ETUDE MONTAIGNE-AREV - SYNTHESE

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ETUDE MONTAIGNE-AREV - SYNTHESE
Studio sugli impatti socio-economici e territoriali della liberalizzazione dei diritti di piantagioni viticole
Studio sugli impatti socio-economici e territoriali della liberalizzazione dei
diritti di piantagioni viticole
ÉTIENNE MONTAIGNE, PROFESSORE
ALFREDO COELHO, PERITO
BERNARD DELORD, RICERCATORE
LEILA KHEFIFI, DOTTORANDA
FEBBRAIO 2012
CONVENZIONE DI STUDIO AREV – UMR-MOISA-MONTPELLIER
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Studio sugli impatti socio-economici e territoriali della liberalizzazione dei diritti di piantagioni viticole
0 Sintesi
Ventiquattro anni fa, la Francia e la Spagna stabilivano delle regole di controllo inerenti alle
piantagioni della vite. Nell’ambito dell’Unione Europea, salvo una breve tregua tra il 1970 e il 1976,
L’OCM-vino ha ripreso “temporaneamente” queste regole. La loro definitiva scomparsa, prevista nei
testi dell’ultima riforma del 2008 da attuarsi il 01/01/2016 o, al più tardi, 2018, è stata ampiamente
motivata, ma all’approssimarsi della scadenza, la fondatezza di questa deregolamentazione è stata
fortemente messa in discussione a livello europeo da numerosi professionisti e rappresentanti
politici delle collettività territoriali che temono conseguenze disastrose. Mettendo in atto una tale
decisione non si corre forse il rischio di scoperchiare il vaso di Pandora della viticoltura europea ?
I membri dell’AREV hanno voluto arricchire la propria riflessione strategica con un
approfondimento del soggetto. A tal fine, hanno pubblicato un bando internazionale e, in seguito,
contrattualizzato, con L’Unità Mista di Ricerca MOISA di Montpellier, lo studio oggetto del presente
rapporto.
0.1 Piano di ricerca – Metodo
Le scienze sociali hanno poche possibilità di sperimentare “in laboratorio” le conseguenze
economiche e sociali di una decisione di politica economica non ancora applicata. Abbiamo,
pertanto, deciso di moltiplicare le prospettive di studio della questione facendo ricorso all’economia
comparata, alla storia, alla statistica e al diritto, al fine di convalidare o invalidare gli argomenti del
dibattito. Tenuto conto della portata del soggetto, della sua complessità e del campo interessato –al
tempo stesso europeo e mondiale–, l’esaustività non è stata il nostro fine. Concretamente, abbiamo
proceduto allo studio di casi, su un lungo arco di tempo, in seno all’Unione Europea e al Nuovo
Mondo; abbiamo analizzato in dettaglio i meccanismi di funzionamento di queste regole in diversi
paesi, prendendo in conto i dati disponibili; in Francia, abbiamo esaminato i dati del RICA al fine di
testare la questione delle economie di scala associate alla superficie della proprietà viticola; abbiamo
osservato a livello europeo la dinamica di crescita di queste coltivazioni per finalmente rispondere
alle principali critiche del sistema.
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Gli argomenti della Commissione portano essenzialmente sull’effetto riduttivo della competitività
cui porterebbe il sistema dei diritti di piantagione. Abbiamo quindi cercato di verificare questa
affermazione : I diritti di piantagione aumentano effettivamente i costi di produzione ? Frenano la
razionalizzazione delle strutture della proprietà? Esistono altri modi di effettuare questa
razionalizzazione ? È l’assenza di diritti di piantagione che ha consentito ai paesi non membri
dell’Unione Europea di avere strutture più razionali e quindi più competitive ?
