SEQUESTRATI 15 MLN A GRUPPO IMPRENDITORIALE
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SEQUESTRATI 15 MLN A GRUPPO IMPRENDITORIALE
Venerdì 29 Luglio 2011 MAFIA, I RETROSCENA: SEQUESTRATI 15 MLN A GRUPPO IMPRENDITORIALE MESSINESE TORRE. Lo Forte: fare in modo che i rapporti intrattenuti con la criminalità risultino economicamente sconvenienti L‟impero economico dei fratelli Torre di Terme Vigliatore, i “re degli inerti” lungo la fascia tirrenica del Messinese, con un patrimonio stimato in quindici milioni di euro, è finito ieri mattina “sottochiave” ad opera dei carabinieri del Ros, che hanno eseguito un provvedimento della Sezione misure di prevenzione del tribunale peloritano presieduta dal giudice Salvatore Mastroeni. Un decreto di ben 37 pagine che è il frutto della richiesta a suo tempo avanzata dal sostituto della Distrettuale antimafia Vito Di Giorgio e controfirmata dal procuratore capo Guido Lo Forte, su due presupposti di fondo ben delineati: per un verso «il rapporto di vicinanza tra il gruppo Torre ed esponenti di spicco della criminalità organizzata di stampo mafioso operante nella zona tirrenica della provincia di Messina», per altro verso la «… sproporzione tra i beni da costoro posseduti, direttamente o per interposta persona, ed i redditi dichiarati o l‟attività economica svolta, e sono emersi sufficenti indizi per ritenere che i beni stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego». Hanno lavorato parecchio per “sigillare” tutto i carabinieri del Ros tra Terme Vigliatore, Rodì Milici e Barcellona, visto che il provvedimento riguarda parecchi beni immobili e mobili: le quote sociali della Torre s.r.l.; le quote sociali della Co.Ge.Ca. s.r.l.; le quote sociali della società Estrazione di materiale da cava dei f.lli Torre e C. s.n.c., in scioglimento e liquidazione dal 20 marzo del 2009; il capitale sociale dell‟impresa inviduale Torre Giovanni; le quote sociali della Artemide s.r.l.; cinque immobili (in uno c‟è anche la piscina coperta) a Terme Vigliatore; una parte di un terreno a Rodì Milici; poi altri immobili e terreni tra Terme Vigliatore e Barcellona; ed ancora cinque auto, tra cui una Bmw X6, e poi i saldi attivi di una serie di conti correnti e titoli di credito presso banche, uffici postali e finanziarie intestati a Antonino Torre, Antonina Patrizia Torre, Nino Alesci, Giuseppe Torre e Giovanni Torre. Tecnicamente il decreto di sequestro riguarda in prima battuta Antonino Torre, 64 anni, originario di Castroreale; Nino Alesci, 43 anni, di Terme Vigliatore; Antonia Patrizia Torre, 41 anni (Alesci è sposato con la Torre, che è figlia di Carmelo, fratello di Antonino). Scrivono a questo proposito i giudici della Prevenzione che «la famiglia Torre, con le sue articolazioni imprenditoriali, è emersa in numerose indagini di polizia giudiziaria come uno dei punti di riferimento della criminalità organizzata barcellonese per le forniture di materiali inerti negli appalti pubblici avendo, in particolare i fratelli Torre Carmelo e Antonino, sin dagli anni „80 costituito una serie di imprese attive nel campo dell‟edilizia e della estrazione e frantumazione di inerti». Il contesto storico è stato ben in quadrato in questa vicenda dalla recentissime informative che il Ros ha depositato sul tavolo del sostituto della Dda Vito Di Giorgio, e che s‟inquadrano in pratica in una rilettura del fenomeno mafioso negli ultimi decenni in provincia di Messina. Una ri-lettura, lo ha spiegato ieri il procuratore capo Lo Forte in conferenza stampa, che è necessario fare ancora oggi per colmare gli effetti di una sottovaluzione del fenomeno avvenuta negli anni passati. Ma soprattutto una ri-lettura “organica”, dove il profilo penale e il profilo