N.2 dicembre 2015 - Liceo Classico "F. Petrarca"

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N.2 dicembre 2015 - Liceo Classico "F. Petrarca"
DEDALUS
N°2
Dicembre 2015
Un regalo sotto l’albero
Sommario
3. Editoriale
Alessandro Miro
4. A volte ritornano
Un altro pezzo si aggiunge al puzzle di Renzi: ecco la
riforma costituzionale - Riccardo Borgheresi
6. Attualità
A Parigi L’occidente combatte contro se stesso
di Alessandro Miro
8. Minime Moralia
15. Cinematografia
Cloud Atlas-Marco Tenti
19. Cineforum
Tirami fuori di qui, tempi moderni- Giovanni Rossi
20. Humor
Gli entologoi-Tommaso Caperdoni
Vignette
22. Touschek Times
Enrico Fedeli
10. Scienze Umane
“Una volta nel Kula sempre nel Kula”-Leonardo
Piomboni
12. Linguistica
Sull’evoluzione del sistema vocalico in protoitalicoDidier Natalizi Baldi
13. Arte
Dipengere la musica-Rosario Carlino
Il mondo dell’arte greca-Sofia Fruscini
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2015 | Dedalus
De Banalitate Vitae
23. Scuole medie (Severi)
L’orientamento alle medie
23 Poesie
Moraleggiando-Adele Severi
Editoriale
In quest’ultimo periodo a scuola è
avvenuto qualcosa di interessante
e fuori dall’ordinario, mi riferisco
alle spumeggianti elezioni dei
rappresentanti
degli
studenti.
Mentre in passato eravamo abituati
a interminabili litanie e mirabili
promesse (dai tornei di calcetto fino
ai gran ciambellani), quest’anno è
andato in scena un vero e proprio
show, tragico e comico al tempo
stesso. Infatti il normale e pacifico
svolgimento
della
“campagna
elettorale” è stato interrotto
dall’apparizione inaspettata di
quattro baldi giovani: i componenti
della famosa lista 3. Con grande
arte da oratori e con buona dose
di populismo si sono avventurati in
un’avvincente narrazione riguardo
a quello che vogliono fare per la
scuola. Alla fine del discorso, tra
l’altro improvvisato sul momento,
pubblico infiammato e applausi a
scena aperta. Ma a poco è servito
tutto questo: la lista 3 ovviamente
non era ufficialmente candidata,
e dopo le votazioni è rimasto
solamente un bel numero di schede
nulle
Quello del rappresentante degli
studenti è un ruolo serio, che
richiede impegno e che non va
improvvisato, però in fondo questa
fantomatica lista, almeno in quella
mezz’ora sul palco, ha interrotto la
solita propaganda soporifera e ha
dato un pizzico di brio in più. Si tratta
solamente di capire qual è il limite:
va bene ridere e scherzare durante
la campagna elettorale, un po’ meno
farsi passare come lista ufficiale, ne
va del rispetto per gli altri candidati.
Comunque i quattro rappresentanti
sono stati eletti (Quinti, Caperdoni,
Ricci e Landucci) e auguro a loro il
meglio. Contemporaneamente sono
partite anche le prime iniziative
dell’anno. In primis il progetto “Carta
degli Studenti”: tessera che permette
di avere sconti in diverse pizzerie,
librerie, cartolerie, coffee shop e case
chiuse (le ultime due no, scherzavo).
Quest’anno la “Carta dello Studente”
non sarà l’unico progetto, infatti
c’è appena stata la prima festa
studentesca al “Class 125”. Ancora
non ci sono numeri definitivi, però
sembra sia stato un grande successo.
Il tutto a vantaggio della cassa degli
studenti.
Passiamo alla notizia “succulenta”
del mese. Il nostro Presidente del
Consiglio, Matteo Renzi, ha deciso
di rispondere al terrorismo con la
cultura: << Per ogni euro in più
investito sulla sicurezza deve esserci
un euro in più investito in cultura.
Non può essere solo securitaria la
risposta al terrore>>. Il governo
riserverà un miliardo all’educazione.
Renzi spiega: << I 550 mila italiani
che compiono 18 anni potranno
usufruire di una carta, un bonus
di 500 euro a testa per poter
partecipare a iniziative culturali>>.
Di cosa si tratta? I neodiciottenni,
attraverso una carta prepagata
(probabilmente quella “Io Studio”),
avranno a disposizione un cospicuo
bonus da spendere in cd, dvd, libri,
cinema e teatro.
Devo confessarlo: sono rimasto
molto colpito da questo annuncio.
Fino a qualche anno fa, quando
sentivo parlare di cultura, temevo
subito il peggio: un’altra riforma
in stile Gelmini. Poi per qualche
tempo l’argomento è sparito nel
nulla, tantoché quasi pensavo che
i politici italiani avessero ormai
archiviato la parola “cultura”,
termine difficile da pronunciare a
differenza dei rasserenanti “hashtag”
degli ultimi tempi: #lavoltabuona,
#cambiareverso,
#l’Italiariparte.
Ora addirittura, oltre che parlarne,
si
investe
pure
nell’ambito
dell’educazione. Ma per quale
motivo un cambiamento epocale in
così poco tempo? Il nostro amato
rignanese si è ricordato che anche i
diciottenni votano, e che forse non
farebbe male una piccola “mancia”
in caso di indecisione elettorale.
Comunque, al di là degli intenti
nobili o meno, i 500 euro sempre
rimangono. Un bel regalo di Natale
sotto l’albero.
PS: A pagina 23 abbiamo pubblicato
un articolo della classe 3a
dell’istituto Francesco Severi sul
tema “orientamento alle medie”.
Auguri a tutti
Alessandro Miro
Inviare gli articoli
[email protected]
a:
dedalus.
Redazione:
Sofia Casini
Alessandro Miro
Francesco Tenti
Dedalus | 2015 3
A volte ritornano
Un altro pezzo si aggiunge al puzzle di
renzi: ecco la riforma Costituzionale.
di Riccardo Borgheresi
Jobs Act, gli 80 euro, La Buona Scuola,
l’Italicum, Riforma della Giustizia,
Riforma della PA, Riforma pensioni
e negli ultimi giorni presentazione
della Legge di Stabilità, solo per
citarne alcune: se dopo sei mesi
veniva criticato per non aver
tenuto fede al progetto di riforme
presentato al popolo italiano, adesso
Renzi va, “alla faccia dei gufi”!
Il percorso di queste riforme
per il Governo non è stato
facile, sia per problemi interni al
partito di maggioranza (PD) con
l’allontanamento delle minoranze,
tra tutti l’uscita di Civati e i suoi,
sia per il distacco ormai stabile di
Bersani e la vecchia guardia dem.
Il Governo ha sempre d’altra parte
trovato soluzioni siglando nuove
alleanze in Parlamento, dal Patto del
Nazareno con Berlusconi all’ultima
con Verdini. E la fiducia sale, anche
a causa di opposizioni che, a
livello nazionale, o sono rimaste
esattamente dove erano due anni fa
(M5S) o non sono ancora abbastanza
forti, seppur cresciuti (Lega) o ormai
inutili (Forza Italia).
Ultimo pezzo di questo puzzle di
riforme è riempito dalla Riforma
Costituzionale del Senato e del
Titolo V della Costituzione, redatta
dal Ministro Maria Elena Boschi,
ex studentessa del nostro Liceo.
Va premesso che quando ci si
appresta a modificare la Carta
Costituzionale, l’iter legislativo non
segue il procedimento ordinario,
bensì quello aggravato, determinato
dall’Art. 138 Cost. per cui “Le leggi di
revisione della Costituzione e le altre
leggi costituzionali sono adottate da
ciascuna Camera con due successive
deliberazioni ad intervallo non
minore di tre mesi”. Dopo il positivo
passaggio alla Camera, il Ddl è
passato lo scorso 13 Ottobre al
Senato per la prima deliberazione:
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179 i sì, 16 i no, 9 gli astenuti con
l’uscita (ormai classica) dall’Aula
delle opposizioni Sel, M5S e Lega.
Anche se mancano due successive
deliberazioni e balena l’ipotesi di
un Referendum Confermativo nel
2016, il PD esulta per il sorpasso
del Senato, lo scoglio più duro,
forse più che per ogni altra riforma.
Il Ddl ha avuto infatti un percorso
complicato in Senato: proteste
da parte delle opposizioni per i
tempi contingentati, reazioni della
maggioranza come i gesti sessisti
all’onorevole Lezzi, gli 82 milioni
di emendamenti creati con un
algoritmo da Calderoli, olio di ricino,
fogli tricolore e chi più ne ha più ne
metta. Il clima è giustificabile dalla
portata dell’oggetto in questione:
con questa riforma vengono
modificati 44 articoli (su 139 totali)
della Costituzione della Repubblica
Italiana, il pilastro primo della nostra
sovranità nazionale.
Ma in cosa consiste il Ddl Boschi?
Fine del bicameralismo perfetto
dopo 70 anni. Il numero dei senatori
passa da 315 a 100 così ripartiti: 74
consiglieri regionali (almeno due
per regione), 21 sindaci e 5 senatori
nominati dal Capo dello Stato per
sette anni; la durata del mandato dei
senatori coincide con quella degli
organi delle istituzioni territoriali
nelle quali sono stati eletti. Il
Senato non avrà più potere di dare
o togliere la fiducia al governo, che
sarà prerogativa della Camera, e non
sarà più parte fondante del processo
legislativo ovvero non si avrà più quel
ping-pong tra Camera e Senato che
ha sempre dilatato enormemente i
tempi di approvazione delle leggi.
Tuttavia il nuovo Senato concorre
alla funzione legislativa per le leggi
costituzionali e avrà la possibilità
di esprimere proposte di modifica
anche sulle leggi che esulano dalle
sue competenze: potrà esprimere,
non dovrà, su richiesta di almeno
un terzo dei suoi componenti
e sarà costretto a farlo in tempi
strettissimi; il nuovo ruolo di Palazzo
Madama è di fatto consultivo. Il
Senato della Repubblica assume la
nuova denominazione di «Senato
delle Autonomie», ed è qualificato
come organo rappresentativo delle
istituzioni territoriali, raccordo tra
Stato-Regioni-Unione
Europea:
infatti per quanto riguarda le leggi
che concernono i poteri delle
regioni e degli enti locali il Senato
conserva maggiori poteri. Ciò che
più ha fatto discutere è l’art. 2 del
Ddl Boschi che stabilisce che i futuri
senatori saranno eletti dai consigli
regionali, quindi non direttamente
dai cittadini, con la conseguente
modifica «in conformità alle scelte
espresse dagli elettori per i candidati
consiglieri in occasione del rinnovo
dei medesimi organi, secondo le
modalità stabilite dalla legge».
Questa complicata formula è frutto di
una lunga trattativa interna al Partito
Democratico: in pratica significa
che in futuro i senatori saranno
eletti dai consigli regionali che li
sceglieranno tra gli stessi consiglieri.
La scelta non sarà del tutto libera: i
consiglieri potranno eleggere solo
quei colleghi che erano stati indicati
dagli elettori durante le precedenti
elezioni regionali.
Riforma al Titolo V “Le Regioni, le
Provincie, i Comuni”. Modificando
l’Art.117 Cost. viene ampliata la
possibilità di devoluzione di poteri
dallo Stato alle Regioni e sono
eliminate le materie di competenza
concorrente.
Dunque
viene
rafforzato il federalismo differenziato:
le Regioni più virtuose (quelle che
hanno i conti in ordine) saranno
premiate e avranno più possibilità
di devoluzione di poteri dalla Stato
(politiche attive del lavoro, istruzione
e
formazione
professionale,
commercio con l’estero, giustizia di
pace, disposizioni generali e comuni
per le politiche sociali). Da segnalare
l’introduzione di una clausola di
salvaguardia dell’unità nazionale.
