttive che consentono di realizzare strutture portanti, come ponteggi, travature, pareti ed altre, in grado di sopportare determinati carichi, in edifici ad uso civile e industriale. Delle origini storiche di questa nuova tecnologia si è già detto ed è ora il caso di descrivere brevemente il ciclo di lavorazione che essa uti- lizza per produrre questo legno re-inventato, riportandone le fasi principali. Il processo di produzione del legno lamellare incollato è l’insieme delle operazioni, eseguite in un apposito impianto, che consistono essenzialmente nella riduzione del tronco in tavole e nella loro ricomposizione, tramite incollaggio, fino a dare origine a elementi di forma e dimensione prestabilita. Il ciclo di lavorazione consiste nelle seguenti fasi: A) Scelta del legname. Le caratteristiche tecniche del prodotto finito dipendono ovviamente dalla qualità del materiale di base impiegato e per ottenere risultati affidabili occorre, dunque, partire da materie prime aventi caratteristiche il più omogenee e uniformi possibile. Qualsiasi tipo di legname può essere potenzialmente utilizzato per tale tecnologia, anche se scelte tecnico-economiche indirizzano, di fatto, i produttori verso l’impiego di essenze lignee facilmente reperibili, incollabili e poco costose, compatibilmente con i requisiti richiesti al prodotto finito: in Europa si utilizza, a questo scopo e in forma quasi esclusiva, l’abete rosso, mentre, per la realizzazione di lavorazioni speciali, si impiega talvolta il pino silvestre, il larice e il rovere. Per la produzione di legno lamellare, le essenze vengono suddivise dalla normativa internazionale (DIN 1052) in due categorie o classi (I e II Categoria), che ne individuano la qualità e le caratteristiche fisico-meccaniche e che condizionano i valori delle corrispondenti tensioni massime ammissibili. B) Dimensionamento del materiale. La normativa appena ricordata, mentre non fissa la lunghezza minima delle assi, ne limita invece lo spessore e la sezione trasversale e più precisamente: a) l’area della sezione trasversale massima non deve superare 60 cm2 (per legni di conifera), 50 cm2 (per legni di latifoglia); b)la massima larghezza consentita è pari a 25 cm per la singola lamella con uno spessore non superiore a 30 mm, anche se può essere aumentato fino a 40 mm in elementi costruttivi diritti, i quali non siano esposti a variazioni climatiche rilevanti. – 55 – TRA TRUCIOLI E TELAI Nella pratica costruttiva le lamelle hanno uno spessore finito di misura intorno ai 33 mm e una larghezza pari a quella della sezione trasversale dell’elemento strutturale, normalmente variabile fra 10 e 22 cm, con variazioni modulari di 2 cm e lunghezza delle lamelle di 400-500 cm. Nelle travi curve, per limitare le tensioni di curvatura che possono nascere in direzione sia parallela sia normale alle fibre, il raggio di curvatura degli elementi strutturali in lamellare deve essere pari almeno a 200 volte lo spessore delle singole lamelle. C) Essiccazione. L’essiccazione è l’operazione che tende ad ottenere un grado di umidità del legno compatibile col tipo di colla usata per congiungere le lamelle e, soprattutto, confacente alla destinazione delle strutture realizzate: generalmente essa deve essere compresa fra il 7 e il 16%, mentre tra due lamelle successive la differenza di umidità non deve superare il 4%. Gli impianti per la produzione di legno lamellare dispongono di essiccatoi nei quali il legname è sistemato in apposite celle e portato al grado di umidità necessario alla lavorazione ed alla resistenza richiesta; dopo l’essiccazione, poiché il tasso di umidità non è regolare all’interno di una stessa lamella, essendo più basso in periferia che al centro, le lamelle vengono lasciate riposare per due, tre giorni all’interno di magazzini prima di essere portate alla linea di lavorazione. D) Controllo della qualità delle tavole. Prima della giunzione, le tavole subiscono un controllo dell’umidità e della difettosità, più o meno automatizzato a seconda dell’azienda, il quale porta all’eliminazione dei difetti più gravi e delle eventuali sacche di umidità. La verifica dell’umidità avviene sulle lamelle prima della loro lavorazione all’estremità di dimensioni minori (intestatura) per mezzo di test selezionatore del tipo “passa/non passa” che consente di eliminare dalla produzione le tavole fuori dei limiti prefissati. Le condizioni ambientali, invece, sono costantemente registrate su apposite carte che segnalano eventuali anomalie, evidenziando i valori che superano i limiti inferiori e superiori delle bande di controllo: queste verifiche interessano l’intero percorso lungo il quale avvengono le successive lavorazioni, dall’intestatura alla pressatura. Contemporaneamente al controllo dell’umidità delle lamelle, viene effettuato quello visivo degli eventuali difetti, del legno come, ad esempio, l’eccessivo numero di nodi, gli svergolamenti delle tavole, la disposizione irregolare delle fibre, le “cipollature” ecc. che vengono eliminati. Le tavole, infine, vengono tagliate all’estremità in modo da eliminare eventuali screpolature e/o fessurazioni di testa che comprometterebbero la successiva giunzione: questa fase di lavorazione particolarmente delicata è affidata a maestranze qualificate e responsabili. E) Giunzione di testa. Per realizzare elementi strutturali di lunghezza maggiore delle singole tavole è necessario realizzare la loro giunzione di testa: di solito le giunzioni correnti fra le varie lamelle vengono effettuate con giunti detti “a pettine” o “a dita” che vengono opportunamente sfalsati al fine di non indebolire una stessa sezione trasversale o una zona dell’elemento strutturale. Questo tipo di giunto è oramai considerato, nella prassi, come il più vantaggioso in quanto consente di ottenere un’ampia superficie di incollaggio, è autoserrante, dopo che è stata effettuata la giunzione, e consente di ridurre gli sfridi di lavorazione rispetto ad altri tipi di giunzione quale, ad esempio, il bisello, detto anche “a becco di flauto”. Successivamente alla fresatura del profilo di giunzione avviene l’incollaggio di testa delle tavole, effettuato da apposite macchine che applicano forze di compressione variabili in relazione alla profondità dell’intaglio (pettine) praticato nei giunti. F) Piallatura e calibratura delle tavole. Le tavole così composte vengono piallate, in modo da offrire superfici piane e lisce, in vista dell’incollaggio delle facce delle tavole stesse per la successiva formazione della trave: questo tipo di operazione, unitamente alla calibratura, attraverso la quale si ottengono tavole di – 56 – LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE spessore costante, evita l’instaurarsi di tensioni che potrebbero dare luogo alla formazione di cretti (fenditure) durante la pressatura. G) Incollaggio delle lamelle. La scelta delle colle da utilizzare e le operazioni di incollaggio costituiscono, dal punto di vista operativo e tecnologico, due momenti particolarmente importanti e delicati del ciclo produttivo. Le prime devono instaurare con il legno legami intermolecolari identici a quelli esistenti tra gli elementi che costituiscono il legno stesso, cioè le fibre di cellulosa e la lignina, in modo da garantire, nel piano di incollaggio, lo stesso legame della corrispondente essenza legnosa. Le prestazioni in fatto di resistenza fisico-meccanica del collante devono essere almeno eguali a quelle del legno, in modo che i piani di incollaggio non siano piani preferenziali di rottura. H) Pressatura. Per realizzare l’incollaggio fra le lamelle bisogna sottoporre l’elemento strutturale a una pressione il più possibile uniforme e tale operazione viene effettuata impiegando apposite presse che agiscono per via idraulica o per via pneumatica. L’impresa artigiana (Caso 1), presa in esame nel corso dell’indagine, ha iniziato la sua attività proseguendo quella precedentemente avviata dal padre dei suoi titolari e praticata in zona anche da altre aziende artigiane ovvero la segagione del legname, proveniente dal taglio del patrimonio boschivo locale. Inizialmente, per un paio di anni l’azienda si è dedicata a questo genere di attività ma subito dopo si è orientata verso l’attuale produzione di travi lamellari che in misura graduale e crescente hanno soppiantato i manufatti tradizionali, nel settore delle costruzioni in cui sono necessari lavori di carpenteria in legno. Progressivamente le strategie di sviluppo dell’impresa hanno privilegiato tale ambito economico-produttivo, decisamente avanzato ed innovativo rispetto alla tradizione artigiana locale, trascurando quello precedente oramai obsoleto: la segheria è stata conservata e viene utilizzata solo in occasione di lavori particolari che qualche cliente richiede espressamente. 5.1.2 La fabbricazione di mobili Questo è il comparto che ha risentito maggiormente e più profondamente della crisi iniziata alcuni decenni fa, e tuttora in atto, nel settore delle lavorazioni artistiche, tradizionali e tipiche del legno nell’area carnica. Le cause che l’hanno determinata sono molteplici e in primo luogo il rapido processo di industrializzazione subito dal ciclo tecnologico-organizzativo richiesto per la produzione di questo genere di manufatti. Fino intorno agli Anni ‘60, il concetto di arredamento di un’abitazione era legato ad una visione d’insieme degli spazi che, pur conservando la loro destinazione d’uso, venivano completati e abbelliti cercando di salvaguardare, il più possibile, il principio della coerenza estetico-stilistica degli arredi con quello della loro funzionalità. Le residenze dei ceti sociali più abbienti erano arredate in ogni loro angolo e curate in ogni particolare perché rispondessero a questi requisiti, mentre in quelli più popolari questa attenzione era rivolta agli ambienti domestici che potevano rafforzare il loro prestigio e la loro immagine sociale (sala da pranzo, camera da letto) nei quali venivano sistemati, dopo aver sopportato grandi sacrifici economici, i manufatti più pregiati e preziosi. In Carnia, il gusto e il costume di arredare la propria casa con mobili che ripropongono lo stile della tradizione locale, sono sempre stati molto diffusi tra i suoi abitanti e rispecchiano il loro forte senso di appartenenza e di identità sociale. I caratteri peculiari e distintivi di tale tradizione sono stati rilevati, studiati e riprodotti in base all’esame di documenti e di reperti, risalenti al Seicento e al Settecento e all’esperienza acquisita nel corso del restauro di esemplari superstiti, fin dagli inizi del secolo scorso: un buon numero di questi manufatti è conservato nel Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo e questo patrimonio è una vera e propria miniera dalla quale l’artigianato del mobile di qualità, sia quello di un tempo sia quello superstite, ha attinto continuamente idee e suggerimenti. I manufatti costruiti secondo i canoni dello stile carnico, vengono riproposti al mercato – 57 – TRA TRUCIOLI E TELAI intorno agli Anni Cinquanta, quando alcuni valenti artigiani della zona, avendo intuito le potenzialità di sviluppo dell’artigianato del mobile di qualità, conseguenti alla riscoperta della tradizione locale, si erano dati un gran da fare per cercare di conoscerla meglio, di capirla, di recuperare alcune sue testimonianze, sotto forma di manufatti scampati alla distruzione e dispersi nel vasto territorio, che sono poi servite da “campione” per riqualificare e per specializzare l’attività delle loro imprese. Ad esempio, dallo studio e dall’analisi di questi reperti si è scoperto che, per motivi diversi tra i quali rientrano sicuramente il risparmio economico e la funzionalità, la costruzione del mobile carnico prevedeva la realizzazione di alcune parti componenti, per le quali venivano impiegate essenze lignee di minor pregio rispetto ai materiali usati per quelle a vista, in quanto risultavano particolarmente adatte a diminuirne sensibilmente il peso e il costo. Schienali e parti posteriori a muro erano costruiti in legno di abete e di larice, mentre i rivestimenti, i piani divisori e la parte interna dei cassetti erano realizzati ancora con legno di abete o di tiglio: sistemi costruttivi che sono rimasti gli stessi di quelli praticati attualmente dalle imprese artigiane del comparto che abbiamo incontrato. In tempi più recenti, questa logica legata alla tradizione locale ha ceduto progressivamente il passo a quella più pratica, economica e certamente meno impegnativa sotto il profilo del gusto che contraddistingue il mobile industriale: il comparto della fabbricazione di mobili in stile ha dovuto confrontarsi con i rapidi e sconvolgenti mutamenti, avvenuti nella realtà economica e sociale italiana a seguito dell’avanzare del processo di industrializzazione, che hanno inevitabilmente e massicciamente coinvolto nella loro dinamica anche quella friulana. Questi cambiamenti hanno provocato fenomeni migratori interni al nostro Paese che hanno interessato in primo luogo le principali aree urbane delle regioni settentrionali nelle quali l’edilizia residenziale si verticalizza e riduce sensibilmente gli spazi abitativi, il ceto popolare cresce a dismisura e le sue nuove capacità di acquisto vengono orientate sempre più spesso verso beni di più rapido consumo e di dubbio gusto: per quel che ci riguarda, in FriuliVenezia Giulia, la costruzione artigianale di mobili in stile carnico viene confinata in aree di mercato sempre più anguste. Molte imprese artigiane del comparto hanno dovuto trasformare ed adeguare, con notevoli difficoltà e sacrifici, le loro attività originarie alle nuove esigenze tecnologico-organizzative e di mercato; altre hanno dovuto riconvertirle in forme alternative e/o di ripiego (ad esempio, il restauro ligneo, la costruzione di serramenti, il commercio di mobili ecc.) per poter intravedere in queste una prospettiva di continuità e di sopravvivenza economica; altre, ancora, incapaci o impossibilitate a reggere l’impatto di queste trasformazioni e di questi mutamenti, hanno dovuto cessare, purtroppo, il loro lavoro. Tra le imprese artigiane indagate ritroviamo evidenti conferme del processo evolutivo che ha interessato il comparto: alcune di esse (Casi 2, 6, 7), nell’arco di un paio di generazioni, ha trasformato la produzione originaria, dedicata esclusivamente alla costruzione di mobili tradizionali e in stile carnico, nella realizzazione di arredamenti su disegno e di architetture d’interni che costituiscono attualmente la loro attività prevalente. Un aggiornamento indispensabile per soddisfare le mutate esigenze di una clientela certamente esclusiva che affida ad architetti e designers l’incarico di risolvere, sul piano estetico e funzionale, i problemi riguardanti l’arredamento di abitazioni, di luoghi di lavoro e di svago. Talvolta si tratta di progettare e di realizzare l’arredamento di spazi abitativi o di ritrovo rispondenti ad esigenze di gusto più moderno ed attuale; tal altra le richieste sono quelle di integrare, di adattare, di accostare tra loro manufatti realizzati in stili diversi; in altra, ancora, occorre recuperare con gusto, creatività e coerenza estetica soprattutto la funzionalità e la destinazione di certi ambienti. Da segnalare, infine, come esempio di diversificazione produttiva inconsueta, il caso di un’impresa artigiana (Caso 2) per la quale hanno assunto particolare rilevanza le attività svolte da uno dei soci nel settore della liuteria con la costruzione e con il restauro di strumenti musicali ad arco, per le quali ha ottenuto – 58 – LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE numerosi e prestigiosi riconoscimenti anche a livello nazionale. In questo ambito, egli si è specializzato e fatto apprezzare nel restauro delle varie tipologie di strumenti, in particolare dei contrabbassi, facendosi aiutare in questo lavoro dal figlio musicista, diplomatosi al Conservatorio. Per altre imprese artigiane (Casi 8, 9) invece, la costruzione di mobili rappresenta un’attività marginale o, addirittura, occasionale: quella principale è svolta in altri comparti ed è da questi che saltuariamente provengono queste commesse di lavoro atipiche. Si tratta di incarichi assolti con grande soddisfazione ed orgoglio degli artigiani che li eseguono perché rappresentano un esplicito riconoscimento, sia sul piano economico sia su quello professionale, della loro valenza e della loro maestria. Due imprese (Casi 4, 5), infine, di recente costituzione, rientrano marginalmente nelle attività di comparto in quanto, come è già stato segnalato in precedenza, realizzano sui mobili solo alcune lavorazioni di finitura superficiale (decorazione pittorica), ma le ritroveremo tra breve in quello che si occupa dell’esecuzione di interventi di restauro su manufatti lignei. I processi di lavorazione delle materie prime impiegate e dei singoli particolari che si realizzano nei laboratori delle imprese artigiane del comparto visitate utilizzano macchine utensili, attrezzature e strumenti, magari di nuova costruzione, ma a tecnologia tradizionale, al pari delle tecniche costruttive e dei procedimenti di finissaggio adottati per la produzione dei diversi manufatti. In alcuni casi sono stati introdotti miglioramenti o semplici adeguamenti che rendessero queste operazioni conformi alle necessità organizzative del proprio lavoro e/o all’evoluzione tecnologica dei materiali e degli strumenti impiegati: sono, pertanto, escluse dal ciclo di produzione dei manufatti fasi di lavorazione in serie di singoli particolari, perlomeno nell’accezione data a queste trasformazioni in ambito industriale. Accade, a volte, che vengano prodotte serie limitate di componenti necessari alla costruzione di un certo manufatto, ma queste attività non configurano un’organizzazione delle atti- vità svolte, paragonabile a quella adottata dall’industria del mobile. Nella costruzione artigianale di mobili in stile e di qualità vengono impiegati in prevalenza materiali grezzi (tavolame), lavorati in proprio o acquistati sul mercato da grossisti e da rivenditori. Le essenze lignee più pregiate cominciano a scarseggiare, l’offerta dei produttori locali si assottiglia rapidamente e il loro prezzo lievita in continuazione: tra quelle maggiormente impiegate ritroviamo il noce, il ciliegio, il rovere, l’olmo, l’abete, il larice, il cirmolo ma, se necessario, vengono utilizzate varietà di legno in grado di soddisfare le specifiche esigenze eventualmente manifestate dalla clientela. Molto di rado vengono utilizzati materiali semilavorati che vengono impiegati talvolta, in alternativa al legno massello per la realizzazione di particolari non in vista. Le fasi che precedono il ciclo di lavorazione vero e proprio riguardano l’acquisto della materia prima, le essenze lignee utilizzate per la costruzione dei manufatti, che viene concluso, ove possibile, con privati contattati, direttamente o indirettamente, e disponibili alla vendita. Molto spesso, infatti, la scelta del legname più adatto alla bisogna riguarda tronchi già tagliati nella stagione e nella lunazione giuste, ma capita ancora che questa avvenga, come nei tempi passati, quando le piante sono ancora vive e vegete (la cosiddetta “stima in piedi”) e al taglio si provveda successivamente. In segheria il legname viene ridotto in tavolame di dimensioni adatte alle lavorazioni eseguite in laboratorio che viene poi fatto essiccare in modo naturale all’interno di un deposito proprio: parlando di noce, ad esempio, lo spessore delle tavole arriva ai 50/60 mm e la durata della loro stagionatura si protrae, come minimo, per 5/6 anni. Per certe essenze pregiate si applica e si rispetta una regola empirica che calcola questa durata in base allo spessore della tavola (un anno per dieci millimetri di spessore), mentre per altre come, ad esempio, quelle ricavate dalle conifere, la stagionatura dura periodi di tempo di gran lunga inferiori. Prendendo a riferimento la costruzione di mobili di pregio artistico, tradizionale o tipico – 59 – TRA TRUCIOLI E TELAI che rimandano alla cultura materiale della Carnia, l’insieme delle lavorazioni viene ancora eseguito passo dopo passo, secondo la logica di un artigianato d’altri tempi nella quale prevaleva l’idea di realizzarli, completamente o limitatamente alle parti in vista, in legno massello di varietà pregiata. La preparazione dei singoli componenti, il loro assemblaggio, il montaggio della ferramenta, la finitura superficiale vengono eseguite ognuna con le tecniche messe a punto nel passato e riprodotte fedelmente in laboratorio grazie alla competenza, alla professionalità e all’esperienza degli artigiani intervistati. Con altrettanta cura vengono costruiti i mobili e gli arredi moderni, richiesti da eventuali committenti, per i quali è necessario aver sviluppato una sensibilità particolare nei confronti dell’evoluzione del gusto estetico contemporaneo perché bisogna saperla coniugare strettamente al medesimo processo che ha interessato le conoscenze tecniche e tecnologiche, relative ai nuovi materiali adottati per la loro costruzione e ai sistemi utilizzati per la loro lavorazione. 5.1.3 La fabbricazione di serramenti In questo comparto delle lavorazioni del legno eseguite dalle imprese artigiane prese in esame viene realizzato l’insieme dei manufatti che tradizionalmente completano la costruzione di un’unità abitativa e di altro locale destinato ad usi diversi. Ne fanno parte infissi, finestre, porte interne ed esterne, avvolgibili, scuri; in realtà, nella definizione di “serramento”, molto ampia e generica, sono compresi manufatti che richiedono delle lavorazioni piuttosto semplici, prive di particolari caratteristiche qualitative dal punto di vista estetico e funzionale e, come tali, acquistabili a basso costo, ma anche prodotti di qualità, caratterizzati da livelli di complessità progettuale e realizzativa estremamente elevati, il cui valore economico è assai più consistente. Una tecnologia di costruzione che impiega nel primo caso macchine utensili e attrezzature tradizionali, mentre nel secondo caso si avvale di impianti molto avanzati. Le imprese artigiane del comparto intervistate (Casi 3, 8, 9) rispecchiano fedelmente questo assetto organizzativo ed occupano sul mercato posizioni molto diverse, sia sotto il profilo quantitativo sia sotto quello qualitativo. La prime due utilizzano una tecnologia tradizionale per fabbricare questo genere di manufatti, costruiti esclusivamente su misura e destinati nella loro totalità all’utilizzatore finale, e integrano rispettivamente la loro produzione con la fabbricazione di oggettistica varia (Caso 3) e con la costruzione di mobili (Caso 8). La terza impresa (Caso 9), invece, rivolge la sua attività sia alla fabbricazione di serramenti che a quella di mobili e colloca anch’essa l’intera produzione presso la propria clientela: in laboratorio, la tecnologia tradizionale è affiancata da sistemi di lavorazione innovativi che consentono di realizzare serramenti speciali. In questo comparto le innovazioni di prodotto sono piuttosto rare: quella più significativa e rilevante è costituita dalla progressiva e sempre più vasta introduzione nella costruzione di questi manufatti di materiali succedanei del legno (alluminio, PVC), accompagnata da modesti rinnovamenti di natura tecnologica (sistemi di apertura/chiusura, tipo di finitura superficiale ecc.), dettati molto di frequente dalle più diverse esigenze di mercato. Su questo versante, la domanda di serramenti tradizionali (porte e finestre) si mantiene su livelli costanti, mentre per gli altri la richiesta subisce variazioni meno prevedibili, provocate da cause diverse (ad esempio, l’avvolgibile sostituito con la persiana tradizionale o lo scuretto). I serramenti speciali, al contrario, tendono a soddisfare una domanda particolarmente esigente: molti di questi sono pezzi unici richiesti da clienti particolari o creazioni originali di professionisti che operano nel settore dell’arredamento. La loro realizzazione pone alle imprese artigiane del comparto problemi estetico-funzionali che vengono risolti con soluzioni progettuali e tecnico-costruttive, a volte, molto avanzate, consentendo in tal modo alle stesse di consolidare in questo ambito uno specifico “know how”. Evidentemente le differenti dimensioni aziendali e la diversa impostazione organizzativa delle imprese artigiane prese in esame si riflettono direttamente sul volume delle loro produzioni che variano tra loro in modo piuttosto considerevole. – 60 – LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE Nonostante il divario, il ciclo di lavorazione impiegato per la realizzazione di questi manufatti rimane per tutte loro quello tradizionale: nella costruzione artigiana di serramenti non è possibile organizzare una lavorazione in serie, in quanto il cliente, di norma, si rivolge all’artigiani del comparto perché non ha potuto reperire sul mercato il manufatto prodotto industrialmente o perché ha delle esigenze particolari del tutto particolari. Pertanto, ognuno di tali manufatti si differenzia per il tipo di intervento richiesto per la sua costruzione: nel caso di serramenti speciali, la produzione molto spesso è di tipo prototipale e necessita di approfonditi studi di progettazione e di fattibilità. Nella costruzione di serramenti, il ciclo di lavorazione realizza i diversi particolari partendo dal tavolame e da semilavorati che vengono poi assemblati nel prodotto finito: lungo questo percorso si succedono lavorazioni e trattamenti che consentono di ottenere manufatti con caratteristiche qualitative, rilevabili sia sul piano funzionale sia su quello estetico, molto diverse. Di solito la parte esterna di una porta, ad esempio, è realizzata in legno massello, mentre quella interna viene costruita utilizzando quasi esclusivamente materiali alternativi, sottoprodotti della lavorazione del legno ottenuti in pannelli (tipologie diverse di “tamburati”). Raramente si fabbrica l’interno in massello perché chi lo fa deve disporre di tecnologie adeguate per il trattamento delle essenze lignee impiegate in quanto gli sbalzi termici e l’umidità possono provocare nel manufatto deformazioni e fessurazioni rilevanti. Tra le essenze lignee più frequentemente impiegate si utilizzano in prevalenza quelle resinose d’importazione, provenienti da ogni parte del mondo e in particolare, per questa zona, dall’Austria; oramai alcune di esse scarseggiano, mentre altre si affacciano sul mercato in numero sempre crescente, sulla spinta di una lenta ma continua innovazione che interessa da vicino questo comparto. Sul manufatto finito di falegnameria vengono poi montati gli accessori (ferramenta) che consentono di completarne l’impiego dal punto di vista funzionale (cardini, cerniere, serrature, maniglieria ecc.) ed eseguiti i trattamenti di finitura superficiale (verniciatura, trattamenti speciali ecc.). 5.1.4 La fabbricazione di oggettistica varia Il comparto è stato preso in esame attraverso le valutazioni espresse da una sola impresa artigiana che si dedica principalmente alla produzione di un’ampia gamma di articoli per uso domestico e per l’arredamento, facendo rivivere in chiave moderna, la tradizione dell’arte del legno: i prodotti realizzati, grazie all’utilizzo di materie prime scelte accuratamente e all’adozione di tecniche di lavorazione particolari, risultano funzionali ed esteticamente gradevoli. I materiali lavorati comprendono un gran numero di essenze lignee autoctone, visto che l’area montana in cui opera vanta da sempre un ricco patrimonio boschivo, e le tecniche utilizzate per farlo sono tipicamente artigianali: tra queste ultime, la tornitura e la sagomatura del legno massello e di varietà lignee diverse, incollate tra loro a formare effetti cromatici particolari, ha un posto di rilievo. A differenza degli oggetti ottenuti in un sol pezzo, la realizzazione di alcuni altri richiede, invece, piccoli assemblaggi che consentono di ottenere il prodotto finito, conferendogli particolari caratteristiche estetiche e funzionali. I trattamenti superficiali di finitura dei manufatti, come la levigatura, ad esempio, viene eseguita a mano, mentre quelli eseguiti su oggetti per uso alimentare prevedono il trattamento con olio di oliva o la semplice lavorazione del legno al naturale. La produzione di oggettistica varia comprende piatti e ciotole tornite di varie dimensioni, scatole e cofanetti con intarsi in legno policromo di grande effetto decorativo, un vasto assortimento di taglieri e di taglieri portacoltello con superfici in marmo o lavorati con motivi a scacchiera, componenti d’arredo, giocattoli, suppellettili da cucina ed altri ancora. Un secondo ambito di attività completa la sua produzione ed è quello relativo alla fabbricazione di serramenti che recupera l’esperienza e la professionalità maturata nel tempo dal suo titolare e costituisce al momento la produzione prevalente. Sopravvive in questo caso la condizione propria di molte attività artigiane di un recente passato, – 61 – TRA TRUCIOLI E TELAI oramai scomparse o riassorbite in quelle superstiti, che fondavano la loro esistenza su un’organizzazione della produzione e del lavoro meno integrate, in cui potevano emergere e distinguersi le capacità di un valente artigiano. Nell’impresa artigiana intervistata, la lavorazione dei vari articoli di oggettistica varia è realizzata in lotti di piccola e di media grandezza per rifornire il magazzino e per soddisfare le specifiche richieste della committenza, attraverso l’utilizzo di macchinari tradizionali e automatizzati. 