1 Educazione alla Cittadinanza. Una cultura critica a prova di una

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1 Educazione alla Cittadinanza. Una cultura critica a prova di una
Educazione alla Cittadinanza. Una cultura critica a prova di una nuova
cittadinanza
Charles Heimberg (Università di Ginevra)
Nella società odierna, le finalità della scuola pubblica perseguono due tipi di obiettivi diversi,
in parte complementari, ma anche in parte contraddittori. Il primo si colloca in una prospettiva
di adesione, di appartenenza alla collettività, cioè di riproduzione, sia identitaria che sociale,
allorché il secondo concerne maggiormente la nozione di emancipazione e la costruzione di
una capacità di distanza critica, di riflessività e di pensiero autonomo nella propria vita
sociale. Ovviamente, le pratiche scolastiche in materia di educazione alla cittadinanza si
collocano tutte in qualche parte tra queste due tendenze.
Vorremmo quindi sviluppare due proposte diverse in questa comunicazione. La prima
consiste nell’affermare che la conoscenza delle scienze sociali apre a una dimensione
emancipatrice che permette al giovane e al cittadino di muoversi nel mondo con una
maggiore consapevolezza dei fenomeni che lo caratterizzano, e con una maggiore capacità
di agire, in conformità colle sue scelte personali, fatte in modo autonomo e responsabile. La
seconda proposta postula per conto suo la necessità, nel contesto scolastico, di riflettere
seriamente sulla possibilità di far valere senza prescrivere, cioè di promuovere la
cittadinanza evitando ogni forma di catechismo laico e di condizionamento morale e
ideologico.
L’educazione alla cittadinanza si profila nella scuola come un concetto polisemico e in parte
ambiguo. Nella realtà delle pratiche pedagogiche, si configura, dando di volta in volta più
importanza all’uno o all’altro, all’interno di un triangolo i cui tre vertici hanno significati diversi:
il primo sarebbe il civismo, inteso nel senso di conoscere le istituzioni politiche e associative
e i diversi modi di gestione collettiva della società (arbitraggi, decisioni, progetti, proteste,
ecc.); il secondo, la civiltà, corrisponderebbe essenzialmente al rispetto altrui, delle istituzioni
e delle varie leggi e regolamenti; infine, il terzo, appunto la cittadinanza, permetterebbe di
sviluppare le riflessioni sulla società, i suoi problemi collettivi e la discussione sui modi di
risolverli. Precisiamo che queste definizioni sono usate specificamente, e in modo esplicito,
nella presente riflessione. Tuttavia, nel passato come nel presente, gli usi delle parole
civismo e cittadinanza possono corrispondere a significati diversi. Peraltro, conviene
sottolineare quanto la dimensione di civiltà, colla sua dinamica prescrittiva, sia stata e
rimanga più naturalmente presente nella scuola, al contrario di una dinamica di cittadinanza
fondata sull’analisi di problemi di una società in stretta relazione colle scienze sociali. Detto
in un’altra maniera, la presenza effettiva della dimensione di cittadinanza nelle classi dipende
strettamente, in fin dei conti, dall’impegno civico e pedagogico dei docenti1.
Un’altra finalità fondamentale della scuola pubblica consiste nel permettere a tutti gli allievi,
attraverso l’apprendimento, di superare le loro rappresentazioni sul mondo derivanti dal
senso comune. Lev Vygotski ha teorizzato questa necessità di passare da concetti naturali a
concetti scientifici come ragion d’essere dell’istituzione scolastica2. Il lavoro in classe sulla
società e i suoi problemi non avrebbe senso senza la prospettiva di decostruire gli stereotipi
e la doxa3 che si esprimono quotidianamente nei media e nello spazio pubblico, oscurando
1
Si veda Charles Heimberg, « L’éducation à la citoyenneté à Genève et en Suisse romande : comment faire
valoir sans prescrire ? », Vierteljahrsschrift für wissenchaftiche Pädagogik, Paderborn, Verlag Ferdinand
Schöningh, n° 87, 2011 / 3, pg. 520-532.
2
Si veda Charles Heimberg, « Piaget, Vygotski et l’histoire enseignée : un rapport de Piaget et ses
prolongements », Le cartable de Clio, n°1, Le Mont-sur-Lausanne, LEP, 2001, pg. 78-83.