Infatti “su proposta del governo la
legge dello Stato può intervenire
in materie o funzioni non riservate
alla legislazione esclusiva quando lo
richiede la tutela dell’unità giuridica
o dell’unità economica della
Repubblica”.
Abolizione Cnel e Province: gli
“enti inutili”. Uno dei simboli della
“rottamazione costituzionale” dell’ex
sindaco di Firenze è l’abolizione
del Cnel, il Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro: non solo
l’organo di consulenze delle Camere
e del Governo, ma soprattutto –
nell’immaginario comune- una delle
zavorre a carico delle casse dello
Stato. L’articolo 99 della Costituzione
verrebbe quindi spazzato via
dall’articolo 27 della riforma. Entro
trenta giorni dall’approvazione
della legge, un commissario
straordinario avrà il compito di
liquidare e ricollocare il personale.
Oltre al Cnel, anche le Province
cadranno sotto la scure della riforma
del Titolo V: intanto la legge Delrio,
entrata in vigore nell’aprile 2014,
le ha trasformate in “enti territoriali
di area vasta”. La parola “province”
è destinata a non esistere più nella
Carta Costituzionale.
Referendum:
entra
quello
“propositivo”. Per presentare un
quesito referendario serviranno
sempre 500mila firme, tuttavia il
quorum può essere ridimensionato
se i comitati ne raccoglieranno
300mila in più: dal 50% più uno
degli aventi diritto al 50% più
uno dei votanti all’ultima tornata
elettorale. Accanto a questa, la
riforma parla anche di altre due
novità: l’introduzione di referendum
propositivi (oltre a quelli abrogativi)
e 150mile firme necessarie per
presentare una legge di iniziativa
popolare. Il triplo rispetto alla soglia
attuale.
Elezione del presidente della
Repubblica. Cambia il quorum: non
basterà più la metà più uno degli
elettori, ma serviranno i due terzi per
i primi scrutini; poi i tre quinti; dal
settimo scrutinio saranno necessari i
tre quinti dei votanti.
Non è facile comprendere la
vera portata di questa riforma:
all’apparenza tanti tagli per
velocizzare un sistema bloccato e
per avere qualche rientro a livello
statale in più, in sostanza si cela un
esecutivo che ne esce sempre più
rafforzato a scapito del legislativo (e
ciao alla separazione e all’equilibrio
dei poteri di Montesquieu). Lo
Stato aumenta le sue competenze
e per le regioni le speranze sono
tutte riposte nel funzionamento
del Senato: soltanto con un ruolo
effettivo e politicamente rilevante
della seconda Camera esse potranno
sperare di poter contare qualcosa
e di affermare il senso della loro
esistenza, senso che il drastico
taglio delle competenze rischia
di compromettere gravemente.
Sappiamo che la seconda Camera
sarà composta da consiglieri
regionali e sindaci che dovrebbero
rappresentare le proprie regioni;
ma siamo sicuri che prevarrà
l’interesse regionale? Non sarà più
“normale” il prevalere di logiche
di appartenenza partitiche? I più
grandi
costituzionalisti
italiani
sono divisi, dopo tutto non è mai
facile passare indenne l’esame di
una modifica della Costituzione.
Zagrebelsky attacca dicendo che
ogni Governo che si succede pensa
di poter cambiare la Carta a suo
piacimento, parla di “umiliazione
del Parlamento”; Renzi ribatte che sì
l’equilibrio fra i poteri va rispettato ma
l’Italia deve stare al passo coi tempi
e il sistema italiano va velocizzato.
Solo il tempo e l’applicazione
sapranno dirci l’effettiva portata dei
punti sopracitati. Nell’imminente è
una grande vittoria politica del PD,
una “rivoluzione copernicana” del
sistema Italia, come dice la Boschi.
Mi rendo conto che questo articolo
possa aver annoiato i più, non è
semplice comprendere una riforma
costituzionale senza avere delle
basi giuridico-politiche; un po’ di
educazione civica al Liceo non
guasterebbe. Stare lontani dalla
Politica in senso lato significa
ignorare ciò che ci circonda, significa
annichilire le proprie capacità
critiche; non lasciamo che la classe
politica si serva di noi facendoci
intendere di servirci, rendiamoci
liberi con la consapevolezza,
riappropriamoci
della
nostra
sovranità, facciamo valere l’Art.1
Cost. “La sovranità appartiene al
popolo, che la esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione”.
Dedalus | 2015 5
Attualità
A Parigi l’Occidente combatte contro
se stesso di Alessandro Miro
L’Europa torna a fare i conti con il sedicente Stato
Islamico e con attentatori cresciuti in casa. Dalle
periferie fino alla politica estera, quante contraddizioni
nel caso francese.
“Né piangere, ne ridere, ma capire”, così
diceva Spinoza nel diciassettesimo
secolo. E’passato diverso tempo, ma
questa frase è più attuale che mai,
soprattutto dopo quanto successo a
Parigi.
Non è
il momento di piangere. Pensavamo
già di aver visto il peggio con i morti
di “Charlie Hebdo”, eppure la tragedia
si è ripetuta dopo appena pochi mesi,
questa volta rivelando un attacco
ideologico decisamente peggiore.
Se, ad inizio anno, i jihadisti si erano
scagliati contro la libertà di stampa,
ora hanno attaccato i simboli della
quotidianità occidentale: il cinema,
lo stadio, il ristorante e il concerto.
Ciò che per noi ragazzi europei è
all’ordine del giorno. Insomma, di
lacrime versate in questi giorni ce
ne sono state tante, e forse il modo
migliore per ripartire è proprio quello
di continuare a frequentare quei
posti, apprezzandoli ancora di più.
No, non è purtroppo il
momento di ridere, di prenderla “alla
leggera”. E’ difficile comprendere il
peso di un evento proprio nel tempo
in cui lo si vive, ma riguardo a Parigi,
tutti hanno avuto la percezione
di un avvenimento altamente
destabilizzante, dal quale non è
possibile sentirsi estranei. L’Occidente
è stato colpito al cuore, nel punto
più sensibile, mentre ancora versava
sangue per gli eventi di febbraio.
Però qualcosa da fare in questo
momento c’è, ed è comprendere
quanto avvenuto. Sì, perché a volte
la realtà si dimostra più complicata
del previsto, proprio come in questo
caso, per cui è necessaria un’analisi
approfondita. In alcuni casi, poi, la
storia si ripete, per essere ancora più
chiara. A Parigi è avvenuto, e allora
non ci sono più scusanti. E’ doveroso
capire, o almeno cercare di farlo,
anche perché, quanto successo nella
“République”, potrebbe ripetersi una
terza volta. Forse ciò che è necessario
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2015 | Dedalus
evitare è la semplificazione estrema
dei fatti. Parlare con la pancia non
aiuta, anzi peggiora ancora di più la
situazione.
L’opinione
pubblica
non
ha
esitato a reagire. Ad azioni forti
corrispondono reazioni forti, ed ecco
che l’Occidente si è scagliato contro
la bestialità degli attentatori. Due
precisazioni vanno fatte: la prima
è che le bombe di Parigi devono
essere assolutamente condannate,
la seconda è che non dobbiamo
ridurre il tutto ad un semplice
scontro tra “civiltà e bestialità”.
Sarebbe
un
errore
capitale.
“Noi siamo persone normali”, ripete
davanti alle telecamere Mohamed
Abdeslam, fratello di uno degli
attentatori. Le parole di questo
ragazzo non sono assolutamente
ipocrite, anzi contengono un
significato molto alto, che spesso
in questi giorni è stato tralasciato.
Infatti, se osservassimo con occhio
acuto gli attentatori parigini,
potremmo accorgerci di un dato
fortemente contraddittorio. Ciò
che più colpisce è che non sono
persone nate in chissà quale
teocrazia oscurantista, ma sono
figli dell’Occidente. Abbiamo il
problema in casa e non ce ne siamo
accorti, l’abbiamo trascurato con
superficialità. Non è assolutamente
di
secondaria
importanza
domandarsi qual è il dramma che
hanno vissuto queste persone, cosa
li ha portati a sacrificare la loro vita
e quella degli altri, cos’è che li ha
attratti così tanto da estraniarli
totalmente dall’Occidente, terra
della quale erano figli.
La Francia ha figli e figliastri. Giovani
di serie A e giovani di serie B. Da
una parte i cosiddetti “francesi
puri”, dall’altra i figli degli immigrati.
Questa la triste considerazione
che va fatta su quel Paese che
ancora oggi inneggia ai valori della
Rivoluzione di fine settecento. Mai
come negli ultimi decenni il motto
“Libertè, Egalitè, Fraternitè” sembra
così privo di significato e lontano
dalla realtà dei fatti. Indubbiamente
un ingranaggio si è rotto nei
meccanismi della “République”.
Proprio quella Nazione che ha fatto
dell’accoglienza uno dei suoi valori
fondanti, dove milioni e milioni di
musulmani sono sopraggiunti e nella
quale il multiculturalismo è (stato) un
vanto, oggi si accorge di avere degli
“alieni” in casa. Forse non serviva
arrivare a tanto per comprendere che
la maionese francese è impazzita.
Questi figliastri non provengono
certo dai “salotti buoni” parigini, ma
da quei quartieri che spesso sono
saliti agli albori delle cronache per le
gravi tensioni sociali, proprio come
era successo nelle rivolte del 2005.
Sono le famose periferie parigine,
le cosiddette “banlieues”, quartieridormitori nei quali venivano stipati
i poveri nel dopoguerra. In una di
queste, Clichy-sous-Boys, non ci sono
manifestazioni di solidarietà per le
vittime di venerdì o accesi dibattiti
come nel centro della città -afferma
Federica Bianchi in un reportage per
“L’Espresso”- è come se non fosse
successo nulla. A dimostrazione di
quanto questi luoghi siano realtà
parallele, quartieri abbandonati
a sé stessi, dove la Polizia non ha
nemmeno il coraggio di entrare. Lì
si sviluppa la sensazione di essere
sempre gli ultimi, in una società
nella quale contano soltanto i primi,
di non aver la possibilità di emergere
perché negata in partenza, di non
aver nulla di concreto in cui credere.
E’nelle banlieue che i figliastriattentatori sviluppano quel forte
sentimento di alienazione rispetto
alla società che li circonda. Ed è
sempre nelle banlieue che il Califfato
fa proseliti.
Ma non è solamente il disagio delle
periferie ad aver accresciuto l’odio
di quelle persone nei confronti della
Francia (e dell’Europa intera). In effetti
uno dei grandi valori occidentali, la
laicità, si è ormai trasformato in un
qualcosa di diverso e pericoloso.
Per laicità si intende la netta
divisione tra dimensione pubblica
e dimensione privata. In base a
questa concezione Stato e religione
sono due entità ben separate, ma il
singolo individuo ha la possibilità
di seguire un credo. Oggigiorno la
tendenza occidentale è di integrare
l’individuo senza considerarne la
sua specificità, accoglierlo a patto
che esso si omologhi e appiattisca
la sua fede. Questo stile di pensiero
dominante, che guarda alla religione
come ad un credo arretrato e ormai
sorpassato, non è ovviamente
formalizzato, ma è ideologia diffusa.
I principi per i quali
agiscono gli attentatori sono
terribilmente lontani da quelli
dell’Occidente odierno. Da ciò
scaturisce una contrapposizione
netta: valori orizzontali contro
valori verticali. La nostra società è
incentrata su idee come il consumo,
il successo, il denaro.
Principi
orizzontali in quanto squisitamente
terreni. Ai figliastri tutto ciò è
precluso in partenza, loro possono
solamente osservare da lontano
il benessere dell’Occidente, ma
mai raggiungerlo. Prigionieri delle
periferie. Consapevoli di non aver
nulla da perdere. Questi soggetti
hanno ripudiato i principi che sono
frutto del capitalismo per rifugiarsi
in un’ideologia molto più forte, che
li rende attori e non solo spettatori,
attraverso la quale acquisiscono
delle sicurezze, o per meglio dire,
una ragione di vita: la “jihad”.