0.2 Il Nuovo Mondo
0.2.1 L’Australia
Tra i paesi del Nuovo Mondo, abbiamo scelto l’Australia e l’Argentina. L’Australia rappresenta il
riferimento di crescita di un vigneto in assenza di regolazione del potenziale di produzione tramite
diritti di piantagione. Fin dal principio degli anni ’80, l’Australia è stata il modello internazionale del
successo in ambito vitivinicolo, in particolare nell’esportazione. Tuttavia, l’efficienza dell’Australia ha
raggiunto il limite, già da diversi anni. La sovrapproduzione di uva è stata alimentata da eccessive
piantagioni di vigne nel corso degli ultimi vent’anni. Ciò si spiega attraverso una reazione positiva al
successo dei vini australiani nell’esportazione, sostenuta sia dall’offerta di contrattualizzazione delle
wineries, sia dai segnali “prezzo” inviati dal mercato. Sono inoltre arrivate sul “mercato” le uve di
vigne d’investitori il cui obiettivo era rendere redditizio un capitale o un investimento, rispetto ad un
ritorno su un investimento promettente
In assenza di una politica vitivinicola che limiti le quantità prodotte e le rese, la regolazione è
fissata esclusivamente dal mercato. L’unica politica vitivinicola australiana consiste nel promuovere i
vini australiani, sia sul mercato interno sia su quello estero. Le pratiche di contrattualizzazione non
sono più sufficienti a stabilire le relazioni tra wineries e viticoltori. Le wineries si orientano sempre più
verso acquisti di uve sul mercato spot.
In sintesi, lo sviluppo esponenziale del vigneto si è imbizzarrito in seguito ad errori di
anticipazione. Ad eccezione della non raccolta e dell’estirpazione privata, il settore non dispone di
alcun ostacolo, né alla piantagione né alla produzione. L’adeguamento dovrebbe effettuarsi tramite
l’accesso ai nuovi mercati, ma l’innalzamento del livello è difficile, tenuto conto del precedente modo
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di sviluppo. La logica è quella del management d’impresa che porta, nel caso specifico, alla
liquidazione di attivi.
Globalmente, il liberalismo non impedisce le crisi. Confrontata all’inerzia di una pianta perenne,
all’instabilità delle valute e dei mercati e agli errori di anticipazione, la filiera viticola australiana
funziona con un modello “imprenditoriale” di adattamento, attraverso la messa in discussione dei
contratti. Infine, si ritrovano gli stessi indicatori di crisi: estirpazioni, fallimenti, non raccolta,
sequestro bancario, crollo di valore del fondiario, acquisti di attivi attraverso fondi stranieri, etc...
Visto dall’Europa e sotto il punto di vista della liberazione dei diritti di piantagione, è evidente
che le imprese di affari, che approfitteranno di questa nuova regolamentazione per creare i propri
vigneti e garantire una parte dei propri approvvigionamenti, potranno inoltre esercitare una
pressione sui prezzi d’acquisto delle uve e dei vini, tanto più che in assenza di limitazione delle
piantagioni saremo in un regime di sovrapproduzione. L’argomento secondo il quale “non si
dovrebbe assistere ad un’esplosione delle superfici delle vigne se non c’è mercato” deve essere
relativizzato, poiché ogni investitore è naturalmente persuaso che a termine prevarrà sui
concorrenti.
0.2.2 L’Argentina
L’osservazione, su un lungo arco di tempo, della viticoltura argentina e della sua organizzazione
rimette in discussione l’idea che i paesi concorrenti del Nuovo Mondo non regolino l’offerta. Questa
consente inoltre di comprendere le condizioni indispensabili per la riuscita di un sistema di diritti di
piantagione, di studiare un altro modo di regolare l’offerta annuale ed evidenziare le conseguenze
sociali di un periodo di deregolamentazione brutale.
Negli anni 80, l’Argentina ha fallito nell’attuazione di un regime di diritti di piantagione per
l’incapacità –nelle condizioni socio-economiche dell’epoca– a far rispettare le regole emesse. L’esito
è stato: piantagioni illecite e impossibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Questo paese, in seguito ad un accordo storico tra le due principali regioni produttrici, ha attuato
un efficace meccanismo di regolazione del mercato, basato sull’esportazione di mosti e di mosti
concentrati sul mercato internazionale dei succhi di frutta. Questo sistema protegge il reddito dei
viticoltori stabilizzando il livello dei prezzi dei vini, tiene conto delle prospettive di mercato, e sembra
ben adattarsi alla storia regolamentare e economica della viticoltura di questo paese. Tuttavia, in
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caso di crisi e di deregolamentazione del settore, l’accesso al credito costituisce un meccanismo
discriminante che elimina le piccole e medie proprietà che non hanno possibilità di finanziamento.
