E il Cigno siede ancora Librettista, botanico e patriota

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E il Cigno siede ancora Librettista, botanico e patriota
Catania PROVINCIA Euromediterranea
Storia
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E il Cigno siede ancora
Austero e saldo alla sua sedia, Vincenzo Bellini è così immortalato
nel monumento di piazza
Stesicoro; un’effige che si sottrae
facilmente alla vista dei passanti,
elevata com’è verso il cielo e innalzata dalle quattro statue che rappresentano le opere migliori del
compositore. Ad avvolgere quest’opera commemorativa il solo
volo circolare dei piccioni. I sedimenti quotidianamente abbandonati dagli stessi volatili e raramente rimossi, si sono stratificati nel
tempo tanto da confondere perfino le errate scritte musicali incise
nella pietra. Nessun altro festone
adorna il solitario monumento.
Ma Bellini è ricordato ed amato dai
Catanesi, venerato ed ostinatamente celebrato dai suoi “devoti” proprio come Sant’Agata: due volte
l’anno.
Una frettolosa commemorazione,
una messa di suffragio talvolta sussurrata, qualche mazzo di fiori abbandonato su una lapide che per i
rimanenti giorni dell’ anno ne rimane sguarnita, qualche improvvisato concerto, poche disattente
parole di circostanza sono ogni
anno la triste cronaca, a dire il vero,
delle “celebrazioni” per ricordare la
sua nascita e la sua morte.
Eppure, un tripudio di esilarante
confusione si manifesta ogni
qualvolta si parla a Catania di Bellini. Un’ occasione ghiotta per sedicenti esperti, musicologi “en travesti”, vegliardi melomani, che in
concitata fibrillazione discutono
del “Cigno”, della sua musica, di
quel tal tenore o di quella tale soprano. Dall’ altra parte, il Teatro
Massimo a lui dedicato sembra oramai versare in una profonda crisi
d’identità “vocazionale” e l’ultima
vera novità risulta essere la nomina dell’ottimo maestro Enrico Castiglione alla direzione artistica del
“Festival Belliniano”.
Uno strano rapporto è quindi quello che Catania ha con Bellini. Da
sempre. Fin dal lontano 1874,
anno in cui si decise di costruire e
dedicare al figlio più illustre della
città un monumento di pregiata
fattura. Le cronache del tempo ed
una copiosa documentazione conservata presso la Biblioteca Civica,
testimoniano la straordinaria quanto bizzarra inclinazione di Catania
alla pretestuosa polemica, alla disputa a tutti i costi. Ancor prima
che il professor Filadelfo Fichera,
responsabile dell’Ufficio d’Arte al
Comune di Catania, presentasse
nel mese di luglio del 1874 la sua
relazione al Consiglio comunale,
un acceso dibattito aveva infiammato gli animi dei catanesi. Le voci
si rincorrevano confuse e rimbalzavano da una parte all’altra della
Città. Tutti i Catanesi si sentivano
investiti del problema. Ognuno
aveva in tasca la soluzione giusta e,
neanche a dirlo, migliore. Molti
erano in ogni caso i nodi da sciogliere in questo clima di confusione. La prima questione da risolvere riguardava la postura da scegliere per raffigurare il compositore.
Fichera, propendeva per un Bellini “che non deve restare altrimenti che in piedi” e semmai le “statue
di contorno debbono essere sedenti”. Ebbene quello che oggi vediamo con i nostri occhi è esattamente il contrario di quanto avrebbe
desiderato l’ amministrazione dell’
epoca. La disputa si fece ancora più
appassionata intorno al luogo dove
collocare l’opera. La decisione non
era facile, e dopo aver scartato la
piazza duomo, la villa comunale ed
altri siti anche la “porzione di piazza Stesicoro, avanti il Palazzo del
Toscano” sembrò ancora una volta
scontentare i Catanesi. Riguardo al
prezzo preventivato di 140 mila
lire, si arrivò finanche a pensare di
destinare l’intera somma ad altre
opere di maggiore utilità per Catania. La polemica continuò ad agitare la vita dei Catanesi fino a quando Giulio Monteverde, scultore del
gusto dell’Italia borghese, consegnò
l’ opera inaugurata il 21 settembre
1882.
Con sorprendente attualità, al
Monteverde non gli fu agevole riscuotere la rimunerazione concordata con il Comune di Catania ….
Certo rimane l’apparente stranezza di un’opera dedicata a Bellini che
siede solenne e non in una posa sognante. Una statua pensata dapprima per stare “diritta in piedi” ma
in seguito realizzata, per desiderio
degli stessi Catanesi, pigramente
“sedente”.
Forse, questo monumento cela il
segreto di una vaga profezia, una
rivelazione ancora da compiersi, un
oracolo da interpretare, un oscuro
messaggio lasciatoci dal passato
(passato?) di una Città che ha cercato di amare Bellini, senza sempre riuscirvi.
Il “Cigno” così seduto pare aspettare ancora molto da Catania, distratta a tal punto da essere divenuta nel tempo ingenerosa. Adagiato in quella posizione, Bellini
non sembra avere intenzione di alzarsi. Almeno non per il momento. O fino a quando i Catanesi non
avranno voce ed entusiasmo per
urlare: “Nzuddu… susiti !!!”
