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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA DIPARTIMENTO DI SCIENZE GEOLOGICHE E GEOTECNOLOGIE DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE GEOLOGICHE E GEOTECNOLOGIE PER L’AMBIENTE E IL TERRITORIO XIX CICLO FENOMENOLOGIA DEL NOISE SISMICO AMBIENTALE: DALLA CONOSCENZA DEL SEGNALE ALLE APPLICAZIONI EMPIRICHE Simone Marzorati Tutori: Dott. P. Augliera Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Sezione di Milano Prof. A. Tibaldi Università degli Studi di Milano-Bicocca Coordinatore: Prof. E. Garzanti Università degli Studi di Milano-Bicocca RINGRAZIAMENTI La realizzazione di questa tesi di dottorato è stata possibile grazie al contributo ricevuto da diverse fonti. Ringrazio il tutor della mia tesi, Dr. Paolo Augliera, per la continua disponibilità e il sostegno, per i consigli e i pareri di carattere scientifico e non. Ringrazio il Dr. Dino Bindi, inesauribile fonte di informazioni, per il tempo dedicatomi e per la cura nella revisione scientifica dei metodi e delle applicazioni utilizzate nella mia tesi. Ringrazio il Dr. Ezio D’Alema, il Dr. Domenico Di Giacomo e il Dr. Marco Massa, con i quali è stata condotta l’installazione e la gestione delle stazioni sismiche e la raccolta dati, fondamentali per la realizzazione della mia tesi. Ringrazio il Dr. Marco Cattaneo per le indicazioni e i suggerimenti utili a gestire i segnali sismici ricevuti dal Centro Nazionale Terremoti (CNT-INGV). Ringrazio il Dr. Stefano Parolai per aver messo a disposizione i dati delle stazioni dell’array di Gubbio e per la disponibilità ricevuta. Inoltre lo ringrazio per le utili revisioni critiche di alcune parti di testo della mia tesi. Ringrazio la Dr.ssa Francesca Pacor, coordinatrice del Progetto DPC-INGV S3, per la disponibilità e i consigli ricevuti. Ringrazio il coordinatore della Scuola di Dottorato, Prof. Eduardo Garzanti, per la disponibilità e l’interesse dimostrato. II INDICE Introduzione…………………………………………………………………………………………......1 Motivazione…………………………………………………………………………………………..….4 Cap.1: INQUADRAMENTO DELLE AREE DI STUDIO………………….…………………………5 1.1 Nord Italia…………………………………………………………………………………...6 1.2 Bacino Sedimentario di Gubbio……………………………………………………….10 Cap.2: RACCOLTA DATI E STRUMENTAZIONE SISMICA IMPIEGATA……………………..12 2.1 Strumentazione Sismica impiegata per la caratterizzazione del noise sismico ambientale…………………………………………………………………………..13 2.1.1 Trasmissione dati via modem…………………………………………………..13 2.1.2 Trasmissione dati satellitare…………………………………………………….14 2.1.3 Memorizzazione dati in locale…………………………………………………..15 2.1.4 Strumentazione sismica imiegata per le analisi nel bacino sedimentario di Gubbio…………………………………...………………………………………….…..15 2.2 Sensori……………………………………………………………………………………..16 Cap.3: NOISE SISMICO AMBIENTALE (NSA): ORIGINE, NATURA e RAPPRESENTAZIONE………………………………………………………………….…...18 3.1 Origine del NSA…………………………………………………………………………..19 3.2 Natura del NSA…………………………………………………………………………...20 3.2.1 Rapporto tra le onde di volume e le onde suerficiali……………………….20 3.2.2 Rapporto tra le onde di Rayleigh e le onde di Love………………………...21 3.2.3 Rapporto tra il modo fondamentale e i modi superiori delle onde di Rayleigh………………………………………………………………………….22 3.3 Rappresentazione del NSA: calcolo della Power Spectral Density (PSD)…….22 3.4 Probability Density Function (PDF): uno strumento per rappresentare la variabilità del NSA………………………………………………………………………25 Cap.4: VARIABILITÁ SPERIMENTALE DEL NOISE SISMICO AMBIENTALE………………29 4.1 Variabilità dei livelli spettrali del noise e lettura delle PDF……………………...30 4.2 Variabilità dei livelli settrali del Noise Sismico Ambientale (NSA) per frequenze < 1 Hz…………………………………………………………………………33 4.3 Variabilità deilivelli spettrali del NSA per frequenze > 1 Hz……………………...37 4.4 Analisi del NSA per frequenze > 1 Hz con dati sismici in continuo…………….42 4.5 Stabilità e persistenza del picco a 1.1 Hz……………………………………………45 4.6 Riduzione delle potenze spettrali del NSA dovuta a contrasti di impedenza laterali………………………………………………………………………………………49 Cap.5: MICROSISMI………………………………………………………………………………...…………52 5.1 Origine e Natura dei Microsismi………………………………………………………53 5.2 Evoluzione dello spettro di un Evento Microsismico……………………………..55 5.2.1 Interazione Vento-Onde Marine………………………………………………...56 5.2.2 Origine ed Evoluzione di un Microsisma SPDF……………………………...58 5.2.3 Origine ed Evoluzione di un Microsisma LPDF……………………………...58 5.3 Localizzazione delle Aree Sorgenti di Microsismi: esempi di letteratura……..59 5.4 Aree Sorgenti di Microsismi individuate intorno all’Europa……………………..62 Cap.6: OSSERVAZIONE DI MICROSISMI NEL NORD ITALIA…………………………………64 6.1 Dati Meteorologici………………………………………………………………………..65 III 6.2 Dati oceanografici……………………………………………………………………..…66 6.3 Evidenze sperimentali della differente provenienza dei segnali microsismici.68 6.3.1 Osservazione del periodo 3 Aprile – 21 Agosto 2004………………………70 6.3.2 Osservazione del periodo 14 Dicembre 2004 – 21 Febbraio 2005………..75 6.4 Struttura, evoluzione e propagazione dei Microsismi osservati nel Nord Italia………………………………………………………………………………….78 6.4.1 Fenomenologiacdel segnale microsismico per il periodo 13-18 Febbraio 2006…….………………………………………………………………………80 6.4.2 Fenomenologia del segnale micrfosismico per il periodo 4-7 Marzo 2006................................................................................................................87 6.5 Esempio di amplificazione dei microsismi nel bacino sedimentario del fiume Po………..………………………………………………………………………….94 Cap.7: INFLUENZA DELL’ANISOTROPIA SPAZIALE DELLE SORGENTI MICROSISMICHE SULL’ESTRAZIONE DI TIME DOMAIN GREEN’S FUNCTION DAL NOISE………………………………………………………………………99 7.1 Cross correlazione del Noise Sismico Ambientale (NSA)…………………..…..100 7.1.1 Metodo d’analisi………………………………………………………………….101 7.1.2 Interpretazione del metodo…………………………………………………….101 7.1.3 esempi di applicazioni del metodo…………………………………………...102 7.2 Estrazione di TDGF dal NSA registrato nel Nord Italia…………………………..104 7.2.1 Processingdei segnali in continuo…………………………………………...104 7.2.2 Stima della velocità di gruppo media per il settore alpino centro-settentrionale…………………………………………………………….105 7.3 Varabilità delle derivate delle funzioni di cross correlazione che Compongono la TDGF…….……………………………………………………………107 7.4 Variabilità stagionale delle TDGF tra 0.1 e 1 Hz…………………………………..111 Cap.8: RAPPORTO SPETTRALE H/V…………………………………………………………….114 8.1 Metodo d’analisi………………………………………………………………………...115 8.1.1 Interpretazione di Nakamura dell’NHVSR…………………………………...116 8.1.2 Interpretazione dell’HNVSR secondo l’ellitticità delle onde di Rayleigh…………………………………………………………………………….118 8.2 Rapporto H/V, funzione di trasferimento delle onde SH e ellitticità delle onde di Rayleigh………..………………………………………………………………120 Cap.9: APPLICAZIONE DEI RAPPORTI SPETTRALI H/V AI MICROSISMI REGISTRATI IN UN BACINO SEDIMENTARIO PROFONDO: IL CASO DI GUBBIO………………122 9.1 Processing del segnale acquisito in continuo……………………………………127 9.2 Stabilità del Rapporto Spettrale H/V nel tempo…………………………………...127 9.2.1 PSD e Rapporti Spettrali H/V alle stazioni su roccia………………………128 9.2.2 PSD e Rapporti Spettrali H/V alle stazioni sui sedimenti…………………131 9.3 Utilizzo delle Probability Density Fuction (PDF) per comprendere risultati dei Rapporti spettrali H/V……………………………………………………………..136 9.4 Confronto tra i Rapporti Spettrali H/V da microsismi e quelli da terremoti….142 9.5 Amplificazione dei microsismi e generazione delpicco H/V……………………143 Cap.10: CONCLUSIONI……………………………………………………………………………..149 Appendice A: Probability Density Function (PDF) in siti del Nord Italia……………..…...156 Bibliografia……………………………………………………………………………………….…..169 IV INTRODUZIONE Per l’uomo, il terremoto è la sollecitazione meccanica di natura oscillatoria la quale, una volta percepita, maggiormente si imprime nella memoria. Nel corso della Storia, probabilmente l’uomo ha iniziato a crearsi una coscienza dell’esistenza dei terremoti per il fatto che li ha percepiti attraverso il suo corpo, oltre a vedere la loro potenzialità distruttiva agire sui manufatti e colpire le vite dei suoi simili. Il corpo umano può essere visto come un sistema meccanico composto da sottosistemi con massa, proprietà elastiche e di smorzamento differenti; tale sistema, se sottoposto ad una sollecitazione di una certa intensità e caratterizzata da un dato contenuto in frequenza, ha una risposta conseguente, la quale può raggiungere e superare la soglia umana di percezione. Le varie parti del corpo umano entrano in risonanza per differenti intervalli di frequenza; ad esempio gli organi addominali hanno un range di frequenza di risonanza compreso tra 4 e 8 Hz, le spalle tra 4 e 5 Hz, la testa tra 20 e 30 Hz, le gambe, a seconda dell’angolatura, tra 2 e 20 Hz. Per sollecitazioni inferiori a 2 Hz, il corpo umano si comporta come una massa unica, seguendo omogeneamente gli spostamenti della struttura vibrante con la quale è a contatto; quindi al disotto di tale frequenza la vibrazione non viene percepita. In queste bande di frequenze, la soglia umana di percezione si colloca, secondo la normativa UNI 9614 (RIF.), ad un livello pari a 71 dB di accelerazione ponderata. Il terremoto possiede un’intensità ed un contenuto in frequenza che è percepito profondamente dal corpo umano. Mercalli propose la prima scala per classificare l’intensità di un terremoto, modificata nel 1930 da Sieberg (scala MCS: Sieberg, 1930). Essa si basa sull’effetto distruttivo arrecato ai manufatti; in tale scala il grado minore di intensità è relativo ai terremoti che non sono percepiti dagli esseri umani, ma sono registrati dagli strumenti sismici; i gradi successivi si distinguono per una sempre maggiore percezione del terremoto da parte della popolazione colpita. Gli strumenti sismici moderni hanno raggiunto un livello tecnologico che permette di registrare senza distorsione il segnale generato da un sensore sollecitato dal moto del terreno fino ad ampiezze ben al di sotto della soglia umana. Come avviene in un qualunque processo di misura, però, alla registrazione del terremoto si sovrappone sempre la registrazione di alcuni segnali che hanno origine differente e che degradano la qualità della traccia sismica. In sismologia, qualunque segnale che interferisce con la registrazione di un terremoto viene generalmente considerato rumore (noise). Per aumentate la quantità di informazioni estraibili dalla traccia sismica, gli effetti del rumore devono essere ridotti il più possibile e l’ampiezza relativa del segnale sismico rispetto a quella del rumore (definito come rapporto segnale/disturbo) fornisce un’indicazione della qualità della registrazione. Per alcune applicazioni sismologiche, però, il segnale di interesse non è costituito dalla registrazione delle oscillazione del terreno prodotte da un terremoto, ma dalla registrazione del rumore sismico ambientale che, invece, durante la registrazione di un terremoto costituisce una parte del noise che degrada la qualità della registrazione. Il noise sismico ambientale è generato, in analogia con un terremoto, da sorgenti in grado di immettere energia nel terreno che si propaga poi come onde per deformazioni elastiche della Terra. Il noise sismico ambientale produce delle vibrazioni continue del terreno chiamate microtremori, che hanno, generalemente, spostamenti da 10-4 a 10-2 mm (Okada, 2003) . In zone urbanizzate o nelle vicinanze di molte attività umane, spesso è possibile che l’uomo percepisca le vibrazioni appartenenti al noise sismico ambientale, in quanto le sorgenti possono essere costituite da qualsiasi mezzo meccanico che interagisce col terreno, come il traffico veicolare o i macchinari industriali. Questo noise è definito ‘culturale’ in quanto prodotto dall’uomo e dalla sua attività sul territorio; esso è sempre presente anche se con livelli di percezione differenti ed ha un contenuto in frequenza a partire da circa 1 Hz (Kulhanek, 1990). Ciò di cui invece l’uomo non ha percezione è del noise ambientale prodotto da sorgenti naturali (come ad esempio gli eventi meteorologici oceanici) che inducono vibrazioni continue nel tempo a frequenze più basse. Nell’intervallo di frequenza tra 0.1 e 1 Hz, i microtremori vengono comunemente inseriti nella categoria “microsismi”. 1 I microtremori sono utilizzati dalla comunità scientifica sismologica in quanto la conoscenza dell’origine e della natura del noise ambientale è stata approfondita fino a comprenderne l’utilità per le applicazioni sismologiche. Quindi il noise sismico ambientale non è più visto solo come un disturbo da scartare; esso è composto da diversi tipi di onde elastiche e soprattutto è caratterizzato da un alto contenuto di onde superficiali (Rayleigh e Love) le quali trasportano utili informazioni sulle caratteristiche delle strutture geologiche del sottosuolo. La propagazione delle onde elastiche in una struttura geologica è determinata dalla complessità degli strati, dalla loro profondità, dalla velocità di taglio e di compressione, dalla densità e dal fattore di attenuazione dei materiali. La situazione più semplice da schematizzare è quella mono-dimensionale (1D), in cui le proprietà geologiche e geotecniche sono descritte seguendo un profilo verticale: in questo caso la velocità di taglio delle onde (Vs) ha un’importanza fondamentale nella propagazione. I metodi convenzionali per ottenere informazioni sul parametro Vs sono invasivi e dispendiosi, consistendo nella realizzazione di pozzi. Di recente, si sono affermati metodi come SASW (Spectral Analysis of Superficial Waves) (Stokoe et al 1989; Tokimatsu, 1995; Socco and Strobbia, 2004) che permettono di indagare le proprietà dispersive delle onde superficiali in mezzi eterogenei, le quali si propagano lungo l’interfaccia suolo-aria; attraverso processi di inversione vengono ricavati i profili di velocità a partire dalle curve di dispersione della velocità (Herrmann, 1994; Wathelet et al., 2004). Tali metodi utilizzano sorgenti attive per ricavare i dati sperimentali ed hanno una profondità di penetrazione di alcune decine di metri ed un limitato range di frequenza di analisi (Tokimatsu, 1995). In casi di sedimenti profondi alcune centinaia di metri, l’esplorazione dovrebbe avvenire con carichi esplosivi o mezzi meccanici che permettono di generare segnali con lunghezza d’onda sufficientemente lunghe per poter investigare profondità maggiori. Utilizzando le tecniche dei rapporti spettrali, è possibile determinare l’amplificazione delle ordinate spettrali del moto orizzontale di un sito rispetto ad uno di riferimento (SSR, Standard Spectral Ratio: Borcherdt, 1970), oppure è possibile restituire la funzione di trasferimento attraverso il rapporto tra lo spettro della componente orizzontale del moto rispetto a quella verticale (HVSR, Horizontal to Vertical Spectral Ratio: Lermo and Chavez-Garcia, 1993). I rapporti spettrali vengono comunemente calcolati utilizzando le serie temporali di eventi sismici locali. Tali tecniche necessitano di un numero di dati statisticamente significativo, con un buon rapporto segnale/disturbo, in modo da rappresentare le proprietà medie del mezzo di propagazione. L’importanza dello studio delle strutture geologiche locali e superficiali è dato dal fatto che esse sono la causa determinante degli ‘effetti di sito’ generati dalla propagazione delle onde di un terremoto (il quale è la causa scatenante) in prossimità della superficie terrestre. Attualmente è largamente accettato dalla comunità scientifica sismologica ed ingegneristica l’esistenza di ‘effetti di sito’ o di ‘amplificazione locale’, che indicano le deformazioni che il campo d’onda sismico subisce in prossimità della superficie terrestre, in relazione alla caratteristiche geologiche locali. Fin dalla fine del 1800, da quando è nata la sismologia strumentale ed è stato possibile rappresentare il moto del suolo durante un terremoto in diverse posizioni sul territorio, i sismologi hanno riconosciuto la variabilità ad esso collegata. Nel 1898, Milne affermava che è facile selezionare due stazioni a distanza di 1000 piedi una dall’altra per osservare una differenza di ampiezza del moto orizzontale anche di 5-10 volte (Milne, 1898). Gli studi di recenti forti terremoti (ad es., Michoacan 1985, Armenia 1988, Loma Prieta 1989, Iran 1990, Filippine 1990, Northridge 1994, Kobe 1995, Izmit 1999, El Salvador 2001, Bam 2003, tra gli altri) hanno evidenziato come le caratteristiche geologiche superficiali possono determinare amplificazioni e prolungamento della sollecitazione del moto sismico del terreno. L’entità dei danni subiti da alcune metropoli costruite su sedimenti soffici o incoerenti all’interno di bacini sedimentari, ha dato un forte impulso agli studi di microzonazione con lo scopo di ridurre e mitigare il rischio sismico. Nella realtà italiana, gli effetti di sito vengono riproposti alla luce di terremoti moderati che esaltano l’aspetto della vulnerabilità del costruito a fronte dell’amplificazione del campo sismico. 2 Gli effetti di sito sono legati alla topografia superficiale del substrato affiorante o sommerso, alla presenza di sedimenti soffici e alla presenza di forti discontinuità laterali. Le maggiori amplificazioni sono state osservate su stratificazioni sedimentarie tipo bacini lacustri o valli riempite di sedimenti alluvionali (Hisada, 1993; Bard 1994; Bonilla et al. 1997; Bielak, 2000; Bindi et al., 2001, Shapiro et al. 2001; Semblat et al., 2002; Boore, 2004). L’applicazione delle tecniche per ottenere informazioni sulle caratteristiche geologiche e geotecniche, utili allo studio degli effetti di sito, incontra dei problemi pratici quando gli esperimenti devono o dovrebbero essere effettuati in zone altamente urbanizzate, dove il rischio sismico aumenta per l’alto grado di esposizione delle infrastrutture e costruzioni antropiche. E’ difficile ottenere i permessi per utilizzare esplosivi o mezzi meccanici che generano vibrazioni del terreno in ambiente urbano; i costi spesso sono troppo elevati per essere accettati dalle amministrazioni locali; è complicato trovare più siti che permettano installazioni di array sismici con configurazione rettilinea o circolare. In caso di sismicità bassa o moderata ed in caso di sorgenti attive poco intense, i segnali registrati sono degradati dal disturbo antropico, non permettendo una lettura corretta delle caratteristiche del campo d’onda; quindi non è possibile raccogliere un data set utile alle analisi. Queste difficoltà pratiche sono superate dai metodi che utilizzano i microtremori, i quali sono sempre presenti in ogni momento, hanno un ampio contenuto in frequenza e sono composti principalmente da onde superficiali, ipotesi che permette di utilizzare le proprietà dispersive legate alla velocità delle onde (Tokimatsu, 1995; Chouet et al. 1998). Con un abbattimento considerevole dei costi, dai microtremori è possibile ottenere informazioni sui periodi dei picchi di amplificazione (tecnica dei rapporti spettrali di Nakamaura: Nakamura, 1989), mentre attraverso tecniche in array vengono ricavate le curve di dispersione da cui ottenere i profili di velocità degli strati geologici superficiali. Anche in questo caso le tecniche riproducono le proprietà medie del mezzo analizzato in un’ottica 1D. Quando sono presenti forti variazioni laterali nei siti di analisi, i risultati vengono falsati da effetti bi- (2D) o tri-dimensionali (3D), dovuti alla topografia del substrato o alla generazione di onde superficiali indotte dai bacini sedimentari che vengono intrappolate negli strati superficiali. 3 MOTIVAZIONE Questa ricerca si propone di contribuire alla conoscenza delle caratteristiche del noise sismico ambientale attraverso l’osservazione di dati sperimentali. La possibilità di utilizzare correttamente registrazioni di noise sismico ambientale è data sia dalla conoscenza del segnale acquisito sia dalle prestazioni della strumentazione impiegata. Per poter comprendere ed interpretare l’origine e la natura del noise osservando dati sperimentali, in principio è utile indagare la sua variabilità e la sua stazionarietà nella banda di frequenza in cui è contenuto il suo segnale. Con “Fenomenologia del noise sismico ambientale” si intende la descrizione delle varie manifestazioni del noise nel tempo e nello spazio. Quindi la ricerca è stata condotta collezionando una serie di osservazioni effettuate in condizioni sperimentali differenti: intervalli temporali di varia lunghezza e punti di misura collocati in aree rappresentative di situazioni ambientali tipiche, dal punto di vista dell’urbanizzazione e della geologia del territorio. L’area di studio principale è la parte centrale del Nord Italia, la quale è caratterizzata da un’elevata densità di centri urbani ed industriali ubicati in primo luogo sulla superficie del bacino sedimentario del fiume Po, nonché nella valli che si diramano dalla catena delle Alpi. Tale contesto territoriale si combina con una sismicità basso-moderata, la quale si esprime principalmente con terremoti locali di lieve entità ma che nel corso della storia ha fatto registrare una serie di eventi in grado di infliggere gravi danni a persone e cose. Inoltre, i dati sismologici relativi all’area sono scarsi e solo negli ultimi anni è stata compiuta una sistematica acquisizione di registrazioni relative ad eventi sismici, grazie all’installazione di stazioni in luoghi non ricoperti da dense reti di monitoraggio. Quindi, l’area è congeniale per essere studiata con tecniche di analisi che utilizzano i microtremori. Ma proprio partendo dalla carenza di studi precedenti, questa ricerca tenta di evidenziare l’importanza di conoscere a priori le caratteristiche del noise sismico ambientale proprie di quell’area, in modo da poter condurre esperimenti successivi in condizioni controllate, avendo un’idea di ciò che ci si aspetta riguardo al contenuto del segnale che si sta utilizzando. Oltre al segnale, per poter condurre un esperimento in condizioni controllate, è fondamentale capire quanto la strumentazione impiegata è in grado di restituire un dato, il quale rispecchi il più fedelmente possibile l’oggetto che si vuole rappresentare. Il segnale del noise sismico ambientale investe un’ampia banda di frequenze, la quale non è ricoperta completamente da un singolo sensore sismico; inoltre le ampiezze coinvolte possono essere così ridotte da non essere riprodotte dal sistema di registrazione, sia per i limiti di fabbricazione (dinamica, risoluzione, campionamento, ecc.) sia per il rumore strumentale che ogni strumento possiede. Quindi, studiando il noise sismico ambientale, è necessario utilizzare uno strumento che rappresenti le frequenze volute e conoscere se esso è in grado di restituire un segnale non degradato. Questa ricerca fornisce alcuni esempi sperimentali in cui sono impiegati strumenti differenti, sia per quel che riguarda il sensore sismico, sia per l’apparato di acquisizione e registrazione del segnale. Il contributo consiste nel riportare l’evidenza, riscontrata nei dati osservati, di come i risultati sperimentali possano essere modificati a causa delle condizioni sperimentali: la presenza di un segnale molto attenuato accompagnato dall’utilizzo di una data strumentazione degrada la rappresentazione dell’oggetto in studio, il noise sismico ambientale. 4 CAPITOLO 1 5 1 INQUADRAMENTO DELLE AREE DI STUDIO In base alla disponibilità dei dati sismici raccolti (Cap.2), la ricerca è stata condotta principalmente nel Nord Italia e nel bacino sedimentario di Gubbio. Nel Nord Italia sono stati indagati i livelli e la variabilità del noise sismico ambientale (Cap.4), sono stati osservati i microsismi per studiarne l’evoluzione e le principali caratteristiche di propagazione (Cap.6), è stata indagata la possibilità di estrarre Time Domain Green’s Function (Cap.7 e 8). Dai dati sismici relativi a 4 stazioni poste sulla superficie del bacino sedimentario di Gubbio, è stata studiata la stabilità del picco di risonanza estratto dai rapporti spettrali H/V (Cap.10). 1.1 Nord Italia Il Nord Italia si presenta come l’area più industrializzata della nazione. La maggior parte delle aree industriali si concentrano intorno ai grandi centri urbani che costellano la fascia ai piedi della catena alpina ed appenninica. Un’imponente rete di trasporto, composta da grandi vie di comunicazione sia autostradali che ferroviarie, è stata sviluppata in quest’area dove vivono più di 15 milioni di abitanti. L’estensione delle grandi città spesso ingloba i centri urbani minori, di cui non si riconoscono più i confini e così le aree urbane si estendono per decine di chilometri senza interruzione. Inoltre la presenza della vasta pianura padana ha permesso lo sfruttamento e l’uso agricolo del territorio, tale da determinare una diffusa presenza di attività rurali, le quali occupano il territorio non ancora urbanizzato. La presenza delle attività antropiche si estende anche nelle profonde valli che incidono la catena alpina, dove l’urbanizzazione si incanala nei fondi valle. Qui si ritrovano numerose attività estrattive e centrali idroelettriche con imponenti dighe. La presenza umana si estende anche in alcune zone di alta montagna dove lo sviluppo del settore turismo ha creato importanti centri sciistici forniti di numerosi impianti di risalita i quali funzionano con ritmi differenti per quasi l’intera durata dell’anno. Collezionando una serie di tavole provinciali contenenti i dati relativi alle unità economiche intese come attività industriali presenti in ogni Comune (Fig.1.1), relative all’8° censimento della popolazione dell’anno 2001, fornite dall’Istituto di Statistica (ISTAT, www.istat.it), è stata redatta una mappa che rappresenta la densità industriale, la densità di popolazione e la fitta rete di trasporti (Fig.1.2) delle Regioni Lombardia e Veneto. Fig.1.1 Esempio di tavola dell’ISTAT utilizzata per censire le attività economiche a livello comunale, in ogni Provincia. 6 Fig.1.2 Densità delle industrie e della popolazione delle Regioni Lombardia e Veneto. Sono visualizzate anche le maggiori vie di comunicazione e le stazioni dell’INGV-MI utilizzate per l’analisi dei livelli di noise sismico ambientale. La mappa è stata modificata a partire da Marzorati and Bindi (2006). Tra le attività antropiche censite sono state selezionate quelle ritenute significanti come eventuali sorgenti di noise sismico ambientale, tra cui le attività dell’industria estrattiva, delle costruzioni, dei trasporti e comunicazioni, dell’energia, gas e acqua, e delle attività agricole. Nelle schede, per ogni Comune è indicato il numero di attività di ogni tipologia. La densità industriale è stata definita dal rapporto tra il numero totale delle attività selezionate in un Comune e l’estensione areale del Comune stesso, restituendo così un’indicazione delle industrie per km2, utilizzando uno strumento GIS (Geographical Information System). La maggior densità industriale si concentra nella fascia tra il bordo settentrionale della pianura Padana e le Prealpi, intorno ai maggiori centri urbani (Milano, Bergamo, Brescia, Verona, ecc..). Le aree industriali sono collegate da una fitta rete di vie di comunicazione, sia autostradale che ferroviaria. In ambiente alpino, come ci si aspetta, la densità industriale è quasi assente, escludendo le maggiori valli alpine, le quali ospitano numerosi centri urbani minori. Altre aree che risultano con minor densità industriale sono quelle che circondano il corso del fiume Po e dei suoi affluenti, nella pianura Padana: infatti molti Comuni presentano una densità industriale inferiore ai 0.005 industrie/ km2. L’uso del territorio in queste zone è prevalentemente destinato alle attività agricole, quindi molto spazio è dedicato ai terreni coltivati. In ogni caso, anche questo settore della pianura Padana è caratterizzato dalla presenza di centri urbani minori e da vie di comunicazione importanti, i quali presuppongono che i livelli di disturbo antropico possano rimanere elevati. La densità di popolazione è stata ricavata da dati relativi alle sezioni di censimento dell’ISTAT, le quali coincidono con le aree in cui è presente il costruito di tipo civile nei territori comunali. Dividendo il numero di abitanti per l’estensione della sezione di censimento è stata ottenuta la densità di popolazione, la quale si concentra principalmente all’interno delle aree dei grandi centri urbani. Quindi, le potenziali sorgenti di noise sismico ambientale sono sicuramente distribuite diffusamente sul territorio, con minor presenza nelle aree montane a Nord dell’area di studio. Infatti, l’area di studio è inclusa nell’orogenesi alpina, zona di margine delle placche convergenti europea ed africana. I sistemi estensionali post-oligocenici del Mediterraneo occidentale, governati dal rollback delle zone di subduzione e di retro-arco (Rosembaum and Lister, 2002), hanno contribuito a configurare le attuali caratteristiche geomorfologiche. L’area 7 di studio comprende principalmente due settori: il primo copre parte delle Alpi Centrali e delle Alpi Meridionali, mentre il secondo comprende l’area della pianura sedimentaria del fiume Po. Il settore alpino è costituito principalmente dal basamento metamorfico (metapeliti erciniche, quarziti, metabasiti, marmi, granitoidi ed ortogneiss) a nord della linea insubrica (Fig.1.2); a Sud di tale linea si ritrovano le piattaforme carbonatiche e i depositi bacinali di mari poco profondi, composti da rocce come carbonati, dolomiti, torbiditi (Carminati and Siletto, 1997; Milano et al., 1988; Siletto et al., 1993). Inoltre, la catena alpina è caratterizzata da profonde valli riempite di depositi glaciali e fluvioglaciali. Le principali valli si snodano tra le montagne fino a raggiungere la pianura Padana, al di sopra dei cui sedimenti sono stati deposti imponenti anfiteatri morenici che dominano il paesaggio ai piedi delle Prealpi, visibili sul territorio distintamente nelle aree a meridione dei principali laghi (Garda e Iseo). La valle del fiume Po, comprendente la pianura padana, è un bacino sedimentario sintettonico, composto dal materiale di riempimento dell’avampaese pliocene-pleistocenico appenninico, limitata a sud dalla catena appenninica e a nord dalla catena alpina (Amorosi et al., 1996). La massima profondità dei depositi quaternari è contenuta tra i 1000 e i 1500 metri di profondità (Pieri e Groppi, 1981). Gli strati geologici superficiali sono composti da terrazzi fluviali e depositi alluvionali. La densità delle rocce varia da 2.20 (depositi quaternari) a 2.80 (rocce mesozoiche) g/cm3 (Cassano et al., 1986). Sulla base dei valori di densità e di velocità di taglio delle rocce, è lecito attendersi una distribuzione eterogenea dell’impedenza acustica all’interno dell’area studiata. In particolare, è atteso un forte contrasto laterale tra il settore alpino e la pianura padana, con un maggior contrasto di impedenza per la catena alpina (vedi Cap.4). In Fig.1.3 è riportata la classificazione ottenuta dalla Carta Geologica d’Italia a scala 1:500000 (Bordoni et al., 2003), in cui le caratteristiche geologiche sono suddivise in tre categorie distinte per la velocità media di taglio delle onde S nei primi 30 m di sottosuolo, seguendo le indicazioni dell’Eurocodice8 (European committee for Standardization, 2002). Il settore alpino, composto principalmente da substrato roccioso affiorante, ricade quasi completamente nella categoria A (Vs > 800 m/s). In categoria B e C ricadono i sedimenti fluvioglaciali di riempimento delle valli alpine. Le stesse due categorie caratterizzano il bacino sedimentario del fiume Po, la cui parte occidentale è principalmente inserita in categoria B, mentre la parte orientale in categoria C. Questo è dovuto al progressivo riempimento di depositi recenti del fiume Po, spostandosi da Ovest verso Est lungo il percorso dello stesso fiume. Fig.1.3 Classificazione della Geologia secondo le classi dell’Eurocodice8 (Bordoni et al. (2004). A: roccia, Vs > 800 m/s; B: stiff soil, 350<Vs<400 m/s; C: soft soil, Vs<400m/s. 8 Volendo caratterizzare il Nord Italia dal punto di vista della sismicità, si può affermare che l’area è attualmente interessata da terremoti di bassa o moderata magnitudo. Recentemente è stata colpita da alcuni eventi moderati: Garda, 24 Novembre 2004, Ml5.2; Monghidoro, 14 Settembre 2003, Ml5.0; Novi Ligure, 11 Aprile 2003. Nel 1976 la Regione del Friuli è stata interessata dall’unico evento strong motion degli ultimi trent’anni (Ml6.3). La sismicità strumentale registrata nel Nord Italia è mediamente compresa tra valori di magnitudo da 2.5 a 3.5, con eventi meno frequenti di magnitudo intorno a 4 (Fig.1.4). Fig.1.4 Sismicità strumentale nel Nord Italia: quadrati grigio chiaro) eventi registrati da INGV-MI dal 2003 al 2005; rombi grigio –scuro) eventi registrati da altre fonti; stella grigia) evento di Salò del 2004. Immagine tratta da Massa et al. (2006). In epoca storica l’area è stata colpita da terremoti rilevanti (Verona, 1117, M6.5(?), basso bresciano, 1222, M6.1; Orzinuovi, 1802, M5.9; Salò, 1901, M5.7), in aree dove attualmente l’esposizione dei manufatti antropici è elevata. Inoltre le aree sismogeniche si collocano principalmente proprio nella fascia maggiormente industrializzata, tra il bordo settentrionale della pianura Padana e le Prealpi (Fig.1.5), oltre che nella parte meridionale del bacino sedimentario padano. Quindi, al fronte di una sismicità relativamente bassa in confronto ad altre regioni dell’Italia, sia in termini di rilascio medio dell’energia che di frequenza di eventi, l’esposizione dovuta all’intensa urbanizzazione del territorio e la vulnerabilità del costruito aumentano i valori di rischio dell’area in questione. Infatti, ad esempio, l’evento del Garda del 24 Novembre 2004 (Ml.5.2) è stato avvertito in tutto il Nord Italia ed ha interessato 66 Comuni, i quali hanno subito danni a circa 3700 edifici civili, coinvolgendo circa 2500 persone, e 300 chiese, con perdite economiche che si aggirano intorno ai 215 milioni di Euro. I quattro Comuni compresi nell’area epicentrale hanno avvertito un’intensità IMCS pari al VII-VIII grado. L’entità dei danni va anche considerata pensando che il terremoto è stato localizzato in un’area montana prospiciente il lago di Garda, in una zona dove l’urbanizzazione è già meno densa rispetto alle aree subito a Sud dell’area epicentrale. Eventi di tale magnitudo che colpissero aree a maggior urbanizzazione e industrializzazione porterebbe ad un aumento considerevole dei danni e dei rischi. 9 Fig.1.5 Sismicità storica (rettangoli rossi) e aree sismogeniche (altri simboli) nel Nord Italia. L’immagine è tratta dal DISS 3.0.2 (Database of Individual Seismogenic Sources, www.ingv.it/DISS/). La legenda dei simboli è visibile online. L’inquadramento dell’area di studio comprendente il Nord Italia, evidenzia la scelta adeguata per intraprendere studi che utilizzano il noise sismico ambientale. Infatti, ci si attende un elevato noise proveniente dall’attività antropica, il quale incide significativamente sulla possibilità di registrare terremoti (Cap.4). Inoltre, nell’area è presente un’attività sismica medio-bassa, caratterizzata da eventi principalmente di magnitudo compresa tra 2 e 3.5 gradi di magnitudo (Massa et al., 2006). La grande variabilità delle caratteristiche geologiche, implica una variabilità della risposta di sito, la quale è possibile studiare almeno in parte, attraverso le tecniche che utilizzano microtremori. Infine, non si trovano in letteratura esempi descriventi le caratteristiche ed i livelli di noise in questa regione d’Italia, a parte lo studio di Cocco et al. (2001) che indica come sia possibile ridurre di 20 dB il rumore dovuto all’attività antropica nella pianura padana, installando dei sensori in borehole. La presente ricerca quindi è volta alla caratterizzazione del noise sismico ambientale in un’area non ancora caratterizzata e in cui l’elevata eterogeneità del territorio e delle attività antropiche determinano la necessità di valutare in dettaglio la variabilità del noise sismico ambientale. 1.2 Bacino Sedimentario di Gubbio Il bacino sedimentario di Gubbio rientra in quell’insieme di bacini sedimentari in echelon generati dal regime estensionale che governa l’area appenninica dell’Umbria – Marche. Il bacino di Gubbio è disposto lungo un asse NO-SE per una lunghezza di circa 20 Km, raggiungendo una massima larghezza di circa 4 Km (Fig.1.6). Il bacino è stato formato da una faglia normale (striking dipping normal fault), il cui piano affiora nel bordo orientale della depressione sedimentaria. Le formazioni calcaree e i flysch della sequenza sedimentaria dell’Umbria-Marche affiorano rispettivamente ad Est ed Ovest del bacino. Il bacino è riempito di sedimenti di origine Pleistocenica. Profondi boreholes, scavati da GE.MI.NA. (1963) per esplorazioni minerarie, hanno trovato una profondità massima dei sedimenti di 400 m, consistenti di tre unità sedimentarie principali: 1) complesso basale di argille-ligniti con 10 intercalazioni di sabbie conglomerati, con spessori fino a 200 m; 2) un complesso di argillesabbie; 3) complesso superficiale alluvionale, composto da detriti di versante, depositi alluvionali e fluviali. L’attenzione per questo bacino sedimentario è dovuta ai presunti fenomeni di amplificazione locale, dedotti dai picchi ottenuti da dati strong motion, eccedenti significativamente i valori medi di relazioni di attenuazione empiriche (Ambraseys et al., 2005a; Ambraseys et al., 2005b). Tali amplificazioni sono state inizialmente indagate nel lavoro di Pacor et al. (2006), nel quale, sfruttando registrazioni di terremoti, sono state discusse alcune caratteristiche del moto del terreno che si genera all’interno del bacino sedimentario. L’attività relativa al bacino di Gubbio (Cap.10) è stata svolta nell’ambito del Progetto DPC-S3 “Scenari di scuotimento e di danno atteso in aree di interesse prioritario e/o strategico” (Coord. Pacor F. e Mucciarelli M.), all’interno della convenzione tra il Dipartimento della Protezione Civile Italiana (DPC) e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) per il triennio 2004-2006. Fig.1.6 Schema di sintesi delle caratteristiche geologiche della superficie del bacino sedimentario di Gubbio. Sinistra) unità litologiche affioranti; destra) sezione trasversale del bacino (A-A’). Le unità sedimentarie 1, 2 e 3 sono descritte nel testo. 11 CAPITOLO 2 12 2 RACCOLTA DATI E STRUMENTAZIONE SISMICA IMPIEGATA Il carattere sperimentale di questa ricerca ha implicato una notevole mole di lavoro per quel che riguarda il reperimento dei dati da inserire nelle analisi per caratterizzare il noise sismico ambientale. La raccolta dati è stata svolta nel corso di tutti i tre anni di lavoro, archiviando una serie di registrazioni sismiche velocimetriche disponibili alla Sezione di Milano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-MI), relative agli anni dal 2003 al 2006. Il protrarsi della raccolta dati è dovuto sia alla sostituzione di una parte del parco strumentale con elementi all’avanguardia e di maggior efficienza, sia per la disponibilità di ulteriori segnali messi a disposizione dal Centro Nazionale Terremoti (CNT) dell’INGV, nell’ultimo anno di ricerca. Il Data Set è stato collezionato quasi interamente archiviando dati acquisiti da stazioni sismiche collocate principalmente nel Nord Italia e costituenti reti dedicate al monitoraggio della sismicità dovuta a terremoti locali o regionali. Inoltre sono state installate alcune stazioni sismiche temporanee utili a ricoprire alcune zone scoperte dalle altre stazioni già in posto. La disomogeneità delle fonti dei dati, dovuta sia alla differente strumentazione impiegata, sia ai differenti sistemi di trasmissione e memorizzazione dati, ha implicato un ulteriore sforzo di organizzazione del Data Set, in quanto i dati grezzi sono stati processati in modo da ottenere un formato adeguato per essere inserito nelle procedure di calcolo. Un secondo Data Set è quello costituito dalle registrazioni in continuo delle stazioni sismiche appartenenti al transetto posizionato nel bacino sedimentario di Gubbio (vedi Cap.10). Le stazioni sono state installate dal GFZ di Potsdam (Germania), il cui personale ha provveduto all’acquisizione ed archiviazione dei dati. In questo lavoro, tali dati sono solamente stati processati ed elaborati. Quindi, una parte importante e considerevole della realizzazione di questa ricerca consiste nell’esperienza acquisita durante l’attività di campo inerente all’installazione delle stazioni sismiche ed alla loro manutenzione, nonché nell’attività di laboratorio che ha coinvolto la gestione dei sistemi di trasmissione dati e le procedure di conversione dei dati grezzi in dati pronti per le analisi. 2.1 Strumentazione Sismica impiegata per la caratterizzazione del noise sismico ambientale Di seguito vengono illustrati i 3 sistemi di acquisizione dati utilizzati per comporre il Data Set collezionato all’INGV-MI, dividendoli secondo il tipo di trasmissione o memorizzazione, in quanto questo ha condizionato il lavoro svolto nei tre anni di ricerca. 2.1.1 Trasmissione dati via modem All’inizio della ricerca erano disponibili circa una decina di stazioni già installate, appartenenti all’INGV-MI, dotate di acquisitori Lennartz Mars88/MC (Modem Control). L’invio dei dati in remoto tramite modem GSM, permette di acquisire segnali sismici attivando periodicamente un ciclo di chiamate a tutte le stazioni, le quali inviano dati solo se vengono superate le soglie impostate nel set up interno ad ogni stazione (D’Alema e Marzorati, 2004). Inoltre è possibile prelevare dalla memoria interna degli acquisitori tratti di segnale con comandi manuali. Questa opzione è stata sfruttata per ricevere dalle stazioni segnali di noise sismico della durata di 2 minuti, acquisiti due volte al giorno: una in ore diurne e l’altra in ore notturne. All’inizio della ricerca tale modalità di acquisizione era già attiva ed è stata mantenuta nel corso dei tre anni di lavoro, continuando ad archiviare dati. Le stazioni dotate di acquisitore Mars88/MC, nel corso della ricerca, hanno subito sia disinstallazioni che sostituzione del sensore da parte del 13 personale dell’INGV-MI; considerando gli intervalli temporali in cui una stazione sismica è rimasta attiva con lo stesso acquisitore e sensore, la raccolta di noise sismico, per alcune stazioni, raggiunge un ricoprimento temporale di circa due anni e mezzo. Per gestire i dati trasmessi dalle stazioni, è stato utilizzato il modulo MARS-88 RCM (Remote Control Module), fornito dalla casa produttrice “Lennartz electronic Gmbh”, il quale archivia i dati di tutte le stazioni in file binari di dimensione definita, composti dai tratti di segnale scaricati successivamente secondo il ciclo di chiamate via modem. Il dato digitale ottenuto è fornito in counts, ma dev’essere convertito in unità di voltaggio secondo l’input sensitivity dell’acquisitore, la costante che permette di passare da counts digitali a µV. Gli acquisitori Mars88/MC sono dotati di un’input sensitivity minima di 0.125 µV/count, e di una massima di 128 µV/count. Queste corrispondono ad un Full Scale Sensitivity (il valore di saturazione del segnale) di 66 mV e 4.2 V rispettivamente (da cui si ricavano i 20 bit di dinamica). Se si vuole registrare noise sismico oltre a terremoti, il valore dell’input sensitivity va tenuto adeguatamente basso, per ottenere una risoluzione maggiore e quindi poter rappresentare valori di ampiezza minori. Durante il corso della ricerca, le stazioni sono state dotate di sensori differenti, sempre seguendo gli scopi dell’attività dell’INGV-MI. Dopo una fase iniziale in cui le stazioni erano dotate di sensori Mark-L4-3D, successivamente sono stati inseriti sensori Lennartz 3D-Lite e Lennartz 5 sec, seguiti successivamente da alcuni Nanometrics Trillium 40 (vedi paragrafo 2.2). Nella Tab.2.1 sono descritte le caratteristiche delle stazioni installate da INGV-MI nel Nord Italia ed utilizzate per le analisi del noise sismico (vedi Fig.1.1 del Cap.1 per la disposizione delle stazioni sul territorio). SIGLA STAZ. MI55 MI61 MI50 SONC LON (°E) 10,22 9,93 9,29 9,86 LAT Quota SENSORE (°N) (m) (corner frequency) 45,61 210 Mark L4 - 3D (1 s) 45,64 253 Mark L4 - 3D (1 s) 46,01 219 Mark L4 - 3D (1 s) 45,41 90 Mark L4 - 3D (1 s) MAR2 10,12 45,74 MER2 9,42 45,67 ASO2 11,92 45,80 350 Trillium (40 s) Lennartz-3D Lite 221 (1 s) NEGR 10,95 45,50 167 Lennartz - 3D (5 s) LAB2 MAL3 9.23 45.48 9,86 46,29 CTLE 9,76 45,27 120 Trillium (40 s) 2030 Lennartz - 3D (5 s) Lennartz-3D Lite 66 (1 s) BAG3 10.46 45.82 807 Lennartz - 3D (5 s) 600 Trillium (40 s) Tipo di installazione del sensore Fondamenta di monastero Fondamenta municipio Grotta Scavo nel terreno Fondamenta di edificio a 1 piano Pilastrino di cemento su terreno Roccia in fortezza medievale Roccia in miniera abbandonata Fondamenta edificio a 6 piani Pilastrino su roccia Fondamenta di edificio isolato a 1 piano Roccia in fondamenta edificio scolastico Prof. EC8 superficie superficie < 10 m superficie B B A C superficie A superficie B superficie A < 10 m A superficie B superficie A superficie C superficie A Tab.2.1 Caratteristiche delle stazioni dell’INGV-MI. L’ultima colonna contiene le categorie di litotipi della classificazione Bordoni et al. (2004) basata sull’EuroCodice 8 (vedi mappa della Fig.1.3, Cap.1). 2.1.2 Trasmissione dati satellitare Nell’ultimo anno di ricerca (2006) sono stati messi a disposizione da parte di CNT i segnali provenienti da 15 stazioni sismiche della rete nazionale di monitoraggio situate per la maggior parte nel Nord Italia, più i segnali di alcune stazioni svizzere ottenuti all’interno di una convenzione tra INGV e ETH di Zurigo. 14 Ogni stazione è equipaggiata di una parabola in grado di trasmettere e ricevere dati da satellite ed inviare il segnale in tempo reale, in modalità continua, attraverso il sistema Cygnus della Nanometrics (www.nanometrics.com). I dati sono centralizzati alla sala sismica del CNT e da lì reindirizzati tramite connessione remota TCP/IP alla Sezione di Milano dell’INGV. A tal punto il dato è memorizzato in un personal computer all’interno di un buffer circolare binario di dimensione prestabilita. La Nanometrics mette a disposizione alcuni software per convertire i dati in un formato ASCII, composto da 35 righe di header, in cui sono contenute le informazioni relative al sistema di registrazione, e una colonna in cui sono contenuti i valori del segnale in µV. Il formato ASCII è ottenuto attraverso tre passaggi di conversione. Data l’enorme mole di dati trasmessi in tempo reale ed in modalità continua, è stato scelto di utilizzare una dimensione del buffer circolare tale da memorizzare almeno un mese di segnale e nel mentre archiviare i dati in file della durata di un giorno intero di 24 ore. Questo permette di poter estrarre in un successivo momento solo le finestre temporali d’interesse per le analisi. Alla fine della ricerca, sono stati archiviati 9 mesi di dati, da Gennaio a Settembre 2006, corrispondenti a circa 120 Gb di memoria-disco. Le stazioni satellitari CNT sono equipaggiate di acquisitori Nanometrics Trident a 3 canali e 24 bit, con input sensitivity di 1 µV, collegati a sensori Trillium 40. Tutti i siti si trovano su roccia, in ambiente montano, con i sensori posizionati su pilastrini di cemento all’interno di cabine costruite appositamente. 2.1.3 Memorizzazione Dati in locale Nel corso della ricerca è stata installata una stazione temporanea (VAL9) a circa 7 Km dal centro della città di Milano, allo scopo di monitorare in continuo il noise sismico dovuto all’attività antropica (Cap.4) e per studiare i microsismi nel bacino sedimentario del fiume Po (Cap.6). Inoltre la stazione è stata utile per gli studi volti a valutare la possibilità di estrarre time Domain Grenn’s function (TDGF) dal noise (Cap.7). La stazione VAL9 è stata posta al livello delle fondamenta di un edificio di 6 piani, inserito in un contesto di elevata densità urbana e di industrializzazione. È stato impiegato un acquisitore Reftek 130-01 (a 24 bit), connesso con un sensore Trillium 40 (broad band). Vista la necessità di avere il dato in continuo, sono stati utilizzati supporti di memoria compact flash da 2 Gb, con un campionamento di 100 cps, in modo da dover sostituire le schede non più di una volta al mese. Il dato digitale, archiviato in file da 1 ora, è stato convertito con programmi standard del pacchetto software PASSCAL, ossia ref2segy e segy2sac, ottenendo un file binario SAC (Seismic Analisys Code). 