economico di Cosa nostra camminano di pari passo, come ha insegnato a tutti Giovanni Falcone. Ed eccolo il contesto storico. Una delle più importanti opere pubbliche degli ultimi decenni è stato il raddoppio ferroviario Messina-Palermo nella tratta di Patti insieme ai lavori dell‟autostrada Messina-Palermo, due grandi appalti che hanno attirato l‟attenzione di tutti le organizzazioni mafiose della Sicilia e determinato una vera e propria guerra di mafia tra la cosiddetta vecchia mafia barcellonese, all‟epoca alleata con la famiglia di Nitto Santapaola e dall‟ala corleonese di Cosa nostra, e dall‟altro il gruppo modellato come una „ndrina da Pino Chiofalo dopo il suo ritorno a Terme Vigliatore, all‟epoca alleato dal clan mafioso tortoriciano dei Bontempo Scavo e da alcuni gruppi etnei minori, come quello dei “cursoti”. La guerra di mafia che si scatenò tra gli anni „80 e „90, in pratica gli atti del maxiprocesso “Mare Nostrum”, con decine di esecuzioni in ogni zona tirrenica, interessò anche la famglia Torre con l‟omicidio di Carmelo Torre, l‟imprenditore che fu ucciso il 4 dicembre del 1989 e che era proprietario di un impianto di frantumazione di inerti sul greto del torrente Patrì. Il mandante dell‟esecuzione, come ha poi raccontato, fu Chiofalo, che ne ha spiegato le ragioni dopo il suo pentimento: «… i fratelli Torre Carmelo e Antonino di Terme Vigliatore facevano parte di quel consorzio di ditte da me ideato e realizzato allo scopo di creare una forza imprenditoriale in grado di sottrarre i grandi appalti pubblici e privati alle imprese catanesi patrocinate dal Santapaola Benedetto». Ha detto anche dell‟altro Chiofalo: «… ha precisato altresì che Torre Carmelo con tracotanza ed atteggiamento di sfida non accettò l‟intervento del figlio di Chiofalo diretto ad evitare che i fratelli Torre corrispondessero a tale Carmelo Milone le cifre da questi richieste asseritamente per fronteggiare delle spese legali di un processo nel quale era coinvolto il Chiofalo». Quel “tale” Carmelo Milone non era certo uno qualunque a quell‟epoca. L‟accordo Ci sarebbe stato un accordo tra le imprese del gruppo Torre e il clan mafioso di Barcellona per realizzare i lavori di importanti appalti pubblici banditi nella fascia tirrenica del messinese. Dalle indagini è emerso che il “patto” avrebbe riguardato il raddoppio ferroviario, il completamente dell‟autostrada Messina-Palermo ed il ripristino della galleria Tracoccia-Scianina. Nell‟indagine del Ros è emerso anche il conflitto fra la fazione costituita dalla cosidetta “vecchia” mafia barcellonese, supportata dalla famiglia mafiosa etnea dei Santapaola ed il gruppo emergente promosso e diretto da Giuseppe Chiofalo, sostenuto della cosca dei tortoriciani e da alcuni clan catanesi minori tra cui quello dei cursoti, per il controllo, dei lavori per il raddoppio ferroviario della tratta Messina-Patti e dell‟autostrada Messina-Palermo. «Le imprese stiano lontane dalla mafia». Lo Forte: fare in modo che i rapporti intrattenuti con la criminalità risultino economicamente sconvenienti. La mafia mangia la polvere. Processo che appare sempre più inarrestabile. Meccanismo “diabolico” innescato dal desk interforze voluto dal procuratore capo di Messina Giudo Lo Forte (sin dal giorno del suo insediamento). Modus operandi che punta dritto al cuore degli affari, avvelenati dalla criminalità. E li fulmina. Perché la “paralisi” patrimoniale pesa come un macigno. Molto più del carcere, da dove è facile (è ampiamente dimostrato) continuare a gestire il potere; e quindi i soldi. Ma se questo collegamento vitale viene improvvisamente reciso, allora è la fine. Immobilizzare quattrini e proprietà. Non vi è altra strada per scoraggiare gli imprenditori che ancor