Numero 2 - Liceo Giulio Cesare

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Numero 2 - Liceo Giulio Cesare
15 Dicembre 2011
Anno 1 numero 2
Le Idi di…
dicembre
Editoriale
Novembre, mese della prima assemblea dell’anno
scolastico, mese di agitazioni e proteste: Novembre,
il solito Novembre, un Novembre di cui parlare a
Dicembre… Come sapete, il giorno successivo
all’assemblea del 17 ha avuto luogo un’assemblea
straordinaria all’esterno delle mura scolastiche per
discutere a proposito delle quattro giornate di didattica alternativa previste per Febbraio e dei termini in
cui si prospettano; quindi credo che sia opportuno
utilizzare questo spazio per chiarire i motivi di quella
giornata e per sintetizzare quanto è emerso: molti
studenti, sin dall’inizio dell’anno, si sono mostrati
motivati e decisi nel portare avanti l’idea di aggiungere due giorni alle quattro giornate di didattica alternativa già previste nel POF (piano offerta formativa), sostenendo che lo scorso anno la “Settimana
dello Studente” aveva avuto una durata di quattro
giorni, anziché di sei, lavorativi perché la Preside
aveva CONCESSO quelle giornate nonostante non
fossero inserite nel POF dell’anno corrente, e aveva
quindi legittimamente deciso di utilizzare le due
giornate previste per le assemblee di gennaio e febbraio. Ora però che il progetto è stato a tutti gli effetti riconosciuto e approvato dal Consiglio d’Istituto, è
ragionevole domandarsi perché si debba rinunciare a
due assemblee o comunque a poter usufruire di due
giornate aggiuntive per il progetto. Per questi motivi
tutti e quattro i Rappresentanti degli Studenti hanno
deciso, in quella giornata, di caldeggiare le richieste
degli stessi studenti dei quali è stato appurato l’effet-
tivo interesse e la volontà di contribuire alla stesura
del progetto: infatti, visto l’esito positivo dell’assemblea, abbiamo deciso di iniziare sin da subito a
lavorare alla stesura di un programma articolato su
sei giorni. La direzione in cui lavorare è quella
dell’eccellenza che gli studenti, i professori e la Preside richiedono. L’eccellenza è la sfida che può
consentire l’approvazione del nostro lavoro. All’eccellenza, però, si arriva tutti insieme. Cerchiamo di
arrivarci davvero, cerchiamo di stupire, cerchiamo
di stupire noi stessi!
Alessandra Marino III F
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S O C I E T A ’
Dagli Stati Uniti all’Europa, il
movimento degli “Indignati” ha
manifestato contro gli eccessi
della finanza, il debito pubblico
e la disoccupazione; problema,
quest’ultimo, particolarmente
grave in Italia. Da noi, per le
generazioni più giovani, trovare
lavoro è difficilissimo: il mercato tende infatti a favorire le persone di età più avanzata o già
occupate; quelli che trovano
un’occupazione poi, sono il più
delle volte assunti con contratti
temporanei che raramente si
traducono in contratti a tempo
indeterminato, ovviamente meno convenienti per le aziende.
In questo modo quindi, non solo
P E R
V E C C H I ?
i giovani trascorrono lunghi periodi da disoccupati rischiando di
vedere seriamente penalizzata la
propria futura carriera lavorativa,
ma non accumulano contributi
per la pensione, con il rischio di
ritrovarsi con un reddito molto
modesto quando smetteranno di
lavorare. Le idee riguardo le riforme economiche per modificare
questo stato di cose non mancano,
si scontrano però nel nostro paese
contro uno scoglio apparentemente insormontabile: l’elettore medio è infatti sempre più anziano;
uno su cinque ha più di 65 anni.
Ma soprattutto, la popolazione
italiana sembra destinata a invecchiare velocemente: si vive sempre più a lungo (per longevità
siamo secondi solo al Giappone)
e, parallelamente, il tasso di fertilità è tra i più bassi al mondo
(siamo al 201esimo posto su 222
paesi). Già oggi, ma nel prossimo
futuro ancora di più, riforme che
dovessero andare a vantaggio dei
più giovani andrebbero contro gli
interessi di quest’enorme platea
di elettori più anziani: molto dif-
La vignetta—
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ficilmente partiti e sindacati saranno disposti ad attuarle, inimicandosi il loro voto. Eppure la
crescita economica e politica non
può fare a meno di nuove energie; bisogna quindi che si verifichino dei cambiamenti nel mondo del lavoro, ma, soprattutto,
occorre far sì che i giovani abbiano una maggiore influenza nelle
decisioni del governo. Paesi come Germania e Giappone sembrano esserne consapevoli e stanno discutendo a proposito del
cosiddetto Demeny voting, cioè
della possibilità di attribuire un
voto premiale ai genitori in base
al numero dei propri figli; un'altra idea è di conferire un maggior
peso al voto dei giovani (ad
esempio, 1,2 contro 1), altri ancora propongono di abbassare l’età
del voto a sedici anni. Non sarebbe il caso di cominciare a pensare
a qualcosa del genere anche in un
paese come l’Italia, in cui l’età
media della popolazione è tra le
più elevate al mondo?
