N.2 dicembre 2015 - Liceo Classico "F. Petrarca"
Transcript
N.2 dicembre 2015 - Liceo Classico "F. Petrarca"
DEDALUS N°2 Dicembre 2015 Un regalo sotto l’albero Sommario 3. Editoriale Alessandro Miro 4. A volte ritornano Un altro pezzo si aggiunge al puzzle di Renzi: ecco la riforma costituzionale - Riccardo Borgheresi 6. Attualità A Parigi L’occidente combatte contro se stesso di Alessandro Miro 8. Minime Moralia 15. Cinematografia Cloud Atlas-Marco Tenti 19. Cineforum Tirami fuori di qui, tempi moderni- Giovanni Rossi 20. Humor Gli entologoi-Tommaso Caperdoni Vignette 22. Touschek Times Enrico Fedeli 10. Scienze Umane “Una volta nel Kula sempre nel Kula”-Leonardo Piomboni 12. Linguistica Sull’evoluzione del sistema vocalico in protoitalicoDidier Natalizi Baldi 13. Arte Dipengere la musica-Rosario Carlino Il mondo dell’arte greca-Sofia Fruscini 2 2015 | Dedalus De Banalitate Vitae 23. Scuole medie (Severi) L’orientamento alle medie 23 Poesie Moraleggiando-Adele Severi Editoriale In quest’ultimo periodo a scuola è avvenuto qualcosa di interessante e fuori dall’ordinario, mi riferisco alle spumeggianti elezioni dei rappresentanti degli studenti. Mentre in passato eravamo abituati a interminabili litanie e mirabili promesse (dai tornei di calcetto fino ai gran ciambellani), quest’anno è andato in scena un vero e proprio show, tragico e comico al tempo stesso. Infatti il normale e pacifico svolgimento della “campagna elettorale” è stato interrotto dall’apparizione inaspettata di quattro baldi giovani: i componenti della famosa lista 3. Con grande arte da oratori e con buona dose di populismo si sono avventurati in un’avvincente narrazione riguardo a quello che vogliono fare per la scuola. Alla fine del discorso, tra l’altro improvvisato sul momento, pubblico infiammato e applausi a scena aperta. Ma a poco è servito tutto questo: la lista 3 ovviamente non era ufficialmente candidata, e dopo le votazioni è rimasto solamente un bel numero di schede nulle Quello del rappresentante degli studenti è un ruolo serio, che richiede impegno e che non va improvvisato, però in fondo questa fantomatica lista, almeno in quella mezz’ora sul palco, ha interrotto la solita propaganda soporifera e ha dato un pizzico di brio in più. Si tratta solamente di capire qual è il limite: va bene ridere e scherzare durante la campagna elettorale, un po’ meno farsi passare come lista ufficiale, ne va del rispetto per gli altri candidati. Comunque i quattro rappresentanti sono stati eletti (Quinti, Caperdoni, Ricci e Landucci) e auguro a loro il meglio. Contemporaneamente sono partite anche le prime iniziative dell’anno. In primis il progetto “Carta degli Studenti”: tessera che permette di avere sconti in diverse pizzerie, librerie, cartolerie, coffee shop e case chiuse (le ultime due no, scherzavo). Quest’anno la “Carta dello Studente” non sarà l’unico progetto, infatti c’è appena stata la prima festa studentesca al “Class 125”. Ancora non ci sono numeri definitivi, però sembra sia stato un grande successo. Il tutto a vantaggio della cassa degli studenti. Passiamo alla notizia “succulenta” del mese. Il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha deciso di rispondere al terrorismo con la cultura: << Per ogni euro in più investito sulla sicurezza deve esserci un euro in più investito in cultura. Non può essere solo securitaria la risposta al terrore>>. Il governo riserverà un miliardo all’educazione. Renzi spiega: << I 550 mila italiani che compiono 18 anni potranno usufruire di una carta, un bonus di 500 euro a testa per poter partecipare a iniziative culturali>>. Di cosa si tratta? I neodiciottenni, attraverso una carta prepagata (probabilmente quella “Io Studio”), avranno a disposizione un cospicuo bonus da spendere in cd, dvd, libri, cinema e teatro. Devo confessarlo: sono rimasto molto colpito da questo annuncio. Fino a qualche anno fa, quando sentivo parlare di cultura, temevo subito il peggio: un’altra riforma in stile Gelmini. Poi per qualche tempo l’argomento è sparito nel nulla, tantoché quasi pensavo che i politici italiani avessero ormai archiviato la parola “cultura”, termine difficile da pronunciare a differenza dei rasserenanti “hashtag” degli ultimi tempi: #lavoltabuona, #cambiareverso, #l’Italiariparte. Ora addirittura, oltre che parlarne, si investe pure nell’ambito dell’educazione. Ma per quale motivo un cambiamento epocale in così poco tempo? Il nostro amato rignanese si è ricordato che anche i diciottenni votano, e che forse non farebbe male una piccola “mancia” in caso di indecisione elettorale. Comunque, al di là degli intenti nobili o meno, i 500 euro sempre rimangono. Un bel regalo di Natale sotto l’albero. PS: A pagina 23 abbiamo pubblicato un articolo della classe 3a dell’istituto Francesco Severi sul tema “orientamento alle medie”. Auguri a tutti Alessandro Miro Inviare gli articoli [email protected] a: dedalus. Redazione: Sofia Casini Alessandro Miro Francesco Tenti Dedalus | 2015 3 A volte ritornano Un altro pezzo si aggiunge al puzzle di renzi: ecco la riforma Costituzionale. di Riccardo Borgheresi Jobs Act, gli 80 euro, La Buona Scuola, l’Italicum, Riforma della Giustizia, Riforma della PA, Riforma pensioni e negli ultimi giorni presentazione della Legge di Stabilità, solo per citarne alcune: se dopo sei mesi veniva criticato per non aver tenuto fede al progetto di riforme presentato al popolo italiano, adesso Renzi va, “alla faccia dei gufi”! Il percorso di queste riforme per il Governo non è stato facile, sia per problemi interni al partito di maggioranza (PD) con l’allontanamento delle minoranze, tra tutti l’uscita di Civati e i suoi, sia per il distacco ormai stabile di Bersani e la vecchia guardia dem. Il Governo ha sempre d’altra parte trovato soluzioni siglando nuove alleanze in Parlamento, dal Patto del Nazareno con Berlusconi all’ultima con Verdini. E la fiducia sale, anche a causa di opposizioni che, a livello nazionale, o sono rimaste esattamente dove erano due anni fa (M5S) o non sono ancora abbastanza forti, seppur cresciuti (Lega) o ormai inutili (Forza Italia). Ultimo pezzo di questo puzzle di riforme è riempito dalla Riforma Costituzionale del Senato e del Titolo V della Costituzione, redatta dal Ministro Maria Elena Boschi, ex studentessa del nostro Liceo. Va premesso che quando ci si appresta a modificare la Carta Costituzionale, l’iter legislativo non segue il procedimento ordinario, bensì quello aggravato, determinato dall’Art. 138 Cost. per cui “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi”. Dopo il positivo passaggio alla Camera, il Ddl è passato lo scorso 13 Ottobre al Senato per la prima deliberazione: 4 2015 | Dedalus 179 i sì, 16 i no, 9 gli astenuti con l’uscita (ormai classica) dall’Aula delle opposizioni Sel, M5S e Lega. Anche se mancano due successive deliberazioni e balena l’ipotesi di un Referendum Confermativo nel 2016, il PD esulta per il sorpasso del Senato, lo scoglio più duro, forse più che per ogni altra riforma. Il Ddl ha avuto infatti un percorso complicato in Senato: proteste da parte delle opposizioni per i tempi contingentati, reazioni della maggioranza come i gesti sessisti all’onorevole Lezzi, gli 82 milioni di emendamenti creati con un algoritmo da Calderoli, olio di ricino, fogli tricolore e chi più ne ha più ne metta. Il clima è giustificabile dalla portata dell’oggetto in questione: con questa riforma vengono modificati 44 articoli (su 139 totali) della Costituzione della Repubblica Italiana, il pilastro primo della nostra sovranità nazionale. Ma in cosa consiste il Ddl Boschi? Fine del bicameralismo perfetto dopo 70 anni. Il numero dei senatori passa da 315 a 100 così ripartiti: 74 consiglieri regionali (almeno due per regione), 21 sindaci e 5 senatori nominati dal Capo dello Stato per sette anni; la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti. Il Senato non avrà più potere di dare o togliere la fiducia al governo, che sarà prerogativa della Camera, e non sarà più parte fondante del processo legislativo ovvero non si avrà più quel ping-pong tra Camera e Senato che ha sempre dilatato enormemente i tempi di approvazione delle leggi. Tuttavia il nuovo Senato concorre alla funzione legislativa per le leggi costituzionali e avrà la possibilità di esprimere proposte di modifica anche sulle leggi che esulano dalle sue competenze: potrà esprimere, non dovrà, su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti e sarà costretto a farlo in tempi strettissimi; il nuovo ruolo di Palazzo Madama è di fatto consultivo. Il Senato della Repubblica assume la nuova denominazione di «Senato delle Autonomie», ed è qualificato come organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, raccordo tra Stato-Regioni-Unione Europea: infatti per quanto riguarda le leggi che concernono i poteri delle regioni e degli enti locali il Senato conserva maggiori poteri. Ciò che più ha fatto discutere è l’art. 2 del Ddl Boschi che stabilisce che i futuri senatori saranno eletti dai consigli regionali, quindi non direttamente dai cittadini, con la conseguente modifica «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge». Questa complicata formula è frutto di una lunga trattativa interna al Partito Democratico: in pratica significa che in futuro i senatori saranno eletti dai consigli regionali che li sceglieranno tra gli stessi consiglieri. La scelta non sarà del tutto libera: i consiglieri potranno eleggere solo quei colleghi che erano stati indicati dagli elettori durante le precedenti elezioni regionali. Riforma al Titolo V “Le Regioni, le Provincie, i Comuni”. Modificando l’Art.117 Cost. viene ampliata la possibilità di devoluzione di poteri dallo Stato alle Regioni e sono eliminate le materie di competenza concorrente. Dunque viene rafforzato il federalismo differenziato: le Regioni più virtuose (quelle che hanno i conti in ordine) saranno premiate e avranno più possibilità di devoluzione di poteri dalla Stato (politiche attive del lavoro, istruzione e formazione professionale, commercio con l’estero, giustizia di pace, disposizioni generali e comuni per le politiche sociali). Da segnalare l’introduzione di una clausola di salvaguardia dell’unità nazionale. Infatti “su proposta del governo la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica”. Abolizione Cnel e Province: gli “enti inutili”. Uno dei simboli della “rottamazione costituzionale” dell’ex sindaco di Firenze è l’abolizione del Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro: non solo l’organo di consulenze delle Camere e del Governo, ma soprattutto – nell’immaginario comune- una