subiaco - Calino

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subiaco - Calino
SUBIACO
Subiaco è il centro più grande dell’alta Valle dell’Aniene e si trova all’interno del Parco Naturale
Regionale dei Monti Simbruini, l’area protetta più estesa del Lazio. A 70 Km da Roma è il luogo
ideale per una vacanza in totale relax o per praticare diverse attività. Numerose sono le attrattive
culturali, ad iniziare dai monasteri benedettini di Santa Scolastica e San Benedetto, luoghi ricchi di
arte testimoni della lunga storia del nostro territorio. Per gli amanti della natura e dello sport è
l’ambiente ideale per praticare sci, trekking, mountain bike, rafting, equitazione o lunghe
passeggiate per i sentieri del Parco.
Il Monastero di San Benedetto
Il Monastero di San Benedetto, conosciuto anche come Sacro Speco, sorse alla fine del XII secolo
attorno alla grotta dove il monaco trascorse i primi anni della sua vita monastica.
La costruzione del grande complesso si trova abbarbicata sulla roccia, a strapiombo sulla valle; per
arrivarci si deve percorrere un sentiero in salita tra alberi di leccio, chiamato Bosco Sacro.
Il complesso conventuale è articolato su diversi livelli, con corridoi, scale, due chiese, la cappella di
San Gregorio, sulla quale si apre il Sacro Speco, ossia la grotta in cui visse San Benedetto.
Appena entrati dal piazzale, da cui si gode un panorama sulla valle sottostante, si attraversa un
corridoio, con affreschi umbri alle pareti, per giungere alla Chiesa Superiore (della metà del XIV
secolo).
La Chiesa Superiore consta di più ambienti ed è tutta decorata con affreschi senesi ed umbromarchigiani, tra i quali spicca un pergamo del '200.
Scendendo delle scale, dalle pareti pure affrescate, si giunge alla Chiesa Inferiore, formata da varie
cappelle, ricavate negli anfratti della roccia. Tutte le pareti risultano affrescate in varie epoche, ma
quelli risalenti al '200 sono attribuiti al maestro Consolo.
La prima chiesa in muratura, che racchiudeva due grotte del Taleo - nelle quali Benedetto restò
per tre anni - fu edificata solo nel sec. XI per volere dell’abate Umberto. La vita monastica in forma
organizzata vi iniziò nel 1200 circa. La cappella di San Gregorio fu costruita in seguito e consacrata
probabilmente nel 1224, alla presenza di Francesco d’Assisi che in quel tempo si trovava a Subiaco.
Il monastero com’è attualmente visibile fu costruito nella seconda metà del sec. XIII dagli abati
Enrico e Bartolomeo.
Si giunge al Sacro Speco attraverso una scalinata circondata da un boschetto di lecci. Sulla
porticina gotica che introduce al loggiato si trova una croce a mosaico del XIII secolo; in fondo si
raggiunge una porta con affreschi del XV secolo di scuola umbra e si accede alla Sala del Capitolo
Vecchio, ricca di dipinti della scuola del Perugino, risalenti alla prima metà del XVI secolo.
Si accede dunque alla Chiesa superiore (23x5,45 metri). La prima parte - con affreschi della scuola
senese - è un rifacimento di una costruzione del sec. XIII operata il secolo successivo: è possibile
vederne ancora le tracce. Gli affreschi riproducono scene della vita di Gesù: l’Entrata Trionfale di
Gesù a Gerusalemme la domenica delle palme; il Viaggio di Gesù al Calvario; la Crocifissione. La
seconda parte della chiesa custodisce affreschi della scuola umbro-marchigiana del sec. XV. Sono
scene della Vita di San Benedetto, tra cui il Santo che sanguina tra le spine; l’Attentato dei monaci
di Vicovaro; la Guarigione del monaco accidioso.
Anche le pitture del Transetto appartengono alla scuola umbro-marchigiana e tra queste si notano
l’Ultimo colloquio di San Benedetto con Santa Scolastica prima della morte della Santa e la Visione
di San Benedetto che vede volare in cielo l’anima della sorella Scolastica sotto forma di colomba.