Cosimo Inzerillo II F
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La scuola cade
Nella Capitale la Scuola sta andando letteralmente a pezzi. Non
parlo di riforme, maestri unici e
classi pollaio. Queste cose potranno toccare il liceo, ma non lo
faranno mica crollare. Io parlo
proprio di controsoffitti che cadono e di classi allagate. Questi
problemi stanno molto a cuore
alle organizzazioni politiche
giovanili, siano esse di destra o
di sinistra. Tra le varie “sigle”
politiche che portano avanti questa battaglia spiccano, ad esempio, Blocco Studentesco e Senza
Tregua. La prima di estrema
destra, la seconda di estrema
sinistra. Diversi sono stati i metodi con cui queste organizzazioni hanno manifestato la loro
protesta. Senza Tregua, ad
esempio, oltre a segnalare le
pericolose condizioni di pericolo
in molte scuole, ha anche organizzato un corteo studentesco a
Piramide il giorno 22 novembre.
Solo un giorno prima, di fronte
ai cancelli di oltre 30 scuole di
Roma, i militanti di Blocco Stu-
dentesco hanno collocato vari
manichini sepolti da calcinacci:
un modo un po' inconsueto per
denunciare il problema dell’edilizia scolastica ma comunque molto efficace. Secondo Castellani,
responsabile di Blocco Studentesco, più di due terzi degli istituti
non sono a norma. Senza Tregua
ha invece pubblicato sul suo sito
una vera e propria inchiesta sulla
condizione edilizia di moltissime
scuole romane. Ma da dove deriva tutta questa rabbia e indignazione? Da un evento tragico e
drammatico che ha segnato profondamente migliaia di studenti
italiani, aldilà dei colori politici:
il giorno 22 novembre 2008, in
una scuola di Rivoli, in provincia
di Torino, Vito Scafidi muore a
seguito del crollo di un controsoffitto. Quel giorno uno studente
morì per essere andato a scuola. E
di fronte ad un caso così eclatante
pochi hanno pensato di mettere a
norma gli edifici e se anche ci
hanno provato in pochi casi sono
riusciti nel loro intento a causa
a pezzi
dei continui tagli che la scuola
pubblica italiana è costretta a
subire. Dobbiamo sperare solamente che il nuovo governo
tecnocratico di Mario Monti,
nel seguire gli ordini della
BCE, non tagli ulteriori fondi
alla scuola pubblica italiana,
ma soprattutto dobbiamo continuare a farci sentire e a batterci
perché non ci siano altri dolorosi 22 novembre.
Giuseppe Della Corte I D
Nella foto l’aula della scuola di Rivoli
dove è accaduta la tragedia
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C O S T I
Da che mondo è mondo, nei periodi di crisi per quanto riguarda l'
indebitamento pubblico, due sono
le soluzioni: taglio delle spese o
aumento delle imposte. E' storicamente provato che tutti prediligono la seconda, ce l’ha dimostrato
anche il recente governo tecnico
di Monti. E cosi ci ritroviamo a
pagare oltre le normali bollette
(acqua, luce, gas, condominio,
telefono, persino l'Ama per la raccolta dei rifiuti) anche una cifra
spropositata per l’Ici (Imposta
comunale immobili) sia sulla prima che sulla seconda casa. Eppure
un taglio delle spese che sarebbe
opportuno ma che invece nessun
governo di destra e sinistra ha mai
preso in considerazione, è il taglio
dei costi della politica. In Italia in
particolare il costo della politica è
altissimo. E non si tratta semplicemente di un ceto privilegiato che
non paga il biglietto al teatro o al
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cinema, ma di una speculazione
sui cittadini, di soldi che escono
dalle nostre tasche. Ecco allora
che su tutte le reti televisive e sui
social network circolano notizie di
ogni tipo, sentiamo di politici di
un certo spessore che preferiscono
abrogare disegni di legge che prevedono un abbassamento del loro
stipendio piuttosto che approvare
leggi sulla sanità, sull'istruzione,
sulle pensioni o sui contributi; di
onorevoli che evadono il fisco e
che per un pasto completo pagano
solo undici euro, di oltre settanta
auto blu che li scortano alle partite
di calcio, o di consiglieri regionali
che spendono 600 000 euro in tablet ultra moderni. Potrei continuare cosi a lungo, tanti sono i
soldi spesi per la costruzione di
opere pubbliche il cui funzionamento è momentaneamente sospeso (chissà quanto è in realtà il
tempo sprecato), tanti gli appalti
Il Parlamento italiano
ingiustamente assegnati, tante le
ingiustizie camuffate. La polemica
si accende e si inasprisce quando
assistiamo a discorsi moraleggianti
della classe dirigente, riguardo alle
famiglie che faticano ad arrivare a
fine mese, di precari disoccupati, di
migliaia di lavoratori in cassa integrazione. La realtà e la verità però
sono altre. La realtà è che c'è un
abisso tra il loro tenore di vita e
quello di un comune cittadino. Ma
la verità è che quel tenore di vita
siamo noi a garantirglielo, mentre
noi il nostro lo costruiamo giorno
per giorno, imbattendoci in pratiche burocratiche che ci paralizzano
nello sviluppare i nostri progetti,
anche quelli più semplici, con la
consapevolezza di poche prospettive future, poche scelte. Ma almeno
ci proviamo.