5.1.5 L’esecuzione di interventi di restauro Le imprese artigiane intervistate che operano nel comparto sono tre (Casi 2, 4, 5) ma solo per due di esse (Casi 4, 5) il restauro di manufatti lignei costituisce l’attività principale, mentre per la terza (Caso 2) questo tipo di interventi rappresenta una componente specialistica e complementare, ma pur sempre di rilevanza secondaria rispetto a quella principale, concentrata sulla costruzione di mobili. Per le prime (Casi 4, 5), l’attività d’impresa è fondata su un rapporto professionale di stretta collaborazione tra le due titolari che si potrebbe definire “simbiotico” per gli aspetti di intensa relazione, di forte reciprocità e di sistematico scambio che lo contraddistinguono. Esse condividono lo stesso laboratorio nel quale vengono realizzati rispettivamente la decorazione e il restauro pittorico di mobili dipinti (Caso 4) e gli interventi di restauro conservativo su manufatti lignei (Caso 5): non disponendo di manodopera dipendente, all’occorrenza, si impegnano entrambi nei lavori necessari, ora sull’uno ora sull’altro fronte, per portare a termine commesse particolarmente onerose. Normalmente l’attività svolta dall’una (Caso 4) si colloca al termine del ciclo tecnologico imperniato sulle lavorazioni del legno che consentono di costruire un mobile per la casa, tra quelle operazioni che vengono sommariamente e sbrigativamente definite come “finiture”, anche se in realtà si tratta di interventi di ben altra natura. Occorre ricordare, tuttavia, che le tecniche di costruzione di tali manufatti rimanda a tradizioni artigiane sviluppatesi all’interno di speci- fiche culture, i cui tratti tipici sono molto spesso rilevabili sui manufatti stessi, attraverso le lavorazioni e/o le decorazioni eseguite che connotano e che distinguono tra di loro la diversità delle culture stesse. Un tempo, la zona del tarvisiano (l’area montana in cui operano le due aziende artigiane) apparteneva all’Austria e il modello culturale e di vita al quale si rifacevano le popolazioni locali era quello tirolese, il più prossimo per contiguità, per affinità linguistica e per origini etniche: di conseguenza è del tutto normale che da queste parti vi sia una grande richiesta di mobili costruiti secondo le forme di quello stile. Chi vuole arredare la propria casa secondo gli usi derivati dalla tradizione richiede evidentemente mobili decorati con motivi tratti da un’iconografia che le è propria: tra i principali committenti che si rivolgono all’azienda artigiana che si sta esaminando, un posto di rilievo è occupato dai proprietari che hanno acquistato in zona le loro seconde case e che amano molto abbellire la loro abitazione di montagna con gli arredi e gli ornamenti decorativi che gli sono tipici. Si parte dal mobile finito di falegnameria, che può essere stato portato in laboratorio direttamente dal cliente o che può essere commissionata a un artigiano del comparto, e da lì comincia tutta la lavorazione preliminare alla decorazione pittorica. Solitamente la superficie del mobile da decorare è grezza e deve essere accuratamente levigata con carta-vetro di grana progressivamente più fine per eliminare ogni asperità del legno e renderla perfettamente liscia: era tradizione impiegare per la sua costruzione essenze lignee piuttosto povere, come l’abete, che venivano impreziosite e nobilitate proprio grazie a questo genere di decorazione. Questo procedimento nasce, infatti, dall’esigenza di abbellire un manufatto realizzato con materie prime scadenti, perché diversamente non avrebbe avuto senso ricoprire di vernice le suggestive venature naturali di legni pregiati come il noce o come il rovere. Se si deve lavorare su un mobile nuovo va innanzitutto eliminata la porosità del legno stendendo su di esso una vernice apposita (turapori) perché altrimenti assorbirebbe trop- – 62 – LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE po il colore, mentre se il lavoro viene eseguito, invece, a tecnica antica per questa operazione si impiega una colla naturale. Successivamente la superficie trattata viene lasciata ad asciugare per poi essere nuovamente levigata in modo da eliminare imperfezioni residue: eseguite queste prime fasi di lavorazione è necessario decidere se il mobile va dipinto interamente, dandogli una base di colore che rispettivamente sarà alla caseina o all’uovo, se il cliente vuole un prodotto il più possibile naturale, oppure a tempera o con qualsiasi altra tecnica più moderna, se lo stesso non manifesta esigenze particolari. Per quanto riguarda il disegno la scelta può variare tra motivi decorativi proposti al cliente o richiesti esplicitamente dal medesimo: alcuni committenti arrivano in laboratorio con le idee ben chiare su ciò che vogliono, perché magari hanno visto un certo disegno da qualche parte, presso un conoscente o su una rivista d’arredamento. In questi casi, l’artigiana intervistata rispetta un codice deontologico che si è imposta e che esclude la riproduzione della copia esatta dell’originale: piuttosto se lo fa mostrare e ne fornisce un’interpretazione preparando un bozzetto o fornendo precise indicazioni su che cosa intende fare. La fase finale del ciclo di lavorazione è la patinatura che serve a dare al mobile l’aspetto di un manufatto datato e “vissuto” e che viene realizzata applicando sul mobile una colla speciale: è importante e necessario conoscere, preliminarmente e in modo approfondito, il legno che si va a patinare, perché altrimenti ne verrebbe fuori un disastro. Se si tratta di legno mai trattato, ad esempio, la colla verrebbe assorbita in maniera eccessiva e renderebbe la superficie di colore troppo scuro: quella descritta è una fase di lavorazione importante e delicata tanto quanto le altre e, come la cottura per i cibi, se non viene fatta a puntino, rischia di compromettere tutto quanto. Trascorsa una quindicina di giorni dalla patinatura, viene eseguita l’inceratura: queste sono, dunque, le fasi del normale ciclo di lavorazione anche se ognuna di esse ha le sue caratteristiche particolari: ci sono clienti, ad esempio, che non desiderano la patinatura, ma l’in- tervistata lo sconsiglia, soprattutto per la pittura tirolese, perché essa costituisce una sua caratteristica tipica. Tra le soluzioni che vengono proposte alla clientela c’è anche una finitura antichizzata o anticata, realizzata con una tecnica che concepisce e riproduce la pittura come se fosse stata fatta da un artigiano di secoli fa. In questo caso viene escluso l’impiego di pigmenti moderni: si utilizzano procedimenti utilizzati in passato come la pittura a uovo o la pittura alla caseina, tipica del luogo, finiture con la gomma-lacca o con la cera naturale e si preparano i diversi colori necessari partendo dalle “terre”, i loro costituenti originari. Gli interventi di restauro operati dalla titolare dell’altra azienda artigiana (Caso 5), invece, vengono eseguito su manufatti di epoca e di provenienza geografica diversa che rivestono interesse artistico, culturale e storico di particolare rilievo: l’insieme di questi oggetti ha subito, fin dal momento della loro comparsa nella vita quotidiana, l’azione di degrado e di progressiva distruzione provocata da eventi o da processi di natura diversa (antropica, biologica, fisico-chimica, geologica ecc.). Un fondamentale ed irrinunciabile interesse conoscitivo per l’intero genere umano è costituito dalla possibilità di mantenere inalterato questo patrimonio culturale, accumulatosi nel tempo e giunto fino a noi attraverso i manufatti superstiti, per poterlo trasmettere alle generazioni future, come testimonianza della nostra civiltà e della nostra evoluzione. Ciò impone di contrastare in ogni modo, con i mezzi più adeguati e per quanto possibile, quei fenomeni che compromettono la sua integrità, predisponendo azioni appropriate che ne assicurino la sua conservazione o ne restituiscano, attraverso il restauro, il suo significato e la sua funzione. Agli inizi del Novecento si era affermata e consolidata una prassi del restauro che riproduceva i particolari compromessi o andati perduti, attraverso la costruzione di loro copie e la loro successiva integrazione e dissimulazione nel manufatto originale. Più di recente, tale metodologia ha lasciato il posto a modalità di intervento che prevedevano la costruzione di quei particolari utilizzando – 63 – TRA TRUCIOLI E TELAI materiali diversi (ad esempio, materiali plastici, plexiglas ecc.), in modo tale che venissero evidenziate la sua localizzazione e la sua estensione. Attualmente si è ritornati alla metodologia primigenia evidenziando, in questo caso con sfumature di diverso colore, le parti recuperate e/o restaurate e volendo esplicitamente operare in questo modo una netta distinzione tra interventi di restauro e interventi di falsificazione dell’originale. Una distinzione che pone attualmente interrogativi sempre più pressanti dal punto di vista dell’etica professionale, visto che i servizi resi dalle imprese artigiane intervistate si rivolgono sia a una committenza pubblica (Sovrintendenze ai beni artistici e culturali nazionali) che a una privata (privati cittadini e mercato antiquario). Sul primo versante, la correttezza degli interventi eseguiti è rigorosamente controllata in ogni loro fase, ma è la continuità delle commesse che è messa a rischio da una procedura di assegnazione degli incarichi incerta e discutibile, mentre sul secondo versante la situazione è completamente ribaltata. Una maggiore libertà d’azione, esercitata al di fuori di ogni controllo, può prestarsi ai disegni truffaldini di operatori, dotati di pochi scrupoli e di scarsa professionalità, che agiscono indisturbati, ora più che mai, in questo specifico comparto. Nell’ambito del restauro conservativo di un manufatto è possibile introdurre una distinzione tra restauro ligneo in senso stretto e restauro del suo trattamento o decorazione superficiale (doratura, laccatura, pittura policroma ecc.). L’intervento di restauro procede da un’attenta ispezione dei danni inferti da varie cause al manufatto (reintegro di pezzi mancanti, di dorature in oro zecchino, di pitture a tempera ecc.) al restauro ligneo vero e proprio delle parti compromesse e alla finitura superficiale. Quelle impiegate in ogni fase dell’intervento sono tecniche tradizionali delle epoche a cui appartengono i singoli pezzi che, in alcuni casi, sono rimaste immutate nel tempo, in altri hanno subito delle trasformazioni più o meno significative. Il procedimento di doratura a foglia, ad esempio, non ha nulla a che vedere con la moderna doratura eseguita con metodi e prodotti industriali in quanto, a differenza di questa, esso richiede l’impiego di materiali comuni che devono essere scelti e/o preparati però con estrema cura e perizia, come l’oro zecchino, l’acqua, la colla animale (quella di pelle di coniglio), l’argilla, il gesso di Francia e altri ancora. La maestria nell’eseguire le operazioni di doratura risiede nella capacità e nell’abilità dell’artigiano di rispettare i tempi di esecuzione delle varie operazioni che consistono nella preparazione delle superfici da dorare (detersione e sgrassatura, ammannitura, apprettatura, stesura del bolo) e nella doratura vera e propria. Trascorso un congruo periodo di tempo, per consentire che il pezzo diventi perfettamente asciutto, la doratura è seguita dalla brunitura finale con pietra d’agata: la cautela e l’abilità con cui devono essere eseguiti i vari passaggi è fondamentale per la buona riuscita del procedimento. Le operazioni che si eseguono nel corso di un intervento per il restauro di un manufatto ligneo non costituiscono un vero e proprio ciclo di lavorazione, come lo si potrebbe intendere, ad esempio, nella costruzione di mobili: men che meno esse si configurano come fasi di una lavorazione in serie. È un procedimento che formalmente si differenzia in misura considerevole a seconda della committenza: gli interventi eseguiti su manufatti sottoposti alla tutela delle Sovrintendenze ai beni artistici e culturali nazionali devono rispettare protocolli d’intervento molto rigorosi e dettagliatamente documentati che permettano di accertare la riconoscibilità del restauro effettuato lungo tutte le sue fasi, mentre per quelli realizzati su oggetti di proprietà privata, normalmente, ciò non è richiesto. Contraddicendo questa prassi, nella scheda tecnica del restauro effettuato che accompagna ogni manufatto passato tra le mani dell’artigiana intervistata viene sempre indicato il percorso compiuto in modo tale che, se il cliente ricorda come erano le sue condizioni al momento dell’arrivo in laboratorio, quando verrà a riprenderlo, potrà verificare quali sono le parti che sono state rifatte proprio sulla base di quello che troverà scritto su di essa. – 64 – LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE Questo è il modo di procedere per quanto riguarda l’integrazione, mentre per il resto, se per esempio c’è un’infestazione di tarli estremamente vistosa e una lucidatura che lascia a desiderare, di solito si arriva anche a sverniciare il mobile. Altrimenti si eseguono tutti i passaggi previsti dal protocollo del restauro tradizionale: il nutrimento del legno, la ricostruzione di quello che è mancante (la chiusura delle fenditure, la stuccatura dei fori di tarlo, ecc.), la pulitura o la sverniciatura, la riverniciatura (che a seconda del periodo può essere fatta con la cera, per i manufatti del ‘700 locali, o con la gomma-lacca che viene data a tampone e non a pennello). I materiali utilizzati per il consolidamento sono sostanze sintetiche prodotte dalla chimica moderna che si prestano egregiamente per salvare delle parti del manufatto che altrimenti andrebbero perse, mentre le stuccature vengono realizzate impiegando terre ed pigmenti naturali (il gesso di Bologna e al limite un po’ di colla): c’è una commistione perfetta tra quelle che sono le nuove sostanze e le antiche ricette. I passaggi sono più o meno obbligati e questo lascia poco all’inventiva: il primo obiettivo che ci si pone e che non bisogna mai dimenticare eseguendo un restauro è sempre quello di rispettare il manufatto, soprattutto perché il restauro in sé è un intervento estremamente invasivo, anche se fatto secondo i sacri crismi. La prima cosa da chiedersi è quanto si va ad incidere, perché a seconda dello stato di conservazione è consigliabile intervenire il meno possibile: bisogna, però, stare molto attenti al famoso tarlo, perché magari il mobile sembra necessitare di un piccolo intervento ma, se è infestato, bisogna procedere ad un lavoro più accurato e profondo per poi permettere, in futuro, di salvarlo. Bisogna guardare il mobile, per capire come lavorare, perché a volte gli interventi rispecchiano strategie duttili ed adattabili ai singoli casi, per cui magari una volta prima si stucca e poi si nutre e un’altra viceversa, a seconda di quelli che sono i risultati di questa attenta osservazione: i passaggi sono sempre gli stessi ma molto flessibili e grazie ad essi il mobile deve tornare al meglio, non come nuovo, perché deve evidentemente conservare le sue caratteristiche originarie. Se il manufatto da sottoporre a restauro non è trasportabile in laboratorio, le operazioni relative iniziano con un sopraluogo, per rendersi conto della natura e dell’estensione dell’intervento da effettuare. È in questo preciso momento che si esprime l’abilità e la competenza del vero restauratore: bisogna saper “leggere” il manufatto per poter agire di conseguenza e le informazioni necessarie per farlo correttamente sono già tutte lì, racchiuse nell’oggetto che si ha davanti, commentano gli “addetti ai lavori”. Riconoscere la linea, lo stile, l’epoca e ogni altro elemento significativo che contraddistingue la fattura del manufatto rende possibile la pianificazione dell’intervento e riduce le possibilità di compiere errori, peraltro sempre possibili: in particolare, sono le tecniche costruttive che sono state utilizzate per realizzarlo, e non il suo aspetto estetico, che devono essere osservate. Sono le tecniche impiegate per la sua costruzione che parlano per lui, sono i dettagli che normalmente un occhio inesperto non riesce a cogliere che bisogna “saper leggere”, è una netta distinzione tra l’essere e l’apparire che occorre saper fare. Queste capacità si acquisiscono con l’esperienza e non possono che migliorare se l’artigiano restauratore è fortemente motivato verso il suo lavoro perché il processo che si innesca potrebbe essere considerato come una forma di aggiornamento continuo che ravviva e alimenta la passione per continuare a farlo con dedizione, interesse e piacere. Questa tensione emotiva che lo stimola a migliorarsi continuamente, anche quando ha raggiunto livelli di professionalità molto elevati sta rapidamente scemando e nel comparto c’è molta confusione ed improvvisazione. Per quanto concerne i materiali impiegati, le eventuali integrazioni utilizzano materiali grezzi, lavorati con tecniche e strumenti tradizionali presso il laboratorio delle imprese artigiane visitate o, se necessario, commissionati all’esterno, a provetti e fidati colleghi, mentre per i trattamenti di finitura o di decorazione – 65 – TRA TRUCIOLI E TELAI superficiale (verniciatura, laccatura, doratura ecc.) si ricorre a prodotti preparati appositamente o normalmente in commercio. Questi vengono poi manipolati secondo i dettami e le tecniche acquisiti e perfezionati nel corso di una lunga esperienza: inutile dire che tali procedimenti vengono gelosamente custoditi e contraddistinguono l’abilità dell’artigiano che li esegue. 5.2 Comparti di attività relativi alle lavorazioni tessili 5.2.1 La fabbricazione di arazzi e di tappeti. In questo comparto produttivo compaiono ben tre imprese artigiane (Casi 11, 12, 13), ognuna delle quali si caratterizza per la tipologia dei manufatti tessili realizzati che rispecchia efficacemente, sia la tradizione locale, tipica del settore, sia il processo di trasformazione, attualmente in corso, che mira ad una sua profonda innovazione. Occorre precisare che la fabbricazione di arazzi e di tappeti non costituisce la loro produzione prevalente o esclusiva quanto, piuttosto, una sua componente significativa, all’interno di una sua necessaria diversificazione avente per oggetto una pluralità di manufatti. L’attività svolta dall’impresa artigiana (Caso 12) che recupera e utilizza le tecniche del passato è iniziata con la produzione di tappeti realizzati su telaio tradizionale, la sola attrezzatura che ancora oggi viene normalmente impiegata in azienda: successivamente la tipologia dei manufatti prodotti ha subito una diversificazione tale da consentire una maggiore e più diretta commercializzazione. Nella bottega visitata, oltre ai tappeti, oggi vengono prodotti anche arazzi, stuoie, centrotavola, tappeti da tavolo ma anche sciarpe, gilet e scialli che vengono rigorosamente tessuti con filati ottenuti da materie prime naturali e confezionati a mano. Alcuni capi, come la tovaglieria, utilizzano stoffe acquistate in Trentino ma vengono lavorati e rifiniti in laboratorio: lo svolgimento dell’intero ciclo produttivo sarebbe stato, in questo caso, troppo impegnativo ed avrebbe comportato una conseguente ed eccessiva lievita- zione del loro prezzo di vendita e ridotto la loro commerciabilità. Quest’ultima, infatti, è strettamente legata al flusso turistico che raggiunge la località montana nella quale è insediata l’azienda, soprattutto nel periodo estivo, ed è in funzione della sua stagionalità che viene organizzata la produzione: in questo contesto si alternano momenti in cui le vendite si concentrano su particolari manufatti che devono essere pertanto realizzati con buon anticipo. Non si può parlare, dunque, di produzioni prevalenti ma di produzioni realizzate per rifornire un magazzino molto ridotto ma di elevata qualità, visto che il lavoro svolto nell’impresa coinvolge direttamente le titolari e una loro collaboratrice. Nella loro bottega-negozio, unico esercizio commerciale predisposto alla vendita di questo genere merceologico di questo comune della Carnia, vengono anche smerciati altri prodotti dell’artigianato di qualità, come giacche in lana cotta, oggetti in legno e in ceramica, realizzati da altre imprese artigiane del fondovalle per soddisfare una domanda di mercato particolare (quella degli oggetti-ricordo) che consente all’azienda di sopravvivere. Il ciclo delle lavorazioni eseguite in azienda ha inizio con la tessitura dei filati che provengono da varie parti d’Italia: questi ultimi utilizzano esclusivamente materie prime naturali come il lino, la canapa, la lana e la seta. Nel caso delle lane impiegate nella realizzazione di tappeti, ad esempio, il fornitore più adatto ad assolvere questo genere di esigenza è stato individuato in Sardegna, mentre i filati utilizzati nella produzione di tessuti per la confezione giungono in parte dalla Toscana e in parte dal Piemonte. Con questi filati vengono preparati gli orditi che vengono poi montati su telaio per la successiva tessitura a mano: quest’ultima mantiene le caratteristiche della lavorazione artigianale e i manufatti prodotti si distinguono per la particolarità dei disegni, d’antica fattura ma rivisitati, in chiave più attuale, nei loro tratti geometrici e nelle loro sfumature cromatiche. Parte dei tessuti realizzati viene poi impiegata per la confezione di capi che richiedono questo genere di lavorazione e ulteriori interventi di finitura. Una seconda impresa (Caso 13), invece, realizza piccoli arazzi in lana tessuta a maglia e a – 66 – LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE questo genere di manufatti affianca la produzione di capi d’abbigliamento di grande qualità, confezionati con lo stesso tessuto, trattato con il metodo della follatura: di tale produzione e del ciclo di lavorazione realizzato in azienda si parlerà più diffusamente nel capitolo dedicato a questo specifico comparto. La terza impresa artigiana incontrata (Caso 11), infine, produce tappeti, arazzi e tessuti per arredare la casa, gli ambienti di lavoro e ogni altro luogo a cui si vuole conferire un tocco di particolare gusto e ricerca estetica che trae suggerimenti e ispirazione, oltre che dai modelli rivisitati provenienti dalla tradizione locale, anche dagli esponenti più prestigiosi dell’arte moderna e contemporanea e che si avvale, sul piano della creazione e della realizzazione dei manufatti, di una tecnica compositiva di assoluta eccellenza. La diversificazione produttiva, come si diceva, si è resa necessaria per contrastare, da un lato, la concorrenza sempre più agguerrita che caratterizza il comparto produttivo e, dall’altro, per ricavarsi una nicchia di mercato nella quale sono la creatività, la ricerca e l’innovazione a fare la differenza. Nella produzione di tessuti da arredamento, la domanda è fortemente influenzata dalle tendenze della moda e da una ciclicità stagionale che è bene saper prevedere con largo anticipo: l’esperienza maturata nel corso degli anni passati nell’azienda in cui aveva iniziato a lavorare è stata di fondamentale importanza per capire questi fenomeni e per mettere a punto le strategie più adeguate per farvi fronte. Quando si avverte la possibilità che ci siano delle eventuali ricadute sulla produzione, conseguenti alle loro dinamiche, è bene correggere opportunamente i piani di lavoro con interventi mirati: potenziarla o diminuirla, a seconda dei casi, avviare la ricerca di nuovi prodotti, farla convergere su quelli alternativi ecc. Per la titolare dell’impresa artigiana, diversificare significa avere la possibilità di compensare tra loro le opportunità produttive in funzione delle variabili esterne, difficilmente controllabili, che intervengono nel processo di lavorazione e che condizionano il suo normale svolgimento, nella prospettiva di dargli continuità e occasione di sviluppo. Dal punto di vista organizzativo, questo modo di gestire l’attività d’impresa deriva dal fatto che il settore tessile non offre altre alternative ed è difficilissimo poter conciliare allo stesso tempo obiettivi tra loro differenziati. Per un’azienda artigiana, che solitamente non può permettersi di fare investimenti significativi sul versante della ricerca e dello sviluppo, è assai improbabile che si possa arrivare alla diversificazione: se si accetta la competizione bisogna impostare il proprio lavoro per reggerla e non si ha la possibilità di fare altro. Con grande impegno e determinazione la sua titolare, da alcuni anni, sta cercando invece di trovare il giusto mix di produzione che consenta di modificare questo stato di cose e i risultati finora ottenuti le stanno dando ragione. Il ciclo di lavorazione inizia con l’orditura dei filati scelti per produrre un certo manufatto: che si tratti di un tendaggio, per il quale si impiega un filato di lino sottilissimo, piuttosto che di un tappeto, per il quale si usa un filato di lana grossolano, il procedimento utilizzato rimane sempre lo stesso. Il lavoro si complica evidentemente quando si ha a che fare con filati molto sottili poiché l’orditura deve essere fatta a mano e, se l’ordito non viene arrotolato sul subbio con grande attenzione ed estrema cura, il rischio è quello di ingarbugliare il tutto, di aver sprecato del materiale e di dover ricominciare daccapo. Tappeti e arazzi vengono realizzati su telai verticali in ferro, mentre il tessuto utilizzato per confezionare tendaggi, tovagliati e altri articoli viene prodotto con telai verticali di legno del tutto tradizionali. L’aspetto fortemente innovativo nella lavorazione dei tappeti è costituito dalla tecnica impiegata, il tufting, che sostituisce il procedimento di annodatura manuale classicamente utilizzato, ad esempio, nella produzione del tappeto orientale, mantenendo peraltro la caratteristica principale di quest’ultimo, il vello. L’idea di costruire tappeti impiegando una tecnica diversa da quella tradizionale venne a una signora statunitense, Catherine Evans, che, nel 1895, ispirandosi al corredo di famiglia, realizzò un copriletto utilizzando a questo scopo una macchina da cucire modificata. – 67 – TRA TRUCIOLI E TELAI La tecnica del tufting, infatti, ricorda da vicino quella utilizzata dalla macchina da cucire nella quale una bobina di filato alimenta un ago che infila, attraverso il supporto di ancoraggio, il filo che formerà il vello del tappeto: il sistema di produzione, dunque, nella sua forma più elementare, consiste nell’infilare un filo attraverso un supporto o canovaccio già tessuto formando così un occhiello. A differenza di quanto accade nella tessitura, nel tufting il supporto ed il vello non sono prodotti simultaneamente ma il primo, che serve da ancoraggio per il secondo, è fabbricato preventivamente: una volta disteso su un apposito telaio, è possibile riportare o tracciare su di esso un qualsiasi disegno che verrà successivamente riprodotto riempiendo le sue linee e le sue campiture con un fitto trapunto di occhielli di altezza (quella del vello) uniforme. Questi, a loro volta, terminate le operazioni di trapuntatura, potranno essere tagliati o meno, in modo da ottenere un vello lavorato a velluto o a bouclé. Fino intorno agli Anni ’30 del secolo scorso, il tufting rimase una tecnica prettamente artigianale con la quale si fabbricavano copriletto e tappeti, mentre in quelli successivi divenne un processo industriale sempre più avanzato, utilizzato attualmente per produrre “moquette”, in quantità elevatissime e in alternativa alle tecniche tradizionali (Axminster, Wilton) che la ottengono per tessitura. Attraverso questa tecnica, dunque, è possibile riportare sull’armatura del tessuto le campiture disegnate su un modello in carta, al pari di quanto facevano i pittori del Settecento con i loro “cartoni” per istruire gli arazzieri, componendole con un’attrezzatura speciale, azionata manualmente, che “spara” su di essa fiocchi (tufts) di filato di materiali, diametro e colore diversi. Come nell’arazzo, il disegno del “cartone” è realizzato al rovescio in modo tale che dopo la composizione, realizzata necessariamente su questo fronte, esso compaia correttamente sul diritto: dopo aver riportato sull’armatura le linee che delimitano le campiture si procede riempiendole di “fiocchi” del materiale e del colore voluti: un intervento successivo uniforma la densità dei fiocchi per unità di superficie, eliminando il pelo superfluo fino a trasformare il tessuto in un velluto. Il risparmio di tempo ottenuto nella realizzazione di un manufatto impiegando questa tecnica è certamente notevole se si pensa che, mediamente, la produzione di un tappeto di quattro metri quadrati, ad esempio, richiede all’incirca due giorni e mezzo di lavoro: ma non è questo il solo vantaggio perché, inoltre, occorre pensare che il tappeto realizzato è un esemplare unico, di ottima qualità, che riesce a spuntare sul mercato un prezzo altamente remunerativo. Il tufting è, pertanto, una tecnica di lavorazione molto versatile che consente di produrre manufatti disegnati in proprio o da una committenza molto particolare: è a questa committenza che la nostra interlocutrice si è rivolta per far conoscere e per promuovere l’attività svolta dalla sua azienda. Si tratta di stilisti, arredatori, mercanti d’arte, che collaborano normalmente con i più noti designers esistenti al mondo, ai quali ha illustrato le potenzialità di originalità e di innovazione insite in questo procedimento tecnico e le possibilità del suo utilizzo per realizzare una loro commessa. 5.2.2 La fabbricazione di biancheria per la casa Nel comparto produttivo ritroviamo tre imprese artigiane (Casi 10, 11, 12), ma se per due di esse (Casi 11, 12), come abbiamo visto in precedenza, la fabbricazione di biancheria per la casa costituisce una forma di diversificazione produttiva, per la terza (Caso 10) tale attività è quella decisamente prevalente. La produzione realizzata da quest’ultima comprende una ricca gamma di articoli, disegni, modelli e colori per il tovagliato, gli asciugamani, le lenzuola, i copriletto e i tendaggi: l’impresa artigiana, oltre alla linea classica e moderna di biancheria per la casa, cura con particolare attenzione anche una collezione tradizionale che riproduce alcuni modelli di tessuti antichi, conservati presso il Museo delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo ed altri, ricavati da motivi caratteristici regionali. Il lino, il cotone, la seta e la lana, impiegati nella tessitura, sono scelti tra i filati di maggior pregio reperibili sul mercato per poter ottenere – 68 – LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE quei risultati di eccellenza e di qualità, raggiunti sul piano della curatissima fattura e del raffinato gusto estetico, che contraddistinguono le sue creazioni. I 4/5 della produzione attuale è riservata a questo genere di biancheria domestica che richiede, oltre alla qualità dei filati utilizzati per confezionare il tessuto, un grande sforzo progettuale per conferire allo stesso motivi e disegni decorativi che, pur attingendo al repertorio della tradizione locale, propongono suggerimenti originali ed innovativi inconfondibili. Il tessuto prodotto con il telaio Jacquard è il risultato di una straordinaria versatilità di composizione delle variabili che intervengono nel processo di lavorazione e, pertanto, con questa tecnica è possibile realizzare tipologie di tessuto estremamente elaborate: in azienda si usano frequentemente i tessuti ornati (broccati, nel linguaggio dei setaioli), come ad esempio, taffetas, rasi, lampassi, damaschi, velluti ecc., stoffe molto ricche e fitte, slegate al rovescio e ottenute con questo tipo di tessitura per creare motivi e disegni accentuati, sul diritto, da superfici e colori contrastanti. Una produzione esclusiva, di fascia medio-alta e alta, riservata a una clientela particolarmente esigente e raffinata che ricerca in questo genere di prodotti un tocco di eleganza abbinato alla loro quotidiana funzionalità, per arredare la propria casa e per soddisfare il proprio gusto personale: il titolare dell’impresa artigiana sottolinea, con giustificato orgoglio, che sono ormai pochissime le tessiture che eseguono lavori del genere. Fondamentalmente, dunque, il settore produttivo prevalente è quello della biancheria per la casa: il tale ambito, il tovagliato è l’articolo più richiesto, sia perché il suo consumo è quello più elevato sia perché, per le ragioni appena ricordate, rappresenta un bene di particolare qualità sotto il profilo del prestigio e dell’ eleganza. A proposito del ciclo di lavorazione adottato in azienda, il nostro interlocutore considera che la sua impresa si colloca in una zona situata un po’ ai margini dei grossi centri di tessitura ed ha come strategia di sviluppo quella di continuare a produrre tipologie di tessuti realizzati con una tecnica particolare, quella che impiega il telaio Jacquard, che ha ragione di esistere in quest’area perché qui esiste una tradizione tessile fortemente viva e radicata, fondata sulla produzione e sull’utilizzo di questo genere di manufatti. Tale scelta, certamente coraggiosa e non priva di rischi, è diventata la ragione di vita dell’impresa stessa che ha richiesto, in primo luogo, di poter disporre “in loco” di tutto ciò che occorre per giungere alla loro confezione. Pertanto, vengono acquistate da filature particolarmente affidabili e prestigiose (generalmente italiane), in grado di garantire la qualità delle materie prime e delle lavorazioni eseguite su di esse, tutte le tipologie di filati necessarie alla realizzazione dei tessuti utilizzati in azienda: successivamente, dal trattamento dei filati al prodotto confezionato nel proprio imballo e consegnato al rivenditore, ogni fase di lavorazione del ciclo produttivo, prevista per ottenere il prodotto finito, viene svolta completamente al suo interno. La prima di queste fasi è l’orditura dei filati, seguita dalla seconda, la loro annodatura, che rende possibile la messa in opera dell’ordito sul telaio: il ciclo delle lavorazioni prosegue poi con la tessitura su telaio, il taglio e la confezione del tessuto in funzione del capo da realizzare, la sua stiratura, il suo imballo e la sua spedizione, curata nei suoi dettagli dal un apposito reparto commerciale. A differenza di altre tessiture, organizzate diversamente, magari impegnate nell’esecuzione di specifiche fasi di lavorazione (ad esempio, solo l’orditura oppure solo l’annodatura, oppure, ancora, solo la tessitura ecc.), in azienda vengono portate a termine tutte le operazioni richieste per produrre un certo capo di biancheria per la casa e per collocarlo sul mercato. Al suo interno, ci si conforma a un modello di organizzazione verticale del lavoro estremamente integrato ed efficiente, scaturito dalla necessità di ovviare il forzato (ma cosciente) isolamento dai poli di produzione tessile del Nord-Est d’Italia, a sua volta determinato dalle scelte strategiche aziendali, con la filosofia del do it yourself: quello di cui si può disporre, si dispone, diversamente ci si deve arrangiare! Una logica organizzativa generalmente alla base, peraltro, del sistema organizzativo sul – 69 – TRA TRUCIOLI E TELAI quale si regge gran parte delle imprese di tessitura di tipo artigianale perché in questo modo hanno la possibilità di produrre quantità di tessuto limitate, su misura, particolarmente curate sotto il profilo della qualità e attente a soddisfare le specifiche esigenze dei committenti: una logica che consente di seguire, passo dopo passo e al meglio, l’intero ciclo di lavorazione, e che risulterebbe del tutto inadeguata se applicata a sistemi di produzione industriale. 