0.3 Il Portogallo
0.3.1 L’Alentejo
La ristrutturazione, la riconversione e l’estirpazione di vigneti hanno riconfigurato, nel corso degli
ultimi due decenni, il paesaggio e l’offerta viticola portoghese. In particolare, la regione dell’Alentejo
ha visto la propria produzione viticola raddoppiarsi nell’arco di un decennio, modificando di
conseguenza la struttura del tessuto sociale viticolo. Questa trasformazione è dovuta al
cambiamento del quadro regolamentare, in vigore fino alla fine degli anni ’90, e alla possibilità
concessa alle regioni di trasferire liberamente i diritti di piantagione, nel caso specifico di
provenienza dalle regioni viticole vicine del Ribatejo e dell’Estremadura.
Nel quadro dell’OCM-vino del 1999, un nuovo regime di sostegno finanziario, il programma
“Vitis”, è stato attuato per favorire la riconversione e la ristrutturazione del vigneto, rimediando ai
principali handicaps della viticoltura portoghese, ossia la scarsa superficie delle parcelle e
l’invecchiamento delle vigne. In un contesto generale di progressiva diminuzione della superficie
viticola in Portogallo, il caso dell’Alentejo sottolinea la forte crescita di alcune regioni.
Parallelamente, diminuiscono le regioni viticole specializzate in vini da tavola (il Ribatejo, in
particolare), in cui i prezzi medi del vino sono particolarmente bassi.
La libertà concessa agli attori di poter scambiare liberamente i diritti di piantagione ha provocato,
ovviamente, un trasferimento dei diritti da zone più fragili, o in difficoltà, verso zone in cui le
condizioni della viticoltura erano più attrattive (Alentejo e Duero, in particolare). Di conseguenza, i
diritti di piantagione non hanno frenato né la creazione di progetti viticoli ex nihilo, né l’espansione
dei progetti viticoli esistenti. Sono dunque le modalità di trasferimento dei diritti, e non il sistema in
sé, a costituire un freno all’evoluzione dei vigneti.
Ciononostante, la libertà dei trasferimenti non ha permesso alla regione di sfuggire ad una
sovrapproduzione “per inerzia” nell’euforia delle piantagioni. Come in Australia, l’errore
d’anticipazione di un eccesso di offerta (di breve termine) legato, da una parte, a un raccolto
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eccezionale e, dall’altra, alla crescita senza controllo del potenziale di produzione (tendenza
dell’offerta a lungo termine), provoca una crisi di sovrapproduzione.
0.3.2 La regione delimitata del Duero
Lo studio dell’evoluzione della situazione viticola della regione delimitata del Duero (RDD), nel
corso degli ultimi anni, ci consente di comprendere il ruolo svolto dalle regole dei diritti di
piantagione in una regione oggetto di una ripartizione e di un’organizzazione complessa in vista
dell’autorizzazione alla mutizzazione. Esistono, infatti, nella RDD due tipi di diritti di piantagione di
vigne, quelli che danno diritto alla mutizzazione e gli altri. I diritti alla produzione di vini mutizzati
sono limitati e definiti da un metodo qualitativo di classificazione delle terreni da A a I. Soltanto quelli
classificati tra A e F sono autorizzati a procedere alla mutizzazione. Questi diritti hanno un prezzo
dieci volte superiore a quello degli altri vini.
Possedere una vigna in un terreno classificato non è sufficiente per avere l’autorizzazione alla
mutizzazione. Il volume dei vini autorizzati alla mutizzazione è riesaminato ogni anno e definito in
funzione degli stocks e delle prospettive di vendita. La ripartizione quantitativa dei volumi è
effettuata secondo il “metodo della punteggiatura”. Così, oltre alle superfici dei diritti di piantagione
che possono produrre vini mutizzati, esiste un secondo livello di regolazione che dipende dalle
prospettive di mercato e rende incerta la valorizzazione dell’investimento in piantagione. Il mercato
dei diritti è animato da intermediari che influenzano i prezzi in un mercato poco trasparente per via
della discordanza delle informazioni e della disconoscenza del funzionamento dei diritti alla
produzione di vini mutizzati.
