Numero 2 - Liceo Giulio Cesare
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Numero 2 - Liceo Giulio Cesare
15 Dicembre 2011 Anno 1 numero 2 Le Idi di… dicembre Editoriale Novembre, mese della prima assemblea dell’anno scolastico, mese di agitazioni e proteste: Novembre, il solito Novembre, un Novembre di cui parlare a Dicembre… Come sapete, il giorno successivo all’assemblea del 17 ha avuto luogo un’assemblea straordinaria all’esterno delle mura scolastiche per discutere a proposito delle quattro giornate di didattica alternativa previste per Febbraio e dei termini in cui si prospettano; quindi credo che sia opportuno utilizzare questo spazio per chiarire i motivi di quella giornata e per sintetizzare quanto è emerso: molti studenti, sin dall’inizio dell’anno, si sono mostrati motivati e decisi nel portare avanti l’idea di aggiungere due giorni alle quattro giornate di didattica alternativa già previste nel POF (piano offerta formativa), sostenendo che lo scorso anno la “Settimana dello Studente” aveva avuto una durata di quattro giorni, anziché di sei, lavorativi perché la Preside aveva CONCESSO quelle giornate nonostante non fossero inserite nel POF dell’anno corrente, e aveva quindi legittimamente deciso di utilizzare le due giornate previste per le assemblee di gennaio e febbraio. Ora però che il progetto è stato a tutti gli effetti riconosciuto e approvato dal Consiglio d’Istituto, è ragionevole domandarsi perché si debba rinunciare a due assemblee o comunque a poter usufruire di due giornate aggiuntive per il progetto. Per questi motivi tutti e quattro i Rappresentanti degli Studenti hanno deciso, in quella giornata, di caldeggiare le richieste degli stessi studenti dei quali è stato appurato l’effet- tivo interesse e la volontà di contribuire alla stesura del progetto: infatti, visto l’esito positivo dell’assemblea, abbiamo deciso di iniziare sin da subito a lavorare alla stesura di un programma articolato su sei giorni. La direzione in cui lavorare è quella dell’eccellenza che gli studenti, i professori e la Preside richiedono. L’eccellenza è la sfida che può consentire l’approvazione del nostro lavoro. All’eccellenza, però, si arriva tutti insieme. Cerchiamo di arrivarci davvero, cerchiamo di stupire, cerchiamo di stupire noi stessi! Alessandra Marino III F P a g i n a L e I d i d i … d i c e m b r e 2 U N A S O C I E T A ’ Dagli Stati Uniti all’Europa, il movimento degli “Indignati” ha manifestato contro gli eccessi della finanza, il debito pubblico e la disoccupazione; problema, quest’ultimo, particolarmente grave in Italia. Da noi, per le generazioni più giovani, trovare lavoro è difficilissimo: il mercato tende infatti a favorire le persone di età più avanzata o già occupate; quelli che trovano un’occupazione poi, sono il più delle volte assunti con contratti temporanei che raramente si traducono in contratti a tempo indeterminato, ovviamente meno convenienti per le aziende. In questo modo quindi, non solo P E R V E C C H I ? i giovani trascorrono lunghi periodi da disoccupati rischiando di vedere seriamente penalizzata la propria futura carriera lavorativa, ma non accumulano contributi per la pensione, con il rischio di ritrovarsi con un reddito molto modesto quando smetteranno di lavorare. Le idee riguardo le riforme economiche per modificare questo stato di cose non mancano, si scontrano però nel nostro paese contro uno scoglio apparentemente insormontabile: l’elettore medio è infatti sempre più anziano; uno su cinque ha più di 65 anni. Ma soprattutto, la popolazione italiana sembra destinata a invecchiare velocemente: si vive sempre più a lungo (per longevità siamo secondi solo al Giappone) e, parallelamente, il tasso di fertilità è tra i più bassi al mondo (siamo al 201esimo posto su 222 paesi). Già oggi, ma nel prossimo futuro ancora di più, riforme che dovessero andare a vantaggio dei più giovani andrebbero contro gli interessi di quest’enorme platea di elettori più anziani: molto dif- La vignetta— d i E l e n a ficilmente partiti e sindacati saranno disposti ad attuarle, inimicandosi il loro voto. Eppure la crescita economica e politica non può fare a meno di nuove energie; bisogna quindi che si verifichino dei cambiamenti nel mondo del lavoro, ma, soprattutto, occorre far sì che i giovani abbiano una maggiore influenza nelle decisioni del governo. Paesi come Germania e Giappone sembrano esserne consapevoli e stanno discutendo a proposito del cosiddetto Demeny voting, cioè della possibilità di attribuire un voto premiale ai genitori in base al numero dei propri figli; un'altra idea è di conferire un maggior peso al voto dei giovani (ad esempio, 1,2 contro 1), altri ancora propongono di abbassare l’età del voto a sedici anni. Non sarebbe il caso di cominciare a pensare a