2.1.4 Strumentazione sismica impiegata per le analisi nel bacino sedimentario di Gubbio Alcune analisi conclusive della ricerca sono state effettuate elaborando i dati messi a disposizione dal GFZ di Potsdam (Germania) nell’ambito del Progetto DPC-S3 (Coord. Mucciarelli, Pacor) “Scenari di scuotimento e di danno atteso in aree di interesse prioritario e/o strategico”, all’interno della convenzione tra il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) e INGV. Il personale del GFZ ha installato un transetto di stazioni nel bacino sedimentario di Gubbio (Cap.10) nel corso dell’anno 2005. In una prima fase dell’esperimento le stazioni erano tutte equipaggiate con acquisitori Reftek 72A e sensori short period Mark L4-3D. In una seconda fase, tutti gli acquisitori sono stati sostituiti con Earthquake Data Logger (EDL), mentre sono stati mantenuti i sensori short period. Il personale del GFZ ha fornito, per ogni stazione, le costanti strumentali relative al gain dell’acquisitore e ai poli e zeri di tutte le componenti del sensore, in modo da poter applicare una correzione per la risposta dello strumento. Il gain degli acquisitori è stato mantenuto basso, in quanto lo scopo del transetto di stazioni era di registrare terremoti all’interno del bacino sedimentario. 15 2.2 Sensori Per la caratterizzazione del noise sismico ambientale (Cap.4) sono stati utilizzati velocimetri a tre componenti con differenti caratteristiche. Accanto a sensori short period come il Mark L4-3D e il Lennartz 3D-Lite, sono stati impiegati Lennartz 5 sec e Trillium 40. La caratteristica principale dei sensori velocimetrici, i quali sono dei filtri passa-alto del segnale, è la loro risposta piatta in differenti bande di frequenza. In Fig.2.1 sono mostrate le curve di risposta normalizzate dei quattro tipi di sensore. Il sensore broad band Trillium 40 è quello che che possiede una risposta piatta in una banda di frequenza molto più larga rispetto agli altri sensori impiegati. Esso risulta essere il sensore maggiormente adeguato per rappresentare il noise sismico a basse frequenze, avendo una risposta piatta fino a 40 sec. Infatti tale risposta piatta comprende ampiamente tutta la banda [0.05, 1] Hz, relativa ai microsismi (Cap.5). Al contrario, i sensori short period utilizzati attenuano il segnale sotto ad 1 Hz (Lennartz 3D-lite, Mark L4-3D) e quindi sono sicuramente utili per studiare il noise ad alte frequenze. Per studiare il noise a frequenze inferiori rispetto alla risposta piatta dei sensori è necessario operare una correzione del segnale. Questo permette di rappresentare il segnale fino a frequenze determinate dal rapporto Segnale/Disturbo, il quale varia a seconda della strumentazione utilizzata e dell’ampiezza del segnale nelle bande di frequenza d’interesse. Infatti, oltre all’attenuazione del segnale dovuta alla risposta del sensore, man mano che si scende in frequenza aumenta il rumore strumentale (Havskov and Alguacil, 2004). I sensori Lennartz 5 sec hanno prestazioni a metà strada tra i short period ed il Trillium, avendo una risposta piatta fino a 0.2 Hz, per poi attenuare il segnale rapidamente. La dinamica dei sensori supera i 120 dB, mentre il noise strumentale è dichiarato essere < 1 nm intorno ad 1 Hz per i sensori Lennartz e sotto al New Low Noise Model (NLNM) di Peterson (1993) nella banda 0.05-5 Hz per il Trillium 40. Oltre a conoscere la curva di risposta del sensore, è necessario essere in possesso della output sensitivity, ovvero la costante di generazione che indica la corrispondenza tra il voltaggio in uscita dal sensore (in V) e la velocità del terreno in m/s. Questa costante, unita all’ input sensitivity dell’acquisitore, permette di convertire il dato grezzo da counts a m/s. In Tab.2.2 sono riportati i valori delle costanti di generazione e i poli/zeri dei sensori dell’INGV, utilizzati per la caratterizzazione del noise sismico ambientale nel Cap.4 e per lo studio dei microsismi nel Cap.6. Fig.2.1 Curve di risposta normalizzate dei sensori velocimetrici impiegati nell’installazione delle stazioni sismiche INGV-MI. 16 SENSORE Mark-L4-3D Lennartz 3D-Lite Cost.Gen. (V/(m/s)) Poli Zeri nell’origine 160 -4.443+4.443*i;-4.443-4.443*i 2 400 -4.21+i*4.66;-4.21-i*4.66;-2.105 3 Lennartz 5 sec 400 Trillium 40 1500 -0.885+0.887*i;-0.885-0.887*i;0.427 -172.79+262.37*i;-172.79262.37*i;-0.1111+0.1111*i;0.1111-0.1111*i 3 2 Tab.2.2 Costanti di generazione, poli e zeri utilizzati per la correzione strumentale nelle procedure di calcolo delle analisi dei Capitoli 4 e 8. 17 CAPITOLO 3 18 3 NOISE SISMICO AMBIENTALE (NSA): ORIGINE, NATURA e RAPPRESENTAZIONE Il termine “noise sismico ambientale” (NSA) indica un elemento che generalmente è considerato di scarto (‘noise’), si riferisce a vibrazioni del terreno (‘sismico’) e fornisce un’idea del fatto che tale elemento è sempre presente in ogni luogo (‘ambientale’). Infatti sulla superficie terrestre sono costantemente presenti vibrazioni di ampiezza molto ridotte (dell’ordine di 10-4 – 10-2 mm). Ma per discriminare ciò che è noise da un punto di vista sismologico, è necessario distinguerlo da ciò che è considerato segnale, la componente considerata utile di una serie temporale di valori. Ma esiste un certo grado di soggettività quando si decide cos’è segnale e cosa noise: ad esempio Dobrin e Savit (1988) definiscono il noise come “segnali sismici spuri del movimento del terreno non associati con le riflessioni”; essi si riferivano ad un contesto relativo alla sismica di prospezione. Perciò una più generale definizione di noise potrebbe essere (Scales e Snieder, 1998): “ il noise è la parte dei dati che scegliamo di non spiegare”. Le sorgenti sismiche hanno durata finita ed irradiano segnali sismici transienti i quali posseggono relazioni di coerenza e fase definite da uno spettro di fase; questo non è il caso del noise sismico. Il noise sismico è originato da una serie di sorgenti differenti, spesso non correlate e continue, distribuite spazialmente. Per questo il noise viene paragonato ad un processo stocastico stazionario, il quale è privo di un ben definito spettro di fase (Bormann, 2002). Quindi, per poter trattare il NSA è necessario (I) conoscerne l’origine, (II) la natura e (III) utilizzare uno strumento matematico adatto a rappresentarne le caratteristiche, come ad esempio la rappresentazione spettrale. 3.1 Origine del NSA Per origine del NSA si intendono tutte quelle sorgenti in grado di sollecitare la superficie terrestre generando delle vibrazioni. Il noise sismico registrato in un punto di misura è il risultato della sovrapposizione temporale di segnali provenienti da sorgenti in gran parte non correlate, distribuite spazialmente e spesso continue. Le sorgenti che producono noise sono tutte quelle che interagiscono con la crosta terrestre o con il terreno in modo da generare onde elastiche che si propagano in ogni direzione. A dispetto degli innumerevoli tipi di sorgenti che possono generare noise, in prima battuta le sorgenti del NSA vengono classificate in due categorie generali: sorgenti naturali e sorgenti antropiche. La caratteristica più evidente di tali categorie è il loro contenuto in frequenza; vari studi in letteratura (Gutemberg, 1958; Asten, 1978; Asten e Henstridge, 1984) riportano range di frequenza leggermente differenti in cui ricadono alcuni tipi di sorgenti ma fondamentalmente essi sono in accordo sul fatto che, genericamente, le sorgenti naturali agiscono essenzialmente a basse frequenze (< 1 Hz) e quelle antropiche ad alte frequenze (> 1 Hz). Le vibrazioni a basse frequenze (< 1 Hz) sono definite ‘microsismi’, mentre quelle ad alte frequenze (> 1 Hz) sono dette ‘microtremori’. Le sorgenti dei microtremori derivano dall'attività antropica sulla superficie terrestre o nel sottosuolo. Tale "noise culturale" è in gran parte generato dalla sovrapposizione di traffico veicolare e dal funzionamento di macchinari industriali. Essi energizzano il terreno principalmente sottoforma di onde superficiali, le quali si attenuano nel giro di pochi chilometri, sia in superficie che in profondità (McNamara and Buland, 2004). I fenomeni meteorologici sono la sorgente principale di noise a basse frequenze, comprese tra 0.05 e 1 Hz; essi, attraverso i gradienti di pressione che si generano in concomitanza con eventi ciclonici al di sopra delle masse oceaniche, creano fenomeni ondulatori marini statici che 19 interagendo con le coste marine, inducono la propagazione di onde elastiche all'interno delle croste continentali; l’intensità di questi fenomeni varia mediamente con i cicli stagionali. Altre sorgenti di origine naturale sono i corsi d'acqua, i tremori da attività vulcanica, la circolazione di fluidi nel sottosuolo; essi agiscono in range di frequenze che si sovrappongono con quelli generati dall’attività antropica. Il vento è una delle maggiori sorgenti di disturbo naturale, il cui effetto può comparire in range di frequenza diversi a seconda degli oggetti con cui interagisce: ad esempio le irregolarità topografiche o la vegetazione (soprattutto tramite le radici) provocano segnali ad alta frequenza, mentre l'interazione del vento con grandi oggetti come torri o costruzioni edili con un loro periodo di oscillazione immetteranno nel terreno energia a più bassa frequenza. L’evidenza maggiore, che ha indotto ad intuire il tipo di sorgenti che originano il NSA, deriva dalla variazione temporale in frequenza dei livelli spettrali. Kanai e Tanaka (1961), Yamanaka et al. (1993) e Okada (2003) mostrano come le ampiezze spettrali del NSA seguano i ritmi dell’attività umana, osservando aumenti e diminuizioni contemporanee al giorno ed alla notte, nonché una diminuzione delle ampiezze nei periodi (ad es. i fine settimana) in cui l’attività umana è ipotizzata essere minore. Al contrario, a basse frequenze, il noise ha oscillazioni che tendono ad avere un trend stagionale (Okada, 2003; Stutzmann, 2002), con una maggior ampiezza nel periodo invernale, quando sono più frequenti ed intensi gli eventi meteorologici severi. Le tecniche in array hanno contribuito alla comprensione del NSA; Horike (1985) e Satoh et al. (2001) utilizzano il metodo F-K (Capon et al., 1967; Capon, 1969) per individuare le direzioni di provenienza del segnale relativo al noise. Essi osservano una provenienza oceanica per il segnale a bassa frequenza, mentre individuano il segnale ad alta frequenza come generato dai centri urbani nelle vicinanze. Friedrich et al. (1998) individuano, sempre con il metodo F-K, alcune zone nell’oceano Atlantico e nel mar Mediterraneo come zone sorgenti dei microsismi. Recenti lavori (Webb, 1998; Bromirski, 1999; Bromirski, 2001; Bromirski and Duennebier, 2002; Bromirski et al., 2005) che utilizzano dati oceanografici e dati sismici acquisiti con sensori sul fondo del mare forniscono chiare evidenze corrispondenti ai risultati attesi secondo la teoria della generazione dei microsismi da parte di sorgenti oceaniche (Longuet-Higgins, 1950). 3.2 Natura del NSA Già nella prima metà del 1900 comparvero studi focalizzati alla comprensione della natura del noise, ossia alla composizione del campo d’onda che lo costituisce. Banerji (1924) collega le variazioni del noise sismico alla presenza dei monsoni ed associa i microsismi ad onde di Rayleigh generate sul fondo dell’oceano. La supposizione che nel noise siano presenti onde superficiali porterà allo sviluppo di tecniche in array (F-K: Capon et al. 1967, Capon 1969, Lacoss et al. 1969; SPAC : Aki 1957, 1965) basate sulle proprietà dispersive di tali onde. Le linee di ricerca che si spingono nello studio della composizione del campo d’onda del noise, cercano di definire essenzialmente tre rapporti: - il rapporto tra le onde di volume e le onde superficiali; - il rapporto tra le onde di Rayleigh e le onde di Love; - il rapporto tra il modo fondamentale delle onde di Rayleigh e i modi superiori. 3.2.1 Rapporto tra le onde di volume e le onde superficiali Gli studi principali deputati all’individuazione del contenuto di onde di volume rispetto a onde superficiali all’interno del noise si basano principalmente sull’osservazione dell’attenuazione del noise con la profondità. Le onde superficiali hanno la proprietà di decadere in ampiezza con l’aumentare della profondità, caratteristica non presente nelle onde di volume. Douze (1964, 1967) misura il rapporto d’ampiezza tra il noise a diverse profondità e quello in superficie: osserva che tale rapporto, sempre minore di 1, aumenta con il diminuire della frequenza. Egli conclude che a 2 20 Hz il noise è composto da un misto di onde P e dal 3° modo delle onde di Rayleigh; a 1 Hz un misto tra onde P e il 1° modo delle onde di Rayleigh; a 0.5 Hz la situazione non è chiara. Bormann (2002) fornisce una chiara osservazione del decadimento dell’ampiezza del noise con la profondità attraverso un array di sensori in borehole: egli deduce che questo accade per la presenza di onde superficiali, le quali si attenuano con la profondità. Inoltre tale attenuazione è maggiore man mano che le frequenze aumentano, osservazione coerente con la minor capacità di penetrazione delle onde di corto periodo. Anche analizzando terremoti, ci si accorge (Withers et al., 1996) che il rapporto Segnale/Disturbo, ad alta frequenza e a maggior profondità, migliora per le onde di volume. Yamanaka et al. (1994) mostrano la correlazione tra la curva teorica dell’ellitticità del modo fondamentale delle curve di Rayleigh e il rapporto spettrale tra la componente orizzontale e verticale di registrazioni relative a microsismi all’interno di un bacino sedimentario: essi osservano un’ottima correlazione nel range di frequenze tra 0.1 e 1 Hz. Li et al. (1984) e Horike (1985) utilizzano tecniche di array per determinare la natura del noise, comparando le velocità delle onde ottenute dai dati sperimentali con quelle già conosciute presenti nelle strutture geologiche analizzate. Li et al. (1984) trovano che il rumore tra 1 e 20 Hz è un misto di onde P e dei modi superiori delle onde di Rayleigh. Horike (1985), analizzando frequenze minori, conclude che tra 0.5 e 0.9 Hz il noise principalmente rispecchia il modo fondamentale delle onde di Rayleigh, mentre tra 0.9 e 2.98 Hz è presente sia il modo fondamentale che i modi superiori. Quindi sembra esserci accordo tra i vari autori, di associare il noise al modo fondamentale delle onde di Rayleigh per quel che riguarda le basse frequenze; al contrario, a più alte frequenze non c’è accordo tra i risultati nel discriminare i vari contenuti del noise, il quale sembra essere composto sia da onde P che dai modi fondamentali delle onde di Rayleigh (SESAME Project, report WP08, 2003). 3.2.2 Rapporto tra le onde di Rayleigh e le onde di Love Attraverso studi empirici ottenuti con tecniche in array, si è arrivati a stimare il contenuto relativo di onde di Rayleigh e onde di Love nel noise, assumendo che esso sia composto principalmente di onde superficiali. Chouet et al. (1998) studiano il tremore vulcanico di Stromboli utilizzando il metodo dell’autocorrelazione spaziale (SPAC: Aki, 1957, 1965); essi dichiarano che per frequenze maggiori di 2 Hz, l’energia nel noise è trasportata per il 70% da onde di Love e per il 30 % da onde di Rayleigh. Arai et al. (1998, 2000) utilizzano sia il metodo SPAC che F-K con sensori a 3 componenti per stabilire i rapporti tra Rayleigh e Love in funzione della frequenza: i risultati riportano anch’essi un contributo del 70% delle onde di Love per frequenze tra 1 e 12 Hz. Yamamoto (2000) utilizza gli array per il metodo SPAC in tre siti diversi, trovando nel primo un contributo delle onde di Love dal 65 all’80%; per i restanti due siti osserva un minor contributo delle onde di Love ma sempre maggiore del 50%, in un range di frequenze tra 3 e 10 Hz. Infine Cornou (2002), attraverso un array di tredici sensori broad band, analizza il noise a frequenze minori di 1 Hz, utilizzando il metodo MUSIC (Schmidt, 1981). I rapporti tra le energie veicolate dalla componente radiale e verticale rispetto all’energia totale permette in prima battuta di stimare la proporzione di onde di Rayleigh: essa risulta intorno al 65 %. Oltre ai metodi empirici, il rapporto tra Rayleigh e Love è stato stimato teoricamente (Ohmachi e Umezono, 1998), utilizzando noise sintetico per un modello semplice di sottosuolo. Modellizzando diverse situazioni delle caratteristiche di eccitazione (tipo di eccitazione, numero e direzione sorgente-ricevitore, contrasto di impedenza), i due autori ottengono un’alta variabilità del rapporto Rayleigh / Love (10 – 90 %). In definitiva, non esiste una conclusione univoca che stabilisce il contenuto delle onde superficiali nel noise, anche se esiste una certa coerenza nell’attribuire un maggior contributo delle onde di Love a più alta frequenza ed un maggiore contributo delle onde di Rayleigh a più bassa frequenza. Inoltre, la diversa natura delle sorgenti potrebbe portare a conclusioni differenti. Ad esempio non è possibile confrontare i risultati di Chouet et al. (1998) con quelli 21 degli altri autori, in quanto il tremore vulcanico ha un’origine differente dai microtremori; ciò sembra essere confermato dai risultati teorici (Ohmachi e Umezono, 1998). 3.2.3 Rapporto tra il modo fondamentale e i modi superiori delle onde di Rayleigh In letteratura non è possibile reperire un significativo numero di studi inerenti al rapporto del modo fondamentale delle onde di Rayleigh rispetto ai modi superiori (SESAME Project, report WP08, 2003). Uno studio teorico su tale argomento è stato svolto da Tokimatsu (1997); egli utilizza noise sintetico per eseguire una serie di test risolvendo le equazioni delle onde di Rayleigh per semplici modelli a strati. Nel caso di un modello a strati omogenei orizzontali, con aumento regolare della velocità di fase Vs, le curve di dispersione ottenute seguono il modo fondamentale delle curve di Rayleigh. In altri casi, in cui è stata introdotta un’inversione di velocità nel profilo a strati, emergono invece i modi superiori delle onde di Rayleigh. A seconda delle caratteristiche geologiche del suolo, i modi superiori possono essere eccitati nel noise sismico. Quindi non esistono conclusioni quantitative riguardo al rapporto tra il modo fondamentale e i modi superiori, ma solo l’ipotesi che i modi superiori possano apparire nel noise e che la struttura geologica compia un ruolo fondamentale in questo. 3.3 Rappresentazione del NSA : calcolo della Power Spectral Density (PSD) L’analisi spettrale è un primo e fondamentale passaggio per individuare le caratteristiche ed il contenuto del segnale ‘noise’. Siccome il NSA è prodotto da una serie di sorgenti spazialmente distribuite, spesso agenti in modo continuo, non correlate tra loro, esso viene assimilato ad un processo stocastico stazionario (Bormann, 2002). Un fenomeno random è un processo empirico caratterizzato da proprietà le quali, sotto determinate condizioni, non restituiscono le medesime evidenze per osservazioni successive ma posseggono una regolarità statistica. Quindi un fenomeno è random se presenta certe caratteristiche con una frequenza di occorrenza che, dopo una lunga sequenza di osservazioni, tende ad un valore limite, tanto più che le osservazioni aumentano fino all’infinito; il valore limite della frequenza relativa è chiamato probabilità dell’evento random (Scales e Snieder, 1998). Inoltre, un fenomeno è definito stazionario se non esiste un sistematico incremento o decremento nella media, detto trend, e non un sistematico cambiamento della varianza, detto turbolenza (Chatfield, 1996). Nogoshi e Igarashi (1971) mostrano come la frequenza di occorrenza delle ampiezze dei microtremori tendono ad una distribuzione normale tanto più è maggiore il numero di campioni analizzato. Sakaji (1998), oltre alle analisi dei precedenti autori, calcola la funzione di autocorrelazione applicandola ai microtremori per esaminarne la stabilità temporale. Esso mostra come il noise soddisfa le proprietà di un processo stocastico Gaussiano, almeno nelle condizioni di analisi utilizzate; infatti quando le registrazioni superano la durata di 4 minuti, la distribuzione delle ampiezze si approssima ad una distribuzione normale, mentre media, varianza e funzione di autocorrelazione rimangono costanti rispetto al periodo di campionamento (Okada, 2003). Non esiste una ben definita conclusione a riguardo della stazionarietà del NSA; infatti, come osservato ad esempio in Okada (2003), il noise ha una variabilità temporale e spaziale. La variabilità temporale è dovuta al tipo di sorgenti che generano il noise; così, a frequenze minori di 1 Hz, si ha una variabilità legata al susseguirsi dei fenomeni meteorologici, mentre a frequenze maggiori di 1 Hz l’attività umana induce variazioni molto più frequenti del NSA. L’ampiezza del noise non varia considerevolmente nel giro di pochi minuti, mentre l’inviluppo dell’ampiezza dei microtremori appare variabile per registrazioni acquisite a distanza di oltre tre 22 ore o addirittura in giorni differenti (Okada, 2003). Tali osservazioni non rispondono in maniera univoca alle esigenze necessarie nei metodi speditivi di analisi che utilizzano i microtremori (Picozzi, 2005), per i quali si utilizzano misurazioni del noise di alcune decine di minuti. La variabilità spaziale del NSA è osservata a seconda che i siti di registrazione siano più o meno ‘rumorosi’, nel caso in cui ci si ponga in condizioni geologiche simili, come ad esempio siti su roccia (Bormann, 2002). Inoltre la presenza di eterogeneità laterali al di sotto dei siti di registrazione possono determinare differenti livelli spettrali. L’assunzione di stazionarietà spaziale può ritenersi valida nel caso di strutture geologiche a strati orizzontali omogenei, ma, in ogni caso, la stazionarietà spaziale non è ovvia e scontata né a basse frequenze né ad alte frequenze (Okada, 2003). L’assunzione di stazionarietà del noise è un prerequisito per poter disporre di una sua firma spettrale, uno spettro che ne rappresenti le caratteristiche fondamentali. All’interno del dominio in cui il NSA è stazionario nel tempo (sorgenti continue e distribuite) e nello spazio (mancanza di forti discontinuità laterali), è possibile la rappresentazione spettrale. Una rappresentazione comune del contenuto di un segnale registrato in un punto di misura è la distribuzione delle ordinate spettrali in funzione delle frequenze. Il segnale irradiato da una sorgente sismica, come un'esplosione o una rottura di faglia, ha la caratteristica di avere una durata finita e può essere rappresentato secondo il teorema di Fourier da un'arbitraria funzione transiente f(t) nel dominio del tempo o dall'equivalente F(ω) nel dominio della frequenza (Bormann,2002): +∞ f(t) = (1 / 2π) ∫-∞ F(ω) exp(iωt) dω (3.1) +∞ F(ω) = ∫-∞ f(t) exp(-iωt) dt = | F(ω)| exp(i φ(ω)) (3.2) L'eq.(3.2) rappresenta la trasformata di Fourier di f(t). |F(ω)| = A(ω) è la densità di ampiezza spettrale che nel caso della rappresentazione dello spostamento ha dimensione m/Hz; ω = 2πf è la frequenza angolare e f è la frequenza in Hz. ; φ(ω) è lo spettro di fase, il quale può essere espresso in gradi, rad o 2πrad. Essendo l'eq.1 equivalente ad una somma, per il teorema di Fourier una serie temporale finita può essere descritta come la somma di funzioni periodiche monocromatiche (Fig.3.1) nella forma: f(t) = (1 / 2π) ∑ |F(ω)| exp(i[ωt + φ(ω)]) ∆ω (3.3) Fig.3.1 Rappresentazione grafica delle componenti di una Trasformata di Fourier 23 Il noise sismico non ha una durata finita e le sue caratteristiche, determinate da sorgenti spesso continue, distribuite casualmente nello spazio e indipendenti tra loro, sono approssimativamente quelle di un processo stocastico stazionario. A causa della natura stocastica del noise, l'eq.(3.2) non converge; di conseguenza la densità di ampiezza spettrale A(ω) e lo spettro di fase φ(ω) non possono essere calcolati. Per poter rappresentare le ordinate spettrali del noise sismico, viene calcolata la power density function (PSD) ossia la densità di potenza spettrale P(ω). Essa è la trasformata di Fourier della funzione di autocorrelazione p(τ) = <f(t) f(t + τ)> (il simbolo <> indica il valor medio): +∞ P(ω) = ∫-∞ p(τ) exp(-iωτ) dτ (3.4) Se f(t) è espresso in spostamento, velocità o accelerazione, P(ω) sarà espresso rispettivamente in (m)2/Hz, (m/s)2/Hz o (m/s2)2/Hz. Approssimando il movimento del terreno x(t) del noise sismico tramite un'onda sinusoidale x(t) = ad sin(ωt), dove ad è l'ampiezza dello spostamento, è possibile convertirlo in velocità derivando secondo dx/dt, o in accelerazione secondo dx2/dt2; le rispettive ampiezze risultano av = adω e aa = adω2. Quindi conoscendo la PSD Pd(ω) relativa allo spostamento, si ottengono le P(ω) per le velocità e le accelerazioni: Pv(ω) = Pd ω2 = 4π2 f 2 Pd (3.5) Pa(ω) = Pd ω4 = 16π 4 f 4 Pd = 4π2 f 2 Pv (3.6) Come nel campo dell'acustica, il segnale sismico relativo alla potenza del noise (a2/a1)2 viene espresso in dB (deciBel); ad esempio la PSD in unità di dB riferite a 1 (m/s)2 / Hz, viene rappresentata come: Pv[dB] = 10 log(Pv / 1 (m/s)2 / Hz) (3.7) Peterson (1993) ha presentato un nuovo modello globale del noise nelle unità viste sopra. Esso ha rappresentato gli inviluppi inferiore e superiore delle densità spettrali relative alle accelerazioni di 75 siti distribuiti intorno al mondo per periodi tranquilli e disturbati. I modelli vengono citati come New High Noise Model (NHNM) e New Low Noise Model (NLNM), rispettivamente per il limite superiore ed inferiore (Fig.3.2). Essi sono stati considerati come riferimento fino al giorno d'oggi, ma rappresentano i limiti "tipici" di PSD osservata del noise, piuttosto che i valori massimi o minimi assoluti (Bormann, 1998). Esistono già casi in letteratura in cui i limiti assoluti sono ridefiniti in base a recenti osservazioni (Berger e Davis, 2004). In ogni caso, i riferimenti di Peterson sono ancora una buona approssimazione dei valori in cui è contenuta la variabilità del NSA. La PSD è uno strumento molto importante per ottenere una esaustiva caratterizzazione del NSA nel dominio della frequenza, mediando il contenuto di energia in serie temporali successive. La PSD è lo strumento di partenza di molti metodi che utilizzano il noise come oggetto di analisi e nelle applicazioni che studiano le proprietà dei mezzi in cui esso si propaga. Anche in questo la voro, la PSD è utilizzata come strumento di indagine per caratterizzare i livelli spettrali del NSA, nonchè la sua variabilità nel tempo. 24 Fig.3.2 Curve di riferimento di Peterson (1993). Verde: spostamento; Rosso: velocità; Blu: accelerazione. 3.4 Probability Density Function (PDF): uno strumento per rappresentare la variabilità del NSA Elaborando dati digitali relativi a registrazioni di noise sismico si può ottenere il livello del noise in un range di frequenza corrispondente ad un certo intervallo di tempo, calcolando la PSD della traccia analizzata (paragrafo 3.3). La PSD risultante indica un unico valore di ordinata spettrale per frequenza; ma questo non è una descrizione completa di ciò che dal punto di misura viene rilevato nel corso del tempo. Ogni ordinata spettrale del noise corrispondente ad una determinata frequenza ha una variabilità compresa in range più o meno ampi; range stretti di variabilità indicheranno una certa stabilità del livello del noise a quella frequenza, mentre ampi range di variabilità indicheranno che a quelle frequenze il sito subisce l'influenza di sorgenti che irradiano energia in maniera non costante e spesso casuale, seguendo cicli temporali legati all'attività dell'uomo o agli agenti naturali. Quindi, per poter descrivere la variabilità dei livelli del noise sismico è necessario raccogliere un numero di registrazioni del moto del terreno sufficiente a coprire la finestra temporale di variabilità del noise a determinate frequenze. Obiettivo ulteriore della completa descrizione del noise al sito è determinare nel range di variabilità quali sono i valori delle ordinate spettrali più probabili. Un’ analisi statistica è utile per poter discriminare i valori relativi a segnali occasionali da quelli che invece incidono pesantemente e costantemente sul sito, in quanto sono presenti nella maggior parte delle osservazioni. Di seguito verrà presentato il metodo di McNamara e Buland (2004), un approccio statistico basato sul calcolo della Probability Density Function (PDF) per stimare la variabilità dei livelli del noise. Si supponga di avere una registrazione di noise sismico comprendente un intervallo di tempo della durata di D secondi, di N campioni acquisiti con un periodo di campionamento ∆t, di cui si vuole calcolare la PSD. Il segnale, prima di essere analizzato, è processato rimuovendo l'offset, il trend e applicando un filtro passa-banda (Fig.3.3). 25 a) b) c) d) e) Fig. 3.3 Processing del segnale e calcolo della PSD. a) Rimozione dell'off-set del segnale; b) tapering della singola finestra d'analisi; c) Finestra di tapering di tipo coseno 10 %; d) PSD della finestra d'analisi dopo l'operazione di filtering e correzione per la risposta strumentale; e) Smoothing (blu) della PSD media (rosso) secondo le frequenze centrali Fc. Il calcolo della PSD viene effettuato su finestre mobili che si sovrappongono di un certo numero di campioni per ridurre la varianza del calcolo della PSD; ognuna delle finestre subisce un tapering, ad esempio di tipo coseno del 10%, per attenuare l'effetto di leakage spettrale (Cooley e Tukey, 1965). Di ogni finestra di analisi così ottenuta si calcola la trasformata discreta di Fourier (FFT); un potente algoritmo utilizzato è l'FFTW (Frigo e Johnson, 1998), in cui si possono elaborare un numero qualunque di campioni senza che siano pari ad una 26 potenza di 2. Alla trasformata di Fourier si rimuove per deconvoluzione nel dominio della frequenza la risposta strumentale del sensore utilizzato per acquisire il segnale sismico. La PSD relativa ad ognuna delle finestre di analisi è ottenuta attraverso il modulo quadro dello spettro di ampiezza ottenuto con la FFT, moltiplicato per un fattore di normalizzazione della forma (2∆t / N) (McNamara and Buland, 2004); inoltre bisogna aggiungere un fattore correttivo pari a (1 / 0.875) nel caso si sia utilizzato un tapering coseno 10% (Bendat e Piersol, 1971). La PSD totale della traccia di durata D secondi è ottenuta tramite una PSD media di quelle ottenute con le finestre mobili d'analisi (Fig.3.3). Potendo acquisire una numerosa raccolta di segnali di durata D è possibile ripetere il calcolo della stima della PSD per ognuna delle tracce archiviate, ottenendo numerose PSD del noise sismico inerenti al punto di misura, le quali vengono utilizzate per restituire la Probability Density Function (PDF). La PDF descrive, ad ogni frequenza dello spettro, la distribuzione di probabilità delle ordinate spettrali della PSD. Seguendo lo schema di McNamara e Buland (2004), la PDF viene calcolata per frequenze Fc equispaziate in scala logaritmica; ogni Fc corrisponde alla frequenza centrale ottenuta dalla media geometrica di un'ottava [F1,F2] dove F2 = 2F1; ossia Fc = (F1 * F2)0. 5. Il successivo valore di Fc verrà ottenuto traslando la precedente di un valore arbitrario. Nel presente lavoro si è scelto di traslare le frequenze di 1/16 di ottava, in modo da ottenere una buona risoluzione dello spettro anche in alta frequenza (Marzorati and Bindi, 2006). Ad ogni frequenza Fc deve essere assegnato un valore di ordinata spettrale di PSD che viene ottenuto mediando i valori in un intervallo di frequenza nell’intorno della frequenza centrale, più o meno ampio in dipendenza di quanto si vuole "lisciare" la PSD originaria (Fig.3.3e). I valori di tutte le PSD relativi ad una singola frequenza Fc vengono raggruppati in bin ampi 1 dB, ad esempio da -80 a -200 dB (quindi suddividendo tale range in 120 bin). Il numero di ordinate spettrali che cadono all'interno di un bin costituiranno la frequenza campionaria di quel bin rispetto al numero totale di ordinate, pari al numero di PSD elaborate. Essendo NPFc il numero di ordinate spettrali che cadono all'interno di un bin ed NT il numero totale di ordinate spettrali, si ha che il rapporto NPFc / NT rappresenta la probabilità di occorrenza di un'ordinata spettrale del noise alla frequenza Fc (Fig.3.4). Componendo le distribuzioni di probabilità, viene restituita la PDF rappresentante la variabilità dei livelli del noise alle rispettive frequenze centrali Fc (Fig.3.5). Essendo la PDF una distribuzione probabilistica di valori, è possibile determinare per ogni distribuzione centrata su ciascuna Fc dei parametri statistici come la media, la mediana, la moda, il 95° e il 5° percentile e i valori di minimo (Fig.3.5). Questi parametri possono essere utilizzati come descrizione di sintesi dei livelli di noise ad una stazione e permettono di paragonare i risultati relativi ad un punto di misura con quelli di altri punti di misura. La media è significativa in quei range di frequenza in cui le ordinate spettrali sono poco disperse oppure i dati di origine sono omogenei come ad esempio records esclusivamente notturni o diurni per quel che riguarda le alte frequenze, oppure record stagionali per quel che riguarda le basse frequenze. La moda indica il livello di noise più probabile ad una determinata frequenza, mentre il 95° e il 5° percentile possono rappresentare il limite superiore ed inferiore della variabilità dello spettro del noise, escludendo gli outliers. Il valore minimo, disponendo di un data set ampio e completo temporalmente, individua il livello al di sotto del quale il noise non scende; esso può però essere influenzato dal rumore strumentale o dalla risoluzione scelta al momento dell'acquisizione. Nel Cap.4 verrà descritto un esempio in cui le impostazioni dei parametri del sistema di registrazione determinano un taglio del segnale, mentre nel Cap.10 verrà mostrato un esperimento in cui il noise strumentale è determinante, in senso negativo, per i risultati delle analisi. 27 Fig.3.4 Distribuzioni di ricorrenza dei valori di PSD a due determinate frequenze. Fig.3.5 PDF della stazione BAG3 (vedi Cap.1), determinata a partire da 4095 PSDs relative a tutte e tre le componenti del segnale. Le curve descritte in legenda rappresentano i parametri statistici ricavati dalla PDF. 28 CAPITOLO 4 29 4 VARIABILITÁ SPERIMENTALE DEL NOISE SISMICO AMBIENTALE 4.1 Variabilità dei livelli spettrali del noise e lettura delle PDF A partire dal data set disponibile di dati relativi a siti del Nord Italia (Fig.1.2, Cap.1), sono stati stimati i livelli spettrali del noise sismico ambientale ad ogni sito. Dalla Fig.A.1 alla A.12, in Appendice A, sono mostrati i risultati relativi alle Probability Density Function (PDF): per ogni stazione sono state calcolate le PDF complessive per le tre componenti (Tt) e quelle relative ad ogni singola componente (VT, NS, EW). Per ottenere le PDF, sono state processate tracce sismiche di noise lunghe due minuti, registrate quotidianamente una volta in ore diurne ed una volte in ore notturne, con campionamento di 62.5 cps. Alle tracce è stata applicata la rimozione della media del segnale e un filtro Butterworth passa-banda da 0.05 a 25 Hz per i sensori broadband e da 0.1 a 25 Hz per i sensori short period. Le tracce sono state suddivise in 8 finestre mobili con il 75% di sovrapposizione e ad ognuna è stato applicato un tapering coseno del 10 %; infine il dato è stato corretto per la risposta strumentale. La stima della Power Spectral Density (PSD) su una traccia è stata ottenuta dalla media sulle 8 finestre mobili. Tutte le PSD ottenute sono state lisciate mediando le potenze spettrali intorno al 10 % di frequenze centrali con passo 1/16 di ottava. Le PSD così ottenute hanno permesso di calcolare le PDF. La scala di colori nelle Figg. da A.1 a A.12 va dal bianco (probabilità minore dello 0.5 %) al rosso (30 % di probabilità). Alcune stazioni sismiche utilizzate erano equipaggiate con sensori short period (vedi Tab.2.1 Cap.2), mentre altre con sensori Nanometrics Trillium 40 sec (MAR2, MER2, LAB2, CTL2). Le PDF relative a sensori short period sono ritenute valide fino a 0.2 Hz, anche seguendo le indicazioni ottenute da test di calibrazione in Parolai et al. (2001). L’utilizzo di sensori broad band, invece permette di estendere l’analisi dei livelli spettrali a frequenze minori. L’evidenza diretta dell’utilizzo di sensori differenti è data dalle figure delle PDF relative alle stazioni CTLE (Fig.A.3) e CTL2 (Fig.A.4), poste nello stesso sito in periodi differenti. CTLE è equipaggiata con un sensore short period (corner frequency a 1 s) mentre CTL2 con un sensore broad band (corner frequency a 40 s). Si nota immediatamente come il sensore broad band riesca a descrivere la variabilità del picco intorno a 0.2 Hz, mentre a CTLE si nota come i valori di PDF seguano un trend lineare alle più basse frequenze analizzate; questo effetto è presumibilmente dovuto alla correzione per la risposta dello strumento, la quale esalta il noise strumentale quando non è presente sufficiente segnale a quelle frequenze dove il rumore dello strumento aumenta. Inoltre, è noto che il noise strumentale aumenta con il diminuire della frequenza per frequenze minori di 1 Hz (Havskov and Alguacil, 2004), sia per il contributo del sensore che dell’acquisitore utilizzati per le registrazioni. L’effetto di deriva a bassa frequenza si nota nelle PDF delle stazioni equipaggiate con sensori short period (ASO2, MI50, MI55, MI61, SONC), tutte collegate ad acquisitori Mars88/MC. Le stazioni fornite di sensori Lennartz 5 s (BAG3, NEGR, MAL3) hanno prestazioni intermedie tra i sensori broadband e short period; infatti si può osservare nelle Figg.A.2, A.8 e A.12 come i valori di PDF siano descritti secondo le caratteristiche generali del noise sismico fino a frequenze intorno a 0.15 Hz. Quindi, questi ultimi sensori sono proprio al limite per poter descrivere il picco intorno a 0.2 Hz. Un altro effetto strumentale sulla composizione della PDF è l’input sensitivity dell’acquisitore utilizzato per digitalizzare i dati. Un sensore velocimetrico ha in uscita un voltaggio proporzionale alla velocità del terreno; quindi, il voltaggio in entrata nell’acquisitore viene digitalizzato con una certa risoluzione. Al di sotto di una certa soglia di voltaggio il segnale viene rappresentato con 1 count (Least Significant Bit, LSB), subendo così una discretizzazione digitale (scale). Perciò se il movimento del terreno è minore del valore corrispondente all’input sensitivity (ad es. 1 µV/count), il segnale è tagliato e risulta piatto in frequenza. Nella Fig.A.8 relativa al sito NEGR è possibile osservare l’effetto del cambio di input 30 sensitivity da 128 µV/count a 8 µV/count dell’acquisitore Mars88\MC , effettuato ad un certo punto del periodo di attività della stazione. Al di sopra di 7 Hz, i livelli spettrali probabili si concentrano lungo una linea a circa –170 dB, a causa dell’utilizzo dei 128 µV/count come input sensitivity. I valori che scendono al di sotto dei -170 dB sono relativi alle sole registrazioni con opzione 8 µV/count. La scelta della risoluzione di digitalizzazione è un compromesso tra il minimo e il massimo valore del movimento del terreno che si vuole registrare. Infatti, una risoluzione maggiore (pari ad input sensitivity minore) permette di registrare movimenti di minor ampiezza, ma conseguentemente lo strumento saturerà prima. Le stazioni utilizzate per le analisi sono state installate dal personale INGV-MI a scopo di registrare terremoti, quindi con la necessità di non saturare il segnale. Questo, per alcuni periodi di registrazione e per alcune stazioni, ha determinato la scelta di alte input sensitivity. Se al contrario, l’installazione di una stazione sismica ha lo scopo di registrare il noise sismico, allora è necessario un guadagno maggiore, corrispondente ad una minor input sensitivity per poter registrare fedelmente i minimi movimenti delle vibrazioni di fondo. In ogni caso, un’analisi dei livelli di noise sismico ambientale al sito è utile per individuare situazioni in cui non è necessaria la massima risoluzione (ad esempio per siti con alti livelli di noise). Osservando le PDF alle varie stazioni, è possibile intuire grossolanamente quali siano i livelli di noise più stabili e a quali frequenze. Infatti maggiore è la probabilità ad una determinata frequenza, minore sarà la dispersione dei livelli registrabili al sito e quindi i valori spettrali sono stabili a quel livello per quella frequenza. Al contrario, se ad una determinata frequenza le probabilità di trovare i valori di noise ambientale sono basse, i livelli spettrali probabili occuperanno un range maggiore in dB, indicando una maggior variabilità. A frequenze maggiore di 1 Hz è evidente la struttura bimodale delle distribuzioni dei valori di PDF relative alle singole componenti, con alcune stazioni che presentano valori spettrali molto concentrati intorno a ben precisi livelli. Questi trend compongono le strutture complesse in alta frequenza delle PDF complessive delle tre componenti (PDF Tt nelle Fig.A.1-A.12). Al di sotto di 1 Hz le distribuzioni presentano andamenti unimodali, ma con una maggiore dispersione dei livelli spettrali intorno al picco a 0.2 Hz. Fig.4.1 PSD delle tre componenti della stazione MAR2 nel range di frequenza 0.1-20 Hz. I valori delle PSD sono normalizzati sulla media della PDF di ogni singola componente. Le bande grige indicano mancanza di dati. Il periodo temporale rappresentato va dal 25 Marzo 2004 al 10 Ottobre 2006. In ascissa sono indicati i giorni giuliani degli anni 2004, 2005 , 2006. 31 Per comprendere come si compone la diversa struttura che determina la PDF dei livelli di noise al di sopra e al di sotto di 1 Hz, si prendano in considerazione le PSD di singole tracce sismiche. In Fig.4.1 sono mostrate in successione tutte le PSD utilizzate per comporre la PDF della stazione MAR2, relative a circa 2 anni e mezzo di dati. In ascissa si trovano i giorni giuliani degli anni 2004, 2005 e 2006, mentre in ordinata le frequenze da 0.1 a 20 Hz; la scala di colori è relativa ai dB delle PSD normalizzate sulla media della PDF; ovvero, ad ogni spettro è stato sottratto il valor medio della distribuzione dei valori osservati per ogni frequenza. Questa operazione permette di mettere in risalto le variazioni maggiori dei livelli di noise. I valori al di sotto della media sono rappresentati con sfumature dal blu scuro al nero. Ogni due colonne in figura, corrispondono ad un giorno (una registrazione diurna ed una notturna). E’ evidente come il limite di 1 Hz corrisponde ad andamenti completamente diversi del noise nel tempo, relativamente repentini al di sopra di tale limite, graduali al di sotto. Per le basse frequenze, emergono picchi del noise al di sopra della media a cavallo tra un anno e l’altro; al contrario, a metà del calendario (intorno al giorno giuliano 180) si registrano soprattutto valori al di sotto della media. Mentre a frequenze > di 1 Hz i livelli spettrali aumentano o diminuiscono in maniera sincrona in tutto il range analizzato, a basse freqeunze si nota come intorno a 0.2-0.25 Hz esiste un ulteriore limite intorno al quale i livelli del noise hanno una variabilità indipendente tra le frequenze maggiori e minori di tale soglia. Quindi le varie caratteristiche spettrali che compongono il noise ad una stazione hanno una certa variabilità, la quale risulta periodica, ma con ritmi differenti a seconda del range di frequenza considerato. In Fig.4.2, alla PDF della stazione MAR2 sono sovrapposte due PSD con lo scopo di far comprendere come i livelli estremi (maggiori e minori) delle PDF non sono dati da spettri del noise che aumentano o diminuiscono omogeneamente a tutte le frequenze. Infatti, come si vede in figura, un alto livello di noise in alta frequenza può corrispondere ad un basso livello di noise in bassa frequenza e viceversa. Ma mentre è probabile trovare due differenti livelli di noise in alta frequenza passando dal giorno alla notte, in bassa frequenza le oscillazioni dei livelli di noise dai massimi ai minimi valori si registrano in intervalli temporali molto più lunghi, così come già si osserva in Fig.4.1. Fig.4.2 PDF della componente verticale della stazione MAR2 (scala di colori tra 0% e 30% di probabilità). In sovrimpressione sono visualizzate due PSD (nero e rosso) scelte tra le 1520 utilizzate per comporre la PDF. Le curve tratteggiate si riferiscono ai riferimenti di Peterson (1993). 32 Componendo tutte le PSD calcolate nelle analisi epr restituire le PDF, emerge la regolarità statistica del noise sismico osservato per lunghi intervalli temporali. Ma la PDF non permette di discriminare sempre la complessità del noise sismico, in quanto descrive le proprietà medie della sua variabilità. Con una PDF stimata su intervalli temporali che comprendano tutti i cicli periodici delle varie componenti del noise, è possibile ottenere una visione completa della fascia di valori (frequenzà-densità spettrale) interessata dal noise nel punto di osservazione. Nei paragrafi successivi verrà investigata la variabilità e la complessità del noise sismico, analizzando in dettaglio le bande di frequenza che presentano periodicità differenti dell’oscillazione dei livelli spettrali. 4.2 Variabilità dei livelli spettrali del Noise Sismico Ambientale (NSA) per frequenze < 1 Hz Come già accennato, nella Fig. 4.1, relativa alle PSD della stazione MAR2, si vede chiaramente come a frequenze < 1 Hz i livelli del noise ambientale oscillano con periodo annuale. I livelli maggiori a bassa frequenza ricadono intorno al periodo invernale, al passaggio da un anno solare ad un altro, mentre presentano valori al di sotto della media delle PDF durante i periodi estivi. Prendendo in esame le tracce sismiche registrate alla stazione MAR2 nel periodo invernale distintamente da quelle registrate nel periodo estivo (Fig. 4.3), si osserva una variazione media dei livelli spettrali a bassa frequenza di circa 15 dB. Al contrario, ad alta frequenza i livelli spettrali rimangono mediamente invariati, confermando la diversa origine del noise nei due range di frequenza. Infatti, le medie delle PDF per frequenze > 1 Hz sono praticamente uguali, mentre al di sotto di 1 Hz i valori medi della PDF subiscono uno scostamento significativo (riquadro a destra, Fig.4.3). Inoltre, i livelli del picco del noise a bassa frequenza nel periodo invernale sono maggiori di quelli nel periodo estivo, con uno slittamento del picco verso le basse frequenze nel periodo invernale, probabilmente dovuta alla maggior intensità dei fenomeni meteorologici (Stutzmann et al., 2002). Tra 0.1 e 0.2 Hz, nel periodo estivo, i livelli spettrali minimi toccano il New Low Noise Model (NLNM) di Peterson (1993), indicando quanto il segnale sia attenuato in certi periodi rispetto ai valori medi al sito. Fig.4.3 Oscillazione annuale del noise a bassa frequenza (0.1-1 Hz). Sinistra) PDF della stazione MAR2 selezionando tracce del solo periodo estivo; centro) PDF della stazione MAR2 selezionando tracce del solo periodo invernale; destra) medie delle PDF della stagione estiva (tratteggio rosso) e della stagione invernale (continuo blu). In grigio sono rappresentati i riferimenti di Peterson (1993). La figura è stata tratta da Marzorati and Bindi (2006). 