3
Per Pierre Bourdieu, « la doxa è un punto di vista particolare, il punto di vista dei dominanti, che si presenta e
s’impone come il punto di vista universale ; il punto di vista di coloro che dominano dominando lo Stato, e che
hanno costituito il proprio punto di vista in punto di vista universale facendolo Stato » : in Raisons pratiques. Sur
la théorie de l’action, Paris, Seuil, 1994, p. 129 (Il senso pratico, Roma, Armando Editore, 2005).
1
l’intelligibilità del presente. Concepire la dimensione di cittadinanza nel progetto educativo
della scuola non può quindi far trascurare il rapporto stabilito tra le attività degli alunni e i
saperi relativi, derivanti dalle scienze sociali. Perché andare a scuola se non c’è data la
possibilità di superare i luoghi comuni, i cliché, il pensiero morboso che ci toglie ogni
capacità di pensare il mondo? Perché inserire la dimensione della cittadinanza nei curriculi
se questa non costituisce un’opportunità per imparare a esercitare un pensiero critico?
La conoscenza delle scienze sociali apre a una dimensione emancipatrice
Le scienze sociali sono molto diverse, ma soltanto due, la storia e la geografia, hanno
trovato posto nei curricoli delle scuole. Questo fatto si spiega alla luce del contesto
nazionalista dell’800, periodo dell’invenzione della tradizione4, ma anche del sorgere della
scuola pubblica obbligatoria. Storia e geografia hanno tutte e due partecipato all’emergere
delle nazioni e alla diffusione dei loro racconti tra i giovani scolarizzati. Le versioni
scolastiche di questi racconti sono state concepite con queste finalità, e queste sono molto
diverse di quelle di oggi. La scuola contemporanea, che è obbligata a rispettare gli impegni
internazionali che riguardano i diritto dell’infanzia e dei giovani, non può più accontentarsi di
essere un luogo di addestramento civico e ideologico. Si rivolge per necessità a tutti gli allievi
di ogni età e ha ormai l’ambizione democratica di partecipare alla formazione di cittadini che
siano informati, capaci di riflettere e socialmente responsabili.
Vediamo quindi, per ogni disciplina, quali sono i suoi contributi e a quali condizioni questi
possano essere mobilitati.
La storia è la scienza di un cambiamento, la scienza delle differenze, diceva il grande storico
Marc Bloch5. Aggiungeva pure un’idea che ci pare assolutamente centrale per quanto
riguarda la responsabilità sociale degli storici e l’uso pubblico della storia:
Sotto la sua forma più caratteristica, quest’idolo della tribù degli storici ha un nome : è
l’ossessione delle origini. Nello sviluppo del pensiero storico, questa ossessione ha avuto il
6
suo momento di favore particolare .
[…]
Il proverbio arabo l’ha detto prima di noi : « Gli uomini rassomigliano di più al loro tempo che
ai loro padri. » Non avendo meditato su questa saggezza orientale, lo studio del passato si è a
7
volte discreditato .
Lo sguardo della storia sulle società del passato permette di ricostruire i presenti del passato
e il vissuto degli attori, tra il campo d’esperienza del loro passato e l’orizzonte di attesa del
loro futuro. Il pensiero storico mobilita una diversità di temporalità nella narrazione, la varietà
dei periodi utili alla comprensione dei fenomeni del passato, la successione o la copresenza
di universi mentali specifici tra le popolazioni. Una delle sue funzioni principali per il presente
consiste nel mettere a distanza le analogie tra passato e presente (che spesso vengono
strumentalizzate) sviluppando invece una comparazione che mette in rilievo sia le continuità
storiche che le rotture, prodotte dalla estraneità del passato nei confronti del presente. La
storia cerca ugualmente di connettere le diverse scale spaziali per costruire un racconto del
passato, tra il locale e il globale, che sia di tutti e non solo di gruppi o nazioni particolari8.
Ovviamente, questa funzione critica della storia prevale solo a patto che si tratti di una storia
aperta alla comunità di destino del mondo, concepita e sviluppata da problemi determinati
4
Eric J. Hobsbawm e Terrence Ranger (a cura di), L'invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987 (1983).
Marc Bloch, L’Histoire, La Guerre, la Résistance, Paris, Quarto Gallimard, 2006, pg. 475 (riproduzione di una
conferenza del 1937).
6
Ibid., pg. 868. In italiano, si veda Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 2009.
7
Ibid., pg. 873.