5.2.3 La fabbricazione di tessuti a maglia e confezione Come veniva anticipato nel capitolo relativo alla fabbricazione di arazzi e di tappeti, nel corso della presente indagine è stata presa in esame un’impresa artigiana (Caso 13) che, oltre a realizzare quel genere di manufatti, si dedica prevalentemente alla produzione di tessuti a maglia, utilizzati per la confezione di capi d’abbigliamento di alta sartoria. La sua titolare propone alla clientela giacche e gilè da uomo, da donna e da bambino in lana cotta, mantelle, pianelle, piccoli arazzi: manufatti caratterizzati da un gusto e da una qualità di sicura eccellenza. In laboratorio vengono realizzati soprattutto capi classici ai quali se ne sono aggiunti da poco altri, di concezione e disegno più recente e moderno come, ad esempio, delle maglie non rifinite, senza i bordini ma fatte a zig-zag. oppure capi eleganti come giacchine ispirate ai modelli Chanel, delle magliette con degli spicchi, cappotti lunghi, delle gonne a teli, giacchine strette e ponchos: sono capi, insomma, che spesso si collocano al di fuori della impostazione tradizionale e che vengono creati per divertimento e per innovare la produzione. Quella realizzata è, dunque, una produzione dalle caratteristiche uniche, che solo l’incontro tra una paziente lavorazione a mano e la tecnologia contenuta nei materiali naturali più all’avanguardia, può consentire. I tessuti sono morbidi e caldi, ottenuti con l’utilizzo di pregiati filati in lana come il cashmere, l’angora e il mohair: questi filati vengono tessuti a macchina e le pezze ricavate vengono successivamente lavate in acqua calda (cottura) per provocarne l’infeltrimento. Si ottengono così tessuti in lana particolarmente consistenti che, asciugati al sole e stirati con un semplice ferro a vapore, diventeranno impermeabili e resistenti nel tempo: indossare un capo in lana cotta è particolarmente gradevole e costituisce, inoltre, una eccellente protezione naturale contro il vento, il freddo e l’umidità in quanto lascia traspirare liberamente la pelle. Il ciclo di lavorazione praticato in laboratorio inizia dalla scelta dei filati che vengono acquistati già tinti da vari fornitori molto selezionati, a seconda delle specifiche esigenze o necessità della produzione. La scelta è orientata su due sole possibilità, costituite rispettivamente dal filato unico e da quello variegato: il filato unico, secondo la nostra interlocutrice, è quello su cui un domani lavoreranno gli altri, coloro che in futuro erediteranno la sua attività. Il perché è semplice ma non così facilmente comprensibile al giorno d’oggi; ella, infatti, archivia da sempre tutte le conoscenze acquisite sui diversi materiali utilizzati per permettere a chi proseguirà la sua attività di maneggiarli con competenza e in assoluta sicurezza: a quel punto basterà seguire le istruzioni e il gioco sarà fatto. La seconda prospettiva di scelta, invece, contempla l’acquisto di una moltitudine di filati, spaziando su tutti i generi di lana che riesce a trovare sul mercato (merinos, mohair, merinosmohair, ecc.) sui quali scatena la sua fantasia, per sperimentare le possibilità di una loro combinazione e del loro trattamento. Per la nostra interlocutrice è fondamentale giocare con i colori, i tessuti, le forme: è una vera e propria esigenza fisiologica, che deve essere lasciata libera di sfogarsi, perché altrimenti rischierebbe di annoiarsi, mentre per lei è, invece, un vero e proprio divertimento che intende trasmettere come un’eredità importante che permetterà a qualcun’altro, dopo di lei, di fare altrettanto. Talvolta i fornitori dei filati la contattano per proporle i loro prodotti di punta, per cui lei acquista unicamente certi tipi di lana e lavora solo quelli: per realizzare tessuti da impiegare nel settore dell’arredamento, ad esempio, se il committente desidera foderare i suoi divani in lana, per farlo, non sarà possibile impiegare – 70 – LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE lana merinos-mohair perché questa fibra naturale ha delle caratteristiche particolari, che mal si adattano a questo utilizzo. Le lane che vengono acquistate sono già tinte, ma di grandissima qualità e particolarmente resistenti allo scolorimento: questo genere di filati è quello che viene utilizzato in laboratorio, dove viene lavorato per realizzare dei tessuti, impiegando per questo scopo macchine per maglieria del tutto tradizionali. Il passaggio successivo è la loro cottura e in questa fase è necessaria una grande competenza, perché bisogna conoscere i tempi giusti del trattamento riservato ad ogni filato: dopo di che, le stoffe vengono fatte asciugare necessariamente in un essiccatoio che, al pari di altri macchinari diventati oramai indispensabili come quello impiegato per l’eliminazione dell’acqua residua (centrifuga). Alcuni anni fa, si lasciavano asciugare i tessuti naturalmente, stesi direttamente al sole; ora questo modo di procedere nella loro asciugatura non è sempre possibile e occorre avvalersi delle macchine citate anche se, purtroppo, que- ste li sollecitano eccessivamente dal punto di vista fisico. Il problema, infatti, è che la lana, essendo un materiale naturale, ha bisogno di umidità e con quel modo di procedere è molto difficile conservarne il giusto grado: la raccomandazione che la nostra interlocutrice rivolge alla sua clientela è quella di esporre i capi realizzati nel suo laboratorio al sole, alla pioggia, all’umidità, perché la lana ha bisogno di vivere e, se vengono a mancare queste condizioni, è inevitabile che alla lunga si danneggino. La stoffa viene poi stirata con il ferro a vapore che rimane ancora l’unico sistema di finitura della pezza tessuta: una volta stirata la stoffa viene immagazzinata, in attesa di essere successivamente tagliata per la confezione dei capi citati. Il taglio della stoffa dipende da molteplici fattori: a volte può essere utilizzata immediatamente dopo l’asciugatura, a seconda della sua fattura e del modello che si sta realizzando, oppure, come spesso accade, viene messa da parte per successivi impieghi. – 71 – 6. Il contenuto di qualità delle lavorazioni eseguite sotto il profilo artistico, tradizionale, tipico ed innovativo 6.1 Comparti di attività relativi alle lavorazioni del legno Nel concludere alcune riflessioni sulle implicazioni di carattere concettuale e metodologico relative all’individuazione e al riconoscimento dei tratti che caratterizzano e che contraddistinguono le forme di artigianato di qualità, sotto il profilo artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, ci si proponeva di farlo nell’ambito dei comparti produttivi dei settori indagati. (70) Dopo aver preso in esame le attività svolte nel settore delle lavorazioni del legno, si tratta ora di analizzare il loro contenuto specifico con l’obiettivo di far emergere e di sottolineare i tratti di cui si è appena parlato. Nel comparto della fabbricazione di carpenteria, l’attività svolta dall’impresa artigiana visitata è contraddistinta da elementi di forte innovazione, riguardanti la lavorazione del legno naturale, che consentono di utilizzarlo secondo principi tecnologicamente più avanzati di quanto fatto finora. La produzione e la lavorazione del legno lamellare hanno superato, oramai da alcuni anni e con pieno successo, le valutazioni e i controlli condotti nell’ambito della sperimentazione dei nuovi materiali e hanno aperto interessanti prospettive di sviluppo nel settore delle costruzioni edili. La tradizione consolidatasi nel modo di progettare e di costruire immobili ad uso civile e industriale trova nel legno lamellare un sacco di motivazioni per evolvere ed innovarsi, soprattutto dal punto di vista tecnico: per circoscrivere tale ambito alle sole discipline inerenti le scienze delle costruzioni, possiamo certamente affermare che le ricadute provocate dall’introduzione e dall’utilizzo di questo nuovo materiale sono, a dir poco, straordinarie. L’impresa artigiana che opera in questo comparto costituisce un esempio di come la tradizione e l’innovazione possano non soltanto coesistere ma come l’una trovi nell’altra una prospettiva di continuità e di sviluppo. In questo caso, l’artigianato di qualità è fatto innanzitutto di contenuti tecnici e tecnologici molto avanzati: il contatto del titolare dell’impresa con i committenti e con i progettisti è quotidiano per affrontare e per risolvere insieme a loro questioni di carattere prevalentemente tecnico, riguardanti le strutture in legno che si intendono realizzare e la loro capacità di adempiere con le loro prestazioni alle funzioni progettate. In questo ambito è necessario avere ottime conoscenze fisiche e meccaniche per valutare attentamente l’entità e la natura dei carichi che le solleciteranno, prima della loro posa in opera: la conoscenza degli aspetti tecnici legati alla progettazione, da un lato, e quella delle capacità tecniche e prestazionali dei materiali impiegati, dall’altro lato, costituiscono le aree tematiche all’interno delle quali vengono condotti studi, ricerche, prove di laboratorio, approfondimenti tecnici di ogni genere. Nel comparto relativo alla fabbricazione di mobili, per le imprese artigiane visitate è praticamente impossibile fare una valutazione o una semplice stima dell’incidenza di questi contenuti di qualità sul lavoro complessivo necessario per la produzione di un manufatto, a causa della diversità delle richieste che provengono da una committenza eterogenea. Nella realizzazione di architetture d’interni è sicuramente rilevante il tempo dedicato allo studio e alla progettazione d’insieme delle soluzioni d’arredo: qui antico e moderno, tradizionale ed innovativo possono fondersi in accostamenti originali e irripetibili. Per questi motivi, alcuni manufatti prodotti dalle imprese artigiane intervistate esprimono in misura molto modesta i valori propri della tradizione e della cultura che contraddistinguono l’area geografica in cui operano, mentre altri li esaltano al massimo grado. Dal punto di vista costruttivo la perizia tecnica di un buon artigiano si esprime ai massimi livelli su entrambi i fronti: non c’è differenza tra la manualità richiesta per riprodurre un particolare in stile e quella impiegata nella costruzione di un particolare disegnato da un moderno architetto: in entrambi i casi occorre esprimere una capacità tecnica molto elevata. – 73 – TRA TRUCIOLI E TELAI Pertanto, non è possibile assegnare la definizione di “artigianato di qualità e di eccellenza” esclusivamente a quelle attività di riproduzione di manufatti in stile o propri della tradizione locale: se questi fossero gli unici parametri utilizzati per valutare il lavoro di molti artigiani del comparto, in Carnia e nell’intero FriuliVenezia Giulia, questo riconoscimento verrebbe probabilmente dato a pochissimi operatori. Non si tratta solo più di sottoscrivere l’impegno a mantenere la tradizionale “fedeltà allo spartito” (per servirsi di un’analogia ricorrente nel comparto che tira in ballo gli interpreti di musica classica), ma anche quello di cimentarsi con “spartiti” inediti, usciti dalle mani di “compositori” moderni. Piuttosto, bisogna riconoscere loro la capacità di saper sviluppare e di saper realizzare ciò che ha prodotto la creatività di un architetto, di un progettista o di un designer dandogli una forma ovvero di saper passare dall’astrazione alla concretezza, dalla semplicità alla complessità, dall’unicità alla molteplicità: in questo sono indiscutibilmente dei valenti esecutori, rappresentanti superstiti di una tradizione artigiana locale di tutto rispetto e moderni interpreti dell’artigianato di qualità dei nostri tempi. Attualmente sembra essersi affermata la convinzione, errata e fuorviante, che gli artigiani ancora in grado di costruire un mobile secondo quella tradizione e con quelle tecniche si siano trasformati in artisti. Senza nulla togliere alla loro valentia, occorre doverosamente precisare che il loro lavoro non è quello proprio di questa figura, l’artista appunto, nella quale la componente creativa è intimamente connessa a quella realizzativa, ma solo quello di bravissimi esecutori che hanno “mestiere”, ovvero di coloro che hanno la capacità di interpretare fedelmente le indicazioni costruttive ricevute da altri e di saperle tradurre, con la loro competenza e la loro esperienza, nel manufatto desiderato. È anche vero, però, che la tendenza, oramai dilagante, sta diventando quella di inglobare, in un parco macchine sempre più sofisticato, queste abilità individuali per ridurle a quelle di un assemblatore: l’artigianato che contraddistingue le produzioni delle imprese intervistate usa egregiamente le tecnologie tradizionali ma, per ragioni di competitività e di sopravvivenza, ha anche bisogno di usare quelle più innovative, senza compromettere o diminuire con ciò la qualità dei manufatti realizzati. Questo non vuol dire che la loro attività si sia staticizzata in una routine, anzi: in esse è stato avviato un processo di aggiornamento e di approfondimento delle conoscenze, non sempre agevole ma sicuramente avvertito, che interessa più versanti del loro lavoro (artistico, tecnico, organizzativo ecc.), nell’intento di migliorarlo continuamente. Per quanto concerne la tradizione, i manufatti conservati nel Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo rappresentano un patrimonio insostituibile al quale gli artigiani incontrati attingono continuamente idee e suggerimenti che poi sviluppano e utilizzano nei loro laboratori. In alcuni casi, le posizioni acquisite sul mercato dalle imprese di maggiori dimensioni hanno richiesto di ridisegnare il loro assetto organizzativo originario: le competenze professionali sono state suddivise tra ruoli esecutivi, ruoli di studio e progettazione e ruoli organizzativogestionali. I primi sono affidati a personale specializzato che conosce a fondo il proprio mestiere ed è in grado di eseguire con maestria i lavori che vengono richiesti di volta in volta, i secondi sono affidati a risorse specialistiche interne e/o esterne alle aziende, mentre gli ultimi sono svolti direttamente dai titolari. Nella costruzione di serramenti, le lavorazioni comunemente eseguite dalle imprese artigiane intervistate richiedono perizia e buona manualità, espresse però in forme diverse da quelle finora rilevate negli altri comparti. È sotto questo aspetto che deve essere precisato il contenuto di qualità delle loro produzioni che coincide con una perfetta conoscenza delle materie prime impiegate e delle tecnologie che meglio si prestano alla loro trasformazione per ricavarne manufatti pregevoli, sia sotto il profilo estetico sia sotto quello funzionale. Ciò richiede un costante impegno dedicato all’approfondimento di studi e di ricerche che incidono sulla realizzazione di questi manufatti in misura variabile, a seconda della loro particolarità, della loro complessità esecutiva e – 74 – IL CONTENUTO DI QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI ESEGUITE SOTTO IL PROFILO ARTISTICO dell’accuratezza delle lavorazioni a cui vengono sottoposti. Nella produzione di serramenti tradizionali, queste esigenze sono meno sentite in quanto le vere innovazioni sono piuttosto rare e non richiedono all’artigiano un aggiornamento continuo; nel comparto, tuttavia, si assiste ad un sensibile restringimento dell’area della costruzione del serramento in legno, a favore di quello prodotto industrialmente con materiali alternativi che viene realizzata da maestranze di bassissimo profilo professionale: queste non eseguono evidentemente né studi di fattibilità né progetti ma si limitano a condurre e a controllare macchinari automatizzati che eseguono le varie lavorazioni necessarie per realizzarlo. La produzione di serramenti speciali, al contrario, rappresenta l’ambito più innovativo per questo tipo di lavorazioni ed esige livelli di qualità particolarmente elevati, raggiungibili con una diversa impostazione del lavoro artigiano. In tale impostazione sono riconoscibili i tratti di una nuova cultura d’impresa che non si fonda su valori acquisiti storicamente o affermatisi sul piano estetico, ma sul patrimonio tecnologico che con il tempo è andato consolidandosi al suo interno, sulla professionalità degli operatori e sugli obiettivi di sviluppo e di eccellenza che essa persegue. È una cultura soprattutto tecnica, che considera la componente estetica per quello che è ovvero una variabile che muta continuamente e che in questo comparto deve essere tenuta in debito conto: di qui la necessità di saper utilizzare in modo estremamente diversificato e coerente le diverse forme estetiche, da quelle tradizionali o classiche a quelle più moderne, sempre considerando che il contenuto di qualità di queste ultime non è da meno di quello delle prime. Nel comparto della fabbricazione di oggettistica varia, saper conciliare l’aspetto della tradizione con quello dell’innovazione è fondamentale e strategico per la vita di un’azienda perché bisogna considerare che, se un cliente avanza una determinata richiesta non si può che accontentarlo, mettendo inevitabilmente da parte ogni altra considerazione. Se non c’è una richiesta di mercato che sostenga l’attività dell’impresa, ci si deve dare da fare per crearla perché, diversamente, è inutile intestardirsi proponendo oggetti, magari di grande pregio, ma che non piacciono o che sono estranei alla cultura della gente comune. Il titolare dell’impresa artigiana visitata è dell’idea che la necessità primaria per ognuno sia quella di sopravvivere e tale necessità si traduce nell’esigenza di avere una produzione abbastanza elevata da permettere all’artigiano di “sbarcare il lunario” e di “tirare avanti” perché altrimenti è costretto a interrompere la sua attività. Egli si è trovato più volte impegnato nello studio e nella realizzazione di progetti innovativi riguardanti manufatti di gran pregio e di sicuro gusto estetico, ma nonostante gli sforzi compiuti ha dovuto alla fine desistere perché rimanevano invenduti. Da queste considerazioni emerge la convinzione, condivisa peraltro anche dagli artigiani degli altri comparti, che se si vuole sviluppare un mercato per l’artigianato di qualità (e si deve cominciare di qui se si vuole che l’azienda artigiana si regga in piedi, si affermi e sopravviva) questo deve avere un riconoscimento da parte del pubblico e ciò è possibile solo se da quest’ultimo provengono forti segnali di apprezzamento e di condivisione. L’area geografica nella quale opera l’impresa artigiana presa in esame esprime nei suoi manufatti una tradizione e una cultura locale molto marcata e certamente riconoscibile, al punto da caratterizzarli, ma tutto ciò riguarda il passato, mentre sarebbe opportuno pensare seriamente di dar loro continuità per il futuro Nel comparto relativo all’esecuzione di interventi di restauro, il contenuto di qualità delle attività svolte è senza dubbio molto rilevante: continuando nell’analogia musicale proposta per la costruzione di mobili, qui si tratta di “ricostruire lo spartito” andato perso o reso illeggibile dal passare del tempo e/o dal susseguirsi degli eventi. Di solito un accurato esame dell’oggetto da sottoporre al restauro suggerisce la natura e l’estensione dell’intervento da effettuare: è solo attraverso questa attenta “lettura” del manufatto che possono avvenire la sua ricostruzione e il suo recupero. Poi tutto procede impiegando le tecniche manuali più adatte allo scopo, ma è proprio – 75 – TRA TRUCIOLI E TELAI nella manualità che si apprezza un provetto restauratore e nel suo corretto esercizio che risiede la difficoltà di eseguire un buon restauro. A questo proposito le imprese artigiane intervistate sono concordi nel precisare che il loro lavoro non è quello dell’artista perché gli artisti sono piuttosto coloro che hanno costruito gli oggetti, i manufatti che ci si trova davanti e che necessitano un restauro: come “addetti ai lavori”, se coerenti e rigorosi nel loro lavoro, non inventano nulla, devono solo (si fa per dire) “saperli leggere” e “saperli capire”. La formazione della professionalità degli artigiani che in esse lavorano si è consolidata e perfezionata attraverso un lungo apprendistato di bottega, accompagnato da frequenti e non sempre facili approfondimenti tematici, condotti presso scuole specializzate o come autodidatti. Un percorso che viene continuamente reiterato nello svolgimento del proprio lavoro e che mette sistematicamente a confronto le conoscenze e le esperienze acquisite con i problemi posti dall’intervento da eseguire. Da questo punto di vista, non è solamente una cultura storica e artistica consolidata che occorre dimostrare quanto piuttosto una padronanza nel saperla riconoscere nei manufatti da restaurare e nel saperla interpretare tecnicamente nel corso dell’intervento: in ogni caso il moderno restauro ligneo richiede costanti aggiornamenti di natura interdisciplinare e non lascia spazio alle improvvisazioni. 6.2 Comparti di attività relativi alle lavorazioni tessili La tessitura, come abbiamo visto sinteticamente in precedenza, è uno dei metodi più antichi che l’uomo abbia escogitato per fabbricare la stoffa: nella sua forma più semplice tale procedimento consiste nell’intrecciare ad angolo retto due distinti sistemi di fili, secondo tecniche diverse più o meno elaborate. Il telaio da tessitura è costituito essenzialmente da una struttura elementare che tiene tesi e paralleli i fili verticali (ordito), mentre quelli orizzontali (trama) sono intrecciati con i primi grazie a un movimento alternativo che li attraversa con una sequenzialità preordinata. Nonostante siano trascorsi millenni dalla comparsa di questa tecnica e alcuni secoli dalla sua meccanizzazione, il principio su cui si basa la tessitura a mano è rimasto praticamente inalterato fino ai giorni nostri: attualmente, nell’artigianato tessile lo troviamo molto spesso affiancato a quello che sovrintende al funzionamento del telaio meccanico nella produzione di manufatti di qualità. Nel comparto della fabbricazione di arazzi e di tappeti, le imprese artigiane dell’area carnica esaminate interpretano efficacemente questa realtà composita nella quale ritroviamo, sia la tessitura a mano tradizionale sia quella che impiega sistemi tecnologicamente più avanzati ed innovativi, per realizzare, oltre a questi manufatti, anche altri prodotti. Ricerche, studi e approfondimenti condotti dall’impresa artigiana che opera in questo primo contesto riguardano soprattutto i motivi decorativi che caratterizzano gran parte dei manufatti prodotti: le titolari hanno cercato di mantenere impostazioni decorative e stilistiche coerenti con la produzione tradizionale che contraddistingueva l’artigianato tessile praticato un tempo nella località montana nella quale svolgono la loro attività. Si trattava però di un repertorio espressivo molto semplice e povero, legato a riferimenti e a simboli propri della cultura alpina locale, che sono stati ripresi, integrati ed arricchiti di nuovi e coerenti suggerimenti, raccolti qua e là, che ora impreziosiscono gli attuali manufatti. In questo senso sono stati utilizzati i disegni trovati, ad esempio, su corredi nuziali dell’Ottocento e quelli rilevati dall’intarsio di antiche cassapanche adibite a riporli e a conservarli nel tempo: il Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo si è rivelato, a questo proposito, una preziosa fonte informativa. Dagli esemplari della tradizione locale prescelti sono stati tratti non solo i disegni ma anche i colori, specialmente il rosso e il blu, simboli della Carnia: lo stesso è stato fatto con altre decorazioni come, ad esempio, il cuore fiorito, il cui motivo ricorre frequentemente in certi – 76 – IL CONTENUTO DI QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI ESEGUITE SOTTO IL PROFILO ARTISTICO manufatti e rimanda a una tradizione simbolica molto ricca e partecipata, rintracciabile non solo in ambiente montano. (71) Per una seconda impresa, la fase di progettazione, sia che riguardi una specifica commessa sia che interessi un singolo prodotto o un’intera collezione, richiede studi e ricerche sistematici in ogni direzione, necessari per rispondere pienamente al concetto di “qualità” più volte considerato. È il caso degli approfondimenti compiuti dalla sua titolare sulle attività svolte dalle manifatture tessili, sorte in Carnia nel Settecento, grazie all’intraprendenza di Jacopo Linussio, che le hanno consentito di sperimentare anche qui una nuova produzione oramai pronta per essere lanciata sul mercato. La sua curiosità e il suo interesse andavano ben oltre, evidentemente, il fatto storico: si trattava di capire il “fenomeno Linussio” in tutta la sua portata, soprattutto per quanto concerne gli aspetti tecnici ed organizzativi che consentivano di realizzare a quei tempi prodotti di qualità. Di qui, ad esempio, è partita la ricerca sul territorio di filati in lino particolari, prodotti a mano e con fibra grezza, da impiegare nella produzione predetta che, in coerenza con la logica del lavoro artigiano, è stata condotta nei ritagli di tempo, ricavati dal proprio lavoro o sottratti, a volte, agli impegni familiari. Studi analoghi sono stati condotti necessariamente sui filati di lana impiegati nel tufting e, in questo caso, la fibra doveva possedere caratteristiche specifiche, sia perché la nuova tecnologia sia perché il manufatto realizzato, il tappeto, lo richiedevano: in Italia sono moltissime le aziende che producono filati in lana ma questi sono adatti per il comparto della maglieria, mentre sono molto rare quelle che li fabbricano per essere utilizzati nella produzione di tappeti. Queste ultime si trovano in Sardegna ma realizzano una tipologia di filato, derivato da una lana molto grezza, che mal si adattava al nuovo impiego: è stato, dunque, necessario reperire fornitori che producessero appositamente il filato richiesto ma è a questo punto che si sono incontrate le maggior difficoltà. Inizialmente, non si riusciva a trovare, tra i fornitori, qualcuno che fosse disponibile a pro- durre questo genere di filato nelle modeste quantità e nei pochi colori che normalmente necessitano a un’impresa artigiana: poi una paziente ricerca ha consentito di trovare una soluzione soddisfacente al problema. Nel caso delle lavorazioni eseguite sui manufatti che si rifanno alla tradizione, come tendaggi, arazzi, tovagliati e altri, questa impronta distintiva è, dunque, immediatamente distinguibile nei suoi tratti qualitativi particolarmente evidenti. Nel caso del tufting, utilizzato per la lavorazione dei tappeti, ci troviamo di fronte a una concreta e promettente opportunità di innovare la tradizione consolidata nel settore tessile e di arricchire il patrimonio di cultura locale. Per la terza impresa artigiana esaminata, il lavoro di progettazione, coniugato con i dati provenienti dall’esperienza consolidata negli anni, consente di arrivare a soluzioni che soddisfano le diverse esigenze della clientela e incontrano il suo gradimento. Nel momento in cui si decide di dar vita a una nuova linea di prodotti ci si interroga proprio su questi temi e su come riuscire a conciliare la conservazione di un patrimonio di conoscenze oramai acquisite, sul piano della tradizione e del know how, con l’esigenza di arricchirlo attraverso proposte innovative coerenti. La scelta di avvalersi di una tecnologia specifica, quella che realizza tessuti Jacquard, pone evidentemente dei vincoli dei quali è bene avere piena coscienza per evitare di essere attratti da prospettive o scenari fuori della propria portata. Il titolare dell’azienda spiega che con questa tecnica di tessitura si può ottenere una gamma molto estesa e variata di tessuti che trovano impiego in altrettanti settori (arredamento, biancheria per la casa, tendaggi ecc.): in azienda si è scelto di utilizzare una tipologia particolare di tessitura Jacquard, la tessitura “a pannello”. Si tratta di un sistema di tessitura che è in grado di riprodurre disegni molto complessi ed elaborati partendo da quelli tracciati sul capo che si vuole realizzare dove possono comparire motivi centrali o bordure perimetrali: queste caratteristiche particolari pongono dei limiti oggettivi al processo produttivo che non possono essere elusi. – 77 – TRA TRUCIOLI E TELAI La complessità dei disegni da realizzare e il tipo di filato normalmente utilizzato per questi scopi richiedono l’impiego di velocità di tessitura molto basse che si riflettono sulla quantità del tessuto prodotto nell’unità di tempo: in questo caso, infatti, il lino non sopporta grandi sollecitazioni a trazione e tende facilmente a spezzarsi quando vi è sottoposto. Rispetto al passato, le migliorie introdotte dall’innovazione tecnologica in questo genere di tessitura sono state notevoli e questo fatto sta a testimoniare l’ampiezza di questa evoluzione: i telai che un tempo venivano azionati a mano ora sono governati da unità di controllo elettroniche estremamente sofisticate. La scelta operata in azienda, che consegue da questo continuo aggiornamento tecnico, è stata quella di adeguarsi, per quanto possibile, a questi cambiamenti e di utilizzare questi vantaggi, non tanto per aumentare la quantità della produzione, quanto per migliorarne la qualità: la prospettiva a medio termine sulla quale il titolare dell’azienda sta lavorando è quella di rinnovare le attuali attrezzature di laboratorio installandone altre a tecnologia più avanzata, in grado di risolvere proprio questo genere di problematiche. Altri approfondimenti di carattere tecnico, oltre che culturale, sono necessari nell’ambito della ricerca e nella progettazione di un nuovo prodotto: le motivazioni che inducono a intraprendere queste attività possono essere molteplici ma si avvertono, si intuiscono con largo anticipo. A volte si vuole completare una gamma di prodotti già in produzione e nell’iniziativa si intravede la possibilità di esprimere la propria creatività e la propria fantasia: molto spesso rivisitando i motivi e i decori della tradizione locale che si sono conservati si ricavano suggerimenti e stimoli per disegnare una nuova tovaglia o per studiare un’intera linea di capi coordinati. In altre occasioni, invece, sono le richieste del mercato a spingere nel senso del rinnovamento e, in questi casi, le indicazioni raccolte in questo ambito forniscono, di solito, anche le direzioni verso le quali si deve orientare la progettazione: la tipologia delle materie prime impiegate, quella del tessuto da realizzare, quella della decorazione proposta, quella del capo da confezionare e così via. Il nostro interlocutore è dell’avviso che, la chiave del successo raggiunto, sia l’originalità di quello che si propone alla clientela: articoli particolari che nessuno ha in mente di fare e che evitano accuratamente di riprendere o di imitare le produzioni altrui. Anche questa fase molto importante del ciclo produttivo è supportata da tecnologie avanzate come, ad esempio, le applicazioni del Computer Aided Design (CAD) al settore tessile, ma in azienda questi strumenti vengono utilizzati per verificare la fattibilità del progetto piuttosto di impiegarli per il suo sviluppo: l’intervistato ha imparato dalla madre a servirsi di carta e penna per tracciare i suoi disegni ed è questo il metodo a cui ricorre quando deve materializzare le sue idee. Il passo successivo è quello di sperimentare tecnicamente la possibilità realizzativa del progetto, eseguendo prove su telaio che confermano o meno la sua praticabilità, e il tessuto, a questo punto, è qualcosa di concreto che si può non solo vedere ma, soprattutto, toccare: superato questo ultimo esame potranno essere preparati dei campioni da sottoporre al vaglio della clientela. La progettazione richiede tempi mediamente lunghi anche se a volte capita di centrare da subito gli obiettivi che ci si era proposti: è il caso di articoli che sono entrati in produzione dopo appena un paio di mesi dall’ideazione, ma altri hanno richiesto periodi di più attenta valutazione che si sono protratti per un anno, un anno e mezzo perché i risultati raggiunti non corrispondevano a ciò che il nostro intervistato aveva in testa. Egli stesso cita, ad esempio, il percorso particolarmente impegnativo, sotto vari profili, seguito un paio di anni fa per arrivare alla confezione di un paramento ecclesiastico, la casula, l’antico nome assegnato alla pianeta sacerdotale, costituito essenzialmente da un mantello con cappuccio modernamente rivisitato, che è durato circa un anno ma che si è concluso con sua grande soddisfazione Si trattava di produrre un tessuto particolarmente ricercato, confezionato con filati di seta laminati molto preziosi, destinato alla realizzazione di un capo certamente nuovo, rispetto alla produzione corrente, nel quale si somma- – 78 – IL CONTENUTO DI QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI ESEGUITE SOTTO IL PROFILO ARTISTICO no funzioni molteplici, rispondenti ognuna e in diverso modo, a un preciso scopo pratico e/o simbolico. La casula non è altro che l’abito indossato dal sacerdote per celebrare il rito per antonomasia, nell’ambito della cristianità, la messa, dove le forme del linguaggio gestuale e di quello iconico assumono espressioni codificate e riconoscibili per celebrare la comunicazione dell’uomo con il Divino. Tuttavia, la messa non è il solo evento liturgico in cui viene indossata la casula: la ritualità si estende e sottolinea momenti della vita religiosa molto caratterizzati dal punto di vista dell’atteggiamento emozionale dei partecipanti al rito che esprime, di volta in volta, gioia, dolore, speranza, passione e ogni altro sentimento. Un repertorio di sentimenti che la liturgia ha codificato con particolari colori, assegnando loro una funzione evocativa di un significato e di un significante piuttosto complessi e di non facile comprensione, sia per quanto riguarda la loro dimensione teologica sia per quanto attiene, invece, quella teoretica, ma immediatamente riconoscibili in questa forma, attraverso la percezione visiva. Ecco, allora, che la gioia e il clima di festosità di un evento vengono richiamati dal colore bianco, la mestizia e