Giorgia Boccherini II E
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Il tarlo letterario
Pietroburgo, in Russia, città sorta
agli albori del Settecento per volontà di Pietro il Grande da cui
prende il nome, coi suoi begli
edifici neoclassici, la Prospettiva
(sorta di russa via del Corso), la
placida Nievà, gli austeri uffici, i
palazzi signorili, in un parola: la
moderna città, nata come dal nulla, razionale, ordinata. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stata la prima tra tutte ad ospitare
ufficialmente le diavolerie infernali della fantasia umana? Perché
sono vere e proprie diavolerie,
prodotti di un’immaginazione
inquieta e delirante, quelle che
popolano i cinque Racconti di
Pietroburgo di Nicolaj Gogol’.
Passeggiare con costui nella Pietroburgo degli anni Trenta
dell’Ottocento è come iniziare un
tour nelle regioni più inesplorate
della mente: ma tranquilli, lettori!
il tutto avviene all’insegna dell’i-
ronia più tagliente e spigliata, tanto che non una “città infernale”
abbiamo davanti, ma una “città
distorta” quale la vedremmo negli
specchi deformanti dei Luna Park.
Dopo un’allegra scorrazzata per la
Prospettiva, fatta debita conoscenza con gli abitanti di Pietroburgo che sotto la maschera di ben pasciuti borghesi o candide giovinette nascondono sinistri segreti –,
eccoci al nerbo della raccolta con
il Naso e il Cappotto. Nel primo
racconto il naso di un assessore di
collegio, con grande stupore del
proprietario, fugge dal suo luogo
abituale sito tra occhi e bocca del
medesimo per scarrozzare in città
sotto le spoglie di funzionario statale. L’invenzione letteraria è pretesto per una satira turbinosa
dell’intera società pietroburghese,
con i suoi balli, le sue miserie, la
sua sciocca vanità; ma a generare
inquietudine è come, nei protagonisti e negli abitanti di Pietroburgo, un avvenimento di tal
fatta desti al massimo un divertito
stupore (a parte nel protagonista il
quale, ahimè, vede sbriciolarsi la
sua reputazione in società) e rientri facilmente nelle rotaie del quotidiano. Abbiamo smarrito persino
il senso del soprannaturale, pare
dirci inorridito Gogol’. Il racconto
successivo inasprisce, se possibile,
i toni: l’ironia si fa spietata nella
narrazione della triste vita dell’impiegato Akakij Akakievič, il quale
per comprare un nuovo cappotto
spende tutti i proprio risparmi, per
vedersene poi derubato alla prima occasione. Il dolore della perdita lo uccide: il suo fantasma
finirà col terrorizzare i nottambuli di Pietroburgo (con conseguente furto dei loro cappotti). Non
bisogna cercare in questo racconto un tema sociale, una denuncia
dello sfruttamento degli impiegati, quasi Gogol’ fosse un anticipatore della Rivoluzione: di grandioso qui c’è lo sbigottimento
dell’artista, che vede come vita
ordinaria e soprannaturale, normalità e grottesco, si intreccino
sfumando i propri confini. La
conferma di ciò è nell’immagine
che chiude il racconto: un’oscura
figura (il fantasma di Akakij? un
altro fantasma? un ladruncolo di
Pietroburgo?) che si perde nelle
nebbie di uno dei tanti ponti sulla
Nievà, lasciando il vigile che zelantemente voleva multarlo con
un palmo di naso.
Alessandro Giardini II F
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“SCHIAVI” DEI NEURONI?
Solo
chi
ha
agito
“volontariamente” può essere
ritenuto colpevole. Logico quindi
che per criminali affetti da disturbi mentali si richiedano delle attenuanti. Ma se anche una persona apparentemente sana fosse
affetta da una qualche malattia a
noi ignota? E’ il 1966 quando
dall’autopsia sul cadavere di
Charles Whitman, colpevole della morte di quindici persone, tra
cui madre e moglie, emerge che
un piccolo tumore ha compresso
l’amigdala, un’area del cervello
che gestisce le emozioni, in particolare, paura ed aggressività: tutto fa pensare che sia stato un
cambiamento biologico ad incidere sulla capacità di intendere e
di volere dell’uomo. A questo e a
casi simili è rivolta l’attenzione
della neuroscienza, ramo della
biologia che studia i meccanismi
del cervello. Il progredire delle
tecnologie in questo campo ha
permesso di collegare un numero
sempre maggiore di problemi
cerebrali a comportamenti aberranti. «Quando si verifica un
cambiamento biologico, possono
cambiare anche i nostri desideri e
la nostra capacità di prendere
decisioni. Le pulsioni che diamo
per scontate (come l’aggressività)
dipendono da complicati dettagli
della nostra macchina neurale».
