Internet ed il Pc (mezzi di comunicazione)

Transcript

Internet ed il Pc (mezzi di comunicazione)
Internet ed il Pc (mezzi di comunicazione)
E' stato rimarcato come nessuno scrittore di Fantascienza abbia previsto Internet e il Personal
Computer. Andrebbe però aggiunto che la Fantascienza ha previsto molto di più, ad esempio
l'impianto di microchip nel cervello, con cui scambiare e condividere informazioni, ricordi
personali e persino l'inconscio. Il PC e Internet da questo punto di vista potrebbero essere
soltanto dei media di passaggio e transeunti, anche se per noi contemporanei ormai è difficile
farne a meno e tendiamo dunque a considerarli stabili e definitivi. Tuttavia fatichiamo ancora a
valutarne la natura, le potenzialità e le ricadute. Il PC e la Rete non sono inclusi nella disamina
dei Mezzi di Comunicazione di Massa di Marshall McLuhan, anche se in Understanding
Media
(saggio del
1964) il principale teorico degli strumenti del comunicare qualche spunto di riflessione in
proposito già lo offre e in modo piuttosto esplicito e anticipatorio: "Uno dei fenomeni più
significativi dell'era elettrica consiste nel creare una rete globale che ha molte caratteristiche del
nostro sistema nervoso centrale, il quale non è soltanto una rete elettrica, ma un campo
unificato di esperienza." Se si rileggono queste parole, non c'è più da stupirsi che la
Fantascienza abbia bypassato il PC , giungendo subito agli esiti finali: raccontare cioè
l'interconnessione esperienziale tra gli esseri umani e/o tra esseri umani e macchine o persino
tra esseri umani viventi ed esseri umani deceduti.
Se la nostra sia una stagione di passaggio oppure quella della stabilizzazione del medium
PC/Internet, lo si vedrà. Resta il fatto che gli autori cinematografici si trovano parecchio in
difficoltà a interpretare gli attuali nuovi media, a farne un uso metaforico e simbolico, come è
stato fatto per il telefono e per la televisione. Si ondeggia tra due atteggiamenti che
corrispondono, più che a una filosofia mediatica, a un comune sentire:
1) La Rete collega. Rende possibili relazioni istantanee e globali (seppur virtuali), veloce
reperimento e scambio di informazioni, collaborazioni a distanza.
2) La Rete imprigiona. Offrendo possibilità di accesso clandestino ad archivi anche
riservatissimi e di intrusione nella vita privata delle persone, la Rete diffonde un paradossale
voyeurismo universale in cui tutti sono sicuri di vedere senza essere visti, pur essendo a loro
volta esposti all'osservazione altrui. Chi penetra nel privato altrui, ma non sa proteggere il
proprio, corre grossi rischi. Chi non è attrezzato a reagire, può venire stritolato dal meccanismo
e vedere mutata in un inferno la propria vita, fino alla sua cancellazione virtuale che è annuncio
e anticipo della morte fattuale.
Insomma, simbolicamente la Rete viene rappresentata di volta in volta e spesso anche nello
1/5
Internet ed il Pc (mezzi di comunicazione)
stesso film, come Utopia (libera comunicazione universale, acquisizione di un nuovo senso di
comunità platenaria) e come
Paranoia (annullamento di ogni
possibilità di libertà individuale e di esistenza separata, se non scoprendosi "soli contro tutti").
Da questo punto di vista la Rete non è altro che la trasposizione contemporanea delle speranze
e delle paure narrate dal cinema dell'era atomica (nuove scoperte scientifiche e tecnologie
consentono imprese impensabili fino a quel momento, ma anche la possibilità tutt'altro che
remota di nuove tirannie e schiavitù, fino alla distruzione degli abituali e confortanti stili di vita, di
ogni autonomia individuale e del genere umano nel suo insieme). Quel tipo di cinema, così
manicheo e allarmista, può sembrare oggi invecchiato e semplicistico, eppure tende a
rispuntare pari pari nei tanti film sugli "intrappolati dalla rete" che riescono infine a liberarsi in
parte grazie alle smagliature della Rete stessa, ma soprattutto contrapponendo alla Rete la
fisicità delle fughe, delle intrusioni materiali negli ambienti reali, delle relazioni affettive e
complici con altri esseri umani, insomma il mito della Realtà Concreta contro il mito della Realtà
Virtuale, i Sentimenti contro la Macchina, l'Anima contro la Tecnologia. Si tratta di un cinema
eminentemente ambiguo, com'è ambiguo ogni dualismo esasperato, che all'apparenza celebra
la resistenza e la ribellione, ma al fondo esprime istanze conservatrici. Nonostante il gran
numero di scene di gente che smanetta al PC, apre programmi, scarica archivi maledicendo
regolarmente il download troppo lento, elabora incomprensibili cifrari, eccetera, in questi film
l'interpretazione-analisi del mezzo in sè, e delle sue ricadute sociali, resta piuttosto
approssimativa e in ombra, rispetto al giudizio (di tipo morale) sul mezzo stesso.
