In terra d`Egitto …appena la luce del sole comincia

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In terra d`Egitto …appena la luce del sole comincia
In terra d’Egitto
…appena la luce del sole comincia a filtrare attraverso le fessure delle
persiane di legno, la mia camera si dilata, le pareti scompaiono e sento il
profumo dei gelsomini del mio giardino aggredirmi ed invitarmi a
raggiungerli. E’ una strana sensazione, un’ immersione nell’assenza del
tempo e dello spazio, un’affondare nel cosmo senza peso: l’intuizione che
tutto quello che c’è da comprendere sia lì ad un istante da te ma mentre
sei sul punto di afferrare ogni cosa, questa stessa ti sfugge
inesorabilmente pur lasciando un senso di pieno perso, appena sfiorato.
Mi vesto in fretta e vado in ufficio. Apro la grande porta finestra. Il
giardino immenso mi viene incontro, con i suoi alberi secolari, le macchie
di azalee fiorite, il loto ed i peschi in fiore…alcuni animali da cortile
razzolano tranquilli nel prato. E’ lì che lo porterò. Chiamo Giovanni, il
ragazzo arrivato dal sud e rimasto al mio fianco per oltre cinque anni.
Organizziamo il viaggio, predisponiamo il mezzo, programmiamo la
giornata. Per la prima volta dall’incidente, il giovane egiziano affronta
un’intera giornata lontano dall’ospedale.
Arriviamo emozionati e convinti, sicuri di tracciare un piccolo
insignificante solco d’apertura a nuove composizioni esistenziali.
Ci vengono date istruzioni, cateteri, terapie, tabelle orarie. Lui ci attende
sorridente. Gli presento Giovanni e mi perdo nell’incontro dei loro
sguardi…quello azzurro e limpido di Giò e l’intensità scura e profonda di
Lui. In un baleno sono già in sintonia e con una naturalezza antica si
parlano da fratelli, da amici pur non conoscendo l’uno la lingua
dell’altro.
Com’è vero che basta il corpo, la gestualità, il suono e l’espressione degli
occhi a legare un uomo ad un altro essere.
Com’è vero che si può scendere dal palcoscenico e mescolarsi alla platea
evitando la finzione e l’allestimento delle impalcature dove manichini
umani recitano parti da copione. Sentire e comprendere.
Giò solleva Lui e mi appare come un albero che apre le braccia e
consente al passero ferito di restare nel nido e guardare dall’alto il mondo
scorrere in attesa di scoprire come potrà riprendere il suo volo. Lo fa con
semplicità. Giò ha in sé la forza della semplicità e dell’amore, la
trasparenza e l’immediatezza che provengono dalle nostre comuni origini.
Li guardo, seduta sul sedile posteriore ed ancora una volta sento scorrere
dentro il fluido vitale che mi colma e mi avvicina ad un progetto indefinito,
lontano ma potente.
Arriviamo alla meta promessa. Attraversiamo il giardino accanto
all’ufficio. Ci guardiamo sorridenti e respiriamo profondamente. Tutto è
lento e le parole sono superflue.
Giovanni mostra gli angoli più affascinanti e nascosti di quel giardino
antico e tutto italiano, ride e trasmette il suo buonumore. Lui è sull’onda,
in perfetto sincronismo: cavalcano un’armonia comune ed innata.
Trascorrono minuti…ore…secoli…non saprei. Ogni istante è breve ed
infinito. Arrivano amici a far festa. Ciascuno porta il proprio dono. Cous
cous. Bevande. Libri. Musica . Qasa’id. Shisha.
Magnifiche ragazze con le tuniche colorate e ricamate. La nostra amica
dolce e bionda dai lunghi capelli morbidi e dorati che scendono leggeri.
Bimbi sorridenti. Giovani con le loro chitarre.
Mi tiro indietro ed osservo. Indago sulla verità della scena in movimento
che si srotola davanti ai miei occhi. M’interrogo. Qual è il senso di una
frazione del tempo sospesa tra il sogno e la realtà?
Dov’è il beneficio per tutti?
La vita di Lui domani ritornerà ai ritmi di sempre. Così quella degli altri.
Ed io mi perderò ancora nei pensieri e nei sogni.
Poi improvvisamente la nostra magica amica bionda arriva con libri e
suoni. Ci raccogliamo in circolo sotto l’albero di loto. Lui è commosso ma
austero, gli occhi dolci ed infiniti. Dedichiamo insieme un omaggio
all’Egitto. La nostra amica apre un libro di El. Al – Karrhat e legge piano,
con voce suadente e morbida : Il tramonto s’insinuava avanzando su
Alessandria dalla fortezza di Quyt Bey e alle domande dell’esistenza
umana il sole contro le case aveva un senso, un valore o il blu del mare.
Lui intuisce e ripete con assonanza i versi in arabo: è musica.
“Mia mia sublime Alessandria . La città protetta dal porto dorato, il faro
di Alessandro..città perla di Cleopatra, fastosa ed eterna. La fulgente
metropoli rivestita di marmo bianco così brillante che di notte non c’è
bisogno di luce alcuna. Alessandria magnifica superba e felice” solenne
prosegue con alcune parole in italiano…ritroviamo il testo e la nostra
amica lo dona a tutti i presenti con magica euforia.
Lui guarda la nostra amica, le chiede uno dei libri appoggiati sul prato, lo
sfoglia, si sofferma e con gli occhi lucenti manda il suono melanconico
della sua lingua…poi lo porge a lei perché lo legga in italiano.
Ascoltiamo.
“Alessandria, goccia di rugiada, esplosione di nubi bianche, sei come un
fiore in boccio bagnata da raggi irrorati dall’acqua del cielo. Cuore di
ricordi impregnati di miele e di lacrime.Eccomi che finalmente torno a te
Alessandria!” Mahfuz…..
Il sole caldo ci promette che quella giornata sarà lunga…………………….
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