cassone istoriato, bassorilevato a pastiglia lumeggiata

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cassone istoriato, bassorilevato a pastiglia lumeggiata
Perizia eseguita da:
Paolo Cesari
Perito del TRIBUNALE di Ferrara
C.T.U. della PROCURA della Repubblica di Bologna
Membro dell’Unione Europea Esperti d’Arte e Antiquariato
Oggetto: cassone istoriato, bassorilevato a pastiglia lumeggiata in oro
Firenze, quarto-quinto decennio del XV secolo
Misure: cm. 60 x 200 x 64
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Il cassone si configura nell’inusuale forma “a parallelepipedo”, a fronte tripartita, con
scene figurate, sagomate e riquadrate entro quattro paraste bassorilevate, poste in opera
a pastiglia lumeggiata in oro. La foggia delle paraste è del tipo “a candelabra”(1) con
invaso e coppa baccellati a costoloni, vivacizzati da elementi acantiformi, sormontati da
gorgoni alate (nelle due partiture centrali) e ammezzati lungo i distali delle pilastrate e qui
conclusi ad acroterio acantiforme (originale quello del distale destro, restaurato quello
sinistro). Le partiture verticali sono l’una all’altra congiunte - in senso orizzontale – da
rilievi in forma di cornucopie e costoloni a ovuli, disposti a specula, raccordati da gigliate
“alla
fiorentina”.
Il ciclo pittorico, dipinto a tempera all’uovo, risulta di impervia lettura, in ragione di insistite
decoesioni materiche, cincischiature e svelature del manto cromatico, a tutt’oggi
complicate da restauri sovrapposti e integrazioni pregresse (localizzate in particolare nella
narrazione della campitura destra). Solo in emergenza di un attento recupero delle
sopravvivenze primigenie si potrà effettuare una corretta disamina intesa a verificarne
l’iconografia e l’eventuale paternità. Tuttavia, la campitura sinistra, di articolata
scenografia, certo offre allo spettatore la vista di un interno prospetticamente ben definito,
animato da personaggi variamente affaccendati; nell’intento del pittore si coglie la
necessità di evocare una vicenda articolata e ben definita: pare dunque di poter ipotizzare
la presenza di una sequenza “filmica” desunta da una novella romanza, sulla scia della
fortuna iconografica che - anche negli arredi rinascimentali - ancora incontrano il
Boccaccio ed altri autori tardo medioevali. Se così è, anche questo cassone si configura
nel tipo detto “nuziale”; è infatti noto che episodi connessi alla letteratura, a sfondo
moraleggiante, furono usualmente posti in opera in commissioni riconducibili a eventi
matrimoniali. Evenienza a maggior ragione plausibile se, nella scena destra - a restauro
ultimato - si riconoscesse il tema del Viaggio della regina di Saba (né si può tuttavia
escludere un tema connesso a un corteo nuziale) Relativamente alla specchiatura
centrale, oggi ornata da un pretestuoso blasone(2) che dispiega le insegne degli Sforza (la
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Paolo Cesari
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cui stesura data verosimilmente ai primi anni del Novecento), a ben guardare, nelle
campiture a sfondo, mostra tracce e lacerti dell’imprimitura preposta alla finitura pittorica,
dimodoché con ogni probabilità si deve ipotizzare che anche questa “quadratura” fosse ab
ovo istoriata. A conferma dell’assunto si dirà che, in altri cassoni similmente formati, ritorna
invariabilmente la formula a tre scene picte con novelle letterarie.
I fianchi, esenti da rifiniture rilevate in pastiglia dorata, sono ornati da pitture di felice
costruzione decorativa: racemi accartocciati in florilegio, disposti “a specula” si raccordano
centralmente a sostenere una coppa da cui fuoriesce un trionfo di frutti. L’allusione
simbolica al giardino fiorito, ricolmo di doni della terra, è anch’essa allegoria di squisito
timbro
nuziale.
Nei fianchi si rileva l’infissione di ferrature da asporto, del tipo “a manetta estroflessa,
inchiavardata e conclusa a teste umbonate., a mio giudizio pertinenti e originali. La
connessione dei fianchi alla fronte (e alla schiena) è coerentemente condotta a grimagliera
di incastri “a coda di rondine”: i decori a girali che si dilungano fino a rivestirne la pilastrata
suggellano la coerenza cronologica dell’intero ciclo ornamentale.