D'altro canto, era difficile per il cinema rendere famigliare, riconoscibile e abituale un medium
mutante come il computer (da enormi a piccole dimensioni, da fisso a portatile, da portatile a
tascabile) e costantemente aggiornato anche nel contenuto (dalle semplici chat al collegamento
video, dai siti ai blog, dalle photogallery stile "album di famiglia" alle foto rielaborate, dai filmati
da scaricare con lunghi tempi d'attesa a quelli in streaming, da quelli orridamente pixelati a
quelli HD, e si potrebbe continuare a lungo). La grafica, anche limitandosi puramente a questa,
invecchia rapidamente e data il film in modo irrimediabile. Ricordate le scritte verdi fosforescenti
su schermo nero? Sono nei film di appena un decennio fa e sembrano già preistoriche, mentre
al confronto la grafica di un giornale (che è cambiata pochissimo nel tempo) risulta eterna.
Esemplare la rovinosa esperienza del film Tron (1982) della Disney nel quale si presumeva che
la tipica grafica dei video games dell'epoca si fosse ormai imposta come un nuovo stile di
rappresentazione e che dunque un umano che venisse magicamente proiettato in quel mondo
dovesse muoversi in un contesto di segni grafici essenziali. In realtà la grafica dei giochi si è
emancipata in fretta dal geometrismo delle origini sviluppando un sempre più accentuato
realismo. Quel fallimentare film rivisto oggi ha un effetto del tutto imprevisto dagli autori: è un
futuro rappresentato in uno stile presunto avveniristico, che risulta invece tramontato da tempo.
Il risultato più che straniante appare così ingenuo da far persino tenerezza.
In cinema, la Rete ha dato vita a un nuovo personaggio: l'esperto informatico, sia in versione
positiva (sveltisce le indagini di polizia, sventa complotti, rintraccia password blindate in pochi
secondi) sia negativa (l'agente informatico al soldo di organizzazioni potentissime e/o di
2/5
Internet ed il Pc (mezzi di comunicazione)
associazioni criminali, capace di cancellare l'esistenza documentale di un individuo, di rubare e
trasferire fondi, di dissestare bilanci, falsificare archivi e chi più ne ha più ne metta). Spesso
questo esperto è un hacker, rappresentato come un giovane anarcoide che vive incollato al
computer e si fa beffe dei capi e dei vecchi assetti di potere che per loro natura e mentalità
tendono a sottovalutarlo. L'hacker al cinema è in genere un trickster, uno che fa trucchi e riesce
a fregare gli altri, seguendo fini personali e la sua inclinazione a trasgredire le regole, ma
sempre pronto a solidarizzare con i marginali o le vittime di turno, e dunque capace di
contribuire alla fine a soluzioni positive. E' insomma la reviviscenza della maschera di
Arlecchino, a sua volta erede dei servi e degli schiavi furbacchioni della commedia antica.
Proprio come Arlecchino, l'hacker assiste alla vorticosa vita degli altri, ai loro amori, ai loro
traffici, e decide quando e come inserirsi, valentissimo nello sfruttare la situazione a suo
vantaggio, anche se lui si mantiene al di fuori dal grande agitarsi altrui, poco interessato a
relazioni sentimentali, con l'unico ideale di vivere a sbafo e come gli pare, ma senza aspirare a
diventare ricco, potente, famoso, grande amatore, perché è geloso della sua marginalità e fiero
della propria autonomia. Questo personaggio apparentemente nuovo, è in realtà antico. Anche
in questo caso, si rivela una certa debolezza degli autori nell'esprimere caratteri nuovi a partire
da un mezzo la cui natura non ci è evidentemente ancora trasparente. Si ha bisogno di
ricondurre questa novità a parametri del passato, altrimenti risulta difficile raccontarla.