qualcosa del genere anche in un paese come l’Italia, in cui l’età media della popolazione è tra le più elevate al mondo? Cosimo Inzerillo II F B u r a l i I I F A n n o 1 n u m e r o P a g i n a 2 La scuola cade Nella Capitale la Scuola sta andando letteralmente a pezzi. Non parlo di riforme, maestri unici e classi pollaio. Queste cose potranno toccare il liceo, ma non lo faranno mica crollare. Io parlo proprio di controsoffitti che cadono e di classi allagate. Questi problemi stanno molto a cuore alle organizzazioni politiche giovanili, siano esse di destra o di sinistra. Tra le varie “sigle” politiche che portano avanti questa battaglia spiccano, ad esempio, Blocco Studentesco e Senza Tregua. La prima di estrema destra, la seconda di estrema sinistra. Diversi sono stati i metodi con cui queste organizzazioni hanno manifestato la loro protesta. Senza Tregua, ad esempio, oltre a segnalare le pericolose condizioni di pericolo in molte scuole, ha anche organizzato un corteo studentesco a Piramide il giorno 22 novembre. Solo un giorno prima, di fronte ai cancelli di oltre 30 scuole di Roma, i militanti di Blocco Stu- dentesco hanno collocato vari manichini sepolti da calcinacci: un modo un po' inconsueto per denunciare il problema dell’edilizia scolastica ma comunque molto efficace. Secondo Castellani, responsabile di Blocco Studentesco, più di due terzi degli istituti non sono a norma. Senza Tregua ha invece pubblicato sul suo sito una vera e propria inchiesta sulla condizione edilizia di moltissime scuole romane. Ma da dove deriva tutta questa rabbia e indignazione? Da un evento tragico e drammatico che ha segnato profondamente migliaia di studenti italiani, aldilà dei colori politici: il giorno 22 novembre 2008, in una scuola di Rivoli, in provincia di Torino, Vito Scafidi muore a seguito del crollo di un controsoffitto. Quel giorno uno studente morì per essere andato a scuola. E di fronte ad un caso così eclatante pochi hanno pensato di mettere a norma gli edifici e se anche ci hanno provato in pochi casi sono riusciti nel loro intento a causa a pezzi dei continui tagli che la scuola pubblica italiana è costretta a subire. Dobbiamo sperare solamente che il nuovo governo tecnocratico di Mario Monti, nel seguire gli ordini della BCE, non tagli ulteriori fondi alla scuola pubblica italiana, ma soprattutto dobbiamo continuare a farci sentire e a batterci perché non ci siano altri dolorosi 22 novembre. Giuseppe Della Corte I D Nella foto l’aula della scuola di Rivoli dove è accaduta la tragedia 3 P a g i n a 4 L e I d i d i … d i c e m b r e I C O S T I Da che mondo è mondo, nei periodi di crisi per quanto riguarda l' indebitamento pubblico, due sono le soluzioni: taglio delle spese o aumento delle imposte. E' storicamente provato che tutti prediligono la seconda, ce l’ha dimostrato anche il recente governo tecnico di Monti. E cosi ci ritroviamo a pagare oltre le normali bollette (acqua, luce, gas, condominio, telefono, persino l'Ama per la raccolta dei rifiuti) anche una cifra spropositata per l’Ici (Imposta comunale immobili) sia sulla prima che sulla seconda casa. Eppure un taglio delle spese che sarebbe opportuno ma che invece nessun governo di destra e sinistra ha mai preso in considerazione, è il taglio dei costi della politica. In Italia in particolare il costo della politica è altissimo. E non si tratta semplicemente di un ceto privilegiato che non paga il biglietto al teatro o al D E L L A P O L I T I C A cinema, ma di una speculazione sui cittadini, di soldi che escono dalle nostre tasche. Ecco allora che su tutte le reti televisive e sui social network circolano notizie di ogni tipo, sentiamo di politici di un certo spessore che preferiscono abrogare disegni di legge che prevedono un abbassamento del loro stipendio piuttosto che approvare leggi sulla sanità, sull'istruzione, sulle pensioni o sui contributi; di onorevoli che evadono il fisco e che per un pasto completo pagano solo undici euro, di oltre settanta auto blu che li scortano alle partite di calcio, o di consiglieri regionali che spendono 600 000 euro in tablet ultra moderni. Potrei continuare cosi a lungo, tanti sono i soldi spesi per la costruzione di opere pubbliche il cui funzionamento è momentaneamente sospeso (chissà quanto è in realtà il tempo sprecato), tanti gli appalti Il Parlamento italiano ingiustamente assegnati, tante le ingiustizie camuffate. La polemica si accende e si inasprisce quando assistiamo a discorsi moraleggianti della classe dirigente, riguardo alle famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, di precari disoccupati, di migliaia di lavoratori in cassa integrazione. La realtà e la verità però sono altre. La realtà è che c'è un abisso tra il loro tenore di vita e quello di un comune cittadino. Ma