A parlare è David Eagleman,
neuro-scienziato del Baylor College of Medicine, Texas, e direttore del progetto “Neuroscience
and Law”. E’ legittima difesa
affermare che un tumore cerebra-
le ci ha “spinti ad agire”? In che
modo i giudici possono attribuire
la responsabilità se molti dei nostri comportamenti risultano guidati da meccanismi che non possiamo controllare? Sono alcuni
dei quesiti a cui gli studiosi di
scienze, etica e diritto coinvolti
in “Neuroscience and Law” tentano di dare una risposta, avvertendo il bisogno di un dialogo tra
scienza e giurisprudenza. Concetti come il libero arbitrio e la
responsabilità personale sempre
più risultano messi in discussione
dalle nuove frontiere della neuroscienza: occorre quindi minare
dalle fondamenta un sistema giudiziario basato sul principio di
volontarietà? E sostituire in ogni
circostanza
al
termine
“colpevole” quello di “malato”?
Ma soprattutto: dobbiamo credere
davvero che tutte le nostre decisioni sfuggano al nostro controllo? In un futuro non troppo lontano la neuroscienza ci darà nuove
risposte; più di cinque secoli fa
Pico della Mirandola definiva
l’uomo “libero e sovrano artefice
di se stesso”. Speriamo di poter
continuare a crederci.
Chiara Abbasciano II F
Pico della Mirandola. Definiva l’uomo “libero e sovrano artefice di se stesso”
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Scienza senza confini?
Sì, di genere
Una donna può morire in tanti
modi e a tante età. Martirizzata
o a causa di leucemia contratta
per l'esposizione ai raggi radio.
Oppure può essere viva e vegeta (e lucidissima) anche da ultracentenaria. Destini diversissimi, ma indissolubilmente legati
dall'amore per la conoscenza
quelli di tre grandi scienziate
della storia: Ipazia, alessandrina
vissuta nel IV secolo, Marie
Curie, polacca che opera a Parigi tra il XIX e il XX secolo, e
Rita Levi-Montalcini, studentessa a Torino, docente universitaria negli Stati Uniti, premiata con il Nobel a Stoccolma. Soffermiamoci su queste
tre affascinati figure, non con
l'intenzione di evidenziare casi
straordinari di successo femminile in un mondo che era e che
forse è ancora maschilista, né
per esaltare qualità ritenute
prettamente muliebri. Soffermiamoci per capire qual è il
"fattore D" individuato dall'editorialista Maurizio Ferrera, o,
per usare le parole della stessa
Levi-Montalcini, qual è il
"differente approccio" alla
scienza della vita rispetto alle
"uguali possibilità" delle quali
dispongono maschi e femmine. Ipazia, Marie e Rita sono
donne di frontiera, e non solo
sul piano scientifico. Si trovano
infatti a vivere quei momenti in
cui la Storia prende una speciale piega: Ipazia è la prima martire pagana, perseguitata e uccisa per la sua religione e per la
sua posizione sociale di spicco,
guadagnata proprio grazie al
suo pensiero laico. Quindici
secoli più tardi, Marie sfrutta le
proprie scoperte per aiutare i
Ipazia
Maria Curie
Rita Levi Montalcini
soldati, è infatti radiologa al
fronte durante la Prima guerra
mondiale. Rita è invece direttamente colpita dalle leggi razziali del '38 che la costringono a
trasferirsi con la sua famiglia in
Belgio. Ancora un tratto comune: i lori studi hanno un risvolto
pratico, che nel caso della Curie
è talmente concreto da portare
alla scoperta di due nuovi elementi costitutivi della materia,
il polonio e il radio. Ipazia è
fautrice di uno studio attivo: fa
parte di quella corrente all'interno della scuola d'Alessandria,
di cui è stata probabilmente a
capo, che sostiene il connubio
di conoscenza teorica (filosofia)
e pratica (l'attenzione di Ipazia
si concentra in campo astronomico: a lei si deve il perfezionamento dell'astrolabio). La scienziata italiana invece si distingue
in campo medico, scoprendo il
Fattore di crescita dei nervi
(NGF), molecola proteica che
può avere implicazioni tumorali
o essere connessa ad altre patologie del sistema neurologico. Le vicende umane delle nostre tre ci dimostrano che l'impegno scientifico è imprescindibile da quello politico-sociale:
Rita Levi-Montalcini è senatrice a vita, Marie Curie scelse di
non depositare il brevetto delle
sue scoperte ma lo lasciò a disposizione
della
comunità
scientifica in nome del progresso, Ipazia insegnò nelle strade. Il loro apporto al progresso
dell'umanità non si è limitato
all'ambito strettamente scientifico: il contributo più grande
l'hanno offerto con la loro stessa vita.
Agnese Gatti II F
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I n t e r v i s t a
a
Paolo Sorrentino intervistato dalla nostra inviata
paolo sorrentino
per girare This must be the place. Non so spiegare esattamente cosa ho provato, è passato troppo poco tempo per
poter mettere a fuoco quante emozioni mi ha dato girare il
film lì. Sicuramente è stata un'esperienza molto intensa
quella di trovarmi nel luogo ''clou'' della storia del cinema
americano e, per un europeo abituato a tutt'altri tipi d'ambienti, New York rappresenta proprio un nuovo tipo di
rapporto con lo spazio, da' un senso di libertà e dispersione contemporaneamente.