Quanto pesa il passato. L’Europa,
oltre che concentrarsi su queste
importanti tematiche sociali, deve
necessariamente ripensare la sua
politica estera nelle zone del Medio
Oriente. Negli ultimi anni le grandi
potenze hanno destabilizzato Paesi
come la Siria e l’Iraq in nome della
democrazia. Niente di più lontano
dalla verità: non siamo andati in
quei territori con idee “civilizzatrici”,
quanto semmai per impossessarci
delle risorse energetiche (petrolio
e gas) e per stabilire la nostra
supremazia
geopolitica.
Il
prezzo delle nostre scelte è stato
indubbiamente alto: non solo li
abbiamo privati delle loro ricchezze,
ma abbiamo distrutto le loro case, le
loro scuole e i loro ospedali, abbiamo
trucidato i loro figli, tantoché è
addirittura difficile fare una stima
dei civili uccisi dalle nostre bombe.
Ed è sempre
per una questione di interessi che
l’Occidente, dopo essere intervenuto
direttamente in Medio Oriente,
ha anche fomentato e finanziato
gruppi di estremisti per rovesciare
il governo di Assad, presidente
siriano nonché miglior alleato di
Putin in Levante. Questi ribelli altri
non erano che i miliziani dell’Isis:
“Islamic State of Iraq and Siria”.
C’è un filo rosso a collegare i fatti
di Parigi con quelli del Medio Oriente:
gli attentatori francesi hanno agito
in nome di un sentimento di rivalsa
nei nostri confronti. Una vendetta
per tutti i morti che abbiamo provocato
nelle terre dalle quali provenivano i
loro parenti. Non ha torto Assad a dire
che ciò che è successo a Parigi è ciò
che succede in Siria da cinque anni.
Tradotto: paghiamo il prezzo delle
nostre azioni.
Contro chi stiamo combattendo? Non
di certo contro i “bastardi islamici”,
così li ha definiti Belpietro, direttore
di “Libero”. Per fortuna l’Islam non ha
niente a che fare con questa storia,
anche perché la guerra perpetrata
dall’Isis è tutt’altro che santa. Lo Stato
Islamico sta portando avanti una
battaglia di potere, all’interno di questo
quadro la religione si colloca solamente
come maschera che cela secondi fini.
E’ un’illusione utile ad attrarre giovani
ragazzi verso il jihadismo, niente di più.
Parlare di scontro tra civiltà
(Occidente vs. Islam) serve solamente
a fomentare l’odio contro un’intera
comunità che non è responsabile per
quanto è successo a Parigi. E’come
creare un mostro che non esiste.
L’Occidente in realtà combatte
contro sé stesso: in Medio Oriente sta
affrontando un suo sottoprodotto,
quello Stato Islamico che ha armato
e sfruttato e che ora è costretto a
combattere dopo gli avvenimenti di
Parigi; internamente invece si scontra
con i suoi figliastri, persone che ha
cresciuto e ha abbandonato al Califfo.
Salvo poi scoprire che sono in grado di
interrompere la quotidianità.
Dedalus | 2015 7
MINIME MORALIA
Riflessioni sulla vita disperata - sulle quali si può
meditare
A cura di Enrico Fedeli
La vita di una rubrica del genere
offre i medesimi rischi del palinsesto
televisivo: far seguire ad un fatto di
cronaca terribile la pubblicità dello
yogurt dietetico. Non si fa, dedecet!
Quando ogni mese mi accingo a
riscrivere e compilare i “ghiribizzi” del
mese, mi vedo costretto dalla gravità
di certi accadimenti a considerare
futili e sciocchi, quasi vergognosi,
alcuni appunti su fatti – o non-fatti
– di secondo piano. Visto che però
questa serie di riflessioni non è
organica e sistematica – appunto,
non filosofica – oserò accostare
fatti di diversa natura e preminenza
in questa rubrica; mi scuserete
pensando che lo faccio in buona
Fede. Il mese scorso eravamo rimasti
al numero XII, ripartiamo da lì.
XIII. Tolgono il disturbo – Sono
apparsi sul sito della scuola due
manifesti pubblicitari (non so come
altrimenti definirli) sui nostri due
indirizzi di studi. Quello del Musicale
recita “Anche per te la musica è
un grande conforto?” e raffigura
un gatto che sta spaparanzato su
di una chitarra, quello del classico
recita “Mettiti in gioco. Vinci le sfide
di oggi studiando al Classico con
le aree potenziate di matematica,
informatica,
inglese,
scienze”.
Premetto che ho spesso dato l’anima
per far conoscere questa scuola agli
studenti delle medie, perché non mi
si accusi di sterile critica. Penso solo
– e non solo io - che il messaggio
che dobbiamo lanciare è un altro.
La musica non fa addormentare, ma
entusiasma e ispira. Al Classico ci
si va per il greco e il latino, non per
8
2015 | Dedalus
l’informatica o l’inglese. Forse – ma
non ci credo - lanciare un messaggio
di moda, seguire la mania diffusa
per le scienze, l’informatica e
l’inglese, è utile all’immagine della
scuola. Spero solo che, in tutto
questo ritocco digitale, della scuola
non venga uccisa l’anima. Siamo
la scuola di Demostene, Petrarca,
Mozart, Nietzsche, non mi sembra
ci sia bisogno di rifugiarsi negli antri
della banalità e del conformismo
per valorizzarci. Non è forse l’essere
diversi il nostro più grande punto
di forza? Gli studenti di terza
media, almeno quelli con cui ho
avuto a che fare finora durante
le giornate di orientamento nelle
scuole, non vedono le scienze
come il motivo fondamentale per
iscriversi al Petrarca. Anzi, se io
fossi uno studente di terza media
interessato all’area scientifica, mi
iscriverei allo Scientifico, che non ha
bisogno di “opzioni” o “sezioni con
potenziamenti” per offrire più ore –
non sempre contenuti, intendiamoci!
– per le materie scientifiche. La
possibilità che offriamo è ottima,
non mi si fraintenda (le materie
scientifiche sono meravigliose,
l’informatica essenziale), ma non
dovremmo renderla il fulcro della
nostra “politica commerciale” questo quel che mi sembra gli
istituti superiori progettino ogni
anno tra novembre e febbraio. Chi
viene da noi non viene per sentirsi
dire la stessa retorica di qualche
istituto tecnico o di qualche “liceo
non-liceo senza latino con diritto
e sette lingue straniere”. L’unica
cosa che temo è questa: che uno
studente interessato alla letteratura
venga
considerato
bisognoso
di potenziamenti scientifici e
sommerso di informazioni rispetto
alla matematica e alle scienze e
all’informatica dal terzo anno con
elementi di inglese commerciale.
Questo studente non farà altro che
volgersi altrove: non farà altro che
togliere il disturbo.
XIV. Utonti – ovvero, la maggior parte
degli utenti tecnologici; la mancanza
di conoscenze informatiche rende
tutta questa psicosi tecnologica
contemporanea, almeno ai miei
occhi, una terribile catastrofe che
si abbatte sull’umanità: un sacco di
persone possono eseguire operazioni
di base con i loro dispositivi, ma non
sanno assolutamente risolvere il più
piccolo problema informatico che si
presenta loro. A mio parere i corsi di
informatica tanto pubblicizzati sono
utili alla fruizione dei contenuti,
ma inutili per l’”uso consapevole”. Il
mondo informatico si è impossessato
delle nostre vite, ponendosi alla
base, ma nessuno di noi riesce a
dominarlo appieno. Nasce quindi la
figura dell’utonto, utente tonto che
non è in grado di evitare frodi sulla
rete, installa programmi malevoli,
con qualche “tap” di troppo cambia
le impostazioni del proprio cellulare
in maniera imprevedibile e non
conosce la differenza tra browser,
internet e motore di ricerca.
XV. Einaudi e la Società delle Nazioni
– “La Società delle Nazioni era una
lega di Stati indipendenti, ognuno
dei quali serbava intatti un esercito
proprio, un regime doganale
autonomo e una rappresentanza
sovrana sia presso altri Stati sia
presso la lega medesima. […] Era
facile prevedere che essa era nata
morta. L’esperienza storica tante
volte ripetuta dimostra che le mere
società di nazioni, le federazioni
di Stati sovrani sono impotenti
a impedire, anzi per lo più sono
fomentatrici di guerra tra gli stessi
Stati sovrani e presto diventavano
consessi vaniloquenti, alla cui ombra
si tramano e si preparano guerre e si
compiono le manovre necessarie ad
addormentare il nemico ed a meglio
opprimerlo”.
Così si esprimeva il futuro presidente
della Repubblica Italiana Luigi
Einaudi nel 1947. La Società delle
Nazione era un inutile e mostruoso
essere deforme, in cui non erano
presenti i due stati più grandi USA
e URSS e gli sconfitti della Grande
Guerra (Germania in primis); inoltre
per ogni decisione era necessaria
l’unanimità: insomma, era un nulla,
visto che esistevano sempre gli Stati
sovrani.
Provate a sostituire nel testo
“Società delle Nazioni” con “ONU”.
Anche io ho avuto la stessa vostra
impressione e lo stesso sdegno che
state provando nel vedere come
ci sta a pennello, e ho provato a
scoprire le occasioni in cui l’ONU ha
evitato dei conflitti mondiali. Ne ho
trovate poche, per non dire nessuna.
Anzi, le risoluzioni del consiglio
di sicurezza che conosco meglio,
quelle sul problema palestinese, non
sono state poi così decisive - forse
perché poco rispettate - e a volte
pure controproducenti. Il problema
principale è la possibilità di veto per
i 5 membri di diritto del Consiglio di
Sicurezza (Francia, Regno Unito, USA,
Russia e Cina): è spesso impossibile
trovare un accordo fra le parti.
Come diceva Einaudi, i conflitti non
sono diminuiti. Si potrà obiettare
che i caschi blu dell’ONU abbiano
partecipato a molte “missioni di
pace”: se solo l’assemblea avesse
operato per evitare certe situazioni
invece di arrivare a dover curare le
ferite della guerra!
XV bis. “L’Europa delle Nazioni”?
– Einaudi pronunciò il discorso
davanti all’Assemblea costituente,
di cui faceva parte nella quota dei
Liberali, il 27 luglio 1947. Di lì a pochi
mesi sarebbe nata la Comunità
Economica Europea, il “primo
pilastro” dell’attuale UE. Mi ci è
cascato l’occhio, purtroppo, ma non
mi sembra che anche l’UE sia tanto
dissimile dalla Società della Nazioni;
gli stati europei sono indipendenti
e ciascuno ha un proprio esercito,
delle rappresentanze negli altri
stati e neanche una parvenza
di politica estera comune: l’Alto
Rappresentante Mogherini ci sta
per bellezza, perché, quando ci sono
decisioni importanti da prendere, al
tavolo delle trattative siedono i soliti
- Presidente francese, Cancelliere
tedesco ecc. La differenza sostanziale
sta qui: la guerra interna che si trama
nell’UE è un conflitto economico,
e le dogane sono per questo le
uniche assenti tra le caratteristiche
della
perfetta
associazione
fallimentare che Einaudi elenca.
Anzi, l’assenza di dogane favorisce
la “mano invisibile del mercato” e
del capitale finanziario, tanto che la
dittatura economica e burocratica
in Europa non è oggi neanche poi
così nascosta: i governi europei di
oggi non governano, ma si fanno
governare e dirigere dall’economia
finanziaria, che foggia ogni loro
scelta e indica la strada immediata
verso la catastrofe (vedi crisi greca).