33 Le oscillazioni del picco in bassa frequenza alla stazione MAR2 sono descritte in dettaglio dalla Fig.4.4 in cui sono stati calcolati i valori massimi delle PSD in due intervalli di frequenza abbastanza stretti: 0.1-0.25 Hz (punti neri) e 0.25-0.7 Hz (punti blu). Questi intervalli sono stati scelti osservando dove emergono i picchi delle PSD in Fig.4.1, al di sotto di 1 Hz. L’andamento periodico che si osserva è tracciato da entrambi gli insiemi di punti rappresentanti i due intervalli di frequenza, con un livello spettrale maggiore per i valori compresi tra 0.1 e 0.25 Hz. Questo sembra contraddire l’affermazione del paragrafo precedente, per cui i livelli di noise a bassa frequenza hanno variazioni indipendenti al di sopra e al disotto di 0.2-0.25 Hz. Fig.4.4 Massimi dei picchi spettrali della componente verticale della stazione MAR2, nei range di frequenza 0.1-0.25 Hz (nero vuoto) e 0.25-0.7 Hz (blu pieno). Analisi da Aprile 2004 a Settembre 2006. Come descritto nel Cap.3, al di sotto di 1 Hz l’origine del noise sismico è imputabile a fenomeni meteorologici al di sopra delle masse oceaniche, la cui intensità varia mediamente con i cicli stagionali. Quindi ci si aspetta che a basse frequenze tra 0.05 e 1 Hz l’andamento temporale dei livelli di noise sia quello descritto in Fig.4.4. Ma a dispetto della stessa origine del noise, il segnale registrato può provenire da sorgenti diverse anche se della stessa natura. Inoltre le oscillazioni annuali nei due range di frequenza in Fig.4.4 hanno andamenti simili, ma l’ampiezza delle stesse è maggiore per il range 0.1-0.25. Le oscillazioni, considerando i valori estremi, raggiungono uno scarto di 30-35 dB; al contrario, le oscillazioni connesse al range di frequenza 0.25-0.7 Hz non superano i 15-20 dB. Questa indicazione potrebbe non significare nulla se non fossero presenti i picchi nelle PSD osservati in Fig.4.1 e che si intravedono nelle PDF di stazioni come ad esempio MAR2, BAG3, MI55, SONC (Appendice A); infatti, le oscillazioni meno ampie tra 0.25 e 0.7 Hz potrebbero essere dovute esclusivamente al decadimento spettrale del picco del noise a bassa frequenza. Ma l’evidenza di Fig.4.1, in cui i picchi delle PSD tra 0.25 e 0.7 Hz non sono correlati ai picchi al di sotto di 0.2 Hz, in quanto emergono in momenti differenti e non sono sempre presenti in entrambi gli intervalli di frequenza, alternandosi casualmente, impongono la verifica dell’ipotesi che agiscano sorgenti di natura simile ma indipendenti tra loro. Questo aspetto verrà analizzato nel Cap.6, relativo alle osservazioni di microsismi nel Nord Italia. La ricerca di sorgenti del noise sismico ambientale a frequenze tra 0.05 e 1 Hz può essere condotta correlando la presenza di eventi meteorologici con la presenza dei picchi del noise a bassa frequenza nei segnali sismici registrati. Come già descritto in letteratura (vedi Cap.3), è 34 possibile trovare correlazioni utilizzando mappe barometriche e dati ondametrici provenienti da boe nelle aree marine prospicienti le coste. Fig.4.5 Riquadri a destra: alto) PSD della componente verticale della stazione MAR2 per il mese di settembre 2005; centro) analogo al riquadro sopra ma le PSD sono normalizzate sulla media della PDF di quel periodo; basso) indicazione dell’area comprendente il punto d’osservazione. Riquadri a destra (fonte: www.metoffice.gov): alto) mappa barometrica del 14 Settembre 2005; centro) mappa barometrica del 21 Settembre 2005; basso) mappa barometrica del 27 Settembre 2005). Ellissi nere: corrispondenza tra dati sismici e zone di depressione. Ellissi viola: corrispondenza tra dati sismici e altezza delle onde nei mari mediterranei (vedi Fig.4.6). 35 Fig.4.6 Alto a sinistra) altezza delle onde rilevata alle boe di La Spezia (LSP) ed Ancona (ANC) della Rete Ondametrica Nazionale, nel Settembre 2005. Basso a sinistra) posizione delle boe LSP ed ANC rispetto alla stazione sismica MAR2. Alto a destra) frequenza dell’onda marina durante gli eventi di picco evidenziati dalle ellissi viola in alto a sinistra. Basso a destra) Direzione di provenienza (rispetto al Nord) dell’onda marina durante gli eventi di picco evidenziati dalle ellissi viola in alto a sinistra. Le Fig.4.5 e 4.6 riassumono le osservazioni condotte con dati relativi al mese di Settembre 2005. Tra i valori delle PSD dei dati sismici della stazione MAR2 sono stati individuati nel noise 3 eventi significativi a frequenze maggiori di 0.25 Hz e tre eventi significativi a frequenze minori di 0.25 Hz. Nei giorni 14, 21 e 27 settembre appaiono a MAR2 tre evidenti picchi alle più basse frequenze, i quali sono stati correlati in Fig.4.5 alla presenza di minimi barometrici nell’oceano Atlantico esposti sulle mappe pubblicate dall’ UK Meteorological Office (http://www.metoffice.gov.uk). La posizione dei minimi di pressione suggerisce la presenza di tempeste oceaniche nel Nord Atlantico capaci di generare picchi microsismici; inoltre le aree coinvolte dai minimi barometrici investono quelle già ipotizzate in Friedrich et al. (1998), come i mari davanti alla costa norvegese e le zone circostanti la Gran Bretagna. Al contrario, in Fig.4.6 vengono utilizzati i dati dell’altezza delle onde registrati da due boe, una nel mar Tirreno (LSP) ed una nel Mar Adriatico (ANC). I tre picchi spettrali a MAR2 a frequenze maggiori di 0.25 Hz appaiono quando nei mari mediterranei sono presenti picchi nel grafico dell’altezza delle onde, nei giorni 12, 17, 18 e 29 Settembre 2005. Inoltre, sempre nella Fig.4.6, si riscontra come la frequenza delle onde marine in quei giorni sia circa la metà del contenuto in frequenza dei picchi sismici a MAR2; oltretutto l’azimuth principale di propagazione delle onde punta verso le coste. Queste ultime due informazioni rafforzano l’ipotesi che i picchi del noise in bassa frequenza, registrati alla stazione sismica MAR2 oltre gli 0.25 Hz, abbiano origine dai fenomeni ondulatori che si generano nei mari mediterranei intorno all’Italia, secondo i meccanismi che producono onde stazionarie che interagiscono con il fondo del mare e trasferiscono energia nella crosta terrestre (vedi Cap.5). Infine, per il range 0.15-0.25 Hz, viene presentato l’andamento della media mobile su 60 giorni del rapporto spettrale tra la composizione delle componenti orizzontali e la componente verticale, durante i due anni e mezzo compresi nei dati sismici della stazione MAR2 (Fig.4.7). Si nota come, nonostante la dispersione dei valori, la media mobile presenti un andamento stagionale che ricorda quello dell’oscillazione dei massimi spettrali in Fig.4.4. Questo fenomeno è stato per la prima volta riscontrato in Tanimoto et al. (2006), anche se in un range di frequenza leggermente più basso. Tanimoto et al. (2006) ipotizzano che tale oscillazione del rapporto spettrale sia imputabile alla contaminazione dei modi superiori delle onde di Rayleigh rispetto alla sola presenza del modo fondamentale; la contaminazione diventa più probabile maggiore è la frequenza analizzata. Quindi, l’osservazione evidenziata in Fig.4.7 è 36 rappresentativa di frequenze che possono contenere i modi superiori delle onde di Rayleigh componenti i segnali microsismici. Fig.4.7 Rapporto spettrale della composizione delle compoenti orizzontali rispetto alla componente verticale della stazione MAR2. Grigio vuoto: valore del rapporto spettrale HH/VT per la singola traccia. Rosso: media mobile calcolata su 60 giorni. 4.3 Variabilità dei livelli spettrali del NSA per frequenze > 1 Hz Alle alte frequenze (> 1 Hz), l’origine e la natura del noise sismico ambientale sono dominati dall’attività antropica sul territorio. Le sorgenti principali del noise “culturale” sono impianti e macchinari industriali, nonché il traffico veicolare. Poiché il noise “culturale” si attenua nell’arco di decine di chilometri dalla sorgenti di emissione, i livelli di noise sismico ambientale registrati in siti distanti possono risultare con caratteristiche spettrali molto differenti. Nelle figure delle PDF per stazione (Fig.A.1-A.12, Appendice A), è evidente la variabilità dei livelli del noise in alta frequenza, da sito a sito. I livelli spettrali più alti si registrano ai siti ASO2, CTLE (CTL2), LAB2, MER2, MI55, MI61, NEGR e SONC. Tali siti sono quelli posti all’interno o nelle vicinanze delle zone più industrializzate (vedi Cap.1) del Nord Italia. In particolare, i livelli spettrali dei siti CTLE (CTL2), LAB2 e SONC eccedono la curva di riferimento superiore (NHNM) di Peterson (1993) per frequenze tra 1 e 5 Hz. Livelli di noise minori sono registrati in siti come MI50, MAR2, BAG3, per i quali le stazioni sono state installate in ambiente montano nelle vicinanze di piccoli centri abitati. MI50 presenta i livelli più bassi, in quanto l’installazione della stazione è avvenuta su roccia all’interno di una grotta ad alcuni metri al di sotto del suolo. Un’altra stazione che presenta bassi livelli di noise in alta frequenza è MAL3: il sito si trova a 2030 m s.l.m., in alta montagna, e la stazione è posta su roccia. I livelli minimi della PDF a MAL3 risultano molto bassi, ma al di sopra dei 2 Hz si osserva una dispersione dei valori spettrali le cui distribuzioni raggiungono anche livelli di noise non trascurabili alle più alte frequenze analizzate. Questo è dovuto al fatto che il sito si trova nelle vicinanze di impianti di risalita di un comprensorio sciistico; quindi, soprattutto nel periodo invernale, la stazione 37 registra le vibrazioni dei macchinari che mettono in azione gli impianti di risalita, sia dei mezzi di locomozione utilizzati per la manutenzione che per il trasporto su neve. L’andamento bimodale delle PDF che si osserva ad alta frequenza (Fig.A.1-A.12, appendice A) è dovuto alla variazione dei livelli spettrali delle ore diurne rispetto alle ore notturne. A dimostrazione di questa affermazione si riporta l’esempio della stazione MER2 (Fig.4.8 e Fig.4.9), valido anche per tutte le altre stazioni, le quali presentano un comportamento simile. Fig.4.8 PDF della componente verticale della stazione MER2. Alla PDF sono state sovrapposte le curve dei livelli più probabili, rappresentati dalle moda delle PDF di Fig.4.9 ottenute elaborando distintamente le registrazioni effettuate in ore diurne (rosso) e in ore notturne (nero). Fig.4.9 PDF della componente verticale della stazione MER2, ottenute selezionando solo le registrazioni in ore diurne (sinistra, VTg) ed in ore notturne (destra, VTn). In Fig.4.8, alla PDF della componente verticale di MER2 sono state sovrapposte le mode delle PDF ottenute selezionando distintamente le registrazioni effettuate in ore diurne ed in ore notturne (Fig.4.9). I livelli più probabili (moda della PDF) nelle ore diurne ricalcano esattamente il ramo maggiore dell’andamento bimodale della PDF a frequenze maggiore di 1 Hz. Al contrario, i valori più probabili nelle ore notturne ricalcano il ramo inferiore dell’andamento bimodale. Quindi, gran parte della complessità della PDF in alta frequenza è determinata dalla variabilità dei livelli spettrali tra il giorno e la notte. Anche in queste due figure è riscontrabile l’indipendenza delle basse frequenze rispetto alle variazioni quotidiane. 38 Una descrizione quantitativa dei livelli di noise sismico ad alta frequenza (> 1 Hz) è riportata in Fig.4.10. Attraverso il 95° percentile delle distribuzioni della PDF ad ogni stazione, vengono rappresentati i massimi livelli raggiunti dal noise nei siti esplorati (Fig.4.10a). I valori passano da –165 dB a MI50, fino a raggiungere i –130 dB in stazioni come CTLE e SONC, confermando come in alta frequenza i massimi livelli di noise ambientale sono fortemente variabili da sito a sito. In Fig.4.10b sono riportate le differenze, frequenza per frequenza, tra i valori del 95° e del 5° percentile delle distribuzioni delle PDF. Questo dato indica la dispersione dei livelli spettrali ad una determinata frequenza; maggiore è la dispersione dei valori lungo la distribuzione, maggiore è la variabilità e l’instabilità dei livelli di noise. A frequenze maggiori di 1 Hz, si nota un trend positivo della dispersione dei livelli spettrali con l’aumentare della frequenza, il quale eccede i 25 dB per frequenze maggiori ai 2 Hz. La minor dispersione (< 20 dB ) si riscontra intorno ad 1 Hz, come è evidente anche dalle figure delle PDF (Fig.A.1-A.12, Appendice A), in cui, per tutte le stazioni è presente un picco a circa 1.1 Hz; a questa frequenza si concentrano tutti i valori delle PSD intorno a pochi dB, indicando la persistenza temporale di quel picco. Fig.4.10 a) 95° percentile delle PDF tra 1 e 20 Hz; b) differenza tra il 95° e il 5° percentile delle PDF tra 1 e 20 Hz; c) mode della PDF selezionando distintamente registrazioni diurne e notturne, in un sito tranquillo (MI50) ed in un sito disturbato (CTLE); d) differenze delle mode in (c) ad ognuno dei siti MI50 e CTLE. La figura è tratta da Marzorati & Bindi (2006). Il riquadro in Fig.4.10c mostra la variabilità quotidiana dei livelli di noise al di sopra di 1 Hz. Infatti nell’analisi sono coinvolte la stazione MI50 e la stazione CTLE che presentano rispettivamente i minori ed i maggiori livelli di noise tra tutti i siti esplorati. Le mode estratte dalle PDF, le quali rappresentano i livelli più probabili, sono state ottenute analizzando distintamente le tracce sismiche registrate in ore diurne da quelle registrate in ore notturne. I livelli diurni hanno un andamento simile a quelli notturni, sia a CTLE che a MI50, ma come risulta dalla Fig.4.10d, lo scarto maggiore si ha a CTLE (fino a 20 dB), la stazione tra le due che subisce maggiormente l’influenza dell’attività antropica, essendo collocata in una zona più industrializzata ed urbanizzata (Fig.1.2, Cap.1). La differenza di 35-40 dB riscontrata nelle potenze spettrali in Fig.4.10a tra le varie stazioni è un valore significativo che può influire sulla detezione dei terremoti registrabili da stazioni sismiche nell’area del Nord Italia. Una riduzione dei livelli di noise di circa 20 dB sarebbe possibile per quelle stazioni poste nella pianura padana, se i sensori fossero installati in pozzo (Cocco et al., 2001). 39 Una simulazione dell’effetto dei livelli di noise sulla detezione dei terremoti nella parte centrale del Nord Italia è sintetizzata in Fig.4.11. La soglia di magnitudo minima registrabile con un rapporto Segnale/Disturbo accettabile (fissato arbitrariamente ad un valore 3 in ampiezza, nel range 1-10 Hz, ad almeno 3 stazioni), è stimata paragonando i livelli medi di noise ottenuti dalle PDF ad ogni stazione con uno spettro sintetico di un terremoto. Lo spettro sintetico è calcolato secondo un modello di sorgente ω2 (Brune, 1970), per una distribuzione di terremoti localizzati ai nodi di una griglia con maglia di 25 km. La sorgente è propagata ad ogni stazione con un fattore 1/R per il geometrical spreading (con R come distanza epicentrale). Nei pannelli superiori di Fig.4.11 sono stati utilizzati rispettivamente i livelli medi di noise diurni e quelli notturni; come si nota l’area di detezione di soglia di magnitudo minima si estende nelle ore notturne anche alle stazioni poste nella pianura padana (la più rumorosa dal punto di vista sismologico). Nei riquadri in basso, per estremizzare il concetto, sono stati applicati a tutte le stazioni i livelli di noise di CTLE e successivamente di MI50, rispettivamente la stazione più rumorosa e quella meno rumorosa. Se tutte le stazioni avessero dei livelli di noise ad alta frequenza come quelli di CTLE, in una vasta area non sarebbe possibile registrare terremoti di magnitudo inferiore a 3 – 3.5, mentre il catalogo strumentale potrebbe essere completo fino a magnitudo anche inferiori a 2 nel caso di livelli di noise a tutte le stazioni paragonabili con quelli di MI50. Fig.4.11 Effetto dei livelli di noise sulla detezione dei terremoti. La scala di colori rappresenta la possibilità di registrare segnali di eventi sismici con un rapporto Segnale/Disturbo maggiore di 3 ad almeno 3 stazioni contemporaneamente. I triangolino bianchi rappresentano le stazioni utilizzate per indagare i livelli di noise. Alto a sinistra) modello con livelli di noise diurni. Alto a destra) modello con livelli di noise notturni. Basso a sinistra) modello ipotizzando livelli di noise a tutte le stazioni pari a quelli della stazione CTLE. Basso a destra) modello ipotizzando livelli di noise a tutte le stazioni pari a quelli della stazione MI50. Queste simulazioni, unite al fatto che l’area in questione presenta una bassa sismicità, determina la necessità di sfruttare il noise ambientale sismico per ottenere maggiori informazioni sulle caratteristiche del sottosuolo, in quanto i dati strumentali relativi a terremoti in quest’area possono essere raccolti solo in lunghi periodi temporali. Infatti, se si considerano gli eventi sismici registrati dalle stazioni velocimetriche INGV-MI nel solo anno 2006 (da Gennaio 40 a Ottobre) è possibile mostrare un esempio di come il noise influisca sulla detezione dei terremoti. Dei 165 eventi registrati, quelli con un buon rapporto Segnale/Disturbo acquisiti dalla stazione CTLE sono solamente 19 (Fig.4.12). Tra questi, l’evento di magnitudo minima è pari a 2.5 Ml, localizzato ad una distanza di circa 80 Km dalla stazione CTLE. La forma d’onda di questo evento, che rappresenta una soglia minima di detezione per la stazione, è visibile in Fig.4.13, dove si nota come stazioni più lontane ma poste in siti meno disturbati (come MAR2 e BAG3) sono in grado di acquisire forme d’onda con un rapporto Segnale/disturbo migliore.. Eventi 2006 registrati a CTLE 250 Distanza (Km) 200 150 100 50 0 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 4,5 Magnitudo (Ml) Fig.4.12 Relazione Magnitudo-Distanza degli eventi acquisiti alla stazione CTLE nell’anno 2006 con un buon rapporto Segnale/Disturbo. Fig.4.13 Forme d’onda (componenti verticali) dell’evento del 1 Maggio 2006 di magnitudo 2.5, localizzato a circa 80 Km dalla stazione CTLE (evidenziata con il cerchio rosso). La figura è tratta dal sito http://accel.mi.ingv.it 41 4.4 Analisi del NSA per frequenze > 1 Hz con dati sismici in continuo Dalle osservazioni descritte nel paragrafo precedente, è evidente come la variabilità del noise sismico ambientale a frequenze maggiori di 1 Hz ha ritmi paragonabili a quelli dell’attività umana, la quale è ipotizzata essere maggiore nelle ore diurne rispetto a quelle notturne. Ma per poter seguire realmente l’andamento dei livelli di noise nel tempo, è necessario sfruttare dati sismici registrati in continuo. A tal proposito, è stata installata una stazione temporanea (VAL9), equipaggiata con acquisitore Reftek 130 e sensore Nanometrics Trillium 40 s, posta in una cantina tra le fondamenta di un palazzo di sei piani, a circa 7 km dal centro della città di Milano. Il contesto territoriale in cui si trovava la stazione è di alta densità del costruito urbano ed industriale, con la presenza a circa 300 m a nord della stazione di una strada statale con elevato traffico veicolare, sia leggero che pesante. L’analisi del noise ad alta frequenza è stata effettuata per 13 giorni a partire dal 7 al 20 febbraio 2006. In questo periodo, la traccia sismica registrata in continuo sulle tre componenti è stata suddivisa in tracce lunghe 5 minuti per la quali è stata restituita una stima della PSD media su 7 finestre mobili,con sovrapposizione del 75 %, della durata di 120 secondi. Quindi per ogni componente del sensore sono state calcolate 3744 PSD, presentate in Fig.4.14. In questo modo è possibile seguire i livelli del noise praticamente in continuo, osservando anche le più repentine variazioni. Dalla Fig.4.14 è subito evidente come i livelli del noise variano dal giorno alla notte e come nelle ore diurne i valori siano maggiori che nelle ore notturne. Tra le tre componenti, la componente NS ha dei valori leggermente maggiori nelle ore diurne. Tale andamento notte-giorno subisce significative variazioni solo nelle due coppie di giorni 11-12 e 18-19 di Febbraio 2006: questi giorni corrispondono esattamente al sabato e alla domenica dei due fine settimana compresi nell’intervallo temporale analizzato. I livelli diminuiscono soprattutto la domenica, ma iniziano a diminuire nella seconda parte della giornata di sabato. Inoltre, nelle ore diurne, a metà di ogni giorno si registrano dei livelli leggermente minori, della durata di circa un’ora. Tutte queste evidenze sono correlabili con le abitudini dell’attività umana della popolazione che risiede sul territorio intorno alla stazione. Il giorno di riposo lavorativo coincidente con la domenica, il sabato pomeriggio in cui gran parte delle attività chiudono, la pausa durante i giorni lavorativi per il pranzo, sono momenti ben correlabili con i livelli di noise registrati al sito VAL9. Le curve relative al rapporto spettrale tra le componenti orizzontali e la verticale (Fig.4.15) per tutte le 3744 osservazioni, indicano che al sito VAL9 non sono presenti particolari amplificazioni nel range 1-30 Hz; ma la loro forma mette in evidenza 4 frequenze (2.34, 4.69, 6.64 e 13.28 Hz) che corrispondono a quelle in cui i valori di PSD sono maggiori nelle ore diurne, come si nota dalla Fig.4.13. Quindi i livelli di noise a queste quattro frequenze sono stati seguiti per tutti i 13 giorni (Fig.4.16) sulla componente NS, quella con maggiori valori delle potenze spettrali: i quattro picchi hanno un andamento concorde nel tempo, con oscillazioni più ampie del picco a 13.28 Hz e una minore riduzione dei valori durante il fine settimana del picco a 2.34 Hz. Le frequenze 2.34-4.69 e le frequenze 6.64-13.28 sono circa una doppia dell’altra. Inoltre, nelle ore diurne, la prima frequenza di entrambe le coppie ha valori maggiori della seconda frequenza; i rapporti spettrali con la componente verticale (Fig.4.17) indicano una certa correlazione giorno-notte sempre della prima frequenza della coppia, mentre il valore del rapporto spettrale non presenta andamenti particolari per le seconde frequenze. Non è possibile avanzare ipotesi sull’origine precisa dei picchi osservati nel noise sismico, i quali potrebbero però essere ricondotti alle vibrazioni delle strutture che compongono l’edificio in cui è posta la stazione. Infatti, la frequenza intorno ai 2 Hz è riconducibile alla vibrazione fondamentale di un edificio di 6 piani, così come osservato in altri studi (Gallipoli et al., 2004; Mucciarelli and Gallipoli, 2006; Gallipoli et al., 2006). Le vibrazioni a più alta frequenza potrebbero essere legate a strutture scollegate dai pilastri e dalle pareti portanti dell’edificio che possiedono una frequenza propria differente da quella dell’edificio intero. 42 Fig.4.14 PSD media su 5 min, delle tre componenti della stazione VAL9 dal 7 al 20 Febbraio 2006. 43 Fig.4.15 Rapporto spettrale H/V: medie e deviazioni standard calcolate per le 3720 PSD di Fig.4.13. Fig.4.16 Andamento dei picchi spettrali a varie frequenze dal giorno 7 al 20 Febbraio 2006. Fig.4.17 Rapporto spettrale tra la componente Nord-Sud (NS) e la componente verticale (VT) della stazione VAL9, a diverse frequenze indicate a sinistra. 44 4.5 Stabilità e persistenza del picco a 1.1 Hz Le Fig.A.1-A.12 (Appendice A) mostrano la presenza di un picco a circa 1.1 Hz in tutte le PDF delle stazioni analizzate. Nelle stazioni più rumorose (CTLE, LAB2, SONC), il picco è mascherato dagli alti livelli di noise, ma è comunque visibile. Le stazioni NEGR e MER2 presentano i picchi più visibili. Il picco è ben visibile anche alle stazioni meno rumorose (BAG3, MAR2, MI50, ASO2, MI61). L’unica eccezione è la stazione MAL3, la quale presenta un picco leggermente spostato e puntato intorno a 1.3 Hz. I valori della PDF, relativi alle frequenze intorno al picco, sono concentrati in pochi dB di variazione, indicando la persistenza del picco negli intervalli temporali analizzati per ogni stazione. Conoscere l’origine di questo segnale potrebbe essere utile per studiare la variazione delle proprietà della crosta terrestre, essendo un picco presente a tutte le stazioni ad una determinata frequenza. La frequenza 1.1 Hz è vicina al limite tra il noise sismico dovuto all’attività antropica e quello dovuto alle sorgenti naturali, quindi è necessario investigare il comportamento del segnale ad essa associato per capirne l’origine. In prima battuta, si potrebbe pensare ad un’origine antropica, essendo il picco al di sopra di 1 Hz. Ma in letteratura (vedi Correig and Urquizù, 2002) si ritrovano studi teorici che simulano il comportamento del picco dei microsismi il quale può generare armoniche superiori, interessando anche frequenze vicino ad 1 Hz. La Fig.4.18 esprime la variazione del livello del picco ad 1.1 Hz attraverso i valori massimi, calcolati su media mobile ogni 7 valori, per le ore notturne, nel range 1.0-1.2 Hz, per tre stazioni (BAG3, CTLE, MAR2), nell’intervallo temporale che va da Giugno 2004 a Ottobre 2005. I massimi del picco oscillano con minime variazioni intorno a valori medi di –159 dB, -155 dB e –137 dB rispettivamente per BAG3, MAR2 e CTLE. Solamente in alcuni intervalli temporali (indicati con A, B e C in Fig.4.18), la persistenza del livello del picco diminuisce esibendo valli nella curva dei valori medi del picco. Gli intervalli A e C corrispondono rispettivamente all’Agosto 2004 e all’Agosto 2005, mentre l’intervallo B si protrae dal giorno 23 Dicembre 2004 al 9 Gennaio 2005. Poiché i tre intervalli corrispondono a periodi di minor attività antropica ed industriale (vacanze estive e natalizie) mentre l’andamento generale dei livelli del picchi alle tre stazioni non presenta particolari trend stagionali, è automatico associare il picco a 1.1 Hz con l’attività antropica. Fig.4.18 Andamento del picco spettrale (media mobile su 7 giorni) intorno a 1.1. Hz per le stazioni sismiche BAG3 (blu), MAR2 (nero), CTLE (rosso). I punti azzurri(BAG3), grigi (MAR2) e arancioni (CTLE) corrispondono alle osservazioni effettuate nelle ore notturne. Per i periodi A, B e C vedi il testo. La figura è stata tratta da Marzorati and Bindi (2006). 45 Ma per ottenere una conferma maggiore di questa ipotesi, il picco è stato indagato sia alla stazione NEGR che presenta un picco molto espresso, sia alla stazione VAL9 di cui si possiede una registrazione in continuo. Alla stazione NEGR il picco a 1.1 Hz è stato indagato con un’analisi simile alla precedente, come si può vedere in Fig.4.19 (relativa ad un periodo temporale da Maggio 2004 a Settembre 2006) e in Fig.4.20 (relativa al mese di Agosto 2006). Rispetto all’analisi precedente sono state inseriti anche i valori delle componenti orizzontali e i valori delle ore diurne. L’andamento del picco è stabile intorno a valori medi nel corso dell’anno, con valori maggiori per la componente EW, minori per la VT ed intermedi agli altri due per la NS. Sono molto evidenti le diminuzioni dei livelli del picco nei periodi a cavallo tra un anno e l’altro (indicati in Fig.4.19 con CA) e nei mesi di Agosto (MA). Inoltre nell’anno 2005 e nell’anno 2006 si nota una minor diminuzione a circa metà tra il periodo CA ed MA il quale è corrispondente alle vacanze pasquali. La Fig.4.20 mostra in dettaglio l’andamento del picco durante il mese di Agosto 2006, la cui diminuzione è di 10-15 dB a seconda della componente del segnale. I minimi valori sulle tre componenti vengono raggiunti intorno alla metà di Agosto, quando tutte le attività professionali ed industriali sono ferme. Osservando i valori delle PSD sulle tre componenti di NEGR tra 0.1 e 20 Hz, nello stesso periodo di Agosto 2006 (Fig. 4.21), è possibile confrontare direttamente l’andamento del noise dovuto all’attività antropica e la presenza di microsismi a bassa frequenza. La fascia rossa a metà della figura è l’andamento del picco a 1.1 Hz, il quale è stabile fino a circa metà Agosto per poi diminuire, come già osservato, intorno al 15 di Agosto. Come si può notare, intorno al 15 Agosto tutta la fascia al di sopra di 1 Hz presenta livelli ribassati del noise sismico, mentre i microsismi a bassa frequenza sono sempre presenti, anche se con intensità differenti alle varie frequenze. Questa osservazione irrobustisce l’ipotesi di origine antropica per il picco a 1.1 Hz. Nelle Fig.4.19, 4.20 e 4.21 però non è chiaro ed evidente il comportamento del picco quando è presente un’intensa attività antropica, in quanto con una singola registrazione durante le ore notturne ed una nelle ore diurne non è possibile discernere trend caratteristici che seguano i segnali ad alta frequenza con cicli quotidiani. Fig.4.19 Valori del picco intorno a 1.1 Hz sulle tre componenti della stazione NEGR: VT nero, NS rosso, EW verde. MA: metà agosto. CD: capodanno. 46 Fig.4.20 Valori di PSD intorno a 1.1. Hz per la stazione NEGR nel mese di Agosto 2006. Fig.4.21 PSD della stazione NEGR nel mese di Agosto 2006 nel range di frequenza 0.1-20 Hz. Per individuare il comportamento del picco a 1.1 Hz quando è presente un’intensa attività antropica, è stata sfruttata nuovamente la registrazione in continuo della stazione VAL9. La Fig.4.22 mostra l’andamento del picco a 1.1 Hz durante le due settimane di Febbraio 2006 per tutte e tre le componenti del sensore, per le quali a questa frequenza non si notano amplificazioni delle componenti orizzontali. E’ evidente come il picco oscilli secondo un andamento giorno-notte con variazioni dei livelli del noise durante i fine settimana (giorni 11-12 e 18-19). Infine in Fig.4.23 si paragona l’andamento del picco da venerdì 10 a lunedì 13 Febbraio 2006, con l’andamento del picco a 4.36 Hz, per mostrare come l’oscillazione quotidiana sia simile a tutte le altre frequenze analizzate (il picco a 4.36 Hz ha un andamento simile agli altri analizzati nel paragrafo 3.4). Infatti, il picco a 1.1 Hz segue l’andamento generale dei livelli di noise ad alta frequenza, confermando come esso sia in qualche modo legato all’attività antropica. Dall’osservazione delle PDF a tutte le stazioni (Fig.A.1-A.12), il picco a 1.1 Hz raggiunge livelli differenti in dB, con massimi per le stazioni NEGR, MER2, CTLE, LAB2, SONC, MI61, ASO2 stazioni poste nelle aree più urbanizzate ed industrializzate (vedi Cap.1); a queste stazioni il picco raggiunge il NHNM di Peterson (1993), intorno a -140 dB. Il picco appare anche in aree a minor densità di industrializzazione (MI50, BAG3, MAR2), ma risulta attenuato rispetto alle altre 47 stazioni. Perciò, appare che il segnale che genera il picco a 1.1 Hz si propaga almeno per decine di Km. Ma la provenienza del segnale dovrebbe essere indagata con tecniche d’analisi in array, per capire se la sorgente è comune a tutti i punti di osservazione oppure è dispersa e dovuta a sorgenti diffuse sul territorio aventi simili caratteristiche, come quelle che potrebbero avere macchinari industriali con meccanismi di funzionamento simili. Per comprendere più a fondo l’origine di queste sorgenti, sarebbe necessario acquisire registrazioni in siti posti nelle vicinanze di zone industriali di cui si conoscono le attività e i cicli produttivi. In letteratura si trovano studi che testimoniano la presenza di un picco (spectral line)nello spettro del noise intorno a 2 Hz, rilevato in varie parti del mondo (Frantti, 1963; Walker et al., 1964; Hjortemberger and Risbo, 1975; Plesinger and Wielandt, 1972, 1974;Bokelmann and Baisch, 1999; Liu and Gao, 2001). Esso è stato abbinato all’attività di pesanti macchine rotative che lavorano in sincronia alle reti elettriche. Plesinger e Vielandt (1974) individuano una sorgente della spectral line nella Germania Ovest, legata all’attività di un pistone compressore, mentre ne individuano un’altra al bordo tra Germania e Cecoslovacchia, abbinata a motori elettrici da 3 a 5 megawatt, con rotazione di 125 rpm. La frequenza del picco è stata abbinata alla frequenza di rotazione, ricavata dalla frequenza del segnale elettrico (50 Hz) divisa per 24. Il picco a 1.1 Hz osservato nel Nord Italia è ad una frequenza ben distinta dalle spectral lines osservate in letteratura; ma l’origine antropica che si desume dalle osservazioni spinge a ipotizzare sorgenti di simile natura, quindi macchinari industriali, con periodi di rotazione differenti. Fig.4.22 Andamento del picco a 1.1 Hz per le tre componenti della stazione VAL9 dal 7 al 20 Febbraio 2006 (1 osservazione ogni 5 minuti). Fig.4.23 Andamento del picco a 1.1 Hz rispetto a quello del picco a 4.69 Hz, per la componente Nord-Sud della stazione VAL9 intorno al fine settimana dell’11-12 Febbraio 2006. 48 4.6 Riduzione delle potenze spettrali del NSA dovuta a contrasti di impedenza laterali Le PDF delle Fig.A.1-A.12 mettono in evidenza un altro aspetto che dev’essere indagato per un’ulteriore comprensione della natura del noise registrato nei vari siti in analisi. Alle stazioni CTLE, LAB2 e SONC, i cui siti si trovano sui sedimenti della pianura padana, mostrano livelli di noise elevati rispetto ai siti posti su roccia in ambiente alpino, sia in alta che in bassa frequenza. Se per i livelli di noise ad alta frequenza, l’aumento delle potenze spettrali può essere ricondotto ad una maggiore attività antropica, così non vale per le frequenze che interessano i microsismi (0.1-1 Hz). Il Data Set analizzato, in gran parte presenta casi in cui i livelli spettrali sono bassi o alti su tutto il range di frequenza analizzato (0.1-20 Hz). Questo accade per la combinazione che si ritrova nella zona centrale del Nord Italia, in cui le aree maggiormente urbanizzate ed industrializzate coincidono essenzialmente con la pianura padana, mentre le aree montane sono meno popolate e la densità industriale è minore (Fig.2.1, Cap.1). L’unico caso che, rispetto agli altri, presenta un comportamento differente è quello della stazione MER2 (Fig.A.7, Appendice A, Fig.4.7 e 4.8), in cui i livelli spettrali ad alta frequenza sono elevati per l’attività antropica presente intorno al sito, all’opposto dei livelli del picco dei microsismi che sono paragonabili a quelli delle stazioni in ambiente alpino come MAR2 e MI50 e bassi relativamente a stazioni come CTLE, LAB2, SONC, poste sui sedimenti della pianura padana. La stazione MER2 è collocata su una collina morenica appartenente ad uno degli anfiteatri morenici che caratterizzano il territorio tra la catena alpina e la pianura padana. Siccome il sito è ai margini della pianura padana e non lontano dagli affioramenti rocciosi della catena alpina, non è difficile immaginare che il substrato roccioso più duro al di sotto della stazione MER2 sia poco profondo. Un’altra situazione simile ma meno evidente è quella della stazione ASO2, la quale è posta su una delle ultime propaggini rocciose della catena alpina che emergono dai sedimenti glaciofluviali ai margini del bacino sedimentario del Po. La PDF di ASO2 (Fig.A.1, Appendice A), valida fino alla frequenza di 0.2 Hz (vedi paragrafo 3.1), presenta livelli di noise, nel range dei microsismi, minori rispetto a quelli delle stazioni sui sedimenti della pianura padana (CTLE, LAB2, SONC). La relativa vicinanza del sito al Mare Adriatico probabilmente spiega il fatto che i livelli dei microsismi ad ASO2 sono maggiori di quelli ai siti più lontani sulla catena alpina, a frequenze intorno 0.5 Hz. Le osservazioni qualitative effettuate osservando le PDF alle varie stazioni, spinge ad ipotizzare un’influenza delle caratteristiche geologiche dei siti sui livelli di noise che si registrano soprattutto nella fascia dei microsismi, i quali non sono disturbati o affetti dall’attività antropica. La Fig.4.24 riassume le osservazioni effettuate sulle PDF, paragonando i livelli minimi (in rosso) del noise alle stazioni MAR2, ASO2, CTLE, considerati come i casi rappresentativi della variazione dei livelli spettrali a bassa frequenza. Il range di frequenza da paragonare, a partire dai dati disponibili, per individuare un possibile effetto della geologia sui livelli di noise è tra 0.2 e 0.6 Hz; il motivo è che le stazioni CTLE ed ASO2 erano equipaggiate con sensori short period ed in secondo luogo considerando solo un range in cui agiscono i microsismi si è sicuri di considerare sorgenti che possono propagare il segnale fino a stazioni così distanti. Le tre stazioni sono casi rappresentativi perché passando da MAR2 ad ASO2 e CTLE i livelli dei microsismi aumentano gradualmente; inoltre MAR2 è posta su roccia carbonatica (classe A della Tab.1.2 nel Cap.1, così come ASO2, la quale però è posta su una collina di materiale pliocenico marginale rispetto alla catena alpina; infine CTLE si trova sui sedimenti della pianura padana (classe C), è maggiormente lontana dal mare rispetto ad ASO2 ma presenta comunque livelli di noise nella fascia dei microsismi più elevati che nelle altre due stazioni. A MAR2 si osserva una riduzione delle potenze spettrali di circa 7 dB rispetto ad ASO2 e di circa 15 dB rispetto CTLE. La forte riduzione tra CTLE e MAR2 è in accordo con un maggior 49 contrasto d’impedenza laterale tra il settore alpino e la pianura padana, piuttosto che tra il settore alpino e le colline plioceniche marginali. In Fig.4.25 sono paragonati i livelli spettrali di MAR2 e CTLE di due eventi microsismici tra quelli discussi in Fig.4.6. Nel caso del 17 settembre 2005, il microsisma presumibilmente proviene dal mar Tirreno, propagandosi da Sud verso Nord, investendo quindi la stazione CTLE e successivamente MAR2. Il 27 settembre 2005 un minimo di pressione barometrica è presente sull’oceano Atlantico e genera un segnale microsismico a più bassa frequenza, come si nota dagli spettri della stazione MAR2, il quale si propaga da Nord verso Sud. Nel range di frequenza 0.2-0.6 Hz, la riduzione media delle potenze spettrali da CTLE a MAR2 è di circa 10 dB in entrambi i casi, indipendentemente dalla direzione di provenienza del segnale. La riduzione osservata può essere utilizzata per stimare grossolanamente il contrasto di impedenza medio tra la pianura padana e il settore alpino, come indicato in Bormann et al. (1997). Nel caso di un fronte d’onda incidente verticalmente che passa da un mezzo 1 di propagazione ad un mezzo 2, il rapporto d’ampiezza tra l’onda trasmessa e quella incidente è (Lay and Wallace, 1995): A2/A1 = (2 V1 ρ1) / (V1 ρ1 + V2 ρ2) (4.1) dove V1 , ρ1 sono la velocità e la densità del mezzo 1 e V2 , ρ2 sono la velocità e la densità del mezzo 2. Considerando semplicemente l’area di studio come composta da due mezzi omogenei (catena alpina rocciosa, pianura padana sedimentaria) con un forte contrasto di impedenza, è possibile applicare (4.1) considerando CTLE posta sul mezzo 1 e MAR2 sul mezzo 2. La differenza di 10 dB delle potenze spettrali tra le due stazioni corrisponde ad un fattore circa 5 d’impedenza tra i due mezzi. Quindi, è stato possibile osservare come il bacino sedimentario del fiume Po agisce sui livelli spettrali del noise sismico, aspetto che verrà indagato in dettaglio nel Cap.6. 50 Fig.4.24 Influenza della geologia sui livelli spettrali. In alto sono mostrate le PDf delle stazioni MAR2, ASO2 e CTLE con i rispettivi valori minimi (rosso). La mappa rappresenta la classificazione della geologia secondo Bordoni et al. (2004). Fig.4.25 PSD delle stazioni MI50 (continuo puntinato) e CTLE (tratteggio) in occasione degli eventi microsismici del 17 (sinistra) e 27 (destra) Settembre 2005. 51 CAPITOLO 5 52 5 MICROSISMI 5.1 Origine e Natura dei Microsismi I microsismi sono registrati continuamente dai sensori sismici e determinano gli livelli di noise sismico nella banda di frequenza da 0.04 a 2 Hz (Essen et al., 2003; Bromirski et al., 2005). Essi sono osservati in tutto il mondo con ampiezze maggiori nei siti costieri rispetto ai siti continentali (Bromirski, 2001). In Fig.5.1 sono visualizzate due tracce di noise sismico ambientale, registrate con un sensore broad band in due finestre temporali differenti. Nel riquadro inferiore la traccia di noise sismico ambientale è visibilmente modificata dalla presenza di intensi microsismi, i quali raggiungono le ampiezze maggiori per frequenze intorno a 0.2 Hz. Infatti, lo spettro tipico di un segnale relativo ad un microsisma mostra due picchi dominanti (Fig.5.2): il picco più ampio e di frequenza maggiore (a circa 0.2 Hz) è chiamato “Double Frequency peak” (DF); il picco meno ampio, prossimo ad una frequenza che è la metà di quella del picco DF, è chiamato “Primary peak” o “Single Frequency peak” (SF). Da questa nomenclatura derivano anche i termini “primary microseism” e “secondary microseism”. Fig.5.1 Tracce di noise sismico ambientale della componente verticale registrate alla stazione MAR2 con un sensore Trillium 40, in due momenti differenti. Il riquadro inferiore rappresenta un intervallo temporale in cui è presente un’intensa attività microsismica. I microsismi sono stati rilevati fin dal momento in cui i sismologi hanno registrato il movimento della Terra per osservare i terremoti. Wiechert (1904) associa i microsismi alle onde dell’oceano ed ai frangenti costieri. Gutemberg (1912, 1921, 1936, 1947) studia i microsismi per più decenni ed a quel tempo era già chiara l’origine oceanica di questo segnale. Nel 1950 viene pubblicata la prima teoria riguardante l’origine e la generazione dei microsismi (LonguetHiggins, 1950). Essa viene ancor oggi assunta valida per spiegare il meccanismo di generazione del picco DF (una recensione sull’argomento si trova in Kibblewhite e Wu, 1991): esso risulta dall’interazione non lineare tra componenti delle onde marine (gravity waves) che viaggiano in direzioni opposte e che possiedono la stessa lunghezza d’onda; tale interazione genera onde stazionarie con frequenza doppia rispetto alle onde marine, che si propagano senza quasi attenuarsi fino ad interagire con il fondo oceanico; il meccanismo determina un trasferimento di energia nella crosta terrestre sotto forma di onde sismiche che vengono rilevate in siti continentali come microsismi. 53 Fig.5.2 Esempio di Power Spectral Density (PSD) di un microsisma relativa alla componente verticale del segnale. SF: ‘Single Frequency peak’; DF: ‘Double Frequency peak’. Il picco DF domina le frequenze che vanno da 0.1 a 0.5 Hz (Bromirski, 2001). Analisi di particle motion e fase del segnale, sia in oceano (Barstow et al., 1989) che in siti continentali (Haubrich e McCamy, 1969; Tanimoto et al., 2006) indicano che i microsismi si propagano principalmente come modo fondamentale delle onde di Rayleigh, così che le caratteristiche degli spettri dipenderanno dalle velocità di taglio e dall’attenuazione della crosta e dei sedimenti attraversati (Schreiner e Dorman, 1990; Dorman et al., 1991). Siccome le onde di Rayleigh si propagano a velocità elevate (circa 3.5 km/s) rispetto alle gravity wave marine (< 20 m/s), i sismometri posti in siti costieri rilevano i microsismi nel momento della loro generazione e riflettono le caratteristiche del campo delle gravity wave nel tempo (Bromirski, 2001). I primary microseisms sono generati principalmente in acque poco profonde (Bromirski, 2001) e possiedono un contenuto spettrale in un intervallo di frequenze che caratterizzano le gravity waves. Quindi la posizione del picco SF si trova genralmente tra 0.04 e 0.15 Hz. Anche se non conosciuto nei dettagli, il meccanismo di generazione del picco SF è probabilmente il trasferimento di energia direttamente dalle onde marine nella terra solida; esso include sia l’azione di pressione delle onde marine sui fondali poco profondi che il batimento diretto delle onde sulle coste (Hasselmann, 1963). In Kibblewhite and Ewans (1985) e in Bromirski et al. (1999) viene osservata un’alta correlazione tra l’altezza delle onde marine locali e le ampiezze dei microsismi. Le ampiezze dei picchi SF dipendono dalla lunghezza d’onda, dall’ampiezza delle gravity waves e dalla lunghezza della costa colpita (Bromirski 2001). Le gravity waves iniziano ad interagire con il fondo marino quando la profondità dell’acqua (h) è minore della metà della lunghezza d’onda (L∞) delle gravity waves in acque profonde. L∞ è determinata usando la teoria delle onde lineari di Airy come L∞ = gT2/2π, dove g è l’accelerazione di gravità e T il periodo dell’onda. Ad esempio L∞ è pari a circa 350 e 624 m, per onde con un periodo di 15 e 20 s rispettivamente. Quindi,siccome i picchi SF si generano in acque poco profonde, osservare contemporaneamente picchi SF associati ai DF è un’importante indicazione del meccanismo di formazione di aree sorgenti di microsismi nelle vicinanze delle coste. I microsismi sono stati osservati anche sul e sotto il fondo marino (Sutton e Barstow, 1990; Kibblewhite e Wu, 1993; Bradley et al. 1997; Webb, 1998; Stephen et al., 2003b; Bromirski, 2001; Bromirski et al. 2005; Dahm et al., 2006) allo scopo di individuare le zone sorgenti e per osservare le caratteristiche di propagazione dei microsismi stessi, paragonando le osservazioni effettuate negli oceani e sui continenti. 54 La formazione di aree sorgenti dei microsismi è determinata dal campo d’onda marino. Così, Dorman et al. (1993) distinguono tra microsismi DF generati da onde lunghe (swell) provenienti da tempeste lontane in mezzo agli oceani e quelli generati dalle onde dei mari indotte dall’azione dei venti locali. I due diversi tipi di fenomeni spesso risultano nella scissione del picco DF in due picchi, il primo tra 0.085-0.20 Hz ed il secondo tra 0.2-0.5 Hz (Stephen et al., 2003b). In Bromirski et al. (2005) i due tipi di microsismi DF vengono denominati Long Period DF (LPDF) e Short Period DF (SPDF). McCreery et al. (1993) studiano le osservazioni prodotte da idrofoni nel range limite di alta frequenza per i microsismi (0.5-5 Hz) e lo nominano Holu spectrum. Le risonanze delle onde di taglio nei sedimenti sul fondo marino creano dei picchi sia alle frequenze dell’Holu spectrum sia alle frequenze dei microsismi SPDF (Stephen et al., 2003b). In dipendenza dello spessore e della rigidità dei sedimenti, le risonanze formano picchi spettrali evidenti che possono risultare nei microsismi SPDF più stretti ed ampi di quelli che si osserverebbero in assenza dei sedimenti. Nonostante i numerosi studi empirici e teorici sulla generazione e origine dei microsismi (recensione in Webb, 1998 e Orcutt et al.,1993), la posizione e la dimensione delle aree sorgenti dominanti, nonchè le caratteristiche di propagazione dei microsismi, rimangono incerte. Questa mancanza di conoscenza è dovuta al fatto che non esistono sufficienti dati oceanografici e sismometrici acquisiti contemporaneamente in molti punti distribuiti sul fondo oceanico, sia vicino che lontano dalle coste. Sono poche le prove dirette che identificano la posizione di una sorgente e comunque non ne danno una dimensione definita; inoltre è indubbio che i microsismi DF si generano per l’interazione delle onde marine con le onde che viaggiano in opposizione, riflesse dalle coste, ma non è del tutto chiaro se essi si possono anche generare lontano dalle coste per l’interazione di onde indotte dalle variazioni di pressione e direzione dei venti, dovute ai cicloni ed alle tempeste oceanici. Perché i microsismi DF si possano generare lontano dai continenti, l’azione delle onde stazionarie in acque molto profonde dovrebbe essere ancora sufficiente a trasferire energia nella crosta oceanica; inoltre i microsismi DF così generati dovrebbero propagarsi fino ai siti continentali senza essersi attenuati significativamente. Le onde di Rayleigh crostali si propagano con una piccola attenuazione lungo regioni oceaniche e continentali (Dorman et al., 1991) e quindi possono, in teoria, contribuire significativamente ai livelli dei microsismi al di fuori delle aree di generazione. Studi basati su array sismometrici posti sui continenti e dedicati allo studio della propagazione dei microsismi generati in zone lontane negli oceani, forniscono risultati discordanti: Haubrich e McCamy (1969) non rilevano onde di Rayleigh provenienti dall’oceano aperto, mentre Cessaro (1994) localizza le aree sorgenti dei microsismi DF sia al di sotto delle tempeste in mare profondo sia vicino alle coste. Mentre la direzione dello spettro dominante le onde marine è rilevabile attraverso boe, il campo d’onda opposto e l’area di interazione onda-onda è generalmente incerto. Bromirski (2001) osserva l’evoluzione dei microsismi durante la “Perfect Storm” dell’ottobre 1991 sulla costa orientale del Nord America, correlando gli spettri sismici di una stazione vicino alla costa con quelli acquisiti da una rete di boe; egli conclude che le zone sorgenti si sviluppano davanti alle coste americane e non in mare aperto, nonostante la presenza di un uragano che potrebbe aver interagito in mare aperto con la “Perfect Storm”, creando i campi d’onda opposti utili a generare i microsismi DF. 5.2 Evoluzione dello spettro di un Evento Microsismico Nel paragrafo precedente sono state illustrate le caratteristiche principali dello spettro del noise sismico nell’intervallo di frequenza [0.04-0.5] Hz dominato dalla presenza dei microsismi. All’interno di tale banda, lo spettro può presentare variazioni sia nel contenuto in frequenza che in ampiezza, pur mantendo le sue caratteristiche fondamentali; infatti, in base alla posizione, al contenuto spettrale, alla persistenza, alle dimensioni, all’intensità delle sorgenti rispetto al punto di osservazione, lo spettro (inteso come Power Spectral Intensity, PSD), può mostrare dettagli differenti quando osservato in due periodi temporali distinti (Fig.5.3). 