delle zavorre a carico delle casse dello Stato. L’articolo 99 della Costituzione verrebbe quindi spazzato via dall’articolo 27 della riforma. Entro trenta giorni dall’approvazione della legge, un commissario straordinario avrà il compito di liquidare e ricollocare il personale. Oltre al Cnel, anche le Province cadranno sotto la scure della riforma del Titolo V: intanto la legge Delrio, entrata in vigore nell’aprile 2014, le ha trasformate in “enti territoriali di area vasta”. La parola “province” è destinata a non esistere più nella Carta Costituzionale. Referendum: entra quello “propositivo”. Per presentare un quesito referendario serviranno sempre 500mila firme, tuttavia il quorum può essere ridimensionato se i comitati ne raccoglieranno 300mila in più: dal 50% più uno degli aventi diritto al 50% più uno dei votanti all’ultima tornata elettorale. Accanto a questa, la riforma parla anche di altre due novità: l’introduzione di referendum propositivi (oltre a quelli abrogativi) e 150mile firme necessarie per presentare una legge di iniziativa popolare. Il triplo rispetto alla soglia attuale. Elezione del presidente della Repubblica. Cambia il quorum: non basterà più la metà più uno degli elettori, ma serviranno i due terzi per i primi scrutini; poi i tre quinti; dal settimo scrutinio saranno necessari i tre quinti dei votanti. Non è facile comprendere la vera portata di questa riforma: all’apparenza tanti tagli per velocizzare un sistema bloccato e per avere qualche rientro a livello statale in più, in sostanza si cela un esecutivo che ne esce sempre più rafforzato a scapito del legislativo (e ciao alla separazione e all’equilibrio dei poteri di Montesquieu). Lo Stato aumenta le sue competenze e per le regioni le speranze sono tutte riposte nel funzionamento del Senato: soltanto con un ruolo effettivo e politicamente rilevante della seconda Camera esse potranno sperare di poter contare qualcosa e di affermare il senso della loro esistenza, senso che il drastico taglio delle competenze rischia di compromettere gravemente. Sappiamo che la seconda Camera sarà composta da consiglieri regionali e sindaci che dovrebbero rappresentare le proprie regioni; ma siamo sicuri che prevarrà l’interesse regionale? Non sarà più “normale” il prevalere di logiche di appartenenza partitiche? I più grandi costituzionalisti italiani sono divisi, dopo tutto non è mai facile passare indenne l’esame di una modifica della Costituzione. Zagrebelsky attacca dicendo che ogni Governo che si succede pensa di poter cambiare la Carta a suo piacimento, parla di “umiliazione del Parlamento”; Renzi ribatte che sì l’equilibrio fra i poteri va rispettato ma l’Italia deve stare al passo coi tempi e il sistema italiano va velocizzato. Solo il tempo e l’applicazione sapranno dirci l’effettiva portata dei punti sopracitati. Nell’imminente è una grande vittoria politica del PD, una “rivoluzione copernicana” del sistema Italia, come dice la Boschi. Mi rendo conto che questo articolo possa aver annoiato i più, non è semplice comprendere una riforma costituzionale senza avere delle basi giuridico-politiche; un po’ di educazione civica al Liceo non guasterebbe. Stare lontani dalla Politica in senso lato significa ignorare ciò che ci circonda, significa annichilire le proprie capacità critiche; non lasciamo che la classe politica si serva di noi facendoci intendere di servirci, rendiamoci liberi con la consapevolezza, riappropriamoci della nostra sovranità, facciamo valere l’Art.1 Cost. “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Dedalus | 2015 5 Attualità A Parigi l’Occidente combatte contro se stesso di Alessandro Miro L’Europa torna a fare i conti con il sedicente Stato Islamico e con attentatori cresciuti in casa. Dalle periferie fino alla politica estera, quante contraddizioni nel caso francese. “Né piangere, ne ridere, ma capire”, così diceva Spinoza nel diciassettesimo secolo. E’passato diverso tempo, ma questa frase è più attuale che mai, soprattutto dopo quanto successo a Parigi. Non è il momento di piangere. Pensavamo già di aver visto il peggio con i morti di “Charlie Hebdo”, eppure la tragedia si è ripetuta dopo appena pochi mesi, questa volta rivelando un attacco ideologico decisamente peggiore. Se, ad inizio anno, i jihadisti si erano scagliati contro la libertà di stampa, ora hanno attaccato i simboli della quotidianità occidentale: il cinema, lo stadio, il ristorante e il concerto. Ciò che per noi ragazzi europei è all’ordine del giorno. Insomma, di lacrime versate in questi giorni ce ne sono state tante, e forse il modo migliore per ripartire è proprio quello di continuare a frequentare quei posti, apprezzandoli ancora di più. No, non è purtroppo il momento di ridere, di prenderla “alla leggera”. E’ difficile comprendere il peso di un evento proprio nel tempo in cui lo si vive, ma riguardo a Parigi, tutti hanno avuto la percezione di un avvenimento altamente destabilizzante, dal quale non è possibile sentirsi estranei. L’Occidente è stato colpito al cuore, nel punto più sensibile, mentre ancora versava sangue per gli eventi di febbraio. Però qualcosa da fare in questo momento c’è, ed è comprendere quanto avvenuto. Sì, perché a volte la realtà si dimostra più complicata del previsto, proprio come in questo caso, per cui è necessaria un’analisi approfondita. In alcuni casi, poi, la storia si ripete, per essere ancora più chiara. A Parigi è avvenuto, e allora non ci sono più scusanti. E’ doveroso capire, o almeno cercare di farlo, anche perché, quanto successo nella “République”, potrebbe ripetersi una terza volta. Forse ciò che è necessario 6 2015 | Dedalus evitare è la semplificazione estrema dei fatti. Parlare con la pancia non aiuta, anzi peggiora ancora di più la situazione. L’opinione pubblica non ha esitato a reagire. Ad azioni forti corrispondono reazioni forti, ed ecco che l’Occidente si è scagliato contro la bestialità degli attentatori. Due precisazioni vanno fatte: la prima è che le bombe di Parigi devono essere assolutamente condannate, la seconda è che non dobbiamo ridurre il tutto ad un semplice scontro tra “civiltà e bestialità”. Sarebbe un errore capitale. “Noi siamo persone normali”, ripete davanti alle telecamere Mohamed Abdeslam, fratello di uno degli attentatori. Le parole di questo ragazzo non sono assolutamente ipocrite, anzi contengono un significato molto alto, che spesso in questi giorni è stato tralasciato. Infatti, se osservassimo con occhio acuto gli attentatori parigini, potremmo accorgerci di un dato fortemente contraddittorio. Ciò che più colpisce è che non sono persone nate in chissà quale teocrazia oscurantista, ma sono figli dell’Occidente. Abbiamo il problema in casa e non ce ne siamo accorti, l’abbiamo trascurato con superficialità. Non è assolutamente di secondaria importanza domandarsi qual è il dramma che hanno vissuto queste persone, cosa li ha portati a sacrificare la loro vita e quella degli altri, cos’è che li ha attratti così tanto da estraniarli totalmente dall’Occidente, terra della quale erano figli. La Francia ha figli e figliastri. Giovani di serie A e giovani di serie B. Da una parte i cosiddetti “francesi puri”, dall’altra i figli degli immigrati. Questa la triste considerazione che va fatta su quel Paese che ancora oggi inneggia ai valori della Rivoluzione di fine settecento. Mai come negli ultimi decenni il motto “Libertè, Egalitè, Fraternitè” sembra così privo di significato e lontano dalla realtà dei fatti. Indubbiamente un ingranaggio si è rotto nei meccanismi della “République”. Proprio quella Nazione che ha fatto dell’accoglienza uno dei suoi valori fondanti, dove milioni e milioni di musulmani sono sopraggiunti e nella quale il multiculturalismo è (stato) un vanto, oggi si accorge di avere degli “alieni” in casa. Forse non serviva arrivare a tanto per comprendere che la maionese francese è impazzita. Questi figliastri non provengono certo dai “salotti buoni” parigini, ma da quei quartieri che spesso sono saliti agli albori delle cronache per le gravi tensioni sociali, proprio come era successo nelle rivolte del 2005. Sono le famose periferie parigine, le cosiddette “banlieues”, quartieridormitori nei quali venivano stipati i poveri nel dopoguerra. In una di queste, Clichy-sous-Boys, non ci sono manifestazioni di solidarietà per le vittime di venerdì o accesi dibattiti come nel centro della città -afferma Federica Bianchi in un reportage per “L’Espresso”- è come se non fosse successo nulla. A dimostrazione di quanto questi luoghi siano realtà parallele, quartieri abbandonati a sé stessi, dove la Polizia non ha nemmeno il coraggio di entrare. Lì si sviluppa la sensazione di essere sempre gli ultimi, in una società nella quale contano soltanto i primi, di non aver la possibilità di emergere perché negata in partenza, di non aver nulla di concreto in cui credere. E’nelle banlieue che i figliastriattentatori sviluppano quel forte sentimento di alienazione rispetto alla società che li circonda. Ed è sempre nelle banlieue che il Califfato fa proseliti. Ma non è solamente il disagio delle periferie ad aver accresciuto l’odio di quelle persone nei confronti della Francia (e dell’Europa intera). In effetti uno dei grandi valori occidentali, la laicità, si è ormai trasformato in un qualcosa di diverso e pericoloso. Per laicità si intende la netta divisione tra dimensione pubblica e dimensione privata. In base a questa concezione Stato e religione sono due entità ben separate, ma il singolo individuo ha la possibilità di seguire un credo. Oggigiorno la tendenza occidentale è di integrare l’individuo senza considerarne la sua specificità, accoglierlo a patto che esso si omologhi e appiattisca la sua fede. Questo stile di pensiero dominante, che guarda alla religione come ad un credo arretrato e ormai sorpassato, non è ovviamente formalizzato, ma è ideologia diffusa. I principi per i quali agiscono gli attentatori sono terribilmente lontani da quelli dell’Occidente odierno. Da ciò scaturisce una contrapposizione netta: valori orizzontali contro valori verticali. La nostra società è incentrata su idee come il consumo, il successo, il denaro. Principi orizzontali in quanto squisitamente terreni. Ai figliastri tutto ciò è precluso in partenza, loro possono solamente osservare da lontano il benessere dell’Occidente, ma mai raggiungerlo. Prigionieri delle periferie. Consapevoli di non aver nulla da perdere. Questi soggetti hanno ripudiato i principi che sono frutto del capitalismo per rifugiarsi in un’ideologia molto più forte, che li rende attori e non solo spettatori, attraverso la