il dolore di un altro vengono sottolineati dal viola, la passione e l’amore ardente di un altro, ancora, con il rosso e via dicendo: attualmente la casula con fondo bianco e fregi colorati, insieme a quella a fondo verde, è quella più usata nelle celebrazioni rituali festose (Natale e Pasqua ma anche battesimi, matrimoni ecc.) ed è su questo capo inconsueto che si è sviluppato il lavoro di progettazione. In questo caso particolare, si è andati oltre allo studio della tipologia di tessuto da realizzare e dei filati più idonei da utilizzare, per giungere fino alla confezione dell’abito e alla sua rifinitura: il personale impegnato in queste operazioni, eseguite fino a quel momento su tovaglie e tende, si è trovato ad intervenire, forse con maggior attenzione e cura, su un nuovo prodotto. Le ricadute dell’investimento effettuato sulla sua progettazione non si sono fatte attendere ripagandolo positivamente: ora si producono anche tovaglie da altare su misura, parures di servizi da messa che riforniscono punti di vendita situati a Parigi piuttosto che in Australia. La produzione realizzata dall’impresa artigiana si divide in due grandi settori: un primo settore, definibile come “classico”, costituito da un insieme di capi di biancheria per la casa che vengono prodotti in funzione di una domanda di mercato che interessa un’area molto ampia (l’intero territorio nazionale) e che è condizionata, in una certa misura, dalle tendenze della moda. Si tratta di articoli, concepiti e progettati direttamente dal nostro interlocutore in ogni loro dettaglio (anche quello esecutivo) per soddisfare questo genere di domanda, che si ispirano alle tipologie di tessuto tradizionali e/o classiche, normalmente impiegate per la loro confezione nei quali è, tuttavia, riconoscibile la qualità dei motivi decorativi, dei materiali impiegati e delle lavorazioni eseguite in azienda. Un secondo settore di produzione riguarda, invece, quegli articoli che sono stati ricavati da vecchi disegni di tradizione carnica e che interessano un mercato più contenuto, di nicchia, si potrebbe dire, ma certamente più orientato al gusto e alla preziosità che li contraddistingue. Accanto a questi motivi decorativi originali si affiancano quelli che si sono ottenuti da una loro elaborazione, resasi necessaria per adeguarli al gusto di una clientela non strettamente locale e comunque sensibile e attenta a riconoscerne la qualità e la cura con la quale sono stati realizzati. Ciò ha comportato una diversificazione della produzione a seconda della domanda espressa da specifiche aree del mercato nazionale: al Sud del nostro Paese, ad esempio, anche se certi disegni recuperati dalla tradizione carnica non vengono apprezzati, si è riscontrato un notevole interesse degli acquirenti per la tipologia dei capi prodotti e per la loro fattura. In questo caso, si sono adattati disegni e decori in modo da interpretare e da soddisfare questo interesse anche dal punto di vista estetico: lo stesso accade per il Nord dove forse la richiesta di capi fortemente connotati dal punto di vista della tradizione è più marcata. Per la quarta impresa artigiana del settore visitata, sono la fantasia e la creatività della sua titolare a costituire la fonte del suo aggiorna- – 79 – TRA TRUCIOLI E TELAI mento professionale e dipende dai suoi clienti la possibilità di tradurre ciò che ha elaborato astrattamente in colorata, divertente, sbarazzina o elegante realtà. Non sfoglia mai i giornali e le riviste dedicate alla moda, se non in coincidenza del periodo in cui si fanno le sfilate ed è allora che osserva attentamente i modelli proposti e immagina come sarebbero potuti risultare impiegando nella loro confezione la sua stoffa: il fatto di scoprire che probabilmente si sarebbe rivelata adatta per molti di essi la sorprende piacevolmente. In fatto di moda l’intervistata ha le idee molto chiare, nel senso che non si lascia assolutamente condizionare dalle sue seducenti proposte; se, ad esempio, una cliente si rivolge a lei per commissionarle una giacca nera, perché magari in quel periodo le tendenze dettate sono quelle, lei si rifiuta di farla. Piuttosto la indirizza in questo o in quell’altro negozio dove può trovare mille alternative di quel capo tanto in voga perché è solo lì che può essere soddisfatta, mentre invece la caratteristica più evidente delle giacche che lei confeziona è l’estrema variabilità di colori che le compongono. A lei piace miscelare i colori per realizzare un capo che possa essere abbinato gradevolmente e coerentemente con ogni altro perché la sua più grande soddisfazione è vedere le sue creazioni indossate e non lasciate nell’armadio. Al giorno d’oggi, uomini e donne hanno sempre meno tempo da dedicare alla scelta di come abbigliarsi la mattina per andare al lavoro; per questo motivo lei ha pensato di realizzare capi indossabili facilmente, con praticità, senza per questo dover rinunciare a un tocco più o meno marcato di eleganza e di buon gusto. La tradizione tessile a cui si rifanno i capi prodotti dal laboratorio artigiano visitato è quello tipicamente locale, anche se è facile confonderli con quelli della tradizione tirolese: in questo caso, infatti, si commette un grosso errore di fondo perché la lana cotta con la quale vengono realizzati, e che spesso ritroviamo nell’abbigliamento tipico del popolo austriaco, non è originaria di quei luoghi, ma costituita esclusivamente da filati prodotti in Italia, nella città di Firenze. Il termine italiano che la designa è lana gualcata, dal verbo “gualcare” (derivato a sua volta dal termine longobardo walkan, “rotolare”), un sinonimo del verbo “follare”, ad indicare che la fibra naturale ha subito un processo di infeltrimento. Un tempo, a Firenze, negli opifici che si dedicavano a questo tipo di lavorazione, le gualchiere, erano impiegati degli schiavi che trascorrevano la loro giornata a trattare la lana degli ovini locali dentro appositi mulini, dove veniva pestata in continuazione Orinandoci dentro, essi aggiungevano l’ammoniaca necessaria per facilitarne la lavorazione e in tal modo i peli animali, sotto l’effetto del continuo sbattimento, della temperatura e dell’ammoniaca si dilatavano per poi restringersi e amalgamarsi tra loro in un fitto intreccio: la fibra così ottenuta era particolarmente resistente e risultava “gualcata”, infeltrita appunto. Con questo sistema di lavorazione, la stoffa che si realizza, leggera o pesante che sia, permette di ottenere capi di abbigliamento idrorepellenti, termici (perché la lana è già naturalmente termica), antimacchia (perché con uno straccio asciutto si leva qualsiasi macchia) e ignifughi, esaltando in questo modo le sue caratteristiche tipiche. Un tempo, le donne della Carnia realizzavano calzette e maglie con tessuti a maglia del tutto normali e non era necessario cuocerle perché il processo di infeltrimento della lana avveniva attraverso il semplice sfregamento con la pelle intrisa di sudore. La Storia delle tecniche utilizzate nel settore tessile ci porta indietro negli anni e ci fa riscoprire dei veri e propri tesori: noi ora non abbiamo più i problemi degli antichi abitanti di Sumer, in Mesopotamia, gli originari ideatori di queste tecniche, che avevano a che fare con una materia prima naturale ricavata dal vello delle loro greggi. Il loro “saper fare”, affinatosi con il trascorrere del tempo, non è più sufficiente perché attualmente ci si trova a lavorare materiali trattati in chissà quale maniera e questo rende tutto più difficile. Per questo motivo, l’intervistata utilizza raramente, e solo in casi estremi, questo genere di materie prime perché risultano alla fine poco affidabili: il caso delle stoffe realizzate con filati d’angora è emblematico a questo proposito. – 80 – IL CONTENUTO DI QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI ESEGUITE SOTTO IL PROFILO ARTISTICO Questo genere di filato è costituito dal pelo di una particolare razza di coniglio e per sua natura è piuttosto corto: una simile caratteristica determina il fatto che esso sia più difficile da ridurre in filo per cui i suoi produttori, per farlo, lo trattano con dell’olio. Una volta acquistato, prima di essere tessuto in laboratorio, il filato deve essere accuratamente lavato con detersivi appositi per rimuovere quella patina oleosa che, diversamente, renderebbe assai problematica l’esecuzione di quell’operazione. I capi in lana che tendono a perdere peli sotto forma di piccoli agglomerati (la lana fa i “pallini”) si presentano in questo stato non perché la lana è di scarsa qualità ma perché, essendo costituita da velli a pelo corto, può presentare questo tipo di problema a causa di una cattiva filatura. La lana di cashmere, ad esempio, è costituita da peli sottili come la seta e per questo motivo è molto difficile da lavorare per cui è assai probabile che sui capi realizzati con questa fibra naturale compaiano i “pallini” ma la cosa non deve preoccupare eccessivamente perché, dopo due o tre volte che la si spazzola, questo brutto effetto scompare lasciando la lana proprio come seta. Come si può constatare, in quest’azienda artigiana, la tradizione locale ha fatto propri i suggerimenti e le esperienze introdotte nel settore tessile dall’innovazione che hanno consentito in questo modo di riscoprirla e di valorizzarla. Note (70) Vedasi, al proposito, il Capitolo 3 del presente volume. (71) Cfr. GRI G. P., “Tessere tela, tessere simboli. Antropologia e storia dell’abbigliamento in area alpina”, cit. – 81 – 7. Le destinazioni di mercato dei manufatti prodotti e/o dei servizi resi 7.1 Settore di attività relativi alle lavorazioni del legno Per motivazioni diverse, gli artigiani carnici, che operano nei settori delle lavorazioni del legno, distribuiscono la loro produzione soprattutto su mercati locali, come si può rilevare dalle destinazioni di mercato dei manufatti realizzati nei loro laboratori. (TAB. 5) TAB. 5 - Imprese artigiane del settore ligneo prese in esame. Motivazioni del loro posizionamento di mercato. CASI MOTIVAZIONI * 1 2 3 Problemi di distribuzione x x Visibilità limitata/Scarsa promozione x x Mercato marginale/nicchia 4 5 x x x x x x x x x x x x 6 7 8 9 x x x x x x x x x Scarso valore aggiunto per prodotto Elevata competitività x x Altra (*) Max 3 L’impresa artigiana che opera nel comparto della fabbricazione di carpenteria (Caso 1) soddisfa con la sua produzione un’area di mercato prevalentemente regionale e una clientela costituita in gran parte da committenti privati: inoltre, una quota piuttosto limitata (20%) della stessa è destinata al magazzino. L’attuale posizionamento di mercato è dovuto principalmente a problemi di distribuzione, di visibilità limitata della produzione realizzata e alla forte competitività esercitata dagli operatori del comparto della vicina Austria. Con il passare degli anni, la produzione iniziale dell’impresa, legata ai manufatti tradizionali ottenuti dalla segagione del legno, è andata via via riducendosi ed è stata sostituita sistematicamente con quella del legno lamellare. Una scelta strategica certamente lungimirante ma molto rischiosa per quei tempi, visto che andava contro corrente: il titolare dell’impresa, tra i primi in Friuli-Venezia Giulia a proporre tale innovazione, ricorda di aver testardamente perseguito i suoi intendimenti, nonostante gli operatori della zona lo criticassero e cercassero di dissuaderlo da tale proposito. Iniziò a collaborare con studi tecnici di progettazione e professionisti impegnati nel settore delle costruzioni che avevano cominciato a utilizzare il nuovo materiale nei loro lavori: la possibilità di sviluppo dell’azienda era inevitabilmente legata alla costruzione e al consolidamento di tale rapporto che si rivelò in seguito molto proficuo. La collaborazione professionale avviata rappresenta attualmente la forza propulsiva che anima la ricerca e lo sviluppo dell’impresa: l’intervistato sperimenta in continuazione nuovi materiali e sta lavorando alacremente alla realizzazione di un prototipo di abitazione costruita interamente in legno lamellare che, superate le prove e i tests di conformità alla normativa vigente, verrà brevettato. Nel comparto della fabbricazione di mobili, i manufatti prodotti dalle imprese artigiane visitate (Casi 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9) sono realizzati generalmente su commessa e soddisfano una – 83 – TRA TRUCIOLI E TELAI domanda costituita essenzialmente da privati: spesso il cliente arriva nei laboratori delle imprese visitate con le idee ben chiare per cui gli artigiani incontrati si limitano ad eseguire ciò che viene loro richiesto. Molto spesso, in tali occasioni essi intervengono dando qualche piccolo consiglio, suggerendo qualche dettaglio, sia nell’immediato che in fase di lavorazione, ma niente di più. Altre volte, invece, il loro lavoro viene anche integrato da una vera e propria consulenza, andando a fare delle misurazioni a casa del cliente, cercando di offrire qualche consiglio, realizzando schizzi esemplificativi per dare un’idea più precisa e chiara del risultato finale: dopo di che hanno inizio i lavori veri e propri. Attualmente, con l’ausilio dei moderni mezzi informatici e con del software apposito (Autocad), alcune aziende facilitano il percorso immaginativo dei loro clienti anticipando virtualmente il succedersi delle varie fasi della progettazione con rappresentazioni grafiche anche molto elaborate. Si agisce in modo del tutto analogo anche quando si tratta di procedere alla la scelta dei materiali da impiegare nella costruzione dei manufatti: se un cliente ha una precisa esigenza, non si fa altro che soddisfarla, mentre, invece, se non si è chiarito a sufficienza le idee a questo proposito, si possono realizzare componenti che si abbinano facilmente all’arredo preesistente, altrimenti gli si mostra una campionatura delle essenze lignee disponibili, attraverso cui è possibile orientare maggiormente le sue scelte. La visibilità di mercato della loro produzione è piuttosto limitata e i canali informativi attraverso i quali vengono raggiunte continuano a rimanere quelli del “passa parola” tra conoscenti ed estimatori: rilevano che il mercato in Carnia è oramai poco sensibile ad accogliere i loro prodotti e si rivolge ad altri di qualità mediocre. Il grosso problema che ostacola l’espansione economico-produttiva delle imprese artigiane della zona è costituito dalla sua ubicazione fortemente decentrata rispetto alle direttrici normalmente percorse dai flussi turistici. La gente si orienta verso soluzioni d’arredo diverse, certamente lontane da quelli che sono i canoni e il gusto della tradizione, soprattutto perché non riesce a comprendere il vero significato del rapporto qualità-prezzo. Capita più raramente, invece, che la committenza sia costituita da architetti o da studi di professionisti associati che si dedicano ai temi dell’arredamento per conto di terzi. Al giorno d’oggi, infatti, può accadere che, lavorando in stretta associazione con studi d’architettura o con aziende a capo di grandi commesse, per le quali è una prassi commissionare lavori particolari solo ed esclusivamente a ditte artigiane di settore, sia più facile espandere il proprio campo d’azione anche al di fuori della propria realtà. Il mercato ha un’estensione prevalentemente regionale e, in questo ambito, si concentra nei grandi centri urbani, come Udine e Trieste: a volte quest’area si amplia con richieste che provengono dall’intero territorio nazionale e in alcuni casi, peraltro limitati, dall’estero. L’allargamento dell’area di mercato nella quale viene collocata questa categoria di manufatti, più precisamente di quelli di maggior pregio artistico, tradizionale e tipico, è conseguente a un processo di diffusione che si è sviluppato attraverso sistemi e canali informativi di potenzialità limitata ma estremamente efficaci, e che ha proposto, a clienti molto attenti e sensibili alla qualità, un’immagine delle aziende artigiane produttrici particolarmente forte sotto il profilo della competenza, della coerenza e dell’affidabilità. Nel comparto relativo alla fabbricazione di serramenti, la produzione realizzata delle imprese artigiane incontrate (Casi 3, 8, 9) è distribuita prevalentemente sul mercato regionale e talvolta anche su quello nazionale. Esse devono confrontarsi quotidianamente con la concorrenza esercitata sul mercato dai prodotti realizzati dalle grandi industrie del comparto, sebbene la qualità esecutiva dei serramenti, anche in virtù di questa accanita competizione, sia notevolmente migliorata: la loro produzione si è rapidamente adeguata agli “standard” di mercato, sia per quanto riguarda le forme e le innovazioni tecnologiche introdotte sia per quanto riguarda la loro rispondenza alle normative europee. Un minaccia, in fatto di concorrenza, è rappresentata dalle grandi imprese impegnate nella – 84 – LE DESTINAZIONI DI MERCATO DEI MANUFATTI PRODOTTI E/O DEI SERVIZI RESI realizzazione di grandi opere edili per uso civile, industriale o di servizi perché l’organizzazione dei loro cantieri tende ad esclude, a priori, il coinvolgimento di imprese artigiane e a privilegiare le forniture proposte da altri operatori. In questo ambito sono coinvolte falegnamerie industriali che producono serramenti in serie e che ultimamente sono sconfinate nel mercato solitamente occupato dalle imprese artigiane perché dotate di macchinari adatti a realizzarne piccole quantità. A questo problema si aggiungono quelli relativi alle difficoltà di distribuzione della produzione su un territorio più vasto, alla limitata visibilità della loro immagine e alla scarsa promozione dei loro prodotti: si tratta di ostacoli che le aziende artigiane incontrate, con le sole risorse interne, non riescono a superare. Nel comparto della fabbricazione di oggettistica varia, l’impresa artigiana che si dedica a questo genere di produzione (Caso 3) distribuisce i suoi manufatti principalmente in ambito regionale, attraverso canali che privilegiano la loro vendita diretta su fiere e mercati locali. Il suo titolare riferisce di aver avuto dei contatti commerciali sia con le altre regioni italiane sia con altri Paesi, in particolare con l’Austria, ma che si è sempre trattato di rapporti occasionali, basati più sulla vendita al dettaglio che su un rapporto di scambio continuativo. I manufatti immessi sul mercato, pur avendo caratteristiche di qualità, entrano in competizione con quelli realizzati da “hobbisti” o con quelli che vengono importati da altri Paesi, dove i costi di produzione sono molto bassi, per essere venduti qui da noi a prezzi stracciati. È inevitabile che certe produzioni vengano imitate, che certi oggetti vengano migliorati e che il loro costo venga abbassato: per tenere la posizione conquistata bisogna continuare nel processo di innovazione della produzione e del prodotto. Molto spesso, però, questi prodotti mancano di originalità e non hanno alcuna caratteristica particolare che recuperi i tratti e le connotazioni tipiche della tradizione carnica, per cui il valore aggiunto che potrebbe derivarne è praticamente irrilevante. Di fronte a queste situazioni ci si trova spiazzati dal punto di vista economico, si raccolgono le briciole rimaste e si occupa una piccola nicchia in cui ci si limita a fare quei piccoli lavori originali e di qualità che richiedono però molto tempo e, alla fine, sono poco remunerativi. Sono questi i motivi che inducono l’impresa artigiana a ricercare nuove prospettive di sviluppo per la sua attività, attraverso una diversificazione produttiva orientata verso il comparto della fabbricazione di serramenti. Nel comparto relativo all’esecuzione di interventi di restauro, infine, le imprese artigiane prese in esame (Casi 2, 4, 5) forniscono in prevalenza i loro servizi a un mercato di estensione regionale, con occasionali incursioni su quello nazionale e, per prossimità, su quello internazionale (Austria). La committenza è costituita quasi esclusivamente da una clientela privata che richiede le loro prestazioni per intervenire su manufatti d’epoca e non sui quali vengono effettuate operazioni specialistiche che tendono al loro recupero conservativo: purtroppo è del tutto assente la domanda di questo genere di servizi da parte del settore pubblico, in particolare dalle Sovrintendenze ai beni culturali della regione. La Sovrintendenza di Udine, ben conosciuta dalla titolare di una delle imprese visitate (Caso 5) per via dei suoi studi universitari, opera con un numero limitato di propri restauratori che devono intervenire su un patrimonio sterminato di beni che solo da pochi anni comincia ad essere valorizzato e che necessiterebbe di interventi conservativi, e, a differenza di quella di Trieste, ha finora evitato di affidare l’esecuzione di questi lavori a privati: il risultato (beffardo per un bravo restauratore) è quello di assistere impotenti (così sembrerebbe) al suo irreversibile degrado. Ciò potrebbe essere evitato, soprattutto se venissero individuati gli artigiani e i professionisti veramente capaci di farli a regola d’arte, nel pieno rispetto dei protocolli ufficiali di intervento: a questo proposito, appare significativa l’esperienza vissuta di recente dall’intervistata che, in occasione del bando di concorsi pubblici per il restauro di intere sezioni museali, non ha potuto parteciparvi per problemi di scarsa e corretta visibilità di mercato. In realtà, il disguido era dovuto al fatto che i committenti non erano potuti risalire alle atti- – 85 – TRA TRUCIOLI E TELAI vità svolte dalla sua azienda e da quella della sua collega (Caso 4) perché queste risultano assurdamente classificate negli elenchi ufficiali delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura come le attività praticate da “finitori di mobili in legno”: per questo e altri motivi occorre che la professionalità artigiana di qualità venga finalmente riconosciuta pubblicamente. Si eviterebbe in tal modo di alimentare la concorrenza tra professionisti del comparto e operatori improvvisati e inesperti che sempre più spesso si affacciano sul mercato, attratti da prospettive di facile guadagno, e si tutelerebbe maggiormente il consumatore da spiacevoli esperienze. Quello antiquario, avvertono i nostri interlocutori, è un mercato vivacissimo in cui è molto facile e frequente, per il neofita o per la persona inesperta, incorrere in vere e proprie buggerature: sembra che per alcuni artigiani del comparto sia altrettanto facile venire molto sovente a patti con i principi fondamentali della loro etica professionale. Il restauro di strumenti musicali ad arco, infine, eseguito da una delle imprese artigiane incontrate (Caso 2) occupa una nicchia di mercato con caratteristiche proprie, spesso estranee a vincoli di natura geografica o territoriale, nella quale, a volte, sono l’esclusività e l’eccellenza a prevalere, altre volte, invece, le barriere protezionistiche poste da certi ambienti. Capita, allora, che sia molto difficile vendere uno strumento ad un allievo di Conservatorio, perché questi, per i suoi acquisti, viene indirizzato verso costruttori accreditati presso tali strutture, mentre è più agevole farlo con un musicista più o meno affermato che risiede in zona, piuttosto che in Austria o in Paesi oltre oceano: in ogni caso, si tratta di strumenti realizzati e/o restaurati su commessa di privati. 7.2 Settore di attività relativi alle lavorazioni tessili Il posizionamento di mercato delle imprese artigiane contattate che operano nel comparto della fabbricazione di arazzi e tappeti è piuttosto vario e crediamo che ciò possa dipendere principalmente dalla tipologia dei manufatti prodotti e dalla loro localizzazione territoriale. (TAB. 6) TAB. 6 - Imprese artigiane del settore tessile prese in esame. Motivazioni del loro posizionamento di mercato. CASI MOTIVAZIONI* 10 11 12 13 Mercato marginale/nicchia x x Problemi di distribuzione x x x x Visibilità limitata/Scarsa promozione x x x x Scarso valore aggiunto per prodotto Elevata competitività x x Altra (*) Max 3 Per una di esse (Caso12), l’intera produzione è destinata al consumatore finale rappresentato, in questo caso, dal turista che visita brevemente la località montana nella quale l’azienda svolge la propria attività o vi trascorre un periodo di vacanza in estate (più frequentemente) o in inverno (più raramente). Nel periodo estivo capita molto spesso che, dopo aver visionato il laboratorio e i manufatti esposti e aver deciso un primo acquisto, il turista dimostri il suo interesse per qualche articolo che in quel momento non è disponibile o è impossibile realizzare: si trasforma allora in committente che ordina la merce richiesta – 86 – LE DESTINAZIONI DI MERCATO DEI MANUFATTI PRODOTTI E/O DEI SERVIZI RESI e che la riceverà direttamente a casa qualche mese dopo. Gli ordinativi di questo genere vengono raccolti ad iniziare dal mese di luglio e proseguono fino alla fine della stagione estiva: nei mesi autunnali l’attività in azienda riprende a gran ritmo per poter effettuare le consegne alla fine di ottobre e prosegue in quelli invernali e primaverili per ricostituire le scorte di magazzino. Arazzi e tappeti rientrano in una produzione diversificata che comprende anche altri manufatti, come la tovaglieria per usi domestici e capi d’abbigliamento, ma è la loro realizzazione che risulta essere particolarmente impegnativa. In passato si è tentata una distribuzione dei manufatti prodotti in un ambito più ampio di quello strettamente locale, presso negozi del fondovalle particolarmente attenti a questo genere di produzione, ma alla fine l’intermediazione è risultata troppo onerosa, sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo organizzativo, e attualmente ha una rilevanza estremamente ridotta. Il mercato a cui si rivolge l’azienda presa in esame è, dunque, un mercato locale di nicchia, riservato a manufatti di elevata qualità nel quale prevale la componente rappresentata da una domanda esterna collegata ai flussi turistici che interessano la Carnia. Una seconda impresa artigiana del comparto (Caso 11), pur avendo sede in un comune montano, non produce per il magazzino come accade per altre imprese del settore, operanti in quest’area del Friuli e situate in località frequentate stagionalmente da flussi turistici, che invece hanno questa specifica esigenza per soddisfare questo genere di domanda. Purtroppo, la località nella quale svolge la sua attività non è stato finora metà di una frequentazione turistica significativa, neanche attraverso l’avvio di iniziative appositamente studiate e predisposte in questo senso (“Gira Carnia”) dagli Enti e dalle Istituzioni preposte a tale scopo, e una scelta orientata nel senso predetto sarebbe risultata ingiustificata e particolarmente onerosa. La titolare dell’azienda, fin dagli inizi della sua attività, ha dovuto cercare la clientela principalmente al di fuori del contesto locale che, da solo, non avrebbe assicurato la sopravvivenza e la possibilità di sviluppo della sua impresa. La tipologia stessa dei manufatti prodotti, inoltre, è del tutto particolare sia per le sue caratteristiche funzionali sia per quelle estetiche: molto spesso si tratta di pezzi unici realizzati da artisti, arredatori, architetti, stilisti, galleristi, mercanti d’arte ecc. che le affidano la realizzazione dei loro “cartoni” e dei loro progetti oppure è lei stessa che propone loro delle sue creazioni. Quella occupata è una nicchia di mercato molto esclusiva, di fascia medio-alta, dove la qualità dei prodotti fabbricati deve raggiungere e mantenere nel tempo livelli di assoluta eccellenza sotto ogni punto di vista: tali prodotti vengono venduti principalmente in Italia, ma alcune commesse sono giunte anche da Paesi esteri come gli Stati Uniti, la Germania, l’Inghilterra. Il conseguimento di questo prestigioso traguardo ha richiesto sforzi e sacrifici notevolissimi, sopportati e superati dall’intervistata grazie alla sua tenace determinazione e alla sua elevatissima professionalità: da qualche tempo, ci confida con meritata soddisfazione, arrivano in paese personaggi importanti, nel campo dell’arte piuttosto che in quello del design, che, venuti a conoscenza dell’attività svolta, vogliono visitare l’azienda e avviare rapporti di collaborazione. Per la terza impresa artigiana visitata (Caso 13), la produzione di arazzi e tappeti è secondaria e non risulta determinante per spiegare il suo attuale posizionamento di mercato: ad ogni modo, la sua collocazione in questo ambito verrà esaminata tra breve. Nel comparto della fabbricazione di biancheria per la casa, l’impresa artigiana presa in esame (Caso 10) destina il 95% della sua produzione al territorio nazionale: una buona area di mercato è proprio quella regionale dove la sua attività è forse più conosciuta ed apprezzata. Il Nord Italia invece è meno sensibile al genere di articoli che viene realizzato in azienda e ciò è probabilmente dovuto alle profonde trasformazioni subite dagli attuali stili di vita che stanno mutando radicalmente quelli del passato, decisamente più ancorati alla tradizione classica. Esistono, comunque, aree del Paese che si dimostrano ancora troppo poco ricettive nei – 87 – TRA TRUCIOLI E TELAI confronti di questi prodotti ma rappresentano un mercato potenziale: il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, sono aree nelle quali esiste già una tradizione tessile piuttosto marcata ed è normale aspettarsi che la gente preferisca generalmente acquistare gli articoli prodotti in loco per motivi perfettamente comprensibili (prezzo, affettività, tradizione ecc.) Il titolare ha osservato però che i prodotti realizzati dalla sua azienda, fortemente connotati dal punto di vista della tradizione locale, carnica in particolare, esercitano una notevole attrazione su qualunque mercato: magari non vengono venduti in Piemonte, ma i piemontesi che vengono in Carnia o che hanno l’opportunità di conoscere e di apprezzare i suoi prodotti ne fanno incetta. Il Sud dell’Italia, invece, è quella che soddisfa maggiormente le aspettative del nostro interlocutore perché esistono delle attenzioni particolari riservate alla tavola, al corredo, alla biancheria per la casa molto più forti che altrove e di conseguenza la commercializzazione di questi articoli è molto buona in Puglia, in Sicilia, in Campania, un po’ meno, in Abruzzo. Limitatamente ad alcuni di essi, le vendite sono molto buone in Umbria, un’area di mercato certamente difficile visto che in questa regione la tradizione tessile locale, artistica e di qualità, ha ispirato, fin dal Medioevo, quelle sviluppatesi successivamente nelle varie aree del Paese: alcuni esemplari di manufatti realizzati con motivi decorativi provenienti da questa regione sono attualmente conservati nel Museo delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo, a testimonianza della notorietà e del prestigio godute a quel tempo dal suo artigianato in questo specifico settore di attività. Nel comparto della fabbricazione di tessuti a maglia e confezione, infine, la titolare dell’impresa artigiana presa in esame (Caso 13), attraverso il punto vendita di sua proprietà aperto molti anni fa in una località rivierasca molto conosciuta, riesce a commercializzare gran parte della produzione realizzata nel laboratorio della località montana nella quale ha sede l’azienda. Le vendite, di per sé molto soddisfacenti, oltre a questo ambito locale, si estendono anche all’intero territorio regionale e a quello nazio- nale per soddisfare una clientela di fascia medio-alta che ama (o ha imparato ad amare) manufatti di questo genere, nei quali emerge la qualità, l’eleganza, l’esclusività, il gusto. Le sue creazioni, molto note tra gli stilisti di moda e tra gli operatori del settore, sono visibili, oltre che in laboratorio e nel negozio citato, anche sul sito Internet dedicato all’attività d’impresa. Un tempo, alcuni capi venivano affidati in conto vendita a delle boutiques di prestigio che, senza motivo apparente, ritardavano sistematicamente i pagamenti; l’intervistata, in breve tempo, ha scoperto che le sue giacche, esposte puntualmente in vetrina, servivano da richiamo per la clientela alla quale venivano venduti però altri capi: a quel punto, stanca dei raggiri, ha pensato, com’è nel suo carattere, di fare da sé e, dobbiamo dire, che c’è riuscita con ottimi risultati. Per promuovere le sue creazioni in un ambito di mercato più vasto ha investito molto in pubblicità, utilizzando a questo proposito canali informativi diversificati come, ad esempio, Internet, riviste specializzate sia italiane che estere, televisione ecc.: per aumentarne ulteriormente la visibilità, l’intervistata ritiene che sarebbe necessaria una persona che dedicasse tutto il suo tempo a curare solo questi aspetti dell’attività e lei, da sola, non può farlo evidentemente. Afferma, con sfumata civetteria, di essere molto brava a vendere i suoi capi direttamente ai suoi clienti perché con loro si stabilisce un rapporto fiduciario, attraverso il quale passano, con sua grande soddisfazione, i suoi consigli e i suoi suggerimenti: con i proprietari di negozi e di boutiques, come abbiamo visto, il rapporto è più problematico e diventa impossibile ed irritante per lei, se dimostrano di non saper dovutamente e giustamente apprezzare i suoi lavori. La qualità, se di questo effettivamente si tratta, deve essere riconoscibile e va riconosciuta in modo tale che venga immediatamente individuata sul mercato e, a quel punto, troverà la sua più adatta collocazione. Gli artigiani che hanno coscienza di ciò e che producono manufatti di questo genere hanno tutto l’interesse a mantenere un giusto equili- – 88 – LE DESTINAZIONI DI MERCATO DEI MANUFATTI PRODOTTI E/O DEI SERVIZI RESI brio fra qualità e prezzo, per cui sarà difficile che si prestino ad aumentare la produzione per soddisfare richieste che ne comprometterebbero la validità, ed è anche per questo motivo che i professionisti del settore vogliono lavorare solo con certe nicchie di mercato. La nostra interlocutrice ama talmente tanto il suo lavoro che spesso vende le sue creazioni a prezzi forse un po’ troppo inferiori a quelli di mercato, ma il suo vero guadagno sta nell’acquisto delle ottime materie prime che impiega per realizzarle perché sa dove trovarle e dove comprarle convenientemente: ad esse aggiunge il suo lavoro, che non ha un costo vero e proprio, in quanto non viene percepito come un sacrificio ma, piuttosto, come un’attività estremamente piacevole e gratificante. – 89 – 8. Le azioni da intraprendere per il sostegno e lo sviluppo dei settori artigiani indagati Le valutazioni espresse dai titolari delle imprese artigiane, che operano nei diversi comparti dei due settori di attività indagati, in merito alle iniziative che la Regione Friuli-Venezia Giulia potrebbe intraprendere per il sostegno e lo sviluppo dell’artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo di qualità, sono concordi nel ritenere tale intervento molto opportuno e sottolineano con forza la necessità di effettuarlo al più presto. (TAB. 7) TAB. 7 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Livelli di opportunità delle azioni di sostegno e sviluppo, eventualmente intraprese dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, a favore dell’artigianato di qualità. CASI LIVELLI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Molto opportuno x x x x x x x x x x x x x Abbastanza opportuno Poco opportuno Non opportuno Nelle varie proposte avanzate è riconoscibile un denominatore comune, che privilegia i vari aspetti qualitativi e di innovazione delle azioni da compiere, per agevolare e per valorizzare l’artigianato di qualità della regione nel suo insieme. Ognuno di essi presenta delle peculiarità particolari che dovrebbero essere preventivamente analizzate, studiate e documentate con molta attenzione per essere successivamente proposte a potenziali interlocutori nazionali ed internazionali scelti con la medesima cura. Per agevolare l’incontro tra domanda ed offerta occorre conoscere il mercato dal punto di vista quantitativo, ma anche da quello qualitativo e l’artigianato di eccellenza, sotto il profilo artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, può e deve offrire solo qualità. Poter disporre di indicazioni affidabili sui fabbisogni di una domanda allargata al mercato nazionale ed internazionale non è certo alla portata del singolo artigiano o delle Associazioni di categoria che lo rappresentano: è in questo ambito che la Regione FriuliVenezia Giulia potrebbe intervenire promuovendo e predisponendo, dal punto di vista organizzativo, vere e proprie operazioni di strategic marketing, riservate ai singoli settori di attività artigiana e ai relativi comparti. Come si diceva, ognuno di essi ha delle precise connotazioni, che traspaiono con evidenza dai suggerimenti raccolti e che vengono riportate di seguito. 