55 Fig.5.3 Esempio della variabilità in frequenza e densità spettrale della PSD di segnali microsismici registrati in tempi differenti. Gli spettri si riferiscono alla componente verticale della stazione DOI. Poichè il picco DF è continuamente presente nello spettro del noise sismico ambientale, nel suo insieme esso risulta come un fenomeno stocastico stazionario quando vengono effettuate un numero cospicuo di osservazioni. Se invece le osservazioni avvengono in un intervallo temporale ristretto e in concomitanza con l’azione di intense sorgenti, spesso è possibile circoscrivere singoli eventi microsismici, della durata di alcune ore o di alcuni giorni in cui si osserva un’evoluzione delle caratteristiche spettrali del microsisma nel tempo. Questa evoluzione contiene informazioni utili per indagare l’origine del segnale, la posizione della sorgente e le caratteristiche di propagazione del microsisma. Quindi, attraverso l’utilizzo di registrazioni sismiche in continuo, è possibile collezionare una serie di PSD che descrivono l’evoluzione delle caratteristiche spettrali di un determinato fenomeno microsismico nel tempo. Questo paragrafo (5.2) si avvale delle osservazioni e delle interpretazioni descritte in Bromirski (2001), Bromirski e Duennebier (2002), Bromirski et al. (2005). 5.2.1 Interazione Vento-Onde Marine Essendo la natura delle sorgenti dei microsismi l’interazione non lineare di onde marine che viaggiano in direzioni opposte, è necessario conoscere il meccanismo di generazione delle onde e la loro propagazione nei mari. Venti di tempesta generano onde oceaniche (gravity waves), le quali in acque profonde possiedono caratteristiche dispersive tali che le onde a lungo periodo viaggiano ad una velocità maggiore delle onde a corto periodo. Il picco dello spettro delle onde oceaniche, relativo ad una mareggiata sviluppata completamente (developed sea), dipende dalla velocità massima del vento sostenuto e dall’estensione del fetch (Pierson e Moskovitz, 1964). Il fetch è la lunghezza lineare della porzione di oceano che viene colpita dal vento. Siccome la variazione del contenuto spettrale nel tempo delle gravity waves dipende dalla dimensione della tempesta così come dal punto di osservazione, lo spettro dell’energia dell’ onda associato ad una singola tempesta può presentare tre fasi temporali distinte: un arrivo, uno sviluppo ed infine una dissipazione oppure una dispersione. Non sempre è possibile osservare distintamente le tre fasi, perché la tempesta potrebbe dirigersi e dissiparsi sul continente; inoltre gli spettri potrebbero contenere più arrivi di gravity waves provenienti da sistemi multipli di tempesta a distanze locali, regionali od ancor più distanti. Le variazioni di direzione e dimensione del fetch possono produrre complicati disegni spettrali. 56 Esistono due principali situazioni che determinano un differente raggiungimento delle coste da parte delle onde, dovute alle loro caratteristiche dispersive: a) le mareggiate generate localmente (local sea) sono caratterizzate da energie significative per periodi < 10 s (> 0.1 Hz). Appena la mareggiata si sviluppa, i livelli spettrali sono inizialmente maggiori a più alte frequenze, così come viene mostrato dallo spettro d’onda di Pierson and Moskovitz (1964), per diverse velocità del vento (Fig.5.4). All’intensificarsi della tempesta, l’energia trasla verso frequenze più basse, indicando un progressivo sviluppo dello spettro ‘in-fetch’ (Bretschneider, 1959); b) al contrario delle mareggiate locali, l’arrivo di onde lunghe (swell) generate da tempeste lontane in aperto oceano inducono la traslazione del picco di energia dalle basse verso le alte frequenze, come conseguenza della dispersione delle onde oceaniche in acque profonde (Munk et al., 1963). Le onde lunghe emergono quando si propagano al di fuori della zona di generazione. Fig.5.4 Spettro di Pierson-Moskovitz dell’altezza dell’onda marina per velocità del vento da 5 a 30 m/s (immagine tratta da Bromirski and Duennebier, 2002). Onde con picchi di energia a periodi molto lunghi sono generate solamente da un’alta velocità del vento persistente al di sopra di un esteso fetch. Una stima conservativa della velocità del vento, e di conseguenza la taglia della tempesta, può essere ottenuta osservando la più bassa frequenza delle gravity waves analizzate per quell’evento. Le gravity waves, con frequenza angolare ω e numero d’onda k, si propagano in accordo con la relazione di dispersione di Airy: ω2 = gk tanh (kh) (5.1) dove g è l’accelerazione di gravità ed h è la profondità dell’acqua. L’energia a maggior periodo arriva prima poiché in acque profonde (kh >> 1) le onde oceaniche viaggiano con una velocità di gruppo, Ug, data da Ug = (½) [g / k](1/2) (5.2) Ug è circa il 30 % maggiore per onde di periodo 20 s rispetto ad onde di 15 s. Una stima della distanza della tempesta ed il tempo di origine delle onde può essere ottenuto dall’inversione del trend lineare di dispersione utilizzando l’equazione (5.2). 57 5.2.2 Origine ed Evoluzione Temporale di un Microsisma SPDF Bromirski et al. (2005) osservano l’evoluzione del segnale microsismico in continuo, notando come si manifestino differenti trend spettrali, ovvero come i picchi DF si spostano in frequenza nel tempo. Negli spettrogrammi della componente verticale di un Ocean Bottom Seismometer (OBS) e di alcune stazioni continentali gli autori individuano microsismi che appaiono al di sopra della frequenza di 0.2 Hz (microsismi Short Period Double Frequency, SPDF), con una tendenza principale che mostra lo spostamento del picco DF dalle alte alle basse frequenze (da qui chiamato trend decrescente). Al di sotto di 0.2 Hz si manifestano altri eventi microsismici (microsismi Long Period Double Frequency, LPDF) che possiedono una tendenza opposta: il picco DF si sposta dalle basse alle alte frequenze, mostrando un trend crescente in frequenza. Lo spettrogramma, in Bromirski et al. (2005), della componente verticale dell’Ocean Bottom Seismometer (OBS) nelle vicinanze delle isole Hawaii è comparato con dati di velocità e direzione del vento sulla superficie marina al di sopra della stazione sismica. L’evidenza raccolta indica che la generazione di microsismi SPDF, i quali sono più ampi tanto più è la forza del vento, è concomitante con le variazioni repentine di direzione del vento stesso. In occorrenza di rapide variazioni della direzione del vento, Bromirski et al. (2005) osservano la manifestazione del microsisma SPDF, con uno scarto temporale dovuto probabilmente al tempo necessario per creare il campo d’onda opposto. Infatti esso si crea non con la riflessione delle onde contro le coste, ma piuttosto per la variazione di direzione delle onde stesse, le quali interferiscono tra loro costruttivamente. Un’alta correlazione è riscontrata tra dati sismici e altezza delle onde nelle zone locali vicino alle coste (Bromirski, 2001) per le frequenze relative ai microsismi SPDF; I livelli dei microsismi SPDF crescono inizialmente a più alte frequenze, con dei ritardi delle energie a più bassa frequenza dovute al tempo necessario per creare onde marine a più lungo periodo, durante il persistere del vento sul fetch. La descrizione della “Perfect storm” in Bromirski (2001) è un chiaro esempio del disegno spettrale che può essere osservato in stazioni continentali vicino alla costa. All’inizio dell’evento descritto i venti locali agitano il mare in modo da generare un microsisma SPDF con una chiara dispersione temporale delle energie dalle alte alle basse frequenze. Infatti man mano che il persistere del vento agisce sul mare, si creano onde marine sempre più a bassa frequenza ma che, riflettendosi contro la costa, generano un campo d’onda opposto sempre più a lunghi periodi. In questo caso quindi la sorgente del microsisma genera un segnale che nel tempo ha un contenuto spettrale che aumenta in ampiezza ma diminuisce in frequenza. La fine dell’evento microsismico avviene con l’attenuazione dell’azione del vento sul mare, riportando a più alte frequenze lo spettro dell’onda di Pierson and Moskovitz (1964). Nel caso in cui l’azione del vento cessi repentinamente, senza una lunga dissipazione, quest’ultima fase potrebbe anche non essere osservata. Allo stesso modo, il disegno spettrale dalle alte alle basse frequenza, risulterà più ripido con un più veloce sviluppo della mareggiata. Esempi di tali trend spettrali saranno descritti nel Cap.6 utilizzando osservazioni sperimentali di dati sismici in continuo. In Bromirski (2001) viene osservata l’evidenza di microsismi SPDF che raggiungono frequenze anche al di sottodi 0.2 Hz, nel caso di tempeste molto forti vicino alla costa. In ogni caso anche questi intensi microsismi mantengono le caratteristiche spettrali descritte in questo paragrafo. 5.2.3 Origine ed Evoluzione Temporale di un Microsisma LPDF Al contrario dei microsismi SPDF, i microsismi LPDF vengono generati dalle onde lunghe (swell) provenienti da tempeste in mare od oceano aperto, le quali vanno ad interagire con il fronte d’onda opposto proveniente dalla riflessione della costa. Poichè le onde oceaniche in acque profonde trasmettono più velocemente energia alle basse frequenze, le stazioni sismiche poste sul continente vicino alla costa vedranno inizialmente l’arrivo di onde a bassa frequenza, seguite da onde che mostrano un progressivo aumento delle frequenze relative al loro contenuto spettrale. Quindi i microsismi LPDF hanno un andamento nel tempo delle loro caratteristiche spettrali opposto a quello dei microsismi SPDF. 58 La pendenza del contenuto spettrale in frequenza rispetto al tempo, fornisce un’indicazione della distanza dell’area di generazione delle onde lunghe; infatti, maggiore è la distanza percorsa dalle swell, maggiore è la dispersione delle energie, la quale provoca ritardi sempre maggiori dei contenuti a più alta frequenza. Così, l’andamento è tanto più ripido, quanto più è vicina la regione di generazione delle swell, in cui probabilmente è presente un’area barometrica ciclonica e quindi di bassa pressione. L’area di bassa pressione barometrica difficilmente coincide con l’area di generazione del microsisma e non va confusa con essa. L’area di generazione del microsisma rimane comunque quella dove le swell e le onde che viaggiano in senso opposto interferiscono. La correlazione temporale tra i dati sismici e di vento descritta nel paragrafo precedente (Bromirski et al., 2005), cessa a frequenze inferiori a 0.2 Hz, suggerendo che al di sotto di tale limite appaiono microsismi generati da una sorgente che si è formata in un momento differente da quello delle condizioni meteo locali. Le onde componenti il campo opposto generalmente sono quelle provenienti dalla riflessione con le coste. Infatti le swell possiedono molta più energia alle basse frequenze e le onde contenenti bassa frequenza si riflettono molto più efficacemente sulle coste (Elgar et al., 1994). Perciò dalle coste proviene molta energia a lunghi periodi per poter formare il campo d’onda opposto. Quindi, gran parte dell’energia contenuta nella banda dei microsismi LPDF è generata vicino alle coste piuttosto che in acque profonde in mare aperto. Microsismi LPDF sono generati in mare aperto solo in particolari condizioni meteorologiche che producono campi d’onda opposti anche in assenza di una linea costiera ed un esempio può essere l’interazione tra due grandi tempeste oceaniche. 5.3 Localizzazione delle Aree Sorgenti di Microsismi: esempi di letteratura La mancanza di strumentazione sismica distribuita omogeneamente sul fondo marino, sia vicino alle coste che in mare aperto, non permette di osservare direttamente le aree di generazione dei microsismi, di individuarne la posizione e la dimensione. A parte gli studi che utilizzano i pochi OBS (Ocean Bottom Seismoters) disponibili, i quali possono comunque dare informazioni più precise, le ricerche dedicate all’individuazione delle aree sorgenti dei microsismi si possono avvalere dei dati meteorologici ed ondametrici, utili per caratterizzare la situazione meteo-climatica degli oceani, e dei dati sismici continentali. Dai dati sismici continentali è possibile estrarre la direzione di provenienza del segnale registrato, la quale è la principale fonte di informazione sulle aree sorgenti dei microsismi, in assenza di dati acquisiti direttamente nella zona di generazione. Harben e Hjortenberg (1993) utilizzano il metodo “closed-form P-wave backazimuth calculation“ (Montalbetti e Kanasewich, 1970), assumendo che il segnale derivante dai microsismi sia dominato dalla polarizzazione delle onde di Rayleigh. Essi applicato la trasformata di Hilbert alla componente verticale del segnale per convertire la polarizzazione delle onde di Rayleigh in una polarizzazione apparente di onde P. I due autori stimano la direzione di provenienza del segnale microsismico nel range 4-8 s, utilizzando serie temporali di 5 minuti acquisite una volta al giorno nelle ore notturne nei mesi di Agosto e Novembre 1991. le analisi eseguite hanno permesso agli autori di individuare una direzione media di provenienza che punta verso il Nord Atlantico, a Sud-Ovest della Groenlandia. Un’ulteriore osservazione di Harben e Hjortenberg (1993) è effettuata per un singolo ristretto periodo temporale di 5 giorni, durante i quali i livelli microsismici e le polarizzazioni rilevati ogni 3 ore sono stati confrontati con mappe barometriche di pressione relative ai mari prospicienti la Groenlandia. Un’intensa depressione barometrica associata ad un alto gradiente di pressione indica, con buona probabilità, la presenza di forti venti capaci di generare gravity waves che daranno luogo a microsismi. Nel periodo 20-25 Agosto 1991, Harben e Hjortenberg (1993) osservano due differenti direzioni di provenienza del segnale che ben si correlano alla 59 presenza di condizioni di bassa pressione, prima ad ovest e successivamente ad est della Groenlandia. Friedrich et al. (1998) utilizzano l’array GRF (Harjes and Seidl, 1978), posizionato nel sud della Germania, per valutare la distribuzione del backazimuth delle aree sorgenti dei picchi Single Frequency (SF) e dei Double Frequency (DF). Essi applicano ai dati dell’array la tecnica ‘frequency-wavenumber analysis’ (Kværna e Ringdahl, 1986), filtrando i dati nelle bande 12-20 s e 6-11 s per studiare rispettivamente il picco SF e DF; selezionano finestre d’analisi di 240 s in funzione dell’estensione dell’array, traslate di 60 s per ottenere una serie di backazimuth quasi continui nel tempo. Essi restituiscono i valori di backazimuth con associato un errore di ± 1.3°, per il periodo Novembre 1995 – Gennaio 1996. Gli autori individuano 3 principali intervalli di direzione per il picco SF e 5 per il picco DF, i quali puntano soprattutto verso l’oceano Atlantico, con un’unica direzione proveniente dal Mediterraneo occidentale. Nello stesso lavoro, gli autori propongono una stima della distanza delle aree sorgenti con due metodi. Il primo metodo utilizza la triangolazione ottenuta dai backazimuth calcolati per il giorno 31 Gennaio 1996, impiegando due diversi array, il GRF array in Germania ed il NORSAR array (Fyen, 1994) in Norvegia. In questo giorno viene individuata un’area sorgente a nord della costa norvegese, ad una distanza massima dalla costa di 5° Il secondo metodo (Haubrich et al., 1963) utilizza le proprietà dispersive delle onde superficiali, assunte esser la parte preponderante costituente i microsismi. Gli autori partono dalla relazione di dispersione di Airy delle gravity wave e dalla teoria in Haubrich et al. (1963) per ottenere una relazione tra la dispersione in frequenza dei picchi SF e DF con la distanza dell’area sorgente delle onde marine (swell) e dell’area sorgente dei microsismi dalla linea di costa. Gli autori riportano l’esempio del singolo evento microsismico del 16 dicembre 1995 per il quale trovano una possibile distanza della sorgente da 1750 a 5000 km, in direzione del nord della Norvegia. Osservando la mappa barometrica di quel giorno, osservano un minimo di pressione intenso a circa 3500 km a nord della costa norvegese; questo dato vincola la loro conclusione ad una distanza massima dalla costa dell’area sorgente dei microsismi di circa 150 km. Infine, gli autori osservano la maggior dispersione dei backazimuth relativi ai picchi SF, a differenza dei picchi DF che provengono da backazimuth molto più concentrati, indicando aree sorgente più circoscritte. Inoltre, viene marcata l’importanza della morfologia delle coste nella formazione di aree sorgenti di microsismi DF. Quindi, per la generazione dei campi d’onda stazionari, non è determinante solo la posizione della tempesta oceanica, ma anche la morfologia delle coste e di conseguenza la batimetria dei bassi fondali, i quali sono la causa determinante dell’eventuale formazione di un’area sorgente. In Bromirski (2001) viene stimata la localizzazione dell’area sorgente dominante del picco DF durante la “Perfect Storm” del 1991. L’autore utilizza dati ondametrici da boe e dati sismici da una stazione continentale vicino alla costa. Le relazione tra i due tipi di dati sono messe in evidenza attraverso la crosscorrelazione dell’altezza significativa delle onde Hs, ottenuta sia per i dati ondametrici che sismici seguendo l’equazione Hs = 4 mo1/2, dove mo è il momento di ordine zero dello spettro S(f), ottenuto dall’integrale da f1 a f2 di S(f), essendo f la frequenza. Il parametro Hs dai dati sismici è calcolato tra f1 = 0.09 e f2 = 0.35 Hz per escludere gran parte del segnale dovuto al picco SF. Dal coefficiente di correlazione R2 rispetto ai tempi di ritardo τ, l’autore ottiene un’indicazione relativa del tempo di arrivo del segnale alla stazione sismica rispetto ogni boa. Siccome le onde di Rayleigh, con le quali si propagano i microsismi, viaggiano molto più velocemente delle gravity wave rilevate dalle boe, gli scarti temporali ottenuti tra boe e stazione sismica, associati ad un alto R2, restituiscono una misura della separazione temporale (e di conseguenza spaziale) tra l’area sorgente del microsisma e la posizione di misura dello spettro delle onde marine (Bromirski, 2001). Un valore di R2 molto alto indica anche che il segnale rilevato alla stazione sismica ha la stessa origine di quelle rilevato alla boa. Vengono ottenuti dei coefficienti di localizzazione Li dal rapporto (R2i / τi) / max (R2i / τi). Dal contour dei valori di Li si ottiene una mappatura delle aree sorgenti nel periodo analizzato; una sorgente, in tale mappa, è identificata da valori di Li pari o prossimi a 1. L’autore, inoltre, conclude che le aree di generazione oltre ad essere vicino alle coste e non in mare aperto, sono determinate dall’irregolarità maggiore di alcuni tratti della costa, che costituiscono condizioni favorevoli per la formazione dei fenomeni di interazione non lineare onda diretta-onda riflessa, la quale genera il picco DF dei microsismi. 60 Schulte-Pelkum et al. (2004) misurano la direzione di provenienza del segnale utilizzando una tecnica di beamforming (McNamara e Owens, 1993) vicino alla costa orientale degli Stati Uniti ed una serie di analisi di particle motion a singola stazione, con il metodo “time domain covariance” (Jurkevics, 1988; Earle, 1999), analizzando i dati della rete Terrascope (Mori et al., 1998). Essi studiano il particle motion del picco DF nel range 0.1-0.5 Hz e restituiscono l’azimuth del segnale per un periodo di tre settimane. In tale periodo riscontrano una singola e stretta area di generazione verso l’oceano Pacifico, unita ad un altro solo evento microsismico proveniente dall’oceano Atlantico, della durata di un giorno. Inoltre osservano una forte direzionalità del segnale, comune a tutte le stazioni della rete sismica. Per localizzare le aree sorgenti, gli autori utilizzano dati oceanografici: boe costiere, un modello regionale che utilizza boe profonde, un modello regionale da dati di vento, un modello globale dell’altezza delle onde (Tolman, 1999). Quest’ultimo permette loro di associare la direzione di propagazione del segnale proveniente dall’Atlantico ad alti valori dell’ampiezza delle onde davanti alla costa del Labrador, analogamente alla localizzazione delle sorgenti più frequenti nell’oceano Pacifico. Essen et al. (2003) analizzano i dati di tre array localizzati in Norvegia (NORSAR), Germania (GRF) e Scozia (ESK). Data la natura di onde superficiali, l’arrivo del segnale microsismico può essere caratterizzato da un array solo per quel che riguarda il suo backazimuth; quindi sono necessari più array intorno all’area di generazione per vincolare una zona specifica (Cessaro e Chan, 1989; Cessaro, 1994; Friedrich et al. 1998). In aggiunta Essen et al. (2003) utilizzano un modello dell’altezza delle onde oceaniche (WAM; Komen et al., 1994) per operare la crosscorrelazione di tale dato con i livelli microsismici registrati a quattro stazioni poste in Norvegia, Germania e Scozia. Essi presentatano quattro mappe, una per ogni stazione sismica, che indicano i coefficienti di correlazione per ogni area della griglia del modello, evidenziando le aree di generazione medie nei 34 giorni di analisi. Infatti gli autori associano la posizione di correlazione tra il livello delle onde ed i livelli sismici come sorgente dei microsismi. Infine, gli autori stimano la dimensione delle aree sorgenti, sia selezionando quelle zone che corrispondono a valori di correlazione maggiore di una certa soglia, sia considerando l’arco che coprono i raggi disegnati dall’analisi in array. Gli autori concludono che l’estensione delle sorgenti (dell’ordine di 500 km) non varia in funzione dell’intensità delle tempeste o dell’altezza delle onde, ma è maggiormente controllata dalla forma delle coste e dalla batimetria dei fondali marini. Tanimoto et al. (2006) analizzano i dati forniti da una rete di stazioni nel Sud della California, per determinare la direzione di provenienza del segnale microsismico. I risultati degli autori indicano una certa persistenza nella direzione di provenienza del segnale dall’oceano Pacifico. La direzione di provenienza è identificata dall’angolo α che massimizza l’ampieza orizzontale del segnale. Calcolando gli spettri di Fourier per le tre componenti di un’ora di segnale, viene massimizzata la quantità: n I = ∑ | N (ω i ) cos α + E (ω i ) sin α | 2 (5.3) i =1 dove N(ωi) e E(ωi) sono gli spettri di Fourier delle componenti orizzontali del moto e ωi la frequenza angolare. Tra tutti i dati a disposizione, gli autori selezionano solo quelli aventi uno sfasamento di 90° tra la componente verticale e la radiale, ottenuta ruotando il segnale con il valore di α ottenuto nell’equazione (5.3), in quanto essi assumono che i microsismi DF siano composti da onde di Rayleigh. 61 5.4 Aree Sorgenti di Microsismi individuate intorno all’Europa Le principali aree di generazione di microsismi identificate in Europa si trovano nell’oceano Atlantico e nel Mediterraneo, le masse d’acqua che bagnano le coste europee. Ma come spiegano gli studi citati nel paragrafo precedente, le aree sorgenti sono controllate da condizioni deterministiche, tra cui la topografia dei fondali marini, le profondità dei mari, la forma delle linee di costa. A partire da condizioni meteorologiche che possono investire di volta in volta tutta l’estensione di mari ed oceani, le aree sorgenti si producono essenzialmente sempre negli stessi luoghi, quando condizioni locali di tempesta o grandi aree cicloniche in mare aperto intersecano le zone favorevoli alla generazione di campi d’onda stazionari. Un quadro generale è definito da Friedrich et al. (1998), i quali individuano 3 direzioni di provenienza del segnale relativo al picco primario SF e 5 relative al picco DF. Le aree corrispondenti al picco SF si trovano a Nord della Norvegia, a Nord-Ovest della Scozia e nel golfo tra Spagna e Francia. Per il picco DF, sono state individuate le stesse aree con leggeri scostamenti di direzione ed in più sono state rilevate delle componenti a Sud-Ovest della Spagna e del Portogallo, nonché una fascia nel Mediterraneo passante tra le isole Baleari e la Corsica. Per quel che riguarda le aree prospicienti le coste Atlantiche, i microsismi sono generati davanti ai tratti di costa maggiormente frastagliati e tortuosi. Nell’esempio particolare del 16-17 dicembre 1995, in Friedrich et al. (1998), il range di backazimuth risultanti punta verso il nord della Norvegia, mentre un’area ciclonica si sposta dalla Groenlandia alla Siberia sfiorando proprio il Nord della Norvegia. Quindi l’area di generazione del microsisma probabilmente si attiva solo quando le onde lunghe (swell) dall’area ciclonica impattano sulla costa norvegese e l’array sismico registra la variazione di provenienza del segnale non prima di quel momento. Dalle mappe che modellano l’altezza delle onde nell’oceano Atlantico presentate in Essen et al. (2003), si evince che nonostante la possibilità che le onde marine si infrangano su tutto il margine atlantico europeo, le aree di generazione, individuate nel periodo d’analisi, siano solamente quelle a Sud-Ovest della Norvegia e a Nord e Nord-Est della Scozia. Sia la forma delle linee di costa sia l’intensità con la quale le onde impattano alcune zone costiere del continente determinano la generazione della sorgente microsismica. Dahm et al. (2006), applicando la stessa tecnica trovata in Essen et al. (2003), utilizzano due stazioni sismiche in Scozia ed Islanda, oltre una serie di OBS a Sud dell’Islanda. Essi individuano alcune aree sorgenti di microsismi davanti alla costa dell’Irlanda, a Sud della costa dell’Islanda e un’area meno definita tra Norvegia ed Islanda. Inoltre osservano, ad una delle stazioni OBS a Sud dell’Islanda, un segnale intorno ad 1 Hz che proviene dalla zona soprastante la stazione stessa, imputandolo all’azione di onde generate da venti locali. Comparando i livelli microsismici degli OBS nell’Atlantico con un OBS posto sul fondo del mar Tirreno, gli autori concludono che sorgenti atlantiche molto più intense determinano un elevato noise sismico sul fondale marino rispetto a quello rilevato nel Mediterraneo. Alcuni articoli datati sono fonte per le osservazioni di microsismi effettuate sul territorio italiano. Zanon (1948) determina una relazione tra i microsismi registrati a Venezia e i cicloni nell’Atlantico settentrionale, tra Groenlandia e Scandinavia. Egli studiò 41 cicloni nel biennio 1933-34, ricavando una ‘legge’, descritta dall’autore stesso: “I microsismi registrati dal pendolo del microsismografo vicentini avente periodo proprio di 9 secondi permettono di seguire a Venezia le evoluzioni di ogni singolo ciclone situato sull’area atlantica sopra citata, perché al formarsi o all’avvicinarsi del nucleo di minima pressione si incomincia regolarmente a registrare microsismi del periodo di 6 secondi, il quale va crescendo a 7, ad 8, e poi a 9 secondi, di mano in mano che il ciclone si approfondisce, o si avvicina ad una certa distanza (Islanda). Quando poi il ciclone si colma, o si allontana, va gradatamente diminuendo il periodo, che dal massimo di 9 secondi discende ad 8, poi 7, poi 6, finchè il microsismo, insieme col ciclone, si smorza e muore. Alle dette variazioni in crescere e diminuire del periodo, corrisponde il crescere o il diminuire della ampiezza delle registrazioni.” In un’altra osservazione, l’autore annota il percorso di un ciclone che viaggia “sulla terraferma groenlandica e sullo zoccolo continentale del canale di Danimarca, e quindi su mare 62 relativamente poco profondo”; in questo periodo temporale egli non registra nessuna attività microsismica. Egli applica al suo “microsismografo” delle correzioni di distanza tra i magneti corrispondenti alle tre componenti di registrazione del moto del suolo; così, per risonanza pendolare, ottenne che il pendolo NS era sensibile ai microsismi atlantici, mentre l’EW ne rimaneva completamente sordo, essendo sensibile solo ai “microsismi dovuti alla bora nell’Adriatico”. Quest’ultimo è l’unico accenno a microsismi mediterranei in questo lavoro, ma per scelta dell’autore che conclude di non voler discutere altri più frequenti e complicati microsismi che si registrano a Venezia (Zanon, 1948). Bossolasco et al. (1957) studiano i microsismi registrati a Genova, trovando una stretta relazione tra l’attività microsismica e l’agitazione del mar Ligure. Essi concludono che le sorgenti microsismiche sono tutte circoscritte in un raggio di 400 Km dalla costa e provengono o dal mar Ligure o più genericamente dal mar Tirreno. Le cause sono ascritte a fronti freddi passanti sulla Liguria, nonché a depressioni bariche sul golfo di Genova. Secondo gli autori, a Genova, nel periodo di analisi (15 mesi nel biennio 1953-54), non si registrano microsismi provenienti dall’Atlantico o dal mar Adriatico per l’effetto filtrante della catena alpina. 63 CAPITOLO 6 64 6 OSSERVAZIONE DI MICROSISMI NEL NORD ITALIA Le caratteristiche principali della variabilità del noise sismico nella banda di frequenza dei microsismi è stata indagata nel Cap.4, utilizzando i dati della stazione MAR2, posta nel centro del Nord Italia (Cap.1). Nel Cap.4 sono state effettuate osservazioni preliminari confrontando i dati sismici con dati meteorologici e oceanografici, ipotizzando una differente provenienza del segnale microsismico nelle bande di frequenza [0.1-0.2] e [0.2-1] Hz. In questo capitolo verranno presentate le osservazioni inerenti alla banda di frequenza 0.05-1 Hz, utilizzando sia i dati della stazione MAR2 sia dati sismici in continuo di altre stazioni utili ad indagare la provenienza del segnale. Scopo del capitolo è di descrivere la complessità del segnale a bassa frequenza e di correlare alcune evidenze sperimentali dei dati sismici con le indicazioni desunte da dati meteorologici e oceanografici, in modo da verificare la presenza di differenti sorgenti di microsismi. Infine verranno commentate in dettaglio le manifestazioni peculiari dei microsismi, riportando esempi specifici dell’evoluzione di alcuni eventi nello spazio e nel tempo, associandoli alla loro possibile origine. 6.1 Dati meteorologici La presenza di zone di bassa pressione sugli oceani e sui mari è uno dei possibili presupposti per la generazione di aree sorgenti di microsismi. Quindi, un utile riferimento per avere un’idea delle condizioni meteorologiche sono le mappe barometriche. Come riferimento delle condizioni meteorologiche sull’area atlantica, europea e mediterranea sono state raccolte le mappe delle isobare (linee di ugual pressione) del Met Office UK (http:// www.metoffice. gov.uk/weather/charts/index.html). In Fig.6.1 è mostrata come esempio la mappa barometrica del giorno 11 Gennaio 2006. Il modello delle condizioni di pressione descritta nella mappa si riferisce sempre alle 00:00 UTC. Le isolinee rappresentano la pressione media a livello del mare, misurata in hPa (ettoPascal). Con le lettere H (High) ed L (Low) vengono indicati rispettivamente i massimi e i minimi locali della superficie di pressione. Le zone H sono caratterizzate da condizioni anticicloniche, mentre le aree L rappresentano zone cicloniche. Quest’ultime sono le aree a cui si associano condizioni meteo avverse, con la presenza di brutto tempo. Quindi, i minimi di pressione al di sopra di mari ed oceani sono quelli tenuti in considerazione per individuare, in prima approssimazione, le aree potenziali sorgenti di microsismi. La posizione del minimo barometrico non indica direttamente la posizione dell’area sorgente ma piuttosto è importante considerare in che modo il sistema ciclonico possa innescare campi d’onda marini, i quali vanno ad impattare le terre emerse, riflettendosi sui margini costieri. Le zone di costa prossime alle aree cicloniche sono le maggiori deputate a creare le condizioni necessarie a generare campi d’onda marini stazionari, i quali andranno ad agire sul fondo degli oceani trasferendo energia nella crosta terrestre sotto forma di onde sismiche. Nell’emisfero boreale, la circolazione dei venti è in senso antiorario intorno alle aree cicloniche (L) e viceversa per le aree anticicloniche (H). Le masse d’aria si spostano da zone di alta pressione a zone di bassa pressione. Inoltre, maggiore è la vicinanza delle isobare, maggiore è il gradiente di pressione, con conseguente aumento della forza dei venti legato ad una maggior velocità di spostamento delle masse d’aria. Le mappe del Met Office UK sono orientate in modo da trovare sempre l’area mediterranea in basso a destra e la Gran Bretagna al centro della mappa. Oltre alle mappe barometriche sono stati raccolti alcuni dati, sempre da fonti web, relativi ai campi dei venti. In particolare sono state sfruttate le carte della direzione e della forza dei venti a 10 m dal suolo, fornite da www.eurometeo.com. Inoltre è stato utilizzato un frame di un’animazione inerente alla circolazione dei venti sull’area europea e mediterranea fornito da www.meteoblue.ch. 65 Fig.6.1 Mappa barometrica dell’11 Gennaio 2006 (fonte Met Office UK, www.metoffice.uk). Al centro della mappa si nota una marcata zona di depressione a Nord della Scozia. 6.2 Dati oceanografici Oltre ai dati meteorologici, importante ai fini dell’identificazione di potenziali aree sorgenti di microsismi sono i dati oceanografici, relativi alle caratteristiche fisiche delle superfici marine. La descrizione dei campi d’onda marini permette di ipotizzare le aree di maggior agitazione che potrebbero essere coinvolte nella generazione di campi stazionari, causa dei microsismi. L’altezza, la direzione e il periodo delle onde sono parametri che ben si correlano alle osservazioni dei segnali microsismici. Intorno alla penisola italiana sono dislocate una serie di boe di monitoraggio della Rete Ondametrica Italiana, gestita dal Servizio Mareografico dell’Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i servizi Tecnici (APAT). Tramite web è possibile estrarre i dati registrati dalle boe (http://www.idromare.com/dati.php). Come parametri utili alle analisi, sono stati raccolti: - Hs: altezza significativa spettrale del moto ondoso (misurata in m) - Tp: periodo di picco dell’onda (misurata in sec) - DIR: direzione media di provenienza del moto ondoso (misurata in gradi dal Nord) Di tutte le boe presenti nella rete di monitoraggio, ne sono state scelte 6 (Fig.6.2) come rappresentative dei mari intorno alla penisola italiana: le boe di La Spezia ed Alghero, per i mari a Nord-Ovest della penisola; le boe di Mazara del Vallo e Crotone per i mari a Sud della penisola; le boe di Monopoli ed Ancona per il mar Adriatico. Vicino alla posizione delle boe, in Fig.6.2 sono mostrati anche i diagrammi della direzione principale delle onde, raggruppati ogni 20° e comprendenti tutte le osservazioni disponibili negli anni 2004 e 2005. Dai diagrammi della direzione delle onde si evince che la boa di La Spezia, riceve la maggior parte delle onde dal mar Ligure, piuttosto che dal mar Tirreno, mentre le onde alla boa di Alghero arrivano principalmente da Nord-Ovest della Sardegna. La boa di Mazara del Vallo registra soprattutto onde provenienti dai mari tra la Sardegna e la costa tunisina. Crotone rileva 66 onde che provengono dal mar Ionio e dal Canale di Sicilia. Infine le boe di Monopoli ed Ancona mostrano come le onde nel mar Adriatico provengano o dal centro o dalla parte meridionale verso il canale d’Otranto. Quindi, i diagrammi indicano delle direzioni prevalenti della circolazione del moto ondoso nei mari mediterranei intorno all’Italia. Fig.6.2 Boe della Rete Ondametrica Italiana selezionate per le analisi: 1) La Spezia; 2) Alghero; 3) Mazara del Vallo; 4) Crotone; 5) Monopoli; 6) Ancona. A fianco di ogni boa sono visualizzati i diagrammi della direzione principale del moto ondoso registrato da ogni boa nel corso degli anni 2004 e 2005. In Fig.6.3, i riquadri riferiti alle 6 boe contengono i valori di Tp, sempre per gli anni 2004 e 2005. I valori, per tutte le boe, sono compresi tra 2 e 12 s, corrispondenti a 0.5 e 0.08 Hz rispettivamente. La media dei valori di Tp è in generale intorno a 6.5 s. Se si dovesse ipotizzare la frequenza dei picchi Double Frequency (DF) dei microsismi legati a questo periodo d’onda medio, ci si dovrebbe aspettare un valore di 0.3 Hz. Infatti i picchi DF si manifestano a frequenze doppie rispetto a quelle delle onde marine, le quali determinano la posizione dei picchi Single Frequency nei dati sismici (Cap.5). Se invece si volessero ipotizzare dei picchi DF corrispondenti ai massimi periodi registrati dalle boe (intorno ai 12 s), allora la frequenza DF si sposterebbe fino a 0.16 Hz. Il parametro Hs dell’altezza delle onde registrate alle 6 boe, verrà utilizzato nei paragrafi successivi per indagare la corrispondenza tra i picchi di Hs, i quali rappresentano tempeste marine o agitazione dei mari, e la presenza di microsismi. I parametri ondametrici derivanti dalle boe non sono disponibili per l’anno 2006, periodo in cui invece sono stati analizzati dati sismici in continuo con la possibilità di seguire l’evoluzione dei microsismi. Quindi, per avere a disposizione delle informazioni utili sullo stato dei mari, sono stati raccolti, in alcuni periodi, i dati provenienti da varie istituzioni europee che mettono a disposizione, via web, modelli del campo d’onda marino. Il modello più comunemente utilizzato per descrivere le condizioni fisiche delle superfici marine è il WaveWatch III, chiamato anche WW3 (http://polar.ncep.noaa.gov/waves/wavewatch/wavewatch.html). Esso è un modello di propagazione delle onde marine forzate dal vento; il modello è stato sviluppato presso il NOAA/NCEP. Le equazioni che governano il modello simulano le variazioni nel tempo e nello spazio dell’elevazione del mare e della corrente superficiale, l’oscillazione media della superficie prodotta al vento, la dissipazione e gli effetti dovuti all’attrito con il fondo. 67 Fig.6.3 Valori del periodo di picco del moto ondoso (Tp) rilevato dalle 6 boe selezionate della Rete Ondametrica Italiana. I dati sono disposti in ordine cronologico a partire dal 1° Gennaio 2004. Le interruzioni nella successione di dati, indicano che la boa non ha trasmesso informazioni in quegl’intervalli temporali. Le fonti delle immagini dei WW3 utilizzate nella presente ricerca derivano da: Laboratorio di Meteorologia e Modellistica Ambientale della Regione Toscana(LAMMA), http://www.lamma.rete.toscana.it/; Ocean Physics And Modelling Group (OPAM), Università di Atene, http://www.oc.phys.uoa.gr/main.shtm; Fleet Numerical Meteorology and Oceanography Center, Monterey CA, https://nesso.fnmoc.navy.mil/ (materiale dal link: http://www.eurometeo.com/italian/ww3fnmoc). 6.3 Evidenze sperimentali della differente provenienza dei segnali microsismici Come già descritto nel Cap.4, la variabilità del noise sismico ambientale a bassa frequenza segue cicli stagionali, con picchi nei periodi invernali e valli nei periodi estivi (Fig.4.4). Inoltre, mediamente, l’oscillazione del picco DF avviene anche nel dominio della frequenza, spostandosi verso le basse frequenze nel periodo invernale, per la maggior intensità dei fenomeni meteorologici e per la loro posizione sugli oceani (Fig.4.3). Ma la variabilità del picco DF nello spettro del noise sismico non avviene omogeneamente in tutta la banda di frequenza in cui è contenuto. Negli spettri calcolati alla stazione MAR2 (Fig.6.4), posta al centro del Nord Italia, in due anni e mezzo di registrazioni, si nota come il segnale ha contenuti spettrali decorrelati al di sopra e al 68 di sotto di un limite posto circa a 0.2 Hz. In generale, i picchi spettrali al di sopradi 0.2 Hz hanno una durata inferiore rispetto a quelli al di sotto di 0.2 Hz, ma sono anche più frequenti. Inoltre, mentre sotto di 0.2 Hz si registrano valori spettrali inferiori alla media per tutta la durata dei periodi estivi, al di sopra di 0.2 Hz si susseguono picchi spettrali durante tutto l’anno, con una minor frequenza di occorrenza durante il periodo estivo. Nei periodi invernali, i picchi a frequenze inferiori di 0.2 Hz raggiungono valori spettrali maggiori dei picchi a più alta frequenza. L’ipotesi maturata all’inizio della ricerca sui segnali a bassa frequenza, è di una diversa provenienza dei microsismi: sono stati correlati preliminarmente dati meteo e oceanografici per sostenere questa ipotesi (Fig.4.5 e 4.6). Nei paragrafi successivi sono riportate ulteriori evidenze, fornite di una più completa raccolta di dati relativi all’altezza delle onde nei mari mediterranei intorno all’Italia e alle zone di depressione sia nell’area mediterranea che atlantica. Sono stati selezionati due intervalli temporali compresi nei due anni e mezzo di registrazione della stazione MAR2. Il primo corrisponde alla primavera ed estate dell’anno 2004, in cui si evidenziano le diverse combinazioni in cui sono presenti gli eventi microsismici a più alta frequenza (Short Period Double Frequency, SPDF, vedi Cap.5) e quelli a minor frequenza (Long Period Double Frequency, LPDF, vedi Cap.5). Il secondo intervallo temporale comprende l’autunno 2004 e l’inverno successivo, a cavallo tra il 2004 e il 2005: la presenza di intensi eventi meteorologici e la presenza di aree di bassa pressione sia sull’oceano Atlantico che sul mare Mediterraneo, configurano un’intensa attività microsismica in tutta la banda di frequenza tra 0.1 e 1 Hz. Fig.6.4 PSD normalizzate sulla media della PDF, per le tre componenti della stazione MAR2, tra 0.1 e 1 Hz. In ascissa si trovano i giorni giuliani da Marzo 2004 a Settembre 2006. Le bande nere indicano mancanza di dati. 69 6.3.1 Osservazioni del periodo 3 Aprile – 21 Agosto 2004 Nel riquadro in alto di Fig.6.5 sono mostrati i dati sismici relativi alla componente verticale della stazione MAR2 nel periodo 3 Aprile – 21 Agosto 2004; i valori assoluti dei livelli di noise sono stati normalizzati rispetto alla media della Probability Density Function (PDF) calcolata per i due anni e mezzo di attività della stazione. Ogni colonna corrisponde ad uno spettro del noise in termini di Power Spectral Density (PSD) e due colonne rappresentano un giorno, essendo stati acquisiti i dati quotidianamente una volta in ore diurne ed una volta in ore notturne. I tick delle ascisse ai bordi del riquadro corrispondono ad un intervallo di 5 giorni ed la data è indicata ogni 30 giorni. I tre riquadri sottostanti contengono i valori delle altezze delle onde marine (Hs), rilevate alle boe poste nei mari prospicienti le città che danno il nome alla boa. Sono stati raggruppati in uno stesso grafico i dati di Alghero e La spezia come rappresentativi delle condizioni marine del mediterraneo Nord-Occidentale. Dall’indicazione riportata nei diagrammi della direzione delle onde (Fig.6.2), la boa di La Spezia registra onde provenienti principalmente dal Mar Ligure e dal Nord-Ovest della Corsica, mentre la boa di Alghero registra onde provenienti dal Nord-Ovest della Sardegna. Analogamente, le boe di Ancona e Monopoli sono state prese come riferimento delle condizioni del mar Adriatico, in cui le onde si propagano essenzialmente lungo l’asse longitudinale di questo bacino marino. Infine vengono riportati i dati relativi alla boa di Mazara del Vallo (Sicilia) e di Crotone (Calabria), per identificare le condizioni dei mari che bagnano la parte meridionale del Sud Italia. La boa di Mazara registra principalmente onde marine provenienti da Ovest in direzione della costa tunisina, mentre la boa di Crotone registra le onde provenienti dal mar Ionio e dal Canale di Sicilia. Fig.6.5 Confronto tra le PSD della stazione sismica MAR2 e l’altezza delle onde (Hs) rilevata dalle boe della Rete Ondametrica Italiana, nel periodo 3 Aprile – 21 Agosto 2004. Le bande nere nel grafico delle PSD indicano mancanza di dati. Per gli indici A1-A10 vedi il testo. 70 Tramite gli indici A1-A10 e i rettangoli neri in Fig.6.5, sono state messe in evidenza alcune situazioni tipiche che si osservano nei dati sismici della stazione MAR2, con lo scopo di descrivere le combinazioni tra la presenza o meno di picchi spettrali al di sopra e al di sotto della frequenza di 0.2 Hz. Così, per i casi A2 e A3 si riscontrano alti livelli di noise in tutta la banda 0.1-1 Hz; per il caso A8 si osservano valori sopra la media solo per frequenze maggiori di 0.2 Hz; infine per i casi A5 e A9 i livelli di noise scendono sotto la media in tutta la banda di frequenza. Per i diversi casi presi in considerazione, sono state cercate le corrispondenze con fenomeni meteorologici od oceanografici. Tra Aprile e Maggio 2004, i dati sismici a frequenze maggiori di 0.2 Hz ben si correlano con i dati ondametrici delle boe di La Spezia ed Alghero. Picchi evidenti dell’altezza delle onde (Hs) corrispondono ai picchi spettrali, indicati con A1, A2 e A3, del noise sismico registrato alla stazione MAR2; l’abbassamento dei livelli spettrali tra A2 e A3 corrisponde ad un abbassamento dell’altezza delle onde alle boe di La Spezia ed Alghero, mentre i mari a sud del Mediterraneo sono in agitazione. Purtroppo il picco alla boa di Mazara tra il 13 e il 18 Aprile non è correlabile con i dati sismici, in quanto in quei giorni la stazione sismica non era attiva. Altri esempi di questo genere, ma di minor intensità, sono rappresentati dai casi A6, A7, A8 e A10: i livelli spettrali del noise hanno valori al di sopra della media per frequenze comprese tra 0.3 e 1 Hz. Questi casi hanno ancora un’esatta corrispondenza con picchi delle onde marine alle boe di La Spezia ed Alghero, mentre la corrispondenza non si riscontra per le boe di Mazara e Crotone, le quali non presentano picchi di particolare importanza. Essendo queste osservazioni relative ai segnali SPDF, è lecito attendersi che le boe di La Spezia ed Alghero siano maggiormente rappresentative dei livelli spettrali del noise sismico a MAR2, essendo molto più vicine rispetto alle boe di Mazara e Crotone. Infatti, come spiegato nel Cap.5, i segnali SPDF si attenuano velocemente, essendo la crosta terrestre un filtro passa-basso e quindi con la capacità di attenuare più velocemente l’energia contenuta a più alta frequenza. Quindi, a meno di intense tempeste che sconvolgano la tranquillità dei mari del Sud del Mediterraneo, si presume che le condizioni locali marine dei mari settentrionali intorno alla penisola italiana siano la causa potenziale di aree sorgenti di microsismi nella banda di frequenza [0.2-1] Hz. Un’altezza delle onde marine di almeno 3 metri, registrate alle boe di La Spezia ed Alghero, sembra necessaria per generare rilevanti segnali microsismici SPDF. Nell’intervallo temporale analizzato, le boe installate nel mar Adriatico (Ancona e Monopoli) non hanno rilevato situazioni di mare particolarmente agitato, anche relativamente alle altre boe. Questo indica come nel mar Adriatico, essendo un mare abbastanza chiuso e di dimensioni circoscritte, non si creano facilmente condizioni meteo-marine avverse come negli altri mari che bagnano il territorio italiano. In corrispondenza dei casi A2 e A3, nei dati sismici, oltre ai picchi al di sopra di 0.2 Hz concordi con mari agitati nelle vicinanze delle boe di La Spezia ed Alghero, sono presenti picchi al di sotto del limite di 0.2 Hz. Ricordando le osservazioni preliminari esposte nel Cap.4, sono state selezionate le mappe barometriche dei giorni 21 Aprile e 4 Maggio 2004, corrispondenti ai casi A2 e A3 (Fig.6.6 e 6.7), in modo da verificare l’eventuale corrispondenza tra zone di bassa pressione e picchi spettali nei dati sismici. Un’area di intenso minimo barometrico sull’oceano Atlantico ad Ovest dell’Irlanda è presente sia il 21 aprile che il 4 Maggio; la posizione dei minimi barometrici permette di supporre che la circolazione antioraria dei venti intorno alla zona ciclonica genera un campo d’onda marino, il quale va ad incidere sulle coste sia dell’Irlanda che del Sud della Gran Bretagna. Quindi, l’area ad Ovest o Sud-Ovest dell’Irlanda e della Gran Bretagna è una possibile area sorgente di microsismi; infatti, le onde marine, riflettendosi contro le coste, possono produrre campi stazionari dati dall’interferenza delle onde che viaggiano in direzione opposta (Cap.5). Quindi la presenza di zone di bassa pressione sull’oceano Atlantico può giustificare gli alti livelli spettrali al di sotto di 0.2 Hz, registrati alla stazione sismica MAR2. Nelle mappe barometriche sono indicati minimi di pressione anche sull’area mediterranea, i quali sono probabilmente responsabili delle condizioni marine locali registrate dalle boe di Alghero e La Spezia, che ben si correlano con i segnali al di sopra di 0.2 Hz. L’abbinamento delle condizioni meteorologiche nell’area mediterranea ed atlantica con i segnali al di sotto e al di sopra di 0.2 Hz, non può essere dimostrata con i soli esempi mostrati fino ad ora. A supporto di questa ipotesi bisogna considerare tutti i casi riportati nei due intervalli 71 temporali analizzati nel seguente paragrafo, nel paragrafo 6.3.2, nonché le analisi di dettaglio descritte nei paragrafi conclusivi di questo capitolo. Fig.6.6 Mappa barometrica del giorno 21 Aprile 2004 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Fig.6.7 Mappa barometrica del giorno 4 Maggio 2004 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Un primo esempio significativo di come i segnali sismici a frequenze maggiori di 0.2 Hz sono correlati alle condizioni meteo nell’area mediterranea piuttosto che a quelle nell’area atlantica è data dal caso A8 in Fig.6.5. La mappa barometrica in Fig.6.8, riferita al giorno 10 Luglio 2004, mostra come una zona di alta pressione si trova al centro dell’Atlantico, a Nord della Scozia. 