A causa della topografia accidentata della RDD, sono stati commessi errori sistematici di misura,
legati in particolare alla storia dei catasti e della loro gestione, oltre che alle difficoltà a misurare con
precisione le superfici. La riserva nazionale ha venduto in questa regione diritti di piantagione al
prezzo irrisorio di 300 €/ha, ma soltanto per progetti d’installazione di giovani viticoltori o in vista
della preservazione della biodiversità dei vitigni.
Sebbene il Consiglio interprofessionale della RDD disponga della capacità di regolazione del
potenziale di crescita annuale delle superfici piantate, non è intervenuto direttamente per frenare la
crescita delle nuove piantagioni. L’attuale quadro regolamentare non ha dunque frenato
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l’installazione di nuovi progetti viticoli ex nihilo, né l’espansione delle proprietà viticole esistenti,
anche per le superfici viticole superiori a 50 ettari.
Lo studio di questo caso mette in evidenza la coesistenza di diversi meccanismi di regolazione
dell’offerta e la scelta di non intervento che un Consiglio interprofessionale può adottare. Le
creazioni di proprietà viticole non sono quindi ostacolate, ma la crescita dell’offerta può avere
conseguenze in termini di valorizzazione dei vini mutizzati e non mutizzati, e metter in tal modo in
difficoltà i produttori in caso di stagnazione della richiesta tanto di Porto quanto di vini a
denominazione regionale.
0.4 La Spagna
La Spagna dispone di una riserva nazionale e di diverse riserve regionali di diritti di piantagione. Il
trasferimento dei diritti di piantagione tra Comunità Autonome è autorizzato. Ma, poiché nessun
trasferimento di diritti deve indurre squilibri significativi nello sfruttamento del territorio vitivinicolo,
il trasferimento interregionale annuale è fissato allo 0,4 %. L’analisi dettagliata delle differenti forme
di trasferimenti ci mostra la loro debole fluidità tra le diverse regioni, essendo frenate da specifiche
leggi regionali vitivinicole. Inoltre, il trasferimento di misure della politica vitivinicola europea alle
regioni ha generato una certa gravosità burocratica.
Si osserva un calo del valore medio dei diritti di piantagione a partire dal 2008. La crisi finanziaria,
internazionale e viticola e, in parte, la prospettiva dell’abolizione di questo regime prevista per il
2016 spiegano questo maggiore impatto sul valore dei diritti di (ri)piantagione trasferiti.
Le riserve regionali di diritti di piantagione hanno svolto un ruolo motore per l’aiuto
all’installazione di giovani viticoltori o per l’accorpamento delle parcelle. Inoltre, l’adattamento
qualitativo di una denominazione alle tendenze del mercato resta possibile, come mostra il caso de
La Rioja per i vini bianchi.
0.5 Il sistema francese dei diritti di piantagione
La regolamentazione francese si è adattata all’ultima riforma significativa di questo regime a
livello europeo, in occasione della riforma dell’OCM-vino del 1999, istituendo il meccanismo della
riserva. A parte il caso particolare dei diritti di nuove piantagioni riservati all’accorpamento, alla
sperimentazione, alla produzione di marze o all’installazione di giovani viticoltori, i diritti di
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piantagione possono essere d’origine interna alla proprietà tramite estirpazione o piantagione
anticipata, o d’origine esterna tramite acquisto di una parcella di vigna, trasferimento privato o
trasferimento proveniente dalla riserva. Sono a pagamento, ma gratuiti per i giovani viticoltori.