quale acquisiscono delle sicurezze, o per meglio dire, una ragione di vita: la “jihad”. Quanto pesa il passato. L’Europa, oltre che concentrarsi su queste importanti tematiche sociali, deve necessariamente ripensare la sua politica estera nelle zone del Medio Oriente. Negli ultimi anni le grandi potenze hanno destabilizzato Paesi come la Siria e l’Iraq in nome della democrazia. Niente di più lontano dalla verità: non siamo andati in quei territori con idee “civilizzatrici”, quanto semmai per impossessarci delle risorse energetiche (petrolio e gas) e per stabilire la nostra supremazia geopolitica. Il prezzo delle nostre scelte è stato indubbiamente alto: non solo li abbiamo privati delle loro ricchezze, ma abbiamo distrutto le loro case, le loro scuole e i loro ospedali, abbiamo trucidato i loro figli, tantoché è addirittura difficile fare una stima dei civili uccisi dalle nostre bombe. Ed è sempre per una questione di interessi che l’Occidente, dopo essere intervenuto direttamente in Medio Oriente, ha anche fomentato e finanziato gruppi di estremisti per rovesciare il governo di Assad, presidente siriano nonché miglior alleato di Putin in Levante. Questi ribelli altri non erano che i miliziani dell’Isis: “Islamic State of Iraq and Siria”. C’è un filo rosso a collegare i fatti di Parigi con quelli del Medio Oriente: gli attentatori francesi hanno agito in nome di un sentimento di rivalsa nei nostri confronti. Una vendetta per tutti i morti che abbiamo provocato nelle terre dalle quali provenivano i loro parenti. Non ha torto Assad a dire che ciò che è successo a Parigi è ciò che succede in Siria da cinque anni. Tradotto: paghiamo il prezzo delle nostre azioni. Contro chi stiamo combattendo? Non di certo contro i “bastardi islamici”, così li ha definiti Belpietro, direttore di “Libero”. Per fortuna l’Islam non ha niente a che fare con questa storia, anche perché la guerra perpetrata dall’Isis è tutt’altro che santa. Lo Stato Islamico sta portando avanti una battaglia di potere, all’interno di questo quadro la religione si colloca solamente come maschera che cela secondi fini. E’ un’illusione utile ad attrarre giovani ragazzi verso il jihadismo, niente di più. Parlare di scontro tra civiltà (Occidente vs. Islam) serve solamente a fomentare l’odio contro un’intera comunità che non è responsabile per quanto è successo a Parigi. E’come creare un mostro che non esiste. L’Occidente in realtà combatte contro sé stesso: in Medio Oriente sta affrontando un suo sottoprodotto, quello Stato Islamico che ha armato e sfruttato e che ora è costretto a combattere dopo gli avvenimenti di Parigi; internamente invece si scontra con i suoi figliastri, persone che ha cresciuto e ha abbandonato al Califfo. Salvo poi scoprire che sono in grado di interrompere la quotidianità. Dedalus | 2015 7 MINIME MORALIA Riflessioni sulla vita disperata - sulle quali si può meditare A cura di Enrico Fedeli La vita di una rubrica del genere offre i medesimi rischi del palinsesto televisivo: far seguire ad un fatto di cronaca terribile la pubblicità dello yogurt dietetico. Non si fa, dedecet! Quando ogni mese mi accingo a riscrivere e compilare i “ghiribizzi” del mese, mi vedo costretto dalla gravità di certi accadimenti a considerare futili e sciocchi, quasi vergognosi, alcuni appunti su fatti – o non-fatti – di secondo piano. Visto che però questa serie di riflessioni non è organica e sistematica – appunto, non filosofica – oserò accostare fatti di diversa natura e preminenza in questa rubrica; mi scuserete pensando che lo faccio in buona Fede. Il mese scorso eravamo rimasti al numero XII, ripartiamo da lì. XIII. Tolgono il disturbo – Sono apparsi sul sito della scuola due manifesti pubblicitari (non so come altrimenti definirli) sui nostri due indirizzi di studi. Quello del Musicale recita “Anche per te la musica è un grande conforto?” e raffigura un gatto che sta spaparanzato su di una chitarra, quello del classico recita “Mettiti in gioco. Vinci le sfide di oggi studiando al Classico con le aree potenziate di matematica, informatica, inglese, scienze”. Premetto che ho spesso dato l’anima per far conoscere questa scuola agli studenti delle medie, perché non mi si accusi di sterile critica. Penso solo – e non solo io - che il messaggio che dobbiamo lanciare è un altro. La musica non fa addormentare, ma entusiasma e ispira. Al Classico ci si va per il greco e il latino, non per 8 2015 | Dedalus l’informatica o l’inglese. Forse – ma non ci credo - lanciare un messaggio di moda, seguire la mania diffusa per le scienze, l’informatica e l’inglese, è utile all’immagine della scuola. Spero solo che, in tutto questo ritocco digitale, della scuola non venga uccisa l’anima. Siamo la scuola di Demostene, Petrarca, Mozart, Nietzsche, non mi sembra ci sia bisogno di rifugiarsi negli antri della banalità e del conformismo per valorizzarci. Non è forse l’essere diversi il nostro più grande punto di forza? Gli studenti di terza media, almeno quelli con cui ho avuto a che fare finora durante le giornate di orientamento nelle scuole, non vedono le scienze come il motivo fondamentale per iscriversi al Petrarca. Anzi, se io fossi uno studente di terza media interessato all’area scientifica, mi iscriverei allo Scientifico, che non ha bisogno di “opzioni” o “sezioni con potenziamenti” per offrire più ore – non sempre contenuti, intendiamoci! – per le materie scientifiche. La possibilità che offriamo è ottima, non mi si fraintenda (le materie scientifiche sono meravigliose, l’informatica essenziale), ma non dovremmo renderla il fulcro della nostra “politica commerciale” questo quel che mi sembra gli istituti superiori progettino ogni anno tra novembre e febbraio. Chi viene da noi non viene per sentirsi dire la stessa retorica di qualche istituto tecnico o di qualche “liceo non-liceo senza latino con diritto e sette lingue straniere”. L’unica cosa che temo è questa: che uno studente interessato alla letteratura venga considerato bisognoso di potenziamenti scientifici e sommerso di informazioni rispetto alla matematica e alle scienze e all’informatica dal terzo anno con elementi di inglese commerciale. Questo studente non farà altro che volgersi altrove: non farà altro che togliere il disturbo. XIV. Utonti – ovvero, la maggior parte degli utenti tecnologici; la mancanza di conoscenze informatiche rende tutta questa psicosi tecnologica contemporanea, almeno ai miei occhi, una terribile catastrofe che si abbatte sull’umanità: un sacco di persone possono eseguire operazioni di base con i loro dispositivi, ma non sanno assolutamente risolvere il più piccolo problema informatico che si presenta loro. A mio parere i corsi di informatica tanto pubblicizzati sono utili alla fruizione dei contenuti, ma inutili per l’”uso consapevole”. Il mondo informatico si è impossessato delle nostre vite, ponendosi alla base, ma nessuno di noi riesce a dominarlo appieno. Nasce quindi la figura dell’utonto, utente tonto che non è in grado di evitare frodi sulla rete, installa programmi malevoli, con qualche “tap” di troppo cambia le impostazioni del proprio cellulare in maniera imprevedibile e non conosce la differenza tra browser, internet e motore di ricerca. XV. Einaudi e la Società delle Nazioni – “La Società delle Nazioni era una lega di Stati indipendenti, ognuno dei quali serbava intatti un esercito proprio, un regime doganale autonomo e una rappresentanza sovrana sia presso altri Stati sia presso la lega medesima. […] Era facile prevedere che essa era nata morta. L’esperienza storica tante volte ripetuta dimostra che le mere società di nazioni, le federazioni di Stati sovrani sono impotenti a impedire, anzi per lo più sono fomentatrici di guerra tra gli stessi Stati sovrani e presto diventavano consessi vaniloquenti, alla cui ombra si tramano e si preparano guerre e si compiono le manovre necessarie ad addormentare il nemico ed a meglio opprimerlo”. Così si esprimeva il futuro presidente della Repubblica Italiana Luigi Einaudi nel 1947. La Società delle Nazione era un inutile e mostruoso essere deforme, in cui non erano presenti i due stati più grandi USA e URSS e gli sconfitti della Grande Guerra (Germania in primis); inoltre per ogni decisione era necessaria l’unanimità: insomma, era un nulla, visto che esistevano sempre gli Stati sovrani. Provate a sostituire nel testo “Società delle Nazioni” con “ONU”. Anche io ho avuto la stessa vostra impressione e lo stesso sdegno che state provando nel vedere come ci sta a pennello, e ho provato a scoprire le occasioni in cui l’ONU ha evitato dei conflitti mondiali. Ne ho trovate poche, per non dire nessuna. Anzi, le risoluzioni del consiglio di sicurezza che conosco meglio, quelle sul problema palestinese, non sono state poi così decisive - forse perché poco rispettate - e a volte pure controproducenti. Il problema principale è la possibilità di veto per i 5 membri di diritto del Consiglio di Sicurezza (Francia, Regno Unito, USA, Russia e Cina): è spesso impossibile trovare un accordo fra le parti. Come diceva Einaudi, i conflitti non sono diminuiti. Si potrà obiettare che i caschi blu dell’ONU abbiano partecipato a molte “missioni di pace”: se solo l’assemblea avesse operato per evitare certe situazioni invece di arrivare a dover curare le ferite della guerra! XV bis. “L’Europa delle Nazioni”? – Einaudi pronunciò il discorso davanti all’Assemblea costituente, di cui faceva parte nella quota dei Liberali, il 27 luglio 1947. Di lì a pochi mesi sarebbe nata la Comunità Economica Europea, il “primo pilastro” dell’attuale UE. Mi ci è cascato l’occhio, purtroppo, ma non mi sembra che anche l’UE sia tanto dissimile dalla Società della Nazioni; gli stati europei sono indipendenti e ciascuno ha un proprio esercito, delle rappresentanze negli altri stati e neanche una parvenza di politica estera comune: l’Alto Rappresentante Mogherini ci sta per bellezza, perché, quando ci sono decisioni importanti da prendere, al tavolo delle trattative siedono i soliti - Presidente francese, Cancelliere tedesco ecc. La differenza sostanziale sta qui: la guerra interna che si trama nell’UE è un conflitto economico, e le dogane sono per questo le uniche assenti tra le caratteristiche della perfetta associazione fallimentare che Einaudi elenca. Anzi, l’assenza di dogane favorisce la “mano invisibile del mercato” e del capitale finanziario, tanto che la dittatura economica e burocratica in Europa non è oggi neanche poi così nascosta: i governi europei di oggi non governano, ma si fanno governare e dirigere dall’economia finanziaria, che foggia ogni loro scelta e