72 Davanti a gran parte delle coste europee permangono condizioni stabili di alta pressione. Alcune zone di depressione sull’oceano Atlantico mostrano bassi gradienti di pressione che probabilmente non sono in grado di generare intense tempeste. Sull’area mediterranea invece si riscontrano zone di depressione, le quali, pur non essendo particolarmente intense, sono sufficienti per agitare i mari davanti alle boe di La Spezia e Alghero (Fig.6.5), creando probabilmente particolari condizioni meteo locali. Il segnale microsismico del caso A8, quindi, è ipotizzabile che provenga proprio dai mari settentrionali intorno all’Italia, anche considerando il fatto che microsismi SPDF si attenuano nel giro di poche centinaia di chilometri e quindi difficilmente possono provenire dall’area atlantica. Fig.6.8 Mappa barometrica del giorno 10 Luglio 2004 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Particolarmente significativo in Fig.6.5 è il caso A5, in cui i bassi livelli spettrali a MAR2 corrispondono esattamente al periodo di mare calmo (Hs prossimo a 0) a tutte le boe selezionate; la boa di Alghero mostra due picchi Hs proprio appena prima e dopo il caso A5, evidenziando l’ottima corrispondenza tra dati sismici e dati oceanografici. La totale calma dei mari intorno alla penisola italiana è giustificata dalla zona di alta pressione presente sopra il mar Mediterraneo, la quale crea condizioni di stabilità meteorologica (Fig.6.9). La situazione in Fig.6.9, relativa al giorno 9 Giugno, mostra un’area di alta pressione che domina il nord dell’oceano Atlantico, lasciando spazio a zone di bassa pressione a Sud-Ovest della Gran Bretagna, in mare aperto. In ogni caso, la posizione del minimo barometrico più intenso in Fig.6.9 lascia supporre che la circolazione dei venti non crea campi d’onda che incidono direttamente sulle coste europee. Inoltre, rispetto ai casi in Fig.6.6 e 6.7, i gradienti di pressione sono molto minori (isobare maggiormente distanziate), il che incide notevolmente sulla direzionalità e sulla forza dei venti. Probabilmente, solo l’instaurarsi di intensi minimi barometrici, accompagnati da forti gradienti di pressione, sono in grado di generare i campi d’onda necessari a formare aree sorgenti di microsismi registrabili nell’area del Nord Italia. In Fig.6.10, relativa al giorno 23 luglio e corrispondente al caso A9, una zona di alta pressione insiste davanti alle coste europee di Spagna, Francia e Gran Bretagna, mentre deboli minimi barometrici si trovano nel centro dell’oceano Atlantico; sul mar Mediterraneo insiste un’area di alta pressione che mantiene le condizioni stabili e rende i mari calmi, come si evince dai valori di Hs corrispondenti al caso A9 (Fig.6.5). Quindi, a meno di lievi differenze delle condizioni meteorologiche sull’oceano atlantico, per il caso A9 si ripetono condizioni analoghe al caso A5, 73 in cui bassi valori spettrali dei dati simici registrati a MAR2 sono giustificati sia da condizioni meteo stabili, sia dall’assenza di onde di altezza significativa nei mari che circondano l’Italia. Il caso A4 in fig.6.5 non è ben chiaro osservando il noise alla stazione MAR2 ma è correlabile ai picchi delle onde marine alla boa di Alghero o alla boa di Ma zara; infatti, i livelli spettrali sismici sono comunque maggiori rispetto al caso A5, durante il quale si registra assoluta calma dei mari. Le condizioni di mari non agitati nell’intervallo tra A3 e A4 corrispondono anch’essi a livelli spettrali relativamente bassi alla stazione MAR2. Fig.6.9 Mappa barometrica del giorno 9 Giugno 2004 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Fig.6.10 Mappa barometrica del giorno 23 Luglio 2004 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). 74 6.3.2 Osservazioni del periodo 14 Dicembre 2004 – 21 Febbraio 2005 Il secondo periodo analizzato riguarda l’autunno 2004 e l’inverno 2004-2005 (Fig.6.11). Durante questo intervallo temporale, non erano disponibili i dati della boa di La Spezia e di Crotone, mentre quelli della boa di Alghero sono stati forniti solo per un breve periodo. Quindi è possibile fare confronti solo con le boe del mare Adriatico e dei mari del Sud Italia. In ogni caso questi dati sono risultati sufficienti a discriminare i periodi di mare agitato nell’area mediterranea dai periodi di maggior calma. Fig.6.11 Confronto tra le PSD della stazione sismica MAR2 e l’altezza delle onde (Hs) rilevata dalle boe della Rete Ondametrica Italiana, nel periodo 14 Dicembre 2004 – 21 Febbraio 2005. Per gli indici B1-B5 vedi il testo. Come atteso, l’attività microsismica in questa stagione è molto intensa, con livelli spettrali quasi costantemente al di sopra della media. In ogni caso è possibile distinguere i casi più significativi, come mostrato in Fig.6.11 dagli indici B1, B2 e B4. In corrispondenza di questi 3 eventi microsismici con frequenza maggiore di 0.2 Hz, la boa di Mazara registra onde marine alte circa 5 metri, così come la boa di Alghero per il caso B2. La boa di Mazara, come già descritto, è significativa per le onde provenienti da Ovest rispetto la Sicilia; quindi può rappresentare le condizioni marine a Sud della Sardegna, nei mari meridionali rispetto a quelli rappresentati dalla boa di Alghero. E’ possibile immaginare che l’evoluzione delle condizioni marine a Nord-Ovest della Sardegna sia collegata con quella dei mari meridionali che bagnano la costa africana, i quali sono visti dalla boa di Mazara (Fig.6.2). La situazione è comprensibile osservando la mappa barometrica relativa al caso B4 (Fig.6.12): un’intensa zona di depressione è centrata sulla Sicilia; i venti circolando in senso antiorario, 75 generano campi d’onda che presumibilmente si propagano dai mari tra la Sardegna e le isole Baleari fino a lambire la costa africana a Sud. Perciò, una possibile area sorgente di microsismi potrebbe generarsi tra la Sardegna e le Baleari, oppure nei pressi della costa tunisina. L’altra area di bassa pressione in Fig.6.12 si trova a Nord della Scozia e mostra un forte gradiente di pressione, con una circolazione dei venti tale da interessare le coste scozzesi ed irlandesi. La presenza di questa intensa area depressionaria corrisponde con la presenza del chiaro microsisma LPDF a frequenze inferiori di 0.2 Hz, corrispondente all’intervallo B4 in Fig.6.11. Fig.6.12 Mappa barometrica del giorno 19 Gennaio 2005 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Con l’indice B5 si è voluta indicare un’intera fascia in cui i segnali microsismici sono persistenti con minime interruzioni, soprattutto per quel che riguarda le frequenze maggiori a 0.2 Hz. In ogni caso, l’intervallo temporale compreso in B5 corrisponde ad una successione fitta di picchi dell’altezza delle onde marine (Hs) nei mari mediterranei, registrati con eventi particolarmente significativi alla boa di Mazara. Il mar Adriatico presenta anch’esso condizioni di mari mossi, al contrario del primo periodo analizzato (paragrafo 6.3.1), anche se con ampiezze minori delle onde rispetto alla boa siciliana. Quindi, condizioni meteo locali particolarmente avverse nel periodo invernale sono in grado di agitare tutti mari intorno alla penisola italiana. Il caso B3 presenta una situazione non ancora descritta nè nel paragrafo precedenete, nè nel presente paragrafo. Infatti, intorno al giorno 10 Gennaio 2005, si manifesta un microsisma LPDF (< 0.2 Hz) alla stazione MAR2 (Fig.6.11), in concomitanza di bassi livelli spettrali a frequenze maggiori di 0.2 Hz. Questo è la situazione che mancava per consolidare l’ipotesi di provenienza atlantica dei microsismi DF che si manifestano alle più basse frequenze (0.1-0.2 Hz). Nella notte tra il 9 e il 10 Gennaio 2005 (Fig.6.13) un intenso minimo barometrico, con un forte gradiente di pressione, si trova a Nord della Scozia, convogliando i venti contro la costa occidentale della Gran Bretagna e dell’Irlanda. Contemporaneamente, una vasta area di alta pressione si estende dal Sud Europa al Nord Africa, mantenendo condizioni meteo stabili su tutto il mar Mediterraneo. Dall’8 al 13 Gennaio, i mari si presentano calmi alle boe di Ancona, Monopoli e Ma zara (Fig.6.11), presentando l’unico periodo di assenza di picchi dell’altezza delle onde (Hs) nell’intervallo temporale analizzato. I dati meteo e ondametrici lasciano perciò presupporre che l’unica possibile fonte energetica in grado di generare microsismi nel caso B3, sia l’area di bassa pressione atlantica. L’osservazione rafforza l’ipotesi di diversa provenienza dei segnali microsismici registrati nel Nord Italia. 76 Fig.6.13 Mappa barometrica del giorno 10 Gennaio 2005 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Fig.6.14 Mappa barometrica del giorno 24 Dicembre 2004 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Le Fig.6.14 e 6.15 corrispondono rispettivamente ai giorni 24 Dicembre 2004 e 9 Febbraio 2005. Sono riportate solo per evidenziare come nel periodo invernale è possibile che sull’oceano Atlantico si formino aree cicloniche importanti, con forti gradienti di pressione e minimi barometrici rilevanti, le quali provocano la formazione di aree sorgenti di microsismi di notevoli ampiezze. Infatti, nei due giorni scelti, i livelli spettrali al di sotto di 0.2 Hz raggiungono valori elevati (Fig.6.11), così come in tutta la fascia temporale che va dal 14 Dicembre 2004 al 23 Gennaio 2005. Riportando l’attenzione sulla Fig.4.4 del Cap.4, si vede come i livelli dei microsismi in questo periodo sono quelli più elevati, compresi tra i –120 e –110 dB, con vari 77 valori che superano i –110 dB. Rispetto ai periodi estivi, mediamente c’è uno scarto di 20 dB ma con punte di 30-35 dB. Fig.6.15 Mappa barometrica del giorno 9 Febbraio 2005 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). 6.4 Struttura, evoluzione e propagazione dei Microsismi osservati nel Nord Italia Nel corso dell’ultimo anno di ricerca (2006) è stato possibile reperire dati sismici registrati in modalità continua, appartenenti alle stazioni satellitari, poste nel Nord Italia, della Rete Nazionale Centralizzata del Centro Nazionale Terremoti (CNT-INGV) e di alcune stazioni svizzere del centro di ricerca ETH di Zurigo, in siti confinanti con il territorio italiano. Delle 15 stazioni a disposizione sono state selezionate 3 stazioni per l’analisi di dettaglio dei microsismi: DAVOX, DOI e FNVD (Fig.6.16). La scelta è dettata dalla disposizione spaziale assoluta e reciproca delle tre stazioni. DOI e FNVD sono relativamente vicine ai mari mediterranei intorno all’Italia; l’asse di congiunzione tra le due stazioni punta verso l’oceano Atlantico, permettendo di valutare le differenze nei microsismi dovute alla propagazione in quella direzione. DAVOX è lontana dai mari mediterranei rispetto le altre due stazioni, in modo da registrare in maniera sensibilmente differente gli eventuali microsismi provenienti da aree sorgenti a Sud delle tre stazioni. 78 Fig.6.16 Mappa delle stazioni DAVOX, DOI e FNVD, selezionate per individuare la direzione di propagazione dei microsismi nel Nord Italia. Per poter selezionare degli eventi microsismici significativi, sono stati elaborati i dati delle componenti verticali delle stazioni DAVOX e FNVD nei mesi di Febbraio e Marzo 2006 (Fig.6.17), per i quali erano disponibili anche dati meteo ed oceanografici. A partire da file di durata 1 giorno, contenenti le tracce di noise sismico ambientale, sono state calcolate 1534 PSD medie per ognuna delle due stazioni, su intervalli temporali di 55 minuti, con finestre mobili di 20 minuti, sovrapposte del 75 %. Le operazioni di processing sul segnale sono quelle descritte nel Cap.3. Le PSD stimate compongono i diagrammi di Fig.6.17, la quale permette di seguire in continuo la manifestazione del segnale microsismico nel tempo. Una rapida osservazione restituisce la complessità dei microsismi che vengono registrati, i quali presentano ben definite caratteristiche spettrali che posseggono trend simili, ripetuti in differenti eventi microsismici. In generale si nota come i microsismi a minor frequenza, al di sotto di 0.2 Hz, cominciano con frequenze minori di quelle che poi emergono con l’evoluzione del microsisma (trend a frequenza crescente). Al contrario, i microsismi al di sopra di 0.2 Hz mostrano un andamento delle frequenze inverso (trend a frequenza decrescente). Inoltre, tra 0.05 e 0.1 Hz emergono i Single Peak (SF) in concomitanza di molti microsismi LPDF tra 0.1 e 0.2 Hz, indicando che l’area sorgente di tali microsismi si trova non lontano dalle coste (vedi Cap.5). L’altra evidenza sperimentale che balza agli occhi è come i livelli spettrali dei microsismi a più bassa frequenza sono maggiori alla stazione DAVOX, la quale, al contrario, restituisce minori livelli spettrali per i microsismi a più alta frequenza rispetto alla stazione FNVD. Questa è un’ulteriore indicazione in accordo con la provenienza atlantica o mediterranea dei diversi tipi di microsismi e un’evidenza della propagazione dei microsismi tra le due stazioni. Infatti, l’attenuazione dei microsismi LPDF che attraversano presumibilmente prima la stazione DAVOX e poi FNVD, è meno evidente di quella dei microsismi SPDF, i quali percorrono un verso opposto e sono già quasi del tutto attenuati alla stazione DAVOX. Altro elemento in linea con questa osservazione sono i picchi SF che emergono in concomitanza di molti microsismi LPDF: tra le stazioni DAVOX e FNVD i livelli spettrali dei picchi SF sono molto simili, indicando un’ancor minor attenuazione a frequenze sempre più basse. Nei due paragrafi successivi verranno descritte le caratteristiche fenomenologiche dei microsismi registrati negli intervalli temporali 13-18 Febbraio e 4-8 Marzo 2006. I dati sismici in continuo delle tre stazioni scelte sono messi in relazione a dati meteo di pressione, oltre che a modelli dell’altezza delle onde e di circolazione dei venti nelle aree mediterranea ed atlantica. 79 Al contrario delle precedenti analisi non sono disponibili i dati del 2006 relativi alle altezze delle onde (Hs) registrate alle boe della Rete Ondametrica Italiana ed utilizzati nei paragrafi precedenti. Fig.6.17 PSD delle componenti verticali delle stazioni DAVOX e FNVD. In ascissa sono indicati i giorni dei mesi di Febbraio e Marzo 2006. Le bande nere indicano assenza di dati. 6.4.1 Fenomenologia del segnale microsismico per il periodo 13-18 Febbraio 2006 I livelli spettrali delle componenti verticali delle tre stazioni sismiche DAVOX, DOI e FNVD, dal giorno 12 al giorno 18 Febbraio 2006, sono rappresentati con PSD medie su 55 min (Fig.6.18). La disposizione dei riquadri in figura è fedele alla disposizione spaziale reciproca delle tre stazioni, mentre gli indici C1, C2 e C3 indicano i percorsi tra le coppie di stazioni. I valori nell’intervallo di frequenza 0.05-0.7 Hz sono rappresentati da una scala di colori che va da – 150 dB (nero) a –105 dB (viola), in modo da esaltare i contorni che delimitano il massimo contenuto energetico dei microsismi. In questo modo è possibile disegnare l’evoluzione temporale del segnale in continuo. Le tre stazioni presentano microsismi distinti rispetto il limite di 0.2 Hz. Microsismi (indicati con M11 e M12) di maggior durata, si evolvono alle più basse frequenze (0.1-0.2 Hz), mentre altri eventi (gruppo M13) in più rapida successione si manifestano tra 0.2 e 0.4 Hz. Questi ultimi risultano visivamente molto attenuati alla stazione DAVOX. Nei giorni 13-14 e 16-17 si manifestano anche segnali tra 0.05 e 0.1 Hz, in corrispondenza e con frequenze pari alla metà dei microsismi LPDF , indicando una stessa origine dei due segnali: essi sono i pichhi SF associati ai picchi DF. La complessità spettrale dei microsismi in questo periodo è riassunta nella Fig. 6.19, rappresentante la PDF della stazione DOI (riquadro a sinistra), relativa ai giorni 13-18 Febbraio 2006. Sovrapposti ai valori di probabilità della PDF, sono mostrate le singole PSD appartenenti a momenti differenti (indicati nel riquadro a destra di Fig.6.19), in cui si vede come caratteristiche spettrali nettamente differenti vanno a comporre la PDF finale. In assenza di intensa attività microsismica, lo spettro (verde) del noise sismico riproduce l’andamento 80 generale delle curve di Peterson (1993), esibendo un picco DF attenuato e centrato intorno alla frequenza di 0.2 Hz. In presenza, di un microsisma LPDF (13 Febbraio, spettro rosso), il picco DF si sposta verso le basse frequenze; nel caso in figura si vede anche la presenza del picco SF. Quando sono concomitanti microsismi LPDF e SPDF, il picco DF dello spettro del noise si sdoppia (16 Febbraio, spettro giallo), mostrando una complessità che non sempre è evidente quando si rappresentano le regolarità statistiche del noise di lunghi periodi temporali (vedi PDF del Cap.4). Fig.6.18 PSD dei microsismi registrati alle stazioni DAVOX, DOI, FNVD dal 13 al 18 Febbraio 2006. Per gli indici M11, M12, M13 vedi il testo. Per gli indici C1, C2 , C3 vedi Fig.6.21. Fig.6.19 Sinistra) PDF (scala di grigi) della componente verticale della stazione DOI dall’11 al 18 Febbraio 2006 e 3 esempi di PSD tra quelle inserite nel calcolo della PDF. Destra) PSD (verde, rosso, giallo) utilizzate come esempio nel riquadro di sinistra. 81 Anche all’interno dello stesso evento microsismico è possibile seguire lo spostamento del picco DF, il quale, come già descritto, segue trend decrescenti o crescenti in frequenza, a seconda dell’origine del segnale (vedi Cap.5). In Fig.6.20 sono disegnati tre spettri successivi calcolati per i segnali della stazione DOI tra il 13 e il 14 Febbraio, separati da 10 ore, in cui è possibile seguire il trend crescente in frequenza del picco DF dell’evento M11 di Fig.6.18. Questo trend è, in teoria, provocato dalla propagazione delle onde marine lunghe (swell) generate in acque profonde: i treni d’onda a più bassa frequenza si propagano con maggior velocità e quindi raggiungono prima i bordi costieri delle terre emerse. I microsismi, associati ai campi stazionari che si formano a causa della riflessione sulle coste delle swell, si propagano con segnali aventi contenuti in frequenza proporzionali ai treni d’onda in arrivo: quindi anche nei segnali sismici saranno presenti prima le basse frequenze, seguite nel tempo da contenuti spettrali a più alta frequenza. Fig.6.20 Trend crescente in frequenza del picco DF associato al microsisma LPDF M11 del 13-14 Febbraio 2006. Per quantificare quali siano gli intervalli di frequenza che nel corso del tempo mostrano un’attenuazione del segnale microsismico tra una coppia di stazioni, sono state calcolate le differenze delle PSD, per ogni coppia di stazioni che risulta dalla combinazione delle tre stazioni selezionate per le analisi. In Fig.6.21 sono rappresentate tali differenze espresse in dB: al colore grigio corrispondono valori spettrali tra due stazioni che differiscono meno del doppio dell’ampiezza spettrale (circa 3 dB); il colore bianco indica maggior ampiezza dei livelli spettrali della stazione 1 rispetto alla 2 e quindi un’attenuazione del segnale in senso opposto; il colore nero indica che alla stazione 1 il segnale è attenuato rispetto alla stazione 2. Al percorso C1 corrispondono la stazione 1 = DAVOX e la stazione 2 = DOI. Al percorso C2 corrispondono la stazione 1 = FNVD e la stazione 2 = DOI. Al percorso C3 corrispondono la stazione 1 = DAVOX e la stazione 2 = FNVD. Le differenze a coppie di stazioni restituiscono immediatamente un’indicazione del verso di propagazione del segnale. Se dalla stazione 1 alla stazione 2 il segnale risulta attenuato, si assume che, almeno in parte, il segnale si è propagato lungo il percorso che unisce le due stazioni. Infatti si può notare come i microsismi LPDF M11 e M12 si attenuano da DAVOX verso FNVD e da DOI verso FNVD; per gli stessi microsismi i livelli spettrali sono simili alle stazioni DAVOX e DOI, con l’eccezione di alcuni tratti di segnale che rivela una lieve attenuazione verso DAVOX, stazione che si trova leggermente più a Est 82 rispetto DOI. Quindi le osservazioni mostrano che i microsismi M11 e M12 si propagano da Nord-Ovest verso le tre stazioni, indicando una provenienza atlantica. M13 Fig.6.21 Rappresentazione dell’attenuazione del segnale microsismico a coppie di stazioni nel perodo 13-18 Febbraio 2006. Ogni riquadro indica la differenza (DIFF STAZ1-STAZ2) in dB degli spettri tra la stazione 1 e la stazione 2. C1: DIFF DAVOX-DOI; C2: DIFF FNVD-DOI; C3: DIFF DAVOX-FNVD. Grigio: differenze minori di 2 in ampiezza; Bianco: segnale attenuato alla stazione 2 rispetto la stazione 1; Nero: segnale attenuato alla stazione 1 rispetto alla stazione 2. M11, M12 e M13: indicazione dei microsismi visualizzati in Fig.6.18. Al contrario, il gruppo di brevi microsismi M13 si attenuano da DOI verso DAVOX e da FNVD verso DAVOX, mentre livelli paragonabili si ritrovano tra le due stazioni DOI e FNVD. Quindi, il segnale, nella banda di frequenza [0.2-0.4] Hz nei giorni dal 16 al 18 febbraio 2006, proviene probabilmente da Sud-Ovest rispetto le tre stazioni, da una direzione puntata verso il mar Ligure. Abbinando le osservazioni di propagazione dei dati sismici ai dati meteo e oceanografici, è possibile rafforzare la tesi di propagazione del segnale e ipotizzare i meccanismi di generazione dei microsismi che si riflettono nei trend spettrali delle stazioni sismiche. Il giorno 13 Febbraio 2006 inizia ad emergere nei dati sismici il microsisma M11 (Fig.6.18). La mappa di pressione in Fig.6.22a, che precede di alcune ore il microsisma, presenta un minimo barometrico nel centro dell’oceano Atlantico e condizioni stabili sull’Europa e sull’area mediterranea. E’ possibile osservare come i venti insistono in direzione delle coste irlandesi e scozzesi (Fig.6.23), mentre la situazione nell’area mediterranea è di venti calmi. Dato ulteriore che conferma la tranquillità meteorologica dell’area mediterranea è la previsione dell’altezza delle onde del modello WW3 (Fig.6.24), in cui si nota come i mari intorno alla penisola italiana sono calmi. 83 a) 13 Febbraio 2006 b) 14 febbraio 2006 c) 15 febbraio 2006 d) 16 febbraio 2006 Fig.6.22 a) mappa barometrica del 13 Febbraio 2006 alle 00:00 UTC; b) mappa barometrica del 14 Febbraio 2006 alle 00:00 UTC; c) mappa barometrica del 15 Febbraio 2006 alle 00:00 UTC; d) mappa barometrica del 16 Febbraio 2006 alle 00:00 UTC. In rosso e blu sono indicate le posizioni, nei giorni 13,14 e 15 di due zone di bassa pressione descritte nel testo. Fig.6.23 Mappa della circolazione e della forza dei venti (fonte www.eurometeo.com) relativa al giorno 13 Febbraio 2006. L’unità di misura della scala di colori è in nodi (nodo internazionale kt = 0.514444 m/s). La dimensione delle frecce è proporzionale alla forza dei venti. 84 Fig.6.24 Modello WW3 dell’altezza delle onde (m) per le ore 03:00 UTC del giorno 13 Febbraio 2006 (fonte www.oc.phys.uoa.gr/main.shtm). La situazione dei mari mediterranei intorno all’Italia è, in generale, calma. Vista la precedente analisi sulla propagazione del segnale sismico e con l’aiuto delle indicazioni meteorologiche e oceanografiche, è possibile abbinare l’evento microsismico M11 ad un’area sorgente presente nell’oceano Atlantico, probabilmente a ridosso delle coste Irlandesi. Il fatto che la zona di bassa pressione si trova al centro dell’oceano Atlantico, lontana dalle coste, spinge a supporre la formazione di swell in acque profonde. Tale possibilità è confortata dall’evidenza sperimentale del segnale sismico inerente all’evento M11, il quale presenta un chiaro trend spettrale crescente (Fig.6.18 e 6.20). Il trend crescente dalle basse alle alte frequenze indica come swell a maggior periodo si sono propagate nei mari più velocemente di swell a più alta frequenza; queste ultime arrivano in ritardo a riflettersi contro le coste e vengono quindi viste dai dati sismici con la stessa successione cronologica. Inoltre, osservando la mappa barometrica di Fig.6.22b del 14 Febbraio, si vede come l’area di bassa pressione (cerchio rosso) si sia spostata ed attenuata verso Nord-Est, sfiorando presumibilmente il Nord della Scozia: in questo caso, la maggior vicinanza dell’area ciclonica alle coste genera una successione di treni d’onda che impattano con ritardi relativi molto più brevi, disegnando un trend spettrale crescente più ripido; questo succede perché le onde a maggior frequenza devono percorrere meno cammino e arrivano appena dopo le onde di maggior periodo che le hanno precedute in un cammino breve (Bromirski et al., 2005). Questo fenomeno è visibile nei dati sismici considerando il bordo superiore che delimita il microsisma M11, molto più ripido di quello inferiore. Lo spettrogramma del microsisma assume perciò la tipica forma a cuneo. Al microsisma M11 succedono altri due microsismi LPDF (Fig.6.18): uno il 15 Febbraio, poco evidente perché si sovrappone al terzo, indicato con M12. Questa successione di microsismi LPDF è data dal continuo passaggio di zone di bassa pressione provenienti dall’area occidentale dell’oceano Atlantico, le quali si spostano verso Nord-Est e attraversano o sfiorano i cieli della Gran Bretagna. E’ possibile seguire il percorso dell’area ciclonica (cerchio blu, Fig.6.22a,b,c) che il 15 Febbraio sovrasta le coste Irlandesi e della Scozia occidentale e che probabilmente genera il microsisma che si intravede tra M11 e M12,. Anche in questo caso, l’area di bassa pressione genera swell in acque profonde che percorrono un lungo cammino, disegnando il bordo inferiore del microsisma, limitato superiormente dal trend più ripido generato il 15 Febbraio con l’approcciarsi alle coste della area di bassa pressione. I 3 microsismi LPDF si manifestano a frequenze simili ma non esattamente uguali. Il secondo microsisma comincia a frequenze maggiori del microsisma M11, mentre il microsisma M12 ripresenta un trend crescente a partire da frequenze inferiori. Questo indica che le swell sono 85 state generate con differenti forze del vento e in acque con profondità diverse. Quindi, i treni d’onda che si formano hanno frequenze dominanti che cambiano al cambiare delle condizioni in cui si sono generate. Questo si riflette nell’evoluzione delle onde stazionarie che trasferiscono energia sul fondo oceanico, creando i microsismi. Inoltre, i picchi SF associati con i 3 microsismi LPDF (Fig.6.18) sono direttamente collegati al contenuto in frequenza delle swell, in quanto generati o dal diretto batimento delle onde sulle costeo per l’interazione tra le onde e i bassi fondali marini nei pressi delle terre emerse; quindi confermano che le swell generate nei tre eventi microsismici possedevano originariamente contenuti in frequenza differenti. Per quel che riguarda le aree sorgenti dei 3 microsismi LPDF, è ipotizzabile che siano collocate in un’area posta davanti all’Irlanda, dove il campo d’onda marino va ad impattare per ognuno dei microsismi. La morfologia delle coste e della batimetria diventano determinanti nella creazione di aree sorgenti (Cap.5). Il giorno 16 Febbraio è già cominciato il microsisma M12, il quale si sovrappone al precedente segnale. La mappa barometrica di Fig. 8.22d indica la presenza di un’altra area di minimo a Nord della Scozia, nelle vicinanze della costa. Il modello WW3 europeo dell’altezza delle onde (Fig.6.25) mostra che un’estesa area di mare agitato è presente davanti all’Irlanda. Quindi l’area di bassa pressione in quel momento (alle ore 00:00 UTC del 16 Febbraio) ha già creato dei campi d’onda che hanno impattato con la costa irlandese, creando probabilmente onde stazionarie responsabili del segnale microsismico. Lo stesso modello WW3 presenta anche una certa agitazione nel mar Ligure, rispetto al resto dei mari intorno all’Italia. Questo è l’unico dato disponibile per quel giorno, il quale giustifica la presenza dei primi microsismi facenti parte del gruppo M13. Fig.6.25 Modello WW3 dell’altezza delle onde (ft) per l’oceano Atlantico ed il mar Mediterraneo, valido alle ore 00:00 UTC del 16 Febbraio 2006. L’unità di misura della scala di colori è in piedi (ft). Si osserva un’estesa area di tempesta ad Ovest dell’Irlanda. Intorno alla penisola italiana è mosso il mar Ligure. Ma la conferma della possibile area di generazione dei microsismi M13 è data dai modelli delle onde in Fig.6.26, relativi ai giorni 17 e 18 Febbraio 2006. Zone circoscritte di mare agitato si spostano davanti alla costa della Liguria e della Toscana, con la direzione delle onde verso le coste. Queste condizioni locali di mare mosso sono ideali per la formazione di microsismi SPDF. Il persistere del vento su una determinata area della superficie marina (fetch) con acque relativamente poco profonde, crea un’evoluzione dello spettro delle onde marine del tipo Pierson and Moskovitz (1964). Se la forza del vento aumenta, vengono generate onde a più bassa frequenza, man mano che il vento insiste. Quindi alle coste arrivano inizialmente onde di 86 più alta frequenza, seguite da treni d’onda a più bassa frequenza, che riflettendosi genereranno di volta in volta onde stazionarie di metà periodo rispetto alle onde originarie. Questo meccanismo si riflette nei dati sismici con un trend decrescente, dalle alte alle basse frequenze, con una coda finale che inverte la tendenza, dovuta al fatto che il vento si affievolisce e il campo d’onda marino ritorna verso le alte frequenze. Osservando il disegno spettrale dei microsismi M13, si osserva esattamente questo trend, rafforzando l’ipotesi che tali eventi sono dovuti a condizioni meteo locali nei mari prospicienti le stazioni sismiche utilizzate, così come conferma anche l’analisi di propagazione precedente (Fig.6.21). Le condizioni meteo locali, come visto in Fig.6.26, possono modificarsi molto repentinamente, generando una successione di microsismi SPDF di breve durata e in rapida successione, come quelli osservati. a) b) Fig.6.26 Modello WW3 dell’altezza (m) e della direzione delle onde e forza dei venti (scala Beaufort). Le isolinee si riferiscono all’altezza delle onde. La scala di colori si riferisce alla forza dei venti. Le frecce indicano la direzione dei venti. A) 17 Febbraio 2006 ore 12:00 UTC; b) 18 Febbraio 2006 ore 12 UTC. (fonte www.lamma.rete.toscana.it). 6.4.2 Fenomenologia del segnale microsismico per il periodo 4-7 Marzo 2006 L’intervallo temporale 4-7 Marzo 2006 è stato scelto come esempio caratterizzante la generazione di differenti aree sorgenti di microsismi nell’area mediterranea. Inoltre viene descritto come caso particolare un microsisma di origine mediterranea che si estende al di sotto della frequenza di 0.2 Hz. La Fig.6.27 mostra gli spettrogrammi delle tre stazioni sismiche DAVOX, DOI e FNVD per i giorni dal 4 al 7 Marzo 2006. Con gli indici M21 e M22 sono indicati due distinti segnali microsismici. Il giorno 4 e 5 Marzo si manifestano microsismi a frequenze maggiori di 0.2 Hz, mentre dal giorno 6 il contenuto più energetico del segnale si sposta al di sotto di quel limite. L’analisi di propagazione elaborata attraverso le differenze tra i valori spettrali a coppie di stazioni (Fig.6.28), mostra come il microsisma M21 si attenua da DOI a DAVOX, da FNVD a DAVOX ed ha valori simili per le stazioni DOI ed FNVD. Quindi è un segnale che si propaga da Sud verso Nord, indicando una provenienza probabile dal mar Ligure. Il microsisma M22 risulta diverso da M21, perché oltre all’attenuazione da DOI a DAVOX e da FNVD a DAVOX, il segnale si attenua chiaramente anche da DOI a FNVD. Quindi sembrerebbe che M22 proviene anch’esso da un’area posta a Sud rispetto alle tra stazioni, ma in una posizione che raggiunge prima la stazione DOI rispetto a FNVD. 87 Fig.6.27 PSD dei microsismi registrati alle stazioni DAVOX, DOI, FNVD dal 4 al 7 Marzo 2006. Per gli indici M21 e M22 vedi il testo. Per gli indici C1, C2 , C3 vedi Fig.6.28. 88 M13 Fig.6.28 Rappresentazione dell’attenuazione del segnale microsismico a coppie di stazioni nel periodo 4-7 Marzo 2006. Ogni riquadro indica la differenza (DIFF STAZ1-STAZ2) in dB degli spettri tra la stazione 1 e la stazione 2. C1: DIFF DAVOX-DOI; C2: DIFF FNVD-DOI; C3: DIFF DAVOX-FNVD. Grigio: differenze minori di 2 in ampiezza; Bianco: segnale attenuato alla stazione 2 rispetto la stazione 1; Nero: segnale attenuato alla stazione 1 rispetto alla stazione 2. M21 e M22: indicazione dei microsismi visualizzati in Fig.6.27. Le condizioni di pressione presenti all’inizio del giorno 4 Marzo (Fig.6.29) sono caratterizzate da una zona di alta pressione nel centro dell’oceano Atlantico, così come generali condizioni stabili sovrastano l’area mediterranea. Al contrario un fronte di perturbazioni taglia longitudinalmente l’Europa. Il bollettino meteomarino dei mari italiani valido per la mattina del 4 Marzo (Fig.6.30), mostra come venti forza 7-8 insistono in direzione della costa ligure, generando mari agitati, nonostante le condizioni di alta pressione sul Mediterraneo. Anche il modello WW3 dell’altezza delle onde (Fig.6.31), conferma che i mari a Nord della Corsica sono in agitazione, con onde che si propagano verso la Liguria. Queste condizioni marine locali sono causate dal fronte perturbativo al centro dell’Europa: infatti, considerando la circolazione dei venti dettata dalle zone di bassa pressione sul continente europeo (Fig.6.32), si vede come le masse d’aria vengano risucchiate, procedendo da Ovest verso Est in tutto il mar Mediterraneo occidentale. I venti, perciò, insistono sui mari a Nord-Ovest della Corsica, generando onde marine che si incanalano fino a raggiungere le coste del mar Ligure. Quindi il microsisma M21, in accordo con le evidenze di propagazione del segnale sismico, è generato da una sorgente posta tra Corsica e Liguria, in acque relativamente poco profonde. La persistenza delle aree di bassa pressione sull’Europa, inducono i venti ad insistere sulle stesse superfici marine, creando le condizioni per la generazione di onde sempre a più bassa frequenza, secondo lo spettro di Pierson and Moskovitz (1964). Quindi, è possibile osservare il trend spettrale decrescente dei giorni 4 e 5 marzo alle stazioni DOI e FNVD, mentre il microsisma risulta attenuato alla stazione DAVOX. 89 Fig.6.29 Mappa barometrica del giorno 4 marzo 2006 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Fig.6.30 Bollettino meteomarino emesso il giorno 4 marzo 2006 (fonte www.eurometeo.com). I simboli ondulati indicano le condizioni del mare, i numeri rossi la forza del vento, le frecce la direzione del vento. 90 Fig.6.31 Modello WW3 dell’altezza delle onde (m) per le ore 12:00 UTC del giorno 4 Marzo 2006 (fonte www.oc.phys.uoa.gr/main.shtm). La situazione dei mari mediterranei intorno all’Italia è, in generale, calma, con l’esclusione della zona a Nord della Corsica, nel mar Ligure, per la quale si prevedono le maggiori altezze delle onde marine, in direzione delle coste italiane. L Fig.6.32 Modello del sistema di circolazione dei venti alle ore 04:00 UTC del giorno 4 marzo 2006 (fonte www.meteoblue.ch). La scala di colori rappresenta la temperatura a livello del mare (°C). Con ‘L’ è indicata la posizione del minimo barometrico che causa lo spostamento delle masse d’aria da Ovest verso Est nel mar Mediterraneo occidentale, generando venti che incidono contro le coste italiane di Liguria e Toscana (modifica dell’autore). Il giorno 6 Marzo il segnale microsismico passa al di sotto del limite 0.2 Hz: inizialmente il trend spettrale è decrescente in frequenza, per poi risalire verso più alte frequenze sovrapponendosi ad un segnale con tendenza opposta. 91 Le condizioni meteorologiche (Fig.6.33) indicano una distinta area di bassa pressione nel mar Tirreno, con il minimo barometrico ad Est della Sardegna. Questa condizione provoca una tempesta marina con onde alte fino a 7-8 m nel mar Mediterraneo occidentale (Fig.6.34). L’area di maggior altezza delle onde è localizzata nei pressi delle Isole Baleari alle 03:00 UTC. Essa si sposta verso Sud con una certa rapidità, raggiungendo la costa nordafricana intorno alle 12:00 UTC. L’altezza delle onde è considerevole, anche relativamente alle condizioni marine locali osservate nei casi precedenti, quando si sono manifestati microsismi generati nei mari a nord del Mediterraneo, come ad esempio nel mar Ligure. La direzione delle onde verso la costa nordafricana è data dalla posizione della zona di bassa pressione centrata sul mar Tirreno che crea la circolazione dei venti in senso antiorario e quindi con direzione Nord-Sud a sinistra del minimo barometrico. Fig.6.33 Mappa barometrica del giorno 6 Marzo 2006 alle 00:00 UTC (fonte www.metoffice.uk). Quindi è lecito pensare che tale tempesta marina sia causa del microsisma M22 (Fig.6.27), soprattutto osservando come durante questo fenomeno le condizioni dell’oceano Atlantico nei pressi delle coste europee mostrano particolari eventi associabili a tempeste marine (Fig.6.35a). I trend spettrali osservati nei dati sismici non sono facilmente imputabili a ben definite condizioni di generazione dei campi d’onda marini. Infatti, il trend spettrale decrescente di M22, visto alle stazioni sismiche, è contemporaneo alla presenza della tempesta mediterranea in mare aperto: ciò porterebbe ad aspettarsi un trend crescente. L’unica ipotesi è che la morfologia e le dimensioni del mar Mediterraneo occidentale non permettano il formarsi di swell in acque così profonde da propagare onde marine di maggior periodo a maggior velocità, rispetto ai treni d’onda a minor periodo. Se ciò fosse vero, si potrebbe anche ipotizzare che il trend crescente (evidente alla fine del microsisma tra il 6 e 7 Marzo) è dovuto soltanto all’attenuarsi delle condizioni meteorologiche sulla superficie marina in tempesta, così come si nota in Fig. 6.35d. Lo spostamento del minimo barometrico verso Est (non mostrato qui), permette l’affievolirsi della forza dei venti che insistono verso la costa nordafricana, con una conseguente diminuzione dell’altezza delle onde. Seguendo lo spettro delle onde di Pierson and Moskovitz (1964), all’abbassarsi della forza del vento e dell’altezza delle onde, il picco spettrale si trasla verso le alte frequenze, riflettendosi nei segnali sismici. 92 a) b) c) d) Fig.6.34 Modello WW3 dell’altezza delle onde (m) per il giorno 6 Marzo 2006 (fonte www.oc.phys.uoa.gr/main.shtm). a) ore 03:00 UTC; b) ore 09:00 UTC; c) ore 12:00 UTC; d) ore 21:00 UTC. E’ evidente la presenza e lo spostamento di un’intensa tempesta marina con onde alte fino a 7-8 m tra la notte e la mattina, per poi affievolirsi verso la sera del 6 Marzo 2006. Il microsisma M22, pur essendo generato all’interno dell’area mediterranea, raggiunge frequenze al di sotto del limite di 0.2 Hz. Quindi la caratteristica generale osservata in molti casi discussi precedentemente, che i microsismi mediterranei si manifestano a frequenze maggiori di 0.2 Hz, può non esser rispettata per particolari eventi di una certa intensità. L’altezza delle 93 onde marine raggiunte nel caso del microsisma M22, permette di generare campi con periodi superiori di 10 s, come si può notare in Fig.6.35b. a) b) Fig.6.35 a) Modello WW3 dell’altezza delle onde (ft) per l’oceano Atlantico ed il mar Mediterraneo, valido alle ore 12:00 UTC del 6 Marzo 2006; b) Modello WW3 del periodo dell’onda (s) per l’oceano Atlantico ed il mar Mediterraneo, valido alle ore 12:00 UTC del 6 Marzo 2006. Si nota come le condizioni peggiori dei mari sono presenti nel mar mediterraneo, con onde alte fino a circa 8 m (24 ft), aventi periodi tra 11 e 13 s. 6.5 Esempio di amplificazione dei microsismi nel bacino sedimentario del fiume Po. Come ultima analisi che descrive la fenomenologia dei microsismi nel Nord Italia, viene riportato un esempio di amplificazione del segnale microsismico per la stazione VAL9, posta sopra la superficie del bacino sedimentario del fiume Po (Fig.6.36). La stazione VAL9, già utilizzata per descrivere il noise in alta frequenza (Cap.4), è stata installata nel Febbraio 2006 in un sito a circa 7 Km a Est dal centro della città di Milano. La stazione è stata collocata all’interno di un vano cantina tra le fondamenta di una palazzina di 6 piani, assicurandosi che al di sotto della pavimentazione del locale ci fosse il terreno. La stazione ha registrato in continuo il movimento del terreno con campionamento 100 cps e un sensore Trillium 40, permettendo di esplorare una larga banda di frequenza, fino a frequenze inferiori a 0.1 Hz. La stazione VAL9, rispetto ad una sezione trasversale del bacino sedimentario del fiume Po, è posta nella parte settentrionale, in cui i depositi quaternari molto probabilmente raggiungono una profondità di circa 1-1.5 Km (Cassano et al., 1986). Oltre ad indagare le amplificazioni che avvengono alla singola stazione VAL9, sono state selezionate due stazioni su roccia (Fig.6.36): DOI, posta sulla catena alpina a Sud-Ovest, nelle vicinanze del mar Ligure; MUGIO, stazione posta a circa 50 Km a Nord di VAL9, sulle Alpi tra il Lago Maggiore e il Lago di Como. La scelta è stata dettata anche dall’intervallo temporale selezionato per le analisi: il giorno 16 Febbraio 2006. In questa giornata, come descritto nelle osservazioni del paragrafo 6.4.1, erano presenti un microsisma LPDF, proveniente dall’oceano Atlantico, ed un microsisma SPDF, proveniente dal mar Ligure. Il microsisma LPDF, proveniente da grandi distanze, arriva alle stazioni quasi contemporaneamente, rispetto il cammino percorso; quindi si assume che le distanze tra sorgente del microsisma ed ognuna delle 3 stazioni, siano paragonabili. Il microsisma SPDF sicuramente raggiunge prima la stazione DOI e poi percorre una distanza maggiore per raggiungere VAL9 e MUGIO, provenendo dal mar Ligure. Perciò ci si attende che alla stazione MUGIO, posta su roccia, il segnale sia attenuato rispetto alla stazione DOI, per quel che riguarda il microsisma SPDF. 94 Tale microsisma percorre un cammino simile per VAL9 e MUGIO, con minor strada per VAL9. Quindi se VAL9 non presenta amplificazioni, il segnale a questa stazione dovrebbe risultare appena maggiore di quello rilevato a MUGIO. Fig.6.36 Stazioni sismiche selezionate per evidenziare le amplificazioni dei microsismi nel bacino sedimentario del fiume Po. DOI e MUGIO, siti in roccia. VAL9 sito su sedimenti. In Fig.6.37, sono riportate le 24 PSD calcolate per il giorno 16 Febbraio 2006, con lo scopo di confrontare i livelli spettrali di ognuna delle componenti dei sensori sulle tre stazioni. Considerando le componenti delle stazioni DOI (nero) e MUGIO (grigio), si nota come il picco a 0.12 Hz, relativo al microsisma LPDF proveniente dall’oceano Atlantico, raggiunge densità spettrali simili alle due stazioni. Questo convalida l’assunzione che il microsisma ha percorso un cammino paragonabile per raggiungere DOI e MUGIO, provenendo da una direzione circa normale rispetto all’asse congiungente la coppia di stazioni. Per il picco a 0.25 Hz, appartenente al segnale del microsisma SPDF proveniente dal mar Ligure, si nota come le PSD di DOI forniscono frequenze leggermente maggiori rispetto alle PSD di MUGIO, oltre che valori di densità spettrale inferiori. Ricordando che il microsisma attraversa prima la stazione DOI e successivamente la stazione MUGIO, come ci si attende, i valori spettrali si attenuano da DOI a MUGIO; inoltre, le più alte frequenze si attenuano maggiormente delle frequenze minori a causa del filtro della crosta terrestre e questo causa lo slittamento dei picchi SPDF di MUGIO. Anche il ramo discendente del picco DF tra 0.3 e 1 Hz è attenuato con maggior evidenza spostandosi in alta frequenza. In Fig.6.37 si nota anche la presenza del picco SF a circa 0.06 Hz, associabile al microsisma LPDF, avendo esattamente una frequenza che è la metà del picco DF ed essendo contemporaneo ad esso. Spostando l’attenzione sulle PSD relative alla stazione VAL9, è subito evidente che il sito subisce delle amplificazioni, soprattutto per quel che riguarda le componenti orizzontali. La componente verticale di VAL9 esibisce una minor amplificazione del picco a 0.12 Hz rispetto al picco a 0.25 Hz, in confronto con le due stazioni su roccia. Per le componenti orizzontali di VAL9, al contrario, l’amplificazione dei due picchi DF è evidente. Inoltre, il picco a 0.25 Hz, a VAL9 non subisce lo shift verso le basse frequenze osservato a MUGIO; questo conferma l’amplificazione del segnale che non viene filtrato quando, probabilmente, attraversa il bacino sedimentario. Il ramo discendente del picco DF a VAL9 ha un trend simile a quello della 95 stazione MUGIO: essendo le due stazioni relativamente vicine rispetto a DOI, è lecito attendersi un’attenuazione regionale simile e quindi un decadimento andando verso le alte frequenze che rispecchi questa proprietà; anche questa osservazione permette di evidenziare l’amplificazione che subisce il movimento del terreno alla stazione VAL9. Il picco SF a 0.06 Hz non è amplificato, confrontando le componenti verticali di tutte e tre le stazioni. Al contrario VAL9 presenta anche l’amplificazione del picco SF sulle componenti orizzontali, anche se con minor spettacolarità rispetto ai picchi DF. Fig.6.37 PSD delle tre componenti delle stazioni DOI (nero), MUGIO (grigio) e VAL9 (blu) calcolate per il giorno 16 Febbraio 2006. Per quantificare l’amplificazione dei microsismi al sito VAL9 rispetto ad un sito su roccia, al di fuori del bacino sedimentario del fiume Po, sono stati calcolati gli Standard Spectral Ratio (SSR) come rapporti tra ognuna delle componenti di VAL9 rispetto ad ognuna delle componenti della stazione MUGIO (Fig.6.38). Gli SSR sono validi fino a frequenze di 0.6-0.7 Hz, oltre le quali poi intervengono i disturbi dovuti all’attività antropica che sono notevolmente maggiori a VAL9, immersa in un’area densamente industrializzata ed urbanizzata (Cap.4). Il rapporto SSR tra le componenti verticali esibisce il maggior fattore di amplificazione ad una frequenza intorno a 0.35 Hz, con un valore 6. Fino a 0.25 Hz, la componente verticale di VAL9 rispetto a quella di MUGIO, non è amplificata. Le componenti orizzontali di VAL9 amplificano con un fattore maggiore di 5 a partire da 0.15-0.2 Hz, raggiungendo valori di picco a circa 0.25 Hz. A partire da quest’ultima frequenza il trend del rapporto SSR delle componenti orizzontali è decrescente, indicando come l’effetto di amplificazione si attenua dopo 0.25 Hz. Quindi, gli andamenti dei rami discendenti dei picchi DF tra le due stazioni sono sì simili (Fig.6.37), ma non propriamente paralleli, indicando come le massime amplificazioni di VAL9 si ritrovano non oltre 0.25 Hz. Questa osservazione viene confermata dal rapporto spettrale Horizontal to Vertical Standard Ratio (HVSR), calcolato a VAL9 (Fig.6.39), il quale esibisce un picco intorno a 0.2 Hz, leggermente più ampio per il rapporto EW/VT (rapporto tra componente Est-Ovest, EW, e la componente verticale, VT). Anche il rapporto SSR delle componenti EW raggiunge ampiezze maggiori rispetto alle componenti NS, toccando valori di 10. Inoltre, i valori di picco dell’SSR EW/EW ricadono alle frequenze del microsisma SPDF. In effetti una certa influenza del fatto che sia presente maggior segnale a causa del manifestarsi del microsisma è osservabile in Fig.6.40, in cui i valori di SSR disegnati nel tempo raggiungono i valori massimi nel momento di maggior intensità del microsisma SPDF (tra le ore 10 e le 15), evidente in particolar modo per le componenti EW. Prendendo in considerazione gli HVSR di MUGIO (grigio) in Fig.6.39, i quali sono piatti con valore 1 da 0.2 Hz in su e leggermente deamplificato sotto 0.2 Hz, si può capire come emerge il picco HVSR di VAL9. Infatti, la componente verticale di VAL9 non amplifica almeno fino a 0.2 Hz, mentre è amplificata anch’essa con un picco a 0.35 Hz, rispetto al sito in roccia (vedi SSR VT/VT). Così, il massimo dell’HVSR a VAL9 si presenta a 0.2 Hz (Fig.6.40), dove le componenti orizzontali sono già amplificate anche rispetto al sito in roccia; mentre il minimo dell’HVSR a VAL9 è centrato a 0.35 Hz, dove amplifica maggiormente la componente verticale rispetto al sito in roccia. 