Inizialmente Sean Penn con i suoi Oscar la metteva in
soggezione sul set?
A dir la verità no, perché il lavoro è lavoro. Probabilmente
il tipo di soggezione che ho provato era più legata al non
conoscere bene la lingua, cosa che generalmente non permette ad attore e regista di stabilire quella confidenza reciproca fondamentale per lo sviluppo del film.
Andrebbe a vivere e lavorare in America o nonostante
tutto ama ancora il nostro paese?
Mi piace moltissimo vivere a Roma, ma mi piace molto
anche New York. Direi un 50% per entrambe.
Le piace di più fare il regista o scrivere romanzi?
Entrambe le cose ma forse per la mia indole, essenzialmente pigra, preferirei scrivere romanzi. Ma il cinema è
più emozionante e vertiginoso.
Che liceo ha fatto? Lo rifarebbe?
Ho fatto il liceo classico e sì, lo rifarei , anche perché non
sarei in grado di affrontare altri tipi di studi.
Ai suoi figli che liceo consiglierebbe e perché?
Ai miei figli consiglierei il classico sicuramente. Anche se
non ho mai capito esattamente se il latino e il greco servano o no.
Ha mai pensato di realizzare un film sulla mia generazione?
Sì ci ho pensato, ma ho scartato subito l'idea, perché da
adulti è difficile conoscere intimamente l'attuale generazione, non si riescono a scorgere i particolari più nascosti,
che spesso sono i più importanti. Poi, per quanto mi riguarda, non ho vissuto la mia adolescenza in maniera
spensierata, a sedici-diciassette anni ero già molto simile a
come sono ora. Anche se mi rendo conto che anche voi
avete poco da essere spensierati di questi tempi.
Se uno studente le dicesse che vorrebbe diventare uno
sceneggiatore o un regista cosa gli risponderebbe e
consiglierebbe?
Gli risponderei di provarci perché è uno dei più bei lavori
che esistano e gli consiglierei di non arrendersi al primo
tentativo perché non è un impiego che riesce subito facile,
è pieno di rifiuti e frustrazioni. Ci vuole un po' di ostinazione. Un po' tanta.
Il 25 Novembre 2011, in una stanza con il riscaldamento
un po' troppo alto e una finestra aperta che faceva poca
differenza, ho incontrato Paolo Sorrentino. Ed ero in ritardo, purtroppo. Una volta seduti, ho precisato che l'intervista aveva a che fare con il giornalino della scuola e
mi ha subito risposto: '' Va benissimo, i giornali scolastici sono i migliori'' evitando così di farmi sentire in difficoltà per il ritardo e lasciandomi felicemente sorpresa da
quell'affermazione.
E' stata la canzone 'This must be the place' a farle
pensare al film oppure dopo aver creato la storia le è
sembrato il pezzo più adatto, tanto da dare il titolo al
film stesso?
No, diciamo che ho pensato prima al film e al personaggio della rockstar a cui volevo affiancare un amico, David Byrne, il cantante dei Talking Heads. Quindi la canzone e il titolo del film sono arrivati dopo.
La musica in tutti i suoi film è sempre stata molto importante. Secondo lei è possibile scrivere un film partendo dalla musica del film stesso?
Sì, è possibile scrivere un film partendo dalla musica. La
musica stessa è molto simile a un film, è una sorta di amplificazione delle emozioni, che poi vengono travasate,
appunto, nel film. Per quanto mi riguarda è stata di fondamentale importanza, per esempio nel film ''Le conseguenze dell'amore'' ho pensato alla prima scena a partire
dalla musica, stessa cosa vale per ''Il Divo'', dove è stata
la musica a darmi spunto soprattutto per le scene più violente.
Riesce a seguire tutti i vari generi e gruppi musicali
che si susseguono, magari trovandoci degli spunti per
il suo lavoro?
Magari riuscissi a farlo! Mi piacerebbe, quello sì. Comunque se ho un'idea per un film devo trovare un genere
di musica che non ho utilizzato precedentemente. Diciamo che è proprio il genere scelto a regolare l'intero film.
Ad esempio per ''Il Divo'' ho scelto musica pop e classica, per ''Le conseguenze dell'amore'' musica elettronica e
per ''This must be the place'' folk americano e rock.
Finita l'intervista, ci salutiamo e ci diamo appuntamento al
Che sensazioni le ha dato girare negli Stati Uniti, il suo prossimo film.
luogo dei road movies, degli spazi infiniti?
Cecilia Minutillo II F
La prima volta che sono stato a New York è stata proprio
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BLOOD
SUGAR
SEX
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MAGIK
Blood Sugar Sex Magik. Ovvero: quando quattro individui riescono a raggiungere una perfezione sui generis che mescola sapientemente elementi funk ad uno stile tutto piccante ed assolutamente conturbante.