la verità è che quel tenore di vita siamo noi a garantirglielo, mentre noi il nostro lo costruiamo giorno per giorno, imbattendoci in pratiche burocratiche che ci paralizzano nello sviluppare i nostri progetti, anche quelli più semplici, con la consapevolezza di poche prospettive future, poche scelte. Ma almeno ci proviamo. Giorgia Boccherini II E A n n o 1 n u m e r o 2 P a g i n a Il tarlo letterario Pietroburgo, in Russia, città sorta agli albori del Settecento per volontà di Pietro il Grande da cui prende il nome, coi suoi begli edifici neoclassici, la Prospettiva (sorta di russa via del Corso), la placida Nievà, gli austeri uffici, i palazzi signorili, in un parola: la moderna città, nata come dal nulla, razionale, ordinata. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stata la prima tra tutte ad ospitare ufficialmente le diavolerie infernali della fantasia umana? Perché sono vere e proprie diavolerie, prodotti di un’immaginazione inquieta e delirante, quelle che popolano i cinque Racconti di Pietroburgo di Nicolaj Gogol’. Passeggiare con costui nella Pietroburgo degli anni Trenta dell’Ottocento è come iniziare un tour nelle regioni più inesplorate della mente: ma tranquilli, lettori! il tutto avviene all’insegna dell’i- ronia più tagliente e spigliata, tanto che non una “città infernale” abbiamo davanti, ma una “città distorta” quale la vedremmo negli specchi deformanti dei Luna Park. Dopo un’allegra scorrazzata per la Prospettiva, fatta debita conoscenza con gli abitanti di Pietroburgo che sotto la maschera di ben pasciuti borghesi o candide giovinette nascondono sinistri segreti –, eccoci al nerbo della raccolta con il Naso e il Cappotto. Nel primo racconto il naso di un assessore di collegio, con grande stupore del proprietario, fugge dal suo luogo abituale sito tra occhi e bocca del medesimo per scarrozzare in città sotto le spoglie di funzionario statale. L’invenzione letteraria è pretesto per una satira turbinosa dell’intera società pietroburghese, con i suoi balli, le sue miserie, la sua sciocca vanità; ma a generare inquietudine è come, nei protagonisti e negli abitanti di Pietroburgo, un avvenimento di tal fatta desti al massimo un divertito stupore (a parte nel protagonista il quale, ahimè, vede sbriciolarsi la sua reputazione in società) e rientri facilmente nelle rotaie del quotidiano. Abbiamo smarrito persino il senso del soprannaturale, pare dirci inorridito Gogol’. Il racconto successivo inasprisce, se possibile, i toni: l’ironia si fa spietata nella narrazione della triste vita dell’impiegato Akakij Akakievič, il quale per comprare un nuovo cappotto spende tutti i proprio risparmi, per vedersene poi derubato alla prima occasione. Il dolore della perdita lo uccide: il suo fantasma finirà col terrorizzare i nottambuli di Pietroburgo (con conseguente furto dei loro cappotti). Non bisogna cercare in questo racconto un tema sociale, una denuncia dello sfruttamento degli impiegati, quasi Gogol’ fosse un anticipatore della Rivoluzione: di grandioso qui c’è lo sbigottimento dell’artista, che vede come vita ordinaria e soprannaturale, normalità e grottesco, si intreccino sfumando i propri confini. La conferma di ciò è nell’immagine che chiude il racconto: un’oscura figura (il fantasma di Akakij? un altro fantasma? un ladruncolo di Pietroburgo?) che si perde nelle nebbie di uno dei tanti ponti sulla Nievà, lasciando il vigile che zelantemente voleva multarlo con un palmo di naso. Alessandro Giardini II F 5 P a g i n a L e I d i d i … d i c e m b r e 6 “SCHIAVI” DEI NEURONI? Solo chi ha agito “volontariamente” può essere ritenuto colpevole. Logico quindi che per criminali affetti da disturbi mentali si richiedano delle attenuanti. Ma se anche una persona apparentemente sana fosse affetta da una qualche malattia a noi ignota? E’ il 1966 quando dall’autopsia sul cadavere di Charles Whitman, colpevole della morte di quindici persone, tra cui madre e moglie, emerge che un piccolo tumore ha compresso l’amigdala, un’area del cervello che gestisce le emozioni, in particolare, paura ed aggressività: tutto fa pensare che sia stato un cambiamento biologico ad incidere sulla capacità di intendere e di volere dell’uomo. A questo e a casi simili è rivolta l’attenzione della neuroscienza, ramo della biologia che studia i meccanismi del cervello. Il progredire delle tecnologie in questo campo ha permesso di collegare un numero sempre maggiore di problemi cerebrali a comportamenti aberranti. «Quando si verifica un cambiamento biologico, possono cambiare anche i nostri desideri e la nostra capacità di prendere decisioni. Le pulsioni che diamo per scontate (come l’aggressività) dipendono da complicati dettagli della nostra macchina neurale». A parlare è David Eagleman, neuro-scienziato del Baylor