Narrativamente, le Rete non ha portato dunque grandi contributi innovativi (sicuramente non
tanti quanti ne hanno portato la tecnologia digitale e i computer alla forma cinema e ai modi di
produzione). Il glamour di questa novità tecnologica ha fatto sì che il PC e la Rete, quando
impiegati in un film, si ritagliassero un ruolo essenziale nel racconto, ma questo ruolo non ha
sviluppato un proprio racconto, è stato irregimentato nelle vecchie regole. Naturalmente è
sempre possibile in un film ricorrere al PC come a uno strumento di uso comune, senza farlo
diventare elemento protagonista o dominante del racconto. A volte fornisce solo lo spunto
iniziale. Per esempio in quei film dove due persone si conoscono via Internet chattando e poi si
incontrano davvero. La storia può avere sia uno sviluppo sentimentale che drammatico, dare
spunto a una commedia o a un thriller. In questo caso il PC è un pretesto per poi seguire i
protagonisti nel quotidiano e senza più relazionarli necessariamente all'uso del PC. Che i due si
contattino per email o per posta cartacea non fa grande differenza narrativamente, se non per
corrispondere agli usi correnti di una certa epoca e di un certo periodo. Fa differenza invece (e
uno sceneggiatore deve tenerlo in debito conto) nello stile e nelle caratteristiche delle due forme
di comunicazione. La lettura di una lettera cartacea, in cinema, è un'occasione per entrare
nell'intimo di un personaggio. Di rado leggiamo se non fugacemente il testo scritto della lettera:
lo sentiamo recitato dalla voce fuori campo dello scrivente, sovrapposta all'espressione del
volto di chi legge. Questo personaggio assente lo sentiamo come attraverso l'evocazione di chi
legge, cioè del personaggio che vediamo. La sottolineatura psicologica che ne deriva è molto
simile al "discorso interiore". Alcuni registi hanno anche scelto, come voce fuori campo
recitante, non quella di chi scrive, ma quella di chi legge, per rendere ancora più chiaro che noi
stiamo entrando nella lettura mentale cioè tout court nei pensieri del destinatario della lettera.
Altri hanno alternato il pensiero di chi scrive (mostrato mentre scrive e pare dettare la lettera a
se stesso), al pensiero di chi legge, mantenendo la voce dello scrivente, oppure sostuituendola
con quella del destinatario che "fa sue" le parole altrui. Tutte queste varianti consentono un
3/5
Internet ed il Pc (mezzi di comunicazione)
ventaglio piuttosto ampio di sfumature espressive. Questo modulo non può essere ripetuto con
le mail, in genere comunicazioni più brevi e neutre, e nemmeno con le più emotive e dilaganti
chat. Le chat sono uno scambio verbale scritto, di poche parole. Le chat reali comportano in
genere conversazioni prolungate, una quantità di ripetizioni, di battute riuscite o assolutamente
idiote, di interpunzioni grafiche, di botta e risposta anche inconcludenti. Possiamo far leggere
allo spettatore questi lunghi scambi di battute mentre scorrono sullo schermo di un PC?
Sarebbe brutto, noioso e terribilmente frustrante. Anche in questo caso il cinema se ne frega del
realismo. Mentre in una chat autentica si mutano in caratteri i pensieri, digitando quel che viene
spontaneo sul momento, nella chat di un film bisogna esprimere tutto in una sintesi
espressivamente efficace e pungente. La frase diventa icastica. E' come se chi scrivesse
avesse già meditato in anticipo cosa scrivere o fosse sempre in grado di colpire il segno al
primo colpo, cioè un vero maestro della comunicazione, cosa che le persone normali non sono.
Ma questa riflessione, da spettatori, non la facciamo. Sappiamo di trovarci di fronte a un artificio
e che precipiteremmo invece nel torpore se dovessimo leggere (in un film) una lunga chattata,
come diventerebbe assurdo darle la forma recitata di voci fuori campo in alternanza. Di nuovo,
come ho ripetuto spesso in queste lezioni, non c'è realismo in un film che non sia condizionato
dai tempi, dagli spazi e dai modi espressivi del film stesso. Un film è la realtà "da un certo punto
di vista" non la presunta realtà oggettiva e nemmeno la realtà semplicemente percepita, ma
narrata.