La carcassa è in pioppo. L’interno cela un cassettino ripianato. Sono del convincimento
che fondo e schiena siano confacenti; il piano è dubbio, poiché rivela segni di preesistenti
serraggi ferrei (incongrui se relazionati ai corrispettivi incastri della schiena, dove si rileva
la preesistenza dei tre fori atti ad ospitare i serraggi “a occhiello”). Le cornici passanti che
riquadrano i perimetri, disposte a rilievo rispetto al filo del piano, sono antiche e formulate
in perfetta coerenza con consimili e coevi esempi di arredi toscani (segnalo la mancanza
della cornice d’imbotto in corrispondenza al muro). Le cornici del sottopiano e della fascia
di cintura (con intaglio modulato “a foglia d’acanto”) sono antiche, sebbene talune sezioni
risultino restaurate o ricostruite. La cornice della fascia di predella, sagomata a stondo e
innervata, è stata interamente riallestita con materiale di recupero in fase di restauro(3).
In merito alla numerazione entro lo scafo e nel cassettino interno, rimando in nota(4).
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L’analisi espletata configura un arredo sostanzialmente originale, formulato su schemi
plastico-decorativi che consentono una lettura d’insieme ancora coerente e in buona parte
esaustiva.
Analisi critica.
Il “cassone Gavazza”, per più ragioni, risulta di particolare interesse.
In primo luogo palesa una morfologia formale e decorativa che, grazie a questo
fortunato rinvenimento, configura e comprova l’esistenza di una specifica tipologia, prima
d’ora trascurata negli studi specialistici. Prova ne sia che le partiture risultano altamente
differenziate se rapportate alla summa dei cassoni repertoriata in ambito rinascimentale.
A cartina tornasole sono a precisarne le peculiarità distintive:
1. Struttura “a parallelepido”.
2. Piano a invaso perimetrate e concluso entro cornici aggettanti.
3. Fronte a quattro paraste bassorilevate a pastiglia dorata, raccordate da partiture
ornamentali, a delimitare tre campiture dipinte a tempera, figurate a temi letterari o
nuziali.
4. Fianchi a decori pittorici di varia stesura.
Ebbene, questa griglia metodologica trova esaustiva rispondenza in due cassoni
conservati a Firenze, uno al Museo Horne(5), l’altro - a fronte istoriata con la storia del
Giudizio di Paride - al Museo di Palazzo Davanzati(6). In entrambi i cassoni citati risulta
evidente la contigua istanza formativa, tale da ipotizzarne l’esecuzione entro una
medesima bottega. A conferma si dirà che il “Cassone Horne” e il “Cassone Davanzati”,
pur negli adattamenti strutturali riconducibili a restauri novecenteschi (ricostruzione delle
cornici e del piano) nelle partiture figurate – se non intonse certamente originali - la
dipendenza con il cassone in esame è di immediata percezione probante.
Verificati gli assunti predetti, si è in necessità di designare questa tipologia. In tal senso,
propongo in questa sede la seguente definizione: Bottega del maestro del cassone
Horne.
Un ulteriore cassone ascrivibile nell’ambito di cui trattasi (ma di fase lievemente
posteriore), con partiture in pastiglia rilevata “a cornucopie” (con schema leggermente
difforme se raffrontato ai tre cassoni di cui sopra) è stato presentato nel 1975 dalla
Galleria “Luigi Bellini” alla Mostra Internazionale di Palazzo Strozzi (cfr. catalogo, p.558,
ill.) con attribuzione riferita a manifattura veneziana. Quest’ultimo esempio è di notevole
interesse, poiché mostra il mobile ancora impostato su pertinenti sostegni,
apparentemente originali, qui tradotti nel tipo “a binario con mensola trasversale, a testa
intagliata in forma di foglia d’acanto aperta. Pare dunque probabile intuire che in antico
anche gli altri esemplari fossero similmente sollevati da terra, onde preservarli dall’umidità.
L’informazione è preziosa, poiché delinea la corretta filologia del restauro da effettuarsi
negli altri tre esemplari, a oggi irrisolta o erroneamente interpretata.
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In merito all’ipotesi che questa bottega fosse operosa in Firenze, segnalo taluni elementi a
riprova. L’ossatura dei tre cassoni noti è invariabilmente condotta in legno di pioppo,
un’essenza lignea già ampiamente repertoriata nei cassoni quattrocenteschi fiorentini.