XVI. La cecità e la sicurezza –
Avrei voluto scrivere un articolo
approfondito sui fatti di Parigi, ma
la questione è ancora troppo calda
per poterla maneggiare con un
minimo di calma. L’unico fatto che
mi sento di far notare - e spero di
risultare banale, che insomma tutti
se ne siano accorti – è la mancanza
da parte di una grandissima fetta
dell’opinione pubblica europea
di cercare di capire quello che è
realmente successo, di ragionare,
di tentare un dialogo, fosse interno
o esterno, sull’accaduto; solo pochi
giorni fa mi sono sentito dire: “A me
non interessa, l’importante è che sia
scongiurato l’allarme terrorismo, e se
proprio vogliono, vadano a fare gli
attentati a casa loro”. Chi parla è uno
studente universitario, non il primo
capitato al bar: tale è la sensazione
di molti occidentali, così chiusi
nella loro cecità, così desiderosi di
starsene al sicuro nelle loro case
mentre il mondo è in subbuglio.
Dedalus | 2015 9
Scienze Umane
“Una volta nel kula sempre nel kula”
(Malinowski, Argonauti del Pacifico Occidentale)
di Leonardo Piomboni
Gli anelli o oggetti affini ad essi sono
presenti in quantità considerevoli in
moltissime civiltà in tempi diversi
e molto distanti, furono spesso
annoverati fra gli strumenti aventi
particolari poteri malefici o delle
volte benefici, in questo caso cari alla
magia medica.
Uno dei più enigmatici miti platonici
è certamente quello di Gige in cui
l’anello conferisce al medesimo
l’invisibilità; Platone tramite le
parole di Glaucone ne critica i poteri
dal momento che chi ne entra in
possesso può operare impunemente
nel male.
L’ intento del grande filosofo
ateniese non è certamente quello di
persuadere il lettore dell’ esistenza di
simili poteri, egli utilizza uno dei suoi
curiosi miti solo al fine di veicolare
un messaggio filosofico, in questo
caso potremmo dire sociologico, ma
per intessere la sua storia Platone
ha evidentemente utilizzato un
archetipo, ovvero quello dell’ anello
prodigioso, da ricordare a riguardo
l’ anello di Salomone al quale
vengono attribuiti dal mito svariati
poteri come quello di allontanare i
demoni o di parlare con gli animali.
Le credenze così diffuse in tutto il
mondo circa gli anelli sono legate e
imprescindibili da quelle riguardo
le circonferenze, altrettanto diffuse
presso antiche civiltà di tutto il
pianeta.
Il cerchio richiamava, la compiutezza,
l’unione, l’armonia, venendo a
rappresentare il cielo e l’intero
cosmo oltre che il ciclo della vita
poiché nella circonferenza non è
dato distinguere un inizio e una fine e
ben si presta all’ idea di eternità; non
ci deve stupire, quindi, che venissero
attribuiti a tale figura geometrica
anche poteri sovrannaturali.
10 2015 | Dedalus
All’”anello” fino a tempi molto
recenti, ad esempio, venne anche
attribuito il potere di trattenere e
imprigionare lo spirito immortale;
controversa
appare
un’antica
massima di Pitagora, secondo la
quale non si dovevano portare
anelli; nessuno poteva entrare nell’
antico santuario della Dominatrice a
Licosura in Arcadia con un anello al
dito, inoltre coloro che consultavano
l’oracolo di Fauno dovevano, oltre
ad essere casti e non mangiare carni
anche non portare anelli.
J. G. Frazer ci ricorda nel suo “Il
Ramo d’ Oro” che fra i molti tabù che
doveva osservare il flamen Dialis a
Roma c’ era quello di non portare
nessun anello dal momento che
questo poteva intralciare il potente
spirito, insito in lui, nel suo andare e
venire; allo stesso modo i Musulmani
durante il loro pellegrinaggio alla
Mecca non dovevano portare
addosso nodi o anelli.
Tuttavia, lo stesso potere che
impedisce l’uscita dell’anima, può, al
contempo, impedire l’entrata degli
spiriti maligni, possiamo trovare
infatti anelli usati come amuleti
contro demoni, streghe e fantasmi;
oltre all’ esempio di re Salomone,
nel Tirolo era diffusa la credenza
che una partoriente non dovesse
mai togliersi l’anello nuziale per
non rendersi vulnerabile ai poteri di
spiriti e streghe.
Altre superstizioni riguardo gli
anelli, questa volta però non legate
a presunte potenzialità costrittive,
come ho riportato sopra, erano
diffuse nelle Marche: si credeva
che se l’ anello della sposa avesse
oltrepassato la seconda falange
il marito si sarebbe comportato
da tiranno e avrebbe bastonato
la moglie; questa superstizione fu
tanto diffusa nei secoli passati che
vari concili dovettero intervenire
condannandola, mentre in Abruzzo,
per otto giorni, la nuova coniugata
non deve toccare l’ acqua “per non
guastare la fede”.
Ma usciamo dal bacino del
Mediterraneo e andiamo in
Lapponia, qui la persona preposta
a deporre un defunto nella cassa,
deve ricevere un anello di ottone dai
familiari, che dovrebbe proteggerlo
da qualsiasi male voglia fargli lo
spirito del morto.
In quella che veniva chiamata
“costa degli schiavi”, ancora oggi le
madri, qualora un figlio deperisca,
credono che un demone sia dentro
al bambino e per farlo uscire tra le
altre pratiche attaccano degli anelli
di ferro alle caviglie del piccino dopo
che quest’ ultimo abbia bevuto il
sangue di un sacrificio: il sangue
serve per cacciare il demone e
gli anelli per impedire che rientri
subito dopo nel corpo del piccolo;
similmente i Bagodo delle Filippine
mettono degli anelli di fili di rame
attorno ai polsi e alle caviglie dei
malati.
Possiamo notare, quindi, come gli
anelli o elementi affini potessero,
come già accennato all’ inizio,
assumere,
secondo
numerose
tradizioni e/o superstizioni anche
poteri taumaturgici.
March Bloch nel suo “I Re
Taumaturghi” scrive che nel
Medioevo, ad ogni venerdì santo i re
d’Inghilterra, da Edoardo II a Enrico
V adoravano, come qualsiasi buon
cristiano, la croce, nel loro caso la
croce di Gneyth, una reliquia che
Edoardo I avrebbe conquistato ai
Gallesi e nella quale si credeva fosse
inserito un piccolo frammento del
legno della croce di Cristo; ma dopo
questo consueto rituale si procedeva
ad una
pratica singolare, non
appartenente al rito tradizionale: era
la deposizione da parte del re di un
offerta in oro e argento sull’ altare
e con questi metalli così consacrati
venivano poi fatti fabbricare degli
anelli, ai quali ,essendo il termine
ultimo di una serie di riti sacri,
venivano attribuiti poteri guaritori,
in questo caso contro gli spasmi
muscolari e spesso contro l’ epilessia,
da cui il nome di “cramp-rings”, anelli
contro il crampo.
Tuttavia gli anelli miracolosi
potevano essere fabbricati, anche
senza dover ricorrere al rito regale,
dai singoli sudditi, sempre sotto la
supervisione e la guida di uomini di
chiesa, con riti diversi a seconda del
luogo e anche fuori dall’ Inghilterra.
In alcune zone d’Italia, ad esempio,
fino alla metà del secolo scorso era
piuttosto diffusa la pratica di usare
la fede nuziale come strumento
per “segnare” una croce su qualsiasi
parte del corpo si avessero infezioni,
gonfiori, irritazioni o semplicemente
dolori.
Nel Medioevo, quando l’utilizzo
degli anelli sfuggiva al controllo dei
poteri, spesso anche i più inoffensivi
potevano essere sospettati di
stregoneria e soprattutto coloro che
li possedevano.
Gli anelli di Giovanna d’ Arco, ad
esempio,
destarono
numerosi
sospetti ai suoi giudici e la poveretta
dovette difendersi giurando, come
immaginerete senza convincere il
tribunale, che non se ne era mai
servita per guarire qualcuno.
Si deve ricordare, tuttavia, che
sessant’ anni fa, come del resto
ancora oggi, (anche se certe
credenze sono ormai meno diffuse
pur non essendo ancora sradicate)
simili pratiche non venivano più
effettuate da re o sacerdoti al fine
di rafforzare la propria influenza e
il proprio potere sul volgo, bensì da
persone comuni, che specie nelle
campagne, dove in molti casi non c’
erano i mezzi e le possibilità di curarsi
diversamente, si assumevano il
compito di taumaturghi profittando
dell’ ignoranza, della credulità e
soprattutto della disperazione dei
più poveri.
Jacques le Goff nella prefazione a “I
Re Taumaturghi” di Bloch afferma:
< Il miracolo esiste a partire dal
momento in cui ci si può credere e
tramonta e poi sparisce quando non
ci si può più credere. >.
In ogni modo è inappropriato
giudicare simili credenze dal punto
di vista di gran parte di noi uomini
occidentali del XXI secolo con una
sensibilità inevitabilmente diversa
da quella dei nostri avi o di molti
dei nostri contemporanei nati e
vissuti in contesti diversi dal mondo
occidentale.
Sarebbe invece utile per l’umanità
cercare di assimilare e comprendere
tutti gli elementi di ogni singola
cultura, non rispettare, ma amare la
varietà delle esperienze, cercare d’
altro canto le analogie e assonanze
che come abbiamo potuto osservare
sono presenti, in modo più o meno
manifesto, fra di esse, lasciare gli
angusti confini dei propri costumi
e la nostra parziale visione del
mondo, non rinnegandoli, bensì
arricchendoli e affinandoli.
Elementi decorativi provenienti da
Papua, nella Nuova Guinea.
Dedalus | 2015 11
Linguistica
Sull’evoluzione del sistema vocalico in Protoitalico
di Didier Natalizi Baldi
Nell’articolo del mese scorso
abbiamo iniziato la trattazione del
tema che, appunto, intendiamo
proseguire in questo articolo.
Partiamo dunque con la vocale in
PIE *h3e/h3 da cui il PIT ŏ, quindi in
Latino ŏ, in Osco ù oppure o (Osco
antico u, sempre u in grafia latina)
sebbene esistano alcune eccezioni,
per esempio davanti a liquida o
nasale e consonante [R/N+K] si trova
u, anche in grafia nazionale, come,
d’altra parte, nella desinenza PIT
*-ŏm (ad esempio trutum). In Umbro
antico abbiamo generalmente u, in
neo-umbro o; anche qui valgono le
eccezioni citate poco fa (ad esempio
tursitu che parrebbe valere il latino
terreo). I dialetti Sabellici seguono, in
genere, l’Osco, per esempio il Peligno
ha pritrom (lat. protinus), il Sabino
dumom (lat. domun). Ulteriori
esempi possono essere PIE *h3evi,
quindi il PIT *ŏwi, ed, infine, il lat.
ovis “pecora”, e l’umbr. oui. Ancora il
PIE *ph3tis da cui il PIT *pŏtis quindi
il lat. potis “potente, capace” e l’osc.
pùtìad, pùtìans. In Latino, però, come
sempre, non mancano le eccezioni:
ŏ passa infatti ad u se di fronte a
nasale velare oppure alla nasale m
(per esempio lat. ant. honc, dal PIT
*hom-ce, passa nel latino classico a
hunc “questo”. Come dal PIT *ongos di ha il lat. unguis “unghia”, mentre
in altre lingue indoeuropee l’esito è
diverso, cfr. grec. ὄνυξ) o, ancora, se
davanti a velare [ł] e consonante (per
esempio dal PIE *solc-os abbiamo
il lat. sulcus “solco” mentre in grec.
ὁλκός). Ŏ passa ad a se è davanti alla
semiconsonante v e se il gruppo è
nella sillaba precedente l’accento
(per esempio in cavère). Il gruppo
vo passa, invece, a ve davanti a r, s,
t; parrebbe invero, dalle attestazioni
che abbiamo, che questo sia un
mutamento
avvenuto
intorno
al II sec. a.C., ad esempio vorsus,
(l’analisi di questo fenomeno è
stata alla base della relativamente
nuova lettura dell’Odusia di Livio
Andronico al v. 1 vorsutum, invece di
versutum posteriore, come epiteto
di Odisseo, corrispondente al greco
12 2015| Dedalus
PARTE II
πολύτροπον). Infine abbiamo, di
nuovo, u per ŏ se di fronte ad r in
sillaba chiusa o in una parola di
origine dialettale (per esempio ursus
dal PIT *orso-s).