College of Medicine, Texas, e direttore del progetto “Neuroscience and Law”. E’ legittima difesa affermare che un tumore cerebra- le ci ha “spinti ad agire”? In che modo i giudici possono attribuire la responsabilità se molti dei nostri comportamenti risultano guidati da meccanismi che non possiamo controllare? Sono alcuni dei quesiti a cui gli studiosi di scienze, etica e diritto coinvolti in “Neuroscience and Law” tentano di dare una risposta, avvertendo il bisogno di un dialogo tra scienza e giurisprudenza. Concetti come il libero arbitrio e la responsabilità personale sempre più risultano messi in discussione dalle nuove frontiere della neuroscienza: occorre quindi minare dalle fondamenta un sistema giudiziario basato sul principio di volontarietà? E sostituire in ogni circostanza al termine “colpevole” quello di “malato”? Ma soprattutto: dobbiamo credere davvero che tutte le nostre decisioni sfuggano al nostro controllo? In un futuro non troppo lontano la neuroscienza ci darà nuove risposte; più di cinque secoli fa Pico della Mirandola definiva l’uomo “libero e sovrano artefice di se stesso”. Speriamo di poter continuare a crederci. Chiara Abbasciano II F Pico della Mirandola. Definiva l’uomo “libero e sovrano artefice di se stesso” A n n o 1 n u m e r o 2 P a g i n a 7 Scienza senza confini? Sì, di genere Una donna può morire in tanti modi e a tante età. Martirizzata o a causa di leucemia contratta per l'esposizione ai raggi radio. Oppure può essere viva e vegeta (e lucidissima) anche da ultracentenaria. Destini diversissimi, ma indissolubilmente legati dall'amore per la conoscenza quelli di tre grandi scienziate della storia: Ipazia, alessandrina vissuta nel IV secolo, Marie Curie, polacca che opera a Parigi tra il XIX e il XX secolo, e Rita Levi-Montalcini, studentessa a Torino, docente universitaria negli Stati Uniti, premiata con il Nobel a Stoccolma. Soffermiamoci su queste tre affascinati figure, non con l'intenzione di evidenziare casi straordinari di successo femminile in un mondo che era e che forse è ancora maschilista, né per esaltare qualità ritenute prettamente muliebri. Soffermiamoci per capire qual è il "fattore D" individuato dall'editorialista Maurizio Ferrera, o, per usare le parole della stessa Levi-Montalcini, qual è il "differente approccio" alla scienza della vita rispetto alle "uguali possibilità" delle quali dispongono maschi e femmine. Ipazia, Marie e Rita sono donne di frontiera, e non solo sul piano scientifico. Si trovano infatti a vivere quei momenti in cui la Storia prende una speciale piega: Ipazia è la prima martire pagana, perseguitata e uccisa per la sua religione e per la sua posizione sociale di spicco, guadagnata proprio grazie al suo pensiero laico. Quindici secoli più tardi, Marie sfrutta le proprie scoperte per aiutare i Ipazia Maria Curie Rita Levi Montalcini soldati, è infatti radiologa al fronte durante la Prima guerra mondiale. Rita è invece direttamente colpita dalle leggi razziali del '38 che la costringono a trasferirsi con la sua famiglia in Belgio. Ancora un tratto comune: i lori studi hanno un risvolto pratico, che nel caso della Curie è talmente concreto da portare alla scoperta di due nuovi elementi costitutivi della materia, il polonio e il radio. Ipazia è fautrice di uno studio attivo: fa parte di quella corrente all'interno della scuola d'Alessandria, di cui è stata probabilmente a capo, che sostiene il connubio di conoscenza teorica (filosofia) e pratica (l'attenzione di Ipazia si concentra in campo astronomico: a lei si deve il perfezionamento dell'astrolabio). La scienziata italiana invece si distingue in campo medico, scoprendo il Fattore di crescita dei nervi (NGF), molecola proteica che può avere implicazioni tumorali o essere connessa ad altre patologie del sistema neurologico. Le vicende umane delle nostre tre ci dimostrano che l'impegno scientifico è imprescindibile da quello politico-sociale: Rita Levi-Montalcini è senatrice a vita, Marie Curie scelse di non depositare il brevetto delle sue scoperte ma lo lasciò a disposizione della comunità scientifica in nome del progresso, Ipazia insegnò nelle strade. Il loro apporto al progresso dell'umanità non si è limitato all'ambito strettamente scientifico: il contributo più grande l'hanno offerto con la loro stessa vita. Agnese Gatti II F P a g i n a L e I d i d i … d i c e m b r e 8 I n t e r v i s t a a Paolo Sorrentino intervistato dalla nostra inviata paolo sorrentino per girare This must be the place. Non so spiegare esattamente cosa ho provato, è passato troppo poco tempo per poter mettere a fuoco quante emozioni mi ha dato girare il film lì. Sicuramente è stata un'esperienza molto intensa quella di trovarmi nel luogo ''clou'' della storia del cinema americano e, per un europeo