8
Si veda Charles Heimberg, « L’enseignement de l’histoire dans un pays d’immigration : la Suisse », in Ramón
López Facal & al. (Eds), Pensar históricamente en tiempos de globalización, Atti del primo congresso
internazionale sull’insegnamento della storia (30 giugno-2 luglio 2010), Santiago di Compostela, Pubblicazioni
dell’Università di Santiago de Compostela, 2011, pg. 21-35.
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2
dalla volontà di risolvere i problemi sensibili, i conflitti di memorie e capace di affrontarli
senza rinunciare ai suoi prerequisiti scientifici.
La geografia, seconda disciplina scolastica, a volte strettamente collegata alla storia, è la
scienza degli spazi e della loro pianificazione. Ci fa capire quanto i paesaggi ai quali siamo
abituati costituiscono delle costruzioni umane. Questa disciplina non può quindi più essere
descrittiva, ma partecipa alla comprensione della complessità delle società mettendo, tra
l’altro, in evidenza, i significati vari che scaturiscono dal considerare uno stesso problema di
pianificazione su scale spaziali diverse. Dovrebbe permettere inoltre di affrontare:
problematiche geografiche strutturali come le disuguaglianze socio-spaziali, i rapporti di
potere materializzatosi nello spazio, le nozioni di frontiera, di discontinuità spaziale oppure
9
ancora d’inaccessibilità (agli spazi privati, pubblichi, agli servizi…) .
Il contributo della geografia scolastica al progetto di educazione alla cittadinanza inserito
nelle finalità scolastiche è condizionato, anch’esso, da un certo orientamento della disciplina
secondo il quale:
Lo spazio non è soltanto una struttura esterna da studiare, ma contribuisce alle nostre
condizioni di vita. La consapevolezza dello spazio come risorsa da condividere, da distribuire,
da aprire, anziché da limitare o da accettare in limiti mai abbastanza interrogati, potrebbe
10
partecipare di un’azione educativa decisamente emancipatrice .
Oltre la storia e la geografia, altre discipline di scienze sociali contribuiscono all’intelligibilità
del mondo, ma senza essere propriamente presenti nei curricoli. Alcuni elementi di queste
discipline sono inseriti a volte nei contenuti della storia e della geografia scolastiche, oppure
passano attraverso le attività di educazione alla cittadinanza. La loro assenza della scuola ci
pare tuttavia deplorevole.
Tra queste discipline accenneremo qui sotto al diritto, alla sociologia, alla psicologia sociale,
alla linguistica e anche, con tutta la distanza critica indispensabile, alle cosiddette scienze
economiche11.
Il diritto e le sue regole ci aiutano a capire i modi stabiliti dalla società per gestire i conflitti
d’interesse, e forse di legittimità, che caratterizzano la vita collettiva. Ci sensibilizzano alle
priorità riservate ai principi più fondamentali, oppure a delle questioni come la proporzionalità
della pena, la prescrizione dei delitti, la giurisprudenza, ecc. L’educazione alla cittadinanza si
nutre delle informazioni fornite dal diritto quando interroga le sue pratiche, l’indipendenza
della giustizia oppure i rapporti di potere di cui può essere l’espressione. La legislazione va
rispettata, ma deve anche essere considerata come sempre discutibile. Suppone pertanto la
possibilità di evoluzioni ulteriori del diritto, nel rispetto della separatezza dei poteri.
La sociologia esamina il presente delle società, il loro funzionamento, i modi di essere e di
vivere della gente. Ci incita a percepire la ragione di essere e l’evoluzione delle tradizioni,
delle abitudini quotidiane e delle disuguaglianze sociali. Mette prima di tutto in evidenza gli
habitus, cioè i sistemi di disposizioni regolate con i quali ogni individuo assicura la propria
socializzazione. La sociologia della memoria, di Maurice Halbwachs12, postula la pluralità
delle identità personali costruite in vari ambienti. I diversi concetti della sociologia
contribuiscono in fine di conto alla postura critica che conduce à non dare per naturale ciò
che risulta dalle costruzioni sociali.
9
Cécile Gintrac e Sarah Mekdjian, « Une géographie critique du territoire national est-elle possible ? »,
comunicazione alla giornata di studi Bousculer la nation ? del Collettivo Aggiornamento Histoire-géographie,
Parigi, 14 aprile 2012. Si veda : http://aggiornamento.hypotheses.org/859, consultato in agosto 2012.
10
Ibid.