96 Non possedendo informazioni sulle velocità di taglio Vs inerenti ai sedimenti al di sotto di VAL9, non è possibile stimare la profondità del substrato che il picco dell’HVSR indica. Ma la profondità di circa 1 Km dei sedimenti quaternari (Cassano et al., 1986) è compatibile con un picco di risonanza intorno a 0.2 Hz, come risulta da altri studi in letteratura (ad esempio Parolai et al., 2004). Le osservazioni compiute sono un chiaro esempio di come i microsismi si amplificano all’interno del bacino sedimentario del fiume Po. Un fattore 10 in ampiezza è raggiunto dalle componenti orizzontali del sito su sedimenti, rispetto ad un sito su roccia, posto vicino al bordo più vicino del bacino sedimentario. M11 M12 M21 M22 Fig.6.38 Standard Spectral Ratio (SSR) delle tre componenti della stazione VAL9 (sedimenti) rispetto al riferimento MUGIO (roccia). Fig.9.39 Horizontal to Vertical Spectral Ratio (HVSR) delle componenti orizzontali rispetto alla componente verticale per le stazioni DOI (nero), MUGIO (grigio), VAL9 (blu). 97 Fig.6.40 Riquadri in alto) PSD (dB) delle tre componenti della stazione VAL9 durante il giorno 16 Febbraio 2006; riquadri in mezzo) SSR tra la stazione VAL9 e MUGIO; riquadri in basso) SSR tra la stazione VAL9 e DOI. In ascissa sono riportate le ore del giorno 16 Febbraio 2006. 98 CAPITOLO 7 99 7 INFLUENZA DELL’ANISOTROPIA SPAZIALE DELLE SORGENTI MICROSISMICHE SULL’ESTRAZIONE DI TIME DOMAIN GREEN’S FUNCTION DAL NOISE Immagini dell’interno della Terra comunemente vengono ricavate da onde dirette emesse da sorgenti sismiche come esplosioni o terremoti. L’arrivo di onde in diversi punti di osservazione sono state utilizzate per misurare le curve di travel times; le forme d’onda, intese come serie temporali, hanno permesso di calcolare le curve di dispersione delle onde superficiali e le frequenze dei modi normali della Terra (Shapiro and Campillo, 2004). L’inversione di tali misure permette di ottenere informazioni sull’interno della Terra e permette di comprenderne la struttura, sia in termini di stratificazione sferica, sia in termini delle variazioni anisotropiche tridimensionali delle proprietà sismiche. Di contro, l’incremento della risoluzione di immagini sismiche è limitato dalla distribuzione disomogenea delle sorgenti e dei ricevitori. Recenti sviluppi in acustica (tra gli altri, Weaver and Lobkis, 2001a, 2001b; Derode et al., 2003) ed in sismologia (Campillo and Paul, 2003) hanno suggerito un metodo alternativo per misurare la risposta elastica della Terra, estraendo Green’s Function da campi d’onda con caratteristiche diffusive e stocastiche. La Green’s Function è la funzione di trasferimento, registrata ad un ricevitore, di un impulso emesso da una sorgente, il quale si propaga in un mezzo elastico. Essa è la rappresentazione matematica di come la struttura interna della Terra modifica le onde sismiche. Contrariamente alle onde balistiche, campi d’onda completamente diffusi sono composti da onde con ampiezze e fasi random ma che si propagano in tutte le possibili direzioni; quindi contengono le informazioni relative a tutti i possibili cammini, le quali possono essere estratte dalle forme d’onda calcolando la cross-correlazione tra coppie di ricevitori (Shapiro and Campillo, 2004). Campi d’onda diffusivi sono le code dei terremoti e il noise sismico (Campillo, 2006). Coerenti tempi di arrivo deterministici tra due ricevitori possono essere estratti dalla derivata nel tempo della funzione di cross-correlazione di noise sismico ambientale (Noise Crosscorrelation Function, NCF), mediata su lunghi periodi temporali. Gli arrivi coerenti sono legati alla Time Domain Green’s Function (TDGF) tra i due ricevitori (Sabra et al. 2005b). Le reti di monitoraggio di terremoti dislocate nelle varie parti del mondo, fornite di sensori broad-band, registrano continuamente noise sismico ambientale. Tale noise può essere processato per fornire una stima delle TDGFs basate sulle NCFs tra tutte le coppie di ricevitori della rete. Le TDGFs emergono dalla correlazioni che contengono noise appartenente ad un campo d’onda tale da attraversare entrambi i ricevitori (noise coerente). Evidenze sperimentali di tali proprietà sono state proposte in eliosismologia (Duvall, et al., 1993; Rickett and Claerbout, 1999; Rickett and Claerbout, 2000; Kosovichev et al. 2000), in ultrasonica (Lobkis and Weaver, 2001; Weaver and Lobkis, 2003; Derode et al., 2003; Larose et al., 2004; Malcolm et al., 2004; Weaver and Lobkis, 2004), in acustica sottomarina (Roux et al., 2004; Sabra et al., 2005a), in sismologia (Shapiro and Campillo, 2004; Sabra et al., 2005b) e nell’esplorazione planetaria extraterrestre (Larose et al., 2005). I risultati, i quali non sono intuitivi, sono stati dimostrati teoricamente seguendo l’equipartizione dei modi normali delle vibrazioni (Lobkis and Weaver, 2001), oppure più genericamente per il caso di un mezzo omogeneo con attenuazione (Snieder, 2004; Roux et al., 2005) e in una guida d’onda (Sabra et al., 2005a). 100 7.1 Cross correlazione del Noise Sismico Ambientale (NSA) 7.1.1 Metodo d’analisi È stato dimostrato sperimentalmente e teoricamente che può essere ottenuta una stima della Green’s Function tra due stazioni sismiche, calcolando la derivata nel tempo della cross correlazione mediata su lunghi periodi temporali di registrazioni di noise sismico (Sabra et al., 2005b). Per una distribuzione del noise a larga banda, spazialmente uniforme, in un mezzo omogeneo con velocità del suono c, la NCF (C) delle forme d’onda di una coppia di ricevitori, separati da una distanza L ha le seguenti caratteristiche (Snieder, 2004; Roux et al., 2005): - è zero per |t| > L/c, in quanto le onde non viaggiano più lentamente della velocità c; - non continua a t = ± L/c; - continua per |t| < L/c, in quanto le onde originate in un’ampia area appariranno viaggiare più veloci di c. Quindi, la derivata dell’NCF è descritta come dC/dt ≈ - [δ(t+L/c)/L] + [δ(t+L/c)/L] (7.1) dove δ indica una funzione impulso. Basandosi sulle derivazioni analitiche per specifici modelli di propagazione (Snieder, 2004; Roux et al., 2005) e sulle discussioni in Lobkis and Weaver (2001) e in Weaver and Lobkis (2003), Sabra et al. (2005b) determinano la relazione tra la derivata nel tempo della NCF Cij(1,2,t) tra due stazioni sismiche (la 1 posta in r1 e componente i; la 2 posta in r2 e componente j) e la TDGF Gij(r1;r2,t): dCij/dt ≈ - Gij(r1;r2,t) + Gij (r2;r1,-t) (7.2) La TDGF Gij(r1;r2,t) lega lo spostamento di un impulso nella direzione i al ricevitore in r1 con la risposta in spostamento nella direzione j al ricevitore in r2. Quindi la derivata della NCF nell’equazione (7.2) è composta da due termini: 1) la TDGF che risulta da segnali di noise che propagano dalla stazione 1 alla 2 e producono tempi di ritardo t positivi; 2) la time-reversed TDGF che risulta da segnali di noise che propagano dalla stazione 2 alla 1 e producono tempi di ritardo –t negativi. La cross correlazione è calcolata dalle tracce sismiche osservate νi(r1,t) e vj(r2,t) tramite l’integrazione sull’intero periodo temporale T: T Cij(1,2, t) = ∫ vi (r1 ,τ )v j (r2,τ + t )dt 0 (7.3) La cross correlazione, poichè dev’essere calcolata per lunghi periodi temporali (ad esempio un mese), può venir spezzata in periodi temporali più corti (ad esempio un giorno) ai quali poi si applica uno stacking per ottenere la NCF media del periodo d’analisi. 7.1.2 Interpretazione del metodo Vari ricercatori, per le loro applicazioni, hanno utilizzato una forma simile all’equazione (7.1) , ma invece di considerare la derivata dell’NCF hanno utilizzato direttamente la crosscorrelazione (ad esempio Campillo and Paul, 2004; Shapiro and Campillo, 2004; Lobkis and Weaver, 2003). Il noise registrato da una stazione broadband è tipicamente un processo che ha una larghezza di banda relativamente stretta (Gerstoft et al., 2006). Quindi, le serie temporali delle NCF e le loro derivate nel tempo avranno strutture simili dei tempi di arrivo ma con una traslazione di fase di π/2. Per un segnale a banda stretta, la variazione dell’inviluppo 101 del segnale e della sua derivata nel tempo sono simili. Individuando il massimo dell’inviluppo della NCF viene stimato un tempo di ritardo del contenuto coerente del segnale di noise che ha viaggiato da un ricevitore all’altro;quindi, considerando l’inviluppo della NCF non ci si aspetta una variazione significativa utilizzando la NCF o la sua derivata. Inoltre, utilizzando la derivata della NCF vengono esaltate frequenze più alte; in generale, il noise viene esaltato utilizzando la derivata e quindi vengono evidenziate le sue caratteristiche (Gerstoft, 2006). Nel caso di sorgenti di noise uniformemente distribuite nello spazio intorno alle due stazioni, la derivata della NCF sarà una funzione simmetrica rispetto ai tempi di arrivo perché le sorgenti sono collocate da entrambe le parti rispetto le due stazioni e quindi i segnali le attraverseranno sia in un verso che nell’opposto. Al contrario, nel caso di una disomogenea distribuzione delle sorgenti di noise che non ricopra entrambe le parti rispetto alle due stazioni, la NCF e le sua derivata risulteranno asimmetriche, in dipendenza del verso prevalente di propagazione del segnale da una stazione all’altra. Il campo d’onda sismico del noise ambientale può non essere isotropico e dominato da sorgenti direzionali, come ad esempio i microsismi di origine oceanica (Bromirski and Duennebier, 2002; vedi Cap.5 e Cap.6). In prima battuta, il maggior contributo alla composizione della NCF, per un mezzo con debole scattering, proviene da quelle sorgenti del noise che propagano segnale lungo l’asse tra la coppia di stazioni, o comunque se ne discostano di poco (Snieder, 2004; Roux et al., 2004; Sabra et al., 2005b). Le sorgenti di noise lontane dall’asse tra le due stazioni, tipicamente contribuiscono in minor maniera alla costruzione della NCF. Quindi, per un mezzo con debole scattering e una distribuzione anisotropica delle sorgenti, forme d’onda coerenti corrispondenti con gli arrivi della TDGF potrebbero non emergere facilmente per coppie di stazioni perpendicolari con la principale direzione di propagazione del noise sismico ambientale (Gerstoft et al., 2006). 7.1.3 Esempi di applicazioni del metodo La cross correlazione calcolata su lunghi periodi temporali, tra due tracce di noise sismico ambientale registrato in due siti differenti, esibisce i tempi di arrivo della dispersione frequenzadipendente dovuta al contributo delle onde superficiali. Shapiro et al. (2005) mostrano come la cross correlazione di un mese di noise delle componenti verticali tra una coppia di stazioni è concorde con la forma delle onde di Rayleigh di un segnale filtrato di un terremoto con epicentro vicino ad una delle due stazioni e registrato all’altra stazione della coppia. Filtrando le tracce sismiche del noise in diverse bande di frequenza è possibile osservare la dispersione del segnale che emerge per differenti tempi di arrivo (Shapiro and Campillo, 2004). Quindi la TDGF che viene estratta dal noise sismico si riferisce solo alla Green’s function di onde superficiali. Assumendo, perciò, che il contenuto della parte coerente di noise che si propaga da un ricevitore ad un altro è composta essenzialmente di onde superficiali, è possibile ricavare le curve di dispersione della velocità di gruppo dalla NCF ottenuta per ogni coppia di stazioni; per raggiungere questo risultato si applica un’analisi tempo-frequenza (Levshin et al., 1989). Le curve di dispersione ottenute, possono essere paragonate sia a quelle calcolate da forme d’onda di terremoti che hanno sviluppato onde superficiali (ad esempio i telesismi) che a curve teoriche delle onde di Rayleigh (Shapiro and Campillo, 2004). Considerando tutte le coppie di stazioni appartenenti ad una densa rete sismica, è possibile porre in un grafico tempo-distanza tutte le curve NCF ottenute; ciò che emerge è lo scostamento del tempo di arrivo del segnale coerente con l’aumentare della distanza tra le coppie di stazioni, il quale ovviamente impiega un tempo maggiore per percorrere una distanza maggiore. Il tempo di ritardo individuato ad una coppia di stazioni è utile per calcolare un valore della velocità di gruppo, la quale rappresenta una caratteristica media del cammino percorso dalla parte coerente del segnale di noise da un ricevitore all’altro. Il tempo di ritardo del segnale da un ricevitore all’altro è individuato calcolando il lag corrispondente al valore massimo dell’inviluppo della derivata dell’NCF. In Fig.7.1 è mostrato come si ottiene il tempo di ritardo tra una coppia di stazioni. Per le convenzioni dell’algoritmo utilizzato per il calcolo della crosscorrelazione (Orfanidis, 1996), i lag positivi (parte destra della derivata dell’NCF in figura) corrispondono al segnale che si propaga dalla stazione 2 alla stazioni 1. Così, nell’esempio di Fig.7.1, il lag positivo corrispondente al massimo dell’inviluppo indica che il segnale coerente 102 nel noise si è propagato da BOB (stazione 2) a SALO (stazione 1). Conoscendo la distanza in Km tra la coppia di stazioni è possibile stimare la velocità di gruppo (Vg) come: Vg = lagm dist (7.4) Dove lagm è il tempo di ritardo in secondi, corrispondente al massimo dell’inviluppo della derivata dell’NCF, e dist è la distanza in Km tra le due stazioni. Nell’esempio di Fig.7.1, il segnale coerente di noise ha viaggiato con una velocità di gruppo media di 1.04 Km/s dalla stazione BOB alla stazione SALO. Fig.7.1 Calcolo della velocità di gruppo Vg tra due stazioni di cui si conosce la distanza. Nell’esempio è mostrata la derivata dell’NCF (grigio) e l’inviluppo (verde) del giorno 3 Marzo 2006 per la coppia SALO-BOB, filtrando i segnali registrati alle due stazioni con un filtro passa banda tra 0.05 e 2 Hz. Interpolando tutti i tempi di ritardo ottenuti con le coppie di stazioni di una rete sismica, poste a differenti distanze, si ha una stima della velocità di gruppo media della regione coperta dalle stazioni (Shapiro and Campillo, 2004; Sabra et al. 2005b; Gerstoft et al., 2006). Se la rete sismica ricopre strutture geologiche con caratteristiche differenti, le NCF relative alle coppie di stazioni che attraversano suddette zone si scosteranno dal trend medio regionale. Roux et al. (2005) sfruttano lo stesso metodo appena descritto, applicandolo a coppie di stazioni relativamente vicine (distanza < 11 Km). Essi considerano il fatto che se il noise si propaga principalmente come onde di Rayleigh, l’energia contenuta in esse in parte si converte in onde di volume per l’eterogeneità della parte superficiale della crosta terrestre; filtrando le NCF a distanze brevi, essi notano due distinte propagazioni, una più lenta e a più bassa frequenza che associano alla propagazione di onde di Rayleigh, ed una più veloce a più alta frequenza che ipotizzano essere composta da onde P. A supporto di tale tesi riportano graficamente uno spettrogramma relativo alla NCF di una coppia di stazioni in cui sono ben distinti i due contributi; quello a più alta frequenza e più veloce non presenta trend dispersivi (onde P), mentre il contributo a più bassa frequenza evidenzia la dispersione con l’aumentare del tempo di ritardo. Inoltre Roux et al. (2005) forniscono il particle motion delle due propagazioni, utilizzando la NCF tra le due componenti verticali e la NCF tra la componente verticale di una stazione e la radiale dell’altra; anche questa analisi è concorde con le ipotesi in quanto il particle motion della parte di segnale associata alle onde di Rayleigh presenta una polarizzazione ellittica sul piano verticale lungo la propagazione, mentre il segnale relativo alle onde P presenta polarizzazione lineare. La rete di stazioni utilizzate nel lavoro di Roux et al. (2005) si trovano a cavallo della faglia di Sant’Andrea in California (USA); le coppie di stazioni 103 da una parte della faglia presentano travel-time dei ritardi delle NCF differenti da quelle dall’altra parte della faglia, indicando una velocità di propagazione delle onde P differente nei due settori. Le travel-time ottenute dalle NCF del noise sismico possono essere utilizzate come base per comporre mappe tomografiche basate sulle velocità di gruppo delle onde di Rayleigh (Shapiro et al. (2005); Sabra et al., 2005c; Gerstoft et al., 2006). Il vantaggio dell’utilizzo di questo metodo per comporre mappe tomografiche risiede nel fatto che è possibile collocare arbitrariamente i punti di misura sul territorio con lo scopo di indagare percorsi tra le stazioni definiti a priori, senza dover ipotizzare una distribuzione di sorgenti, come possono essere quelle di terremoti. Inoltre è possibile registrare immediatamente il segnale utile alle analisi, ovvero il noise simico; quindi non è necessario attendere il verificarsi di eventi sismici come nei metodi tomografici che utilizzano forme d’onda di terremoti. 7.2 Estrazione di TDGF dal NSA registrato nel Nord Italia 7.2.1 Processing dei segnali in continuo Sfruttando i dati sismici in continuo, disponibili nel corso dell’anno 2006, provenienti da alcune stazioni satellitari delle Rete Nazionale Centralizzata (RNC) del Centro Nazionale Terremoti dell’INGV (CNT-INGV) e di alcune stazioni dell’ETH di Zurigo disponibili grazie alla convenzione tra ETH e INGV, sono stati elaborate tracce sismiche della durata di 1 giorno su cui calcolare le funzioni di cross correlazione per estrarre TDGF dal noise. Lo scopo delle analisi è di valutare la possibilità di estrarre TDGF nella banda di frequenza dei microsismi, i quali provengono da sorgenti distribuite anisotropicamente intorno al Nord Italia (Cap.6). In Fig.7.2 è riportata la mappa delle stazioni di cui erano disponibili i dati in continuo nel corso del 2006, nel Nord Italia. Queste stazioni si trovano tutte in siti su roccia, sull’arco della catena alpina o sugli Appennini. In aggiunta a queste stazioni è stata posta la stazione VAL9 (Cap.4 e Cap.6), per svolgere indagini preliminari sulle proprietà del bacino sedimentario del fiume Po. Fig.7.2 Stazioni disponibili nel corso dell’anno 2006 con registrazioni in continuo. Verdi: CNT-INGV; rosse: ETH Zurigo. VAL9: INGV-MI. I raggi blu e neri indicano le coppie di stazioni selezionate per la cross correlazione. 104 I dati provenienti dalle stazioni CNT sono equipaggiate con strumentazione differente da quelle dell’ETH e di VAL9. Ognuna delle stazioni CNT possiede sensori Trillium 40 (risposta piatta tra 40 s e 50 Hz) collegati ad acquisitori Trident della Nanometrics (www.nanometrics.com); le stazioni dell’ETH di Zurigo sono dotate di sensori Streckeisen STS-2 (risposta piatta tra 120 s e 50 Hz) collegati con acquisitori HRD24 (www.nanometrics.com). La stazione temporanea VAL9 è stata equipaggiata di un sensore Trillium 40 e di un acquisitore Reftek 130. I segnali delle stazioni di CNT-INGV e dell’ETH sono stati acquisiti presso INGV-MI utilizzando una connessione TCP-IP in connessione con la sala sismica di CNT-INGV (vedi Cap.2). La stazione VAL9 ha memorizzato in locale su schede di memoria il segnale continuo. Quindi le due fonti di dati differenti hanno implicato una prima fase di omogeneizzazione del dato, attraverso softwares di conversione dei dati binari grezzi. Inoltre, le differenti strumentazioni impiegate hanno implicato un ulteriore lavoro di conversione dei dati tenendo conto delle caratteristiche strumentali, per poter trasformare le forme d’onda nell’unica unità di misura in velocità (m/s). L’omogeneizzazione dei dati ha contemplato anche l’uniformità del campionamento, poiché le stazioni dell’ETH campionano il segnale a 120 cps, mentre le stazioni CNT-INGV e VAL9 a 100 cps. Quindi, inizialmente, alle tracce di durata 1 giorno sono stati rimossi i trend e la media; per le stazioni dell’ETH è stato eseguito un ricampionamento per portare i segnali a 100 cps; infine tutte le tracce sono state decimate fino ad ottenere un campionamento di 10 cps, per ridurre la quantità di memoria occupata dai file di durata 24 ore, e filtrate tra 0.05 e 2 Hz. Prima di calcolare le NCF del noise, le tracce sono state limitate in ampiezza (clipping) ad una soglia pari a due deviazioni standard dei valori, per eliminare l’influenza dei transienti maggiori che possono influenzare le analisi (Gerstoft et al., 2006). 7.2.2 Stima di una velocità di gruppo media per il settore alpino centrooccidentale I raggi blu e neri in Fig.7.2 individuano le coppie di stazioni utilizzate per calcolare le derivate delle NCF, utilizzate per stimare una velocità di gruppo media (Vg) per il settore alpino centrooccidentale. La selezione delle possibili coppie di stazioni collocate sull’arco alpino, è stata determinata principalmente dal calcolo del rapporto Segnale/Disturbo della derivata dell’NCF. Tale rapporto è ottenuto dividendo il valore di picco dell’inviluppo per il doppio della deviazione standard dei valori della derivata dell’NCF, calcolata nei primi 50 secondi se contenenti solo disturbo (Fig.7.3); una metodologia analoga è descritta in Gerstoft et al. (2006). Per curve con un rapporto segnale disturbo minore di 15 le coppie di stazioni non sono state inserite nell’analisi. Un altro parametro di esclusione è il lag prossimo o uguale a 0, il quale indica l’arrivo contemporaneo di segnale coerente ai due ricevitori, segnale il quale non ha percorso il cammino tra la coppia di stazioni. Fig.7.3 Calcolo del rapporto Segnale/Disturbo per le derivate delle NCF (DNCF). Blu: DNCF della coppia di stazioni MUGIO-MRGE; nero: DNCF della coppia di stazioni MRGE-FUORN. Punto blu-rosso: massimo dell’inviluppo della DNCF di MUGIO-MRGE; punto nero-rosso: massimo dell’inviluppo della DNCF di MRGE-FUORN. Rosso continuo: +2 deviazioni standard dei primo 50 secondi della DNCF di MUGIO-MRGE; rosso tratteggio: - 2 deviazioni standard dei primi 50 secondi della DNCF di MUGIO-MRGE. Il rapporto Segnale/Disturbo(SD) è ottenuto dividendo il massimo dell’inviluppo per il valore di 2 deviazioni standard. SD di MUGIO-MRGE = 16; SD di MRGE-FUORN = 8. 105 Individuando i tempi di arrivo corrispondenti al massimo dell’inviluppo della NCF per ogni coppia di stazioni selezionata, è stata stimata la velocità di gruppo media del settore comprendente la porzione di catena alpina compresa tra le stazioni. In Fig.7.4 sono riassunti i risultati ottenuti, mostrando le derivate delle NCF calcolate: in ascissa si trovano i lag temporali, mentre in ordinata si trovano le distanze tra le coppie di stazioni. All’aumentare della distanza tra le coppie di stazioni, c’è un ritardo sempre maggiore del pacchetto dispersivo di segnale coerente. Ogni traccia in figura corrisponde ad uno stack mensile derivante da derivate delle NCF di singoli giorni. I mesi selezionati sono stati Febbraio o Marzo 2006, a seconda dei dati disponibili. Con i punti rossi e verdi sono stati visualizzati i lag corrispondenti ai massimi degli inviluppi utilizzati per ricavare le Vg di ogni traccia. La Vg media regionale è stata ottenuta con un’interpolazione ortogonale dei tempi di arrivo associati alle distanze tra le coppie di stazioni. La retta rossa in Fig.7.4 rappresenta la travel time di un segnale che si propaga con la velocità media stimata, pari a 2.75 Km/s ± 0.19. Infatti tale retta fitta bene i lag ottenuti (punti rossi e verdi). L’analisi condotta per ottenere una Vg media del settore alpino è stata effettuata seguendo la metodologia descritta in letteratura (Sabra et al., 2005b; Gerstoft et al., 2006), per cui le TDGF sono ottenute dallo stacking di molte derivate delle NCF calcolate per lunghi periodi temporali. Con questo metodo, si elabora tutto il segnale in continuo disponibile, mediando i risultati per far sì che tutto il noise sismico analizzato contenga, in teoria, propagazione di segnale in tutte le direzione. Tra tutto il segnale analizzato, quello coerente ed utile per i risultati è il segnale che attraversa le coppie di ricevitori percorrendo il cammino che li congiunge. Quindi, mediando su lunghi periodi temporali, devono emergere le caratteristiche coerenti di questo tipo di segnale. Per molti percorsi tra quelli individuabili dalle stazioni poste sulle Alpi (Fig.7.1) non sono risultate funzioni NCF utili per le analisi, in quanto esse non hanno raggiunto un buon rapporto Segnale/Disturbo. Questo indica che in alcune direzioni e a certe distanze non si propaga sufficiente segnale coerente da far emergere la TDGF. Le analisi sono state effettuate per la banda di frequenza dei microsismi, i quali, come descritto nel Cap.6, in quest’area sono molto complessi e le sorgenti da cui provengono non sono distribuite omogeneamente nello spazio intorno alle stazioni. Quindi è necessario comprendere quanto le caratteristiche del segnale a bassa frequenza (0.1- 1 Hz) può influire sull’estrazione di TDGF dal noise. Fig.7.4 Stack mensili delle derivate delle NCF per le coppie di stazioni indicate dai raggi blu e neri in Fig.7.1. I punti rossi e verdi indicano i lag corrispondenti ai massimi degli inviluppi. La retta rossa rappresenta la travel-time di un segnale che viaggia ad una velocità pari alla Vg media stimata. 106 Nei paragrafi successivi viene indagata la variabilità delle derivate delle NCF in funzione della presenza dei microsismi nel Nord Italia, andando ad investigare come le TDGF risultanti dagli stacking vengono composte dalle caratteristiche delle singole NCF utilizzate nelle analisi. 7.3 Variabilità delle derivate delle funzioni di cross correlazione che compongono la TDGF A partire dalle considerazioni descritte nel Cap.6, è stata indagata l’influenza dell’eterogeneità spaziale delle sorgenti di microsismi nel Nord Italia sull’estrazione di TDGF dal noise nella banda di frequenza [0.1-1] Hz. Le due direzioni preferenziali di provenienza del segnale microsismico che viene registrato nel Nord Italia puntano verso Nord – Nord Ovest e verso Sud-Sud Ovest, rispetto alle stazioni installate nel settore alpino centrale ed occidentale e al settore appenninico settentrionale. In quanto l’estrazione di TDGF dal noise è applicabile se tra la coppia di stazioni si propaga segnale coerente, sono state scelte tre stazioni geometricamente disposte in modo da ipotizzare il passaggio di segnale microsismico tra le coppie di ricevitori (Fig.7.5). Le due coppie utili per lo scopo dell’indagine sono SALO-BOB, per ricevere segnale microsismico dall’area mediterranea, e SALO-MUGIO, per ricevere segnale microsismico dall’area atlantica. Fig.7.5 Coppie di stazioni selezionate per indagare l’influenza del segnale microsismico sull’estrazione di TDGF dal noise. La coppia SALO-BOB punta in direzione del mar Ligure, una delle aree probabili di generazione di microsismi studiata nel Cap.8. La coppia SALO-MUGIO punta in direzione dell’oceano Atlantico, altra area di possibile generazione di microsismi. La distanza tra le stazioni è paragonabile: 126 Km per SALO-BOB e 120 Km per SALOMUGIO. Inoltre le due coppie hanno un’altra proprietà geometrica: l’angolo tra i due assi è quasi di 90°. Così, il segnale, che si propaga lungo una delle due coppie, percorre un cammino che non è lungo l’asse per l’altra coppia. Quindi, il segnale coerente che percorre un cammino lungo l’asse di una delle due coppie, giungerà contemporaneamente, o quasi, alle due stazioni dell’altra coppia. Alle stazioni della coppia disposta in direzione normale alla propagazione del segnale, potrebbe non giungere segnale coerente se la distanza della sorgente è paragonabile 107 alla distanza tra le stazioni, il che comporta due azimuth di propagazione sorgente-stazione 1 e sorgente-stazione 2 significativamente differente: in questo caso il segnale per raggiungere i due ricevitori percorre cammini sostanzialmente diversi. In Fig. 7.6 e 7.7 sono mostrate tutte le derivate delle NCF utilizzate per comporre lo stack del mese di Marzo 2006 (Fig.7.9), il quale rappresenta la TDGF per la coppia di stazioni. Mediando tutte le derivate delle NCF calcolate su tracce di 24 ore per tutti i giorni del mese (o per i giorni in cui i dati sono disponibili), si ottiene una TDGF che comprende tutti i contributi del segnale elaborato, così come viene proposto nella letteratura recente (Shapiro et al., 2005; Shapiro and Campillo, 2004; Sabra et al. 2005b; Gerstoft et al., 2006). Considerando solo lo stack mensile, che riassume tutte le caratteristiche del noise coerente che passa attraverso i due ricevitori, non si ha una visione delle derivate delle NCF che lo hanno composto. Le Fig.7.6 e 7.7 vogliono proprio evidenziare questa situazione: durante il corso del periodo temporale analizzato (Marzo 2006), le derivate delle NCF calcolate ogni giorno mutano la loro forma e presentano caratteristiche differenti da un giorno all’altro. Solo in alcuni giorni è possibile osservare la riproposizione di forme di cross correlazione simili tra loro. Inoltre, in alcuni giorni le derivate delle NCF non presentano picchi imputabili all’arrivo di segnale coerente. L’ipotesi è che in quei giorni non ci sono sorgenti che propagano sufficiente segnale coerente lungo l’asse congiungente la coppia di stazioni tale da far emergere un picco nelle funzioni di cross correlazione. Fig.7.6 Derivate delle NCF (DNCF) su tracce di durata 24 ore, filtrate tra 0.1 e 2 Hz, per la coppia di stazioni SALOMUGIO. I dati si riferiscono ai giorni di Marzo 2006, indicati in ordinata. 108 Fig.7.7 Derivate delle NCF (DNCF) su tracce di durata 24 ore, filtrate tra 0.1 e 2 Hz, per la coppia di stazioni SALOBOB. I dati si riferiscono ai giorni di Marzo 2006, indicati in ordinata. Nei giorni 4 e 5 Marzo mancano i dati. I dati d’origine sono stati filtrati con un filtro passa-banda tra 0.1 e 2 Hz e quindi possono contenere il segnale trasportato dai microsismi; perciò è utile confrontare la presenza dei microsismi nel periodo d’analisi, in modo da verificare se esiste una corrispondenza tra la variabilità delle derivate delle NCF giornaliere e la presenza di eventi microsismici. Nei giorni di Marzo 2006 l’attività microsismica è sempre molto intensa nella prima metà del mese, per poi attenuarsi relativamente fino al giorno 24 e ritornare intensa negli ultimi giorni del mese (Fig. 7.8). I microsismi si manifestano al di sopra e al di sotto del limite di 0.2 Hz, con una probabile differente provenienza. Le DNCF giornaliere durante i 31 giorni di Marzo 2006 (Fig.7.6 e 7.7) non presentano immediatamente una chiara correlazione con la presenza di microsismi, a meno di considerare i microsismi SPDF e LPDF, i quali, rispettivamente, si manifestano generalmente al di sopra e al di sotto di 0.2 Hz, come descritto nel Cap.6. Così diventa evidente come le derivate delle NCF di SALO-BOB (Fig.7.7) che presentano chiari picchi (dall’1 al 7, dal 9 al13, il 19 e il 29 Marzo) sono concomitanti a microsismi SPDF manifesti sopra 0.2 Hz. Quindi, siccome la coppia SALO-BOB vede il segnale che si propaga da una direzione “mediterranea” e le derivate delle NCF mostrano arrivi a lag positivi (segnale che si propaga da BOB a SALO), i microsismi SPDF, coerentemente alle analisi del Cap.6, provengono dai mari del mediterraneo nord-occidentale. L’unica eccezione nell’analisi riguarda il giorno 6 Marzo, in cui l’evento microsismico scende al di sotto di 0.2 Hz (Fig.7.8), mentre un chiaro segnale coerente 109 attraversa SALO-BOB (Fig.7.7). Il microsisma del 6 Marzo è stato indagato nel Cap.6 con il risultato di abbinarlo ad una provenienza mediterranea, con sorgente probabilmente posta ad Ovest e Sud-Ovest della Sardegna, causato da una forte tempesta che ha generato onde marine alte fino a 7-8 m e che si è spostata fino a lambire le coste tunisine. Il microsisma si propaga fino al 7 Marzo per poi scomparire. I giorni 6 e 7 Marzo, le derivate delle NCF di SALO-BOB (Fig.7.7) mostrano una forma e un tempo di arrivo differente rispetto alle altre derivate delle NCF che mostrano dei picchi di correlazione (giorni dall’1 al 3, dal 9 all’11, il 19 e il 29 Marzo). Una forma simile a quella dei giorni 6 e 7 si osserva il giorno 12 (Fig.7.7), in cui si manifesta ancora una volta un microsisma intorno e sotto la frequenza di 0.2 Hz (Fig.7.8). Il motivo di questo fenomeno è imputabile probabilmente alla direzione di propagazione del segnale che nei due casi differenti è generato in aree sorgenti lontane tra di loro: in un caso la sorgente è nel mar Ligure, nell’altro si trova nel mar Mediterraneo occidentale, tra la Sardegna e la Tunisia (Cap.6). Non conoscendo l’esatta posizione delle sorgente, ma potendone solo ipotizzare la presenza nei mari suddetti, non si può verificare quale delle due direzioni di propagazioni sia più vicina all’azimuth determinato dalla coppia di stazioni SALO-BOB. Infatti, la TDGF che si estrae dal noise deve rappresentare il segnale coerente che attraversa l’asse tra i due ricevitori; un segnale fortemente direzionale, come quello dei microsismi, che si scosta troppo dall’azimuth di tale asse introduce un bias nella TDGF risultante. Questa evidenza può però essere utilizzata per un altro scopo, vista la stabilità delle due diverse forme nei casi presi in esempio nel mese di Marzo 2006 per la coppia SALO-BOB e considerando il fatto che le aree sorgenti di microsismi si generano più o meno sempre nei medesimi luoghi, poiché la posizione della sorgente è dominata dalla batimetria e dalla morfologia delle coste (Cap.5). Assumendo che si osservi in momenti differenti sempre le stesse forme delle derivate delle NCF, e ipotizzando di conoscere l’esatta posizione delle sorgenti microsismiche concomitanti, si può sfruttare tale conoscenza per localizzare immediatamente la posizione della sorgente di un microsisma per il quale emerge una delle forme di cross correlazione già viste in precedenza. Questo potrebbe risultare utile per caratterizzare il segnale di stazioni fisse di una rete sismica. Ritornando alla correlazione tra derivate delle NCF e la presenza di microsismi, in Fig.7.6 e 7.8 si nota come ci sia una discordanza per la coppia SALO-MUGIO, posta perpendicolarmente rispetto all’ipotesi di propagazione del segnale dai mari nord-occidentali del Mediterraneo. Quindi, alla coppia SALO-BOB risultano derivate delle NCF che sono fortemente influenzate dalla presenza dei microsismi che provengono dalla direzione Sud-Ovest rispetto le due stazioni. Nei momenti in cui l’intensità dell’attività microsismica è minore e non sono presenti chiari microsismi sopra 0.2 Hz (dal 14 al 18, dal 20 al 28 Marzo), le derivate delle NCF per SALO-BOB non presentano picchi nella cross-correlazione, ma solo forme senza chiare caratteristiche. Questo accade anche nel caso siano presenti solo microsismi LPDF a più basse frequenze (8 e 30 Marzo) che probabilmente provengono dall’area Atlantica, assunzione rafforzata dal fatto che le derivate delle NCF di SALO-MUGIO in quei due giorni presentano picchi evidenti nella cross correlazione (Fig.7.6). E’ inequivocabile, per la coppia SALO-BOB (Fig.7.7), come dall’1 al 13 Marzo il giorno che non restituisce una buona cross-correlazione sia l’8, unico momento in cui non sono presenti microsismi al di sopra di 0.2 Hz. I risultati della coppia SALO-MUGIO (Fig.7.6), posta in direzione “atlantica”, mostrano cross correlazioni più simili tra loro durante i giorni di analisi, rispetto a quelle osservate per SALOBOB, indicando come l’energia proveniente dalle sorgenti di microsismi genrate nell’oceano Atlantico sia maggiormente persistente rispetto a quello proveniente dall’area mediterranea. Questo indica che i segnali registrati dalle stazioni nel Nord Italia subiscono una maggior influenza delle condizioni meteorologiche locali, le quali con ritmi repentini possono innescare la generazione di microsismi oppure causarne l’assenza. Invece, essendo la massa oceanica dell’Atlantico molto più estesa e soggetta in continuazione a forze esterne, trasferisce in continuazione energia nella crosta terrestre. In ogni caso, anche le derivate delle NCF relative alla coppia SALO-MUGIO subiscono la presenza di intensi microsismi o la loro assenza. Infatti dal giorno 13 al 24 di Marzo, in cui c’è debole attività di microsismi LPDF al di sotto di 0.2 Hz (Fig.7.8), si osservano picchi meno ampi nelle cross correlazioni, con forme meno evidenti. Inoltre, nei giorni 4 e 5 Marzo le derivate delle NCF mostrano i massimi dell’inviluppo con ritardi 110 vicini a lag = 0, mentre intensi microsismi provengono dal mar Ligure (vedi Cap.6). Questo indica che un forte segnale coerente arriva alle stazioni SALO e MUGIO contemporaneamente. Dall’analisi svolta nel mese di Marzo 2006 si deduce che la presenza di microsismi influenza notevolmente le funzioni di cross correlazione, le quali presentano picchi evidenti per la coppia di stazioni poste in modo che l’asse di congiunzione tra le due abbia un azimuth simile alla direzione di propagazione dei microsismi. Fig.7.8 Spettrogramma dei Microsismi registrati alla stazione SALO nel mese di Marzo 2006, utilizzando Power Spectral Density medie su un’ora di segnale, analogamente alle analisi del Cap.6. I giorni in ascissa sono puntati alle ore 00:00 UTC di ogni giorno. 7.4 Variabilità stagionale delle TDGF tra 0.1 e 1 Hz In Fig.7.9 sono visualizzati gli stack mensili per le coppie di stazioni SALO-BOB (blu) e SALOMUGIO (nero), rappresentanti eventuali TDGF estratte dal noise da Gennaio 2006 ad Agosto 2006. Per ogni mese sono stati utilizzati i segnali in continuo di durata 24 ore per comporre la TDGF finale. Le TDGF di ogni singola stazione mostrano tempi di arrivo, individuati dal massimo dell’inviluppi delle curve, molto stabili per la coppia SALO-MUGIO, mentre le curve relative alla coppia SALO-BOB presentano alcune differenze. Confrontando le TDGF mensili tra le due coppie di stazioni, si nota come i tempi di arrivo della coppia SALO-MUGIO anticipano quelli di SALO-BOB. Una giustificazione di questa differenza, avendo le coppie di stazioni una simile distanza, che il segnale percorre due settori geologici differenti. Infatti, mentre per la coppia SALO-MUGIO, il cammino di congiunzione tra le due stazioni passa per le Prealpi Lombarde, un segnale che si propaga dalla stazione BOB alla stazione SALO deve attraversare il bacino sedimentario del fiume Po. Quindi, è ipotizzabile che i differenti ritardi siano causati dalle diverse caratteristiche dei mezzi di propagazione che attraversa il segnale coerente nel caso di una coppia o nel caso dell’altra. Essendo il percorso SALO-MUGIO caratterizzato da substrato roccioso e il percorso SALO-BOB da un mezzo sedimentario, è lecito attendersi velocità maggiori tra SALO-MUGIO rispetto a SALO-BOB. Indipendentemente dal lag che indicano i risultati delle cross correlazioni delle due coppie di stazioni, si vuole analizzare la stabilità della TDGF nel corso delle stagioni, quando le condizioni meteorologiche cambiano significativamente e influenzano il segnale microsismico, il quale poi influenza le analisi di cross correlazione nella banda di frequenza [0.1-1] Hz. Come si nota in Fig.7.9, la stabilità delle TDGF per le due coppie di stazioni è differente. SALOMUGIO presenta stabilità da Gennaio a Luglio, con assenza ad Agosto delle caratteristiche preponderanti osservate in tutto il periodo temporale. Bisogna considerare il fatto che ad Agosto i dati di noise non erano disponibili per tutti i giorni del mese e durante quelli utilizzati erano presenti soprattutto microsismi provenienti dal mar Ligure (non mostrato qui) con 111 condizioni generalmente stabili di alta pressione sopra l’oceano Atlantico. Quindi non è da escludere che considerando tutto il mese di Agosto al completo lo stack delle derivate delle NCF di SALO-MUGIO possa indicare una chiara TDGF simile agli altri mesi. Fig.7.9 Stack mensili ottenuti dalle derivate giornaliere delle NCF. Nero: SALO-MUGIO; blu: SALO-BOB. Al contrario, la stabilità degli stack mensili per SALO-BOB è molto più variabile, con casi chiari solo nei mesi di Febbraio, Marzo ed Agosto. Negli altri mesi, le funzioni di cross correlazione non hanno un buon rapporto Segnale/Disturbo. Essendo SALO-BOB sensibile ai microsismi dei mari settentrionali del Mediterraneo, subisce l’influenza delle condizioni meteo locali indipendenti da quelle dell’area Atlantica. Inoltre è possibile notare come nel mese di Giugno e Luglio, quando è minimo il segnale microsismico (vedi Cap.4), sono evidenti dei picchi nelle funzioni di cross correlazione solo per la coppia SALO-MUGIO. Probabilmente, se si assume che la caratteristica osservata dipende dal fatto che i picchi visibili negli stack mensili sono dovuti al passaggio di segnale lungo l’asse della coppia di stazioni, gran parte dell’energia che si registra nei mesi estivi nella banda di frequenza dei microsismi è generata nell’oceano Atlantico. Nel tal caso, i minimi spettrali delle Probability Density Function (PDF) che vengono registrati nel Nord Italia nei mesi estivi (vedi Cap.4), sono determinati dal segnale proveniente dall’oceano Atlantico, il quale costantemente diffonde energia almeno ad un certo livello. Infatti, nello spettro del noise, il picco Double Frequency (DF, Cap.5) dei microsismi, anche se attenuato rispetto ai mesi invernali, è sempre presente. Inoltre, le Power Spectral Density (PSD) osservate durante lo studio di caratterizzazione del noise sismico (Cap.4 e Cap.6) corrispondenti ai minimi valori spettrali ad ogni sito nell’intervallo di frequenza [0.1-1] Hz, non mostrano picchi DF al di sopra di 0.2-0.25 Hz; questa osservazione rafforza l’idea di una origine atlantica del segnale, composto da microsismi LPDF (vedi Cap.5 e Cap.6), i quali dominano le frequenze tra 0.1 e 0.2 Hz nelle registrazioni sismiche di noise effettuate nel Nord Italia. L’indagine svolta sugli stack mensili delle coppie SALO-MUGIO e SALO-BOB indica ancora come la presenza di microsismi generati in aree differenti influenza notevolmente le funzioni di cross correlazione del noise. L’assenza di intenso segnale microsismico che si propaga da un ricevitore all’altro fa si che le funzioni di cross correlazione risultanti non mostrino chiari picchi su cui calcolare il massimo dell’inviluppo delle funzioni per restituire un tempo d’arrivo di segnale coerente. 112 In definitiva, l’analisi dell’influenza dell’anisotropia del segnale microsismico nel Nord Italia sull’estrazione di TDGF dal noise ha mostrato risultati incoraggianti, ma ha anche evidenziato la necessità di intraprendere future attività di localizzazione delle aree sorgenti dei microsismi. Infatti, conoscendo la posizione della sorgente del segnale è possibile capire se la geometria delle coppie di stazioni è utile per ottenere delle TDGF che rappresentino il segnale coerente che si è propagato da un ricevitore all’altro, piuttosto di un segnale che è giunto ai ricevitori propagandosi con un azimuth molto differente, introducendo del bias nella TDGF. 113 CAPITOLO 8 114 8 RAPPORTO SPETTRALE H/V 8.1 Metodo d’analisi Il metodo del rapporto spettrale H/V è una tecnica sperimentale per valutare alcune caratteristiche dei depositi sedimentari superficiali. Esso, nella pratica, consiste semplicemente nel calcolare il rapporto tra lo spettro della componente orizzontale e la componente verticale del moto. Nogoshi and Igarashi (1971) furono i primi a proporre un metodo a singola stazione basato sull’utilizzo dei microtremori. Tale metodo è conosciuto come Noise Horizontal to Vertical Spectral Ratio (NHVSR) ed è diventato di comune utilizzo solo dopo che Nakamura (1989) lo ha rivisto con lo scopo di darne una spiegazione teorica; da quel momento viene anche nominato “Tecnica di Nakamura”. Gli articoli di stampo orientale ( tra cui Nakamura e Samizo 1989; Nakamura e Takizawa, 1990; Ohmachi et al., 1991; Nakamura et al., 1999) che seguono quella prima pubblicazione sono tutti impostati alla semplice applicazione della tecnica, senza coinvolgere gli aspetti teorici sui quali la tecnica si basa. Inoltre, dopo il terremoto di Guerriero – Michoacàn (Messico) del 1985, venne dato un impulso all’utilizzo dell’NHVSR in quanto fu evidente che le curve ottenute dalle misurazioni di noise erano consistenti con le osservazioni basate su eventi sismici (Bard, 1998). Essendo una tecnica relativamente giovane, sono ancora dibattuti gli aspetti teorici e pratici ad essa connessi per quel che riguarda la valutazione degli effetti di sito. I primi studi pionieristici che tentarono di investigare gli effetti di sito dei terremoti (Kanai et al., 1954; Kanai and Tanaka, 1961) si basavano sull’osservazione degli spettri delle componenti orizzontali dei microtremori; questo approccio assumeva che i moti orizzontali dei microtremori consistono principalmente di onde di taglio incidenti verticalmente per periodi inferiori ad 1 s; inoltre lo spettro incidente è bianco. Quindi, seguendo queste ipotesi, lo spettro dei moti orizzontali dovrebbe rappresentare la funzione di trasferimento dal terreno al sito. Ma questo metodo è stato messo in questione da altri studi che hanno mostrato come i microtremori contengano una consistente parte di onde superficiali (tra gli altri: Aki, 1957; Li et al., 1984; Horike, 1985; Yamanaka et al., 1994). Nogoshi and Igarashi (1971) applicano la normalizzazione dei moti orizzontali attraverso lo spettro verticale del moto con l’intenzione di minimizzare gli effetti di sorgente. Il metodo consiste semplicemente nel calcolare i due spettri orizzontali di un segnale registrato tramite una stazione a tre componenti; i due spettri quindi vengono composti, o attraverso una media geometrica o attraverso la media Root Mean Square (RMS), per ottenere un unico spettro orizzontale, il quale è utilizzato nel rapporto con lo spettro della componente verticale. Seguendo le loro osservazioni, Nogoshi and Igarashi (1971) constatarono una buona corrispondenza tra il massimo dell’NHVSR e le frequenze fondamentali di risonanza delle onde S. In seguito Nakamura (1989) affermò che l’NHVSR fornisce esattamente la funzione di trasferimento per le onde S. Da quel momento, l’utilizzo di NHVSR è stato denominato Tecnica di Nakamura. Per la sua semplicità e i costi ridotti, l’utilizzo della Tecnica di Nakamura dilaga anche tra la comunità scientifica occidentale fin dai primi anni ’90 del XX secolo. L’ampio utilizzo, a fronte di una scarsa conoscenza dei processi fisici che lo regolano, instillano un certo scetticismo tra molti ricercatori; questo spinge l’attenzione verso studi che investigano le basi teoriche del metodo (Field and Jacob, 1993; Nakamura, 1996 and 2000; Bard, 1998; Fäh et al., 2001). In vari articoli viene proposto un modello HVSR utilizzando le onde di Rayleigh (Field and Jacob, 1993, 1995; Lachet e Bard, 1994; Bonilla et al., 1997; Bard, 1998; Konno e Ohmaci, 1998; Athanasopoulos et al., 2000; Liu et al., 2000), seguiti da chi nota discrepanze tra i risultati ottenuti con il metodo HVSR ed altre tecniche (Castro et al., 1997; Raptakis et al. 1998, 2000) proprio dovute all’intervento delle onde di superficie. Essi non sono in linea con chi sostiene che l’HVSR è legato all’arrivo delle onde S e non di superficie o con chi comunque utilizza tali body wave nei modelli di analisi (Lermo e Chàvez-Garcìa, 1993, 1994; Volant et al.1998). La 115 tecnica viene paragonata con i risultati ottenuti dall’analisi di terremoti osservati, utilizzando tecniche diverse tra cui la Standard Spectral Ratio (SSR); essa sfrutta un sito di riferimento per calcolare il rapporto spettrale tra le componenti orizzontali del segnale registrato su sedimenti e su roccia. Vari autori trovano incongruenza nei risultati ottenuti con l’SSR e l’NHVSR, osservando una certa instabilità del valore del fattore di amplificazione (Dravinski et al., 1996; Rovelli et al. 1991; Seekins et al., 1996; Ogawa et al., 1998). Uno sforzo per cercare di mettere un pò d’ordine è stato fatto con il progetto europeo SESAME (2005), in cui una delle attività principali è stata quella di trovare uno standard per la raccolta ed il processing dei dati: sono stati testati diversi sensori sismici, diversi acquisitori, diverse condizioni ambientali, diverse condizioni di installazione dei sensori. Inoltre sono state adottati diversi metodi di analisi del segnale per valutare l’influenza del processing sui risultati. Come uno dei risultati del progetto sono state indicate delle linee guida per applicare correttamente sul campo, seguendo degli standards, la Tecnica di Nakamura. In ogni caso, l’interpretazione teorica della tecnica dell’NHVSR si riduce all’interpretazione di Nakamura, la quale fonda le sue basi sulla presenza delle onde di volume e minimizza l’influenza delle onde di superficie, contro la tesi che lega la curva dell’NHVSR con l’ellitticità delle curve di Rayleigh. Le due diverse interpretazioni verranno descritte nei paragrafi successivi. 