Passiamo dunque ad analizzare
la corrispondente lunga PIE *eh3
donde il PIT *ō e, in seguito, il
Latino ō, l’Osco ū rappresentato
da u, uu, ù, l’Umbro ō, il Peligno ū,
il Marruccino u. Possono, adesso,
fungere da esempi parole come
il lat. domus “casa”, dal PIT *dōmos, da cui anche l’osc. dumum,
anche scritto, dùmùm. Abbiamo
però nella desinenza dell’ablativo
singolare e dell’imperativo singolare
–od, ū per ō in Osco, per esempio
lìkitud vale il lat. liceto “sia lecito”.
Abbiamo invece, parrebbe, un’alta
intercambiabilità nelle desinenze
del nominativo plurale, PIT *-os, e
del genitivo plurale, PIT *-om. In
Umbro abbiamo diversi casi: nella
desinenza del nominativo plurale,
dei temi in –o, troviamo ora –or ora –
ur (ad esempio sereitor), nel genitivo
plurale ora –om, ora –o (ad esempio
fratrom ma troiamo altrove buo),
infine la desinenza dell’ablativo
PIT *-od, passa costantemente ad
ū (ad esempio peplu). Nei dialetti
Sabellici non abbiamo, invero,
molte attestazioni di questa vocale,
ma si può citare nel Peligno puus
come corrispondente del pronome
relativo, in lat. quis; nel Marruccino,
invece, esue dal PIT *esod-e al caso
ablativo, il lat. eo, infine in Volsco
estu è certamente da ricondursi al
lat. esto.
Adesso analizzeremo l’ultima vocale,
partendo con la breve, PIE *u quindi
in PIT *ŭ, donde il Latino ŭ, l’Osco
ŭ, l’Umbro ŏ, in Peligno e Marso
generalmente u. Come esempi di
concordanze citeremo il lat. puer
“giovane” corrispondente del’osc.
puklum (sebbene quest’ultimo sia al
genitivo plurale); oppure il lat. suppus
“supino” corrispondente dell’umbr.
sopam
(benché
all’accusativo
femminile singolare), oppure l’umbr.
trifo da ricollegarsi al lat. tribum
“tribù”. I dialetti Sabellici sono
regolari, anche se ci manteniamo
cauti vista la scarsità di attestazioni,
abbiamo infatti il pel. puclois e il
mars. pucles per il lat. pueris (dativo
plurale) “ragazzo”. Tra le particolarità
rileviamo che in Umbro ŭ muta in ĭ
nel termine combifia probabilmente
dalla stessa radice del verbo latino
nuntiare “annunciare” ed del grec.
πυνθάνομαι “informarsi”, ovvero il
PIE *bhudh-. In Osco invece, dopo
le dentali (d, t, m, s), tranne se viene
utilizzata la grafia latina, si trova iu per
ŭ, ad esempio tiurrì corrispondente
al lat. turrim (accusativo singolare)
“torre”. In Latino, infine, tra la liquida
l e occlusiva labiale, la ŭ passa ad i,
probabilemente con un passaggio
intermedio in ü (il che in altra
notazione sarebbe [l-u-P (-> l-ü-P) ->
l-i-P]).
Concludiamo, quindi, la nostra
analisi con l’ultima vocale, PIE *uh1
quindi in PIT *ū, donde il Latino
ū, l’Osco ū, rappresentato da uu
oppure da u, l’Umbro i, il Peligno
u oppure i ed il Volsco i. Il Latino
riflette più o meno, comunque,
l’esito di tutta l’area indoeuropea,
infatti, da il PIE *muh1-s, abbiamo
il lat. mūs “topo”, il grec. μῦς, l’aat.
mūs e l’umbr. sìfisi, analogo è il caso
del lat. sūs “maiale”; inoltre non si
rilevano particolari eccezioni. Per
l’Osco citiamo ad esempio il termine
fruktatiuf
approssimativamente
equivalente al lat. fructus “frutto”. In
Umbro abbiamo frif per il lat. fruges
“frutti, messi”, oppure pir (oppure
pure all’ablativo singolare) che
parrebbe da ricondursi al grec. πῦρ
“fuoco”. Per il Peligno abbiamo come
esempio il sostantivo saluta, come
la dea latina, dove la u si mantiene
e clisu, corrispondente del lat. clusa
(nominativo femminile singolare)
“chiuso”, dove diviene i. In Volsco
abbiamo bim forse da ricollegarsi al
latino bovem (accusativo singolare)
“bue”.
Sperando di aver interessato
con questa analisi, anche se un
po’ specialistica, vi ringrazio per
l’interesse: al prossimo mese.
Arte
Dipingere la musica
di Rosaria Carlino
Sono venuta a conoscenza delle
opere di Lionello Balestrieri grazie
a una mostra sui macchiaioli, ma
definirlo un esponente di questa
corrente sarebbe riduttivo. Infatti
l’artista - vissuto tra il 1872 e il 1959 -,
dopo una formazione all’Accademia
di belle arti di Napoli, trascorse diversi
anni a Parigi, stando a contatto con
artisti che influirono sul suo stile,
che acquisì un carattere bohémien;
bisogna tenere conto anche delle
tele di ispirazione impressionista, cui
ne seguirono anche altre a carattere
sociale e – nel periodo fascista – una
vicinanza al futurismo.
Ma il motivo che si affaccia con
maggiore insistenza nel corso di
tutta la sua opera è quello musicale.
Fin dagli esordi tentò di esprimere
con i suoi dipinti ciò che viveva
grazie all’ascolto della musica, ed
è bene notare che ottenne la fama
nel 1899 proprio grazie al quadro
“Beethoven”, olio su tela, di cui
all’epoca circolarono numerosissime
copie.
Qui vediamo, all’interno di una
stanza debolmente illuminata, a
destra un violinista e il pianista
che lo accompagna; di entrambi
non possiamo vedere i volti,
ma i loro atteggiamenti, la loro
gestualità fanno quasi intendere
l’intensità del brano musicale. Al
muro è attaccato il calco del viso
di Beethoven e immediatamente
a sinistra, nascosto quasi nella
penombra, troviamo un giovane
pensieroso, preso dall’esecuzione.
Così appaiono anche gli altri quattro
soggetti seduti sul divano a sinistra,
chi più chi meno. Uno di questi
si getta addirittura la testa fra le
mani. Forse solo la ragazza, con lo
sguardo rivolto - sembrerebbe quasi
- al pittore, ascoltando la musica, più
che soffermarvisi, si lascia prendere
da altri pensieri, mentre appoggia
affettuosamente la mano sulla spalla
del vicino. L’ambiente – fogli per
terra, un vago disordine, un ragazzo
con i piedi sul divano – ci riporta alla
mente il tratto bohémien di cui avevo
parlato. Le figure sembrano quasi
sfocate, i contorni irregolari fanno
percepire un movimento. Anche i
colori caldi – che dal giornalino penso
non potrete vedere – contribuiscono
a creare una sensazione di intimità
e di empatia dell’osservatore verso i
soggetti del quadro.
Difatti la tela fu parte dell’Esposizione
Universale del 1900 dato che
“riscosse un grande successo,
perché rispecchiava certi ideali
romantici della fine dell’Ottocento”.
Fu acquistato dal Museo Revoltella
di Trieste, dove si trova tutt’ora e tra
l’altro, dopo questo grande successo
il Balestrieri strinse amicizia con
grandi musicisti, come ad esempio
Puccini. L’opera, comunque, è
ispirata alla vita di stenti trascorsa
dal pittore a Parigi. Il ragazzo con la
barba in primo piano, dallo sguardo
serio, è lo stesso Lionello.
L’opera, che era esposta nella mostra
sui macchiaioli, mi ha subito colpito;
penso che sia notevole riuscire
a rendere con un’immagine, che
si lega solo al senso della vista,
oltre alle emozioni dei soggetti,
la musica. Non potendo mettermi
qui a descrivere tutte le altre opere
che Lionello Balestrieri le dedica, vi
consiglio comunque di cercarle.
Dedalus | 2015 13
“Il mondo dell’arte Greca”
di Sofia Fruscini
Il libro “Il mondo dell’arte greca”
di Tonio Hölscer, insegnante di
archeologia classica presso l’Istituto
Archeologico Germanico di Roma,
pubblicato a Torino nel 2008, mette
in luce lo sviluppo della cultura
greca attraverso un percorso fatto di
immagini e testimonianze.
Non troppo diversamente dal nostro
quotidiano, ricco di fotografie, ritratti,
icone, effigi e simulacri, il mondo dei
Greci era pieno di immagini.
Statue di dei, eroi, uomini politici
- avvertiti come vivi, reali, presenti
- fiorivano nei templi, nelle strade,
nelle piazze; marmi e distinti erano
parte integrante di edifici pubblici,
impianti sportivi, teatri.
Le immagini rivestivano, quindi,
un ruolo di primaria importanza in
tutti i momenti della vita sociale:
ciò ad evidenziare una volta di più
che l’arte antica è essenzialmente
arte sociale, nata per scopi molto
lontani da quelli di una semplice
contemplazione estetica.
Le opere d’arte scaturivano appunto
da motivi religiosi e sociali vivi,vitali
e concreti.
Con questo volume che aiuta e
stimola il lettore ad approfondire
forse la più grande stagione artistica
che l’umanità abbia conosciuto,
Hölscer intende presentare opere
dell’arte greca nel loro contesto
sociale,
spaziale
e
culturale
attraverso l’età arcaica, classica ed
ellenistica.
Il periodo arcaico è caratterizzato
dalla rappresentazione dei corpi
incarnanti l’ideale classico del “kalos
kai agathos”.
La bellezza, la prestanza fisica è
considerata incarnazione dei valori
etici.
Fiorisce la produzione di “kouros” e
“korai” che rappresentano il futuro
della comunità: statue di giovani
e giovanette dal fisico atletico ben
modellato, influenzato dall’arte
egizia.
Derivate
dalle
culture
mesopotamiche,
compaiono
immagini di uomini e animali con
fattezze stilizzate, mentre sui vasi
si dipingono soprattutto scene di
battaglia, ma anche momenti di vita
privata, come banchetti e riti funebri.
Attorno
al
quinto
secolo,
con le vittorie sui Persiani e il
conseguimento
dell’egemonia
culturale, l’arte greca si caratterizza
per opere “patriottiche” tese ad
esaltare e a celebrare lo Stato: ecco
quindi le statue dei Tirannicidi, le
pitture di Polignoto che ripercorrono
i momenti fondamentali della storia
ateniese, la gigantesca statua di
Atena scolpita da Fidia posta nel
Partenone,
entrambi
altissimi
simboli del potere e di un grande
momento dell’arte figurativa di tutti
i tempi.
Verso la fine del quinto secolo l’arte
greca comincia ad evidenziare
una maggiore attenzione verso gli
aspetti della vita privata e verso
le caratteristiche individuali delle
persone: fra gli dei, i più rappresentati
sono Dioniso ed Afrodite, l’uno dio
dell’ebrezza e l’altra dea del piacere.
Nei ritratti di uomini politici, poeti e
filosofi, gli artisti mettono in luce i
tratti salienti del carattere di coloro
che rappresentano.
Nell’epoca di Alessandro Magno,
all’ampliarsi dei confini del mondo
conosciuto e all’accentrarsi della
nobiltà sociale corrisponde una
maggiore varietà di soggetti artistici.