indica la strada immediata verso la catastrofe (vedi crisi greca). XVI. La cecità e la sicurezza – Avrei voluto scrivere un articolo approfondito sui fatti di Parigi, ma la questione è ancora troppo calda per poterla maneggiare con un minimo di calma. L’unico fatto che mi sento di far notare - e spero di risultare banale, che insomma tutti se ne siano accorti – è la mancanza da parte di una grandissima fetta dell’opinione pubblica europea di cercare di capire quello che è realmente successo, di ragionare, di tentare un dialogo, fosse interno o esterno, sull’accaduto; solo pochi giorni fa mi sono sentito dire: “A me non interessa, l’importante è che sia scongiurato l’allarme terrorismo, e se proprio vogliono, vadano a fare gli attentati a casa loro”. Chi parla è uno studente universitario, non il primo capitato al bar: tale è la sensazione di molti occidentali, così chiusi nella loro cecità, così desiderosi di starsene al sicuro nelle loro case mentre il mondo è in subbuglio. Dedalus | 2015 9 Scienze Umane “Una volta nel kula sempre nel kula” (Malinowski, Argonauti del Pacifico Occidentale) di Leonardo Piomboni Gli anelli o oggetti affini ad essi sono presenti in quantità considerevoli in moltissime civiltà in tempi diversi e molto distanti, furono spesso annoverati fra gli strumenti aventi particolari poteri malefici o delle volte benefici, in questo caso cari alla magia medica. Uno dei più enigmatici miti platonici è certamente quello di Gige in cui l’anello conferisce al medesimo l’invisibilità; Platone tramite le parole di Glaucone ne critica i poteri dal momento che chi ne entra in possesso può operare impunemente nel male. L’ intento del grande filosofo ateniese non è certamente quello di persuadere il lettore dell’ esistenza di simili poteri, egli utilizza uno dei suoi curiosi miti solo al fine di veicolare un messaggio filosofico, in questo caso potremmo dire sociologico, ma per intessere la sua storia Platone ha evidentemente utilizzato un archetipo, ovvero quello dell’ anello prodigioso, da ricordare a riguardo l’ anello di Salomone al quale vengono attribuiti dal mito svariati poteri come quello di allontanare i demoni o di parlare con gli animali. Le credenze così diffuse in tutto il mondo circa gli anelli sono legate e imprescindibili da quelle riguardo le circonferenze, altrettanto diffuse presso antiche civiltà di tutto il pianeta. Il cerchio richiamava, la compiutezza, l’unione, l’armonia, venendo a rappresentare il cielo e l’intero cosmo oltre che il ciclo della vita poiché nella circonferenza non è dato distinguere un inizio e una fine e ben si presta all’ idea di eternità; non ci deve stupire, quindi, che venissero attribuiti a tale figura geometrica anche poteri sovrannaturali. 10 2015 | Dedalus All’”anello” fino a tempi molto recenti, ad esempio, venne anche attribuito il potere di trattenere e imprigionare lo spirito immortale; controversa appare un’antica massima di Pitagora, secondo la quale non si dovevano portare anelli; nessuno poteva entrare nell’ antico santuario della Dominatrice a Licosura in Arcadia con un anello al dito, inoltre coloro che consultavano l’oracolo di Fauno dovevano, oltre ad essere casti e non mangiare carni anche non portare anelli. J. G. Frazer ci ricorda nel suo “Il Ramo d’ Oro” che fra i molti tabù che doveva osservare il flamen Dialis a Roma c’ era quello di non portare nessun anello dal momento che questo poteva intralciare il potente spirito, insito in lui, nel suo andare e venire; allo stesso modo i Musulmani durante il loro pellegrinaggio alla Mecca non dovevano portare addosso nodi o anelli. Tuttavia, lo stesso potere che impedisce l’uscita dell’anima, può, al contempo, impedire l’entrata degli spiriti maligni, possiamo trovare infatti anelli usati come amuleti contro demoni, streghe e fantasmi; oltre all’ esempio di re Salomone, nel Tirolo era diffusa la credenza che una partoriente non dovesse mai togliersi l’anello nuziale per non rendersi vulnerabile ai poteri di spiriti e streghe. Altre superstizioni riguardo gli anelli, questa volta però non legate a presunte potenzialità costrittive, come ho riportato sopra, erano diffuse nelle Marche: si credeva che se l’ anello della sposa avesse oltrepassato la seconda falange il marito si sarebbe comportato da tiranno e avrebbe bastonato la moglie; questa superstizione fu tanto diffusa nei secoli passati che vari concili dovettero intervenire condannandola, mentre in Abruzzo, per otto giorni, la nuova coniugata non deve toccare l’ acqua “per non guastare la fede”. Ma usciamo dal bacino del Mediterraneo e andiamo in Lapponia, qui la persona preposta a deporre un defunto nella cassa, deve ricevere un anello di ottone dai familiari, che dovrebbe proteggerlo da qualsiasi male voglia fargli lo spirito del morto. In quella che veniva chiamata “costa degli schiavi”, ancora oggi le madri, qualora un figlio deperisca, credono che un demone sia dentro al bambino e per farlo uscire tra le altre pratiche attaccano degli anelli di ferro alle caviglie del piccino dopo che quest’ ultimo abbia bevuto il sangue di un sacrificio: il sangue serve per cacciare il demone e gli anelli per impedire che rientri subito dopo nel corpo del piccolo; similmente i Bagodo delle Filippine mettono degli anelli di fili di rame attorno ai polsi e alle caviglie dei malati. Possiamo notare, quindi, come gli anelli o elementi affini potessero, come già accennato all’ inizio, assumere, secondo numerose tradizioni e/o superstizioni anche poteri taumaturgici. March Bloch nel suo “I Re Taumaturghi” scrive che nel Medioevo, ad ogni venerdì santo i re d’Inghilterra, da Edoardo II a Enrico V adoravano, come qualsiasi buon cristiano, la croce, nel loro caso la croce di Gneyth, una reliquia che Edoardo I avrebbe conquistato ai Gallesi e nella quale si credeva fosse inserito un piccolo frammento del legno della croce di Cristo; ma dopo questo consueto rituale si procedeva ad una pratica singolare, non appartenente al rito tradizionale: era la deposizione da parte del re di un offerta in oro e argento sull’ altare e con questi metalli così consacrati venivano poi fatti fabbricare degli anelli, ai quali ,essendo il termine ultimo di una serie di riti sacri, venivano attribuiti poteri guaritori, in questo caso contro gli spasmi muscolari e spesso contro l’ epilessia, da cui il nome di “cramp-rings”, anelli contro il crampo. Tuttavia gli anelli miracolosi potevano essere fabbricati, anche senza dover ricorrere al rito regale, dai singoli sudditi, sempre sotto la supervisione e la guida di uomini di chiesa, con riti diversi a seconda del luogo e anche fuori dall’ Inghilterra. In alcune zone d’Italia, ad esempio, fino alla metà del secolo scorso era piuttosto diffusa la pratica di usare la fede nuziale come strumento per “segnare” una croce su qualsiasi parte del corpo si avessero infezioni, gonfiori, irritazioni o semplicemente dolori. Nel Medioevo, quando l’utilizzo degli anelli sfuggiva al controllo dei poteri, spesso anche i più inoffensivi potevano essere sospettati di stregoneria e soprattutto coloro che li possedevano. Gli anelli di Giovanna d’ Arco, ad esempio, destarono numerosi sospetti ai suoi giudici e la poveretta dovette difendersi giurando, come immaginerete senza convincere il tribunale, che non se ne era mai servita per guarire qualcuno. Si deve ricordare, tuttavia, che sessant’ anni fa, come del resto ancora oggi, (anche se certe credenze sono ormai meno diffuse pur non essendo ancora sradicate) simili pratiche non venivano più effettuate da re o sacerdoti al fine di rafforzare la propria influenza e il proprio potere sul volgo, bensì da persone comuni, che specie nelle campagne, dove in molti casi non c’ erano i mezzi e le possibilità di curarsi diversamente, si assumevano il compito di taumaturghi profittando dell’ ignoranza, della credulità e soprattutto della disperazione dei più poveri. Jacques le Goff nella prefazione a “I Re Taumaturghi” di Bloch afferma: < Il miracolo esiste a partire dal momento in cui ci si può credere e tramonta e poi sparisce quando non ci si può più credere. >. In ogni modo è inappropriato giudicare simili credenze dal punto di vista di gran parte di noi uomini occidentali del XXI secolo con una sensibilità inevitabilmente diversa da quella dei nostri avi o di molti dei nostri contemporanei nati e vissuti in contesti diversi dal mondo occidentale. Sarebbe invece utile per l’umanità cercare di assimilare e comprendere tutti gli elementi di ogni singola cultura, non rispettare, ma amare la varietà delle esperienze, cercare d’ altro canto le analogie e assonanze che come abbiamo potuto osservare sono presenti, in modo più o meno manifesto, fra di esse, lasciare gli angusti confini dei propri costumi e la nostra parziale visione del mondo, non rinnegandoli, bensì arricchendoli e affinandoli. Elementi decorativi provenienti da Papua, nella Nuova Guinea. Dedalus | 2015 11 Linguistica Sull’evoluzione del sistema vocalico in Protoitalico di Didier Natalizi Baldi Nell’articolo del mese scorso abbiamo iniziato la trattazione del tema che, appunto, intendiamo proseguire in questo articolo. Partiamo dunque con la vocale in PIE *h3e/h3 da cui il PIT ŏ, quindi in Latino ŏ, in Osco ù oppure o (Osco antico u, sempre u in grafia latina) sebbene esistano alcune eccezioni, per esempio davanti a liquida o nasale e consonante [R/N+K] si trova u, anche in grafia nazionale, come, d’altra parte, nella desinenza PIT *-ŏm (ad esempio trutum). In Umbro antico abbiamo generalmente u, in neo-umbro o; anche qui valgono le eccezioni citate poco fa (ad esempio tursitu che parrebbe valere il latino terreo). I dialetti Sabellici seguono, in genere, l’Osco, per esempio il Peligno ha pritrom (lat. protinus), il Sabino dumom (lat. domun). Ulteriori esempi possono essere PIE *h3evi, quindi il PIT *ŏwi, ed, infine, il lat. ovis “pecora”, e l’umbr. oui. Ancora il PIE *ph3tis da cui il PIT *pŏtis quindi il lat. potis “potente, capace” e l’osc. pùtìad, pùtìans. In Latino, però, come sempre, non mancano le eccezioni: ŏ passa infatti ad u se di fronte a nasale velare oppure alla nasale m (per esempio lat. ant. honc, dal PIT *hom-ce, passa nel latino classico a hunc “questo”. Come dal PIT *ongos di ha il lat. unguis “unghia”, mentre in altre lingue indoeuropee l’esito è diverso, cfr. grec. ὄνυξ) o, ancora, se davanti a velare [ł] e consonante (per esempio dal PIE *solc-os abbiamo il lat. sulcus “solco” mentre in grec. ὁλκός). Ŏ passa ad a se è davanti alla semiconsonante v e se il gruppo è nella sillaba precedente l’accento (per esempio in cavère). Il gruppo