Disporre di un diritto di piantagione non è sufficiente per piantare una vigna. Bisogna inoltre
ottenere un’autorizzazione di piantagione. In effetti, a parte i vini sprovvisti d’indicazione geografica
(VSIG), le altre due categorie (IGP e DOP) controllano il proprio potenziale di produzione a livello
dell’Organismo di Gestione (ODG). Questo definisce una quota annuale per la denominazione, al fine
di evitare una crescita dell’offerta incompatibile con la richiesta del mercato. Gli arbitraggi e le
armonizzazioni si effettuano a livello nazionale. Questa quota è ripartita in proporzione alle domande
individuali. Si aggiunge un limite massimo di 3ha all’anno per persona in zone produttrici di vini con
IGP, e di 1ha all’anno per persona per i vini DOP. È questo limite quantitativo ad essere oggetto di
critiche da parte delle imprese desiderose di creare progetti viticoli ex nihilo.
I diritti di piantagione rispettano la loro funzione primaria di stabilizzazione del vigneto, il che non
è affatto difficile in un vigneto che regredisce globalmente dell’11% su 10 anni. Si osserva, inoltre,
uno sviluppo del miglioramento qualitativo dal punto di vista delle denominazioni e delle regioni. I
giovani viticoltori vengono privilegiati. Ogni regione gestisce collettivamente le proprie quote e
adegua l’evoluzione della propria offerta. Cosi, secondo i dati provvisori dell’ultimo RGA (2000-2010),
la Champagne ha sviluppato il proprio vigneto di 2 360 ha in 10 anni, ossia il 7,6 %, l’Alsazia di 786 ha,
ossia il 5,1 %. Gli altri vigneti hanno globalmente regredito, ma con ritmi diversi e con nuove e
significative sovvenzioni interne. I diritti sono ripartiti “democraticamente” tramite l’istituzione di
una quota individuale annuale molto bassa. I prezzi dei diritti sono alquanto bassi e in diminuzione.
Sono relativamente indipendenti dalle regioni d’origine e ricettrici, un fattore che costituisce un reale
plusvalore per i vigneti il cui prezzo delle terre è elevato. Questa orientazione privilegia “la
produzione”, e le quote individuali impediscono le grandi operazioni d’installazione.
0.6 Le economie di scala
Uno degli argomenti maggiori della Commissione Europea a favore della scomparsa dei diritti di
piantagione è l’ostacolo che questo meccanismo rappresenterebbe per la crescita delle proprietà
viticole. Questa limitazione impedirebbe loro di beneficiare di economie di scala e le porterebbe, di
conseguenza, ad essere meno competitive rispetto alle proprietà viticole del Nuovo Mondo.
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Dopo aver proceduto all’analisi dei dati RICA (Rete d’Informazione Contabile Agricola) sulla
media di tre anni (2005-2007), abbiamo costatato che per uno stesso prezzo di vendita del vino, la
superficie sembra avere un’influenza alquanto modesta sulla produttività economica del lavoro
(reddito totale unitario) e, curiosamente, più spesso al ribasso che al rialzo.
L’aumento della superficie non sembra avere alcuna incidenza sulla produttività del lavoro. Si
constata, certamente, un aumento del reddito familiare unitario (soltanto per i prezzi alti di vendita
del vino), dovuto unicamente all’impiego di un numero maggiore di personale e alla differenza tra il
loro salario e la produttività del lavoro.
Nella viticoltura, come negli altri OTE, esistono dei profitti di produttività del lavoro: maggiore è
la superficie, minore è il numero di lavoratori per unità di superficie. La produttività fisica del lavoro è
una funzione crescente dell’estensione. Ma a differenza di altri OTE, queste differenze di produttività
fisica del lavoro non sembrano avere, nella viticoltura, quasi alcun rapporto con la differenziazione
dei redditi.
Nella viticoltura a denominazione, una relazione positiva tra superficie e reddito sembra esistere
soltanto tra quella minoranza di proprietà situate in zone che godono di una grande reputazione
(soprattutto la Champagne). Inoltre, le differenze di redditi familiari in funzione della superficie della
proprietà viticola sembrano dovute più al differenziale di remunerazione tra impiegati e mano
d’opera familiare, che ad economie di scala propriamente dette. Nella viticoltura senza
denominazione (divenuta minoritaria in Francia), la relazione tra superficie e reddito è stabilita in
maniera leggermente migliore, ma le differenze di reddito che ne risultano sono di una portata
talmente ridotta che non permettono alle grandi proprietà di sfuggire alla mediocrità dei redditi,
comune in questo tipo di viticoltura.