abituato a tutt'altri tipi d'ambienti, New York rappresenta proprio un nuovo tipo di rapporto con lo spazio, da' un senso di libertà e dispersione contemporaneamente. Inizialmente Sean Penn con i suoi Oscar la metteva in soggezione sul set? A dir la verità no, perché il lavoro è lavoro. Probabilmente il tipo di soggezione che ho provato era più legata al non conoscere bene la lingua, cosa che generalmente non permette ad attore e regista di stabilire quella confidenza reciproca fondamentale per lo sviluppo del film. Andrebbe a vivere e lavorare in America o nonostante tutto ama ancora il nostro paese? Mi piace moltissimo vivere a Roma, ma mi piace molto anche New York. Direi un 50% per entrambe. Le piace di più fare il regista o scrivere romanzi? Entrambe le cose ma forse per la mia indole, essenzialmente pigra, preferirei scrivere romanzi. Ma il cinema è più emozionante e vertiginoso. Che liceo ha fatto? Lo rifarebbe? Ho fatto il liceo classico e sì, lo rifarei , anche perché non sarei in grado di affrontare altri tipi di studi. Ai suoi figli che liceo consiglierebbe e perché? Ai miei figli consiglierei il classico sicuramente. Anche se non ho mai capito esattamente se il latino e il greco servano o no. Ha mai pensato di realizzare un film sulla mia generazione? Sì ci ho pensato, ma ho scartato subito l'idea, perché da adulti è difficile conoscere intimamente l'attuale generazione, non si riescono a scorgere i particolari più nascosti, che spesso sono i più importanti. Poi, per quanto mi riguarda, non ho vissuto la mia adolescenza in maniera spensierata, a sedici-diciassette anni ero già molto simile a come sono ora. Anche se mi rendo conto che anche voi avete poco da essere spensierati di questi tempi. Se uno studente le dicesse che vorrebbe diventare uno sceneggiatore o un regista cosa gli risponderebbe e consiglierebbe? Gli risponderei di provarci perché è uno dei più bei lavori che esistano e gli consiglierei di non arrendersi al primo tentativo perché non è un impiego che riesce subito facile, è pieno di rifiuti e frustrazioni. Ci vuole un po' di ostinazione. Un po' tanta. Il 25 Novembre 2011, in una stanza con il riscaldamento un po' troppo alto e una finestra aperta che faceva poca differenza, ho incontrato Paolo Sorrentino. Ed ero in ritardo, purtroppo. Una volta seduti, ho precisato che l'intervista aveva a che fare con il giornalino della scuola e mi ha subito risposto: '' Va benissimo, i giornali scolastici sono i migliori'' evitando così di farmi sentire in difficoltà per il ritardo e lasciandomi felicemente sorpresa da quell'affermazione. E' stata la canzone 'This must be the place' a farle pensare al film oppure dopo aver creato la storia le è sembrato il pezzo più adatto, tanto da dare il titolo al film stesso? No, diciamo che ho pensato prima al film e al personaggio della rockstar a cui volevo affiancare un amico, David Byrne, il cantante dei Talking Heads. Quindi la canzone e il titolo del film sono arrivati dopo. La musica in tutti i suoi film è sempre stata molto importante. Secondo lei è possibile scrivere un film partendo dalla musica del film stesso? Sì, è possibile scrivere un film partendo dalla musica. La musica stessa è molto simile a un film, è una sorta di amplificazione delle emozioni, che poi vengono travasate, appunto, nel film. Per quanto mi riguarda è stata di fondamentale importanza, per esempio nel film ''Le conseguenze dell'amore'' ho pensato alla prima scena a partire dalla musica, stessa cosa vale per ''Il Divo'', dove è stata la musica a darmi spunto soprattutto per le scene più violente. Riesce a seguire tutti i vari generi e gruppi musicali che si susseguono, magari trovandoci degli spunti per il suo lavoro? Magari riuscissi a farlo! Mi piacerebbe, quello sì. Comunque se ho un'idea per un film devo trovare un genere di musica che non ho utilizzato precedentemente. Diciamo che è proprio il genere scelto a regolare l'intero film. Ad esempio per ''Il Divo'' ho scelto musica pop e classica, per ''Le conseguenze dell'amore'' musica elettronica e per ''This must be the place'' folk americano e rock. Finita l'intervista, ci salutiamo e ci diamo appuntamento al Che sensazioni le ha dato girare negli Stati Uniti, il suo prossimo film. luogo dei road movies, degli spazi infiniti? Cecilia Minutillo II F La prima volta che sono stato a New York è stata proprio A n n o 1 n u m e r o P a g i n a 2 BLOOD SUGAR SEX 9 MAGIK Blood Sugar Sex Magik. Ovvero: quando quattro individui riescono a raggiungere una perfezione sui generis che mescola sapientemente elementi funk ad uno stile tutto piccante ed assolutamente conturbante. Come dire, non è più solo musica quando si parla dei Red Hot Chili Peppers. Era il 1991 e la band aveva già raggiunto la sua formazione storica