8.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni del legno Dal comparto della fabbricazione di carpenteria proviene la richiesta, rivolta in particolare all’Amministrazione regionale, di porre maggiore attenzione alle problematiche di un settore produttivo strategico e in crescita. In questo caso, gli interventi dovrebbero essere di tutt’altra natura, rispetto a quelli che vengono solitamente proposti, perché si tratta di sostenere un settore fortemente innovativo nel quale l’esigenza di una maggiore affermazione è fondamentale per il suo sviluppo. Nel nostro Paese non si presta particolare cura a tale genere di problematiche e gli imprenditori che lavorano in questo senso sono lasciati soli, devono provvedere ad ogni cosa quando addirittura non vengono ostacolati in vario modo, pur sapendo che delle eventuali benefiche ricadute sull’economia locale (e non solo) ne trarrebbero vantaggio tutti – 91 – TRA TRUCIOLI E TELAI quanti, anche coloro che si dimostrano restii al cambiamento. Nell’area in cui opera l’azienda vengono privilegiate prospettive di sviluppo locale poco credibili che prevedono interventi di operatori economici esterni e che appaiono finalizzate a raggiungere obiettivi meramente speculativi piuttosto che il rilancio dell’economia dell’intera valle. La logica di basare lo sviluppo locale su un’economia di servizi, che, anche a seguito della caduta delle barriere doganali in ambito europeo, si è fortemente ridimensionata e che ha ridotto fortemente i livelli occupazionali, dovrebbe essere rivista e corretta nel senso di rivitalizzare e sostenere quella fondata sulle attività manifatturiere e, in particolare, viste le caratteristiche di quest’area montana, su quelle artigiane innovative e di qualità. Basterebbe documentarsi e informarsi maggiormente su ciò che stanno facendo, in questo senso, altri Paesi europei che, attraverso le loro politiche e le loro iniziative, si dimostrano particolarmente attenti e sensibili a tali trasformazioni, soprattutto se offrono l’opportunità di rilanciare lo sviluppo di aree in crisi. L’Austria, ad esempio, nel settore del legno lamellare ha fatto passi in avanti straordinari, sia dal punto di vista della ricerca tecnologica e sperimentale sia dal punto di vista di una normativa rigorosa in fatto di impatto ambientale, per evitare i rischi di alterazione e di degrado Il sistema di costruire case, realizzate interamente con questo materiale, è oramai molto avanzato perché supportato fin dall’inizio delle sperimentazioni intraprese molti anni fa dalla competenza specifica di Organismi tecnici e dalla intenzionalità dichiarata di Istituzioni pubbliche che, oltre a fornire il loro sostegno nella messa a punto del sistema stesso, si fanno carico di effettuare le valutazioni e i controlli necessari per garantire la sua efficienza, la sua efficacia, la sua affidabilità e per individuare e correggere la sua eventuale vulnerabilità. Valutazioni e controlli molto accurati e precisi che servono ad accertare se la costruzione è stata fatta secondo i criteri prestabiliti per rispondere ai requisiti che consentono di riconoscerla come eco-compatibile e a basso con- sumo energetico e di assegnare al proprietario una serie di agevolazioni e di incentivi. In Italia, invece, si è ben lontani dal concepire una procedura del genere e il tutto si riduce ad applicare la normativa esistente in modo blando e approssimato: si compila un modulo da presentare all’Ufficio Tecnico del Comune in cui è stata realizzata la costruzione e tutto finisce lì! Non esistono Organismi e professionalità preposte a controllare quello che è stato fatto e, tanto meno, a verificare sul cantiere se ciò che è stato dichiarato risponde a verità: in questo caso, lo stesso importante e delicato problema, viene affrontato e risolto in modo approssimato e sbrigativo, nel senso che si è badato più alla forma che al contenuto. La normativa nazionale in materia è stata giustamente recepita da quella regionale ma nulla si è fatto in concreto per procedere a una sua corretta applicazione, mentre sarebbe perlomeno auspicabile che ciò venisse fatto in modo rigoroso e sistematico. La Regione Friuli-Venezia Giulia, a questo proposito, potrebbe fare certamente molto, sia sul piano della formazione professionale degli operatori del settore sia sul piano delle verifiche e dei controlli ai quali sottoporlo, con iniziative ed interventi mirati. In Trentino-Alto Adige, ad esempio, si è pensato di lavorare sul primo versante fornendo servizi adeguati per soddisfare, ai vari livelli, il fabbisogno formativo esistente nel campo delle lavorazioni del legno giungendo addirittura all’istituzione di corsi universitari: il nipote dell’intervistato, oramai coinvolto nei disegni di sviluppo dell’impresa familiare, seguirà un percorso formativo, dedicato all’argomento, della durata di sei mesi, senza avere, peraltro, la certezza che l’esperienza formativa effettuata gli venga ufficialmente riconosciuta come facente parte del suo piano di studi. Per quanto concerne, invece, il versante delle verifiche e dei controlli, la realtà regionale dispone di un organismo di certificazione che si occupa esclusivamente del settore della fabbricazione di mobili, mentre quello in cui opera il nostro interlocutore avrebbe bisogno di un riferimento del genere, soprattutto per il supporto tecnico-scientifico che potrebbe dare – 92 – LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI allo studio, alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi materiali da costruzione. In questo ambito, il confronto di mercato tra gli operatori, avviene oramai su queste basi, nel senso che i prodotti presentati alla clientela devono rispondere inequivocabilmente a determinate caratteristiche tecnico-strutturali che devono essere certificate da organismi preposti a farlo: in Friuli-Venezia Giulia questo genere di servizi è assolutamente carente e sarebbe certamente vantaggioso per tutto il settore poterne disporre. A proposito dell’attribuzione di un eventuale riconoscimento delle attività artigiane d’eccellenza, attraverso un apposito marchio di qualità, il nostro interlocutore si dichiara pienamente d’accordo, ma ritiene, per quanto appena detto, che la stessa sia al momento del tutto inefficace perché mancano, sia sul versante degli operatori del settore coinvolti sia su quello delle Istituzioni pubbliche interessate, le premesse tecniche e culturali per recepirla e per renderla credibile. Nella costruzione di mobili, a giudizio delle imprese artigiane contattate, le azioni da intraprendere sono quelle di promuovere la loro attività presso la potenziale clientela in Italia e all’Estero che va ricercata, selezionata, assistita attraverso strutture organizzative complesse, che rendano meno aleatorie le prospettive di eventuali ricadute economiche Un insieme di servizi specularmente offerti anche agli operatori del comparto, per i quali è richiesto un profondo mutamento nel modo di fare il loro mestiere e un radicale cambiamento della mentalità con la quale hanno affrontato, finora, il loro lavoro. Le manifestazioni tradizionali, anche di rilievo, organizzate attualmente non hanno mai raggiunto gli obiettivi economici sperati dagli operatori del comparto che vi hanno partecipato perché questi ultimi non si rivolgono a un mercato di massa ma destinano, quasi per intero, la loro produzione ad una precisa committenza. Sarebbe, dunque, più utile e proficuo organizzare manifestazioni mirate alla presentazione dei loro prodotti a questa categoria di utenza e valutare contemporaneamente le potenzialità produttive delle aziende che vi partecipano: è inutile alimentare sul mercato una domanda di prodotti di elevata qualità che non può essere poi soddisfatta in tempi ragionevoli o che comporta problemi organizzativi, sul piano della distribuzione e della logistica, particolarmente complessi. È bene precisare che, a livello locale, le lavorazioni del legno costituiscono ancora una quota rilevante e significativa delle attività manifatturiere ma, a monte e valle del ciclo di trasformazione della materia prima, la filiera produttiva presenta evidenti lacune, in particolare nel il sistema delle forniture. Da questo punto di vista, invece, sarebbero molto utile poter usufruire delle opportunità offerte da un organismo pubblico come la Regione Friuli-Venezia Giulia, per accedere più agevolmente alle informazioni necessarie (cataloghi, annuari, repertori merceologici e altre) per il loro reperimento sotto forma di servizi specialistici, predisposti e destinati alle imprese artigiane del comparto. Uno di questi potrebbe essere l’istituzione di un capillare sistema di aggiornamento professionale a favore degli artigiani che operano in questi ambiti: anche se l’artigianato affonda le sue radici nella tradizione ciò non toglie che, per crescere professionalmente, una buona dose di energie debba essere spesa e investita guardando con particolare sensibilità e attenzione agli aspetti di ricerca e di innovazione che li riguardano. Molti artigiani, infatti, non hanno la possibilità di andare alle manifestazioni organizzate in questo senso o di accedere agli strumenti e alle opportunità che consentirebbero di seguire la loro evoluzione e, in ragione di ciò, molto spesso essi rimangono attardati o addirittura estranei rispetto al naturale processo di trasformazione che investe la loro professionalità e alla possibilità di accedere alle nuove soluzioni. Se si considera, inoltre, che nella maggior parte dei casi la media degli occupati nelle aziende artigiane del comparto è limitata, come abbiamo visto, ad alcune unità, il rischio di deludere le richieste di una domanda più ampia di quella attuale è notevole e si accompagna a quello di perdere o di offrire ad altri importanti quote di mercato. Per promuovere le attività del comparto, dunque, non sarebbero necessarie molte iniziative, – 93 – TRA TRUCIOLI E TELAI ne basterebbero poche ma molto mirate come quella, ad esempio, di poter contare su mostre permanenti e/o spazi espositivi, allestiti nelle città e nei luoghi di maggior transito o segnalati come mete di itinerari alternativi, inseriti nei circuiti del turismo organizzato (tour operators). I percorsi dovrebbero essere studiati attentamente nei vari dettagli ed essere orientati a far conoscere la pluralità delle risorse reperibili e fruibili (storia, ambiente, arte, religiosità, economia, cultura, folclore, enogastronomia, ricettività alberghiera, servizi di pubblica utilità e così via) nelle aree montane in cui si è conservato un artigianato di qualità legato alla tradizione, attraverso i quali il visitatore potrebbe apprezzare non solo i manufatti che gli sono propri, ma anche quelli realizzati a seguito di una sua più recente evoluzione. A tal proposito, viene suggerita l’organizzazione di iniziative concorsuali tra architetti e designers per la messa a confronto e la definizione di nuovi stili che, se apprezzati dal mercato, rappresenterebbero una sicura opportunità di rilancio delle attività asfittiche di questo specifico comparto, ma anche di una miriade di attività indotte. È la moda a dettare le regole del mercato e gli architetti ne sono gli artefici, per cui ignorarla vorrebbe dire porsi al di fuori di questo contesto e si potrebbero facilmente immaginare le inevitabili e tristi conseguenze che graverebbero sulle imprese artigiane incontrate. Sulla base delle tendenze sospinte con forza dal mercato, la gente propende a credere che quelle rappresentino l’idea di ciò che è bello, senza rendersi conto che si tratta, invece, di suggerimenti fuorvianti, mirati ad allontanare sempre più il gusto da quelli che sono i suoi riferimenti veri e propri: questi sono gli effetti che certe forme di comunicazione martellante provocano sulla formazione del gusto. Gli artigiani del settore non si schierano contro questo punto di vista, anche se preferirebbero trovarsi di fronte a scenari e a prospettive decisamente diversi come quella, ad esempio, di veder collaborare attivamente tra loro designers, architetti, arredatori d’interni e artigiani. Sarebbe certamente positivo poter immaginare forme di collaborazione tra queste professionalità, nel tentativo di generare nuove idee da sviluppare: certamente una soluzione del genere potrebbe essere molto costosa, ma se si riuscisse a trovare la maniera di sponsorizzare questo progetto si potrebbe nel contempo permettere a questi professionisti di sviluppare, all’interno della tradizione, aspetti innovativi. L’idea di attribuire all’artigianato di qualità un marchio specifico che consenta il suo riconoscimento è accolta con favore dagli intervistati perché, in questo modo, verrebbero tutelati, non solo i contenuti artistici, tradizionali, tipici ed innovativi della cultura locale, ma anche la qualità dei manufatti prodotti e la professionalità degli artigiani del comparto che li realizzano. Tempo fa, gli artigiani locali avevano già pensato alla possibilità di dotarsi di un marchio di qualità: poco dopo il disastroso terremoto che colpì il Friuli nel 1976, si era fatta strada l’idea di trasformare Tolmezzo in un grosso polo dell’artigianato, coinvolgendovi tutte le imprese della Carnia. Il secondo passo previsto da questo progetto sarebbe dovuto essere quello relativo all’istituzione di un marchio di qualità, denominato “Carnia Produce”, e alla creazione di un catalogo, da diffondere anche all’estero, contenente tutte le indicazioni riguardanti l’insieme delle opportunità offerte dall’artigianato locale. I partecipanti all’iniziativa si sarebbero impegnati a produrre solo ed esclusivamente i manufatti di loro competenza e gli stessi manufatti sarebbero stati successivamente commercializzati presso punti vendita specializzati, dislocati in tutti i comuni della Carnia, autorizzati a trattare solo merci contrassegnate con quel marchio. Purtroppo, però, il progetto, forse troppo ambizioso per quei tempi, si è arenato e tutto è andato a monte: il fatto che quest’area montana del Friuli si trovi al di fuori delle direttrici di traffico principali, potrebbe aver giocato a suo sfavore. Oggi, probabilmente, questo strumento potrebbe rivelarsi molto efficace per riconoscere, per difendere e per tutelare quei valori e per certificarne l’esistenza: la possibilità che operatori del settore senza scrupoli propongano sul mercato manufatti realizzati con materiali e con sistemi produttivi che nulla hanno a che – 94 – LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI fare con quelli impiegati tradizionalmente non è così remota. Le attuali politiche commerciali privilegiano la quantità piuttosto che la qualità ma queste sono strategie sbagliate che non pagano e che rovinano il mercato: è vero che la gente compra di più spendendo di meno nella convinzione di fare un affare, ma in breve tempo si rende conto di essere stata ingannata e di aver messo in casa un mucchio di ciarpame. Purtroppo, anche a causa di questi comportamenti, il destino dei mestieri artigiani di qualità, legati a forme di espressione artistica, tradizionale e tipica, sembra essere segnato: più o meno lentamente questo patrimonio culturale va perdendosi e con esso il lavoro e la professionalità di coloro che intendevano salvaguardarlo per trasmetterlo alle nuove generazioni. Molto spesso gli acquirenti non hanno una conoscenza specifica di questi manufatti, ma ne hanno sentito parlare per le loro caratteristiche peculiari, e si aspettano che siano proprio coloro che li realizzano a garantirne l’autenticità e la qualità. Finora gli artigiani incontrati hanno fornito questa garanzia ai loro clienti, attraverso la qualità dei materiali utilizzati e dei manufatti realizzati, la competenza e l’esperienza di coloro che li hanno costruiti, l’assistenza fornita loro successivamente alla vendita, la documentazione specialistica che testimonia i caratteri della loro originalità e quant’altro potesse rassicurarli a questo proposito. Un marchio di qualità dovrebbe avere queste caratteristiche perché in tal modo la sua diffusione permetterebbe di aumentare la visibilità di mercato di un certo prodotto e dei suoi produttori, rafforzerebbe l’immagine di originalità e di qualità del modo di produrre che accomuna gli operatori di un certo settore di attività economica e la comunicherebbe ben al di là del contesto locale ed operativo nel quale questa viene svolta. Oltre alla tutela della qualità delle lavorazioni eseguite, attraverso appositi strumenti da mettere a punto (marchi, disciplinari di produzione, commissioni di esperti e altri), la Regione Friuli-Venezia Giulia potrebbe fornire un valido contributo agli artigiani, agevolandoli in vari modi, affinché sia loro possibile parteci- pare alle manifestazioni più importanti e significative. Dovrebbe trattarsi però di eventi che prevedono a monte una rigorosa selezione dei partecipanti per evitare di confondere la professionalità, la capacità e l’esperienza di coloro che hanno scelto di lavorare in questo ambito da quelli che, senza scrupoli, pensano solo a fare affari, gettando il discredito su chi ha lavorato correttamente. La partecipazione delle imprese artigiane a questo genere di manifestazioni molto spesso è ridotta o poco significativa perché le loro dimensioni e, a volte, la loro dimestichezza con i problemi che queste comportano, non consentono di farvi fronte, sia sul piano economico sia sul piano organizzativo. La presenza in azienda dei titolari e dei loro collaboratori è, per molte di esse, fondamentale perché il lavoro deve comunque proseguire e le scadenza devono essere rispettate: interruzioni e ritardi non giovano certamente all’immagine di serietà, di responsabilità e di affidabilità che il cliente vuole percepire quando si rivolge ad essa per assegnargli una commessa. D’altra parte, senza queste iniziative promozionali, più che di sostegno, che aumentano la visibilità sul mercato del lavoro artigiano e della sua qualità, queste forme di attività, così importanti per lo sviluppo dell’economia montana, rischiano di scomparire progressivamente. In Carnia, gli artigiani che sanno fare il loro mestiere non vogliono sentire parlare di “sostegno” perché il loro orgoglio è tale da far percepire nel significato di questo termine un’accezione sminuente e riduttiva che richiama atteggiamenti orientati alla passività e all’assistenzialismo: richiedono, invece, alle varie Istituzioni di governo locale di fornire loro degli aiuti e delle agevolazioni per poter aderire, ad esempio, a iniziative come quelle di cui si è parlato. I servizi alle imprese che potrebbero essere predisposti in tal senso sono moltissimi e dovrebbero essere pensati appositamente per costituire dei reali strumenti operativi che forniscono un aiuto e agevolano la specificità del lavoro dell’artigiano, sotto tutti i punti di vista e in tutti i suoi aspetti. Sapendo, ad esempio, di poter partecipare ad una rassegna particolarmente importante e – 95 – TRA TRUCIOLI E TELAI qualificante per il suo lavoro, che può rappresentare un’opportunità per far conoscere la propria professionalità e la qualità dei propri manufatti, senza dover sostenere i costi economici ed organizzativi ad essa connessi o concorrervi in misura ragionevole, un artigiano del settore sarebbe incentivato a farlo e non vedrebbe più queste iniziative come inutili e dispendiose perdite di tempo. Nella provincia di Udine e nello stesso FriuliVenezia Giulia si stanno organizzando rassegne mirate di livello qualitativo elevato nel corso delle quali il pubblico ha la possibilità di fare dei confronti e di cogliere le differenze: se si selezionano preventivamente le proposte si seleziona contemporaneamente anche la potenziale clientela che, soprattutto di questi tempi, deve essere educata a riconoscere la qualità di ciò che acquista. Un marchio di qualità, assegnato con rigore e con la necessaria selettività, dunque, sarebbe un ottimo riconoscimento per quelle professionalità artigiane che, nell’ambito delle lavorazioni del legno, sanno farle a regola d’arte. Gli artigiani che vogliono rimanere tali hanno tutto l’interesse ad accentuare il livello qualitativo di loro manufatti perché, a differenza di ciò che si trova normalmente in giro, hanno un loro pregio e un loro valore, anche economico: per tutti loro, puntare al miglioramento qualitativo dei prodotti è assolutamente fondamentale e riconoscere con un marchio di qualità la professionalità che contraddistingue l’artigiano che li ha realizzati rappresenta il miglior modo per farli emergere e per farli conoscere sul mercato. Nella costruzione di serramenti, le iniziative promozionali alle quali hanno partecipato alcuni degli artigiani incontrati non hanno prodotto ricadute significative, dal punto di vista economico sulla loro attività, ma non si esclude che si possano avere in futuro, organizzandone altre con una precisa finalizzazione per il comparto. Secondo il suggerimento fornito, la Regione Friuli-Venezia Giulia dovrebbe organizzare delle manifestazioni pensate appositamente per promuovere maggiormente le produzioni degli artigiani che fabbricano tali manufatti, magari caratterizzandole dal punto di vista territoriale o merceologico. In una sede baricentrica, scelta opportunamente per proporre questo genere di eventi, si potrebbero raccogliere i manufatti prodotti dagli artigiani del legno dell’intero arco alpino che, proprio per il fatto di vivere in territorio montano, rispecchiano nei loro lavori tratti culturali comuni. In Italia, ad esempio, una tra le più rappresentative associazioni di categoria organizza periodicamente a Reggio Emilia una manifestazione fieristica dedicata esclusivamente ai produttori di serramenti: qui si ha l’opportunità di visionare i diversi manufatti prodotti e di metterli a confronto per qualità e prezzo. Oltre a parteciparvi come espositori, gli operatori del comparto hanno la possibilità di aggiornare la propria professionalità, attraverso iniziative di carattere divulgativo e/o formativo che riguardano argomenti tecnici propri del loro lavoro. È importante, però, che a tali manifestazioni possano parteciparvi solo gli artigiani che producono manufatti di qualità, in modo tale che questi ultimi non vengano confusi con quelli prodotti industrialmente su larga scala: la Regione Friuli-Venezia Giulia, da questo punto di vista, dovrebbe selezionare i partecipanti e agevolarli per quanto concerne le spese che occorre sostenere per poter aderire all’iniziativa. L’idea di assegnare un esplicito riconoscimento alla loro professionalità è accolta favorevolmente dai nostri interlocutori in quanto esso costituirebbe una garanzia per la clientela che acquista i loro prodotti perché avrebbe la certezza di averlo fatto presso operatori dotati di lunga esperienza e di grande professionalità. In ambito territoriale, la Regione FriuliVenezia Giulia dovrebbe individuarli e selezionarli attentamente, in base alla qualità dei manufatti che essi producono: in questo modo verrebbe creata una categoria di artigiani d’eccellenza che, sul mercato, rappresenterebbe, in modo inconfondibile e prestigioso, la migliore produzione regionale. Il potenziale acquirente avrebbe la possibilità di capire finalmente la difficile relazione che si stabilisce tra la qualità di un certo manufatto e il suo prezzo: molti ritengono che quest’ultimo sia indicativo per garantirla a priori, ma spesso devono ricredersi amaramente. – 96 – LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI Nel settore della costruzione di serramenti è molto difficile che un cliente, al di là di questo aspetto, sappia distinguere, tra diversi manufatti, quello di migliore qualità: a un risultato eccellente si può giungere solo attraverso un percorso difficile, che si snoda tra la qualità delle materie prime impiegate, la qualità delle lavorazioni eseguite, la qualità degli accessori montati, la qualità della posa in opera effettuata, la qualità dell’assistenza post-vendita fornita e via di seguito. Sarebbe bene per la sopravvivenza e lo sviluppo di un artigianato di qualità che questi altri aspetti venissero finalmente percepiti dalla clientela e un marchio di eccellenza rilasciato da un garante pubblico che lo riconosca, lo tuteli e lo promuova adeguatamente potrebbe essere un primo passo significativo fatto in questo senso. Diversamente questo genere di artigianato è destinato a soccombere e a scomparire sotto i colpi inferti da prodotti industriali scadenti e di pessima qualità che sul mercato esercitano una concorrenza insostenibile: sono purtroppo molte le imprese artigiane che per questi motivi hanno dovuto interrompere la loro attività o sono state costrette ad adottare sistemi produttivi di tipo industriale. Le logiche economiche ed organizzative che stanno alla base di questi due diversi modi di produrre sono tra loro diametralmente opposte ed è bene che finalmente ci si interroghi sul destino da assegnare alle attività artigiane che ancora esprimono i valori della cultura e della tradizione locale perché, senza un adeguato sostegno, esse sono destinate a diventare rapidamente un semplice ricordo. Il comparto della fabbricazione di serramenti di qualità è in rapida evoluzione e le difficoltà maggiori si incontrano nel tenersi aggiornati sulla produzione dei vari fornitori, un’attività questa che richiede un lavoro molto impegnativo di raccolta, selezione e presentazione dei diversi materiali informativi esistenti: questo tipo di documentazione si rivelerebbe estremamente utile per il loro lavoro, consentirebbe di avere sotto mano un quadro aggiornato delle forniture reperibili sul mercato, dovrebbe essere di facile consultazione. Nel comparto della fabbricazione di oggettistica varia emerge la convinzione che azioni mirate al sostegno e allo sviluppo dell’artigianato di qualità siano necessarie e qualifichino il ruolo dell’organo di governo regionale. Le manifestazioni fieristiche di interesse locale, che finora hanno consentito agli artigiani del comparto di rendere più visibili le loro produzioni, non hanno mai fornito vere e proprie opportunità di lavoro remunerative per l’azienda presa in esame. La partecipazione a tali eventi non si è mai rivelata efficace, sia per gli ingenti costi da sostenere sia per il tempo da dedicare ad esse per l’organizzazione degli spazi espositivi e per esservi presenti: il comparto artigiano che produce oggettistica ha bisogno di altre manifestazioni, nelle quali venga privilegiato il rapporto diretto con il pubblico. Un incentivo alla partecipazione per gli artigiani del comparto a tali eventi potrebbe essere certamente quello di ridurre sensibilmente o addirittura di azzerarne i costi relativi: in ogni caso bisogna tenere presente che occorre organizzare e/o presenziare a manifestazioni che privilegino la qualità dei manufatti esposti, sia che ciò avvenga a livello regionale sia che si tratti di manifestazioni di interesse più ampio. L’assegnazione di un marchio che consenta di riconoscerla e di valorizzarla è considerata un’iniziativa estremamente interessante che può dare esiti molto positivi: è importante che le aziende artigiane che realizzano manufatti di qualità abbiano la possibilità di fare conoscere le loro produzioni a un mercato più ampio di quello al quale possono normalmente accedere. I mezzi di comunicazione di massa, come la televisione, Internet o le riviste specializzate, sono strumenti informativi di grande efficacia sui quali occorre puntare maggiormente perché la gente sappia chi sono questi artigiani e come lavorano. Nel comparto dell’esecuzione di interventi di restauro, infine, le iniziative da intraprendere in questo senso sarebbero principalmente due: riconoscere ufficialmente l’artigianato di qualità, in particolare e per ciò che le riguarda l’artigianato artistico, e promuoverne lo sviluppo nell’ambito del turismo. Per quanto concerne la prima di esse, nel momento in cui le attività artigiane artistiche, – 97 – TRA TRUCIOLI E TELAI tradizionali, tipiche ed innovative di qualità venissero ufficialmente riconosciute, si avrebbe a disposizione una nuova risorsa che dovrebbe essere fatta conoscere adeguatamente per poterla utilizzare proficuamente. Al giorno d’oggi, purtroppo, l’artigiano viene ancora considerato una persona di seconda classe, perché di fatto lavora con le mani, mentre la sua attività diventerà, invece, una delle risorse del futuro più importanti, dal punto di vista economico e produttivo, ma per arrivare a questa nuova condizione essa deve essere riconosciuta come un’attività qualificata e qualificante. Occorre pensare a un marchio distintivo, che riconosca la qualità della professionalità artigiana, perché quella dei manufatti prodotti è una diretta e logica conseguenza del modo di operare di chi li sa realizzare e, per giungere a un tale risultato, bisogna considerare che solamente un’Istituzione di governo locale, come la Regione Friuli-Venezia Giulia, può farsi promotrice e garante di una simile iniziativa. Se si intende promuovere lo sviluppo dell’artigianato di qualità nell’ambito del turismo, invece, occorre ricordare che la zona del tarvisiano ma, in senso più ampio, l’intera regione Friuli-Venezia Giulia è da sempre vissuta sul commercio: ultimamente le cose sono cambiate e, da qualche tempo, si sta cominciando a sfruttare le risorse del territorio in chiave turistica, proponendo offerte di servizi qualificati anche all’estero. Finora, tuttavia, questo genere di proposte ha riguardato principalmente solamente una parte delle risorse disponibili come quelle naturali, quelle storico-artistiche, quelle enogastronomiche e poco altro, mentre la Regione Friuli-Venezia Giulia dovrebbe considerare che l’artigianato di qualità, al pari delle risorse citate, rappresenta una ricchezza per l’economia locale, da sfruttare in funzione di un rapporto sinergico con il turismo: le professionalità per dar vita e sviluppare questa forma di artigianato esistono, ma deve essere un’Istituzione di governo locale a promuoverlo perché da soli gli artigiani non lo possono fare. Le informazioni che potrebbero raggiungere il grande pubblico, attraverso i più diversi canali di comunicazione, potrebbero servire a questo scopo e potrebbero diventare una sorta di cassa di risonanza per pubblicizzare fiere, mostre e altre manifestazioni, di carattere nazionale ed internazionale, organizzate appositamente per farlo conoscere maggiormente di quanto sia stato fatto finora. Gli artigiani del comparto suggeriscono, inoltre, che anche il poter disporre di un quadro aggiornato dei fornitori costituisce uno strumento indispensabile per poter stare sempre al passo con l’avanzare delle nuove tecnologie o della ricerca in senso lato. Risulta evidente che molto spesso o per problemi di tempo o per il semplice fatto di operare in sedi decentrate, per certi artigiani è estremamente difficile mantenere i contatti con questo mondo in continua evoluzione e il rischio che si corre è quello di rimanervi completamente estranei: se potessero accedere, invece, a servizi di questo genere essi ne ricaverebbero senza dubbio un grande vantaggio che aiuterebbe le loro imprese a crescere e a svilupparsi. 