Ogni strumento di comunicazione che appare in un film muta e adatta la sua natura a quella
specifica forma di comunicazione che è il cinema stesso. Può in qualche caso arricchirla, ma
non può prescinderne, nè tantomeno pretendere di subornarla.
E ora un esempio di un uso ancor più occasionale del PC. Il film Teeth (2008) di Mitchell
Lichtenstein narra di una adolescente alle prese con gli imbarazzi dei primi rapporti sessuali,
aggravati da una complicazione: ha la vagina dentata. Non riuscendo bene a capire l'origine
della sua particolarità anatomica, la ragazza prima legge un tascabile su cui trova alcune
informazioni sulla Gorgone e altri esseri prodigiosi della mitologia greca. Poi si mette al PC,
digita Mutations su un motore di ricerca e trova un sito sul mito antico della Vagina Dentata. La
scoperta le causa sconcerto, ma nello sviluppo della storia diventa persino confortante: il suo
non è un handicap, è una sorta di attributo divino. E può essere regolato. Se il rapporto è
consenziente e gratificante, i denti non scattano. Entrano in azione invece quando la ragazza si
sente forzata, abusata o svilita nel rapporto da parte del suo partner di turno, o addirittura
violata da un ginecologo senza scrupoli. Nella metafora del film dunque la vagina dentata non
rappresenta qualcosa di demoniaco che rimanda a forze oscure e infernali, non è nemmeno
simbolo di un'aggressività femminile senza controllo. Questa aggressività è spiegata come
reazione istintiva, prima che mentale, alla violenza maschile. Umori, come si vede, piuttosto
anni settanta, che ricordano i tanti film dell'epoca con protagoniste donne abusate che si
vendicano. Ora, in un normale film horror, quando il protagonista si imbatte in qualcosa di
straordinario che può aver a che fare con figure mitologiche, in genere va in biblioteca, e
consulta un grosso tomo che parla di antiche leggende. Di solito questo tomo è rilegato in pelle
4/5
Internet ed il Pc (mezzi di comunicazione)
(umana?) e scritto in caratteri gotici, è cioè anch'esso un volume antico. Quelle notizie si
sarebbero potute ricavare anche da un'enciclopedia, ma essendo un film racconto visivo, è più
rigoroso e affascinante che un libro che tratta di antiche leggende e rare creature, sia anch'esso
raro e antico. Se però la protagonista di Teeth fosse andata a cercarsi un volume del genere in
biblioteca o in una polverosa bottega antiquaria, il film avrebbe inevitabilmente preso un altro
percorso: quello dell'evocazione fantastica di antiche divinità dalla vagina dentata, che
ricompaiono minacciose nel mondo moderno. Ma non è quello che vuole raccontare l'autore del
film. La sua metafora intende restare ancorata all'attualità.
Ecco dunque che l'uso del PC casca a proposito. E' coerente al racconto. Occasionale (perchè
il PC non compare più nel film) ma opportuno. E' anche realistico. Cosa fa un giovane quando
cerca un'informazione? Si mette al computer e ricorre ai motori di ricerca. Non va in biblioteca.
Ma come ho detto, questo realismo non è d'accatto, ma intrinseco al film, esprime una scelta
narrativa.
Questo uso minimale del PC e della Rete come risorsa informativa, senza che la storia abbia o
debba avere implicazioni tecnologiche, si sta diffondendo largamente nei film. Ha il vantaggio
della rapidità. Le schermate animano i dettagli più di una pagina fissa di un libro e dunque
danno movimento all'immagine. L'uso del PC, limitato alla circostanza di una semplice esigenza
informativa, cancella il rischio di inquadrature bloccate troppo a lungo su un personaggio seduto
a smanettare. Ma ha anche un significato più profondo. E' come se dall'era dei grandi esperti
informatici, si passasse a quella dell'uso domestico da parte di una persona qualsiasi. Il PC e la
Rete, come è avvenuto per il telefono e la televisione, perdono l'aura di magia o di invenzione
mirabolante che avevano agli inizi, e si accostano alla normalità di altri attrezzi che abbiamo per
casa: l'asciugacapelli, il forno a microonde, il frigorifero, tutti strumenti che per un uomo
dell'ottocento sarebbero prodigiosi e che per noi sono famigliari e su cui non ci interroghiamo
affatto, ci basta che funzionino.
LEZIONE XXXVI di Gianfranco Manfredi
5/5