Tipica, nella città gigliata (e fino a Cinquecento inoltrato) è l’adozione di riquadrare le
superfici del piano entro un invaso ribassato, determinato nei quattro lati dall’inserimento
di cornici modanate e sagomate, aggettanti. La peculiare tipologia delle maniglie del
cassone in giudicato trova ampia conferma in ambito locale. La resa plastica degli ornati a
pastiglia dorata appare semplificata e nel contempo vigorosa, la sinfonia compositiva si
uniforma su repertori lessicali compiutamente rinascimentali, un modus agendi precipuo
dei plasticatori fiorentini, ben differenziato dalle coeve produzioni senesi, a tratto
calligrafico e mai esenti da retaggi tardo gotici. In particolare, la stesura dei vasi del
“Cassone Horne” trova ineludibili riscontri nella coroplastica locale fin dal quinto decennio
del XV secolo, per convincersene basterà osservare il bancone centrale della sagrestia di
Santa Croce, ricondotto al regesto del maestro Giovanni di Michele, come posto in
evidenza da Claudio Paolini (2002, pag. 54). Parimenti, nel “Cassone Gavazza”, le
candelabre centrali, concluse da protome a gorgone alato, ritornano in cassoni fiorentini di
più arcaica stesura. In particolare, il motivo “a gorgone alata” è attestato nel noto cassone
nuziale a rilievi in pastiglia dorata, raffigurante Il Ratto di Proserpina, oggi a Minneapolis,
Institute of Arts (già in asta Volpi, New York, 1916), con sostegni a grembiulina sagomata
e archiacuta, appunto centrata da gorgoni alate.
In ultimo, la cronologia mi trova in appieno concorde con quanto già indicato dalla Trionfi
Honorati (1986) in merito al “Cassone Davanzati” eseguito, a suo giudizio, intorno al
quarto decennio del Quattrocento, datazione puntualmente confermata anche dal Paolini
per il “Cassone Horne”. Il “Cassone Gavazza”, di dimensioni maggiorate (nell’ancora
scarno regesto di questa bottega) parrebbe il più antico.
Ne consegue che questa tipologia è a pieno titolo da porsi tra i prototipi antesignani in
questo genere d’arredo, a ideale ponte di raccordo tra il cassone in pastiglia rilevata tardo
gotico e il cassone pittorico della piena rinascenza. Pare quindi superfluo allo scrivente,
ribadire l’interesse storico e artistico del manufatto in verifica.
Addenda.
1. L’ornato “a candelabra” è mutuato da prototipi codificati a Roma. Deriva da moduli di foggia
archeologica neoimperiale, rivisitati dagli artisti dell’Umanesimo e del Rinascimento con
schemi e apporti originali. La presenza in questo cassone di tale modulo decorativo ne
testimonia la precoce adozione in ambito fiorentino, documentata già tra il terzo e il quinto
decennio del Quattrocento.
2. Il blasone è a ogni evidenza incongruo, peraltro modulato su schemi araldici diffusi fra il
tardo Trecento e i primi anni del secolo a seguire (la versione corretta era verosimilmente
quella “a testa di cavallo”). La materia è del tutto priva di crettature e palesa vistosi segni di
anticature forzose. Questa sovrapposizione è tuttavia non priva di fascino e si configura
come ornamento ormai storicizzato nel vissuto del mobile. E’ intuitivo che tale allestimento
non è in sintonia con la filologia del restauro “classico”: è dunque ipotizzabile precognizzare
un intervento inteso a frodare un qualche collezionista vanaglorioso, cultore dell’alta epoca
lombarda (… timeo danaos et dona ferentes …). Ravviso in questo modus agendi la
Perizia eseguita da:
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peculiare mentalità e le capacità tecniche tipica delle botteghe di restauro attive tra Firenze
e Siena verso la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900.
I restauri variamente riconoscibili nella carcassa e nelle partiture decorative lignarie,
implicano l’azione diretta di una mano maestra, capace conoscitore di essenze lignee e
profondo intenditore di mobilia toscana d’alta epoca. Lo stemma è invece - a mio giudizio frutto di mano diversa, non esente da cadute di livello e scadimenti formali. Parimenti
mediocre è il restauratore delle partiture pittoriche, affrettate e incoerenti, in particolare nella
campitura destra.
Brevemente. La numerazione A 5141 - 45 – 290 non rientra nella normale segnatura in uso
presso le maggiori case d’asta. E’ tuttavia molto probabilmente un codice d’asta, che mi
riservo in futuro di meglio approfondire. Generalmente, i primi numeri dopo la titolatura
letterale, sono quelli che precisano la data di vendita. Se così fosse, questo mobile sarebbe
stato posto all’incanto il 5 gennaio del 1941.
Il “Cassone Horne” (inventario della Fondazione n. 147, acquisito nel 1908?) misura cm. 59
x 140 x 54. Presenta appoggio a terra, cornice modanata inferiore e coperchio integralmente
ricostruiti con materiale antico, così ripristinato verso la fine del primo decennio del
Novecento. Le partiture pittoriche, per quanto mi risulta, non sono ancora state
iconograficamente interpretate.
Il “Cassone Davanzati” (inventario mob. n. 164, cfr. Berti 1971, pp.199-200, n.17, tav. 49)
presenta misure pressoché identiche all’esemplare Horne, ma anche in questo caso la
ricomposizione dell’arredo è stata effettuata tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900