8.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni tessili Nel settore della fabbricazione di arazzi e di tappeti le titolari delle imprese incontrate ritengono che iniziative per il sostegno e per lo sviluppo dell’artigianato di qualità siano necessarie e urgenti per evitare che le attività superstiti scompaiano definitivamente e che la già debole economia di certe aree montane peggiori ulteriormente. La natura di questi interventi deve avere un carattere sinergico per promuovere e per valorizzare il più possibile le scarse risorse di cui queste aree normalmente dispongono e per aumentare in ogni modo la loro fruibilità da un punto di vista essenzialmente turistico: tra di esse, l’artigianato locale di qualità potrebbe assumere un ruolo e una funzione di primissimo piano per richiamare l’attenzione di un maggior numero di operatori e di pubblico. Il problema da affrontare è quello di dotarsi di infrastrutture e di servizi più adeguati per migliorare l’accoglienza e la ricettività di un flusso turistico che potrebbe trovare proprio nell’artigianato di qualità la principale motiva- – 98 – LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI zione per visitare questi luoghi, poveri di altre attrattive di forte richiamo. Da alcuni anni, la fruibilità di queste scarse risorse locali ha potuto contare su un certo miglioramento dei servizi di accoglienza e di ricettività alberghiera tradizionali, affiancati da quelli innovativi introdotti più di recente (Albergo diffuso), che ha attirato verso questi luoghi un maggior numero di visitatori, certamente intenzionati a privilegiare la qualità della vita, intesa nel suo senso più ampio. Sono questi visitatori, provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo, ad essere incuriositi ed attratti dai manufatti che si producono nei loro laboratori, particolarmente apprezzati per la loro qualità, e a rappresentare la potenziale domanda di mercato. Le esperienze effettuate in passato per raggiungere una maggiore visibilità di mercato sono state generalmente insoddisfacenti, nonostante siano stati dedicati notevole impegno e non poche risorse al perseguimento di questo obiettivo: si finiva col partecipare a manifestazioni del tutto anonime e prive di qualità, senza ottenere in cambio un ritorno economico significativo per cui è stato inevitabile rinunciarvi. Dovrebbe essere proprio questo il terreno sul quale la Regione Friuli-Venezia Giulia potrebbe predisporre degli interventi efficaci per il sostegno e per lo sviluppo dell’artigianato di qualità locale: organizzare manifestazioni mirate a promuoverlo, consentendone la partecipazione agevolata solamente a coloro che operano in questo senso. Secondo loro, tuttavia, per quanto concerne questo genere di artigianato, le priorità sono ben altre e riguardano in particolare il mercato del lavoro e la formazione professionale, settori nei quali gli imprenditori artigiani dovrebbero essere agevolati e sostenuti con maggiore impegno. A loro avviso, da questo punto di vista, la normativa che regola l’istituto dell’apprendistato contenuta nelle disposizioni legislative in materia di promozione dell’occupazione (l.n. 196/97, art. 16) è del tutto insoddisfacente. Proprio in conseguenza di questi ultimi aggiornamenti, emanati nell’ambito dell’attuazione degli accordi sindacali intercorsi a livello confederale (il cosiddetto “Patto per il lavoro”), nel rapporto di apprendistato sono stati introdotti elementi di novità che ne avrebbero dovuto aumentare le potenzialità iniziali e i benefici conseguiti dalle parti in causa. Sul primo versante troviamo le agevolazioni di carattere fiscale e contributivo per il datore di lavoro, congiuntamente ad una più ampia possibilità di utilizzo dell’istituto che si estende ben oltre il tradizionale settore dell’artigianato. Sul secondo versante, invece, i datori di lavoro potrebbero disporre di un ottimo strumento di politica del lavoro, flessibile e a basso costo, mentre i giovani avrebbero l’opportunità di fare un’esperienza lavorativa concreta e di imparare un mestiere. Tutti i settori di attività economica possono assumere come apprendisti giovani in età compresa tra i 16 e i 24 anni, salvo alcune eccezioni in ambito territoriale previste dalla normativa comunitaria, per una durata non inferiore a 18 mesi e superiore ai 4 anni. La caratteristica principale dell’istituto dell’apprendistato è, dunque, il contratto a causa mista che contempla sia la formazione che il lavoro: la formazione, in particolare, si acquisisce attraverso l’addestramento pratico, impartito dal datore di lavoro o da chi per esso, che consente all’apprendista di frequentare i corsi di insegnamento teorico complementare, retribuendogli la frequenza a tali corsi come normali ore lavorative. A quest’ultimo proposito, la normativa citata stabilisce che le imprese che assumono lavoratori in qualità di apprendisti sono tenute a farli partecipare ad attività di formazione esterne all’azienda, nel rispetto della durata (mediamente 120 ore all’anno) e delle proposte avanzate dalle parti sociali, secondo le disposizioni previste da un successivo provvedimento legislativo (D.M. 08/04/1998). Purtroppo, però, la formazione professionale impartita, oltre ad essere svolta presso le sedi delle Agenzie formative incaricate di assolvere questo compito, dislocate a fondo valle e raggiungibili con non poche difficoltà, è del tutto incoerente con quello che l’apprendista sta facendo in azienda e crea a quest’ultima seri problemi organizzativi. Questo obbligo non sconvolge solo l’organizzazione del lavoro in azienda ma provoca ritar- – 99 – TRA TRUCIOLI E TELAI di e inconvenienti di ogni genere, riducendo i benefici che l’imprenditore artigiano poteva attendersi da questa forma contrattuale: per di più non serve, come nelle intenzioni, a dare a questi giovani una formazione professionale vera, immediatamente spendibile nel luogo in cui lavora. C’è da aspettarsi che le cose possano migliorare con i provvedimenti di riforma introdotti dal Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, attuativo delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro contenute nella l. n. 30 del 14 febbraio 2003 (legge Biagi), ma le intervistate non sembrano nutrire eccessiva fiducia nei confronti di un reale cambiamento dell’attuale situazione. Le intervistate giudicano poi con favore l’iniziativa di assegnare all’artigianato di qualità un marchio distintivo, a patto che tale riconoscimento non abbia un valore esclusivamente simbolico e premi realmente la professionalità di quegli artigiani che, non solo si adeguano alle indicazioni di uno specifico disciplinare di produzione, ma contribuiscono attivamente a salvaguardare e a migliorare la qualità dei loro manufatti: di imprenditori del genere, secondo le nostre interlocutrici, ce ne sono ancora ed è bene che il loro numero aumenti anche in funzione dei vantaggi che da essa potrebbero derivare. In primo luogo, la visibilità di queste imprese sul mercato dovrebbe sensibilmente migliorare soprattutto se a promuoverla, a sostenerla e a farsene garanti saranno congiuntamente le Istituzioni di governo locale e le Associazioni di categoria: in Friuli-Venezia Giulia questi interventi sono finora mancati ed è bene che attraverso di essi l’identità della tradizione regionale emerga in tutta la sua forza. Nel comparto della fabbricazione di biancheria per la casa, i suggerimenti forniti dagli imprenditori sul ruolo che la Regione FriuliVenezia Giulia potrebbe avere, nel promuovere e nell’intraprendere iniziative adeguate per il sostegno e per lo sviluppo dell’artigianato di qualità, non si discostano da quelli raccolti finora. È indubbio che, in un’economia sempre più orientata verso la globalizzazione, iniziative del genere appaiano in controtendenza o addi- rittura inefficaci, ma è altrettanto vero che se non si fanno presto e bene degli interventi di sostegno, di salvaguardia e di sviluppo più consistenti ed incisivi, queste forme di artigianato sono destinate a scomparire. Occorre, invece, che le botteghe artigiane continuino ad avere un ruolo di primo piano nell’economia della Carnia e conservino, anche attraverso le inevitabili innovazioni tecnologiche, i caratteri di un’identità locale fondata su una tradizione secolare. Bisogna dare loro la possibilità di sopravvivere in un sistema economico e distributivo che tende a marginalizzarle e a metterle continuamente in difficoltà, ma occorre anche fare conoscere a un pubblico più vasto la qualità del loro lavoro, in modo tale che quest’ultimo sia ri-orientato e ri-educato a riconoscerla, a valutarla e ad apprezzarla. Attraverso interventi mirati, certamente impegnativi e faticosi, che utilizzino, sistematicamente e al meglio, i canali della comunicazione ma non solo quelli, è possibile sperare che si raggiungano, nel medio-lungo periodo, risultati apprezzabili e di un certo rilievo. In questo modo, si offrirebbe al consumatore una maggiore capacità di giudizio su ciò che acquista, sapendo ormai che tale capacità, in quest’epoca di omologazione e di progressiva falsificazione della qualità, si è rapidamente e sensibilmente ridotta. Al giorno d’oggi l’elemento distintivo sul quale si può reggere la concorrenza con analoghe produzioni provenienti da altre nazioni, come la Cina o i Paesi dell’Est, nei quali il costo della manodopera è notevolmente inferiore al nostro, è proprio la loro indiscutibile qualità. Una manifestazione fieristica che contribuisce a rafforzare l’immagine percepita dal mercato che interessa questo settore, sotto il profilo del gusto, dell’eleganza, del prestigio, della qualità, insomma, è “Pitti Casa”, organizzata periodicamente a Firenze, alla quale partecipano i nomi più conosciuti in Italia nell’ambito della confezione di biancheria per la casa. Una delle imprese artigiane prese in esame vi partecipa da trent’anni perché il suo titolare ritiene che si tratti dell’evento più prestigioso ed importante, a livello nazionale, nel corso del quale, attingendo a questa sterminata vetrina, – 100 – LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI è possibile osservare e mettere a confronto l’intero patrimonio di idee e di suggerimenti provenienti da questo comparto del settore tessile. Da alcuni anni, tuttavia, questa manifestazione sta incontrando una serie di difficoltà che il nostro interlocutore non è ancora riuscito a focalizzare esattamente ma che sono probabilmente dovute alle incertezze create dalla forte competizione che caratterizza questo mercato e al fatto che, nel frattempo, sono state organizzati eventi analoghi in occasioni e sedi di forte richiamo come, ad esempio, il MACE di Milano, al quale l’azienda ha presenziato per tre anni. La partecipazione a queste iniziative, forse eccessivamente dispersive, è particolarmente onerosa, dal punto di vista economico ed organizzativo, soprattutto per le imprese artigiane di piccole dimensioni, ma anche per quelle che possono contare su una struttura più forte ed organizzata: l’intervistato valuta che, a fronte di consistenti investimenti destinati in questo senso, il volume di affari non ha subito alcun incremento. Una proposta attualmente in discussione tra gli operatori del comparto è quella di concentrare, in un unico posto significativo e nell’ambito di una manifestazione dedicata esclusivamente al settore, tutte queste attività dando all’evento una cadenza annuale: le candidature di città prestigiose come Firenze, Milano, Verona sono al momento al vaglio degli organizzatori. Il giudizio espresso dai titolari delle imprese incontrate sull’ipotesi di attribuire all’artigianato di qualità un marchio distintivo è molto positivo, a patto che il rilascio di questo di riconoscimento abbia un carattere esclusivo e segua procedure coerenti e rigorose, predisposte per accertare la reale professionalità di chi produce manufatti rispondenti a questi requisiti: diversamente l’iniziativa perde il proprio significato e la propria credibilità. Per essere tale, dunque, un eventuale marchio di qualità deve fornire delle precise garanzie all’acquirente in merito alle caratteristiche di un determinato prodotto (materie prime impiegate, sistemi di lavorazione ecc.) e alla professionalità, alla competenza, all’esperienza di chi lo ha realizzato. È al momento dell’acquisto che il compratore, se ne ha le capacità e le competenze, può rendersi conto della qualità del prodotto e di valutarne l’effettiva consistenza: ecco perché si rendono necessarie azioni formative e informative nei suoi riguardi che lo educhino a distinguere e a scegliere la qualità. Diversamente deve esserci qualcosa che supplisca queste conoscenze lacunose e garantisca, sotto diversi profili, l’effettivo valore qualitativo della merce acquistata: in questo si riassume il concetto e l’importanza da attribuire a un marchio di eccellenza nel settore dell’artigianato tessile. Il meccanismo adottato per individuare questi operatori e valutare il loro modo di lavorare deve, pertanto, essere molto selettivo, non tanto per privilegiare alcuni rispetto ad altri, ma per consentire l’accesso a questo ambito di eccellenza solo a coloro che possiedono i requisiti per farne parte e rispettano le regole per rimanervi. Nel comparto della fabbricazione di maglieria e confezione, infine, i suggerimenti avanzati dalla titolare dell’azienda visitata, combattiva esponente dell’imprenditorialità femminile locale, sono particolarmente sintetici ed allusivi: la Regione Friuli-Venezia Giulia dovrebbe incaricarsi della promozione del settore artigiano di qualità, esattamente come sta facendo con un prodotto tipico ed emblematico della tradizione agro-alimentare locale, il prosciutto di San Daniele. Riferisce che, anni fa, il vicino Tirolo si è attivamente impegnato nell’individuazione e nella selezione dei suoi prodotti tradizionali e li ha poi esportati in tutto il mondo come simboli della sua cultura: un percorso analogo andrebbe affrontato anche per quanto concerne il sostegno e lo sviluppo di questo settore economico. Le risorse finanziarie che dovrebbero essere investite per la promozione dei suoi prodotti sarebbero certamente ben spese e potrebbero rientrare in bilancio moltiplicate: gli artigiani che, come lei, continuano ad interpretare i valori della cultura locale e lavorano per mantenere in piedi la loro attività non possono farsi carico di ulteriori spese di questo genere, per cui fornire loro questo sostegno andrebbe a vantaggio dell’intera collettività. – 101 – TRA TRUCIOLI E TELAI A suo giudizio, un marchio di qualità, che premi sia il prodotto che il produttore, potrebbe essere un valido mezzo di promozione che permetterebbe all’artigianato di qualità e d’eccellenza di poter essere tutelato e, nello stesso tempo, di poter essere incentivato: in tal modo le diverse attività di settore assumerebbero anche un valore simbolico, una sorta di “fiore all’occhiello”, rappresentativo di ciò che il Friuli-Venezia Giulia è in grado di produrre, da esibire sia sul mercato italiano sia su quello internazionale. È da parecchi anni che la nostra interlocutrice cerca di stimolare e di sensibilizzare le Istituzioni di governo locale perché finalmente intervengano in questo senso, attraverso politiche e azioni mirate ma, purtroppo, ha sempre dovuto riscontrare da parte loro un grande disinteresse. Con le sue creazioni partecipa molto spesso alla Fiera dell’Artigianato di Milano ma la sua sola presenza non può rappresentare che in minima parte l’estrema varietà dei prodotti di qualità che il territorio regionale è in grado di offrire: in queste occasioni non deve essere una singola impresa artigiana, pur nella sua rappresentatività, a dover emergere, ma l’intero Friuli-Venezia Giulia. Altrimenti, l’intervistata potrebbe continuare a frequentare quel genere di eventi, ad esporre i suoi prodotti, a cercare di rientrare delle spese per il viaggio e per l’affitto degli spazi espositivi utilizzati e, magari, acquisire, così facendo, anche un po’ più di visibilità sul mercato, ma è perfettamente convinta che non debba essere questo il modo di ragionare per affrontare e per risolvere il problema. L’azienda ha già un marchio proprio, con il quale vengono contrassegnati i capi realizzati, che la identifica inequivocabilmente sul mercato e, dunque, non ci sarebbe bisogno di altra forma di riconoscimento. La Fiera di cui si è appena fatto cenno, ad esempio, è molto importante per il settore artigiano: vi partecipano un po’ tutte le regioni d’Italia ed ognuna ha il suo spazio nel quale viene offerta la possibilità di presentare una panoramica piuttosto ampia dei prodotti tipici locali. Durante lo svolgimento di questa manifestazione, la nostra interlocutrice si trova sempre ad essere l’unica rappresentante del FriuliVenezia Giulia, ma la sua presenza non può essere di certo così significativa per poter rappresentare efficacemente un universo così variegato: in simili eventi, invece, l’Amministrazione regionale dovrebbe individuare e selezionare un gruppo di operatori, nell’ambito dei diversi settori dell’artigianato di qualità, per rendere visibile e per promuovere la loro attività specifica. Iniziative di questo genere, a suo avviso, dovevano essere intraprese già molto tempo fa e ora si rischia di patire e di scontare questo inspiegabile ritardo: prima di dare avvio alla sua attività, si era attentamente informata e documentata sull’impatto che i prodotti da lei realizzati avrebbero potuto avere, sotto i più diversi punti di vista, in un contesto di mercato globale, proprio attraverso la partecipazione ad un gran numero di questi eventi (Pechino, Toronto, San Pietroburgo, ecc.) e con l’obiettivo di raccogliere una serie di indicazioni preziose per mettere successivamente a punto le sue strategie aziendali. Una volta iniziata la produzione non ha più avuto la possibilità di tornare a queste manifestazioni di carattere internazionale perché le dimensioni della sua impresa non consentono di sopportare le relative spese e sarebbe ben lieta se potesse farlo nuovamente, come esponente di primo piano dell’artigianato di eccellenza locale, sotto l’egida della Regione FriuliVenezia Giulia. – 102 – 9. La professionalità artigiana nei settori di attività indagati e il mercato del lavoro in Friuli-Venezia Giulia 9.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni del legno Le valutazioni emerse durante le interviste sono concordi nell’affermare che la professionalità di un artigiano che voglia esprimere nel suo lavoro elevati contenuti di qualità si fonda su un percorso formativo articolato, inizialmente basato su una approfondita conoscenza degli aspetti teorici e pratici propri delle lavorazioni di un determinato settore. Un buon falegname, ad esempio, potrà affinare successivamente le proprie capacità e le proprie competenze negli interventi di restauro, nella costruzione di mobili, nella costruzione di serramenti e in ogni altro comparto delle lavorazioni del legno. Sulla professionalità di base del falegname è possibile formare altre specializzazioni, quasi sempre molto rigide e dotate di una propria autonomia, che sarebbe bene curare, comel’intaglio, l’ebanisteria, il restauro e così via, per creare altrettante opportunità di lavoro e per permettere al giovane di scegliere il percorso formativo e di lavoro a lui più consono. Sono purtroppo passati i tempi in cui l’abilità e la competenza acquisite nel settore delle lavorazioni del legno consentivano all’artigiano di destreggiarsi indifferentemente tra i diversi manufatti che ora vengono realizzati nei diversi comparti ed è perciò indispensabile che, dopo aver consolidato tali conoscenze e tali capacità di base, i giovani interessati a fare questi mestieri le approfondiscano nella direzione verso la quale si sentono più portati dal loro interesse e dalla loro voglia di fare. In ognuno dei comparti presi in esame queste abilità si esprimono, con accentuazioni specialistiche particolari, nelle diverse fasi che compongono l’intero processo produttivo realizzato o di intervento eseguito. (TAB. 8) TAB. 8 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Competenze professionali richieste per fasi di produzione dei manufatti realizzati. CASI Fasi di Produzione 1 Studio/Prog./Creazione x Esecuzione Controllo e valutaz. x Recupero varianze x 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x x Altra Le attività svolte nel settore della fabbricazione di carpenteria sono molto avanzate ed innovative per cui, più che pensare alla tipicità e alla tradizione del passato occorre riflettere su come esse si sono trasformate lungo un percorso evolutivo che, se per un verso le ha profondamente cambiate, per l’altro ha dato loro una prospettiva di continuità. La tecnica e la tecnologia del legno lamellare sono presenti in Friuli-Venezia Giulia da tempi relativamente recenti e l’azienda artigiana visitata è stata tra le prime imprese a intuire il loro possibile sviluppo, a scommettere e a investire su di esse. La tradizione locale era incentrata esclusivamente sulla segagione del legno e di carpenteria vera e propria non se n’è mai parlato: le conoscenze e le tecniche che le sono proprie erano sviluppate a un livello elementare, legato alle esigenze costruttive abituali come potrebbe essere il caso della copertura di una casa o di un fienile. Un certo interesse per il settore ora c’è, ma bisogna ricostruire brevemente come si è arri- – 103 – TRA TRUCIOLI E TELAI vati a questa situazione perché diversamente si potrebbe essere fuorviati e si potrebbe giungere a conclusioni errate. Come si diceva poc’anzi, la tradizione era legata al lavoro delle segherie e la convinzione degli operatori era quella che non ci sarebbero state in futuro prospettive di sviluppo alternative: bisognava continuare la segagione e a produrre tavolame. Il terremoto che ha colpito la regione nel 1976, con le sue conseguenze disastrose, ha posto le premesse per pensare alla ricostruzione del patrimonio edilizio e abitativo gravemente lesionato e/o compromesso secondo principi diversi dal passato, più attenti alla sicurezza e alla stabilità degli immobili ma anche più rispettosi e più mirati al rispetto e alla compatibilità con l’ambiente. L’attività dell’azienda si concentrò, pertanto, in questo specifico ambito che, secondo le valutazioni degli altri operatori, non lasciava intravedere prospettive di sviluppo ulteriori, al di là del momento contingente: la loro opinione era quella che, superata l’emergenza e completata la ricostruzione, la domanda di mercato sarebbe ritornata ai livelli precedenti. Le cose, invece, andarono diversamente e l’esperienza maturata durante i lavori di ricostruzione divenne un vantaggio per l’azienda che rapidamente specializzò la sua attività nel settore della carpenteria in legno, innovandolo profondamente, attraverso l’introduzione graduale del rivoluzionario materiale da costruzione, il legno lamellare. Il suo utilizzo sempre più frequente ha provocato una svolta significativa nei sistemi di progettazione e di costruzione degli immobili che ha trovato impreparati i produttori locali dei materiali impiegati a questo scopo, per i quali si è posto il problema di operare una rapida riconversione delle loro attività tradizionali. Un obiettivo non facile da raggiungere perché le conoscenze tecniche e tecnologiche, necessarie per operare in questo nuovo ambito e con questo nuovo materiale, sono particolarmente elevate e hanno poco a che vedere con quelle spendibili in una segheria La professionalità richiesta nel settore di attività in cui opera l’azienda è di alto profilo e coloro che intendono lavorare in questo conte- sto necessitano di una formazione professionale specifica che non è ancora stata codificata, organizzata e proposta attraverso programmi di studio mirati. Da questa situazione consegue che risulta quasi impossibile reperire manodopera qualificata sul mercato del lavoro locale per la mancanza di una formazione professionale adeguata e specifica nel settore della carpenteria in legno. Il titolare dell’impresa incontrata racconta che alcuni anni fa, a Tarvisio, operava un Istituto Professionale di Stato (IPSIA) che curava la formazione dei giovani nel settore delle lavorazioni del legno, ma che ha dovuto interrompere la sua attività per la mancanza di iscritti. Oggigiorno, purtroppo, diventa sempre più difficile trovare dei giovani disposti a intraprendere degli studi di questo genere e la cosa si complica ulteriormente se si ricercano professionalità ancora più elevate. L’intervistato cita l’esperienza che sta conducendo in azienda per formare un suo collaboratore, un “ragazzo” di 35 anni con alle spalle un percorso di studi superiori e il diploma di geometra, e che si sta rivelando particolarmente impegnativa perché, nonostante le capacità e l’impegno di quest’ultimo, mancano le basi di conoscenza su cui innestare una competenza specialistica, propria del settore. Il nostro interlocutore suggerisce, ancora una volta, di prendere a riferimento ciò che si sta facendo al riguardo in altri Paesi: in Austria, ad esempio, la carpenteria in legno ha raggiunto livelli d’avanguardia e per formare gli operatori da inserire nel settore ha istituito scuole di diverso ordine e grado che svolgono programmi di studio differenziati, a seconda della professionalità richiesta. Come emerso più volte nel corso dell’intervista, per poter offrire ai giovani concrete opportunità di lavoro nel comparto dovrebbero essere intraprese iniziative che trasformino radicalmente l’economia della valle nel senso di sostenere e di incentivare lo sviluppo di attività manifatturiere piuttosto che quelle terziarie. L’occupazione creata dai servizi pubblici, un tempo presenti in zona (trasporti ferroviari e su gomma, dogana, ecc.), non è altro che un ricordo ma gran parte della popolazione loca- – 104 – LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO le, in particolare i giovani, continua a guardare illusoriamente ad essa come prospettiva, di lavoro e di vita, stabile, certa e definitiva. Gli attuali progetti di sviluppo per il comprensorio montano continuano a privilegiare queste forme di economia (è il caso del raddoppio della tratta ferroviaria Tarvisio-Villach, in Austria) per cui è estremamente difficile che, senza le iniziative di cui si è parlato, si possano immaginare prospettive di sviluppo alternative: una di queste potrebbe essere certamente quella creata dall’affermazione sul territorio di un artigianato di qualità, nel quale le attività svolte nel settore della carpenteria in legno potrebbero avere un ruolo molto importante. Nelle imprese artigiane prese in esame, che operano nel comparto della fabbricazione di mobili, la professionalità degli operatori rispecchia fedelmente il loro assetto organizzativo e assume connotazioni diverse. In quelle di piccolissime dimensioni ovvero imprese individuali nelle quali lavorano il titolare con qualche familiare o qualche collaboratore, la produzione è legata alla loro specifica ed elevata competenza, ma si è conservata una certa intercambiabilità fra i ruoli per far fronte a particolari esigenze e a improvvise emergenze. Nella altre, invece, attribuzioni e competenze sono maggiormente suddivise e non raggiungono quasi mai livelli contenutistici particolarmente elevati: qui prevale la logica di sapersi adattare a fare di tutto un po’. Nella costruzione del mobile di maggior pregio artistico, tradizionale e tipico la fase di progettazione richiede molto impegno ed attenzione perché è in questo contesto che devono essere prese importanti decisioni che condizionano il lavoro successivo. Intanto bisogna mettere a confronto le richieste del cliente con la possibilità di soddisfarle pienamente in ogni loro dettaglio, di venire incontro alle sue necessità consigliandolo e proponendogli magari delle alternative: a volte occorre modificare i disegni costruttivi di un certo manufatto rispetto agli originali, quelli recuperati dalla tradizione locale, e ridurli in scala o adattarli a questo ordine di esigenze. Poi si passa alla scelta delle essenze lignee da utilizzare nella sua costruzione che devono essere tagliate a misura delle singole parti che lo compongono: queste, poi, dovranno essere lavorate opportunamente con elementi funzionali (incastri per giunzioni, rinforzi ecc.) e decorativi (intagli, intarsi ecc.) e preparate per l’assemblaggio finale. Seguono, infine, le fasi di applicazione della cosiddetta “ferramenta” ovvero di maniglie, cerniere, serrature, e la finitura superficiale, una lucidatura a cera eseguita rigorosamente a mano (stoppino): nel caso della ferramenta, in una delle aziende incontrate sono stati studiati gli originali dei vari componenti e si sono fatti riprodurre tali e quali per conservare le tecniche e i sistemi costruttivi impiegati nei secoli passati. Sul mercato, questi materiali si riescono a trovare solamente in versioni riprodotte grossolanamente e inadatte per un manufatto di qualità: se venissero montate, dal punto di vista estetico, si noterebbe immediatamente lo stridore della loro presenza con l’armonia e con la coerenza dell’insieme. I nostri interlocutori concordano sul fatto che per fare il loro mestiere ci vogliano fondamentalmente tanta passione e tantissima dedizione: in passato, il percorso di apprendistato era particolarmente duro e richiedeva molto sacrificio, mentre oggi le migliorate condizioni di vita potrebbero sicuramente agevolarlo. Al giorno d’oggi, i giovani interessati alle attività di comparto dispongono di molto tempo libero che potrebbero impiegare per affinare la propria manualità nel saper maneggiare utensili ed attrezzi, la propria competenza nel saper lavorare un certo materiale, la propria cultura per conoscere le caratteristiche di un certo stile costruttivo del passato, il proprio ingegno e la propria creatività per risolvere correttamente un problema di restauro. Questi elementi di fondo, sui quali si basa la voglia di fare e si mette alla prova la resistenza della nostra volontà, potrebbero essere proficuamente integrati e migliorati da una formazione professionale specifica che, in Carnia, purtroppo manca. L’assenza di Agenzie formative sul territorio, che consentano di preparare professionalmente i giovani ad affrontare il mondo del lavoro, genera scompensi non solo nel settore artigiano preso in esame ma anche in tutti gli altri. – 105 – TRA TRUCIOLI E TELAI In Friuli Venezia Giulia, l’Agenzia che si occupa di formare i giovani, in questo senso e in questo ambito del lavoro artigiano, più vicina al territorio carnico si trova, in realtà, molto distante da esso, a S. Giovanni al Natisone, sul confine tra la provincia di Udine e la provincia di Gorizia. Molti comuni della Carnia hanno ospitato o si sono fatti promotori di iniziative nel settore della formazione professionale nel recente passato, all’interno delle quali gli stessi artigiani hanno svolto compiti di insegnamento, ma queste si sono interrotte o sono state abbandonate per lo scarso interesse dei giovani verso di esse. Reperire manodopera qualificata, in questo contesto, è praticamente impossibile perché è già un problema poter contare su quella generica: di gente motivata che voglia lavorare con responsabilità ed impegno nel settore se ne trova pochissima