vo passa, invece, a ve davanti a r, s, t; parrebbe invero, dalle attestazioni che abbiamo, che questo sia un mutamento avvenuto intorno al II sec. a.C., ad esempio vorsus, (l’analisi di questo fenomeno è stata alla base della relativamente nuova lettura dell’Odusia di Livio Andronico al v. 1 vorsutum, invece di versutum posteriore, come epiteto di Odisseo, corrispondente al greco 12 2015| Dedalus PARTE II πολύτροπον). Infine abbiamo, di nuovo, u per ŏ se di fronte ad r in sillaba chiusa o in una parola di origine dialettale (per esempio ursus dal PIT *orso-s). Passiamo dunque ad analizzare la corrispondente lunga PIE *eh3 donde il PIT *ō e, in seguito, il Latino ō, l’Osco ū rappresentato da u, uu, ù, l’Umbro ō, il Peligno ū, il Marruccino u. Possono, adesso, fungere da esempi parole come il lat. domus “casa”, dal PIT *dōmos, da cui anche l’osc. dumum, anche scritto, dùmùm. Abbiamo però nella desinenza dell’ablativo singolare e dell’imperativo singolare –od, ū per ō in Osco, per esempio lìkitud vale il lat. liceto “sia lecito”. Abbiamo invece, parrebbe, un’alta intercambiabilità nelle desinenze del nominativo plurale, PIT *-os, e del genitivo plurale, PIT *-om. In Umbro abbiamo diversi casi: nella desinenza del nominativo plurale, dei temi in –o, troviamo ora –or ora – ur (ad esempio sereitor), nel genitivo plurale ora –om, ora –o (ad esempio fratrom ma troiamo altrove buo), infine la desinenza dell’ablativo PIT *-od, passa costantemente ad ū (ad esempio peplu). Nei dialetti Sabellici non abbiamo, invero, molte attestazioni di questa vocale, ma si può citare nel Peligno puus come corrispondente del pronome relativo, in lat. quis; nel Marruccino, invece, esue dal PIT *esod-e al caso ablativo, il lat. eo, infine in Volsco estu è certamente da ricondursi al lat. esto. Adesso analizzeremo l’ultima vocale, partendo con la breve, PIE *u quindi in PIT *ŭ, donde il Latino ŭ, l’Osco ŭ, l’Umbro ŏ, in Peligno e Marso generalmente u. Come esempi di concordanze citeremo il lat. puer “giovane” corrispondente del’osc. puklum (sebbene quest’ultimo sia al genitivo plurale); oppure il lat. suppus “supino” corrispondente dell’umbr. sopam (benché all’accusativo femminile singolare), oppure l’umbr. trifo da ricollegarsi al lat. tribum “tribù”. I dialetti Sabellici sono regolari, anche se ci manteniamo cauti vista la scarsità di attestazioni, abbiamo infatti il pel. puclois e il mars. pucles per il lat. pueris (dativo plurale) “ragazzo”. Tra le particolarità rileviamo che in Umbro ŭ muta in ĭ nel termine combifia probabilmente dalla stessa radice del verbo latino nuntiare “annunciare” ed del grec. πυνθάνομαι “informarsi”, ovvero il PIE *bhudh-. In Osco invece, dopo le dentali (d, t, m, s), tranne se viene utilizzata la grafia latina, si trova iu per ŭ, ad esempio tiurrì corrispondente al lat. turrim (accusativo singolare) “torre”. In Latino, infine, tra la liquida l e occlusiva labiale, la ŭ passa ad i, probabilemente con un passaggio intermedio in ü (il che in altra notazione sarebbe [l-u-P (-> l-ü-P) -> l-i-P]). Concludiamo, quindi, la nostra analisi con l’ultima vocale, PIE *uh1 quindi in PIT *ū, donde il Latino ū, l’Osco ū, rappresentato da uu oppure da u, l’Umbro i, il Peligno u oppure i ed il Volsco i. Il Latino riflette più o meno, comunque, l’esito di tutta l’area indoeuropea, infatti, da il PIE *muh1-s, abbiamo il lat. mūs “topo”, il grec. μῦς, l’aat. mūs e l’umbr. sìfisi, analogo è il caso del lat. sūs “maiale”; inoltre non si rilevano particolari eccezioni. Per l’Osco citiamo ad esempio il termine fruktatiuf approssimativamente equivalente al lat. fructus “frutto”. In Umbro abbiamo frif per il lat. fruges “frutti, messi”, oppure pir (oppure pure all’ablativo singolare) che parrebbe da ricondursi al grec. πῦρ “fuoco”. Per il Peligno abbiamo come esempio il sostantivo saluta, come la dea latina, dove la u si mantiene e clisu, corrispondente del lat. clusa (nominativo femminile singolare) “chiuso”, dove diviene i. In Volsco abbiamo bim forse da ricollegarsi al latino bovem (accusativo singolare) “bue”. Sperando di aver interessato con questa analisi, anche se un po’ specialistica, vi ringrazio per l’interesse: al prossimo mese. Arte Dipingere la musica di Rosaria Carlino Sono venuta a conoscenza delle opere di Lionello Balestrieri grazie a una mostra sui macchiaioli, ma definirlo un esponente di questa corrente sarebbe riduttivo. Infatti l’artista - vissuto tra il 1872 e il 1959 -, dopo una formazione all’Accademia di belle arti di Napoli, trascorse diversi anni a Parigi, stando a contatto con artisti che influirono sul suo stile, che acquisì un carattere bohémien; bisogna tenere conto anche delle tele di ispirazione impressionista, cui ne seguirono anche altre a carattere sociale e – nel periodo fascista – una vicinanza al futurismo. Ma il motivo che si affaccia con maggiore insistenza nel corso di tutta la sua opera è quello musicale. Fin dagli esordi tentò di esprimere con i suoi dipinti ciò che viveva grazie all’ascolto della musica, ed è bene notare che ottenne la fama nel 1899 proprio grazie al quadro “Beethoven”, olio su tela, di cui all’epoca circolarono numerosissime copie. Qui vediamo, all’interno di una stanza debolmente illuminata, a destra un violinista e il pianista che lo accompagna; di entrambi non possiamo vedere i volti, ma i loro atteggiamenti, la loro gestualità fanno quasi intendere l’intensità del brano musicale. Al muro è attaccato il calco del viso di Beethoven e immediatamente a sinistra, nascosto quasi nella penombra, troviamo un giovane pensieroso, preso dall’esecuzione. Così appaiono anche gli altri quattro soggetti seduti sul divano a sinistra, chi più chi meno. Uno di questi si getta addirittura la testa fra le mani. Forse solo la ragazza, con lo sguardo rivolto - sembrerebbe quasi - al pittore, ascoltando la musica, più che soffermarvisi, si lascia prendere da altri pensieri, mentre appoggia affettuosamente la mano sulla spalla del vicino. L’ambiente – fogli per terra, un vago disordine, un ragazzo con i piedi sul divano – ci riporta alla mente il tratto bohémien di cui avevo parlato. Le figure sembrano quasi sfocate, i contorni irregolari fanno percepire un movimento. Anche i colori caldi – che dal giornalino penso non potrete vedere – contribuiscono a creare una sensazione di intimità e di empatia dell’osservatore verso i soggetti del quadro. Difatti la tela fu parte dell’Esposizione Universale del 1900 dato che “riscosse un grande successo, perché rispecchiava certi ideali romantici della fine dell’Ottocento”. Fu acquistato dal Museo Revoltella di Trieste, dove si trova tutt’ora e tra l’altro, dopo questo grande successo il Balestrieri strinse amicizia con grandi musicisti, come ad esempio Puccini. L’opera, comunque, è ispirata alla vita di stenti trascorsa dal pittore a Parigi. Il ragazzo con la barba in primo piano, dallo sguardo serio, è lo stesso Lionello. L’opera, che era esposta nella mostra sui macchiaioli, mi ha subito colpito; penso che sia notevole riuscire a rendere con un’immagine, che si lega solo al senso della vista, oltre alle emozioni dei soggetti, la musica. Non potendo mettermi qui a descrivere tutte le altre opere che Lionello Balestrieri le dedica, vi consiglio comunque di cercarle. Dedalus | 2015 13 “Il mondo dell’arte Greca” di Sofia Fruscini Il libro “Il mondo dell’arte greca” di Tonio Hölscer, insegnante di archeologia classica presso l’Istituto Archeologico Germanico di Roma, pubblicato a Torino nel 2008, mette in luce lo sviluppo della cultura greca attraverso un percorso fatto di immagini e testimonianze. Non troppo diversamente dal nostro quotidiano, ricco di fotografie, ritratti, icone, effigi e simulacri, il mondo dei Greci era pieno di immagini. Statue di dei, eroi, uomini politici - avvertiti come vivi, reali, presenti - fiorivano nei templi, nelle strade, nelle piazze; marmi e distinti erano parte integrante di edifici pubblici, impianti sportivi, teatri. Le immagini rivestivano, quindi, un ruolo di primaria importanza in tutti i momenti della vita sociale: ciò ad evidenziare una volta di più che l’arte antica è essenzialmente arte sociale, nata per scopi molto lontani da quelli di una semplice contemplazione estetica. Le opere d’arte scaturivano appunto da motivi religiosi e sociali vivi,vitali e concreti. Con questo volume che aiuta e stimola il lettore ad approfondire forse la più grande stagione artistica che l’umanità abbia conosciuto, Hölscer intende presentare opere dell’arte greca nel loro contesto sociale, spaziale e culturale attraverso l’età arcaica, classica ed ellenistica. Il periodo arcaico è caratterizzato dalla rappresentazione dei corpi incarnanti l’ideale classico del “kalos kai agathos”. La bellezza, la prestanza fisica è considerata incarnazione dei valori etici. Fiorisce la produzione di “kouros” e “korai” che rappresentano il futuro della comunità: statue di giovani e giovanette dal fisico atletico ben modellato, influenzato dall’arte egizia. Derivate dalle culture mesopotamiche, compaiono immagini di uomini e animali con fattezze stilizzate, mentre sui vasi si dipingono soprattutto scene di battaglia, ma anche momenti di vita privata, come banchetti e riti funebri. Attorno al quinto secolo, con le vittorie sui Persiani e il conseguimento dell’egemonia culturale, l’arte greca si caratterizza per opere “patriottiche” tese ad esaltare e a celebrare lo Stato: ecco quindi le statue dei Tirannicidi, le pitture di Polignoto che ripercorrono i momenti fondamentali della storia ateniese, la gigantesca statua di Atena scolpita da Fidia posta nel Partenone, entrambi altissimi simboli del potere e di un grande momento dell’arte figurativa di tutti i tempi. Verso la fine del quinto secolo l’arte greca comincia ad evidenziare una maggiore attenzione verso gli aspetti della vita privata e verso le caratteristiche individuali delle persone: fra gli dei, i più rappresentati sono Dioniso ed Afrodite, l’uno dio dell’ebrezza e l’altra dea del piacere. Nei ritratti di uomini politici, poeti e filosofi, gli artisti mettono in luce i tratti salienti del carattere di coloro che rappresentano. Nell’epoca di Alessandro Magno, all’ampliarsi dei confini del mondo conosciuto e all’accentrarsi della nobiltà sociale corrisponde una maggiore varietà di soggetti artistici. Si arriva a raffigurare figure quotidiane e popolari, mentre l’arte monumentale rappresenta i sovrani e i soggetti mitologici con effetti spettacolari e dettagli realistici. 