Come dire, non è più solo musica quando si parla dei Red Hot Chili Peppers. Era il 1991 e la band aveva
già raggiunto la sua formazione storica contemporaneamente ad un discreto successo in America grazie
all'album Mother's Milk, che vedeva per la prima volta alla chitarra John Frusciante, giovane fan del
gruppo allora appena diciannovenne, al posto di Hillel Slovak, morto per overdose di eroina nel 1988. La
morte del chitarrista Slovak aveva fortemente scosso gli altri membri della band, soprattutto Anthony
Kiedis (voce) e Michael “Flea” Balzary (basso elettrico), ma anche lo stesso Frusciante, suo irriducibile
ammiratore. Il tragico evento portò il batterista Jeremy Irons a lasciare il gruppo. Venne così sostituito da
Chad Smith. Il dolore per la perdita e la voglia di rifarsi si concretizzano allora in Mother's Milk, album
duro, energico, compianto, con un misto di dolce-amaro e di ironia. Ma è allora che i Red Hot sentirono
che era giunto il momento della svolta che avrebbe cambiato completamente la loro vita e quella dei loro
fans. Venne assunto per la
produzione dalla Warner
Bros Records, major discografica che aveva sotto contratto la band, Rick
Rubin. Egli aveva sulle
spalle un grande lavoro
con molti famosi artisti
della mainstream tra cui i
maghi dell'hip hop Beastie Boys e i metallari
Slayer. Conosciuto per i
suoi metodi poco ortodossi, il super producer affittò per lui e la band un'intera villa a Laurel Canyon, in California, dove
venne sviluppata l'idea
dell'album traccia per
traccia con una cura a dir
poco maniacale, improvvisando studi di registrazione in salotto e sedute
spiritiche in bagno e dove
la creatività dei quattro
artisti divenne quasi
un'entità a sé, disciolta e
respirabile nell'aria. Non
poche interviste furono
rilasciate in quel periodo,
alimentando così l'attesa
per il nuovo album e la
curiosità su quanto accadesse nella villa, da cui
tre dei quattro membri
non uscivano mai. Il documentario video Funky Monks, girato in quel periodo, contribuì ad alimentare il mito della band. Quando uscì, Blood Sugar Sex Magik fu un fenomeno di massa epocale (alcune delle loro canzoni vennero annoverate tra quelle che costituiscono “l'inno degli anni novanta”), in tutto e per tutto fedele alle quattro
parole del suo titolo. I Red Hot furono in grado di creare una grandiosa unione di armonie e testi, che trasmettono, tramite vere e proprie scosse elettriche emozionali e flussi di immagini stravaganti, la riflessione di tutti i membri della band su temi classici del rock (la vita sregolata, la droga, l'amore) ma anche su
tematiche di carattere sociale (il razzismo, i rapporti interpersonali) o legate al quotidiano, con scorci della vita underground di Los Angeles che quasi sicuramente hanno anche valenza autobiografica, soprattutto per Anthony Kiedis. E mentre ancora ci chiediamo frastornati come sia possibile che nessuno si sia mai
accorto che effettivamente quella di Breaking The Girl è una chitarra acustica e che nessuno abbia ancora
fatto una cronologia per i vari tagli di capelli di John Frusciante, guardiamo con una sorta di venerazione
le immagini della miriade di tatuaggi che si trovano all'interno dell'album e salutiamo le dita callose di
Flea e il fantastico rap di Kiedis.
Tancredi Anzalone II C
Guida all'ascolto: -Breaking The Girl - Funky Monks -Under The Bridge
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LE DIPENDENZE
«Il brutto della dipendenza è che
non finisce mai bene. Perché ad
un certo punto qualunque cosa
sia quella che ti fa stare bene
smette di farti bene e comincia a
farti male. Eppure dicono che
non ti togli il vizio finché non
tocchi il fondo. Ma come fai a
sapere quando l'hai toccato? Non
importa quanto una cosa ci faccia
male, certe volte rinunciare a
quella cosa fa ancora più male».
(Dal telefilm Grey's Anatomy)
Dipendenza deriva dal latino
“dependere” ovvero essere appeso, attaccato. Ognuno purtroppo
è dipendente da qualcosa, alcuni
perfino da persone, e questo,
comprensibile per un neonato che
ha bisogno della madre o per la
persona anziana e malata che
necessità di un sostegno giornaliero, mi lascia perplessa quando vedo chi dipende, in età adulta, da persone o da “gruppi” ritenendo possano essere parte essenziale ed irrinunciabile della
propria vita, senza rendersi conto che non gli consentono molto
spesso di sviluppare autonomamente la sua personalità, confrontandosi, magari anche con
forza e pragmatismo con la realtà
circostante. La società di massa,
nell’ ultimo ventennio sicuramente ha incentivato l’aumento di
dipendenze attraverso pubblicità,
slogan e anche servendosi di personaggi pubblici. Esistono varie
dipendenze con sfaccettature assai
diverse; esistono gradi diversi di
dipendenza, modi diversi di dipendere, ma ciò che accomuna
tutto è il fatto che la dipendenza
rende schiavi, ovvero non più liberi di scegliere. La cosa sorprendente è che ogni persona fa della
propria assuefazione una parte di
sé, ritagliandogli un piccolo spazio della propria esistenza. C’è
chi è dipendente dal tabacco, chi
dall’ alcool, chi dalle droghe, chi
dallo shopping, chi dal sesso, chi
dal computer. E così potrei continuare con un elenco quasi infinito. Il fulcro della questione non è
però questo, quanto il fatto che la
dipendenza ci costringe a non poter fare a meno di qualcosa. Chiedete ad un fumatore o ad un alcolista di rinunciare alla sua sigaretta o alla sua bottiglia di vino: non
lo farebbero mai. Loro ne hanno
bisogno. Oggi noi giovani, e mi
sento parte di questo “noi”, siamo
dipendenti e schiavi delle mode,
delle abitudini, del modo di parlare, sboccato e volgare, della firme, della borse di “Gucci” o delle
scarpe “Tods”: se non ce l’hai sei
uno sfigato, se provi a criticare
chi indossa questi indumenti sei
marchiato a fuoco. Bisogna uscire
da tutto questo, perché fossilizzarsi così tanto, omologarsi, impedisce alla fantasia di essere libera e di manifestarsi nel migliore
dei modi. Gli adolescenti sono
dipendenti da Facebook: un’assuefazione assai recente che nel
giro di pochissimi anni è riuscita
a rendere schiavo chi ne fa uso.