Dal punto di vista dei diritti di piantagione, la loro abolizione si tradurrebbe essenzialmente
attraverso il calo dei prezzi legato alla crescita dell’offerta. Essendo i prezzi il fattore determinante
del reddito, più che la superficie della proprietà, l’effetto ottenuto sarà contrario all’obiettivo
prestabilito. Per ritornare ai riferimenti teorici, appare chiaramente che il fenomeno maggiore in
viticoltura non è l’esistenza di economie di scala, bensì di economie di varietà legate a una larga
gamma di prodotti nettamente differenziati.
0.7 La crescita delle proprietà viticole
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Il vigneto europeo mantiene per 20 anni una superficie quasi stabile (eccetto il Portogallo).
Tuttavia, negli ultimi 10 anni si è assistito a una concentrazione senza precedenti delle proprietà: il
loro numero si è ridotto, ma la superficie unitaria è aumentata.
È quindi ragionevole pensare che l’esistenza dei diritti di piantagione non abbia impedito, fino ad
ora e nella maggior parte dei paesi, la crescita della superficie media delle proprietà. Inoltre, se
l’evoluzione dei redditi dei viticoltori non ha permesso di raggiungere il livello auspicato, non è certo
che una forte accelerazione della crescita della superficie media, che potrebbe derivare da
un’eventuale abolizione di questi diritti, porti ad un risultato soddisfacente.
0.8 L’impiego e i paesaggi
0.8.1 L’impiego
La vigna è una pianta “che popola”. La media proprietà occupa in Francia 9,2 ha e impiega 1,9
persone a tempo pieno, ossia una persona per la cultura di 4,8 ettari. Il 30 % del lavoro è realizzato
da impiegati. Le regioni con un alto livello di valorizzazione dei prodotti sono caratterizzate da livelli
d’impiego più elevati. Il livello d’impiego dipende inoltre dall’attività, a seconda che il coltivatore
realizzi o meno la vinificazione e la commercializzazione, in forma sfusa o in bottiglia, e quindi dalla
sua creazione di valore. Ma i problemi di successione appaiono ovunque come una difficoltà
maggiore legata al costo della proprietà fondiaria.
Agli impieghi della vigna, si aggiungono quelli a monte (forniture e materiali) e a valle
(vinificazione, allevamento). Bisogna inoltre prendere in conto tutte le professioni indotte
dall’enoturismo, come la ricerca e la formazione. L’effetto moltiplicatore è stato stimato a un fattore
dieci in Borgogna. La delocalizzazione dei vigneti può avere, di conseguenza, un impatto maggiore
sull’attività economica.
0.8.2 I paesaggi
Il paesaggio è un bene economico poiché soddisfa necessità e presenta un carattere di rarità.
Alcuni paesaggi sono particolarmente rilevanti, talvolta insostituibili, se non unici. I paesaggi viticoli
sono generalmente riconosciuti tra le forme di paesaggio più notevoli risultanti dall’attività umana,
sia per l’impronta che conferiscono al territorio, sia per le tradizioni culturali che gli sono associate.
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Di frequente, si accorda al paesaggio il carattere di un bene pubblico locale. Diverse politiche di
sviluppo territoriale mettono in risalto il paesaggio come fattore di attrazione delle imprese e dei
turisti. Il modello viticolo è, in tal senso, esemplare. I vini a indicazione geografica hanno fatto largo
uso del riferimento territoriale per il loro riconoscimento e hanno partecipato allo sviluppo
economico regionale creando le strade dei vini, sviluppando così l’enoturismo. Numerosi studi
insistono sull’importanza economica di questa strutturazione collettiva. Ci si pone, tuttavia, la
domanda circa “la valutazione economica di questo paesaggio”, al fine di adottare “decisioni
economiche ottimali”. Numerosi metodi sono utilizzati.