Scendendo i gradini davanti all’altare maggiore si raggiunge la Chiesa inferiore, a due piani. Le
pareti sono ricoperte di pitture della scuola popolare romana, in gran parte opera del Magister
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Conxolus, artista del secolo XIII. Sulla parete sinistra sono rappresentati il Prodigio in Affile del
Santo; l’Incontro con San Romano e il Ritiro nella grotta. Più in basso, il Miracolo del Goto e, sulla
porta del Coro, il Miracolo di San Placido.
Dalla Chiesa inferiore si accede al Sacro Speco (o Santa Grotta) dove S. Benedetto trascorse tre
anni di vita eremitica. Il paliotto dell’altare (secolo XIII) è opera dei Cosmati e il mosaico
dell’abside della scuola vaticana. Sullo sfondo si può ammirare la statua di San Benedetto nella
grotta, scolpita nel 1637 da Antonio Raggi. Tutto intorno, la roccia nuda richiama alla riflessione e
alla preghiera.
Una scala a chiocciola conduce alla cappella di San Gregorio. Nell’atrio si trova un affresco del
Conxolus che rappresenta Santa Chelidonia, eremita benedettina vissuta nella grotta di Morra
Ferogna nel XII secolo. Interessante è, inoltre, l’affresco di San Francesco d’Assisi, rappresentato
senza aureola né stimmate, e dunque dipinto prima del 1224 (anno in cui ebbe le stimmate),
quando il Santo era ancora in vita.
Dalla cappella di San Gregorio si scende lungo la Scala Santa, entrando alla cappella della
Madonna. In questa cappella si conservano le ossa del Beato Lorenzo Loricato, morto nel 1243 e
trasportato nel Sacro Speco nel 1724.
Dalla cappella della Madonna si scende ancora verso la Grotta dei Pastori, dove S. Benedetto
impartiva lezioni di dottrina cristiana ai pastori dei dintorni. Sulla roccia viva si può notare un
frammento di pittura bizantina dell’VIII secolo, raffigurante la Madonna col Bambino e due santi ai
lati.
Uscendo all’aperto, infine, si accede a quello che, fino al 1870, era il piccolo cimitero dei monaci
dello Speco. Adiacente a esso è il Roseto di San Benedetto, il roveto fra le cui spine San Benedetto
si gettò per vincere la tentazione, e dove poi San Francesco, durante la sua visita al Sacro Speco
nel 1224, innestò delle rose. L’episodio di cui è protagonista San Francesco è raffigurato su una
parete da un affresco del XVII secolo, opera del Manenti.
Dal Roseto è possibile ammirare il complesso architettonico del santuario e le varie strutture che lo
caratterizzano.
Orari di visita: ore 9,00–12,30; 15,00–18,00
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Il Monastero di Santa Scolastica
Il Monastero dedicato a Santa Scolastica, sorella di San Benedetto, è l'unico (dei dodici fondati in
questa zona da Benedetto di Norcia) sopravissuto a terremoti e invasioni saracene.
Esso è ubicato a pochi chilometri da Subiaco, in una zona amena, tra i boschi, nel Parco dei Monti
Simbruni.
Ci sono tre chiostri: il primo, rinascimentale, è il più recente ed il terzo è il più interessante per le
colonnine marmoree dai bei capitelli, opera dei Cosmati(XIII secolo).
La Chiesa conserva la facciata del '200 sul secondo chiostro, al quale si accede attraverso un un
grande arco gotico fiammeggiante; l'interno della Chiesa (settecentesco) è del Guarenghi.
Un campanile, a trifore, svetta alto sull'ampio complesso conventuale.
Il protocenobio di Santa Scolastica è uno dei tredici monasteri fondati da S. Benedetto nella zona,
l’unico sopravvissuto alle vicissitudini dei secoli. Fondato nel 520, è il più antico monastero
benedettino d’Italia e del mondo.
Il nome primitivo era monastero di San Silvestro, poi, alla fine del IX secolo, dopo le invasioni dei
Saraceni, monastero e chiesa furono intitolati ai Santi Benedetto e Scolastica. I secoli X-XI furono il
periodo di massimo sviluppo: il monastero ricevette in dono molti beni e vi fu costruita una nuova
grande chiesa romanica consacrata nel 980.