Molti di noi passano ore ed ore
con lo sguardo incollato ad uno
schermo e sacrificano lo studio e
gli hobby per stare incollati con le
dita ad una tastiera come dei provetti dattilografi, oppure non riusciamo a staccare le mani dal cellulare, aspettando chissà cosa.
Delle dipendenze, molte volte,
non si può fare a meno, ma sicuramente riuscire a gestire una propria debolezza è meglio che lasciarsi stravolgere e dominare del
tutto.
Chiara Mormile IC
A n n o
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n u m e r o
P a g i n a
2
I
L’immagine ha spesso sostituito
le parole; i simboli riescono a
comunicare infiniti concetti; i colori, sia quelli caldi e penetranti
sia quelli più freddi e lucenti hanno da sempre un forte impatto
sulle sensazioni dell’uomo, rendendo il messaggio più diretto.
Per questo motivo il tatuaggio è
stato impiegato presso moltissime
culture, sia antiche che contemporanee, accompagnando l'uomo per
gran parte della sua esistenza; a
seconda degli ambiti in cui esso è
radicato, ha potuto rappresentare
una sorta di carta d'identità dell'individuo, piuttosto che un rito di
passaggio, ad esempio all'età adulta, fino a diventare, ai giorni d’oggi una vera e propria moda, nata
per raccontare attraverso una frase, un disegno o un simbolo una
parte di sé. Una ferita d’inchiostro
indelebile sul nostro corpo che
svela, al solo guardarla, una parte
importante di chi si è: c’è chi si
incide frasi d’amore, chi d’amicizia, chi massime di personaggi
Scarpe e
borse ...
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TAT U A G G I
famosi, chi lettere intrecciate tra
loro, chi parole-chiave della propria vita, chi date importanti. Per
non parlare poi dell’immensa varietà di immagini, grandi o piccole,
nere o a colori , e dei loro significati nascosti: così troviamo la libertà nella piuma, la fermezza d’animo nell’ancora, la rinascita nella
farfalla, la potenza nel drago, la
passione e la violenza nella tigre e
ancora moltissime altre figure che
racchiudono significati altrettanto
profondi e forti.
Ovviamente c’è anche la possibilità di personalizzare il proprio
tatuaggio, rendendolo unico e irripetibile, come a voler porre la
firma sotto la propria creazione.
In questo senso il tatuaggio può
essere considerato una vera e propria forma di arte moderna: la
struttura complessa dei disegni,
l’accurato e minuzioso lavoro nel
rendere perfetti persino i dettagli,
il saper lavorare su superfici ristrette come più vaste rende non
solo il tatuatore un artista a tutti
gli effetti ma il tatuaggio stesso
un’opera d’arte.
Questa sorta di alone eterno che
avvolge la visione del tatuaggio ci
intriga in maniera misteriosa ad
incidere per sempre la nostra pelle
con qualcosa che speriamo o crediamo duri persino oltre la morte:
forse è un modo per renderci più
sicuri, oppure per bloccare e ricordare per sempre attimi della propria vita, o ancora per tenere stretta a sé la memoria di qualcuno.
Flaminia Benincampi II E
… magnifica
ossessione
Anche se Marylin cantando “Diamonds are a girl’s best friends” non aveva tutti i torti, ultimamente le borse
e le scarpe hanno preso il loro posto nei nostri cuori. E visto che comprare il paio giusto di ballerine o la
perfetta pochette non è un gioco da ragazzi, ci pensano gli stilisti (e le riviste di moda) a darci i consigli giusti. Quest’inverno vige la legge dei contrasti: su borse e scarpe classiche vengono abbinati lucido e opaco,
liscio e ruvido, oppure sono accostati colori forti separati da linee nette e definite. Altro trend di stagione
sono gli accessori ispirati allo stile inglese. Il tweed, le nappine e gli stemmi inconfondibilmente british
spopolano insieme ai tipici stivaletti alla caviglia e sono utilizzati dalle maggiori firme, da Yves Saint Laurent a Gucci. Per essere perfette in ogni occasione puntate sul metallizzato, ma anche sul glitter e la vernice, con tanto di fibbie e catenelle. Paillettes e cristalli danno a borse e decolletées quel tocco in più che le
rende ideali per la sera, ma anche eccentriche e originali se indossate alla luce del sole, in quei giorni in cui
troviamo il coraggio. Per quanto riguarda le borse, andrebbero lasciate a casa quelle grandi e informi per
rimpiazzarle con piccole borse a tracolla anni ’70. Dove finiranno tutte le cose che infiliamo ogni giorno
nella nostra borsa? Chissà.