14 2015| Dedalus Cinematografia CLOUD ATLAS Tutto è connesso: l’epopea dei Wachowsky e di Tykwer nel tempo e nello spazio di Marco Tenti “La nostra vita non ci appartiene. Da grembo a tomba siamo inevitabilmente legati ad altri.” Hanks) C’è una sorta di ironia intrinseca nella storia di Cloud Atlas: è un film in cui dei personaggi, per definizione creature schiave delle logiche dei loro creatori, si ritrovano chi in un modo chi in un altro a ricordarci che neanche noi uomini reali siamo completamente liberi. Parla molto di libertà Cloud Atlas, così come di politica, di società, di storia, di musica e di molto altro ancora, e per farlo sfrutta un’incredibile varietà di toni e generi, di emozioni e riflessioni, di ambientazioni spazio-temporali. Sono sei storie, sei protagonisti, sei diverse libertà violate in sei diversi contesti storici, tutti e sei posteriori a quell’illuminismo che proprio la libertà ha posto come obiettivo principale del mondo occidentale. “Tutti i confini sono convenzioni. In attesa di essere superate. Si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare. In momenti come questo, sento chiaramente battere il tuo cuore, come sento il mio. E so che la separazione è un’illusione. La mia vita si estende ben oltre i limiti di me stesso.” -Il viaggio nel Pacifico di Adam Ewing (1849) “Che cos’è l’oceano se non una moltitudine di gocce?” Adam Ewing (Jim Sturgess) è un avvocato proveniente dal completamente democratico e fondato su principi egualitari Stato americano che sta compiendo un viaggio nel Pacifico per chiudere un accordo commerciale in nome del suocero. Là, nelle isole Chatham assiste alla condizione di schiavitù in cui sono tenuti i Moriori, antichi abitanti del luogo, presso i quali l’uso delle armi era proibito, da parte di un gruppo Maori, sostenuto e supportato dagli americani che lì risiedono, anch’essi sfruttatori di schiavi. Uno di questi però, Autua (David Gyasi) riesce a scappare e a imbarcarsi clandestinamente sulla nave dove si trova Ewing, che, anche se non lo sa, è in grave pericolo, nel mentre conosce e stringe amicizia con il dottor Henry Goose (Tom -Lettere da Zedelghem(1936) Robert Frobisher (Ben Wishaw) è un giovane e talentuoso compositore inglese che nasconde un segreto: è bisessuale. Per riuscire a sostentarsi mentre tenta di comporre quella che lui stesso è modestamente convinto sarà una sinfonia rivoluzionaria, “L’atlante delle nuvole”, trova lavoro come copista in Scozia presso Vyvyan Ayrs (Jim Broadbent), una semicieca vecchia gloria della musica del tempo, oramai in pensione. Robert innesta in lui una nuova verve creativa, forse, o forse le cose non stanno come sembrano. Intanto si dedica alla lettura del diario di bordo di Adam Ewing, mentre scambia epistole con il suo amante, Rufus Sixsmith. -Il primo caso di Luisa Rey(1973) “La fede, come la paura o l’amore, è una forza che va compresa come noi comprendiamo la teoria della relatività, il principio di indeterminazione, fenomeni che stabiliscono il corso della nostra vita. Ieri la mia vita andava in una direzione, oggi va verso un’altra, ieri credevo che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi, queste forze che spesso ricreano tempo e spazio, che possono modellare e alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo che spiriamo. Le nostre vite e le nostre scelte, come traiettorie dei quanti, sono comprese momento per momento, a ogni punto di intersezione, ogni incontro suggerisce una nuova potenziale direzione” Lusia Rey (Halle Berry) è una giornalista americana in una rivista leggera e di poco spessore, figlia e all’ombra di un padre poliziotto e reporter di zone di guerra, conosce per caso l’anziano Rufus Sixsmith, fisico nucleare in pensione, dal quale scopre che la centrale nucleare che sta per essere inaugurata in città è insicura e pericolosa. Il prezzo di questa confessione è per Rufus la vita, poiché verrà ucciso da un assassino assoldato dai proprietari della centrale (Hugo Weaving), che dopo si mette sulle tracce di Luisa. Intanto, a casa di Sixsmith entra in possesso delle lettere da e per Robert Frobisher -La tremenda ordalia di Timothy Cavendish (2012) “Libertà, il frivolo motivetto della nostra civiltà, ma solo quelli che ne sono privati hanno il benché minimo sentore di cosa sia realmente” Timothy Cavendish (Jim Broadbent), scrittore e piccolo editore a Londra, ha un’immensa fortuna: il gangster autore dell’ultimo libro che ha pubblicato assassina un critico che l’aveva stroncato gettandolo da un balcone: il libro vende moltissime copie. I fratelli dell’autore però minacciano Cavendish per ottenere la maggior parte dei guadagni, e lui si vede costretto a chiedere aiuto economico al fratello Denholme, che però lo spedisce con l’inganno in una casa di riposo in Scozia, a Zedelghem. Qui deve subire le angherie di una diabolica infermiera (Hugo Weaving) e dei suoi assistenti, mentre insieme ad alcuni compagni organizza la fuga; intanto scopre in un pacco ricevuto poco prima dell’internamento il racconto Dedalus | 2015 15 dell’indagine di Luisa Rey. -Il verbo di Sonmi-451(2144) “Nella tua rivelazione hai parlato delle conseguenze della vita di un individuo che si spandono per tutta l’eternità. Questo vuol dire che credi in una vita nell’aldilà, nel paradiso e nell’inferno?” “Io credo che la morte sia solo una porta, quando essa si chiude, un’altra si apre. Se tenessi a immaginare un paradiso, io immaginerei una porta che si apre e dietro di essa lo troverei lì, ad attendermi” Sonmi-451 (Doona Bae) è un artificio che lavora in un fast-food di NeoSeoul. Il distopico mondo coreano del ventiduesimo secolo è basato interamente sul consumo, sulla tecnologia e sullo sfruttamento proprio degli automi come Sonmi. Tutto cambia quando viene salvata da Hae-Joo Chang (Jim Sturgess), membro della resistenza che lotta per abbattere il regime; poco prima riesce a vedere un vecchio film, ispirato alla vita di Timothy Cavendish, mentre il pianeta sta lentamente appassendo a causa di zone radioattive che si vanno via via ingrandendo. -Sloosha Crossing e tutto il resto “E’ tutto una massa di fumo. Gli antichi c’hanno saviezza, hanno piegato malattie e semi fatto miracoli, volati nel cielo” “Vero, tutto vero, ma c’hanno altra cosa, una fame in loro cuori, fame più forte di tutte le loro saviezze” “Fame, di cosa?” “Fame di altro”. 16 2015 | Dedalus Zachry (Tom Hanks) vive nella Valle insieme alla sorella e alla nipote in un piccolo villaggio. A causa del morso di un pesce la piccola rischia la morte, ma viene salvata da Meronima (Halle Berry), una dei prescienti, un gruppo di uomini che ancora conserva una parte della conoscenza degli Antichi. In cambio Zachry deve aiutarla a riattivare dei trasmettitori per mettersi in contatto con le colonie planetarie, mentre pare essere perseguitato da un demone (Hugo Weaving) e mantiene una salda fede nella sua divinità, Sonmi-451 Se avete letto questo lungo ma necessario riassunto delle sei storie che compongono Cloud Atlas, avrete sicuramente notato una peculiarità: i nomi degli attori che interpretano i vari personaggi ricorrono in più storie. Il nucleo della vicenda è infatti l’anima, la sua sopravvivenza alla morte del corpo e il suo reincarnarsi nel tempo: ogni interprete, ogni anima ha la sua specifica natura, il suo carattere e la sua mentalità, e si sposta all’interno dello spazio-tempo senza vincoli, perpetrando la propria opera, ma dipendendo anche dalle azioni delle vite precedenti e sempre libera di poter cambiare; è così che si completano e si fondono i due poli opposti della predestinazione e del libero arbitrio: ogni uomo è condizionato nella sua esistenza da ciò che ha fatto nella sua vita precedente e dal contesto in cui è calato, eppure rimane sempre libero di scegliere quale ruolo interpretare nel suo frangente di storia; così anche il più viscido traditore, a distanza di mille anni, può diventare un amorevole genitore; le ispirazioni orientali della filosofia dei Wachowsky vengono fuori così in tutto il loro splendore, dando grande profondità al film, che abbraccia così anche l’area metafisica della riflessione umana, oltre che di quella terrena e sociale. Al di là delle anime che le vivono, le storie di Cloud Atlas sono legate dal filo conduttore della libertà, come accennato all’inizio: tutti, in questa epopea, la ricercano, poiché ne sono sistematicamente privati: Adam ogni valore del suo paese calpestato dai suoi stessi abitanti, unitisi cent’anni prima sotto il segno dell’indipendenza e dell’uguaglianza, e al suo tempo massa di fanatici schiavisti; Frobisher, più che dei pregiudizi della società sul suo amore, è straziato dalla sua impossibilità di sostentarsi facendo ciò che ama, ovvero comporre, ma vive costretto al servizio di un vecchio arrogante e invalido, più interessato a sfruttarlo che ad aiutarlo a farsi strada; negli anni ’70 Luisa vede ancora una volta anteposto alla vita e alla sicurezza della popolazione, di altri esseri umani, il guadagno; Zachry abita un nuovo mondo sorto dalle ceneri della nostra civiltà dove gli uomini, al posto di collaborare, si sono dati alla stessa barbarie e inciviltà che era propria dei loro predecessori; Cavendish tenuto prigioniero solo perché la società lo ritiene antiquato. Per quanto riguarda Sonmi-451 il discorso è più complesso, poiché, oltre ad essere la linea narrativa migliore, rappresenta anche il più complesso universo narrativo della pellicola, originale, citazionista, vivo e terrificante, poiché si preannuncia come la deriva del nostro mondo (occidentale) anche se l’ambientazione coreana potrebbe non farlo sembrare: l’ispirazione a Blade Runner è quanto mai evidente quando ci vengono sparati in faccia palazzi immensi, auto volanti e regimi dispotici. Già qui però arriva una differenza importante, che pone l’opera non come epigono del capolavoro di Scott, ma come espansione dello stesso concetto: il mondo di Neo-Seoul non è una semplice distopia orwelliana, è una degenerazione ( o forse è l’estrema conseguenza) del modello di sviluppo totalmente improntato sul consumo in cui oggi noi viviamo: le persone hanno quote fisse di denaro da spendere ogni mese per mantenere fluida l’economia, per mantenere il sistema funzionale una parte della popolazione deve essere isolata dalle zone ricche e la manodopera deve essere schiava; il miglior schiavo è quello che non si deve rendere conto di essere tale: a tale scopo sono creati gli artifici, creazioni geneticamente programmate per svolgere compiti specifici e lasciati limitati nelle altre abilità. Ora questo è un topos del cinema di fantascienza, eppure questa figura mantiene, in questo particolare contesto soprattutto, un fascino e una terribile