Maurizio Ciampi
Giacomo Sacchero, catanese misconosciuto, fu protagonista
del Risorgimento, intellettuale prolifico con svariati interessi
Veneto (gli fu compagno il Gravina),
entrò in contatto con i mazziniani e
diventò poi seguace dell’attività politica di Liborio Romano. Nei mesi della rivoluzione del 1848, pubblicò articoli con cui diffuse idee di libertà,
di indipendenza, e di amor di patria;
i suoi scritti compaiono anche su periodici catanesi e affiancano gli articoli dei liberali Diego Fernandez, Pietro Marano, Francesco De Felice.
Benché vissuto a lungo “in continente”, Sacchero mantenne legami con la
Sicilia e sono significativi i suoi rapporti con il corleonese Francesco
Bentivegna (cospiratore antiborbonico condannato a morte nel 1856) e la
sua amicizia con il belpassese Roberto Sava, un intellettuale con una forte
componente patriottica che attende
ancora di esser riconosciuta dagli storici. Quando cadde il regime borbonico e fu proclamata l’unità nazionale, Sacchero fu eletto deputato del
nuovo Regno d’Italia: rappresentò il
collegio di Castroreale ma rassegnò il
mandato prima della scadenza della legislatura (fu dimissionario nel marzo
1863). Per i suoi meriti, i Savoia lo
insignirono dell’ordine di S. Maurizio e Lazzaro (9 giugno 1861).
Sembrerà strano, ma l’attività per la
quale Giacomo Sacchero fu noto ai
suoi contemporanei è soprattutto
quella di botanico. Pertanto, val la
pena rammentare che egli fu professore di Orticoltura all’università di Catania e che, nel giugno 1861, fece parte della delegazione (composta anche
da Salvatore Marchese, Salvatore
Majorana, Benedetto Majorana della
Nicchiara) che a Torino chiese finanziamenti per migliorare lo status
dell’ateneo catanese. Sacchero fu autore di saggi di argomento botanico,
diede alle stampe un volume
sull’eucalipto, scrisse sui giornali specialistici (“Atti della Commissione
Agric. Sic.”, “Il Coltivatore”). Nel
1865 partecipò alla Esposizione di
Dublino, ed ivi esibì i bei tessuti prodotti con il cotone coltivato nei campi irrigati dal Simeto (la rappresentanza catanese a Dublino era composta
anche dal proprietario terriero barone Giuseppe Majorana e dal direttore
dell’orto botanico universitario Francesco Tornabene). Nel 1868, in occasione della ”Esposizione Agraria delle
province siciliane”, fece parte della
commissione governativa giunta a Catania per studiare “la malattia degli
agrumi” (la commissione era composta anche da celebri botanici: Filippo
Parlatore, Sebastiano De Luca, Giuseppe Inzenga).
Dopo qualche anno, nell’ottobre 1874
o 1875, Giacomo Sacchero morì lasciando come unico erede il figlio Luigi. La sua villa con l’esteso giardino
fiorito fu acquistata dalla famiglia
Trimarchi e passò poi, per via matrimoniale, all’on. Francesco Turnaturi
(devo questa notizia alla cortesia dei
discendenti di Giacomo Sacchero, che
ringrazio).
La sua biografia - inserita in una visione di insieme su i rapporti tra botanica, risorgimento ed identità nazionale - sarà presentata nel volume di
prossima pubblicazione sui 150 anni
di vita dell’Orto botanico di Catania.
Francesca M. Lo Faro
Catania PROVINCIA Euromediterranea
Un alto muro di cinta nasconde in via
Sacchero un grande giardino alberato
che, benché abbandonato, rappresenta
l’ultimo orto botanico privato ancora
esistente a Catania. La via Sacchero è
una stradina del centro storico. Chi la
percorre - provenendo dalla vicina
piazza Palestro o porta Garibaldi scorge in fondo ad essa i resti di una
antica fortificazione militare, rimasta
incolume nonostante il terremoto del
1693. Al numero 89 della via sorge il
giardino che, con l’annessa villa, appartenne a Giacomo Sacchero, personaggio conosciuto dai più come il
librettista del melodramma “Caterina
Cornaro” musicato da Gaetano
Donizetti ed andato in scena il 18 gennaio 1844 al Teatro S. Carlo di Napoli. Sacchero nacque a Catania. Così
testimonia il concittadino e musicista
Giovanni Pacini, che lo ebbe librettista
de “L’Ebrea”, dramma lirico che fu rappresentato nel carnevale 1844 alla Scala. Proprio a Milano Sacchero fu particolarmente attivo dal 1840 al 1845
e partecipò al movimento liberale ed
al risorgimento musicale italiano,
inaugurato, secondo la vulgata comune, dal coro “Va pensiero…”, nel
“Nabucco” di Giuseppe Verdi (1842).
Negli stessi anni, un personaggio storico del XV secolo, la veneziana Caterina Cornèr, è fonte di ispirazione di
librettisti (Sacchero e Francesco Guidi) e di musicisti (Pacini e Donizetti)
che nella trama del melodramma vogliono forse esprimere intendimenti
politici (ringrazio Eugenio Arezzo e Filippo Speranza per avermi aiutata, con
la loro profonda competenza, a sciogliere questo enigma della ricerca
musicologica).
Giacomo Sacchero - oltre ad essere un
prolifico autore teatrale (gli si attribuiscono 21 libretti) e poeta (fu amico
del Prati e pubblicò “Fantasie liriche”)
- è un personaggio centrale nelle vicende politiche ottocentesche: di sentimenti patriottici, andò esule in
Storia
Librettista, botanico e patriota
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