Si arriva a raffigurare figure
quotidiane e popolari, mentre l’arte
monumentale rappresenta i sovrani
e i soggetti mitologici con effetti
spettacolari e dettagli realistici.
14 2015| Dedalus
Cinematografia
CLOUD ATLAS
Tutto è connesso: l’epopea dei Wachowsky e di Tykwer nel tempo e nello spazio
di Marco Tenti
“La nostra vita non ci appartiene.
Da grembo a tomba siamo
inevitabilmente legati ad altri.”
Hanks)
C’è una sorta di ironia intrinseca
nella storia di Cloud Atlas: è un film
in cui dei personaggi, per definizione
creature schiave delle logiche dei
loro creatori, si ritrovano chi in un
modo chi in un altro a ricordarci
che neanche noi uomini reali siamo
completamente liberi. Parla molto
di libertà Cloud Atlas, così come di
politica, di società, di storia, di musica
e di molto altro ancora, e per farlo
sfrutta un’incredibile varietà di toni
e generi, di emozioni e riflessioni,
di ambientazioni spazio-temporali.
Sono sei storie, sei protagonisti, sei
diverse libertà violate in sei diversi
contesti storici, tutti e sei posteriori
a quell’illuminismo che proprio la
libertà ha posto come obiettivo
principale del mondo occidentale.
“Tutti i confini sono convenzioni.
In attesa di essere superate. Si può
superare qualunque convenzione,
solo se prima si può concepire di
poterlo fare. In momenti come
questo, sento chiaramente battere
il tuo cuore, come sento il mio. E so
che la separazione è un’illusione. La
mia vita si estende ben oltre i limiti
di me stesso.”
-Il viaggio nel Pacifico di Adam
Ewing (1849)
“Che cos’è l’oceano se non una
moltitudine di gocce?”
Adam Ewing (Jim Sturgess) è
un avvocato proveniente dal
completamente democratico e
fondato su principi egualitari Stato
americano che sta compiendo un
viaggio nel Pacifico per chiudere
un accordo commerciale in nome
del suocero. Là, nelle isole Chatham
assiste alla condizione di schiavitù
in cui sono tenuti i Moriori, antichi
abitanti del luogo, presso i quali
l’uso delle armi era proibito, da parte
di un gruppo Maori, sostenuto e
supportato dagli americani che lì
risiedono, anch’essi sfruttatori di
schiavi. Uno di questi però, Autua
(David Gyasi) riesce a scappare e a
imbarcarsi clandestinamente sulla
nave dove si trova Ewing, che, anche
se non lo sa, è in grave pericolo, nel
mentre conosce e stringe amicizia
con il dottor Henry Goose (Tom
-Lettere da Zedelghem(1936)
Robert Frobisher (Ben Wishaw) è un
giovane e talentuoso compositore
inglese che nasconde un segreto: è
bisessuale. Per riuscire a sostentarsi
mentre tenta di comporre quella che
lui stesso è modestamente convinto
sarà una sinfonia rivoluzionaria,
“L’atlante delle nuvole”, trova lavoro
come copista in Scozia presso Vyvyan
Ayrs (Jim Broadbent), una semicieca vecchia gloria della musica del
tempo, oramai in pensione. Robert
innesta in lui una nuova verve
creativa, forse, o forse le cose non
stanno come sembrano. Intanto si
dedica alla lettura del diario di bordo
di Adam Ewing, mentre scambia
epistole con il suo amante, Rufus
Sixsmith.
-Il primo caso di Luisa Rey(1973)
“La fede, come la paura o l’amore,
è una forza che va compresa
come noi comprendiamo la teoria
della relatività, il principio di
indeterminazione, fenomeni che
stabiliscono il corso della nostra
vita. Ieri la mia vita andava in una
direzione, oggi va verso un’altra,
ieri credevo che non avrei mai fatto
quello che ho fatto oggi, queste forze
che spesso ricreano tempo e spazio,
che possono modellare e alterare chi
immaginiamo di essere, cominciano
molto prima che nasciamo e
continuano dopo che spiriamo. Le
nostre vite e le nostre scelte, come
traiettorie dei quanti, sono comprese
momento per momento, a ogni
punto di intersezione, ogni incontro
suggerisce una nuova potenziale
direzione”
Lusia Rey (Halle Berry) è una
giornalista americana in una rivista
leggera e di poco spessore, figlia e
all’ombra di un padre poliziotto e
reporter di zone di guerra, conosce
per caso l’anziano Rufus Sixsmith,
fisico nucleare in pensione, dal quale
scopre che la centrale nucleare che
sta per essere inaugurata in città
è insicura e pericolosa. Il prezzo
di questa confessione è per Rufus
la vita, poiché verrà ucciso da un
assassino assoldato dai proprietari
della centrale (Hugo Weaving), che
dopo si mette sulle tracce di Luisa.
Intanto, a casa di Sixsmith entra
in possesso delle lettere da e per
Robert Frobisher
-La tremenda ordalia di Timothy
Cavendish (2012)
“Libertà, il frivolo motivetto della
nostra civiltà, ma solo quelli che ne
sono privati hanno il benché minimo
sentore di cosa sia realmente”
Timothy Cavendish (Jim Broadbent),
scrittore e piccolo editore a Londra,
ha un’immensa fortuna: il gangster
autore dell’ultimo libro che ha
pubblicato assassina un critico che
l’aveva stroncato gettandolo da un
balcone: il libro vende moltissime
copie. I fratelli dell’autore però
minacciano Cavendish per ottenere
la maggior parte dei guadagni, e lui
si vede costretto a chiedere aiuto
economico al fratello Denholme,
che però lo spedisce con l’inganno
in una casa di riposo in Scozia, a
Zedelghem. Qui deve subire le
angherie di una diabolica infermiera
(Hugo Weaving) e dei suoi assistenti,
mentre insieme ad alcuni compagni
organizza la fuga; intanto scopre
in un pacco ricevuto poco prima
dell’internamento
il
racconto
Dedalus | 2015 15
dell’indagine di Luisa Rey.
-Il verbo di Sonmi-451(2144)
“Nella tua rivelazione hai parlato
delle conseguenze della vita di un
individuo che si spandono per tutta
l’eternità. Questo vuol dire che credi
in una vita nell’aldilà, nel paradiso e
nell’inferno?”
“Io credo che la morte sia solo una
porta, quando essa si chiude, un’altra
si apre. Se tenessi a immaginare un
paradiso, io immaginerei una porta
che si apre e dietro di essa lo troverei
lì, ad attendermi”
Sonmi-451 (Doona Bae) è un artificio
che lavora in un fast-food di NeoSeoul. Il distopico mondo coreano
del ventiduesimo secolo è basato
interamente sul consumo, sulla
tecnologia e sullo sfruttamento
proprio degli automi come Sonmi.
Tutto cambia quando viene salvata
da Hae-Joo Chang (Jim Sturgess),
membro della resistenza che lotta
per abbattere il regime; poco
prima riesce a vedere un vecchio
film, ispirato alla vita di Timothy
Cavendish, mentre il pianeta sta
lentamente appassendo a causa di
zone radioattive che si vanno via via
ingrandendo.
-Sloosha Crossing e tutto il resto
“E’ tutto una massa di fumo. Gli
antichi c’hanno saviezza, hanno
piegato malattie e semi fatto
miracoli, volati nel cielo” “Vero, tutto
vero, ma c’hanno altra cosa, una
fame in loro cuori, fame più forte
di tutte le loro saviezze” “Fame, di
cosa?” “Fame di altro”.
16 2015 | Dedalus
Zachry (Tom Hanks) vive nella Valle
insieme alla sorella e alla nipote
in un piccolo villaggio. A causa
del morso di un pesce la piccola
rischia la morte, ma viene salvata
da Meronima (Halle Berry), una dei
prescienti, un gruppo di uomini che
ancora conserva una parte della
conoscenza degli Antichi. In cambio
Zachry deve aiutarla a riattivare
dei trasmettitori per mettersi in
contatto con le colonie planetarie,
mentre pare essere perseguitato
da un demone (Hugo Weaving) e
mantiene una salda fede nella sua
divinità, Sonmi-451
Se avete letto questo lungo ma
necessario riassunto delle sei storie
che compongono Cloud Atlas,
avrete sicuramente notato una
peculiarità: i nomi degli attori che
interpretano i vari personaggi
ricorrono in più storie. Il nucleo della
vicenda è infatti l’anima, la sua
sopravvivenza alla morte del corpo e
il suo reincarnarsi nel tempo: ogni
interprete, ogni anima ha la sua
specifica natura, il suo carattere e la
sua mentalità, e si sposta all’interno
dello spazio-tempo senza vincoli,
perpetrando la propria opera, ma
dipendendo anche dalle azioni delle
vite precedenti e sempre libera di
poter cambiare; è così che si
completano e si fondono i due poli
opposti della predestinazione e del
libero arbitrio: ogni uomo è
condizionato nella sua esistenza da
ciò che ha fatto nella sua vita
precedente e dal contesto in cui è
calato, eppure rimane sempre libero
di scegliere quale ruolo interpretare
nel suo frangente di storia; così
anche il più viscido traditore, a
distanza di mille anni, può diventare
un amorevole genitore; le ispirazioni
orientali
della
filosofia
dei
Wachowsky vengono fuori così in
tutto il loro splendore, dando grande
profondità al film, che abbraccia così
anche l’area metafisica della
riflessione umana, oltre che di quella
terrena e sociale. Al di là delle anime
che le vivono, le storie di Cloud Atlas
sono legate dal filo conduttore della
libertà, come accennato all’inizio:
tutti, in questa epopea, la ricercano,
poiché ne sono sistematicamente
privati: Adam ogni valore del suo
paese calpestato dai suoi stessi
abitanti, unitisi cent’anni prima sotto
il segno dell’indipendenza e
dell’uguaglianza, e al suo tempo
massa di fanatici schiavisti; Frobisher,
più che dei pregiudizi della società
sul suo amore, è straziato dalla sua
impossibilità di sostentarsi facendo
ciò che ama, ovvero comporre, ma
vive costretto al servizio di un
vecchio arrogante e invalido, più
interessato a sfruttarlo che ad
aiutarlo a farsi strada; negli anni ’70
Luisa vede ancora una volta
anteposto alla vita e alla sicurezza
della popolazione, di altri esseri
umani, il guadagno; Zachry abita un
nuovo mondo sorto dalle ceneri
della nostra civiltà dove gli uomini, al
posto di collaborare, si sono dati alla
stessa barbarie e inciviltà che era
propria dei loro predecessori;
Cavendish tenuto prigioniero solo
perché la società lo ritiene antiquato.
Per quanto riguarda Sonmi-451 il
discorso è più complesso, poiché,
oltre ad essere la linea narrativa
migliore, rappresenta anche il più
complesso universo narrativo della
pellicola, originale, citazionista, vivo
e terrificante, poiché si preannuncia
come la deriva del nostro mondo
(occidentale)
anche
se
l’ambientazione coreana potrebbe
non farlo sembrare: l’ispirazione a
Blade Runner è quanto mai evidente
quando ci vengono sparati in faccia
palazzi immensi, auto volanti e
regimi dispotici. Già qui però arriva
una differenza importante, che pone
l’opera non come epigono del
capolavoro di Scott, ma come
espansione dello stesso concetto: il
mondo di Neo-Seoul non è una
semplice distopia orwelliana, è una
degenerazione ( o forse è l’estrema
conseguenza) del modello di
sviluppo totalmente improntato sul
consumo in cui oggi noi viviamo: le
persone hanno quote fisse di denaro
da spendere ogni mese per
mantenere fluida l’economia, per
mantenere il sistema funzionale una
parte della popolazione deve essere
isolata dalle zone ricche e la
manodopera deve essere schiava; il
miglior schiavo è quello che non si
deve rendere conto di essere tale: a
tale scopo sono creati gli artifici,
creazioni
geneticamente
programmate per svolgere compiti
specifici e lasciati limitati nelle altre
abilità. Ora questo è un topos del
cinema di fantascienza, eppure
questa figura mantiene, in questo
particolare contesto soprattutto, un
fascino e una terribile verità di fondo
che non vanno ignorati, poiché la
figura della creatura creata in serie in
laboratorio per servire l’uomo è
diventata centrale nella moderna
fantascienza: l’idea di essere privati
di identità e trattati come bestiame
di basso valore ci terrorizza proprio
perché è ciò che ci sta succedendo,
in ogni ambito della socialità:
dobbiamo sempre essere tutti in
accordo, dobbiamo fare tutti le
stesse cose, avere gli stessi obiettivi,
gli stessi gusti; anche in un luogo
che dovrebbe essere l’origine e il
fulcro della vivacità di idee come la
scuola, oramai l’espressione della
propria personalità pare essere
vietata: ai saggi si sostituiscono le
domande aperte, poi i test invalsi e
alla fine arriveremo ai vero-o-falso,
cosicché ci troviamo sempre con
un’unica
alternativa
corretta.