verità di fondo che non vanno ignorati, poiché la figura della creatura creata in serie in laboratorio per servire l’uomo è diventata centrale nella moderna fantascienza: l’idea di essere privati di identità e trattati come bestiame di basso valore ci terrorizza proprio perché è ciò che ci sta succedendo, in ogni ambito della socialità: dobbiamo sempre essere tutti in accordo, dobbiamo fare tutti le stesse cose, avere gli stessi obiettivi, gli stessi gusti; anche in un luogo che dovrebbe essere l’origine e il fulcro della vivacità di idee come la scuola, oramai l’espressione della propria personalità pare essere vietata: ai saggi si sostituiscono le domande aperte, poi i test invalsi e alla fine arriveremo ai vero-o-falso, cosicché ci troviamo sempre con un’unica alternativa corretta. Quando siamo tutti standardizzati niente ci distingue più gli uni dagli altri, siamo tutti braccia e gambe per lavorare, esattamente come Sonmi dovrebbe essere per i suoi padroni. La piattezza in cui è costretta dall’incolpevole ignoranza in cui è vissuta al Papa Song viene scossa proprio da un naturale risveglio in lei delle normali necessità emotive e intellettuali umane al quale segue una riproposizione dell’uscita dalla caverna platonica, con un ascensore anziché a piedi; e già il fatto che la caverna di Platone si identifichi con un fast food è un segnale importante. La libertà che ricercano i personaggi è probabilmente quella che gli stessi autori del film sono andati a trovare in Germania, grazie ad un’enorme coalizione di piccole case di produzione che insieme sono riuscite a tirare fuori un cospicuo budget consentendo ai tre registi una libertà senz’altro maggiore che oltreoceano. È in effetti incredibile come si sia riusciti ad arrivare a cento milioni di dollari per un film in realtà molto impegnato e complesso, composto da sei linee narrative intersecate e tra loro all’apparenza slegate. Eppure, nonostante la durata di tre ore e l’impegno richiesto agli spettatori, ciò che più è memorabile di Cloud Atlas, ciò che non lo rende un semplice buon film, o un ottimo film, ma qualcosa di più, è proprio il suo essere cinema e non un trattato fatto per immagini, musica e movimento. Cloud Atlas appassiona, diverte, commuove, irrita quando deve farlo: le storie non sono solo metafore, hanno una dignità propria che trascende il loro significato metaforico; Cloud Atlas non dura tre ore perché risulta difficile per il pubblico di massa seguirlo, ma perché chi l’ha pensato e fatto aveva bisogno di tre ore delle Dedalus | 2015 17 nostre vite per esprimersi al meglio; Cloud Atlas non è un film radical chic francese, che se non ha inquadrature fisse di venti minuti sembra non sentirsi realizzato: ha la miglior scintilla dei blockbuster, ha la voglia di far riflettere del cinema intellettuale, ha voglia di stimolare chi lo guarda. Il film è dotato di un’incredibile varietà di toni e situazioni, passando da un genere all’altro con incredibile fluidità: la scelta di contrapporre alla struttura a doppia matriosca del libro da cui è tratto, dove tutte le storie vengono aperte in ordine cronologico e poi richiuse in senso opposto, una struttura con montaggio alternato che porta avanti le sei time-line contemporaneamente risulta vincente, donando grande vivacità alla narrazione e al ritmo: si va senza soluzione di continuità dalla commedia al film d’avventura, passando per thriller e dramma, per arrivare infine all’epica 18 2015 | Dedalus fantascientifica prima e postapocalittica poi, formando un quadro generale estremamente vario ed esaltante. Tutta questa sostanza perde qualunque senso se non la si modella con un’adeguata forma, ma per fortuna dietro la macchina da presa ci sono mani che definire abili è quanto mai riduttivo: i diversi stili dei registi si vedono con tutte le loro diversità, con l’incredibile quadratura e stile di Tykwer, di scuola europea, e l’estro e la fantasia dei Wachowsy, tutti americani, che si incastrano alla perfezione nella propria unicità e dignità, entrambi caratterizzati dalla totale assenza di inutili virtuosismi o di insensati sforzi per rendere forzatamente autoriale il film, colpendo invece per la potenza delle immagini, la fantasia con cui sono studiate le sequenze d’azione, riuscendo a restare nell’occhio non per la forzatura dei movimenti o per l’insistenza e la lunghezza delle inquadrature, ma solo per lo stupore che niente sembra messo fuori posto, ma con un’idea dietro, impattando senza diventare invasivi. Menzione d’onore per come la tematica della reincarnazione venga trattata in modo quasi esclusivamente visivo e non dialogato: siamo noi a vedere gli stessi tratti somatici e a ricollegare i labili indizi che ci vengono dati nei dialoghi e nel corso degli eventi, senza dialoghi fuori luogo o spiegoni logorroici e poco interessanti, oltre che privi di qualsivoglia ruolo attivo da parte dello spettatore. Se siete ancora qui a leggere questa pessima recensione anziché essere andati a vedere il film, vi avverto che ho finito di annoiarvi coi miei sproloqui fuori luogo e, come ultima cosa, vi invito, dato che ancora non l’avevo fatto, ad andare di corsa a recuperare quest’opera immensa: Cloud Atlas saprà divertirvi, intrattenervi, commuovervi, farvi pensare e stupirvi, cosa assai rara nel panorama cinematografico odierno. Cineforum e adesso la parola a Giovanni Rossi Tirami fuori di qui - Tempi Moderni Capolavoro indiscusso della cinematografia mondiale di tutti i tempi, la discesa agli inferi meccanici raccontata dal profetico Charles Chaplin nel lontano 1936 è un esperimento audace che fonde con straordinaria maestria le tragicomiche vicissitudini di un maldestro operaio di fabbrica con l’orizzonte speranzoso e malinconico di un futuro a misura d’uomo. Nonostante la pellicola appartenga all’epoca del Cinema Muto, alcuni brani del film contengono partiture sonore che cavalcano l’onda artistica dell’epoca - e sarà lo stesso Chaplin a dare anima, corpo e voce per la sua opera più ardita, quel Grande Dittatore che spiazzerà il mondo intero nel 1939 -, ma è soltanto l’ossessione martellante del tempo industriale a dominare i titoli di testa che descrivono con freddezza lo scopo di una vita intera: la ricerca della felicità. Il primo atto della vicenda è ambientato tra i complessi macchinari di uno stabilimento all’alba di un nuovo giorno laborioso: un gregge di operai si riversa a testa bassa tra i nastri trasportatori di un’invenzione che aveva già segnato la storia dell’industria globale, ovvero la catena di montaggio, ed è proprio qui che lavora l’umile operaio protagonista di questa piccola, grande odissea metallica. Nonostante il primo piano severo del direttore di fabbrica cerchi di dare una lavoro dei colleghi. Per quanto efficiente, la catena di montaggio si rivela un compromesso artificiale, dato che basta un banale errore umano per bloccare i nastri all’opera. Quel che conta, però, è massimizzare l’utilità: l’industria moderna si basa esattamente su questo principio che cozza con l’equilibrio emotivo dell’uomo, e la conferma di questo parallelismo imprudente si presenta con la scena della pausa pranzo, momento in cui ogni singolo grammo di energia speso dagli operai deve essere ottimizzato per non perderne l’efficacia. Il tono è ovviamente assurdo e sopra le righe, ma Chaplin ha visto giusto: persino un piatto di minestra può diventare un ostacolo alla produzione, così il direttore di fabbrica si ingegna per elaborare un fantascientifico distributore di alimenti che possa sfamare i suoi sottoposti senza che questi riescano a battere ciglio. In teoria si tratta di un prodigio assoluto della tecnica, ma nella realtà il povero operaio si trova avvinghiato nella morsa impossibile di una macchina che dovrebbe prendere il posto della sua volontà, fallendo miseramente. La giornata di lavoro sta per volgere al termine, ma al pomeriggio accade l’imprevisto: tanta è la foga laboriosa del protagonista che il nastro trasportatore lo risucchia impazzito nel cuore della sua anima metallica, un labirinto senza forma e dimensione che rende l’uomo una larva tra gli ingranaggi. Riemerso dalla trappola infernale, l’ometto inizierà a dare i numeri: se la vera modernità rischia di trasformare un operaio maldestro in un bullone impazzito, l’unico rimedio è chiudere gli occhi di fronte all’evidenza, e il buon cuore del protagonista dimenticherà la sua mesta sorte per provare a guardare oltre insieme a una compagna senza famiglia (l’attrice Paulette Goddard) con la quale condividerà gioie e dolori, speranze e paure, paradossi e promesse. Il secondo appuntamento con il cineforum si terrà lunedì 21 Dicembre alle ore 20:30. Verrà proiettato il film “the artist” proposto e commentato da Giovanni Rossi. misura netta alla produzione meccanizzata, le mansioni svolte senza soluzione di continuità lungo il nastro principale non vanno a buon fine: l’operaio con i baffetti squadrati non riesce a tenere il ritmo dei bulloni da avvitare e lascia più volte la sua postazione per inseguire i passaggi sfuggiti intaccando il Dedalus | 2015 19 Humor Gli entologoi di Tommaso Caperdoni Immaginate un mondo senza guerre. Immaginate un sistema scolastico efficiente. Immaginate un leghista aperto al dialogo. Immaginate una scimmia rosa che cavalca un unicorno arcobaleno cantando Ray of Light di Madonna. Bene, avete una grande fantasia allora, complimenti. Appurato questo punto, direi che possiamo iniziare questo nostro viaggio. Un viaggio che ci porterà in un meraviglioso mondo in cui convivono tutte le più grandi menti della storia: dai filosofi ai letterati, dagli scienziati agli artisti; in cui tutte le loro teorie sono realtà e, miracolosamente, nessuno ha ancora ammazzato il proprio vicino. Non appena mi resi conto di questo posto, subito mi chiesi come poter raccogliere le opinioni di ognuno, per formare una sorta di enorme enciclopedia globale che racchiudesse in sé la verità, il logos, l’archè. Serviva necessariamente un mezzo immediato, che permettesse a quei geni di esprimersi liberamente, senza passare attraverso artificiose costruzioni letterarie. Il diario fu la scelta definitiva. Qui di seguito potrete trovare riportati alcuni estratti del pensiero più profondo e intimo delle più grandi menti che abbiano mai abitato il nostro mondo, modificandolo e plasmandolo al fine di raggiungere un’utopica idea di pace universale guidata dall’infinito potere dell’intelletto umano. PLATONE: “Caro diario, ti odio, ma sei un male necessario. E’ sicuramente compito del filosofo garantire l’armonia e per questo servirò la nobile causa dell’enciclopedia