Questa dimensione del problema è essenziale nel dibattito sui diritti di piantagione. La
liberalizzazione delle piantagioni avrà un impatto diretto sulla localizzazione dei vigneti. Le terre
abbandonate porteranno alla lottizzazione selvaggia, a terreni incolti, e infine alla “chiusura” dei
paesaggi con, per una piccola parte, lo sviluppo anarchico del fondiario costruito. Questa esternalità
negativa della politica viticola è difficile da misurare e i metodi per proporre alcuni ordini di
grandezza si ingarbugliano. Lo sviluppo dell’enoturismo associato ai paesaggi viticoli è più facile da
quantificare attraverso le spese effettive dei visitatori per i servizi offerti (acquisti di vino, alloggio,
ristorazione e spostamenti). Il rischio di scomparsa progressiva di queste esternalità positive deve
dunque far parte integrante della valutazione dell’impatto del cambiamento di politica economica in
materia di controllo dell’offerta.
0.9 Conclusioni
La nostra ricerca ha mostrato che: (1) La dimensione dell’impresa non è in preminenza sinonimo
di economia di scala e di crescita dei redditi (a partire dai dati RICA in Francia); (2) che il prezzo dei
diritti di piantagione non aggrava significativamente il costo della creazione di un vigneto; (3) che un
sistema di diritti di piantagione, se utilizzato in maniera lassista, non evita la sovrapproduzione
(Alentejo, Argentina, Aquitania, Valle della Loira) con, spesso, reazioni a catena negative sulle regioni
virtuose; (4) che l’assenza di un sistema di regolazione delle piantagioni presso i nostri concorrenti
del Nuovo Mondo non ha permesso loro di evitare lo squilibrio del mercato; (5) che altri paesi hanno
eliminato questo sistema ma per ragioni legate all’incapacità di far rispettare le regole, e hanno
messo in atto altri meccanismi di regolazione del mercato (Argentina); (6) che il sistema dei diritti di
piantagione non ha irrigidito il vigneto, ha bensì permesso nuove allocazioni nelle regioni in cui gli
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sbocchi sembravano in crescita (Francia, Italia, Alentejo). Restano, tuttavia, da studiare altre regioni
viticole europee.
Come mostra l’esempio dell’Australia, in cui la gerarchizzazione dei vini per luogo d’origine è
appena agli inizi, e quello dell’Argentina, che ha regolamentato soltanto una parte del territorio, il
potenziale di produzione deve essere controllato per tutte le categorie di vini –senza IG e con IG–
tanto più che la riforma dell’OCM del 2008 ha accordato ai VSIG le menzioni valorizzanti del
millesimo e del vitigno, portandoli visivamente a livello degli IG senza avere le obbligazioni del loro
capitolato d’oneri.
La logica della scomparsa dei diritti di piantagione ci obbliga a volgere lo sguardo verso la futura
localizzazione delle nuove piantagioni rispetto ai vigneti attuali e ai loro spazi periferici, che
costituiscono delle entità economiche, sociali e territoriali. Queste nuove installazioni saranno create
in concorrenza alle zone culturali a vocazione viticola (zone geografiche delimitate non ancora
piantate), o a zone culturali a vocazione generale, o ancora su zone da dissodare ? Ad ogni modo, il
capitale ambientale e paesaggistico delle regioni viticole sarà inevitabilmente leso. Anche se gli
economisti non sono in grado di valutare l’ammontare di questo impatto, possono affermare che
s’innesterà una delocalizzazione verso le zone di pianura che, a termine, colpirà l’enoturismo e la sua
economia nascente, oltre che la competitività dei vigneti di montagna e a forte pendio, con tutte le
conseguenze ambientali che ne derivano.
L’evoluzione del settore vitivinicolo di questi ultimi decenni è principalmente segnata da
un’incontestabile tendenza all’industrializzazione che spinge le imprese di affari a integrare la
produzione –processo che necessita un ricorso significativo a capitali esterni. La pressione finanziaria,
dovuta alla crisi, obbliga per giunta le imprese a emettere dei ritorni su investimenti importanti e
veloci: da qui la loro necessità di produrre dei volumi considerevoli da smerciare rapidamente.
L’ETUDE COMPLETE EST A TELECHARGER SUR LE SITE DE L’AREV: www.arev.org
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