11
Non abbiamo inserito la scienza politica in questa presentazione nella misura in cui i lavori prodotti da questa
disciplina si rivelano spesso problematici per i loro usi macroscopici del concetto di opinione pubblica. La scienza
storica ci impara invece a considerare la complessità delle esperienze e delle attitudini degli attori sociali di ieri e
di oggi. Avremmo invece potuto inserire la filosofia, per cui la nostra rinuncia deriva unicamente da una nostra
mancanza di competenze.
12
Maurice Halbwachs, I quadri sociali della memoria, S. Maria Capua Vetere, Ipermedium libri, 1997 (1925).
3
La psicologia sociale ci descrive alcuni meccanismi collettivi che producono comportamenti
irrazionali, in particolare nel campo dell’eterofobia e di tutte le manifestazioni del razzismo.
Conoscere questi fenomeni permette senza dubbio di migliorare i dispositivi educativi, ma
anche di mettere in discussione cogli allievi i modi per lottare contro le espressioni dell’odio e
per interrogare ogni forma di discriminazione.
Infine, l’analisi linguistica, come quella delle immagini, costituisce uno strumento molto utile
per decostruire il linguaggio dei poteri, della propaganda, la moltitudine delle parole e delle
formule che ci incitano a integrarci, senza saperlo, nel pensiero dominante. Nella scuola, il
laboratorio della cittadinanza dovrebbe assumere in modo prioritaria questa messa a
distanza critica del linguaggio di senso comune che contribuisce a fabbricare l’opinione
pubblica, come aveva fatto Victor Klemperer di fronte all’emergere del nazismo13.
L’ultimo accenno concerne l’economia. Dal punto di vista scientifico, le teorie economiche si
presentano come particolarmente contraddittorie e infarcite dei pregiudizi ultraliberali che
hanno portato il sistema economico alla crisi che stiamo vivendo. Le scienze economiche
non rappresentano in questo caso una fonte di sapere che ci permette di analizzare la
situazione. Esiste tuttavia tra gli economisti una robusta tradizione critica che permette ai
docenti di fare discutere ai loro allievi le teorie e gli orientamenti dell’economia nel contesto
dell’educazione alla cittadinanza14.
La costruzione scolastica della cittadinanza si sviluppa quindi, prima di tutto, con un lavoro di
apprendimento e di riferimento alle risorse concettuali e cognitive delle scienze sociali.
Conviene tuttavia interrogarsi sul cosa, sul come e sul perché imparare.
Conviene riflettere seriamente alla possibilità di far valere senza prescrivere
L’idea di far valere senza prescrivere non è effettivamente e completamente realista nella
misura in cui corrisponde in qualche maniera a una forma di dilemma irrisolvibile per i
docenti interessati. Esprime prima di tutto un’intenzione pedagogica rispettosa della
personalità e dei diritti degli allievi. Ma illustra contemporaneamente il fatto che la scuola non
può permettersi di trascurare la promozione di alcuni valori democratici. In fine di conto, il
problema posto da questa formula ci indica una direzione da seguire e lascia profilarsi un
arco di finalità da proseguire.
Nel campo della scuola odierna si osservano parecchi fenomeni che tendono a distaccare la
cittadinanza in costruzione dal sapere critico e dalle scienze sociali. Pensiamo a questo
proposito alla moltiplicazione nei curricoli scolastici di une moltitudine di « educazioni a… »,
educazione alla salute, allo sviluppo sostenibile, alla multiculturalità, alla scelta in materia di
orientamento nella vita e la formazione professionale e anche… alla cittadinanza. In ogni
caso, si tratta di rispondere a delle domande sociali spesso legittime: lotta contro la
trasmissione di malattie o contro l’uso di stupefacenti, prevenzione del razzismo, della
xenofobia o dell’omofobia, problemi dell’ambiente, ecc. Tuttavia, questa maniera di
concepire e di organizzare i curricoli rischia di indurre delle forme di moralizzazione, di
catechismi laici, che non serviranno a niente, né per aiutare i ragazzi a pensare, né per
sensibilizzarli davvero a questi problemi.
Dalle mie esperienze d’insegnamento e di formazione di docenti traggo le conclusioni
seguenti: la costruzione scolastica della cittadinanza necessita un centramento sui concetti e
sui modi d’analisi delle discipline di scienze sociali, a patto che queste siano orientate nella
prospettiva della loro funzione critica. L’educazione alla cittadinanza non dovrebbe
trascurare una dimensione cognitiva che ci fornisce le migliori possibilità di evitare la trappola
13
Victor Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Firenze, La Giuntina, 1999.