Gaia Petronio II E
P a g i n a
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L e I d i d i …
d i c e m b r e
Marco
—
R a c c o n t o
a
p u n t a t e ( 2 )
Questa storia fa da seguito al racconto “Agnese” del numero scorso. Sebbene possa sembrare, almeno per ora,
che le due vicende non abbiano nulla a che fare l'una con l'altra, gli eventi che hanno presentato Agnese e che
ora presentano il nuovo personaggio sono indispensabili per conoscere i due universi in cui si muovono i protagonisti, al fine di comprendere al meglio lo sviluppo degli eventi. Buona lettura.
La sua vita era sempre stata perfetta. Mai un tassello fuori posto o qualcosa che non fosse già stato calcolato nel
suo disteso, addormentato, battuto molte volte ma comunque grande disegno. Questo, almeno, valeva per le esperienze raccolte fino ai diciassette anni. Tutto gli si prospettava con una semplicità banale e disarmante: ascoltare,
conoscere, vedere, succhiare fino in fondo il midollo della vita, scelte già programmate con una buona dose di
imprevedibilità all'ultimo momento, parole già dette ma mai dette ancora, viaggi, università, amori, lavori in giro
per il mondo. Questo era l'involucro freddo, ideale, la carta della caramella dell'esistenza che a lui piaceva aprire
piano piano, gustandosi l'attesa. Poi tutto veniva ravvivato dal sangue caldo nelle vene, dall'impatto con la realtà
che per quanto brutale credeva non fosse mai troppo inaspettata o difficile da affrontare. Andava avanti senza
tirarsi indietro nei limiti dei suoi doveri e delle sue possibilità, non rifiutava nessuna delle offerte che uscivano
dal cilindro magico con uno sbuffo di fumo, moltiplicava quasi le ore, perché un giorno normale gli sembrava
troppo poco per fare, vedere, per dire tutto. E non era mai veramente stanco di niente né di tutto. Certo, a volte
capitava che fosse quasi nauseato dal mondo e da ciò che non era come lui voleva ma mai questo sentimento durava a lungo o era preponderante nel suo animo. In generale era un grande idealista e un tipo piuttosto popolare
tra la gente, stava simpatico a molti e in linea di massima tentava, anche se con scarso successo, di anteporre i
bisogni degli altri ai suoi. Forte di queste convinzioni, Marco si preparava ad uscire con Clara, ragazza quanto
mai ambita a scuola, e nel prepararsi, atto non dissimile dalla vestizione di un eroe, lo assisteva Andrea, suo amico di vecchia data a cui confidava ogni cosa.
-Dici che così vado bene?
-Lo sai, non amo pronunciarmi. Ma no, non vai bene, anzi fai schifo. Cambiati quella maglietta.
-Ma dai! È così importante? Non penso che perderà tempo a guardarmi la maglietta se quello che dicono di lei è
vero.
-Cosa? Che ha tendenzialmente facili costumi? O che va con quelli popolari a prescindere che siano belli o brutti?
-Dai, non dire così, sminuisci le mie doti di seduttore! E poi sono sicuro che è una ragazza intelligente e una bravissima persona. Credo proprio che sarà interessante.
-Oh sì, lo credo! Comunque lo dico per te, non aspettarti una grande eloquenza.
-E chi mai ha parlato di eloquenza? In ogni caso credo di essere pronto.
-Okay, vai con l'inventario della roba sulla scrivania: chiavi, gomme da masticare, portafogli, telefono, fazzoletti,
ipod... no dai l'ipod lascialo a casa ti prego!
-Assolutamente no. Mai e poi mai. È un'abitudine viziosa, non posso farne a meno.
-Si certo...e le sigarette a che ti servono?! Hai preso qualche altra abitudine viziosa di recente? Non mi sembra
che tu sia un grande fumatore.
-Io no, ma lei fuma. E i suoi amici, che inevitabilmente incontreremo lungo la strada, fumano, e tutti fumano tranne me e te, praticamente, se ci hai fatto caso. Comunque, mai visto spy game? Prima regola della spia: porta con
te sempre delle sigarette, anche se non fumi. Per attaccare bottone. E nel mio caso fare da mecenate del vizio!
-Che buffonata! Solo tu potevi pensare, non dico alle sigarette, ma a spy game!
-Lo so. Va bene, augurami buona fortuna, io vado.
-E quando mai ne hai avuto bisogno?
Tancredi Anzalone II C
LE IDI DI...
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Caporedattore: Alessandro Giardini II F
Professore referente: Giuseppe Mesolella
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