Quando siamo tutti standardizzati
niente ci distingue più gli uni dagli
altri, siamo tutti braccia e gambe per
lavorare, esattamente come Sonmi
dovrebbe essere per i suoi padroni.
La piattezza in cui è costretta
dall’incolpevole ignoranza in cui è
vissuta al Papa Song viene scossa
proprio da un naturale risveglio in lei
delle normali necessità emotive e
intellettuali umane al quale segue
una riproposizione dell’uscita dalla
caverna platonica, con un ascensore
anziché a piedi; e già il fatto che la
caverna di Platone si identifichi con
un fast food è un segnale importante.
La libertà che ricercano i personaggi
è probabilmente quella che gli stessi
autori del film sono andati a trovare
in Germania, grazie ad un’enorme
coalizione di piccole case di
produzione che insieme sono
riuscite a tirare fuori un cospicuo
budget consentendo ai tre registi
una libertà senz’altro maggiore che
oltreoceano. È in effetti incredibile
come si sia riusciti ad arrivare a cento
milioni di dollari per un film in realtà
molto impegnato e complesso,
composto da sei linee narrative
intersecate e tra loro all’apparenza
slegate. Eppure, nonostante la
durata di tre ore e l’impegno richiesto
agli spettatori, ciò che più è
memorabile di Cloud Atlas, ciò che
non lo rende un semplice buon film,
o un ottimo film, ma qualcosa di più,
è proprio il suo essere cinema e non
un trattato fatto per immagini,
musica e movimento. Cloud Atlas
appassiona, diverte, commuove,
irrita quando deve farlo: le storie non
sono solo metafore, hanno una
dignità propria che trascende il loro
significato metaforico; Cloud Atlas
non dura tre ore perché risulta
difficile per il pubblico di massa
seguirlo, ma perché chi l’ha pensato
e fatto aveva bisogno di tre ore delle
Dedalus | 2015 17
nostre vite per esprimersi al meglio;
Cloud Atlas non è un film radical chic
francese, che se non ha inquadrature
fisse di venti minuti sembra non
sentirsi realizzato: ha la miglior
scintilla dei blockbuster, ha la voglia
di far riflettere del cinema
intellettuale, ha voglia di stimolare
chi lo guarda. Il film è dotato di
un’incredibile varietà di toni e
situazioni, passando da un genere
all’altro con incredibile fluidità: la
scelta di contrapporre alla struttura a
doppia matriosca del libro da cui è
tratto, dove tutte le storie vengono
aperte in ordine cronologico e poi
richiuse in senso opposto, una
struttura con montaggio alternato
che porta avanti le sei time-line
contemporaneamente
risulta
vincente, donando grande vivacità
alla narrazione e al ritmo: si va senza
soluzione di continuità dalla
commedia al film d’avventura,
passando per thriller e dramma, per
arrivare
infine
all’epica
18 2015 | Dedalus
fantascientifica prima e postapocalittica poi, formando un
quadro generale estremamente
vario ed esaltante. Tutta questa
sostanza perde qualunque senso se
non la si modella con un’adeguata
forma, ma per fortuna dietro la
macchina da presa ci sono mani che
definire abili è quanto mai riduttivo: i
diversi stili dei registi si vedono con
tutte le loro diversità, con l’incredibile
quadratura e stile di Tykwer, di scuola
europea, e l’estro e la fantasia dei
Wachowsy, tutti americani, che si
incastrano alla perfezione nella
propria unicità e dignità, entrambi
caratterizzati dalla totale assenza di
inutili virtuosismi o di insensati sforzi
per rendere forzatamente autoriale il
film, colpendo invece per la potenza
delle immagini, la fantasia con cui
sono studiate le sequenze d’azione,
riuscendo a restare nell’occhio non
per la forzatura dei movimenti o per
l’insistenza e la lunghezza delle
inquadrature, ma solo per lo stupore
che niente sembra messo fuori
posto, ma con un’idea dietro,
impattando senza diventare invasivi.
Menzione d’onore per come la
tematica della reincarnazione venga
trattata
in
modo
quasi
esclusivamente visivo e non
dialogato: siamo noi a vedere gli
stessi tratti somatici e a ricollegare i
labili indizi che ci vengono dati nei
dialoghi e nel corso degli eventi,
senza dialoghi fuori luogo o spiegoni
logorroici e poco interessanti, oltre
che privi di qualsivoglia ruolo attivo
da parte dello spettatore. Se siete
ancora qui a leggere questa pessima
recensione anziché essere andati a
vedere il film, vi avverto che ho finito
di annoiarvi coi miei sproloqui fuori
luogo e, come ultima cosa, vi invito,
dato che ancora non l’avevo fatto, ad
andare di corsa a recuperare
quest’opera immensa: Cloud Atlas
saprà
divertirvi,
intrattenervi,
commuovervi, farvi pensare e
stupirvi, cosa assai rara nel panorama
cinematografico odierno.
Cineforum
e adesso la parola a Giovanni Rossi
Tirami fuori di qui - Tempi Moderni
Capolavoro indiscusso della
cinematografia
mondiale
di
tutti i tempi, la discesa agli inferi
meccanici raccontata dal profetico
Charles Chaplin nel lontano 1936
è un esperimento audace che
fonde con straordinaria maestria
le tragicomiche vicissitudini di un
maldestro operaio di fabbrica con
l’orizzonte speranzoso e malinconico
di un futuro a misura d’uomo.
Nonostante la pellicola appartenga
all’epoca del Cinema Muto, alcuni
brani del film contengono partiture
sonore che cavalcano l’onda artistica
dell’epoca - e sarà lo stesso Chaplin
a dare anima, corpo e voce per la
sua opera più ardita, quel Grande
Dittatore che spiazzerà il mondo
intero nel 1939 -, ma è soltanto
l’ossessione martellante del tempo
industriale a dominare i titoli di
testa che descrivono con freddezza
lo scopo di una vita intera: la ricerca
della felicità.
Il
primo atto della vicenda
è ambientato tra i complessi
macchinari di uno
stabilimento all’alba di un nuovo
giorno laborioso: un gregge di
operai si riversa a testa bassa tra i
nastri trasportatori di un’invenzione
che aveva già segnato la storia
dell’industria globale, ovvero la
catena di montaggio, ed è proprio
qui che lavora l’umile operaio
protagonista di questa piccola,
grande odissea metallica.
Nonostante il primo piano severo
del direttore di fabbrica cerchi di
dare una
lavoro dei colleghi.
Per quanto efficiente, la catena di
montaggio si rivela un compromesso
artificiale, dato che basta un banale
errore umano per bloccare i nastri
all’opera.
Quel che conta, però, è massimizzare
l’utilità: l’industria moderna si basa
esattamente su questo principio
che cozza con l’equilibrio emotivo
dell’uomo, e la conferma di questo
parallelismo imprudente si presenta
con la scena della pausa pranzo,
momento in cui ogni singolo
grammo di energia speso dagli
operai deve essere ottimizzato per
non perderne l’efficacia.
Il tono è ovviamente assurdo e
sopra le righe, ma Chaplin ha
visto giusto: persino un piatto di
minestra può diventare un ostacolo
alla produzione, così il direttore di
fabbrica si ingegna per elaborare
un fantascientifico distributore di
alimenti che possa sfamare i suoi
sottoposti senza che questi riescano
a battere ciglio.
In teoria si tratta di un prodigio
assoluto della tecnica, ma nella
realtà il povero operaio si trova
avvinghiato nella morsa impossibile
di una macchina che dovrebbe
prendere il posto della sua volontà,
fallendo miseramente.
La giornata di lavoro sta per volgere
al termine, ma al pomeriggio
accade l’imprevisto: tanta è la foga
laboriosa del protagonista che il
nastro trasportatore lo risucchia
impazzito nel cuore della sua anima
metallica, un labirinto senza forma e
dimensione che rende l’uomo una
larva tra gli ingranaggi.
Riemerso dalla trappola infernale,
l’ometto inizierà a dare i numeri:
se la vera modernità rischia di
trasformare un operaio maldestro
in un bullone impazzito, l’unico
rimedio è chiudere gli occhi di fronte
all’evidenza, e il buon cuore del
protagonista dimenticherà la sua
mesta sorte per provare a guardare
oltre insieme a una compagna senza
famiglia (l’attrice Paulette Goddard)
con la quale condividerà gioie e
dolori, speranze e paure, paradossi e
promesse.
Il secondo appuntamento con
il cineforum si terrà lunedì 21
Dicembre alle ore 20:30. Verrà
proiettato il film “the artist” proposto
e commentato da Giovanni Rossi.
misura netta alla produzione
meccanizzata, le mansioni svolte
senza soluzione di continuità lungo
il nastro principale non vanno a
buon fine: l’operaio con i baffetti
squadrati non riesce a tenere il ritmo
dei bulloni da avvitare e lascia più
volte la sua postazione per inseguire
i passaggi sfuggiti intaccando il
Dedalus | 2015 19
Humor
Gli entologoi
di Tommaso Caperdoni
Immaginate un mondo senza guerre.
Immaginate un sistema scolastico
efficiente. Immaginate un leghista
aperto al dialogo. Immaginate
una scimmia rosa che cavalca un
unicorno arcobaleno cantando
Ray of Light di Madonna. Bene,
avete una grande fantasia allora,
complimenti. Appurato questo
punto, direi che possiamo iniziare
questo nostro viaggio. Un viaggio
che ci porterà in un meraviglioso
mondo in cui convivono tutte le più
grandi menti della storia: dai filosofi
ai letterati, dagli scienziati agli artisti;
in cui tutte le loro teorie sono realtà
e, miracolosamente, nessuno ha
ancora ammazzato il proprio vicino.
Non appena mi resi conto di questo
posto, subito mi chiesi come
poter raccogliere le opinioni di
ognuno, per formare una sorta di
enorme enciclopedia globale che
racchiudesse in sé la verità, il logos,
l’archè. Serviva necessariamente un
mezzo immediato, che permettesse a
quei geni di esprimersi liberamente,
senza passare attraverso artificiose
costruzioni letterarie. Il diario fu
la scelta definitiva. Qui di seguito
potrete trovare riportati alcuni
estratti del pensiero più profondo
e intimo delle più grandi menti che
abbiano mai abitato il nostro mondo,
modificandolo e plasmandolo al fine
di raggiungere un’utopica idea di
pace universale guidata dall’infinito
potere dell’intelletto umano.
PLATONE:
“Caro diario, ti odio, ma sei un male
necessario.
E’ sicuramente
compito
del
filosofo garantire l’armonia e per
questo servirò la nobile causa
dell’enciclopedia globale. Inizierò
con il raccontare la mia giornata.