contemporaneamente ad un discreto successo in America grazie all'album Mother's Milk, che vedeva per la prima volta alla chitarra John Frusciante, giovane fan del gruppo allora appena diciannovenne, al posto di Hillel Slovak, morto per overdose di eroina nel 1988. La morte del chitarrista Slovak aveva fortemente scosso gli altri membri della band, soprattutto Anthony Kiedis (voce) e Michael “Flea” Balzary (basso elettrico), ma anche lo stesso Frusciante, suo irriducibile ammiratore. Il tragico evento portò il batterista Jeremy Irons a lasciare il gruppo. Venne così sostituito da Chad Smith. Il dolore per la perdita e la voglia di rifarsi si concretizzano allora in Mother's Milk, album duro, energico, compianto, con un misto di dolce-amaro e di ironia. Ma è allora che i Red Hot sentirono che era giunto il momento della svolta che avrebbe cambiato completamente la loro vita e quella dei loro fans. Venne assunto per la produzione dalla Warner Bros Records, major discografica che aveva sotto contratto la band, Rick Rubin. Egli aveva sulle spalle un grande lavoro con molti famosi artisti della mainstream tra cui i maghi dell'hip hop Beastie Boys e i metallari Slayer. Conosciuto per i suoi metodi poco ortodossi, il super producer affittò per lui e la band un'intera villa a Laurel Canyon, in California, dove venne sviluppata l'idea dell'album traccia per traccia con una cura a dir poco maniacale, improvvisando studi di registrazione in salotto e sedute spiritiche in bagno e dove la creatività dei quattro artisti divenne quasi un'entità a sé, disciolta e respirabile nell'aria. Non poche interviste furono rilasciate in quel periodo, alimentando così l'attesa per il nuovo album e la curiosità su quanto accadesse nella villa, da cui tre dei quattro membri non uscivano mai. Il documentario video Funky Monks, girato in quel periodo, contribuì ad alimentare il mito della band. Quando uscì, Blood Sugar Sex Magik fu un fenomeno di massa epocale (alcune delle loro canzoni vennero annoverate tra quelle che costituiscono “l'inno degli anni novanta”), in tutto e per tutto fedele alle quattro parole del suo titolo. I Red Hot furono in grado di creare una grandiosa unione di armonie e testi, che trasmettono, tramite vere e proprie scosse elettriche emozionali e flussi di immagini stravaganti, la riflessione di tutti i membri della band su temi classici del rock (la vita sregolata, la droga, l'amore) ma anche su tematiche di carattere sociale (il razzismo, i rapporti interpersonali) o legate al quotidiano, con scorci della vita underground di Los Angeles che quasi sicuramente hanno anche valenza autobiografica, soprattutto per Anthony Kiedis. E mentre ancora ci chiediamo frastornati come sia possibile che nessuno si sia mai accorto che effettivamente quella di Breaking The Girl è una chitarra acustica e che nessuno abbia ancora fatto una cronologia per i vari tagli di capelli di John Frusciante, guardiamo con una sorta di venerazione le immagini della miriade di tatuaggi che si trovano all'interno dell'album e salutiamo le dita callose di Flea e il fantastico rap di Kiedis. Tancredi Anzalone II C Guida all'ascolto: -Breaking The Girl - Funky Monks -Under The Bridge P a g i n a L e I d i d i … d i c e m b r e 1 0 LE DIPENDENZE «Il brutto della dipendenza è che non finisce mai bene. Perché ad un certo punto qualunque cosa sia quella che ti fa stare bene smette di farti bene e comincia a farti male. Eppure dicono che non ti togli il vizio finché non tocchi il fondo. Ma come fai a sapere quando l'hai toccato? Non importa quanto una cosa ci faccia male, certe volte rinunciare a quella cosa fa ancora più male». (Dal telefilm Grey's Anatomy) Dipendenza deriva dal latino “dependere” ovvero essere appeso, attaccato. Ognuno purtroppo è dipendente da qualcosa, alcuni perfino da persone, e questo, comprensibile per un neonato che ha bisogno della madre o per la persona anziana e malata che necessità di un sostegno giornaliero, mi lascia perplessa quando vedo chi dipende, in età adulta, da persone o da “gruppi” ritenendo possano essere parte essenziale ed irrinunciabile della propria vita, senza rendersi conto che non gli consentono molto spesso di sviluppare autonomamente la sua personalità, confrontandosi, magari anche con forza e pragmatismo con la realtà circostante. La società di massa, nell’ ultimo ventennio sicuramente ha incentivato l’aumento di dipendenze attraverso pubblicità, slogan e anche servendosi di personaggi pubblici. Esistono varie dipendenze con sfaccettature assai diverse; esistono gradi diversi di dipendenza, modi diversi di dipendere, ma ciò che accomuna tutto è il fatto che la dipendenza rende schiavi, ovvero non più liberi di scegliere. La cosa sorprendente è che ogni persona fa della propria assuefazione una parte