e, qualora si renda disponibile, è contesa sul mercato del lavoro. Questo sta a testimoniare che, secondo il parere dei nostri interlocutori, le opportunità di lavoro nel comparto esistono certamente ma i giovani devono avere la volontà, la pazienza e la dedizione per saperne cogliere le grandissime potenzialità: al contrario, essi dimostrano frequentemente di non avere uno specifico interesse a questo proposito e, nel lavoro, di preoccuparsi maggiormente dei suoi aspetti economico-retributivi. Gli artigiani incontrati rilevano che le lamentele più frequenti, raccolte tra i giovani che in estate, ad esempio, vengono ospitati nei loro laboratori, riguardano proprio l’inadeguatezza del salario percepito per svolgere una generica prestazione, rispetto alle ore lavorate: precisano che in tali occasioni si offre loro l’opportunità di conoscere e di farsi conoscere in cambio di lavori piuttosto semplici per i quali non si può pretendere una remunerazione eccessiva. Secondo il parere degli intervistati, nel comparto della fabbricazione di serramenti, competenze specifiche sono particolarmente necessarie nella fase di progettazione e in quella di supervisione della produzione, sia che quest’ultima venga eseguita in laboratorio sia che la stessa venga attuata sul cantiere. Come abbiamo visto in precedenza, il rapporto degli artigiani incontrati con la clientela è costante ed assiduo in ogni fase della realizzazione della commessa: sotto forma di counseling nella fase di sviluppo di un’idea e nella fase di progettazione e in tutte le altre forme di assistenza tecnica in quelle successive, fino alla posa in opera dei manufatti. Le attività svolte sul primo versante arrivano spesso a dei livelli di dettaglio molto spinti in quanto è abbastanza frequente che il cliente non abbia pensato alla predisposizione di una documentazione specifica in merito: gli stessi professionisti nel campo dell’arredamento si limitano a fornire indicazioni di massima che devono essere tradotte in disegni esecutivi in scala, a volte, molto elaborati. Si tratta di dimensionare i particolari che compongono un certo manufatto, di scegliere i materiali da costruzione, di elaborare dei preventivi di spesa, insomma, di fornire loro tutte quelle informazioni tecniche e non che consentono di esaminare e di valutare la realizzazione del progetto prima di diventare operativi. Sul secondo versante, invece, occorre programmare i cicli di lavorazione, pianificare la produzione, intervenire sul cantiere in modo tale che tutto proceda senza intoppi e per far ciò è necessario svolgere una attenta e costante azione di controllo delle attività in atto e un rapido recupero delle eventuali varianze. In questi ambiti la conoscenza del disegno tecnico è fondamentale perché senza di essa non si saprebbe interpretare la documentazione che accompagna un progetto e agire concretamente di conseguenza: solitamente si devono sviluppare in questo senso semplici bozzetti fatti a mano o disegni d’insieme di un certo ambiente senza mai entrare nello specifico dei manufatti che compongono l’arredo. La formazione professionale dei giovani che intendono svolgere questo mestiere deve fornire loro ottime basi in questo senso perché altrimenti sul lavoro non se la sapranno cavare: il settore artigiano richiede queste conoscenze qualificate che la grande industria, invece, trascura o non valorizza. Nelle imprese artigiane del comparto, le competenze richieste sono molte e diversificate: bisogna saper eseguire dei calcoli matematici e geometrici, bisogna saper disegnare e leggere i disegni, bisogna saper lavorare alle macchine e avere – 106 – LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO contemporaneamente anche una buona manualità, bisogna saper eseguire i compiti che vengono assegnati con coscienza e responsabilità. In parte, ciò si può apprendere a scuola ma è lavorando in azienda che si impara il mestiere e ci si perfeziona: in passato si raggiungevano questi traguardi dopo un lungo apprendistato che di norma durava anche parecchi anni. Ora la normativa in materia è stata modificata, ma non fornisce sufficienti garanzie, in fatto di affidabilità raggiunta e di professionalità realmente acquisita, da parte dei giovani assunti in questa veste dai laboratori artigiani. Negli anni passati alcuni operatori del comparto hanno scelto di trasformare l’organizzazione della loro produzione da artigianale ad industriale, investendo ingenti capitali in macchine ed attrezzature che consentissero di incrementare le quantità prodotte, a scapito della loro qualità: per questo genere d’imprese non serve manodopera professionalmente preparata, ma più semplicemente manovali e addetti-macchina. Altri operatori, invece, non riuscendo a reggere la concorrenza, perché intenzionati a continuare una produzione di qualità, hanno dovuto chiudere bottega per il costo troppo elevato della manodopera qualificata che impiegavano o che avrebbero dovuto impiegare. Il modo di lavorare appena descritto è ancora praticato in Carnia da un certo numero di imprese artigiane, ma con il passare degli anni esso va riducendosi progressivamente, anche per le difficoltà incontrate a reperire manodopera qualificata. A differenza di altre aree montane, quella carnica non dispone di Agenzie formative che insegnino ai giovani le basi per apprendere il mestiere: quelle esistenti in regione sono fuori mano e comportano disagi e sacrifici per i giovani che intendono raggiungerle. Qualche iniziativa in questo senso è stata avviata a livello locale ma, secondo gli intervistati, è ancora ben lontana dal fornire ai giovani una vera formazione professionale nel settore: occorrono interventi più incisivi e mirati che propongano alle nuove generazioni vere opportunità formative per apprendere il mestiere. La formazione attuale degli apprendisti non raggiunge per il momento questo scopo e, in ogni caso, rappresenta un carico economico per l’azienda artigiana ancora troppo oneroso, nonostante le agevolazioni e gli sgravi previsti: il rischio che si corre più frequentemente è quello di aver faticosamente formato un giovane in azienda per alcuni anni e, una volta raggiunto il traguardo, di vederlo poi andar via, magari per mettersi in proprio. È inevitabile che, in mancanza di alternative praticabili, l’artigianato di qualità sia destinato a scomparire: se non si riesce a stabilire un accettabile equilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro le opportunità di lavoro offerte dal settore saranno sempre più scarse e con esse si ridurranno anche quelle di fare impresa. Opportunità di lavoro nel comparto potrebbero essere certamente offerte ma intanto risulta molto difficile reperire manodopera locale qualificata: i giovani ricercano altro tipo di occupazione e non sono disposti a entrare in azienda per imparare il mestiere. Per farlo occorre affrontare un percorso lungo e difficile, fatto di rinunce e di sacrifici, e i giovani d’oggi non sono più disponibili a farlo: preferiscono andare a lavorare nelle grandi industrie che garantiscono lo stipendio e tanti altri benefici. Qualcuno di loro si presenta in laboratorio per impegnare il periodo estivo in attesa di riprendere gli studi, ma alla loro conclusione sceglie di fare tutt’altro: in queste condizioni diventa molto difficile e rischioso assumere manodopera priva di una qualificazione professionale ma, d’altra parte, diventa anche estremamente arduo e dispendioso farlo con quella qualificata. Di fronte a questa prospettiva, o si affronta seriamente il problema della sopravvivenza dell’artigianato di qualità oppure questo sarò destinato a scomparire nel volgere di una decina di anni. Nel comparto della fabbricazione di oggettistica varia, il titolare dell’impresa visitata ritiene che una buona formazione professionale debba essere, senza dubbio, alla base di ogni attività artigiana. Quando era ragazzo ha frequentato per due anni i corsi predisposti da un’Agenzia formativa nel corso dei quali venivano insegnate sia materie teoriche sia attività pratiche: ha iniziato il percorso di studi apprendendo il corretto – 107 – TRA TRUCIOLI E TELAI uso degli attrezzi a mano, proprio come si faceva un tempo, quando non esistevano i macchinari moderni. Ha imparato inoltre le nozioni fondamentali del disegno tecnico, utile sia dal punto di vista pratico, nella fase di progettazione, sia per colloquiare e per consigliare il cliente quando, attraverso schizzi e bozzetti, si cerca di dare forma compiuta a ciò che si vuole realizzare. Una specifica preparazione tecnica di base deve necessariamente essere accompagnata anche da una forte motivazione personale che consente di accrescere la curiosità e l’interesse per ciò che si sta facendo e di stimolare la propria fantasia e la propria creatività. Il passo successivo è quello di andare a fare un po’ di anni di apprendistato presso un laboratorio artigiano per conoscere da vicino e in prima persona ciò che il mestiere può offrire sotto ogni punto di vista: è necessario, tuttavia, che questa fase venga affrontata abbastanza precocemente, prima che sia la vita stessa ad imporre le sue condizioni, e che si scelgano, come maestri, dei valenti artigiani . In tal modo si ha l’opportunità di farsi un’idea abbastanza precisa di quelli che sono i propri interessi e di scoprire le proprie potenzialità: è del tutto normale che un giovane, terminata la scuola primaria, abbia un momento di confusione e di sbandamento, legato al fatto che non si hanno ancora le idee chiare su ciò che si vorrà fare in futuro. Superata questa difficoltà, si focalizza la propria attenzione su una particolare attività, si studiano i suoi fondamenti tecnici, magari frequentando un corso professionale apposito, e poi la si mette in pratica, in genere alle dipendenze di qualche professionista. A quel punto si può decidere se rimanere alle dipendenze dell’artigiano e nel frattempo incamerare conoscenze, oppure fare il grande salto ed aprire un’attività in proprio: anche questa è una decisione da prendere abbastanza precocemente, perché se si ha l’intenzione di mettere in piedi una famiglia occorre pensare a questa prospettiva in modo serio e responsabile. Dalle considerazioni avanzate dal nostro interlocutore si intuisce che il reperimento di professionalità qualificate in questo ambito di lavoro è particolarmente difficile e che lo stesso, a parte qualche caso sporadico, non possa offrire grandi opportunità di lavoro per i giovani. Tutto dipende dalle loro capacità e dai loro interessi, ma forse il problema più difficile da risolvere, per diventare un bravo professionista, non consiste solamente nel possedere determinati requisiti a livello tecnico. È innanzitutto necessario credere in un’iniziativa, saper affrontare dei rischi, essere in grado di saper lavorare autonomamente ma, all’occorrenza, di saper fare squadra, di collaborare con altri: nel suo lavoro, come in ogni altro, del resto, ci sono degli aspetti umani, oltre che professionali, molto importanti che non vanno trascurati e che bisogna imparare a rispettare. Le capacità di adattamento di un individuo alle diverse situazioni in cui si può venire a trovare è un requisito di sopravvivenza fondamentale ma spesso succede di incontrare persone che tali capacità non le hanno mai sviluppate, purtroppo, o non sembrano seriamente intenzionate a farlo: questo atteggiamento preclude evidentemente ogni possibilità di collaborazione e di crescita professionale. Nel comparto di attività dedite all’esecuzione di interventi di restauro, infine, la professionalità artigiana è fondata su un consistente bagaglio di conoscenze tecniche e di esperienza che si possono acquisire solo con l’impegno e con una forte determinazione. Secondo il parere degli artigiani intervistati, il primo e forse unico requisito fondamentale per svolgere il loro lavoro è la passione: quest’ultima non richiede necessariamente la tendenza ad immolarsi, ma una precisa scelta, orientata a voler conoscere e a voler crescere, anche se ovviamente ci si deve sacrificare per imparare. La cura e la competenza con le quali si dedicano al restauro di certi manufatti antichi di gran pregio sono il risultato del percorso formativo intrapreso che li ha portati a sviluppare una straordinaria manualità e ad accumulare grande esperienza professionale, anche grazie al vasto patrimonio informativo e documentario raccolto nei loro archivi che testimonia, tra l’altro, la ricchezza della tradizione carnica. La loro professione non garantisce guadagni straordinari, per cui se uno decide di intraprenderla per queste ragioni commette un grosso sbaglio: essa deve necessariamente pia- – 108 – LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO cere perché, tra l’altro, è fatta anche di attività che sono noiosissime e se ciò che si sta facendo non piace diventa impossibile andare avanti. È importante che i giovani, prima di scegliere se lavorare nel settore artigiano, facciano perlomeno un’esperienza nelle botteghe, in modo da poter valutare in concreto se quella possa essere la prospettiva professionale verso la quale orientarsi e se dall’altra parte ci sia un bravo artigiano in grado di trasmettere loro le conoscenze necessarie per progredire. Le professionalità che sopravvivono nell’artigianato di qualità devono essere trasmesse alle nuove generazioni affinché questo non scompaia definitivamente, ma perché ciò avvenga, coloro che le detengono devono essere agevolati, aiutati e tutelati concretamente. Nel settore del restauro ligneo, ad esempio, ci sono molti operatori, ma sono pochissimi quelli dotati di una vera professionalità, in grado di eseguire con competenza interventi di qualità: molti di loro si sono inventati un mestiere e ora lo esercitano con i risultati che si possono facilmente immaginare. Riscoprire la qualità rappresenta un obiettivo da raggiungere per l’artigianato d’oggi e se gli artigiani riusciranno a capirlo e a perseguirlo allora il settore potrà offrire loro buone prospettive: attualmente la situazione in cui si trovano ad operare è molto incerta e precaria, ma essi ritengono che dandosi da fare ci siano per il futuro buone possibilità di crescita e di sviluppo. Un importante contributo per la costruzione di questo scenario dovrebbe arrivare dalla committenza pubblica, rappresentata dalle Sovrintendenze ai beni culturali, per il recupero del patrimonio artistico regionale, attraverso progetti di intervento sistematici. La prospettiva di continuità offerta da tali interventi assicurerebbe nuove opportunità di lavoro per i giovani, ma anche le condizioni ideali per proporre loro percorsi formativi più mirati ed incisivi, come quelli che si stanno sperimentando in altre regioni. 9.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni tessili Nel comparto della fabbricazione di arazzi e tappeti, la professionalità con la quale lavorano le titolari delle imprese artigiane visitate, oltre ad evidenziare un livello di competenza molto elevato, esprime innanzitutto una forte intenzionalità ad affermare la loro identità culturale, profondamente legata ai luoghi di origine, e un altrettanto forte desiderio di dare continuità a una tradizione locale che rischiava di scomparire L’analisi dei percorsi seguiti per raggiungere questi obiettivi, pur rilevando la diversità dei presupposti e del contesto che li hanno determinati, evidenzia tratti comuni che appaiono particolarmente emblematici e significativi per comprendere come tale professionalità si sia formata. Le titolari di una prima azienda recitano all’unisono una sorta di decalogo che riflette, sotto vari aspetti, la loro personale esperienza e indica i requisiti ritenuti necessari per farlo: pazienza, costanza, passione, determinazione, caparbietà, non volere tutto e subito sono le basi sulle quali è possibile costruire la propria professionalità. Le vicende vissute nel corso della loro vita professionale hanno contribuito in vario modo a far emergere e a consolidare tali requisiti che hanno poi dimostrato di essere fondamentali per la sopravvivenza e per lo sviluppo della loro attività. La fortissima determinazione a voler vivere, in tutte le sue accezioni, la propria esistenza nella località montana nella quale svolgono la loro attività (in realtà, per loro si è trattato di voler ritornare a vivere tra queste montagne) ha richiesto e richiede uno sforzo e un impegno grandissimi: la caparbietà è servita loro per non desistere di fronte alle difficoltà iniziali, mentre la pazienza e la costanza sono le virtù con le quali esse affrontano ancora oggi il loro lavoro quotidiano che dipende esclusivamente dai flussi turistici che raggiungono tale località. La passione, infine, è quella che consente di proseguire l’attività anche nei mesi più difficili, quelli invernali, durante i quali i rigori del clima, la solitudine e mille altre difficoltà – 109 – TRA TRUCIOLI E TELAI potrebbero far pensare alla resa e a una definitiva capitolazione. Al di là del contesto locale, che consente appena la sopravvivenza dell’impresa esaminata, esse considerano che probabilmente è proprio l’artigianato di qualità, inteso nella sua accezione più vasta, a poter offrire queste opportunità a giovani che sappiano però dimostrare di avere i requisiti di cui si è parlato poco sopra: purtroppo le nuove generazioni non manifestano alcun interesse verso questo lavoro e verso questa prospettiva di vita. Da sempre la montagna ha offerto scarsissime opportunità in questo senso e ha indotto gran parte delle popolazioni residenti a migrare, stagionalmente o definitivamente, verso il fondovalle o verso altre località del nostro o di altri Paesi. Solo un grande “voler fare”, una forte motivazione, una precisa e finalizzata intenzionalità può essere di supporto e di conforto al raggiungimento dell’obiettivo di poter vivere in questi luoghi e di poter continuare a farlo nel tempo: essa è di stimolo per sviluppare un “saper fare”, delle conoscenze specifiche e delle abilità, attraverso le quali sarà possibile esprimere le proprie capacità e trarre da esse di che vivere dignitosamente. La titolare di una seconda impresa del comparto ritiene, a sua volta, che una preparazione di base sia fondamentale per affrontare qualsiasi genere di attività, ma lo sia ancor di più se le intenzioni sono quelle di diventare imprenditore, per realizzare un progetto di lavoro e di vita a cui si è guardato con interesse e con entusiasmo. Questa intenzionalità deve essere molto forte e si sviluppa man mano andando a ricercare la propria identità e facendo attenzione a non sconfinare nel velleitarismo: nel suo caso, le premesse dalle quale è partita sono state quelle di avere piena coscienza delle sue origini carniche, di avvertire fortemente questo sentimento di appartenenza culturale, di voler perciò lavorare e vivere in questi luoghi, nonostante le evidenti difficoltà che si frapponevano a farlo. Perché queste sensazioni non rimanessero tali e i desideri tanto accarezzati potessero trasformarsi possibilmente in realtà, ella si è impegnata con tutte le sue forze e con gran sacrificio per creare le condizioni necessarie perché ciò accadesse: più che un vero e proprio apprendistato, la nostra interlocutrice ha intrapreso come autodidatta un percorso formativo multidisciplinare, particolarmente ricco ed impegnativo, basato essenzialmente sul confronto quotidiano con ogni genere di problematiche. La competenza tecnica nello svolgere la sua attività è senza dubbio molto importante e si può acquisire, lavorando a fianco di persone preparate dalle quali si possono imparare cose indispensabili per costruire la propria professionalità. Più difficile da sviluppare e da educare sono le proprie motivazioni, il proprio voler fare, lo stimolo interiore che ci porta a volersi migliorare, ad accettare i rischi dopo averli ponderati, a voler concretizzare un’idea, a voler dimostrare a se stessi che il punto di momentaneo arrivo si può superare per andare oltre, a voler essere protagonisti della propria evoluzione: anche per imparare queste cose ci vogliono buoni maestri e, se si fa tesoro dei loro insegnamenti, il resto viene da sé. Le difficoltà segnalate dall’intervistata, nel reperire personale qualificato sul mercato del lavoro locale, sono notevoli per il fatto che una formazione professionale nel settore tessile è in quest’area del tutto assente e si ricorre all’apprendistato proprio ovviare a queste carenze. Imprese come la sua hanno l’esigenza di poter avere a disposizione una manodopera qualificata ed affidabile che, in mancanza di una formazione specifica e di esperienza lavorativa, deve essere necessariamente istruita in azienda: ciò richiede tempi lunghi, inizialmente improduttivi, sottratti a quelli che si dovrebbero dedicare alla produzione ma ad essi si aggiungono altri inconvenienti che si traducono in veri e propri costi aziendali di rilevanza non trascurabile. Nel momento in cui, ad esempio, l’intervistata deve raggiungere un cliente in qualche parte d’Italia, ha la necessità di sapere con certezza che la produzione, in sua assenza, proseguirà senza intoppi e, se ciò dovesse disgraziatamente accadere, deve poter contare sull’affidabilità e sull’esperienza delle sue collaboratrici nel saperli eventualmente rimuovere senza problemi. Il loro coinvolgimento nella vita d’azienda deve essere, se possibile, molto ampio e riguar- – 110 – LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO dare tutti i suoi aspetti in modo tale che si possano cogliere tutte quelle opportunità che trasformano un semplice lavoro in un lavoro gratificante: accade frequentemente che qualcuna di loro, dopo aver impostato e programmato insieme una certa attività, venga incaricata di ricercare e di reperire tra i potenziali fornitori determinati materiali o, viceversa, partecipi con la titolare dell’impresa a manifestazioni espositive e/o fieristiche di settore. L’intervistata afferma che “non si vive per lavorare ma si lavora per vivere” ed è perciò che un clima aziendale sereno, disteso, che agevola la partecipazione e crea forme di coinvolgimento diretto, rende il lavoro vivibile e stimolante, migliorando sensibilmente la qualità dei suoi risultati. Ella ritiene che, al di là dello specifico comparto di attività svolte nella sua impresa, nella quale vengono accolti sistematicamente giovani apprendisti, le opportunità di lavoro, più che offerte, debbano essere da questi ricercate nell’ambito più vasto dell’artigianato e, se possibile, in quello di qualità. La ricerca deve essere orientata rispetto ai propri interessi e alla propria formazione perché questi due elementi possono avere un ruolo molto importante nella scelta delle prospettive di lavoro e di vita future: un giovane che, ad esempio, abbia concluso i suoi studi presso un Istituto d’arte deve essere pienamente cosciente che in queste zone non ci sono (o sono pochissime) le aziende che possano offrirgli l’opportunità di svolgere un lavoro coerente con l’istruzione ricevuta o anche, più semplicemente, un qualsiasi altro lavoro. Purtroppo la Carnia, se si esclude l’irripetibile precedente delle manifatture avviate da Jacopo Linussio più di due secoli fa, è sempre stata piuttosto avara di posti di lavoro e molti dei suoi abitanti, come la stessa intervistata, l’hanno dovuta lasciare per trovare un’occupazione. È probabilmente questo il destino, non sempre benevolo, che vedrà accomunati molti giovani di questo territorio montano e che li costringerà a fare altrettanto, per intravedere un futuro di vita dignitoso: chi vuole rimanere deve essere pronto al confronto con difficoltà e problemi di ogni genere e solo la sua determinazione potrà sostenerlo dal desistere e dal cedere alla resa. Bisogna che essi siano consapevoli delle loro potenzialità e di ciò che questo territorio può offrire loro, in termini di risorse disponibili e di occasioni da sfruttare, per metterle alla prova e per svilupparle. Nel comparto della fabbricazione di biancheria per la casa, l’esperienza raccontataci dal titolare dell’impresa artigiana presa in esame descrive con particolare chiarezza il succedersi delle tappe che lo hanno portato a ricoprire la sua attuale posizione professionale. Il percorso di studi e di formazione intrapreso a suo tempo dal nostro interlocutore era del tutto estraneo all’ambito della tessitura ma, intorno agli Anni ‘80, l’esigenza di assumere un ruolo preciso all’interno dell’impresa di famiglia ne ha cambiato profondamente gli obiettivi. Trovandosi a diretto contatto con il processo produttivo, ha dovuto intraprendere un lungo apprendistato attraverso il quale ha maturato la necessaria esperienza per conoscere in maniera approfondita e per saper interpretare tutte le funzioni, sia quelle tecniche-organizzative sia quelle manageriali, indispensabili per gestire con successo l’attività aziendale. In questo è stato aiutato da un tecnico, ora ultra-ottuagenario, che già lavorava nell’impresa familiare e che lo ha affiancato nelle vesti di tutor: questo signore, fin dagli inizi della sua vita lavorativa, si era occupato di tessitura, prima come garzone in un’azienda del bergamasco, poi ricoprendo incarichi diversi, sempre in questo settore ma in ambito industriale, accumulando in questo modo un’esperienza vastissima. Quando giunse in azienda, avendo oramai superato la sessantina, si ritrovò a svolgere un ruolo decisivo e di primo piano, per quanto concerne la produzione, in virtù dell’enorme bagaglio di conoscenze che si portava appresso: l’intervistato lo ricorda come un tecnico raffinato dal quale, grazie ai suoi pazienti insegnamenti, alla necessità del momento e a tanta passione, egli ha imparato tutto quello che c’era da imparare per far funzionare al meglio l’azienda. Ora sono le funzioni di progettazione e di conduzione manageriale a prevalere nella sua giornata di lavoro, ma all’occorrenza interviene in – 111 – TRA TRUCIOLI E TELAI ogni fase del ciclo produttivo con estrema competenza e disinvoltura. L’intervistato osserva che, prima di arrivare a un concetto di professionalità, condiviso e conforme all’attuale configurazione organizzativa della sua impresa, peraltro, riscontrabile anche in altre aziende artigiane del settore tessile, è forse necessaria una breve premessa. Negli Anni ’80, l’azienda di famiglia occupava un numero assai più elevato di persone, circa una quarantina rispetto alle attuali undici, perché le tecnologie impiegate e l’organizzazione del lavoro richiedevano una manodopera generica o con un basso livello di specializzazione nel settore. Le macchine e le attrezzature che venivano utilizzate determinavano una eccessiva frammentazione dell’organizzazione produttiva, al punto che molti ruoli professionali si riducevano all’esecuzione di alcune operazioni, diminuendo perciò la potenziale produttività dell’impianto. Oggi le persone che lavorano in azienda hanno un livello di professionalità elevato perché si è recuperata l’organizzazione del lavoro artigiano, dove la competenza di uno specifico ruolo professionale è molto più ampia, allargata a un insieme di funzioni e di compiti da eseguire che consentono, a chi lo svolge, di conoscere l’intero ciclo di lavorazione e tutte le altre attività che ruotano intorno ad esso. Una conoscenza di base rappresenta certamente un vantaggio per ridurre i tempi di acquisizione delle conoscenze, ma è molto importante poter vivere “in diretta” questa esperienza di lavoro perché, in questo modo, si imparano cose che si possono apprendere solo in questo specifico contesto. Le nuove tecnologie e l’informatica forniscono senza dubbio strumenti più avanzati per operare più velocemente e con più precisione ma, come si diceva, l’azienda ha conservato e intende mantenere le caratteristiche tipiche di un’impresa artigianale, dove sono le cose fatte bene quelle che contano, non quelle fatte in fretta e in grandi quantità. Chi impara il mestiere in questo genere di imprese e sa farlo egregiamente può ritenersi, senza presunzione, realmente titolare di una solida professionalità: all’occorrenza potrà trovare lavoro altrove senza difficoltà o svolgere mansioni tipiche del settore industriale ad occhi chiusi o pensare di svolgere un’attività in proprio. Per arrivare a questo traguardo è indispensabile avere molta buona volontà, la necessaria pazienza e un po’ di passione: man mano che s’impara e si accumula esperienza ci si trasforma in una risorsa preziosa che aumenta progressivamente di valore. Secondo il parere del nostro interlocutore, di difficoltà a reperire manodopera qualificata se ne incontrano parecchie perché chi ricerca questo genere di lavoro non manifesta, in realtà, una disponibilità sufficiente per impararlo e per svolgerlo. Le richieste più frequenti provengono da ragazze che hanno terminato gli studi presso le Scuole d’Arte e, magari, hanno scelto di specializzarsi nel settore tessile: arrivando in azienda pensano che si affidino loro mansioni con queste caratteristiche esclusive senza rendersi conto, a volte, di non avere assolutamente l’esperienza per svolgerle. Mansioni di grandissima importanza che richiedono non solo notevole esperienza, ma anche impegno e responsabilità non da poco: l’intervistato ritiene che tale importanza si riesca a percepire meglio, in tutte le sue sfaccettature e in tutta la sua rilevanza, percorrendo tutte le tappe lungo le quali si snoda il processo produttivo. Un percorso di lavoro e di formazione che viene sistematicamente proposto ai neo-assunti, siano maschi che femmine, per poter valutare obiettivamente le loro capacità e le loro potenzialità di sviluppo professionale: probabilmente questo approccio viene dai più mal inteso o frainteso perché forse viene immaginato come limitato e privo di sviluppi futuri che relega a lavori generici o a bassa qualificazione. In realtà, si diceva, rappresenta l’inizio di un percorso di lavoro che può riservare grandi soddisfazioni professionali e aprire prospettive di sviluppo da non sottovalutare: infatti, egli ritiene che, per dei giovani dotati di buona volontà e voglia di imparare, il comparto in cui opera la sua azienda offre, non soltanto la possibilità di lavorare, ma anche quella di imparare un mestiere nel quale i contenuti di professionalità sono rilevanti. – 112 – LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO Per la titolare dell’impresa artigiana che opera nel comparto della fabbricazione di tessuti a maglia e confezione l’obiettivo principale da raggiungere è quello di lavorare assiduamente per riportare l’artigianato tessile di qualità ad essere considerato nuovamente un valore di primo piano, all’interno della cultura e dell’economia locali e, in questo senso, ella impegna tutta la sua professionalità. Per costruirla, a suo avviso, è necessaria la passione perché, prima o poi, essa ripaga di tutte le fatiche sostenute, sia a livello economico sia a livello morale: per intraprendere qualsiasi genere di attività bisogna prima amarla, sia che si tratti di un’occupazione svolta come lavoratore autonomo sia che la stessa venga svolta come lavoratore dipendente. Su entrambi i versanti, intraprendere un’attività significa saper affrontare tante problematiche diverse, economiche, finanziarie, legali, e così via per cui, se una persona non ama quello che fa, è molto difficile che riesca a superare le difficoltà che incontrerà, di volta in volta e inevitabilmente, sul suo cammino: bisogna amare il proprio lavoro e sentire che, attraverso di esso, ci si può rendere utili. La formazione scolastica e professionale è importante anche se, per lavorare nel suo laboratorio, quest’ultima non è necessaria, in quanto provvede lei stessa a fornirla ampiamente e scrupolosamente ai suoi collaboratori, dalla A alla Z, come si dice. Prima di tutto, però, è necessario insegnare ai giovani modi di vivere diversi da quelli attuali, che non conoscono il sacrificio e la rinuncia ma pretendono, invece, di avere tutto e subito. La maturità, ormai, essi la raggiungono troppo tardi, nel momento in cui cominciano a rendersi conto di tutti i problemi che ci sono nel mondo ma, fino ad allora, il disinteresse e la superficialità, manifestati a questo riguardo, impediscono loro di prendere coscienza di quelle che sono le reali necessità nella vita. A tale proposito, la nostra interlocutrice cita il caso di una ragazza, sua collaboratrice, che lavora in azienda da ormai cinque anni, ma che non ha ancora imparato nulla di quello che dovrebbe essere il suo mestiere, non tanto perché non ha le capacità di apprendere le tecniche utilizzate in laboratorio, ma perché non ha nei suoi confronti un reale interesse: nonostante gli stimoli e le sollecitazioni ricevute, si limita ad eseguire ciò che le viene detto senza comprenderne, d’altra parte, il significato professionale. Nonostante la severa analisi, peraltro largamente condivisa tra gli imprenditori artigiani, l’intervistata nutre molta fiducia nelle loro potenzialità e si dichiara certa che, prima o poi, verranno a crearsi le condizioni per invertire l’attuale tendenza. Ritiene, infatti, che molto spesso questo problema sia la conseguenza