oggi, purtroppo, finiscono per farsi sponsorizzare da Cosa nostra. Un po’ per paura, un po’ perché alla fine lavorano, traendo taluni benefici. Le cose sembrano mutare. Oggi il gioco non vale più la candela. I rapporti con la mafia vanno evitati perché non più remunerativi, anzi. È lo Stato a ragionare in termini di convenienza economica. Stop alla retorica. Il messaggio rimarcato da Lo Forte, ieri in conferenza stampa, è fin troppo chiaro: chi si mette coi mafiosi resterà a bocca asciutta. «È necessario creare i presupposti – sottolinea – per una presa progressiva di distanza del mondo imprenditoriale dalla criminalità organizzata. Non contano le parole, ma i calcoli. Chi intende allora intrattenere rapporti illeciti, inquinando la libera concorrenza, crea prima di tutto un danno a se stesso». Un approccio investigativo diverso rispetto a qualche tempo fa. Metodo inequivocabilmente più incisivo che, seppure a fatica, si fa strada supportato da una presa di coscienza nazionale. Ma non è semplice indagare nella sfera patrimoniale. «È un lavoro certamente più impegnativo – ammette Lo Forte – perché obiettivamente complicato. Tuttavia assicura risultati esaltanti». Metodologia d’azione sufficientemente collaudata, dicevamo, ma c’è voluto parecchio tempo prima di passare al pieno regime, nonostante gli strumenti legislativi siano sempre stati a disposizione delle autorità. L’occasione per approfondire tali passaggi, la fornisce quest’ultima importante operazione del Ros dei carabinieri, culminata con la sottrazione al gruppo imprenditoriale dei Torre di Terme Vigliatore, che opera nel campo dell’edilizia, di una grossa schiera di beni per un valore complessivo di 15 milioni. «Ulteriore tappa di un percorso ormai consolidato», afferma aprendo l’incontro lo stesso comandante provinciale dei carabinieri Claudio Domizi. Poi è Lo Forte, affiancato dal sostituto della Dda Vito Di Giorgio che ha seguito l’inchiesta, a snocciolare i dettagli dell’attività. «È una storia che parte da lontano», spiega il procuratore capo, il quale soffermandosi sul gruppo imprenditoriale in questione fa notare come i Torre godessero di una protezione iniziale per poi transitare sotto un’altra sfera d’influenza. Le imprese infatti in una prima fase facevano parte del consorzio ideato dal collaboratore di giustizia Giuseppe Chiofalo e sottraevano i grandi appalti pubblici alle aziende catanesi patrocinate da Benedetto Santapaola. Mentre in una seconda fase gli imprenditori trovano “riparo” sotto un altro ombrello, quello dei Mazzarroti, clan di Tindaro Calabrese e Carmelo Bisognano. È sempre la criminalità a decidere chi deve lavorare e come deve farlo. Le indagini economico-patrimoniali dei carabinieri hanno permesso di documentare la pericolosità sociale dei Torre. Ampiamente documentati i legami con la mafia operante a Barcellona Pozzo di Gotto. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia, costituisce la naturale prosecuzione di un progetto investigativo realizzato dal Ros nell’area tirrenica messinese. Iniziativa sfociata in numerose attività tra cui le operazioni Omega, Eris, Vivaio e Torrente, che hanno evidenziato aspetti di rilievo come appunto l’interesse mafioso per il controllo dei lavori di realizzazione delle più importanti opere pubbliche dell’hinterland. Prima fra tutte la Me-Pa, compreso il tratto Tracoccia-Scianina nei pressi di Milazzo, sul quale, è stato confermato ieri dai carabinieri, vi sono indagini ancora in corso. Intanto, il presidente della Fai (Federazione antiracket italiana), Pippo Scandurra, ha espresso il proprio compiacimento per il lavoro svolto dalle forze dell’ordine, ammonendo nello stesso tempo gli imprenditori che si rendono complici del sistema mafioso