8.1.1 Interpretazione di Nakamura dell’NHVSR Nell’interpretazione di Nakamura (1989, 2000) dell’NHVSR, il microtremore è considerato contenere sia onde di Rayleigh sia altri tipi di onde. Gli spettri orizzontale (Hf) e verticale (Vf) registrati alla superficie di un bacino sedimentario (Fig.8.1) sono espressi analiticamente come segue: Hf = Ah * Hb + Hs Vf = Av * Vb + Vs (8.1) dove Ah e Av sono i fattori di amplificazione dei moti orizzontali e verticali delle body waves incidenti verticalmente; Hb e Vb sono gli spettri dei moti orizzontali e verticali registrati sul basamento al di sotto del bacino sedimentario; Hs e Vs sono gli spettri orizzontali e verticali delle onde di Rayleigh. Fig.8.1 Schema della struttura di un bacino sedimentario e dei possibili punti di misura (Nakamura, 2000) I fattori di amplificazione orizzontali (Th) e verticali (Tv) alla superficie del bacino sedimentario, calcolati rispetto ad un riferimento posto sul bedrock (roccia), sono espressi dai seguenti rapporti: Th = Hf / Hb Tv = Vf / Vb (8.2) 116 In ogni strato sedimentario del bacino, la componente verticale non può essere amplificata (Av = 1) intorno all’intervallo di frequenza dove la componente orizzontale subisce grandi amplificazioni. In generale, se non c’è l’effetto delle onde di Rayleigh, allora Vf ≅ Vb. Se avviene che Vf > Vb, si ipotizza l’influenza delle onde di superficie; l’effetto delle onde di Rayleigh è stimato in relazione a Tv, perciò l’amplificazione orizzontale (Th*) in definitiva può essere scritta Th* = Th / Tv = (Hf / Hb) / (Vf / Vb) = (Hf / Vf) / (Hb/Vb) = NHVSR / (Hb/Vb) (8.3) Riprendendo la definizione di NHVSR NHVSR = Hf / Vf = (Ah * Hb + Hs) / (Av * Vb + Vs) = = (Hb / Vb) * [Ah + (Hs/Hb)] / [Av + (Vs/Vb)] (8.4) si ottiene l’uguaglianza Th* = [Ah + (Hs/Hb)] / [Av + (Vs/Vb)] (8.5) Al basamento del bacino, (Hb / Vb) ≅ 1; (Hs/Hb) e (Vs/Vb) sono associati all’energia delle onde di Rayleigh. Se non c’è influenza delle onde di Rayleigh, NHVSR = Ah / Av. Se l’ammontare delle Rayleigh è alto allora il secondo termine dell’equazioni (8.4) e (8.5) diventa dominante e NHVSR = Hs / Vs (ossia corrisponde all’ellitticità delle onde di Rayleigh); in entrambi i casi la frequenza del picco di NHVSR è uguale alla frequenza propria Fo di Ah, poiché nel range di Fo si ha Av = 1, e tale frequenza risulta stabile. Inoltre, se i microtremori Vb al basamento sono elevati rispetto alle onde di Rayleigh, allora NHVSR = Ah. In breve, l’NHVSR rappresenta il primo ordine della frequenza propria Fo, dovuta alla riflessione multipla delle onde SH negli strati superficiali, e il fattore di amplificazione, in dipendenza del grado di influenza delle onde di Rayleigh. Infine, un altro fattore che interviene nell’identificazione del picco di amplificazione è il contrasto di impedenza tra il basamento e gli strati sedimentari del bacino dato dal rapporto dei prodotti tra velocità di fase e densità dei mezzi considerati. Come si nota in Fig.8.2, al variare del contrasto di impedenza varia l’influenza delle onde di Rayleigh, poiché se esso è minore di un fattore circa 2.5, l’energia delle Rayleigh si distribuisce su frequenze prossime alla frequenza fondamentale. Ciò vuol dire che la componente verticale non si annulla più intorno a Fo e quindi modifica il valore del fattore di amplificazione. a) b) c) Fig.8.2 a) curve teoriche di ellittictà delle onde di Rayleigh per diversi contrasti di impedenza; b) velocità teoriche di gruppo delle onde di Rayleigh per diversi contrasti di impedenza; c) relazione tra il contrasto di impedenza e le caratteristiche delle onde di Rayleigh. Cs = velocità di fase; h = profondità del pacchetto sedimentario. Il contrasto di impedenza in a) e b) varia da 1.2 (arancione) 4.5 (verde). (Da Nakamura, 2000) 117 8.1.2 Interpretazione dell’NHVSR secondo l’ellitticità delle onde di Rayleigh. Seguendo le indicazioni ottenute dagli studi sul noise sismico ambientale (Cap.3), è chiaro che le onde superficiali abbiano una parte determinante nel determinare la natura del noise. Inoltre, evidenze empiriche mostrano che le onde superficiali sono la fase maggiormente coerente nel noise sismico. Di conseguenza e come ulteriore dimostrazione, dai microtremori è possibile estrarre le curve di dispersione delle onde superficiali, proprio perché esse sono più coerenti di altre fasi (Picozzi, 2005). Bard (1998) individua una serie di lavori che concordano con la relazione tra NHVSR e ellitticità delle onde di Rayleigh (tra gli altri: Nogoshi and Igarashi, 1971; Lachet and Bard, 1994; Tokimatsu, 1997; Konno and Ohmachi, 1998; Fäh et al., 2001). La relazione è giustificata dalla considerazione che le onde di Rayleigh sono energetiche preferenzialmente sulla componente verticale dei microtremori. Una delle caratteristiche principali delle curve teoriche dell’ellitticità delle onde di Rayleigh è la loro dipendenza dalla frequenza. La forma è quella data da picchi e valli a varie frequenze, dati dall’alternanza dell’evanescenza della componente verticale e orizzontale alternativamente. Konno and Ohmachi (1998) mostrano una spiegazione del particle motion del modo fondamentale delle onde di Rayleigh, nel solo caso di due strati (roccia e sedimenti) con diverse combinazioni di contrasto di impedenza (basso, appena alto, alto). Dalla loro simulazione (Fig. 8.3) si osserva come per un basso contrasto di impedenza, l’orbita del moto è retrograda ad ogni frequenza. Con un contrasto di circa 2.5 (appena alto) il moto diventa successivamente retrogrado, solo verticale, progrado e nuovamente solo verticale. Con alti contrasti di impedenza si realizza l’evanenescenza della componente verticale, permettendo il solo moto orizzontale; così l’orbita risultante, partendo dai corti periodi verso i più lunghi, è successivamente retrograda, solo verticale, prograda, solo orizzontale e nuovamente retrograda. Fig.8.3 Particle motion di tre tipi di modi fondamentali delle onde di Rayleigh per un modello semplice a due strati (da Konno and Ohmachi, 1998). Immagine tratta da Picozzi (2005). Questo modello vale solo nel caso di due strati omogenei, ma nei casi reali, in cui la struttura non è omogenea e elastica, la particle motion delle onde di Rayleigh si presenta con caratteristiche molto più complesse. L’ellitticità delle onde di Rayleigh è il rapporto degli spostamenti orizzontali su quelli verticali alla superficie del suolo. Nel caso di onde di Rayleigh che si propagano in un semi spazio infinito, l’ellitticità alla superficie è indipendente dalla frequenza e dipende unicamente dalla velocità delle onde P ed S (Ben-Menahem et Singh, 1981); inoltre, nello stesso caso, la velocità di fase delle onde di Rayleigh è inferiore a quella delle onde P ed S. Il movimento avviene con uno sfasamento di π/2 tra il movimento sulla lungo la componente orizzontale e 118 quella verticale; l’ellitticità del moto avviene in senso retrogrado rispetto alla direzione di propagazione, ad ogni frequenza. Nel caso di strutture a strati, la complicata descrizione analitica dell’ellitticità delle onde di Rayleigh è descritta in Malichewsky et Scherbaum (2004). In tal caso il particle motion dipende dalla frequenza, così come la velocità di fase, e può essere sia retrogrado che progrado, in relazione alle caratteristiche del mezzo di propagazione (Tokimatsu, 1997; Konno et Ohmachi, 1998; Malischewsky et Scherbaum, 2004). In Bonnefoy-Claudet (2004) viene mostrato il comportamento dell’elliticità del modo fondamentale delle onde di Rayleigh che si propagano in un mezzo composto da uno strato sedimentario su un semi spazio rigido: al variare del contrasto di impedenza delle onde S, cambia il comportamento dell’ellitticità (Fig.9.4). Per strutture con un basso contrasto di impedenza, il comportamento è duplice: per contrasti < 2.5 si osserva un comportamento simile a quello su semi spazio infinito; con contrasto uguale a 2.5, si ha movimento puramente orizzontale a due frequenze F1 ed F2, movimento retrogrado tra tali due frequenze e progrado alle altre frequenze. Per strutture ad alto contrasto di impedenza, il movimento è puramente orizzontale alla frequenza F1 e puramente verticale alla frequenza F2 (F1< F2); tra le due frequenze il movimento è progrado, mentre è retrogrado per le altre frequenze. La singolarità del puro movimento orizzontale avviene ad una frequenza particolare (la frequenza di risonanza dello strato), pari ad uno spessore dello strato sedimentario corrispondente ad un quarto della velocità delle onde S. Fig.8.4 Ellitticità del modo fondamentale delle onde di Rayleigh calcolato nel caso di uno strato sedimentario su roccia per differenti contrasti delle onde S : 1) contrasto debole (type 1); 2) forte contrasto (Type 3). Negli esempi, lo spessore dello strato sedimentario è tale da ottenere una frequenza di risonanza pari a 2 Hz. (immagine tratta da Bonnefois-Claudette, 2005). Un altro fattore che influenza la curva di ellitticità di Rayleigh è il coefficiente di Poisson. Sempre nel caso di uno strato sedimentario su semi spazio rigido, qualunque sia il valore del coefficiente di Poisson, la curva dell’ellitticità di Rayleigh non presenta picchi per contrasti di impedenza inferiori a 3; per più alti contrasti di impedenza, il coefficiente di Poisson ha l’effetto di avvicinare la frequenza del picco dell’ellitticità di Rayleigh alla frequenza del picco della funzione di trasferimento 1D, ottenuta per onde SH incidenti verticalmente: lo scarto tra le due frequenze è tanto minore all’aumentare del coefficiente di Poisson (Bonnefoy-Claudet, 2004). 119 8.2 Rapporto H/V, funzione di trasferimento delle onde SH e ellitticità delle onde di Rayleigh. La stabilità del picco ottenuto con la tecnica di Nakamura, sia in frequenza che in ampiezza, è l’argomento più dibattuto, in quanto i risultati empirici spesso non riescono ad essere interpretati confrontandoli con le informazioni che si hanno sulle strutture geologiche superficiali. Spesso si cade nell’errore di voler spiegare in maniera univoca l’origine di tale picco. Ma come alcuni esempi (Bonnefoy-Claudet, 2004), ottenuti da simulazioni con noise sintetico, inducono a riflettere, nei casi reali le situazioni schematizzabili attraverso modelli si confondono e mischiano facilmente. In dipendenza del contrasto di impedenza delle onde S tra due strati, il picco H/V può corrispondere o meno al picco ottenuto dall’ellitticità delle onde di Rayleigh, mentre è sempre corrispondente al picco della funzione di trasferimento delle onde SH, anche se in ampiezza l’NHVSR sovrastima il valore sistematicamente (Bonnefoy-Claudet, 2004). Come si può notare (Fig.8.5), per alti contrasti di impedenza (ed un alto valore del coefficiente di Poisson), il picco della funzione di trasferimento e quello dell’ellitticità di Rayleigh praticamente coincidono ed oltretutto l’ampiezza del picco dell’NHVSR è maggiore che nel caso a minor contrasto. Per un contrasto debole, il moto di Rayleigh non presenta picchi e l’NHVSR corrisponde unicamente al picco della funzione di trasferimento anche se sovrastimato in ampiezza. Per contrasti moderati, la frequenza del picco di Rayleigh non corrisponde a quello della funzione di trasferimento, mentre quest’ultimo è ricalcato in frequenza dal picco dell’NHVSR. Se al caso del forte contrasto di impedenza sopra esposto, si inserisce nell’analisi un basso valore del coefficiente di Poisson, si ottiene un picco dell’NHVSR molto più ampio del precedente (Bonnefoy-Claudet, 2004). Quindi, quale sia il contrasto di impedenza o il coefficiente di Poisson, l’NHVSR rappresenta comunque una buona stima della frequenza di risonanza dello strato sedimentario, ma il picco della curva non può sempre essere spiegato con l’ellitticità delle onde di Rayleigh (BonnefoyClaudet, 2004). Simili risultati sono stati ottenuti, sempre in Bonnefoy-Claudet (2004), scegliendo un modello con strato sedimentario avente un gradiente di velocità al suo interno ed un contrasto di impedenza forte tra la superficie ed il substrato. Se il gradiente è nullo o basso, il caso diventa simile al precedente, con l’NHVSR che fornisce sempre una buona stima della frequenza di risonanza e può essere spiegato con l’ellitticità delle onde di Rayleigh. Con un elevato gradiente di velocità, ci si avvicina al caso di minor contrasto di impedenza e si cade nella situazione in cui il picco dell’NHVSR non può essere spiegato con l’ellitticità di Rayleigh. Inoltre si riscontra come in tutti i casi di diverso gradiente, la frequenza del picco NHVSR non si scosta mai oltre il 20% della frequenza della funzione di trasferimento. 120 Figure 8.5 Ellitticità del modo fondamentale delle onde di Rayleigh, funzione di trasferimento (calcolata per le onde SH incidenti verticalmente), e rapporti spettrali osservati per differenti contrasti d’impedenza tra i sedimenti e la roccia (caso di un solo strato sedimentario): a) contrasto debole pari a 2; b) contrasto debole pari a 2.5; c) contrasto moderato pari a 4; d) forte contrasto pari a 5. Immagine tratta da Bonnefoy-Claudet (2004) 121 CAPITOLO 9 122 9 APPLICAZIONE DEI RAPPORTI SPETTRALI H/V AI MICROSISMI REGISTRATI IN UN BACINO SEDIMENTARIO PROFONDO: IL CASO DI GUBBIO Nel presente capitolo, le conoscenze acquisite sulla natura del noise sismico sono utilizzate per investigare l’applicabilità della tecnica del rapporto spettrale H/V (Tecnica di Nakamura, Cap.8) per caratterizzare gli effetti di sito in bacini profondi, per i quali sono attese frequenze di risonanza < 1 Hz. Inoltre, in questo capitolo, sono analizzate in dettaglio le condizioni sperimentali che caratterizzano le campagne di misura di noise. La compattazione di strati di sedimenti profondi crea profili di velocità delle onde di taglio che presentano spesso un graduale aumento della velocità con l’aumentare della profondità, senza che si possa ipotizzare a priori un forte contrasto di impedenza all’interfaccia substratosedimenti. Inoltre, la geometria e le dimensioni di un bacino sedimentario profondo, possono determinare la formazione di onde superficiali indotte che possono contenere i modi fondamentali delle onde di Rayleigh o Love , nonchè i loro modi superiori. La complessità delle condizioni geologiche costituite dalla presenza di sedimenti profondi non permette di schematizzare con semplicità i casi di studio e quindi i confronti diretti tra i risultati della Tecnica di Nakamura con modelli sintetici (Paragrafo 9.2) non sono sempre sufficienti per poter spiegare la natura del picco H/V. Poichè la frequenza di risonanza di uno strato monodimensionale è inversamente proporzionale al suo spessore, gli intervalli di frequenza che si vanno ad indagare per spessori dell’ordine di centinaia di metri possono essere quelli relativi ai microsismi (0.1-1 Hz). Quindi, lo studio della variabilità dei microsismi (Cap.4 e Cap.6) è utile per capire quali siano le caratteristiche del segnale che si elabora durante l’applicazione della tecnica del rapporto spettrale H/V. In generale, le campagne di microtremore, che hanno lo scopo di valutare le frequenze di risonanza dei sedimenti con la Tecnica di Nakamura, vengono effettuate con strumentazione sismica portatile, utile e comoda per misure speditive. Spesso, sono utilizzati sensori velocimetrici a corto periodo (short period), con risposta piatta a frequenze relativamente alte, i quali sono quelli meno sensibili al trasporto ed agli spostamenti dovuti alle frequenti e temporanee installazioni. Quando invece si utilizzano sensori con corner frequency minori è necessaria una maggiore cura nelle installazioni e nel posizionamento della strumentazione, per far sì che la massa del sensore vada in equilibrio e possa registrare il segnale correttamente. Alcuni di questi sensori sono il Lennartz 5 sec e il Trillium 40, i quali hanno corner frequency rispettivamente pari a 0.2 Hz e 40 secondi, come descritto nella Fig.2.1 del Cap.2. Nell’esempio di Fig.9.1 è mostrata la curva del rapporto spettrale H/V da noise, ottenuto con una registrazione di circa un quarto d’ora, effettuata con un sensore Lennartz 5 sec, in un sito posto sulla superficie di un bacino sedimentario; la misura fa parte di una campagna di microtremori per cui la strumentazione è stata ripetutamente spostata ed installata in una sola giornata. La breve durata della registrazione non ha permesso che il sensore si stabilizzasse una volta alimentato, così da compromettere il calcolo della curva del rapporto spettrale H/V, la quale, in questo caso, non è interpretabile, vista la grande dispersione dei risultati. I sensori a lungo periodo sono ancor più sensibili e l’installazione speditiva in ambinete aperto può essere problematica per la qualità delle misure. Infatti, la stabilizzazione del sensore può durare anche alcune ore (Fig.9.2), non permettendo di eseguire molte misure in breve tempo. Inoltre, i sensori broad band a bassa frequenza risentono molto delle condizioni di temperatura e pressione atmosferica; essi devono essere collocati preferenzialmente in ambienti chiusi e protetti da forti sbalzi delle condizioni ambientali. Analizzando delle frequenze al di sotto della corner freqeuncy del sensore, è necessario verificare in quale banda il segnale registrato è ancora una corretta rappresentazione del moto del suolo. Infatti, al di fuori della risposta piatta del sensore, il segnale è attenuato secondo una curva la cui pendenza, in genere, per i sensori velocimetrici è pari a ω2, dove ω = 2 π f è la frequenza angolare e f è la frequenza. Quindi il 123 sensore attenuarà il segnale registrato fino al punto che il valore del segnale raggiungerà quello del noise strumentale interno. In questo capitolo viene riportato un esempio di come condizioni sperimentali differenti, determinate dal segnale registrato e dalla strumentazione sismica impiegata, influenzano i risultati delle analisi quando si applica la tecnica del rapporto spettrale H/V in bacini sedimentari profondi. L’indagine svolta riguarda la stabilità del picco H/V nel tempo, utilizzando segnali registrati in continuo e considerando la banda di freqeunza dei microsismi (0.1-1 Hz). Fig.9.1 Esempio di curva H/V ottenuta con una registrazione speditiva di circa ¼ d’ora con un sensore Lennartz 5 sec. Rosso: media dell’H/V; blu: 1 deviazione standard dell’H/V. In ascissa ci sono le frequenze ed in ordinata il valore del rapporto H/V. Fig.9.2 Prime 10 ore di registrazione della componente verticale della stazione VAL9 (Cap.4), in cui si vede la stabilizzazione del sensore. Il segnale è stato acquisito con un sensore broad band Trillium 40 (vedi Cap.2) ed un acquisitore Reftek 130. I dati utilizzati sono stati prelevati dal Data Set raccolto nell’ambito del progetto S3 “Scenari di scuotimento e di danno atteso in aree di interesse prioritario e/o strategico”, istituito tramite la convezione 2004-2006 tra il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Durante il progetto, sono state installate alcune stazioni sismiche velocimetriche nella Piana di Gubbio (PG), per la valutazione della risposta sismica locale sulla superficie del bacino sedimentario. In particolare, il personale del GeoForschungsZentrum (GFZ) di Potsdam (Germania) ha posizionato una decina di stazioni 124 lungo l’asse trasversale NO-SE del bacino sedimentario (Fig.9.3); il segnale acquisito in continuo ricopre un intervallo temporale che va da Giugno a dicembre del 2005. Per tutta la durata dell’esperimento, i sensori impiegati nei vari siti sono i Mark L4 3D (vedi paragrafo 2.2), aventi una risposta piatta per freqeunze maggiori di 1 Hz. Per acquisire il segnale sono stati impiegati in un primo periodo dei registratori Analogico/Digitali (A/D) del tipo Reftek 72A, mentre in un secondo momento gli Earthquake Data Logger PR6-24(EDL); entrambi i registratori possiedono dinamiche a 24 bit. Poiché di particolare interesse è l’utilizzo dei microsismi per la valutazione degli effetti di amplificazione locali nell’intervallo di frequenze [0.1-1] Hz, nel presente lavoro sono state analizzati i segnali registrati da 4 stazioni del transetto installato dal GFZ. I codici delle stazioni selezionate sono GU00, GU07, GU09 e GU10 (Fig.9.3). Due stazioni, GU07 e GU09, sono state installate sulla superficie del bacino sedimentario; esse sono state selezionate nel presente lavoro perché i siti corrispondenti presentano frequenze di risonananza, rappresentanti la colonna monodimensionale al di sotto delle stazioni, comprese tra 0.1 e 0.4 Hz per la stazione GU07 e tra 0.4 e 0.8 Hz per la stazione GU09; queste indicazioni derivano da un lavoro precedente (Cara et al., 2006), svolto all’interno del progetto, in cui sono stati elaborati i dati relativi a registrazioni di terremoti. Quindi, queste stazioni sono utili per indagare la stabilità del picco H/V, stimato da registrazioni di noise sismico, in corrispondenza di un intervallo di frequenze inferiore alla corner frequency del sensore utilizzato (< 1 Hz). In particolare, l’analisi della stabilità temporale dei risultati è indagata per valutare le potenzialità della strumentazione, utilizzata per valutare gli effetti di sito a frequenze < 1 Hz. Fig.9.3 Collocazione delle stazioni del transetto installato dal GFZ (triangoli blu). In rosso sono evidenziate le stazioni selezionate nel presente lavoro: GU00, GU07, GU09 e GU10. La mappa di sfondo e la disposizione delle stazioni è stata tratta da Cara et al. (2006). Per i dettagli sulle formazioni geologiche vedi il Cap.1. 125 Per avere un riferimento riguardo agli effetti di amplificazione che si osservano all’interno del bacino sedimentario, sono state selezionate le altre due stazioni (GU00 e GU10), installate su affioramenti rocciosi alle due estremità laterali del bacino. GU00 è stata considerata la stazione di riferimento in Cara et al. (2006), mentre GU10 è stata selezionata per la relativa vicinanza alle stazioni GU07 e GU09. Per poter indagare la stabilità temporale del picco H/V nella banda di frequenza dei microsismi (0.1-1 Hz), i rapporti H/V sono stati calcolati per periodi temporali in cui il contenuto del segnale differiva significativamente. Quindi è stato utile ricorrere alle analisi condotte sui microsismi nel Nord Italia (Cap.4 e Cap.6), considerando i segnali registrati nel corso del 2005, quando erano attive le stazioni del transetto nella Piana di Gubbio. A questo proposito, erano disponibili le analisi effettuate sul segnale registrato dalla stazione MAR2 (Cap.4 e Cap.6), posizionata al centro del Nord Italia (Cap.1). In Fig.9.4 sono visualizzate le Power Density Function (PSD) normalizzate rispetto la media della Probability Density Function (PDF), calcolate per i segnali di durata 2 minuti, acquisiti 2 volte al giorno, in ore diurne ed in ore notturne, dal 1 giugno al 31 dicembre 2005. 1 2 Fig.9.4 PSD, normalizzate rispetto alla media della PDF, delle tre componenti (EW, NS, VT) della stazione MAR2 dall’1 Giugno al 31 Dicembre 2005. Con i rettangoli rossi sono evidenziati gli intervalli temporali selezionati per le analisi: 1) debole attività microsismica; 2) intensa attività microsismica. Sono stati selezionati due intervalli temporali d’analisi, caratterizzati da diversa attività microsismica. Il periodo 1, comprendente i giorni dal 12 al 16 luglio 2005, è caratterizzato da una debole attività microsismica e contiene uno dei momenti in cui il segnale registrato assume i valori minimi nella banda di frequenza [0.1-1] Hz, per l’intervallo temporale considerato (1 Giugno-31 Dicembre 2005). Il periodo 2, comprendente i giorni dal 29 Novembre al 5 dicembre 2005, è caratterizzato da un’intensa attività microsismica, la quale risulta variabile nel corso di questo intervallo temporale. I livelli spettrali tra il primo ed il secondo periodo di analisi raggiungono anche i 30 dB di scarto, indicando la differente condizione sperimentale in cui si opera. 126 9.1 Processing del segnale acquisito in continuo Le stazioni sismiche installate sulla Piana di Gubbio hanno registrato in continuo. Il segnale relativo ai due periodi di analisi scelti è stato estratto dal Data Set, archiviando i dati in file binari della durata di 1 ora. Per ogni file da 1 ora, sono state calcolate 6 PSD medie su 10 minuti di segnale, utilizzando finestre mobili di 240 secondi, con ricoprimento del 75%. Ad ogni finestra di analisi è stato rimosso l’off-set ed il trend, è stato applicato un tapering coseno del 10 %. I parametri per calcolare la PSD sono quelli descritti nel Cap.3. Quindi, per ogni giorno di analisi e per ogni componente del segnale (Verticale VT, Nord-Sud NS, Est-Ovest EW) sono state calcolate 144 PSD medie. In totale, per il primo periodo di analisi (12 - 16 Luglio 2005), sono state calcolate 2160 PSD (720 per componente), mentre per il secondo periodo (29 Novembre - 5 Dicembre 2005) sono state calcolate 3024 PSD (1008 per componente). Per il calcolo della PSD ogni segnale è stato corretto per la risposta strumentale, utilizzando i parametri forniti dal personale del GFZ di Potsdam (Germania), come descritto nel Deliverable D26 del Progetto DPC-INGV S3 (http://esse3.mi.ingv.it/S3_TASK6.html). Sono state applicate le curve di risposta ottenute dai poli e zeri relative ad ogni singola componente, comprendendo la costante di generazione (output sensitivity) del sensore e quella dell’acquisitore (input sensitivity). Infine, per ogni terna di PSD medie su 10 minuti, corrispondente alle tre componenti del segnale, sono stati calcolati i seguenti rapporti spettrali: EW/VT, come il rapporto tra la componente Est-Ovest e la componente Verticale; NS/VT, come il rapporto tra la componente Nord-Sud e la componente Verticale; HH/VT, come il rapporto tra la composizione vettoriale delle componenti orizzontali e la componente Verticale. La composizione vettoriale HH delle componenti orizzontali è stata calcolata come: HH = NS 2 + EW 2 2 (9.1) L’elaborazione descritta ha permesso di rappresentare le caratteristiche spettrali del segnale nel tempo. In questo modo, seguendo il contenuto del segnale in continuo, è stato possibile indagare la stabilità del picco H/V, come viene mostrato nei paragrafi seguenti. 9.2 Stabilità del Rapporto Spettrale H/V nel tempo La stabilità del rapporto spettrale H/V è stata indagata su rapporti calcolati ogni 10 minuti di segnale (paragrafo 9.1), in entrambi i periodi selezionati (12-16 Luglio e 29 Novembre – 5 Dicembre 2005). Per ognuna delle quattro stazioni scelte (GU00, GU09, GU07 e GU10) sono stati composti gli spettrogrammi di ogni componente del segnale, costituiti dalle 720 PSD del primo periodo e dalle 1008 PSD del secondo periodo, con accanto i corrispondenti rapporti spettrali (Fig.9.5, Fig.9.6, Fig.9.8, Fig.9.9). Gli spettrogrammi delle PSD mostrano l’evoluzione nel tempo del segnale microsismico, evidenziando come nel primo periodo l’attività microsismica è debole e caratterizzata da un solo evento microsismico tra il giorno giuliano 192 e 193 del 2005 (corrispondenti al 12 e 13 Luglio). Dopo tale evento, il segnale tra 0.2 e 1 Hz non mostra particolari picchi spettrali, manifestando bassi valori sulle tre componenti fino alla fine del primo periodo di analisi. L’unica caratteristica spettrale che risalta nella parte finale del primo periodo è quella che appare il giorno 195 (15 Luglio), in cui si nota una barra verticale indicante alti valori spettrali su tutta la banda di frequenza rispetto ai valori medi del noise di quel giorno. Tale fenomeno è associabile al passaggio delle fasi di un terremoto di magnitudo locale 4.4, localizzato nella zona di Forlì (dal bollettino sismico del Centro Nazionale Terremoti CNT-INGV, www.ingv.it). 127 Nel secondo periodo di analisi gli spettrogrammi delle PSD (Fig.9.5, Fig.9.6, Fig.9.8, Fig.9.9) mostrano un’intensa attività microsismica persistente in tutto il periodo. In particolare, si distinguono tre eventi microsismici che si sviluppano a frequenze differenti. Nei giorni dal 333 al 335 del 2005 (29, 30 Novembre e 1 Dicembre) il segnale è dominato da microsismi contenuti tra 0.3 e 0.6 Hz. Il giorno 337, invece, un intenso microsisma ha una frequenza dominante intorno a 0.2 Hz. Quindi, in questo secondo periodo di analisi, i livelli spettrali del segnale rimangono alti, in confronto al primo periodo. Oltre ai microsismi, durante il giorno 336 (2 Dicembre) e il giorno 339 (5 Dicembre) gli spettrogrammi mostrano alti valori spettrali che mostrano una dispersione dalle alte alle basse frequenze, della durata di circa un’ora o due. In corrispondenza di questi fenomeni, la rete di monitoraggio del CNT-INGV ha rilevato due telesismi, entrambi di magnitudo 6.3. Quindi, la dispersione in frequenza dei valori spettrali osservati è dovuta al passaggio delle onde superficiali dei telesismi registrati. 9.2.1 PSD e Rapporti Spettrali H/V alle stazioni su roccia In Fig.9.5 e 9.6 sono mostrati rispettivamente gli spettrogrammi relativi alle stazioni GU00 e GU10, poste su roccia, oltre i bordi laterali del bacino sedimentario. La stazione GU00 durante il periodo 1 non era attiva. Considerando solo il secondo periodo di analisi, alle due stazioni i valori spettrali delle PSD sono paragonabili, indicando come i microsismi registrati sul substrato non sono amplificati da un margine all’altro del bacino, pur essendo posti su due rocce di diverso tipo (Cap.1). Sia nel periodo 1, durante il quale l’attività microsismica è debole (Fig.9.6, in alto a sinistra), sia nel periodo 2, durante il quale l’attività microsismica è intensa (Fig.9.5 e fig.9.6, in basso a destra), i rapporti spettrali H/V non presentano chiari picchi e sono sostanzialmente piatte. Solo in alcuni momenti, il valore del rapporto H/V supera l’unità, ma rimane comunque al di sotto di un fattore 2. Infatti, come si può notare soprattutto nella Fig.9.6 nei riquadri a sinistra, in corrispondenza di eventi microsismici manifesti nelle PSD, i rapporti spettrali H/V subiscono leggere variazioni in ampiezza, alle frequenze dominate dai microsismi correnti. Questo fenomeno non è ben chiaro in letteratura, ma è ipotizzabile che, assumendo i microsismi come composti da onde di Rayleigh, il modo fondamentale di vibrazione venga contaminato dai modi superiori (Tanimoto et al.,2006), influendo sull’ampiezza del rapporto spettrale H/V. In ogni caso, come ci si aspetta, le stazioni poste su roccia non presentano picchi del rapporto spettrale (Fig.9.7) nel range di frequenza 0.1-1 Hz imputabili ad una risonanza del sottosuolo. Nel periodo 2, i rapporti spettrali H/V delle stazioni GU00 e GU10 mostrano dei picchi al di sotto di 0.2 Hz, ma solamente nei giorni 333, 336, 337 e 338. I picchi non sono persistenti nel tempo, ma appaiono incostantemente solo in alcuni momenti. Inoltre, questa caratteristica è molto più visibile alla stazione GU10, le cui PSD (Fig.9.6, sinistra) mostrano forti disturbi negli stessi giorni in cui compaiono i picchi H/V. Le basse frequnze alle quali si mostrano tali disturbi e la diversa intensità del fenomeno alle due stazioni, fa presumere che le brusche variazioni nei valori spettrali delle PSD siano dati dalle condizioni meteorologiche locali instabili, considerando che il periodo 2 è stato scelto nella stagione invernale. L’installazione delle stazioni, anche se avvenuta in ambiente chiuso, probabilemnte non ha permesso un riparo completo dalle perturbazioni di pressione e temperatura atmosferiche. Un altro fattore, sempre legato alle condizioni meteo, potrebbe essere il tilt del sensore al passaggio di intensi segnali a bassa frequenze, nella banda delle infragravity waves (< 0.1 Hz) (Webb, 1998), dovute alle condizioni perturbate sui mari, determinate da pressione e temperatura atmosferiche. Il tilt del sensore è riconducibile al fatto che l’effetto di disturbo rilevato è riscontrato fortemente sulle componenti orizzontali, mentre è quasi impercettibile sulle componenti verticali del segnale (Fig.9.5 e Fig.9.6, sinistra in basso). 128 Fig.9.5 Stazione GU00. Sinistra: PSD del periodo 2; destra: Rapporti H/V del periodo 2. 129 Fig.9.6 Stazione GU10. Alto-sinistra: PSD del periodo 1; alto-destra: Rapporti H/V del periodo 1. Basso-sinistra: PSD del periodo 2; basso-destra: Rapporti H/V del periodo 2. 130 Fig.9.7 Medie e deviazioni standard dei rapporti spettrali H/V alla stazione GU00 (sinistra) e GU10 (destra), calcolati nei due singoli periodi di analisi (alto: periodo 1; basso: periodo 2). 9.2.2 PSD e Rapporti Spettrali H/V alle stazioni sui sedimenti Alle stazioni GU09 e GU07, installate sulla superficie dei sedimenti della Piana di Gubbio, ci si aspetta un picco dei rapporti spettrali H/V a bassa frequenza, come osservato nel precedente lavoro di Cara et al. (2006) dall’analisi di dati di terremoti negli stessi siti. I risultati relativi alla stabilità dei rapporti spettrali ottenuti dalle registrazioni in continuo di noise alle stazioni GU09 e GU07, sono presentati in Fig.9.8 e Fig.9.9, insieme agli spettrogrammi ottenuti dalle PSD. Confrontando gli spettrogrammi delle stazioni GU09 e GU07 rispetto a quelli in Fig.9.5 e Fig.9.6 delle stazioni poste su roccia (GU00 e GU10), si nota che per ogni componente i segnali corrispondenti agli eventi microsismici sono amplificati nelle stazioni sui sedimenti, in quanto mostrano valori delle PSD più elevati. Questo accade in entrambi i periodi di analisi, indipendentemente dal contenuto del segnale e dai livelli spettrali delle PSD. Inoltre è evidente l’amplificazione delle componenti orizzontali rispetto alla componente verticale delle due stazioni GU09 e GU07. Quindi esiste un’amplificazione sia tra le stazioni poste su roccia al di fuori del bacino e quelle poste sulla superficie dei sedimenti, sia tra le componenti orizzontali e verticali di una singola stazione posta sui sedimenti. Una stima dell’amplificazione delle componenti orizzontali rispetto alla componente verticale, è mostrata nei riquadri relativi ai rapporti H/V, in Fig.9.8 e Fig.9. 131 Fig.9.8 Stazione GU09. Alto-sinistra: PSD del periodo 1; alto-destra: Rapporti H/V del periodo 1. Basso-sinistra: PSD del periodo 2; basso-destra: Rapporti H/V del periodo 2. 132 Fig.9.9 Stazione GU07. Alto-sinistra: PSD del periodo 1; alto-destra: Rapporti H/V del periodo 1. Basso-sinistra: PSD del periodo 2; basso-destra: Rapporti H/V del periodo 2. 133 Fig.9.10 Medie e deviazioni standard dei rapporti spettrali H/V alla stazione GU07 (sinistra) e GU09 (destra), calcolati nei due singoli periodi di analisi (alto: periodo 1; basso: periodo 2). I riquadri a destra della Fig.9.8 mostrano un chiaro picco nei rapporti spettrali H/V della stazione GU09, centrato intorno alla frequenza di 0.55 Hz. Sia nel periodo 1 che nel periodo 2, il picco rimane persistente nel tempo, con alcune variazioni in ampiezza non correlabili alla presenza o meno degli eventi microsismici rilevati nelle PSD (Fig.9.8, riquadri a sinistra). Quindi, la stazione GU09 presenta un picco associabile alla risonanza della colonna sediemntaria monodimensionale al di sotto del punto di misura, in quanto esso è persistente, indipendentemente dal contenuto del segnale. Infatti, sia che ci sia debole attività microsismica (periodo 1), sia che ci sia intensa attività microsismica, il picco H/V è sempre presente, come si può notare anche dalle medie degli H/V calcolate distintamente nei due periodi di analisi (Fig.9.10, riquadri a sinistra). Analogamente a ciò che si è visto per le stazioni su roccia (Fig.9.5 e Fig.9.6), nel periodo 2 sono ancora presenti i disturbi al di sotto di 0.2 Hz, i quali creano dei picchi H/V fittizi e non persistenti nel tempo. Perciò, la causa che provoca i disturbi è unica su tutte le stazioni e agisce contemporaneamente nei diversi siti; questo rafforza l’ipotesi di un’agente atmosferico comune. La stazione GU07 è posta in una posizione più centrale sopra al bacino sedimentario, rispetto a GU09. La probabile maggior profondità dei sedimenti sotto la stazione GU07 paragonata a quella al di sotto di GU09, determina un picco di risonanza a frequenze minore, centrato intorno a 0.3 Hz. (Cara et al., 2006). 134 In Fig.9.9 è osservabile la presenza di un picco nei rapporti spettrali H/V relativi alla stazione GU07. Ma, al contrario di ciò che succede per la stazione GU09, il picco H/V non è ugualmente stabile nei due periodi di analisi. Durante il periodo 1 (Fig.9.9, in alto), in cui è presente una debole attività microsismica, è ben visibile il picco H/V solamente nei giorni 192 e 193 in corrispondenza dell’unico evento microsismico presente in tale periodo. Dopo l’evento, il picco H/V diminuisce in ampiezza fino quasi a scomparire negli ultimi giorni di analisi. In alcuni momenti dei giorni 195 e 196, il picco H/V si appiattisce fino ad un fattore poco maggiore di 1. Nel periodo 2 (Fig.9.9, in basso), durante l’intensa attività microsismica il picco H/V emerge chiaramente nel diagramma, rimanendo stabile per tutto il periodo di analisi, con solo minime variazioni in ampiezza, dovuta ad una minore o maggiore intensità degli eventi microsismici. Questo accade indipendentemente dalla frequenza dominante dei differenti eventi microsismici, i quali passano da freqeunze intorno a 0.4-0.6 Hz a frequenze intorno 0.2 Hz. Il picco H/V rimane costantemente centrato intorno a 0.3 Hz, nel periodo 2 di analisi. Ciò che non si nota in Fig.9.9 ma è ben visibile nelle medie degli H/V in Fig.9.10 (sinistra), è la differente frequenza del picco H/V tra il primo ed il secondo periodo di analisi: infatti, nel periodo 1, la frequenza dell’H/V è posta a 0.35 Hz mentre nel periodo 2 a 0.3 Hz. Quindi, alla stazione GU07, dal primo al secondo periodo di analisi il picco H/V oltre che emergere in ampiezza si sposta anche in frequenza. Un esempio particolare di questo effetto è mostrato in Fig.9.11, in cui le medie degli H/V della stazione GU07 ottenute distintamente nei due periodi sono sovrapposte. Inoltre nella Fig.9.11 sono inseriti, sia per il rapporto NS/VT che EW/VT, due curve H/V ottenute da singole PSD in due momenti del periodo 1: un primo momento durante la presenza del debole evento microsismico del giorno 193 ed un secondo momento del giorno 195 in cui erano presenti i minimi valori spettrali del segnale. Fig.9.11 Stazione GU07. Sinistra: medie dei rapporti NS/VT calcolate per il periodo 1 (tratteggio rosso) e per il periodo 2 (tratteggio nero); in rosa è mostrata la curva NS/VT relativa alle PSD indicate dalla barra gialla nel riquadro a destra; in marrone è mostrata la curva NS/VT relativa alle PSD indicate dalla barra arancione nel riquadro a destra. Centro: medie dei rapporti EW/VT calcolate per il periodo 1 (tratteggio verde scuro) e per il periodo 2 (puntinato nero); in verde chiaro continuo è mostrata la curva NS/VT relativa alle PSD indicate dalla barra gialla nel riquadro a destra; in verde scuro continuo è mostrata la curva NS/VT relativa alle PSD indicate dalla barra arancione nel riquadro a destra. Destra: PSD (alto) e rapporti H/V (basso) della stazione GU07 nel periodo 1. Come è visibile dalla Fig.9.11, qualunque spettro si scelga a caso nel periodo 1 (barra gialla e barra arancione) non si riesce comunque a rappresente il picco stabile che si ottiene nel periodo 2. Nel caso di minimo segnale sulle tre componenti del segnale, la curva H/V non presenta un chiaro picco, indicando come, in presenza di poco segnale, non si riesce a rappresentare la frequenza di risonanza del pacchetto sedimentario al di sotto del punto di misura. Anche con un po’ di segnale, in presenza del debole evento microsismico nel periodo 1, mediamente non si ricava la frequenza di 0.3 Hz riscontrata nel periodo 2 e nel lavoro di Cara et al. (2006). 135 9.3 Utilizzo delle Probability Density Function (PDF) per comprendere i risultati dei Rapporti Spettrali H/V Le PSD calcolate per ogni stazione sono state utilizzate per descrivere la variabilità dei livelli spettrali nei due periodi di analisi, seguendo il metodo di McNamara and Buland (2004) descritto nel Cap.3. Per ognuna delle componenti del segnale, ad ogni stazione è stata calcolata la Probability Density Function (PDF) utilizzando le 720 PSD del periodo 1 e le 1008 PSD del periodo 2 (da Fig.9.12 a Fig.9.15). Le PDF sono risultate utili per evidenziare come il moto del terreno associato al noise sismico è rappresentabile in una banda di frequenza ben determinata. Infatti, in tutte le PDF calcolate, a bassa frequenza è possibile notare come le probabilità dei livelli spettrali a partire da una certa frequenza mostrano un trend lineare crescente con il diminuire della frequenza, con una distribuzione dei valori ad ogni frequenza racchiusa in pochi dB. Questa caratteristica non è associabile a a noise sismico, in quanto durante entrambi i periodi di analisi i livelli spettrali al di sotto di una certa frequenza rimangono stabili senza mai mutare significativamente, al contrario di ciò che dovrebbe accadere nell’intera banda dei microsismi. Inoltre, il trend non segue la normale forma del noise di fondo rappresentato dalle curve di riferimento di Peterson (1993), esibendo piuttosto un andamento in contro tendenza. Quindi, la deformazione delle PSD che formano il trend lineare che si vede nelle PDF a bassa frequenza è determinata dal noise strumentale. Il noise strumentale, in questo caso, è dato sia dalla minor sensibilità del sensore man mano che ci si allontana dalla corner frequency della curva di risposta, sia dall’accoppiamento sensore-acquisitore; infatti, con il diminuire della frequenza, aumenta il disturbo data dalle componenti elettroniche e meccaniche che compongono gli strumenti (Havskov and Alguacil, 2004). Il trend delle PDF è in accordo con un aumento del noise strumentale verso le basse frequenze. La pendenza del trend può essere dovuta sia alla correzione che si applica per la risposta del sensore, sia al processing scelto per elaborare il segnale (comunicazione personale di Bindi D., Parolai S., Strollo A.). Il noise strumentale si manifesta nelle osservazioni sperimentali nel caso non esista un buon rapporto Segnale/Disturbo. In questo caso per Segnale si intende noise sismico e per Disturbo si intende rumore strumentale. Quindi, la possibilità di rappresentare correttamente il segnale del movimento del terreno a determinate frequenze è dato sia dal livello del segnale stesso, sia dal livello del disturbo causato dalla strumentazione sismica impiegata. Questi due elementi vanno a comporre le condizioni sperimentali in cui si opera. Nel caso in esame, le condizioni sperimentali sono determinate dall’intensa o debole attività microsismica e dalla differente strumentazione impiegata nei due periodi di analisi. Infatti, come descritto all’inizio del capitolo, nel periodo 1 sono stati utilizzati acquisitori Reftek72A, mentre nel periodo 2 sono stati impiegati acquisitori EDL. I sensori utilizzati per tutto l’esperimento ( i Mark L4 3D) hanno una curva di risposta che al di sotto di 1 Hz attenua il segnale rapidamente. Quindi, più si va a basse frequenze, maggiore sarà l’attenuazione del segnale registrato, e al di sotto di una certa frequennza a che il noise strumentale sarà dominante. Come indicato nelle Fig.9.14 e 9.15, le frequenze a cui arriva il noise strumentale nel periodo 1 e nel periodo 2 sono differenti. Nel periodo 1 il segnale è correttamente rappresentato fino a frequenze intorno a 0.3-0.35 Hz, mentre nel secondo periodo di analisi si scende fino a 0.10.15 Hz. Perciò, dai risultati appare che le particolari condizioni sperimentali durante il periodo 2 permettono di utilizzare una maggiore banda di frequenza in cui il segnale è rappresentabile. L’effetto del noise strumentale sulle stazioni poste su roccia (GU00 e GU10) esiste, ma per lo scopo dell’indagine svolta esso non ha effetto, in quanto le due stazioni non presentano picchi di amplificazione in bassa frequenza. I picchi H/V particolarmente evidenti alla stazione GU00 (Fig.9.5) sono interpretabili se si osservano le PDF delle componenti orizzontali in Fig.9.12. Si può notare come al di sotto di 0.2 Hz il segnale, anche se potrebbe essere rappresentato anche a frequenze inferiori, in molti casi mostra un trend lineare crescente con il diminuire della frequenza, soprattutto sulle componenti orizzontali. Per la stazione GU00 non è valida in ogni momento la banda di frequenza in cui si presume di poter rappresentare il segnale correttamente nel periodo 2. La stazione GU10, che nel periodo 1 subisce anch’essa 136 l’influenza del noise strumentale fino a frequenze intorno a 0.35 Hz, nel periodo 2 permette di calcolare il rapporto H/V fino a frequenze intorno a 0.1 Hz. Quindi, la risposta piatta della curva H/V alla stazione GU10 nel periodo 2, comprende tutte le frequenze in cui si attendono amplificazioni all’interno del bacino sedimentario, confermandosi un buon sito di riferimento per le basse frequenze. L’influenza del noise strumentale e del contenuto del segnale diventano fondamentali per le stazioni poste sulla superficie dei sedimenti nella Piana di Gubbio, in quanto esse presentano amplificazioni a bassa frequenza (< 1 Hz). La selezione delle stazioni GU09 e GU07 è stata effettuata per avere picchi di amplificazione H/V a due differenti frequenze inferiori alla corner frequency delle curve di risposta dei sensori, per le quali ci si aspetta un diverso livello di noise strumentale. Come descritto nel paragrafo precedente, la stazione GU09 presenta un picco del rapporto spettrale H/V centrato intorno alla frequenza di 0.55 Hz. La Fig.9.14 spiega come mai il picco H/V rimane stabile e persistente durante entrambi i periodi di analisi, sia che ci sia debole o intensa attività microsismica. Indipendentemente dalla strumentazione impiegata nel periodo 1 e nel periodo 2, il segnale riesce ad essere rappresentato fino ad una frequenza di 0.33 Hz nel primo periodo e fino a 0.13 Hz nel secondo periodo, su tutte e tre le componenti. Quindi, in entrambi i casi, alla stazione GU09 il rapporto Segnale/Disturbo è favorevole intorno alla frequenza di risonanza del sito, posta a 0.55 Hz. Questo permette di poter rappresentare il picco H/V senza degenerarne le caratteristiche fondamentali. Analogamente a sopra, la Fig.9.15 spiega perché alla stazione GU07 la stabilità del picco H/V nel periodo 1 viene compromessa. Durante il periodo 1, le caratteristiche strumentali, unite ai bassi livelli spettrali del segnale, hanno un effetto sulle PSD fino a frequenze prossime a quella di risonanza (0.3 Hz). Quindi, il segnale, che per produrre un adeguato rapporto spettrale H/V, dovrebbe essere rappresentato correttamente fino a frequenze inferiori a 0.3 Hz, non è registrato dallo strumento fino alle frequenze d’interesse. Pur essendo simili le condizioni sperimentali alle stazioni GU07 e GU09, il noise strumentale aumenta con il diminuire della frequenza e quindi il segnale che non era di interesse a GU09 diventa fondamentale per le analis a GU07. Nel periodo 2 cambiano le condizioni sperimentali, sia per il maggior livello spettrale del segnale, sia per il differente noise strumentale: il segnale viene rappresentato correttamente fino a frequenze prossime a 0.12 Hz anche a GU07. In tal modo è possibile calcolare correttamente il rapporto spettrale H/V ed ottenere un picco stabile e persistente nel tempo, centrato intorno alla frequenza di 0.3 Hz. 137 Fig.9.12 Stazione GU00. PDF delle componenti Verticale (VT), Nord-Sud (NS) ed EST-Ovest(EW) per il periodo 2. In nero sono rappresentati i riferimenti di Peterson (1993). 