Stamattina mi sono svegliato e
sfortunatamente nemmeno stavolta
ero a capo dello Stato. ‘Sarà per
un’altra volta’, ho pensato. Mentre
20 2015 | Dedalus
mi preparavo per andare al lavoro
Cinzia ha cominciato a ritirare fuori
le solite storie: che non sono mai
a casa, che non parliamo mai, che
quando facciamo l’amore le attacco
sulla faccia una foto di Socrate. Non
capisce che vita stressante debba
condurre per mantenerci entrambi.
Qualcuno deve pur andare in
caverna a muovere i pupazzetti in
controluce, ma dico io!
Insomma, dopo questo caloroso
buongiorno, salgo sul mio carro
nuovo fiammante e parto per i
limpidi cieli dell’Empireo. Capisco
subito che c’è qualcosa che non va:
il cavallo bianco va verso il basso
e quello nero spinge verso l’alto.
Deve essere stato quell’immigrato
clandestino di Carlos, il mio
giardiniere. Deve aver scambiato
mangime, come al solito! Lo pago
troppo quel messicano.
Come ogni mattina passo davanti al
pozzo parlante, con il quale spesso
mi diletto con interessanti dibattiti
sull’ontologia; ma il dovere chiama e
me ne vado in caverna.”
NIETZSCHE:
CICERONE:
“Caro
Attico, ah no,
l’abitudine.
market, invece di impelagarmi tra le
infinite corsie del caotico Ipercoop,
dovendo scegliere con cura fino alla
più insignificante spezia al fine di
presentare ottimamente la pietanza
serale, la quale, per mio piano,
sarebbe dovuta essere composta
da un arrosto di cacciagione mista,
procuratami dal miglior arciere degli
appennini italici, non avrei visto
scorrere inesorabilmente davanti
a me, all’interno di un’infinita coda
alla cassa, strumento infernale dei
procrastinatori, il grave tempore.
Passai i prodotti sul rullo, pensando
incessantemente ai miei amici
che ormai con tutta probabilità
si trovavano all’uscio della mia
domus, ponendomi fiduciosamente
nelle mani dell’impiegato; ma
lui, maneggiando quelli, essendo
quello inesperto, errò a rilasciare lo
scontrino senza che io me ne accorsi,
così che quello, mi riconsegnò
quelli, mentre già pensavo ad essi.
Sto già scrivendo un’orazione in 12
volumi contro quell’incompetente.
Li dedicherò al mio nuovo amico ‘il
pozzo parlante’.”
scusate,
Caro diario, e dico caro in onore del
profondo rapporto di familiarità che
ci lega indissolubilmente,
sono alla fine di un’estenuante
giornata, che doveva essere
tranquilla e rilassante essendo
principiata con buoni auspici. Mi
diressi al supermercato per riempire
la mia credenza, la quale è stata
costruita dai migliori falegnami
dell’impero, poiché a cena avrei
avuto diversi amici, i quali sono per
me fonte di sicurezza e stabilità
morale, dal momento che l’amicizia
consiste nel fondere più animi in uno
solo. Se io fossi andato al mio solito
negozio, assai superiore in qualità
e prezzo rispetto al banale super
“Il diario è morto e io l’ho ucciso.
Ma pazienza, racconterò lo stesso
gli avvenimenti di una trascorsa
movimentata giornata autunnale.
Come
ogni
mattina,
stavo
accarezzando i miei cavalli, dicendo
loro che sentivo quanto facesse
schifo il loro mangime ( loro mi
comprendono ). Non dovevo fidarmi
di Platone e assumere quel Carlos. Ma
all’improvviso vidi lui. Inconfondibile,
con quei suoi baffetti rettangolari,
i pantaloncini ad altezza ginocchio
e il cappellino con la girandola a
forma di svastica. Per fortuna non
fu tanto repentino quanto me,
così riuscii a rientrare furtivamente
in casa senza farmi vedere dalla
porta sul retro. Bastò qualche
istante e il campanello risuonò in
tutta la villa. Mi nascosi dietro il
mobilio intagliato del mio studio.
Un secondo e subito dopo una fila
insistente di dling dlong vagavano
per la casa, tentando di scovarmi.
Ma non gli bastava! Cominciò a
squillare con la sua femminea voce:
‘Signor Nietzsche! Singor Nietzsche!
Sono un suo grande ammiratore’.
Silenzio. ‘Signor Nietzsche, è arrivato
un pacco per lei!’. Di nuovo silenzio,
non ci casco. ‘ Ok, mi ha scoperto!
Sono sempre io, Adolf!’. Come se
non lo avessi capito, mi assillava
da mesi. ‘ Vorrei solo un autografo!
Non la disturberò più, le giuro!’ Per
pura, sadica curiosità, mi avvicinai
alla finestra, scostai leggermente la
tenda e fissai quel curioso individuo.
Ora potevo osservarlo in tutti i suoi
dettagli. Indossava una maglietta
con scritto ‘Io sto con il superuomo’
e una freccia che indicava verso
destra. Decisamente di pessimo
gusto. ‘ Signor Nietzsche!’. Altro
dling dlong. Improvvisamente scorsi
in un taschino dei suoi aderenti
pantaloncini un calzino a righe. Ma
certo! Era lo stesso che avevo perso
qualche settimana prima! ‘ Herr
Nietzsche!’ Alquanto inquietante.
‘ Signor Nietzsche, le ho portato
lo strudel alla mela cotogna come
piace tanto a lei!’ Non mi sembrava di
averglielo mai detto. ‘Herr Nietzsche,
forse non mi sente, sono io, Adolf!’
Tutto a un tratto, mia sorella Elisabeth
scese dalle scale con disinvoltura e
fece per andare ad aprire il portone.
‘ Ma cosa fai? Sei matta?!’ sussurrai.
‘ Perché non lo fai entrare almeno
una volta? Sembra un ragazzo così
simpatico’ rispose compostamente.
‘ Mi prendi in giro, ma l’hai visto?’
Cominciò ad alterarsi ‘ Sei sempre il
solito! Cosa sei, il nuovo Messia? Va
bene che sei orfano, ma non è quella
l’unica prerogativa!’ disse alzando la
voce. ‘ Io sono dinamite, Elisabeth!
Attenta a quello che fai!’. Risalì le
scale e vinsi la battaglia”
TALETE:
“Caro diario,
Giorno 12, nessuno si è ancora
accorto che sono qui sotto. Sono
accidentalmente caduto in questo
pozzo e da quel momento non
ho mosso passo da questo luogo.
Talvolta mi capita che qualcuno
passi di qui e scambi quattro
chiacchiere con me, ma mi faccio
prendere troppo dal discorso e
finisce che mi scordo di chiedergli
aiuto. Comincio a sentire un leggero
senso di malessere quaggiù, è tutto
così umido. Ed ho anche sete.”
CATULLO:
“Caro diario,
Lesbia è una troia.”
Dedalus | 2015 21
Touschek times
De Banalitate Vitae
di Peppino D’Ecclesiis
Liceo Scientifico Touschek, Roma
Arriva
finalmente,
come
promesso,
il
gemellaggio
con
il
Touschek
Times!
Dalla voglia di allargare gli orizzonti del Dedalus e di offrire a voi appassionati lettori punti
di vista sempre nuovi e sempre più interessanti abbiamo deciso di completare sulla carta la
collaborazione, iniziata alla fine dello scorso anno, con il giornalino studentesco del Liceo
Scientifico “B. Touschek” di Grottaferrata. Che l’entusiasmo che questo scambio di articoli e
di idee sta producendo nella nostra e nella loro redazione possa riservarvi belle sorprese!
Lettore, s’hai afferrato questo tomo
per trovarvici precetti morali
e etici che fanno bene all’animo,
ti prego subito di richiuderlo
e di riporlo su quello scaffale,
se t’ha attirato la rilegatura,
ti suggerisco di fare lo stesso.
Noi non siam qui, o amico, per erudirti
sulla difficile arte del vivere,
lasciamo questo arduo e tedioso officio
ai filosofi di fama e valore
ch’adesso staranno scrivendo un saggio
su come viver senza sofferenza
in dieci semplici e pratiche mosse.
Non possediam alcuna medicina
per curar la tua miserabil vita,
ma orsù! Sorridi mentre stai leggendo
ché ti darem molti utili consigli
al fine di renderla interessante
e combatter il banal quotidiano
ch’attanaglia questa nostra esistenza.
Tenterem di spiegarci migliormente:
noi t’insegnerem come ci s’atteggia
in situazioni noiose e normali,
ove il banale impera incontrastato,
per farle originali e dilettuose.
22 2015 | Dedalus
Quindi, caro ed insofferente amico,
spargiamo sale su una vita sciapa.
Scuole medie
L’orientamento alle medie
Sotto determinati aspetti, come
l’organizzazione e il metodo
di studio, la terza è l’anno più
impegnativo delle medie. Ma ancor
prima dei temutissimi esami, un
momento molto importante che i
ragazzi come noi si trovano a dover
affrontare è quello della scelta della
scuola superiore. Tra le scuole, se si
possono definire più “gettonate” o
più note troviamo: l’Istituto Tecnico
Industriale Statale, comunemente
chiamato ITIS, il Liceo Classico, il
Liceo Scientifico, il Liceo Artistico.
Oltre a queste scuole superiori ce ne
sono molte altre, alla nostra classe
meno note, come: l’Istituto “Vittoria
Colonna”, che comprende il Liceo
Linguistico e il Liceo delle Scienze
Umane (Psicopedagogico), l’Istituto
Professionale Industria e Artigianato,
più conosciuto dai ragazzi come il
Poesie
“Margaritone”, l’Istituto Tecnico per
ragionieri e quello per geometri. La
maggior parte dei ragazzi nella nostra
classe è più orientata verso l’ITIS: in
questa scuola si studiano le materie
scientifiche e dal terzo anno ci si
può specializzare in chimica, fisica,
meccanica o informatica, e finita la
scuola hai più probabilità di trovare
lavoro nell’ambito scelto, cosa che
uscendo dai licei non accade. Chi
intraprende questo tipo di scuola
infatti, nella maggior parte dei casi,
deve fare l’università e laurearsi.
E forse è proprio questo aspetto
che spaventa un po’ noi ragazzi. Il
Liceo Scientifico e il Classico sono
la meta dei ragazzi che preferiscono
le materie classiche. Molti non
prendono in considerazione queste
scuole perché le giudicano troppo
impegnative e difficili essendoci
Moraleggiando
anche le lingue antiche come il
latino e il greco. Queste lingue,
però, possono aiutare negli studi
chi intraprenderà una carriera
nell’ambito scientifico o medico. I
ragazzi però giudicano queste scuole
e le altre senza conoscere i loro
programmi di studi, i loro indirizzi
né le attività e i corsi extrascolastici
che offrono. Aspettiamo quindi
che la nostra scuola inizi l’attività
di orientamento con tutte le scuole
superiori presenti nella nostra città.
Sicuramente c’è chi ha le idee più
chiare su cosa farà in futuro e chi
meno, ma tutti dovremo fare questa
scelta, e ovviamente i genitori, gli
amici e gli insegnanti sono pronti
a dare dei consigli, ma alla fine i
ragazzi devono scegliere valutandosi
sulla base delle proprie capacità
e dei propri limiti e senza tenere
conto delle scelte dei compagni.
di Adele Severi
Mi piace vivere in questo mondo egoista, doppiogiochista,
in cui l’io è opportunista.
Mi piace pensare
che sono il centro dell’universo considerandomi il tutto
e negando il diverso.
Mi piace pensare
di poter costringere gli altri
a fare
tutto ciò che mi pare.
Mi piace fare la moralista
verso chi non fa il suo dovere costringendo chiunque a sedere di fronte ad un professionista che dà un voto con
piacere.
Mi piace difendere con le unghie i miei interessi
sapendo che contano solo essi; le altre opinioni,
l’altra gente,
a confronto,
non valgono niente.
Mi piace vivere in un mondo così “vario” sapendo che quello che penso
è tutto il contrario.
Dedalus | 2015 23
24 2015 | Dedalus