di politiche assistenziali adottate nei loro confronti che hanno provocato, come risultato generalizzato, un loro progressivo allontanamento e una loro crescente disaffezione per il lavoro. Sul mercato del lavoro sta sensibilmente aumentando il numero di coloro che manifestano una spiccata propensione ad evitare mansioni che comportino responsabilità o richiedano competenze specifiche: il loro interesse è rivolto a soddisfare esigenze immediate e possibilmente certe (lo stipendio, le ferie, altri benefits), a prescindere dalla qualità di ciò che si deve compiere. L’entrata nella cosiddetta “vita attiva”, invece, comporta fondamentalmente e ineludibilmente il compito di saper farsi carico di precisi doveri e di saper assumere personalmente delle precise responsabilità, prima ancora di sapere con relativa esattezza che cosa si farà da grandi. Come si diceva poc’anzi, la nostra imprenditrice, nello svolgimento della sua attività, si avvale da alcuni anni della collaborazione di una ragazza alla quale cerca di insegnare, con scarsi risultati, il mestiere: prima ancora di ricercare sul mercato del lavoro professionalità qualificate nel settore che lo sappiano fare, sarebbe già un grande risultato reperire qualcuno disponibile e seriamente intenzionato ad impararlo. Ella afferma che le imprese artigiane, per quanto piccole possano essere, nel loro insieme hanno la possibilità di offrire lavoro stabile a molte persone, al contrario di quanto stanno facendo le grandi imprese, che assumono tanta gente, ma ne licenziano il doppio. Le opportunità ci sono, ma sono riservate a coloro che vogliono veramente lavorare con impegno e con responsabilità, a giovani che vogliano imparare un mestiere e che con umiltà e dedizione siano disponibili a farlo: ciò richiede intelligenza, determinazione, spirito di sacrificio, pazienza e molta, moltissima pratica. – 113 – 10. L’orientamento dei giovani verso le attività svolte nei settori artigiani indagati e la loro formazione professionale I titolari delle imprese artigiane incontrate esprimono la convinzione unanime che i giovani non siano sufficientemente informati e motivati per intraprendere un’eventuale attività lavorativa nei settori merceologici indagati: molto spesso non hanno alcuna percezione di che cosa sia il lavoro artigiano e delle professionalità che operano nei diversi comparti; quelli che hanno cercato di chiarirsi maggior- mente le idee ne hanno una visione parziale, lacunosa e, talvolta, notevolmente distorta. (TAB. 9) Tra gli intervistati, alcuni sono giunti a questa conclusione dopo aver inutilmente cercato di reperire sul mercato del lavoro degli apprendisti, mentre altri hanno dovuto constatare che quelli trovati non dimostravano alcun interesse per il lavoro che veniva loro proposto. TAB. 9 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Livello di informazione posseduto dai giovani sulle loro attività. CASI LIVELLI DI INFORMAZIONE 1 2 3 4 5 x x x x 6 7 8 9 10 11 12 13 Elevato Sufficiente Scarso Nessuna informazione x Le cause che hanno determinato questa situazione sono molteplici, ma quelle che hanno prodotto i maggiori effetti sul piano del disinteresse e della demotivazione vanno ricercate soprattutto nel processo educativo nel quale sono stati coinvolti. Da questo punto di vista rilevano che molto spesso sono le stesse famiglie che descrivono tali attività come qualcosa da evitare per le condizioni e i carichi di lavoro, per i rischi di varia natura che esse comportano, per le scarse prospettive che sembrano offrire: un’immagine del lavoro artigiano perlomeno approssimativa, nella quale non traspare alcun riferimento, nemmeno accennato, all’artigianato di qualità, che deve essere rivalutata, promossa e riaffermata come dignitosa ed operosa alternativa di vita. Si deve tenere in conto che in molte famiglie, il problema riguardante il futuro dei loro figlioli viene ancora affrontato con una mentalità di vecchia impostazione che vorrebbe riservare loro prospettive diverse da quelle sempre difficili e travagliate vissute in prima persona. A volte, per il fatto di non aver voluto o potuto ricevere un’istruzione adeguata, certi genito- x x x x x x x x ri decidono per i propri figli condizioni esistenziali diverse da quelle toccate loro e si augurano che questi facciano un lavoro diverso dal loro senza rendersi conto di privarli di opportunità occupazionali e di condizioni economico-sociali molto dignitose. Probabilmente tra qualche anno questo atteggiamento distorto e irresponsabile sarà cambiato e avere un figlio falegname o tessitore sarà nuovamente motivo di orgoglio e di soddisfazione, viste le attuali condizioni del mercato del lavoro e il dilagare della disoccupazione giovanile. I posti di lavoro creati dai servizi pubblici, un tempo massicciamente presenti in alcune zone dell’alto Friuli (trasporti ferroviari e su gomma, dogana, ecc.), non è altro che un ricordo ma gran parte della popolazione locale, in particolare i giovani, continua a guardare illusoriamente ad essi come prospettiva, di lavoro e di vita, stabile, certa e definitiva. Senza nulla togliere al pubblico impiego, bisogna obiettivamente considerare che è molto difficile, per genitori che abbiano svolto la loro attività in questo contesto, educare e orientare i propri figli alla scelta di una prospettiva di – 115 – TRA TRUCIOLI E TELAI lavoro e di vita diversa da quella che loro hanno operato. Purtroppo, però, le cose sono profondamente cambiate non solo in queste aree ed è ora necessario pensare seriamente a prospettive di sviluppo economico, completamente diverse da quelle offerte nel passato. Le famiglie, al contrario, dovrebbero avere un ruolo di primo piano nell’orientare i propri figli verso la cultura del lavoro artigiano: per accelerare questo processo di cambiamento sarebbe, dunque, necessario promuovere maggiormente e con più incisività le attività artigiane, in particolare quelle di qualità, attraverso canali di comunicazione adeguati, e aiutare le famiglie a comprendere che queste possono offrire ai loro figli prospettive di vita da non sottovalutare. In secondo luogo, una grave responsabilità nell’aver determinato questa disinformazione e questa disaffezione è da attribuire alle Istituzioni scolastiche, nelle quali non ci si preoccupa di trasmettere adeguatamente e seriamente i principi e i valori della cultura del lavoro: anche in questo caso, ci si limita ad accennare riferimenti perlopiù stereotipati e/o desueti. I giovani, quando escono da esse, non sanno nulla di questa cultura che, tutto sommato, li ha aiutati a crescere: quelli che entrano nelle aziende, devono ripartire dall’inizio per scoprirla, per condividerla, per apprezzarla perché è in questi luoghi che avviene la loro formazione professionale e la trasmissione del know how artigiano, dal titolare, ai dipendenti, agli apprendisti. Il problema della motivazione al lavoro dei giovani deve essere ricondotto ad un preciso sistema di valori: il senso del dovere, l’interesse verso il proprio lavoro (la cosiddetta “passione”, con i molteplici significati che il termine evoca, vuoi nel senso dell’affermazione delle proprie capacità vuoi in quello del sacrificio che ciò comporta), l’assunzione di responsabilità sembrano essere traguardi d’altri tempi. Il sistema che rispecchia in molti casi la loro educazione è fatto di certezze, di traguardi economici e sociali scontati e/o facili da raggiungere, di opportunità offerte a iosa: questo sistema non riflette quello del lavoro artigiano ed è perfettamente logico che i giovani non guardino con interesse e fiducia ad esso. Le politiche educative non dimostrano alcuna sensibilità verso questa cultura, la cultura d’impresa, che educa a misurarsi con le proprie capacità e ad esprimere la propria determinazione a rischiare piuttosto di smorzarla, nel tentativo sempre più difficile di raggiungere mete illusorie e temporanee. Una cultura che insegna a prendere delle decisioni e a essere pienamente responsabili delle conseguenze che ne potrebbero derivare: in assenza di un’efficace azione pedagogica, rivolta sistematicamente e continuativamente in questa direzione, diventa impossibile trasferire e trasmettere i valori di questa cultura alle nuove generazioni. Per ovviare a questi inconvenienti, azioni di orientamento dei giovani non sono solo auspicate, ma giudicate dagli intervistati come assolutamente necessarie e urgenti, nel tentativo di sensibilizzare e di stimolare la loro curiosità e il loro interesse verso queste prospettive di lavoro e di crescita professionale. (TAB. 10) TAB. 10 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Livelli di validità delle azioni di orientamento dei giovani, come strumenti di sostegno e di sviluppo dell’artigianato di qualità. CASI LIVELLI DI VALIDITÀ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Molto valido x x x x x x x x x Abbastanza valido Poco valido Nessuna validità – 116 – x x x x L’ORIENTAMENTO DEI GIOVANI VERSO LE ATTIVITÀ SVOLTE NEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI Senza di esse, è a rischio una parte significativa dell’economia del Paese e della regione, sia per quanto concerne la produzione di beni e di servizi sia per la manodopera che potrebbe essere impiegata in queste attività. La prospettiva che tali azioni creino, nel breve periodo, ricadute positive sull’occupazione nei diversi settori dell’artigianato di qualità è difficilmente immaginabile perché queste semmai potranno essere rilevate più in là nel tempo. Dunque, perchè tali azioni siano più incisive ed abbiano un preciso significato, bisogna creare le condizioni per dare continuità a tutte le forme in cui si esprime l’artigianato di qualità, diversamente si raggiunge l’obiettivo opposto ovvero quello di disorientare e di confondere i giovani, creando in loro false aspettative. Le azioni di orientamento, per essere efficaci, devono iniziare per tempo e coinvolgere non solo le nuove leve che si affacciano sul mercato del lavoro, ma anche le loro famiglie: in ogni caso, deve trattarsi di azioni sistematiche e capillari che potranno produrre nel lungo periodo buoni risultati, soprattutto dal punto di vista qualitativo più che da quello quantitativo. È assolutamente necessario che i giovani arrivino in bottega con le idee chiare o preventiva- mente chiarite ed è nell’ambito della scuola che ciò deve avvenire, attraverso l’impiego di metodologie e di strumenti didattici adeguati: questi devono sapere per tempo che cosa fanno e come operano le professionalità che lavorano nei diversi settori artigiani. In secondo luogo, occorre selezionare attentamente quei giovani che dimostrano di avere non solo le abilità per fare, ma anche la volontà di fare perché nel mestiere che si sceglie di intraprendere deve essere intravista una prospettiva di lavoro, di crescita professionale e di vita. Bisogna sondare in anticipo le capacità e le motivazioni che i giovani dimostrano di avere per svolgere questi mestieri e predisporre in tal senso degli adeguati strumenti di selezione per orientare, non per escludere: è possibile, infatti, che un giovane non predisposto per un particolare mestiere, ne possa svolgere un altro con pieno successo e, perciò, vada informato del fatto e sostenuto nelle scelte successive. Se non vengono preliminarmente affrontate queste problematiche ed individuati gli strumenti per risolverle, le iniziative predisposte per la loro auspicata formazione professionale rischiano di essere vanificate, sia per il presente sia per il futuro. (TAB. 11) TAB. 11 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Livello di validità delle azioni di formazione professionale dei giovani, come strumenti di sostegno e di sviluppo dell’artigianato di qualità. CASI LIVELLI DI VALIDITÀ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Molto valido x x x x x x x x x x x x x Abbastanza valido Poco valido Nessuna validità L’idea di utilizzare i laboratori delle imprese artigiane come botteghe-scuola è oramai una realtà ampiamente sperimentata in altre regioni del Paese e all’estero, proprio per evitare di riproporre ai giovani percorsi formativi che hanno largamente dimostrato di essere sostanzialmente inefficaci. Essa prevede che i laboratori artigiani diventino sedi operative nelle quali realizzare un processo formativo originale, orientato a riprodurre figu- re professionali ad elevata qualificazione, in grado di interpretare e di innovare i valori su cui si basa la cultura artigiana dell’eccellenza. Non v’è dubbio che tali iniziative si pongano obiettivi ambiziosi, raggiungibili unicamente attraverso la progettazione e la sperimentazione di percorsi di formazione professionale appositamente predisposti, ma i risultati finora conseguiti stanno a testimoniare che questa strada è sicuramente percorribile. (72) – 117 – TRA TRUCIOLI E TELAI Il tema della formazione delle professionalità artigiane è molto spinoso e deve essere affrontato in modo realistico se ci si propone di raggiungere soluzioni credibili: vale la pena, a questo proposito, delineare sommariamente lo scenario che fa da sfondo al processo formativo che si propone di trasferire abilità e competenze all’interno del settore in questione. Nel migliore dei casi, quello ideale, infatti, ci si trova di fronte a una situazione nella quale, da una parte, è schierato un bravo artigiano che conosce bene il suo mestiere e che potrebbe insegnarlo, mentre, dall’altra parte, ritroviamo un giovane, capace e motivato, che vorrebbe impararlo. Una rappresentazione, in realtà, falsa e fuorviante perché di artigiani bravi, magari, ce ne sono tanti, ma di disponibili a trasmettere ad altri le loro conoscenze certamente molti meno: i nostri interlocutori, per ribadire questo concetto, ricordano che, ancora oggi, “il mestiere si ruba” e ciò la dice lunga su quanto siano forti nel settore le reticenze a rendere partecipe delle proprie abilità, delle astuzie apprese e di tutto ciò che fa parte della loro professionalità un estraneo o un potenziale concorrente. Sottolineano che gli artigiani non sono né dei filantropi né dei missionari, ma degli imprenditori e, come tali, vogliono lavorare e vorrebbero che i loro dipendenti si rendessero conto delle difficoltà e dei problemi che si incontrano quotidianamente per dare loro una prospettiva di occupazione continuativa e alle loro aziende quella di uno sviluppo futuro. Formare un apprendista è un investimento ad alto rischio, in tutti i sensi, anche quando si è incentivati a farlo: inizialmente le sue prestazioni non sono affidabili e di nessuna resa sul piano produttivo. Solo dopo qualche anno, la casistica di lavoro affrontata e l’assiduità dimostrata da un giovane motivato, nell’eseguire ciò che gli viene richiesto di fare, cominciano a dare i loro frutti: in molti casi, l’artigiano si può occupare della sua formazione quando è oramai prossimo alla pensione o non si ha più gli assilli di un’attività che deve assolutamente procedere. Lo scenario proposto in precedenza risulta molto poco credibile anche per quanto concer- ne i giovani che si avvicinano alle attività svolte nei diversi settori artigiani. I nostri interlocutori, valutando l’attuale situazione delle Istituzioni scolastiche e delle Agenzie che si occupano di formare giovani per il settore delle lavorazioni del legno e per quello tessile, rilevano che, a fronte di una preparazione teorica di base, indubbia e necessaria, non corrisponde una corrispondente e complementare formazione della loro manualità, del tutto indispensabile per svolgere i lavori che vengono loro assegnati. Sul piano dell’intenzionalità poi, a parte alcuni casi eccezionali, esse non riescono a motivare sufficientemente la gran parte dei loro allievi verso il lavoro, mentre si da per scontato che proprio questo dovrebbe essere il loro compito principale. Superate queste difficoltà il percorso formativo diventerebbe senza dubbio più facile ed è evidente che se i due protagonisti, artigiano e giovane apprendista, si incontrano e si piacciono, il travaso di competenze e di esperienze diventa un gioco per entrambi. Sulla professionalità di base di un falegname o di un tessitore è possibile innestare e formare altre specializzazioni che sarebbe bene curare per creare altrettante opportunità di lavoro e per permettere al giovane di scegliere il percorso professionale a lui più consono. Si diceva poc’anzi che il problema della motivazione al lavoro dei giovani deve essere ricondotto ad un preciso sistema di valori: essa dovrebbe essere stimolata ed orientata precocemente in questa direzione, fin dalla più tenera età ma questa azione non può essere compiuta che dalle famiglie, dalla scuola e dalle altre istituzioni educative. Esse dovrebbero insegnare ai giovani, con i loro interventi, a riconoscerli e ad apprezzarli come elementi della cultura e della tradizione locali perché è in questo modo che nasce e si rafforza il sentimento di appartenenza a un certo territorio, si impara a viverlo in tutte le sue espressioni e si arriva anche a decidere che cosa si vuol fare al suo interno. Queste attività, ribadiscono gli intervistati, sarebbero molto importanti per la formazione professionale di una nuova generazione di artigiani che raccolga il testimone passato da quel- – 118 – L’ORIENTAMENTO DEI GIOVANI VERSO LE ATTIVITÀ SVOLTE NEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI la attualmente attiva e, purtroppo, ridotta ad un numero sempre più esiguo. Alcune Agenzie formative che operano localmente stanno tentando di avviare progetti e iniziative in questo senso ma la loro azione è ancora insufficiente e poco mirata: il fatto stesso che non ci siano “in loco” opportunità di formazione professionale che consentano di apprendere i rudimenti del mestiere conferma che sul terreno dell’orientamento professionale c’è ancora molto, se non tutto, da fare. Solo a seguito di queste iniziative, che hanno una finalità informativa propedeutica, i giovani avranno la possibilità di operare scelte coerenti e sufficientemente motivate per rivolgersi ai mestie- ri del lavoro artigiano con entusiasmo e fiducia perché in essi si è intravista una prospettiva professionale e di vita promettente e dignitosa. Note (72) BAUSSANO A. A., “Andare a bottega. Progetto Bottega Scuola”, Programma di Iniziativa Comunitaria Interreg III B-Spazio Alpino, Progetto CRAFTS, Regione Piemonte, Direzione Regionale Commercio e Artigianato, Regione Piemonte/Comunità Europea/Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti/Alpine Space, (in corso di stampa). – 119 – 11. Considerazioni conclusive A conclusione della presente analisi, condotta su due dei più importanti settori di attività artigiana presenti nell’area carnica, quello delle lavorazioni del legno e quello delle lavorazioni tessili, riteniamo che non sia il caso, come di solito avviene in queste occasioni, di riassumere quanto esposto nei capitoli precedenti. A nostro avviso, ognuno di essi è particolarmente ricco di indicazioni utili per conoscere, da diversi punti di vista, le valutazioni espresse dalle imprese artigiane coinvolte nell’iniziativa sull’attuale condizione dei comparti in cui operano, sulle problematiche che li affliggono e sulle loro prospettive future. Crediamo debbano essere tenuti in debita considerazione i preziosi suggerimenti forniti dai loro titolari per affrontare e per risolvere le questioni più delicate, complesse e, a volte, spinose che interpretiamo come un invito rivolto alla Regione Friuli-Venezia Giulia a dare piena attuazione alla normativa regionale predisposta in materia (l. r. n. 12/2002), per disciplinare e per sostenere l’artigianato di qualità. Vorremmo proporre, piuttosto, alcuni spunti di riflessione che possano orientare e supportare, anche dal punto di vista operativo, il piano degli interventi da predisporre nell’immediato futuro, in modo tale da poter cogliere in esso una reale l’intenzionalità politica che finalmente operi in questo senso. Un’intenzionalità che dovrà esprimersi, innanzitutto, nella individuazione degli obiettivi che si vorranno perseguire in questo ambito specifico e negli strumenti che si vorranno utilizzare per affrontare, con coerenza, sollecitudine e lungimiranza, le complesse tematiche emerse nel corso dell’indagine. Un primo terreno di confronto, sul quale dovranno essere valutate le scelte operate, è rappresentato dall’esigenza di dover tenere in debito conto e di conciliare, come abbiamo potuto ampiamente constatare, espressioni della cultura artigiana (in termini di managerialità, di organizzazione, di tecnologia, di progettualità ecc.) estremamente diversificate tra loro, all’interno dei settori e dei comparti di attività presi in esame. In questi ultimi, realtà produttive che si propongono di conservare una tradizione artigiana particolarmente ricca di valori (artistici, storici, tecnici e altri ancora), consolidatasi nel tempo e fortemente radicata a livello locale, convivono con altre realtà produttive che sono proiettate nella ricerca e nella sperimentazione di attività alternative, marcatamente connotate per i loro caratteri di innovazione e di sviluppo. Dobbiamo prevedibilmente ritenere, sebbene tra i nostri interlocutori non ci fossero casi del genere, che il quadro d’insieme dell’artigianato di qualità, considerato nei suoi aspetti artistici, tradizionali, tipici ed innovativi, vada completato da imprese che, in una prospettiva di breve termine e a causa di dinamiche sfavorevoli, vedano compromessa, minacciata o preclusa la loro attività, perché soggetta ad un rapido processo di obsolescenza. A proposito di tradizioni montanare da salvaguardare e/o da riscoprire, ad esempio, il titolare di una delle imprese contattate si domandava, coinvolgendoci nell’interrogativo, se nell’immediato e prossimo futuro avrebbero ancora avuto un mercato di sbocco le gerle o le posaterie in legno di acero che suo nonno fabbricava nei lunghi mesi invernali. (73) Evidentemente aveva colto, in questa sua osservazione, un aspetto problematico comune a molte attività artigianali prossime alla scomparsa. È con queste diverse realtà che l’intenzionalità politica deve confrontarsi per fissare gli obiettivi delle azioni da intraprendere nel senso dell’innovazione, del mantenimento e dell’eventuale recupero dell’obsolescenza. Crediamo che questi tre concetti possano essere interessanti e utili perché consentono di affrontare in modo molto diretto e mirato i problemi connessi con le esigenze di introdurre dei cambiamenti più o meno significativi in determinati ambiti (economico, educativo, sociale ecc.) dell’intero settore artigiano. Vale la pena rammentare che ogni processo di cambiamento, per essere tale, ha il carattere della continuità, nonostante il fatto che la sua evoluzione possa subire nel tempo accelerazioni o rallentamenti più o meno intensi. – 121 – TRA TRUCIOLI E TELAI Il raffronto sistematico tra gli obiettivi di innovazione, mantenimento e recupero dell’obsolescenza consente di rappresentarne le sue linee di sviluppo, di valutarne criticamente i risultati e, se del caso, di apportarvi possibili correzioni “in itinere”. D’altra parte, secondo la logica dell’operare per progetti, tutto ciò è possibile a condizione che di tali obiettivi vengano date delle descrizioni rigorose ed esplicite, in modo tale da permettere di programmare e di predisporre gli interventi e di osservare l’impatto che questi determinano sui diversi soggetti coinvolti nel cambiamento. Queste considerazioni, che hanno avuto finora per oggetto il contenuto e la forma, attraverso le quali potrebbe concretizzarsi l’intenzionalità politica di un’Istituzione di governo locale come la Regione Friuli-Venezia Giulia, possono essere agevolmente estese, in coerenza a quanto è stato fin qui detto e nello spirito che anima il Progetto CRAFTS, ai diversi aspetti dell’artigianato di qualità che sono stati presi in esame nel corso della presente indagine. Per quanto concerne il contenuto di qualità delle lavorazioni eseguite, considerato sotto il profilo artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, dobbiamo rilevare che, a fianco di attività svolte prevalentemente nella logica del mantenimento (conservazione dei procedimenti tecnico-produttivi originari, delle caratteristiche stilistiche dei manufatti, delle materie prime impiegate e così via), ne emergono altre orientate nel senso di una profonda innovazione nel modo di concepire i nuovi prodotti e i nuovi sistemi per produrli. Ne siano un esempio la fabbricazione di carpenteria in legno lamellare, la fabbricazione di arazzi e tappeti con la tecnica del tufting, la fabbricazione di serramenti speciali, la fabbricazione di biancheria per la casa con sistemi di tessitura tecnologicamente avanzati, la fabbricazione di mobili moderni per la realizzazione di architetture di interni. Nel comparto dell’esecuzione di interventi di restauro su manufatti lignei, il fenomeno interessa più specificatamente le tecniche di intervento e i materiali impiegati allo scopo. La stesura dei cosiddetti “Disciplinari di produzione”, invece di configurarli esclusivamen- te come rigido corpus di norme, peraltro necessarie, che regolano l’attività nei diversi settori di attività artigiana, dovrà riservare spazi adeguati per accogliere queste innovazioni che rappresentano la naturale evoluzione di una tradizione locale fortunatamente ancora attiva e radicata . A ben vedere, queste connotazioni si riflettono anche nelle posizioni di mercato rispettivamente occupate: le prime si collocano in micro-nicchie (locali) all’interno delle quali risulta ancora possibile sottrarsi alle pressioni competitive più rilevanti, mentre le seconde cercano di affermarsi e/o di consolidare la loro presenza sul mercato nazionale, senza trascurare le opportunità (purtroppo scarse) offerte da quello internazionale. In entrambi i casi sono posizioni recentemente conquistate o mantenute per intere generazioni con grande dispendio di energie da parte delle imprese artigiane che, in questa fase di annunciato cambiamento, devono essere concretamente aiutate. Nell’ambito dei diversi settori e comparti dell’artigianato di qualità, il dibattito aperto sul suo futuro, che vede a confronto operatori, studiosi ed esperti di numerose discipline, sottolinea sempre più spesso che promuovere significa informare ed educare. Educare la committenza sulla differenza tra un tipo di lavorazione ed un altro, tra l’uso di un materiale ed un altro, tra le capacità e l’esperienza di un artigiano ed un altro: spiegare che non è possibile pretendere manufatti di un certo pregio a condizioni inferiori a quelle della grande produzione. Ancor oggi un’accezione corrente del termine “artigianato” riguarda quasi esclusivamente le cose prodotte, purché siano fatte a mano e un secondo pregio, che si attribuisce al prodotto eseguito a mano, sembra riferito al fatto che le macchine eseguono prodotti di maggiore perfezione. Una differenza non incidentale è, che osservando le produzioni dell’artigianato di un tempo, si riconosce una manualità così attenta e curata che è tecnicamente presente, al punto tale da produrre l’effetto della lavorazione eseguita a macchina, mentre nell’artigianato moderno l’impiego di quest’ultima tende – 122 – CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE a riprodurre gli effetti di manualità richiesti dal mercato. Nel primo caso il risultato della vera produzione artigianale è il pezzo unico, mentre in quella industriale il pezzo unico o prototipo si appiattisce nella serie. Per quanto riguarda gli strumenti e le macchine impiegate, nell’una la mano, estendendo alcune funzioni specializzate, esalta le proprie attitudini e capacità, nell’altra le incertezze e le grossolanità fatte a macchina tendono ad esaltare le inettitudini e le incapacità. Nei due casi si raggiungono in positivo e in negativo, con uguale approssimazione, gli effetti di quei “segni artigiani” che la mano riesce ancora ad evocare e ad imprimere nel manufatto. Questa non è altro che la simulazione, un tentativo di imitazione che la produzione industriale estende al prodotto fatto a macchina, predisponendo “finiture” che sembrano fatte a mano e ne aumentano il prezzo. L’operazione è facile perché il cliente, che un tempo si recava nella bottega dell’artigiano e poteva fare le opportune verifiche, ora, davanti all’oggetto finito, non riesce a distinguere il ciclo di lavorazione del “pezzo unico” da quello fatto “in serie”. La falsificazione è più evidente quando alcuni interventi “manuali” sono fatti quali correttivi già previsti, in funzione di un prodotto industriale che sembri artigianale, cioè fatto a mano. Ciò significa che le azioni promozionali da intraprendere per il sostegno e lo sviluppo delle produzioni artigiane devono distinguersi per le loro caratteristiche di qualità e di innovazione, riconoscibili per il valore aggiunto che ne potrebbe derivare alle imprese interessate, fornendo loro servizi mirati (di promozione commerciale, di marketing, di assistenza tecnica, di documentazione ecc.). Da questo punto di vista, accanto alle manifestazioni di prestigio, riproposte periodicamente e continuamente migliorate, occorre organizzare e sperimentare eventi mirati che si propongano di far conoscere l’artigianato di qualità del Friuli-Venezia Giulia in ambiti di mercato più ampi di quelli attuali, in modo tale che venga riconosciuto e distinto dagli altri beni per i suoi caratteri irripetibili ed esclusivi. La promozione delle attività artigiane dei settori esaminati, inoltre, potrà manifestare tutte le sue potenzialità informative ed educative nelle iniziative messe a punto per orientare e per formare professionalmente i giovani in tal senso. È necessario destare in loro e nelle loro famiglie un nuovo interesse per i valori della cultura artigiana, da troppo tempo ignorati con inspiegabile e colpevole noncuranza proprio dal nostro sistema educativo. Rientra negli interventi di carattere formativo anche l’aggiornamento professionale degli artigiani che, nella logica di una loro formazione e riqualificazione continua, dovrebbe consentire loro di accedere a corsi di specializzazione tecnica, in linea con i progressi dell’innovazione. Investire nella risorsa umana esprime una volontà politica che ha piena coscienza e fiducia nel miglioramento e nello sviluppo delle sue potenzialità, ma per raggiungere questi obiettivi è necessario poter disporre di un sistema formativo affidabile, in grado di cogliere e di soddisfare il suo fabbisogno di conoscenza. La tesi che lo sviluppo di un territorio debba essere il risultato di un processo di integrazione fra le risorse economiche esistenti è largamente condivisibile, ma presuppone il fatto indispensabile che a saperle individuare, a saperle combinare e a saperle utilizzare ci sia la competenza e l’intenzionalità di un Homo oeconomicus che sia stato educato a farlo, nel rispetto del territorio stesso e della popolazione che lo abita. Note Cfr. BAUSSANO A. A., “La montagna spaccata/The split mountain. Artigianato lapideo di qualità in Piemonte/Quality stonework craftsmanship in Piedmont.”, Programma di Iniziativa Comunitaria Interreg III B-Spazio Alpino, Progetto CRAFTS, Regione Piemonte, Direzione Regionale Commercio e Artigianato, Regione Piemonte/Comunità Europea/Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti/Alpine Space, Torino, 2003. – 123 – Nota biografica Antonio Angelo BAUSSANO, psicologo, esercita la libera professione in ambito clinico e come ricercatore, in campo economico e sociale, dedicando particolare attenzione ai temi dell’organizzazione del lavoro e dell’occupazione e contribuendo, tra l’altro, alla costituzione dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della Regione Piemonte. Svolge attività di consulenza nei settori dello sviluppo e della formazione delle risorse umane, in quelli delle problematiche emergenti dai diversi modelli di cultura d’impresa, affermatisi nel contesto dell’attività artigiana e industriale, e in quelli della progettazione e della realizzazione di specifici interventi, predi- sposti in tal senso da Organizzazioni pubbliche e private: argomenti affrontati, approfonditi e raccolti in una vasta bibliografia. Da alcuni anni collabora con la Regione Piemonte alla realizzazione del Progetto “Eccellenza Artigiana” e, più di recente, a quella del Progetto CRAFTS, inserito nel Programma di Iniziativa Comunitaria Interreg III B Spazio Alpino, che vede la partecipazione della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia in veste di capofila: al suo interno svolge un ruolo di coordinamento scientifico e metodologico dei partner, sui temi dell’artigianato di qualità e della formazione professionale artigiana. – 125 – Finito di stampare nel mese di novembre 2005 presso Grafiche Manzanesi Printed in Italy REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA Direzione centrale risorse agricole, naturali, forestali e montagna Servizio affari generali, amministrativi e politiche comunitarie Via Caccia, 17 - 33100 Udine - Italia Tel. +39 0432 555111 - Fax +39 0432 555140 www.regione.fvg.it