di sé, ritagliandogli un piccolo spazio della propria esistenza. C’è chi è dipendente dal tabacco, chi dall’ alcool, chi dalle droghe, chi dallo shopping, chi dal sesso, chi dal computer. E così potrei continuare con un elenco quasi infinito. Il fulcro della questione non è però questo, quanto il fatto che la dipendenza ci costringe a non poter fare a meno di qualcosa. Chiedete ad un fumatore o ad un alcolista di rinunciare alla sua sigaretta o alla sua bottiglia di vino: non lo farebbero mai. Loro ne hanno bisogno. Oggi noi giovani, e mi sento parte di questo “noi”, siamo dipendenti e schiavi delle mode, delle abitudini, del modo di parlare, sboccato e volgare, della firme, della borse di “Gucci” o delle scarpe “Tods”: se non ce l’hai sei uno sfigato, se provi a criticare chi indossa questi indumenti sei marchiato a fuoco. Bisogna uscire da tutto questo, perché fossilizzarsi così tanto, omologarsi, impedisce alla fantasia di essere libera e di manifestarsi nel migliore dei modi. Gli adolescenti sono dipendenti da Facebook: un’assuefazione assai recente che nel giro di pochissimi anni è riuscita a rendere schiavo chi ne fa uso. Molti di noi passano ore ed ore con lo sguardo incollato ad uno schermo e sacrificano lo studio e gli hobby per stare incollati con le dita ad una tastiera come dei provetti dattilografi, oppure non riusciamo a staccare le mani dal cellulare, aspettando chissà cosa. Delle dipendenze, molte volte, non si può fare a meno, ma sicuramente riuscire a gestire una propria debolezza è meglio che lasciarsi stravolgere e dominare del tutto. Chiara Mormile IC A n n o 1 n u m e r o P a g i n a 2 I L’immagine ha spesso sostituito le parole; i simboli riescono a comunicare infiniti concetti; i colori, sia quelli caldi e penetranti sia quelli più freddi e lucenti hanno da sempre un forte impatto sulle sensazioni dell’uomo, rendendo il messaggio più diretto. Per questo motivo il tatuaggio è stato impiegato presso moltissime culture, sia antiche che contemporanee, accompagnando l'uomo per gran parte della sua esistenza; a seconda degli ambiti in cui esso è radicato, ha potuto rappresentare una sorta di carta d'identità dell'individuo, piuttosto che un rito di passaggio, ad esempio all'età adulta, fino a diventare, ai giorni d’oggi una vera e propria moda, nata per raccontare attraverso una frase, un disegno o un simbolo una parte di sé. Una ferita d’inchiostro indelebile sul nostro corpo che svela, al solo guardarla, una parte importante di chi si è: c’è chi si incide frasi d’amore, chi d’amicizia, chi massime di personaggi Scarpe e borse ... 1 1 TAT U A G G I famosi, chi lettere intrecciate tra loro, chi parole-chiave della propria vita, chi date importanti. Per non parlare poi dell’immensa varietà di immagini, grandi o piccole, nere o a colori , e dei loro significati nascosti: così troviamo la libertà nella piuma, la fermezza d’animo nell’ancora, la rinascita nella farfalla, la potenza nel drago, la passione e la violenza nella tigre e ancora moltissime altre figure che racchiudono significati altrettanto profondi e forti. Ovviamente c’è anche la possibilità di personalizzare il proprio tatuaggio, rendendolo unico e irripetibile, come a voler porre la firma sotto la propria creazione. In questo senso il tatuaggio può essere considerato una vera e propria forma di arte moderna: la struttura complessa dei disegni, l’accurato e minuzioso lavoro nel rendere perfetti persino i dettagli, il saper lavorare su superfici ristrette come più vaste rende non solo il tatuatore un artista a tutti gli effetti ma il tatuaggio stesso un’opera d’arte. Questa sorta di alone eterno che avvolge la visione del tatuaggio ci intriga in maniera misteriosa ad incidere per sempre la nostra pelle con qualcosa che speriamo o crediamo duri persino oltre la morte: forse è un modo per renderci più sicuri, oppure per bloccare e ricordare per sempre attimi della propria vita, o ancora per tenere stretta a sé la memoria di qualcuno. Flaminia Benincampi II E … magnifica ossessione Anche se Marylin cantando “Diamonds are a girl’s best friends” non aveva tutti i torti, ultimamente le borse e le scarpe hanno preso il loro posto nei nostri cuori. E visto che comprare il paio giusto di ballerine o la perfetta pochette non è un gioco da ragazzi, ci pensano gli stilisti (e le riviste di moda) a darci i consigli giusti. Quest’inverno vige la legge dei contrasti: su borse e scarpe classiche vengono abbinati lucido e opaco, liscio e ruvido, oppure sono accostati colori forti separati da linee nette e definite. Altro trend di stagione sono gli accessori ispirati allo stile inglese. Il tweed, le nappine e gli stemmi inconfondibilmente british spopolano insieme ai tipici stivaletti alla caviglia e sono utilizzati dalle maggiori firme, da