globale. Inizierò con il raccontare la mia giornata. Stamattina mi sono svegliato e sfortunatamente nemmeno stavolta ero a capo dello Stato. ‘Sarà per un’altra volta’, ho pensato. Mentre 20 2015 | Dedalus mi preparavo per andare al lavoro Cinzia ha cominciato a ritirare fuori le solite storie: che non sono mai a casa, che non parliamo mai, che quando facciamo l’amore le attacco sulla faccia una foto di Socrate. Non capisce che vita stressante debba condurre per mantenerci entrambi. Qualcuno deve pur andare in caverna a muovere i pupazzetti in controluce, ma dico io! Insomma, dopo questo caloroso buongiorno, salgo sul mio carro nuovo fiammante e parto per i limpidi cieli dell’Empireo. Capisco subito che c’è qualcosa che non va: il cavallo bianco va verso il basso e quello nero spinge verso l’alto. Deve essere stato quell’immigrato clandestino di Carlos, il mio giardiniere. Deve aver scambiato mangime, come al solito! Lo pago troppo quel messicano. Come ogni mattina passo davanti al pozzo parlante, con il quale spesso mi diletto con interessanti dibattiti sull’ontologia; ma il dovere chiama e me ne vado in caverna.” NIETZSCHE: CICERONE: “Caro Attico, ah no, l’abitudine. market, invece di impelagarmi tra le infinite corsie del caotico Ipercoop, dovendo scegliere con cura fino alla più insignificante spezia al fine di presentare ottimamente la pietanza serale, la quale, per mio piano, sarebbe dovuta essere composta da un arrosto di cacciagione mista, procuratami dal miglior arciere degli appennini italici, non avrei visto scorrere inesorabilmente davanti a me, all’interno di un’infinita coda alla cassa, strumento infernale dei procrastinatori, il grave tempore. Passai i prodotti sul rullo, pensando incessantemente ai miei amici che ormai con tutta probabilità si trovavano all’uscio della mia domus, ponendomi fiduciosamente nelle mani dell’impiegato; ma lui, maneggiando quelli, essendo quello inesperto, errò a rilasciare lo scontrino senza che io me ne accorsi, così che quello, mi riconsegnò quelli, mentre già pensavo ad essi. Sto già scrivendo un’orazione in 12 volumi contro quell’incompetente. Li dedicherò al mio nuovo amico ‘il pozzo parlante’.” scusate, Caro diario, e dico caro in onore del profondo rapporto di familiarità che ci lega indissolubilmente, sono alla fine di un’estenuante giornata, che doveva essere tranquilla e rilassante essendo principiata con buoni auspici. Mi diressi al supermercato per riempire la mia credenza, la quale è stata costruita dai migliori falegnami dell’impero, poiché a cena avrei avuto diversi amici, i quali sono per me fonte di sicurezza e stabilità morale, dal momento che l’amicizia consiste nel fondere più animi in uno solo. Se io fossi andato al mio solito negozio, assai superiore in qualità e prezzo rispetto al banale super “Il diario è morto e io l’ho ucciso. Ma pazienza, racconterò lo stesso gli avvenimenti di una trascorsa movimentata giornata autunnale. Come ogni mattina, stavo accarezzando i miei cavalli, dicendo loro che sentivo quanto facesse schifo il loro mangime ( loro mi comprendono ). Non dovevo fidarmi di Platone e assumere quel Carlos. Ma all’improvviso vidi lui. Inconfondibile, con quei suoi baffetti rettangolari, i pantaloncini ad altezza ginocchio e il cappellino con la girandola a forma di svastica. Per fortuna non fu tanto repentino quanto me, così riuscii a rientrare furtivamente in casa senza farmi vedere dalla porta sul retro. Bastò qualche istante e il campanello risuonò in tutta la villa. Mi nascosi dietro il mobilio intagliato del mio studio. Un secondo e subito dopo una fila insistente di dling dlong vagavano per la casa, tentando di scovarmi. Ma non gli bastava! Cominciò a squillare con la sua femminea voce: ‘Signor Nietzsche! Singor Nietzsche! Sono un suo grande ammiratore’. Silenzio. ‘Signor Nietzsche, è arrivato un pacco per lei!’. Di nuovo silenzio, non ci casco. ‘ Ok, mi ha scoperto! Sono sempre io, Adolf!’. Come se non lo avessi capito, mi assillava da mesi. ‘ Vorrei solo un autografo! Non la disturberò più, le giuro!’ Per pura, sadica curiosità, mi avvicinai alla finestra, scostai leggermente la tenda e fissai quel curioso individuo. Ora potevo osservarlo in tutti i suoi dettagli. Indossava una maglietta con scritto ‘Io sto con il superuomo’ e una freccia che indicava verso destra. Decisamente di pessimo gusto. ‘ Signor Nietzsche!’. Altro dling dlong. Improvvisamente scorsi in un taschino dei suoi aderenti pantaloncini un calzino a righe. Ma certo! Era lo stesso che avevo perso qualche settimana prima! ‘ Herr Nietzsche!’ Alquanto inquietante. ‘ Signor Nietzsche, le ho portato lo strudel alla mela cotogna come piace tanto a lei!’ Non mi sembrava di averglielo mai detto. ‘Herr Nietzsche, forse non mi sente, sono io, Adolf!’ Tutto a un tratto, mia sorella Elisabeth scese dalle scale con disinvoltura e fece per andare ad aprire il portone. ‘ Ma cosa fai? Sei matta?!’ sussurrai. ‘ Perché non lo fai entrare almeno una volta? Sembra un ragazzo così simpatico’ rispose compostamente. ‘ Mi prendi in giro, ma l’hai visto?’ Cominciò ad alterarsi ‘ Sei sempre il solito! Cosa sei, il nuovo Messia? Va bene che sei orfano, ma non è quella l’unica prerogativa!’ disse alzando la voce. ‘ Io sono dinamite, Elisabeth! Attenta a quello che fai!’. Risalì le scale e vinsi la battaglia” TALETE: “Caro diario, Giorno 12, nessuno si è ancora accorto che sono qui sotto. Sono accidentalmente caduto in questo pozzo e da quel momento non ho mosso passo da questo luogo. Talvolta mi capita che qualcuno passi di qui e scambi quattro chiacchiere con me, ma mi faccio prendere troppo dal discorso e finisce che mi scordo di chiedergli aiuto. Comincio a sentire un leggero senso di malessere quaggiù, è tutto così umido. Ed ho anche sete.” CATULLO: “Caro diario, Lesbia è una troia.” Dedalus | 2015 21 Touschek times De Banalitate Vitae di Peppino D’Ecclesiis Liceo Scientifico Touschek, Roma Arriva finalmente, come promesso, il gemellaggio con il Touschek Times! Dalla voglia di allargare gli orizzonti del Dedalus e di offrire a voi appassionati lettori punti di vista sempre nuovi e sempre più interessanti abbiamo deciso di completare sulla carta la collaborazione, iniziata alla fine dello scorso anno, con il giornalino studentesco del Liceo Scientifico “B. Touschek” di Grottaferrata. Che l’entusiasmo che questo scambio di articoli e di idee sta producendo nella nostra e nella loro redazione possa riservarvi belle sorprese! Lettore, s’hai afferrato questo tomo per trovarvici precetti morali e etici che fanno bene all’animo, ti prego subito di richiuderlo e di riporlo su quello scaffale, se t’ha attirato la rilegatura, ti suggerisco di fare lo stesso. Noi non siam qui, o amico, per erudirti sulla difficile arte del vivere, lasciamo questo arduo e tedioso officio ai filosofi di fama e valore ch’adesso staranno scrivendo un saggio su come viver senza sofferenza in dieci semplici e pratiche mosse. Non possediam alcuna medicina per curar la tua miserabil vita, ma orsù! Sorridi mentre stai leggendo ché ti darem molti utili consigli al fine di renderla interessante e combatter il banal quotidiano ch’attanaglia questa nostra esistenza. Tenterem di spiegarci migliormente: noi t’insegnerem come ci s’atteggia in situazioni noiose e normali, ove il banale impera incontrastato, per farle originali e dilettuose. 22 2015 | Dedalus Quindi, caro ed insofferente amico, spargiamo sale su una vita sciapa. Scuole medie L’orientamento alle medie Sotto determinati aspetti, come l’organizzazione e il metodo di studio, la terza è l’anno più impegnativo delle medie. Ma ancor prima dei temutissimi esami, un momento molto importante che i ragazzi come noi si trovano a dover affrontare è quello della scelta della scuola superiore. Tra le scuole, se si possono definire più “gettonate” o più note troviamo: l’Istituto Tecnico Industriale Statale, comunemente chiamato ITIS, il Liceo Classico, il Liceo Scientifico, il Liceo Artistico. Oltre a queste scuole superiori ce ne sono molte altre, alla nostra classe meno note, come: l’Istituto “Vittoria Colonna”, che comprende il Liceo Linguistico e il Liceo delle Scienze Umane (Psicopedagogico), l’Istituto Professionale Industria e Artigianato, più conosciuto dai ragazzi come il Poesie “Margaritone”, l’Istituto Tecnico per ragionieri e quello per geometri. La maggior parte dei ragazzi nella nostra classe è più orientata verso l’ITIS: in questa scuola si studiano le materie scientifiche e dal terzo anno ci si può specializzare in chimica, fisica, meccanica o informatica, e finita la scuola hai più probabilità di trovare lavoro nell’ambito scelto, cosa che uscendo dai licei non accade. Chi intraprende questo tipo di scuola infatti, nella maggior parte dei casi, deve fare l’università e laurearsi. E forse è proprio questo aspetto che spaventa un po’ noi ragazzi. Il Liceo Scientifico e il Classico sono la meta dei ragazzi che preferiscono le materie classiche. Molti non prendono in considerazione queste scuole perché le giudicano troppo impegnative e difficili essendoci Moraleggiando anche le lingue antiche come il latino e il greco. Queste lingue, però, possono aiutare negli studi chi intraprenderà una carriera nell’ambito scientifico o medico. I ragazzi però giudicano queste scuole e le altre senza conoscere i loro programmi di studi, i loro indirizzi né le attività e i corsi extrascolastici che offrono. Aspettiamo quindi che la nostra scuola inizi l’attività di orientamento con tutte le scuole superiori presenti nella nostra città. Sicuramente c’è chi ha le idee più chiare su cosa farà in futuro e chi meno, ma tutti dovremo fare questa scelta, e ovviamente i genitori, gli amici e gli insegnanti sono pronti a dare dei consigli, ma alla fine i ragazzi devono scegliere valutandosi sulla base delle proprie capacità e dei propri limiti e senza tenere conto delle scelte dei compagni. di Adele Severi Mi piace vivere in questo mondo egoista, doppiogiochista, in cui l’io è opportunista. Mi piace pensare che sono il centro dell’universo considerandomi il tutto e negando il diverso. Mi piace pensare di poter costringere gli altri a fare tutto ciò che mi pare. Mi piace fare la moralista verso chi non fa il suo dovere costringendo chiunque a sedere di fronte ad un professionista che dà un voto con piacere. Mi piace difendere con le unghie i miei interessi sapendo che contano solo essi; le altre opinioni, l’altra gente, a confronto, non valgono niente. Mi piace vivere in un mondo così “vario” sapendo che quello che penso è tutto il contrario. Dedalus | 2015 23 24 2015 | Dedalus