138 Fig.9.13 Stazione GU10. PDF delle componenti Verticale (VT), Nord-Sud (NS) ed EST-Ovest(EW) per il periodo 1 (in alto) e per il periodo 2 (in basso). In nero sono rappresentati riferimenti di Peterson (1993). 139 0.33 Hz 0.13 Hz 0.33 Hz 0.13 Hz 0.33 Hz 0.13 Hz Fig.9.14 Stazione GU09. PDF delle componenti Verticale (VT), Nord-Sud (NS) ed EST-Ovest(EW) per il periodo 1 (in alto) e per il periodo 2 (in basso). Le frecce indicano la frequenza alla quale è rappresentabile correttamente il segnale. In nero sono rappresentati i riferimenti di Peterson (1993). 140 0.36 Hz 0.32 Hz 0.12 Hz 0.12 Hz 0.32 Hz 0.12 Hz Fig.9.15 Stazione GU07. PDF delle componenti Verticale (VT), Nord-Sud (NS) ed EST-Ovest(EW) per il periodo 1 (in alto) e per il periodo 2 (in basso). Le frecce indicano la frequenza alla quale è rappresentabile correttamente il segnale. In nero sono rappresentati i riferimenti di Peterson (1993). 141 9.4 Confronto tra i Rapporti Spettrali H/V da microsismi e quelli da terremoti La verifica della bontà dei risultati ottenuti nell’indagare la stabilità dei rapporti spettrali H/V ottenuti elaborando il segnale relativo a microsismi può essere fornita dal confronto con i risultati ottenuti dall’analisi di terremoti. Cara et al. (2006) hanno calcolato, per ogni stazione del transetto, una curva media dei rapporti spettrali H/V ottenuta da finestre di segnale di durata 20 o 40 secondi dall’arrivo della fase S. I risultati mostrano uno spostamento del picco di amplificazione verso le base frequenze tanto più ci si avvicina al centro del bacino sedimentario, lungo il transetto di stazioni del GFZ. Per le stazioni GU09 e GU07, analizzate in questo lavoro, gli autori hanno fornito le curve H/V mostrate in Fig.9.16. GU09 GU07 Fig.9.16 Rapporti spettrali H/V ottenuti dall’analisi di terremoti registrati dalle stazioni GU09 (sinistra) e GU07 (destra). Rosso continuo: media degli H/V; blu tratteggio: deviazione standard. Le immagini sono trate da Cara et al. (2006). Le frequenze di risonanza ottenute alla stazione GU09 e allastazione GU07, sono rispettivamente 0.55 Hz e 0.3 Hz. Queste frequenze corrispondono con quelle dei picchi HH/VT ottenuti elaborando i microsismi in continuo. Infatti, alla stazione GU09, il picco spettrale stabile e persistente in entrambi i periodi di analisi indica la frequenza di 0.55 Hz. Alla stazione GU07, invece, i risultati indicano la frequenza di 0.3 Hz solamente nel periodo 2, quando è stato verificato che il segnale registrato è affidabile fino a frequenze intorno a 0.12 Hz (paragrafo 9.3). Quindi, potendo indagare le condizioni sperimentali presenti durante l’esperimento, è stato possibile ottenere un’affidabile frequenza di risonanza del pacchetto sedimentario al di sotto dei punti di misura GU09 e GU07, utilizzando il segnale microsismico nell’intervallo di frequenza [0.1-1] Hz. In Fig.9.17 viene mostrato il confronto tra le curve medie dei rapporti spettrali HH/VT, ottenuti nel periodo 2 di analisi a GU09 e GU07 elaborando il segnale microsismico, e le curve HH/VT ottenute analizzando rispettivamente 20 e 40 secondi di segnale a partire dalla fase S del terremoto del 15 Luglio 2005 di magnitudo 4.4, localizzato nella zona di Forlì. In questo particolare caso, la finestra di 40 secondi a partire dall’arrivo della fase S comprende tutta la parte più energetica del segnale, la quale contiene probabilmente onde superficiali generate nel bacino (Pacor et al., 2006); ad entrambe le stazioni, la curva HH/VT ottenuta con la finestra di 40 secondi è in buon accordo con la curva media degli HH/VT ottenuta dal noise. Quindi, probabilmente, il picco H/V ottenuto corrisponde all’ellitticità del modo fondamentale delle onde superficiali che fanno ‘risuonare’ il pacchetto sediementario al di sopra del substrato roccioso. 142 Fig.9.17 Confronto tra le medie degli HH/VT ottenute nel periodo 2 di analisi, elaborando il segnale microsismico (nero continuo), e le curve HH/VT ottenute elaborando 20 secondi (grigio chiaro tratteggio) e 40 secondi (grigio scuro tratteggio) di segnale a partire dalla fase S di un terremoto di magnitudo 4.4. 9.5 Amplificazione dei microsismi e generazione del picco H/V Sia gli spettrogrammi delle PSD e dei rapporti spettrali H/V, sia le forme delle PDF calcolate ad ogni stazione, permettono di indagare singoli casi per verificare l’amplificazione del segnale all’interno del bacino. Confrontando i singoli spettri alle quattro stazioni selezionate, ottenuti considerando un unico intervallo temporale di 10 minuti su cui sono state calcolate le PSD medie di ogni componente, viene mostrato come i microsismi si amplificano quando entrano nel bacino sedimentario al di sotto della Piano di Gubbio. I casi selezionati sono relativi al momento di minimo segnale (Fig.9.17) e durante il debole microsisma (Fig.9.18) per quel che riguarda il periodo 1 di analisi; al contrario, per il periodo 2, sono stati selezionati due casi in cui erano presenti microsismi con frequenze dominanti differenti (Fig.9.19 e Fig.9.20). In Fig.9.17 è descritto il caso di PSD medie su 10 minuti di segnale, calcolate per le tre componenti ad ogni stazione. Osservando le PSD della stazione GU10, si nota come non è comprensibile la soglia oltre la quale influisce il noise strumentale rispetto al segnale, in quanto gli spettri selezionati presentono solamente un trend lineare crescente non riconducibile ad alcuna caratteristica tipica del noise sismico a quelle frequenze. In ogni caso, in quanto su tutte e tre le componenti di GU10, il livello spettrale è simile, il rapporto H/V risulta comunque piatto. Quindi, eseguendo una misura speditiva in questo sito, non sarebbe stato possibile accorgersi dell’influenza data dalle caratteristiche strumentali. Considerando la stazione GU09 si capisce come i livelli spettrali siano al limite tra noise sismico e noise strumentale: infatti è sufficiente l’amplificazione delle componenti orizzontali per individuare un picco H/V alla freqeunza di risonanza verificata con altri metodi. Anche in questo caso non è possibile comprendere quanto sia influente il noise strumentale sulle registrazioni. Il caso della stazione GU07, al contrario, mostra come non è possibile individuare una netta amplificazione delle componenti orizzontali all’interno del bacino, rispetto alla registrazione su roccia, lasciando ipotizzare che il segfnale registrato a GU07 sia un misto tra movimento del terreno e disturbo strumentale. Con il rettangolo rosso è indicata la frequenza che si ottiene nel periodo 1 alla stazione GU07, evidenziando ancora una volta come il calcolo del rapporto H/V a questa stazione con tali condizioni sperimentali non è affidabile. 143 GU10 GU09 GU07 GU00 Fig.9.17 Riquadri in alto: PSD medie su 10 minuti delle tre componenti del segnale alle stazioni selezionate. In viola sono indicate le frequenze di risonanza dei siti GU09 e GU07. Il rettangolo rosso indica la frequenza ottenuta a GU07 dal rapporto spettrale H/V nel periodo 1 di analisi. Sinistra: PSD e H/V allastazione GU07 nel periodo 1; la barra nera indica l’intervallo temporale di 10 minuti scelto. Qui sopra: schema sintetico della posizione delle stazioni rispetto una sezione trasversale del bacino; in grigio uniforme sono indicati i due substrati al di sotto dei sedimenti. Sempre nel periodo 1, è stato selezionato un intervallo temporale di 10 minuti mentre era presente un debole microsisma (Fig.9.18), in modo da capire se la maggiore energia a determinate frequenze permette il calcolo dell’H/V. Il microsisma considerato ha una frequenza dominante intorna a 0.4 Hz, come si può notare dalle PSD della stazione GU10, in cui il segnale microsismico emerge dal noise strumentale, senza che ci sia amplificazione delle componenti orizzontali rispetto alla verticale. Una volta dentro il bacino sedimentario, il microsisma si amplifica in maniera differente alla stazione GU09 e GU07. L’amplificazione delle componenti orizzontali di GU09 intorno a 0.55 HZ rispetto alla componente verticale, genra il picco H/V che indica la risonanza del bacino in quel punto di misura. Quindi l’amplificazione del microsisma a GU09 permette di avere sufficiente energia intorno alle freqeunze di interesse per calcolare il rapporto H/V. Il microsisma si amplifica anche alla stazione GU07m soprattutto per quel che riguarda le componenti orizzontali. Ma l’energia contenuta nel segnale originale (vedi spettri di GU10) è dominante a frequenze maggiori di 0.35 Hz; quindi, dagli spettri di GU07 si intuisce che le caratteristiche strumentali interessano ancora le freqeunze prossime alla freqeunza di risonanza (0.3 Hz). Infatti, alla frequenza di 0.3 Hz non è ben chiara l’amplificazione delle tre componenti, la quale restituisce comunque un picco H/V ad una frequenza maggiore. 144 GU10 GU09 GU07 GU00 Fig.9.18 Riquadri in alto: PSD medie su 10 minuti delle tre componenti del segnale alle stazioni selezionate. In viola sono indicate le frequenze di risonanza dei siti GU09 e GU07. Sinistra: PSD e H/V allastazione GU07 nel periodo 1; la barra nera indica l’intervallo temporale di 10 minuti scelto. Qui sopra: schema sintetico della posizione delle stazioni rispetto una sezione trasversale del bacino; in grigio uniforme sono indicati i due substrati al di sotto dei sedimenti. La Fig.9.19 mostra uno dei due casi selezionati nel periodo 2, durante l’intensa attività microsismica del periodo invernale. Il microsisma selezionate ha una freqeunza dominante intorno a 0.2 Hz, come è visibile dalle PSD delle stazioni GU00 e GU10, poste su roccia. Ad entrambi i lati del bacino, il microsisma non è amplificato ed il segnale presenta alti livelli spettrali. Inoltre, la diversa strumentazione impiegata permette di registrare il segnale fino a frequenze inferiori a 0.2 Hz. Quindi il contenuto del segnale è tale da possedere energia anche alle frequenze di risonanza ricavate alle stazioni GU09 e GU07. Infatti, in questo caso, è chiara l’amplificazione del microsisma nelle due stazioni poste sui sedimenti. Alla stazione GU09 la componente verticale non è praticamente amplificata se non a frequenze maggiori di 0.6 Hz, mentre le componenti orizzontali amplificano soprattutto intorno a 0.55 Hz, genrando così il picco H/V. Una lieve amplificazione delle componenti orizzontali di GU09 si ha anche intorno a 0.3 Hz, caratteristica che si rispecchia nelle curve medie degli H/V della stazione. Probabilmente la risonanza della parte più profonda del bacino trasferisce energia all’interno di tutto corpo sedimentario. 145 La generazione del picco H/V alla stazione GU07, in questo caso, è chiaramente dovuta all’amplificazione netta delle componenti orizzontali alla freqeunza di 0.3 Hz, corrispondnete alla non amplificazione della componente verticale. La componente verticale amplifica lievemente a frequenze intorno 0.45 Hz rispetto le stazioni poste su roccia. Tali forme di amplificazione degli spettri indicano una probabile presenza di onde superficiali di Rayleigh e Love che si generano all’interno del bacino. Quindi, l’energia contenuta nel segnale e la possibilità di registrarlo fino a freqeunze inferiori a quelledi risonanza, permettono di rappresentare correttamente il picco H/V anche al sito GU07. GU10 GU09 GU07 GU00 Fig.9.19 Riquadri in alto: PSD medie su 10 minuti delle tre componenti del segnale alle stazioni selezionate. In viola sono indicate le frequenze di risonanza dei siti GU09 e GU07. Sinistra: PSD e H/V allastazione GU07 nel periodo 2; la barra nera indica l’intervallo temporale di 10 minuti scelto. Qui sopra: schema sintetico della posizione delle stazioni rispetto una sezione trasversale del bacino; in grigio uniforme sono indicati i due substrati al di sotto dei sedimenti. L’ultimo caso riportato riguarda sempre il secondo periodo di analisi. Ma questa volta è stato scelto un differente evento microsismico, con una frequenza dominante maggiore del precedente caso. Infatti, come si può notare in Fig.9.20 osservando gli spettri delle stazioni su roccia (GU00 e GU10) il segnale contiene microsismi tra 0.3 e 0.5 Hz (vedi anche gli spettrogrammi delle stazioni nel paragrafo 9.2). Il meccanismo di amplificazione ai siti sui sedimenti (GU09 e GU07) è simile al caso precedente: le componenti del segnale, all’interno del bacino si amplificano, ma in modo differente tra le componenti orizzontali e quelle verticali. A GU09 le componenti orizzontali si 146 amplificano chiaramente tra 0.4 e 0.7 Hz, mentre la vcomponente verticale non amplifica intorno a 0.55 Hz. Questo fenomeno genera il picco H/V al sito. Per la stazione GU07, invece, le componenti orizzontali contengono molta energia a 0.3 Hz, esibendo ampi picchi spettrali, mentre la componente verticale a quella freqeunza rimane inalterata rispetto le stazioni poste su roccia. Interessante è notare i picchi delle componenti verticali a 0.45 Hz, sia a GU09 che a GU07, amplificate a tale freqeunza rispetto a GU00 e GU10. Questa caratteristica indica probabilmente la presenza di onde di Rayleigh all’interno del bacino sedimentario al passaggio dei microsismi. GU10 GU09 GU07 GU00 Fig.9.20 Riquadri in alto: PSD medie su 10 minuti delle tre componenti del segnale alle stazioni selezionate. In viola sono indicate le frequenze di risonanza dei siti GU09 e GU07. Sinistra: PSD e H/V allastazione GU07 nel periodo 2; la barra nera indica l’intervallo temporale di 10 minuti scelto. Qui sopra: schema sintetico della posizione delle stazioni rispetto una sezione trasversale del bacino; in grigio uniforme sono indicati i due substrati al di sotto dei sedimenti. Quest’ultimo caso dimostra come, indipendentemente dal contenuto in frequenza dei microsismi, il fattore fondamentale per descrivere la frequenza di risonanza ad un sito è il rapporto Segnale/Disturbo. Infatti, una volta che il rapporto Segnale/Disturbo è buono, il tipo di evento microsismico non influisce sui risultati, i quali esibiscono sempre il medesimo meccanismo di amplificazione. Quindi, diventa fondamentale conoscere le condizioni sperimentali in cui si opera, soprattuto quando si apllicano tecniche speditive. Prima di capire se la tecnica utilizzata è abile per raggiungere gli scopi che ci si è preposti, è maggiiormente importante applicare la tecnica i 147 condizioni adeguate, le quali riguardano la conoscenza del segnale che si sta acuisendo e la strumentazione che si sta impiegando. L’indagine svolta mostra come sia possibile utilizzare strumentazione che in prima battuta non sembra adeguata per le analisi. Ma verificandone le prestazioni è possibile indicare dei limiti in cui i dati posssono ritenersi affidabili. In ogni caso non si può prescindere, quando ci si mette in certe condizioni sperimentali, dalla buona conoscenza dello strumento che si sta utilizzando. Infatti, è stato possibile utilizzare sensori short period con risposta piatta al di sopra di 1 Hz per descrivere frequenze fino a circa 0.15 Hz. Ma questo limite è un solo caso particolare e sperimentale, in quanto cambiando strumentazione bisognerà tener conto sia della diversa risposta del sensore sia del diverso livello di noise strumentale determinato dall’accoppiamento sensore-acquisitore. Se esiste la necessità di dover compiere campagne speditive registrando microtremori e non si possiede la curva teorica del noise strumentale dato dalla strumentazione impiegata, sarebbe utili compiere esperimenti dedicati all’individuazione del noise strumentale alle frequenze di interesse. Mettendosi nelle condizioni di minor segnale (registrazioni su roccia, lontane da disturbi antropici, effettuate nel periodo estivo) è possibile verificare sperimentalmente con un’analisi che utilizza le PDF, se la strumentazione impiegata registra segnale nella banda di frequenza utile alle analisi che si andranno a compiere. Se poi il segnale al sito sarà maggiore di quello registrato nell’esperimento test, si avrà lasicurezza che ciò che si registra è Segnale e non Disturbo. 148 CAPITOLO 10 149 10 Conclusioni Le deformazioni che il campo d’onda sismico subisce in prossimità della superficie terrestre, chiamate ‘effetto di sito’, sono determinate dalle strutture geologiche locali più superficiali. Un possibile oggetto di studio alternativo ai terremoti, utile per indagare le proprietà elastiche dei mezzi di propagazione, è il noise sismico ambientale. Ma applicando le tecniche che utilizzano il noise, è necessario conoscere la natura e l’origine del segnale, per poter comprendere quali informazioni esso contiene. Lo stesso noise, al contrario, può disturbare le registrazioni di eventi sismici, influenzando le prestazioni delle reti sismiche di monitoraggio. Obiettivo di questa tesi era di contribuire alla conoscenza delle caratteristiche del noise sismico ambientale attraverso l’osservazione di dati sperimentali, al fine di evidenziare la necessità di comprendere l’oggetto ‘noise’, prima di applicare tecniche di analisi empiriche, per poter condurre esperimenti in condizioni controllate. L’area selezionata per lo studio è stata principalmente il Nord Italia. Quest’area è caratterizzata dalla massiccia presenza di attività umane, da un’alta densità industriale ed esprime una sismicità moderata. Queste condizioni rendono utili le indagini che utilizzano il noise sismico ambientale, considerando anche la carenza di informazioni sismologiche. La ricerca si è sviluppata attraverso lo studio della variabilità del noise (Cap.4), utilizzando i dati di varie stazioni sparse sul territorio, raccolti nel corso di circa due anni e mezzo, acquisendo brevi tratti di segnale quotidianamente, in ore diurne e notturne. Utilizzando il metodo di McNamara e Buland (2004), la variabilità del noise è stata rappresentata attraverso Probability Density Function (PDF), in modo da ottenere una statistica dei livelli di noise ad ogni punto di misura. Le PDF hanno permesso di caratterizzare i livelli di noise nella banda di frequenza 0.120 Hz, individuandone le ciclicità a diverse frequenze. La diversa natura e le caratteristiche del noise al di sopra ed al di sotto di 1 Hz sono state oggetto dell’indagine. È stato quantificato l’effetto delle attività antropiche sui livelli di noise nel Nord Italia, i quali raggiungono valori, nelle aree maggiormente industrializzate, che oltrepassano le curve di riferimento di Peterson (1993) nell’intervallo di frequenza 1-5 Hz, indicando come in molte aree del Nord Italia i livelli di noise sono tali da incidere significativamente sulle capacità delle reti di monitoraggio di rilevare terremoti. L’area maggiormente affetta dalle sorgenti antropiche di noise è risultata la fascia pedemontana tra il margine settentrionale della Pianura Padana e le Prealpi. Le stazioni immerse in questa fascia sono rappresentative dei livelli di noise massimi registrabili a frequenze > 1 Hz. Modellando la capacità di detezione di una serie di stazioni sismiche, con i livelli massimi di noise ottenuti dai dati sperimentali, è stata verificato come nella parte centrale del Nord Italia, lungo la fascia di maggior industrializzazione, una rete sismica non potrebbe rilevare terremoti in una vasta area intorno alle stazioni, con un buon rapporto Segnale/Disturbo, fino ad una magnitudo Ml di circa 3. Come esempio pratico, è stato riportato quello della stazione CTLE, posta in uno dei siti più disturbati dal punto di vista sismologico: di 165 eventi registrati dalle stazioni INGV-MI nel corso dell’anno 2006, quelli utili registrati dalla stazione CTLE, con un buon rapporto Segnale/Disturbo, sono risultati 19. L’analisi del noise dovuto all’azione delle attività antropiche ha permesso di osservare le variazioni medie ad ogni sito dei livelli spettrali tra il giorno e la notte, quantificando lo scarto tra i livelli diurni e notturni in siti molto disturbati rispetto a siti tranquilli. Per i siti molto disturbati, i livelli diurni raggiungono valori di 15-20 dB maggiori di quelli notturni in una banda di frequenza tra 2 e 7 Hz. Escludendo le aree di alta montagna in cui non sono presenti comprensori sciistici o impianti di risalita (attività antropica molto diffusa sull’arco alpino), i livelli di noise in alta frequenza nell’area del Nord Italia non sono mai trascurabili. Infatti, anche nei siti meno disturbati tra quelli caratterizzati, si riscontrano variazioni di 10 dB tra il giorno e la notte. La variazione dei livelli spettrali, e quindi la dispersione dei valori spettrali a frequenze > 1 Hz, è risultata aumentare proporzionalmente alla frequenza, fino alla frequenza massima analizzata (20 Hz). L’installazione di una stazione temporanea (VAL9), che ha registrato segnale in continuo nei pressi della città di Milano, ha permesso di seguire l’andamento dei livelli spettrali di noise in alta frequenza (> 1 Hz), osservando come essi siano perfettamente in accordo con i ritmi delle 150 attività antropiche che ci si aspetta nell’area di studio. I livelli spettrali raggiungono gli stessi valori massimi nelle ore diurne durante i giorni lavorativi della settimana (dal Lunedì al Venerdì). Inoltre, nella parte centrale della giornata presentano una leggera diminuzione di durata 1 ora in corrispondenza, probabilmente, della pausa lavorativa. I livelli massimi diurni vengono raggiunti anche nella mattinata di Sabato, mentre iniziano ad attenuarsi da Sabato pomeriggio e rimangono relativamente bassi nel corso della Domenica. Quindi, il noise sismico tra 1 e 20 Hz è fortemente legato ai ritmi dell’attività antropica, la quale in questa banda di frequenza è la sorgente dominante. Durante le analisi è stato individuato un picco spettrale a circa 1.1 Hz, presente in tutte le stazioni considerate. Il picco è presente anche nei siti meno disturbati tra quelli indagati, indicando come la natura della sorgente di questa caratteristica spettrale, estendendosi a tutte le stazioni, non può essere intuita a priori senza un’indagine di dettaglio. Inoltre, la distribuzione dei livelli spettrali del picco, calcolati con le PDF, è concentrata intorno a un ristretto intervallo di valori (in dB), indicando come il picco sia costantemente persistente nel noise. Attraverso l’osservazione delle variabilità e della stabilità temporale e spaziale, è stato possibile escludere un’origine naturale ed assegnare un’origine antropica al picco. Infatti, il picco risulta più evidente nei siti lungo la fascia industriale che corre tra Pianura Padana e le Prealpi. Inoltre, il valore di picco in vari siti indagati è mediamente costante per tutto il corso dell’anno, con brevi periodi temporali in cui la potenza del picco diminuisce. I periodi di attenuazione del picco, osservati per più di un anno, corrispondono al mese di Agosto e al periodo di ferie natalizie e pasquali. Quindi la ciclicità e periodicità dei livelli spettrali del picco è coerente con i ritmi delle attività antropiche, mentre è stato verificato che non è concorde con il noise ambientale a basse frequenze (< 1 Hz) , il quale ha origine naturale. Non è stato possibile individuare il tipo di sorgente, ma le analisi condotte permettono di ipotizzare che quel tipo sorgente sia diffusa in vari punti sul territorio. Alcuni esempi di letteratura (Frantti, 1963; Walker et al., 1964; Hjortemberger and Risbo, 1975; Plesinger and Wielandt, 1972, 1974;Bokelmann and Baisch, 1999; Liu and Gao, 2001) riportano caratteristiche simili, ma di picchi spettrali a frequenza differente (circa 2.08 Hz). Tali picchi sono stati associati al funzionamento di macchinari industriali collegati con le reti elettriche, accoppiamento che induce forti vibrazioni monocromatiche nel terreno, le quali si propagano anche per alcune centinaia di chilometri. Il picco a 1.1 Hz rilevato in questo studio potrebbe avere un’origine simile, data da macchinari con caratteristiche tecniche differenti rispetto a quelle utilizzate in altre parti del mondo. Per capire l’origine e la provenienza del picco a 1.1 Hz sono necessarie ulteriori indagini di microtremore con tecniche in array, per individuare la direzione di provenienza del segnale e l’eventuale presenza di più sorgenti distribuite sul territorio. Un’indagine preliminare quatitativa dell’influenza delle caratteristiche geologiche sui livelli spettrali del noise, è stata condotta mostrando come i siti posti sulla superficie del bacino sedimentario del fiume Po esibiscono alti livelli di noise rispetto ai siti posti su roccia nel settore della catena alpina. Tale effetto è stato indagato solo per la banda di frequenza 0.2-1 Hz, dove è possibile assumere una sorgente comune per tutte le stazioni sismiche analizzate, ovvero i microsismi, i quali si propagano per centinaia di chilometri investendo aree di dimensioni ben maggiori rispetto a quelle dell’area ricoperta dalle stazioni sismiche impiegate nelle analisi. Infatti, era necessario escludere le frequenze maggiori di 1 Hz, poiché i siti posti sui sedimenti si trovano tutti in ambienti urbanizzati, mentre quelli su roccia in ambienti isolati: queste condizioni non permettono di discriminare tra valori dei livelli di noise dovuti alle caratteristiche geologiche rispetto ai valori dovuti all’attività antropica. Quindi, sfruttando il segnale presente a basse frequenze è stato stimato un fattore di contrasto di impedenza tra il settore alpino e il settore della Pianura Padana di circa 5. Utilizzando le registrazioni effettuate con sensori broad band è stata indagata anche la variabilità del picco DF (Double Frequency), dovuto a sorgenti naturali, a frequenze < 1 Hz. La ciclicità annuale di tale picco ha restituito oscillazioni importanti, con scarti tra i mesi invernali e quelli estivi fino a 50 volte in ampiezza sulla componente verticale del moto (circa 35 dB in potenze spettrali). Inoltre è stato individuato uno sdoppiamento del picco DF al di sopra ed al di sotto della frequenza di 0.2 Hz, con comportamento del segnale differente nelle bande di frequenza [0.1-0.2] Hz e [0.2-1] Hz. Questa caratteristica non era ancora stata osservata in altri 151 studi di letteratura relativi all’area del Nord Italia. Quindi, la parte finale della ricerca è stata focalizzata sullo studio dei microsismi nel Nord Italia. Lo studio dei microsismi è stato condotto sia utilizzando i dati della stazione MAR2 dell’INGVMI, posta nel centro del Nord Italia, con la quale è stato raccolto segnale di noise, con un sensore broad band, due volte al giorno per circa due anni e mezzo, sia sfruttando i dati registrati in continuo dalle stazioni satellitari nel Nord Italia del Centro Nazionale Terremoti dell’INGV. Per comprendere l’origine e la provenienza del segnale associato ai microsismi, sono state raccolte una serie di informazioni meteorologiche e oceanografiche, in modo da poter associare la presenza di fenomeni meteomarini alla presenza di microsismi nelle registrazioni sismiche (Cap.6). I dati raccolti riguardano mappe barometriche dell’area europea, comprendente anche l’oceano Atlantico ed il mar Mediterraneo, parametri delle onde marine rilevate dalle boe poste nei mari intorno all’Italia, mappe dei modelli delle onde marine e della circolazione dei venti. I microsismi registrati dalla stazione MAR2, relativi agli anni 2004 e 2005, hanno mostrato un’ottima corrispondenza con i grafi dell’altezza delle onde marine registrate alle boe dei mari intorno all’Italia, per l’intervallo di frequenza [0.2-1] Hz. In particolar modo, la maggior corrispondenza è stata osservata per le boe poste nel mar Ligure e nei mari a Ovest di Sardegna e Sicilia. Diversamente, nell’intervallo [0.1-0.2] Hz, la presenza di microsismi è concorde con la presenza di intensi minimi barometrici, caratterizzati da elevati gradienti di pressione, sull’oceano Atlantico. Quindi, è stato possibile formulare l’ipotesi che i microsismi registrati nel Nord Italia provengono da sorgenti distribuite eterogeneamente nello spazio, con alcune direzioni preferenziali, le quali si manifestano distintamente nei dati sismici in due intervalli di frequenza separati dal limite di 0.2 Hz. Sfruttando la disponibilità di dati in continuo, è stato possibile indagare l’evoluzione di alcuni eventi microsismici, ipotizzando le possibili aree di generazione. Analisi dell’attenuazione dei microsismi tra alcune coppie di stazioni sismiche, ha permesso di individuare grossolanamente la direzione di provenienza, discriminando tra microsismi provenienti dall’area atlantica e microsismi provenienti da alcuni mari mediterranei. Associando il segnale sismico in continuo alla posizione di aree di minimo barometrico e alle condizioni marine descritte da modelli delle onde e dei venti, sono state ipotizzate le posizioni di alcune aree sorgenti di microsismi, coerenti con altri studi in letteratura, poste sia nell’oceano Atlantico che nei mari del Mediterraneo occidentale. In particolar modo, i casi presi in esame, hanno evidenziato la presenza di aree sorgenti nelle coste prospicienti la Gran Bretagna e l’Irlanda, per quel che riguarda l’oceano Atlantico. Per quel che riguarda il mar Mediterraneo, una frequente sorgente di microsismi è localizzata nel mar Ligure, il mare prossimo alle stazioni sismiche utilizzate, ma anche mari mediterranei più lontani, come quelli a Ovest o Sud dell’Italia hanno mostrato essere probabili aree sorgenti. Conoscendo le condizioni meteomarine che hanno generato le aree sorgenti di microsismi, è stato possibile ipotizzare l’innescarsi di alcuni meccanismi di generazione del segnale, seguendo in continuo i trend spettrali tipici dei microsismi, i quali si ripetono ogni volta con caratteristiche generali riconoscibili. Trend crescenti in frequenza nel tempo, sono associati all’arrivo contro le coste di swell, onde a lungo periodo; queste onde, generate in acque profonde, si propagano più velocemente proporzionalmente al loro periodo, riflettendo nei dati sismici la dispersione dei treni d’onda che si riflettono sulle coste generando le aree sorgenti di microsismi (Cap.5). Trend di questo genere sono stati osservati soprattuto per i microsismi al di sotto di 0.2 Hz, provenienti dall’oceano Atlantico. Questo risultato è concorde con il fatto che le profondità dell’oceano Atlantico e l’intensità dei fenomeni meteorologici che si sviluppano al di sopra di esso sono maggiori di quelli del mar Mediterraneo. Al contrario, trend spettrali decrescenti in frequenza nel corso del tempo, sono associati allo sviluppo di mareggiate nei pressi delle coste, le quali sviluppano mari che propagano onde secondo lo spettro di Pierson e Moskovitz (1964); in tale spettro le onde hanno un’ampiezza che cresce al crescere della forza del vento che agisce sul mare ed una frequenza dominante che, al contrario, diminuisce. Quindi, contro le coste arriveranno prima le onde ad alta frequenza e poi quelle a bassa frequenza, con una conseguente sorgente di microsismi che riproduce questo andamento spettrale. I microsismi generati da tale meccanismo sono soggetti a condizioni meteomarine locali, le quali si formano vicino alle coste ed hanno un’evoluzione repentina rispetto alle 152 tempeste che si sviluppano in aperto oceano. Coerentemente con queste informazioni, una parte dei microsismi osservati nel Nord Italia hanno manifestato trend spettrali decrescenti in frequenza nel tempo. In generale, i microsismi con questa caratteristica, sono quelli osservati a frequenze maggiori di 0.2 Hz, la maggior parte dei quali proviene dal mar Ligure, in cui si sviluppano fenomeni meteomarini locali in prossimità delle coste. Inoltre questi microsismi hanno la durata di alcune ore, diversamente da altri microsismi con trend crescenti provenienti dall’oceano Atlantico, i quali persistono anche per 2 o 3 giorni, inconcomitanza di eventi meteorologici intensi e non locali. In uno dei casi analizzati, un microsisma associato ad un’intensa tempesta nel mar Mediterraneo si è manifestato al di sotto del limite di 0.2 Hz. Dal confronto con i modelli delle onde del mar Mediterraneo, i quali esibivano altezze fino a 7-8 m, e con l’analisi di attenuazione del segnale sismico nel Nord Italia, è stata ipotizzata una sorgente del microsisma che si è spotata dal mare tra la Sardegna e le Isole Baleari fino a lambire la costa tunisina. Il microsisma, pur confondendosi in parte con altri eventi microsismici locali, era caratterizzato da un trend crescente. Quindi, oltre a permettere di individuare altre aree possibili sorgenti di microsismi nel Mediterraneo, il microsisma ha evidenziato come lo sviluppo di intensi fenomeni meteorologici, al di sopra del bacino mediterraneo, è in grado di generare segnali microsismici che si sviluppano fino a raggiungere frequenze inferiori al limite di 0.2 Hz, diversamente dalle caratteristiche generali osservate nei dati sismici del Nord Italia. La conoscenza acquisita durante la ricerca riguardo al contenuto del noise sismico a bassa frequenza (< 1 Hz) ha permesso di svolgere l’ultima parte della tesi, in cui è stata esplorata l’influenza dei microsismi su due tecniche d’analisi empiriche: l’estrazione di Time Domain Green’s Function (TDGF) dal noise simico (Cap.7) e i rapporti spettrali H/V (Cap.9). L’estrazione di TDGF dal noise simico avviene applicando una cross correlazione tra le registrazioni di una coppia di stazioni. Questa operazione permette di individuare i ritardi del segnale coerente che si propaga da una stazione all’altra, esibendo le sue caratteristiche di dispersione, in quanto la natura del noise è in gran parte associata alle onde sismiche superficiali. È stata svolta un’indagine preliminare sulla possibilità di estrarre TDGF nella banda di frequenza dominata dai microsismi (0.1-1 Hz). Infatti, la presenza di un intenso segnale fortemente direzionale può far sì che le funzioni di cross correlazione calcolate siano effette da bias, soprattutto se il segnale si propaga in una direzione che è molto differente da quella individuata dalla coppia di stazioni che si sta analizzando. Così sono state utilizzate una quindicina di stazioni poste nel Nord Italia, le quali individuano una serie di coppie di ricevitori a diversa distanza. Rispetto al numero completo di coppie possibili, sono state estratte un numero minore di TDGF, in quanto varie elaborazioni non hanno restituito risultati utili, tenendo conto del rapporto Segnale/Disturbo delle funzioni di cross correlazione. Nonostante questo, è stato possibile stimare una velocità di gruppo media regionale per il settore centro-occidentale delle Alpi, calcolando i ritardi individuati dalle TDGF, per coppie di stazioni poste a diverse distanze. La velocità di gruppo media risultante è pari a 2.7 Km/s. I risultati ottenuti per le coppie di stazioni analizzate, sia quelli utilizzati nella valutazione della velocità di gruppo media, sia quelli scartati, ha permesso di impostare un’analisi il cui scopo era di valutare l’influenza dell’anisotropia spaziale delle sorgenti dei microsismi e la loro forte direzionalità rispetto alla zona del Nord Italia. L’emersione di picchi di correlazione nelle TDGF, è stata messa in corrispondenza con la presenza di microsismi, osservando come il rapporto Segnale/Disturbo della funzione di cross correlazione è buono nel caso siano presenti i microsismi che provengono da direzioni vicine all’azimuth individuato dall’asse congiungente i due ricevitori. Considerando una serie di funzioni di cross correlazione, calcolate su segnali di durata un giorno, ad una coppia di ricevitori con azimuth puntato verso il mar Ligure, oltre a osservare la corrispondenza con la presenza o meno dei microsismi, sono risultate forme delle funzioni di cross correlazione differenti per microsismi generati da sorgenti distinte. Questo ha permesso di concludere che lo spostamento della sorgente microsismica rispetto alla geometria della coppia di stazioni, induce del bias nei risultati. Questo implica la necessità di svolgere ulteriori studi per individuare con maggior precisione, attraverso tecniche in array, la direzione di provenienza del segnale microsismico e capire l’accuratezza della TDGF estratta. In ogni caso, l’aspetto interessante della variabilità della funzione di cross correlazione in funzione del tipo di sorgente microsimica è il fatto che tali funzioni si ripresentano con caratteristiche simili e quindi 153 è presumibile che si possano sviluppare dei codici di calcolo per il riconoscimento della forma d’onda. Se viene assunto questo, una volta che un tipo di funzione di cross correlazione per una coppia fissa di ricevitori è stata associata una determinata sorgente, tutte le volte che essa comparirà nei dati, il segnale microsismico registrato potrà essere ricondotto a quella sorgente; questo può capitare frequentemente perché le sorgenti dei microsismi sono sì innescate dalle condizioni meteorologiche, le quali hanno un’estrema variabilità, ma sono determinate dalla batimetria dei fondali e dalla morfologia delle coste. Quindi, i fenomeni meteomarini che si sviluppano vicino ad una determinata linea costiera generano sorgenti microsismiche simili e localizzate sempre nella stessa area. Un’altra indagine svolta, analizzando le frequenze dei microsismi, riguarda la variabilità della TDGF nel corso delle stagioni. Sono state calcolate le TDGF mensili da Gennaio ad Agosto 2006, applicando uno stacking alle funzioni di cross correlazione giornaliere; l’analisi è stata condotta considerando due coppie di stazioni caratterizzate da una simile distanza tra i ricevitori ed una disposizione geometrica delle due coppie tale da individuare un angolo prossimo a 90°. L’azimuth di una coppia puntava verso l’oceano Atlantico, mentre l’azimuth dell’altra puntava verso il mar Ligure. I risultati ottenuti negli otto mesi di analisi del segnale in continuo hanno mostrato come le TDGF relative alla coppia che puntava verso il mar Ligure hanno una maggior variabilità rispetto a quelle dell’altra coppia, le quale esibiscono forme di correlazione simili nel corso del tempo. Questa caratteristica è stata associata al fatto che l’oceano Atlantico, per le sue dimensioni e per la possibilità di generare vaste aree sorgenti di microsismi, causa la propagazione continua di microsismi con direzione di propagazione simile, anche considerando che la distanza del cammino percorso è molto maggiore della distanza tra i ricevitori considerati. I risultati relativi ai due ricevitori puntati verso il mar Ligure, al contrario, sono influenzati dallo spostamento delle sorgenti microsismiche nel mar Mediterraneo, in quanto le distanze delle sorgenti rispetto la distanza tra i due ricevitori sono paragonabili. Dall’analisi condotta sulla variabilità delle TDGF appare che l’energia contenuta nel segnale microsismico dei mesi estivi provienbe in gran parte dall’area atlantica, la quale è una sorgente costante e preponderante dei microsismi rilevati nel Nord Italia. Nei mesi di Giugno ed Agosto, la coppia di ricevitori puntata verso il mar Ligure non mostra un chiaro picco di correlazione, al contrario della coppia puntata verso l’oceano Atlantico. Durante questi mesi si registrano i minimi valori spettrali nella banda di frequenza [0.1-1] Hz, così come risulta dalle analisi effettuate per caratterizzare il noise sismico (Cap.4). In questi mesi le Power Density Function (PSD) del noise sismico hanno un picco DF relativamente basso, arrotondato e centrato intorno a 0.2 Hz e vanno a comporre i valori minimi delle Probability Density Function (PDF) intorno a quella frequenza. In definitiva, per poter applicare la tecnica di estrazione di TDGF nella banda dei microsismi nel Nord Italia, è necessario conoscere la posizione delle sorgenti microsismiche, in quanto esse sono disposte eterogenamente nello spazio e sono la causa dominante del contenuto del noise tra 0.1-1 Hz. La presente ricerca ha contribuito all’individuazione di probabili aree sorgenti dei microsismi ed ha indicato qualitativamente le direzioni prevalenti di provenienza del segnale nella banda dei microsismi registrati nel Nord Italia, oltre che evidenziare le problematiche della tecnica di analisi in un’area di studio con queste caratteristiche. L’ultimo aspetto affrontato nella ricerca (Cap.9) riguarda l’influenza dei microsismi nell’applicazione della tecnica dei rapporti spettrali H/V effettuata in siti posti su bacini sedimentari profondi (> 100 m). L’analisi ha utilizzato i dati provenienti da alcune stazioni equipaggiate con sensori short period (risposta piatta > 1 Hz), appartenenti ad un array sismico collocato nella piana di Gubbio nell’ambito del progetto DPC S3 (Convenzione DPC-INGV 2004-2007). Grazie alle osservazioni condotte durante i precedenti anni di ricerca, sono stati selezionati due intervalli temporali, uno estivo ed uno invernale, sfruttando le registrazioni della stazione MAR2 dell’INGV-MI, installata nel centro del Nord Italia. Il criterio di scelta è stato individuare un periodo con debole attività microsismica e uno con intensa attività microsismica. Per i giorni selezionati sono state calcolate le PSD medie su 10 minuti di segnale, utilizzate poi per calcolare le PDF di ogni periodo d’analisi. Le PDF hanno mostrato come bassi livelli di segnale possono essere al di sotto del rumore strumentale, limitando le analisi fino a determinate frequenze. Per la stazione posta sopra la parte più profonda del bacino sedimentario, la frequenza di risonanza nel punto di osservazione ricade ad una frequenza così 154 bassa (0.3 Hz) che il segnale registrato nel primo periodo di analisi (periodo estivo) è affetto dal rumore strumentale. Infatti, le analisi mostrano come nel periodo di debole attività microsismica, applicando la tecnica del rapporto spettrale H/V, emerge un picco poco espresso, instabile nel tempo, che in alcuni casi non compare. Al contrario, quando nel secondo periodo c’è sufficiente segnale sismico e la strumentazione impiegata ha caratteristiche differenti, il rapporto Segnale/Disturbo è favorevole fino a frequenze inferiori alle precedenti (0.12 Hz); il picco di risonanza è chiaramente evidente (0.3 Hz), stabile nel tempo, con trascurabili oscillazioni in ampiezza dovute alla maggiore o minore energia presente nel segnale. Oltretutto, la frequenza del picco nel primo periodo è centrata a 0.35 Hz, mentre nel secondo periodo è pari a 0.3 Hz. Quest’ultimo valore è confermato e validato da una precedente analisi di altri autori, effettuata su segnali di terremoti. Quindi, verificando l’intervallo di frequenza in cui le registrazioni del segnale sono affidabili, è stato possibile utilizzare il segnale microsismico per calcolare una corretta frequenza di risonanza del pacchetto sedimentario al di sotto del punto di misura. Da questa analisi, risulta che è fondamentale conoscere le condizioni sperimentali in cui si opera, quando si indagano frequenze al di fuori della risposta piatta dei sensori sismici, le quali, inoltre, potrebbero essere interessate da un elevato rumore strumentale. Eseguendo campagne speditive di microtremore sulla superficie di bacini profondi, per i quali ci si aspettano frequenze di risonanza minori di 1 Hz, la variabilità dei microsismi diventa significativa se le misure vengono effettuate nei periodi di minor segnale, in quanto le oscillazioni annuali dei livelli spettrali in quella banda di freqeunza possono toccare i 30-35 dB. In conclusione, la tesi è stata impostata per contribuire al miglioramento della conoscenza del contenuto del noise sismico ambientale, evidenziando l’importanza e la necessità di una comprensione a priori del segnale utilizzato per poter applicare in modo corretto le tecniche di analisi empiriche, permettendo una migliore interpretazione dei risultati. 155 APPENDICE A 156 A. Probability Density Function in siti del Nord Italia Di seguito vengono mostrate le Probability Density Function (PDF) delle stazioni sismiche gestite dall’INGV-MI nel Nord Italia (Fig.1.2, Cap.1). La descrizione delle caratteristiche peculiari delle PDF ottenute ad ogni sito sono descritte nel Cap.4. Per ogni stazione viene presentata la PDF totale ottenuta elaborando le registrazioni relative alle tre componenti del sensore e le PDF reltive alle registrazioni delle singole componenti. Ogni riquadro riporta il numero di Power Spectral Density (PSD) utilizzate per calcolare le distribuzioni dei valori delle PDF. Fig.A.1 PDF della stazione sismica ASO2. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 157 Fig.A.2 PDF della stazione sismica BAG3. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 158 Fig.A.3 PDF della stazione sismica CTLE. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 159 Fig.A.4 PDF della stazione sismica CTL2. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 160 Fig.A.5 PDF della stazione sismica LAB2. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 161 Fig.A.6 PDF della stazione sismica MAR2. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 162 Fig.A.7 PDF della stazione sismica MER2. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 163 Fig.A.8 PDF della stazione sismica NEGR. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 164 Fig.A.9 PDF della stazione sismica MI50. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente Est-Ovest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 165 Fig.A.10 PDF della stazione sismica MI61. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 166 Fig.A.11 PDF della stazione sismica SONC. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 167 Fig.A.12 PDF della stazione sismica MAL3. Tt: tre componenti; VT: componente verticale; EW: componente EstOvest; NS: componente Nord-Sud. Linea tratteggiata: NHNM; linea tratto-punto: NLNM (Peterson 1993). Per ogni riquadro è indicato il numero (#) di PSDs utilizzate per stimare la PDF. 168 BIBLIOGRAFIA Aki, K., (1957), Space and time spectra of stationary stochastic waves, with special reference to microtremors, Bull. Earthquake. Res. Inst. Tokyo, 35, pp. 415-457. Aki, K., (1965), A note on the use of microseisms in determining the shallow structures of the earth's crust, Geophysics, 30, 4, pp.665-666. 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