Sentenza - Alessandro Salonia Avvocato penalista Milano

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Sentenza - Alessandro Salonia Avvocato penalista Milano
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-07-2015) 01-03-2016, n. 8331
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUNO Paolo Antonio - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - rel. Consigliere Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.N. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3912/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del 11/06/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/07/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. DELEHAYE Enrico, che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell'imputato, avv.to De Francesco Giovanni in sostituzione dell'avv. Bernardi che ha
concluso riportandosi al ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 11.6.2014 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza con la quale il G.U.P.
del locale Tribunale, all'esito del rito abbreviato, aveva condannato T.N., riconosciute le circostanze
attenuanti generiche, alla pena di mesi 8 di reclusione ed Euro 200,00 di multa, oltre al risarcimento danni
in favore della parte civile, per il delitto di furto aggravato ex art. 625 c.p., n. 7 di un telefono cellulare, di
un portafogli contenente Euro 20,00 e di occhiali da sole, sottraendoli a P.A. che li teneva custoditi in uno
scomparto dell'armadietto situato nel locale (OMISSIS), posto all'esterno della Casa Circondariale di Torino.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputata, a mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo i
vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per erronea applicazione della legge penale in
riferimento all'art. 625 c.p., n. 7, nonchè per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, atteso che
costituisce fatto acclarato nella fattispecie in esame quello che l'armadietto era regolarmente chiuso con il
lucchetto e che l'imputata lo apriva, seppur senza danneggiarlo, ma da ciò non è possibile ritenere che gli
oggetti ivi riposti dalla persona offesa fossero esposti (nè per consuetudine, nè per necessità) alla pubblica
fede, posto che l'affidamento alla pubblica onestà era stato ampiamente superato dalla condotta della
persona offesa della chiusura a chiave dell'armadietto; delle due l'una: o si ritiene che la persona offesa non
avesse chiuso a chiave l'armadietto, o l'avesse chiuso male, oppure l'imputata aveva aperto l'armadietto,
rubando il contenuto che non poteva ritenersi esposto alla pubblica fede; conseguentemente deve
escludersi, anche implicitamente, la ricorrenza della condizione di procedibilità.
3. La p.o., P.A., ha prodotto in data 23.6.2015 memoria concludendo per il rigetto del ricorso, essendo
irrilevante ai fini della ricorrenza dell'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede che l'armadietto fosse
chiuso o aperto.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.
1. La ricorrente pone con l'unico motivo di impugnazione la questione di diritto relativa all'impossibilità di
configurare l'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede, nel caso in cui gli oggetti sottratti siano custoditi
con sistema di chiusura mediante lucchetto, ma ovviamente la questione è estensibile a tutte le ipotesi in
cui determinati accorgimenti impediscano l'immediato accesso al bene.
Secondo la ricorrente risulterebbe pacifico, nella fattispecie in esame, che gli oggetti asportati erano stati
collocati nell'apposito armadio posto all'esterno del carcere destinato al deposito degli effetti personali dei
visitatori e che la p.o. aveva apposto un lucchetto al relativo scomparto, aperto dal ladro senza segni di
effrazione.
2. La questione posta dalla ricorrente è inammissibile, non solo perchè non risulta essere stata posta nei
termini in questione con l'atto di appello, in relazione al disposto di cui all'art. 606 c.p.p., comma 3 ultima
parte, ma per essere, in ogni caso, completamente destituita di fondamento.
2.1. Ed invero, va innanzitutto evidenziato che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che
l'armadietto contenente i beni sottratti alla P. fosse esposto alla pubblica fede, atteso che la necessità
dell'esposizione deve essere intesa non in senso assoluto, come impossibilità della custodia da parte del
titolare del bene, bensì relativo, cioè in rapporto alle particolari circostanze che possono indurre il soggetto
a lasciare le proprie cose incustodite (Sez. 4, n. 45488 del 08/07/2008; Sez. 5, n. 5226 del 19/11/2013). In
particolare, per pubblica fede deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui sul quale fa
affidamento chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita (Sez. 4, n. 5113 del
07/11/2007) e la ratio dell'aggravamento della pena, previsto dall'art. 625 c.p., n. 7, terza ipotesi, non è
correlata alla natura - pubblica o privata - del luogo ove si trova la "cosa", ma alla condizione di esposizione
di essa, sicchè tale condizione può sussistere anche se "la cosa" si trovi in luogo privato cui si possa
liberamente accedere, (Sez. 2, n. 11977 del 04/07/1989). In tale contesto, non è idoneo ad incidere sulla
configurabilità dell'aggravante in questione l'adozione, o meno, da parte del proprietario, di cautele, (Sez. 2,
n. 11977 del 04/07/1989, Sez. 2, n. 8504 del 16/05/1985) che non eliminano il pubblico affidamento della
res. In ogni caso cautele che si traducono in congegni di chiusura quali l'apposizione di un lucchetto, una
serratura con chiave, od un antifurto, non realizzano un ostacolo tale da costituire impedimento assoluto
alla sottrazione del bene, attesa la limitata efficienza di tali congegni e la facilità con la quale possono
essere superati, non costituendo un serio ostacolo all'azione furtiva, che non fa venir meno l'esposizione
della cosa alla pubblica fede (Rv. 123198 Rv. 131871).
2.2. Più volte questa Corte ha affermato, invero, il principio secondo cui la chiusura a chiave degli sportelli
di un'auto parcheggiata sulla pubblica strada, non costituendo un serio ostacolo all'azione furtiva, non fa
venir meno l'esposizione della cosa alla pubblica fede, con la conseguenza che sussiste la relativa
aggravante, nel caso in cui il furto venga consumato con modalità violente o fraudolente, che concorre con
quella prevista dall'art. 625 c.p., n. 2, avendo diversa obiettività giuridica. (Rv. 141356;
Rv. 137830; Rv. 153618; Rv. 131871 Rv. 123198).
2.3. Facendo applicazione dei suddetti principi emerge che nella fattispecie in esame correttamente è stata
ritenuta sussistente l'aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 7 essendo all'uopo ininfluente l'adozione di un
meccanismo di chiusura dello scomparto dell'armadio esposto alla pubblica fede contenente i beni sottratti,
o la forzatura di esso.
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonchè, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al
versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare
in Euro 500,00, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese di parte civile
che liquida in complessivi Euro 500,00 oltre accessori come per legge e distrazione a favore dell'erario.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2016