Yves Saint Laurent a Gucci. Per essere perfette in ogni occasione puntate sul metallizzato, ma anche sul glitter e la vernice, con tanto di fibbie e catenelle. Paillettes e cristalli danno a borse e decolletées quel tocco in più che le rende ideali per la sera, ma anche eccentriche e originali se indossate alla luce del sole, in quei giorni in cui troviamo il coraggio. Per quanto riguarda le borse, andrebbero lasciate a casa quelle grandi e informi per rimpiazzarle con piccole borse a tracolla anni ’70. Dove finiranno tutte le cose che infiliamo ogni giorno nella nostra borsa? Chissà. Gaia Petronio II E P a g i n a 1 2 L e I d i d i … d i c e m b r e Marco — R a c c o n t o a p u n t a t e ( 2 ) Questa storia fa da seguito al racconto “Agnese” del numero scorso. Sebbene possa sembrare, almeno per ora, che le due vicende non abbiano nulla a che fare l'una con l'altra, gli eventi che hanno presentato Agnese e che ora presentano il nuovo personaggio sono indispensabili per conoscere i due universi in cui si muovono i protagonisti, al fine di comprendere al meglio lo sviluppo degli eventi. Buona lettura. La sua vita era sempre stata perfetta. Mai un tassello fuori posto o qualcosa che non fosse già stato calcolato nel suo disteso, addormentato, battuto molte volte ma comunque grande disegno. Questo, almeno, valeva per le esperienze raccolte fino ai diciassette anni. Tutto gli si prospettava con una semplicità banale e disarmante: ascoltare, conoscere, vedere, succhiare fino in fondo il midollo della vita, scelte già programmate con una buona dose di imprevedibilità all'ultimo momento, parole già dette ma mai dette ancora, viaggi, università, amori, lavori in giro per il mondo. Questo era l'involucro freddo, ideale, la carta della caramella dell'esistenza che a lui piaceva aprire piano piano, gustandosi l'attesa. Poi tutto veniva ravvivato dal sangue caldo nelle vene, dall'impatto con la realtà che per quanto brutale credeva non fosse mai troppo inaspettata o difficile da affrontare. Andava avanti senza tirarsi indietro nei limiti dei suoi doveri e delle sue possibilità, non rifiutava nessuna delle offerte che uscivano dal cilindro magico con uno sbuffo di fumo, moltiplicava quasi le ore, perché un giorno normale gli sembrava troppo poco per fare, vedere, per dire tutto. E non era mai veramente stanco di niente né di tutto. Certo, a volte capitava che fosse quasi nauseato dal mondo e da ciò che non era come lui voleva ma mai questo sentimento durava a lungo o era preponderante nel suo animo. In generale era un grande idealista e un tipo piuttosto popolare tra la gente, stava simpatico a molti e in linea di massima tentava, anche se con scarso successo, di anteporre i bisogni degli altri ai suoi. Forte di queste convinzioni, Marco si preparava ad uscire con Clara, ragazza quanto mai ambita a scuola, e nel prepararsi, atto non dissimile dalla vestizione di un eroe, lo assisteva Andrea, suo amico di vecchia data a cui confidava ogni cosa. -Dici che così vado bene? -Lo sai, non amo pronunciarmi. Ma no, non vai bene, anzi fai schifo. Cambiati quella maglietta. -Ma dai! È così importante? Non penso che perderà tempo a guardarmi la maglietta se quello che dicono di lei è vero. -Cosa? Che ha tendenzialmente facili costumi? O che va con quelli popolari a prescindere che siano belli o brutti? -Dai, non dire così, sminuisci le mie doti di seduttore! E poi sono sicuro che è una ragazza intelligente e una bravissima persona. Credo proprio che sarà interessante. -Oh sì, lo credo! Comunque lo dico per te, non aspettarti una grande eloquenza. -E chi mai ha parlato di eloquenza? In ogni caso credo di essere pronto. -Okay, vai con l'inventario della roba sulla scrivania: chiavi, gomme da masticare, portafogli, telefono, fazzoletti, ipod... no dai l'ipod lascialo a casa ti prego! -Assolutamente no. Mai e poi mai. È un'abitudine viziosa, non posso farne a meno. -Si certo...e le sigarette a che ti servono?! Hai preso qualche altra abitudine viziosa di recente? Non mi sembra che tu sia un grande fumatore. -Io no, ma lei fuma. E i suoi amici, che inevitabilmente incontreremo lungo la strada, fumano, e tutti fumano tranne me e te, praticamente, se ci hai fatto caso. Comunque, mai visto spy game? Prima regola della spia: porta con te sempre delle sigarette, anche se non fumi. Per attaccare bottone. E nel mio caso fare da mecenate del vizio! -Che buffonata! Solo tu potevi pensare, non dico alle sigarette, ma a spy game! -Lo so. Va bene, augurami buona fortuna, io vado. -E quando mai ne hai avuto bisogno? Tancredi Anzalone II C LE IDI DI... Direttore: Alessandra Marino III F Caporedattore: Alessandro Giardini II F Professore referente: Giuseppe Mesolella La redazione de “Le idi di …” augura a tutti Buon Natale e Felice Anno Nuovo