Per una critica del discorso dominante, si veda ad esempio il Manifeste des économistes atterrés, Parigi, Les
liens qui libèrent, 2010, oppure il sito http://atterres.org/, consultato in agosto. Si vedano anche Les économistes
atterrés, L’Europe maltraitée. Refuser le Pacte budgétaire et ouvrir d’autres perspectives, Parigi, Les liens qui
libèrent, 2012.
14
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delle ingiunzioni e delle prescrizioni sterili.
Consideriamo brevemente due esempi. Quando la trasmissione della storia si riduce ad un
dovere della memoria, sacralizzato e ritualizzato, non contribuisce per niente alla costruzione
di un’intelligibilità del passato. Quando la geografia si accontenta di predicare i precetti
dell’educazione allo sviluppo sostenibile, quando dei ragazzi procedono alla raccolta
differenziata dei rifiuti senza lavorare sui problemi della gestione di questi rifiuti, e dei traffici
criminali a livello internazionale, la scuola non assume il suo compito di educazione critica e
informata alla cittadinanza. Dobbiamo permettere agli allievi di riflettere sul mondo e di
analizzarlo, ma non tocca a loro farsi carico del peso dei problemi del mondo. Non sono loro
che hanno ucciso le vittime dei crimini di masse del ‘900. Non sono loro che inquinano il
pianeta con delle scelte economiche irresponsabili.
Per concludere
Nel campo dell’educazione pluriculturale, a cui sono peraltro molto attento, direi che la
trappola principale consisterebbe nel confinare gli uni e gli altri nelle loro identità, affermate o
presunte. Une vera integrazione di tutti i migranti discriminati, une vera solidarietà con tutte
le minoranze, implica i due tempi successivi del loro riconoscimento sociale, che affrontino la
questione della loro cultura e delle loro differenze, e, insieme, della loro integrazione nello
spazio pubblico e sul territorio.
Vorremmo quindi concludere questa riflessione citando le parole di un filosofo belga,
Édouard Delruelle, responsabile di un centro che lotta contro le discriminazioni e in favore
dei diritti delle minoranze :
L’opposizione tra « passioni allegre » e « passioni tristi » viene da Spinoza, come si sa.
Secondo Spinoza, l’uomo è caratterizzato dal suo sforzo per perseverare nell’esistenza.
Possiamo anche chiamare questo sforzo: desiderio. […] Le passioni allegre realizzano
l’essenza stesso del desiderio, che è lo sforzo affermativo della soggettività completa, totale,
che si espande in tutte le sue dimensioni. Le passioni tristi esprimono il movimento contrario,
che è la riduzione della potenza di esistere, la separazione della soggettività da alcuni delle
sue dimensioni, esistenziali e fondamentali.
[…]
La mia ipotesi è che la dinamica passionale dei conflitti identitari […] sia tendenzialmente
negativa nel senso di Spinoza, perché esprime solo parzialmente, quindi inadeguatamente e
negativamente, la nostra potenzialità soggettiva, mentre la dinamica dei conflitti sociali è
tendenzialmente positiva, perché esprime totalmente, quindi adeguatamente e positivamente,
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la potenzialità di vita, di lavoro e il linguaggio del soggetto .
Le scienze sociali ci forniscono una vastità di dati e di argomenti per difendere i diritti dei
migranti e respingere le accuse speciose che sono formulate su di loro. Succede però ogni
tanto che questo vaglio critico non basti per modificare le rappresentazioni diffuse.
Partiremmo quindi da queste belle parole di Delruelle per convincerci della pertinenza del
compito di orientare l’educazione alla cittadinanza all’esame delle questioni sociali e dei vari
modi di risolverle. La gravità della crisi finanziaria e politica europea, e con essa i diktat
ultraliberali che provoca, e che la rafforzano contemporaneamente, ci mettono realmente
davanti alla necessità di insegnare e di interrogare il sociale. L’educazione alla cittadinanza,
che non può, in nessun modo, essere confinata in lezioni di morale oppure in prescrizioni di
adesione alla società così come è, si fa carico della responsabilità, in stretta relazione
coll’insegnamento delle scienze sociali, di assicurare l’accesso di tutti gli allievi alla
possibilità di pensare il mondo e di discuterne liberamente, ma anche con argomenti
ragionati e scientifici.
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Intervista nel Cartable de Clio, Losanna, Antipodes, n° 10, 2010, pg. 201.
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