Nel secolo XII iniziò la vita cenobitica anche al Sacro Speco e, per evitare confusione fra i due
monasteri, il Sacro Speco fu intitolato a San Benedetto, mentre la sottostante Badia assunse dalla
fine del XIV secolo il nome attuale di Santa Scolastica.
Dalla metà del XIV secolo all’inizio del XVI la comunità monastica sublacense registrò una forte
presenza di monaci europei, soprattutto tedeschi. Dalla Germania giunsero anche, verso il 1463, i
due stampatori Corrado Sweynheim e Arnoldo Pannartz, per opera dei quali venne installata la
prima tipografia italiana nel chiostro del protocenobio.
Nel 1456 all’abbazia di Subiaco fu applicata la Commenda; il monastero perse così sui paesi
dell’abbazia il potere temporale, che passò al commendatario. La Commenda venne soppressa nel
1915 da papa Benedetto XV.
Gli eventi bellici del secondo conflitto mondiale hanno danneggiato la facciata del monastero e
parte del primo chiostro, prontamente restaurati dopo la guerra.
Gli edifici di cui si compone il monastero di Santa Scolastica sono stati costruiti nel corso dei secoli,
appartengono a epoche differenti e per questo sono talvolta stilisticamente molto diversi.
La facciata è stata ricostruita dopo i bombardamenti del 1944; sul portone d’ingresso spiccano in
altorilievo il motto benedettino “Ora et labora” e la parola “Pax”, concetti fondamentali della regola
dei monaci.
Dall’androne d’ingresso si accede ai tre chiostri. Il primo è il chiostro rinascimentale, terminato nel
1689. Vi si trovano pitture del XVII secolo con i papi che visitarono Subiaco, fotografie e
riproduzioni di documenti, codici e incunaboli conservati nella biblioteca del monastero. Il chiostro
gotico, dall’aspetto medievale, risale alla fine del secolo XIII-inizi del XIV e introduce alla parte più
antica del monastero. Al giardino si accede passando sotto un grande arco gotico “flamboyant” del
secolo XV a doppia arcata. Al centro del giardino c’è un pozzo con ai lati due colonne provenienti
dalla villa di Nerone congiunte da un’architrave. Il chiostro cosmatesco è rettangolare e misura m
12x16 circa. Fu costruito nel secolo XIII, in due fasi. Il lato sud, in pietra calcarea, risale agli inizi
del secolo ed è opera di Iacopo I. Gli altri lati, opera di Cosma e dei figli Luca e Jacopo, risalgono
ai decenni successivi. Per la costruzione è stato utilizzato marmo bianco proveniente dal monastero
di San Clemente, il primo costruito da S. Benedetto, distrutto dal terremoto del 1228. Tra gli
affreschi delle pareti si trovano pitture con i simboli degli evangelisti; particolarmente suggestivo il
San Matteo con l’occhio “centrato”, che sembra osservare il visitatore da ogni parte.
Dal lato ovest del chiostro gotico si osserva il campanile romanico, costruito nel 1052-1053
dall’abate Umberto, importante perché anteriore a tutti i campanili di Roma. È composto da
differenti parti appartenenti a epoche diverse. Ha forma quadrata e misura m 7x7; è costituito da
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sette zone sulla parte basamentale: due a parete piena e cinque con trifore e bifore divise da
colonnine in pietra.
Le chiese del monastero, nel corso dei secoli, sono state cinque. Delle tre più antiche non restano
che tracce, mentre quella neoclassica, la più recente, è stata costruita all’interno delle mura della
precedente chiesa romanico-gotica.
Della chiesa gotica, ricostruita nel XIV secolo, è possibile ammirare il portale originario in pietra
lavorata. È sormontato da una lunetta con un affresco del Quattrocento: la Madonna col Bambino,
tra San Benedetto e Santa Scolastica. La parete del portale è ricoperta di affreschi trecenteschi con
episodi della Vita di San Benedetto.
Alla chiesa neoclassica, dedicata ai Santi Benedetto e Scolastica, si accede dal chiostro
cosmatesco. Fu costruita su progetto dell’architetto bergamasco Giacomo Quarenghi e consacrata
nel 1777; è un notevole esempio di stile neoclassico e si ispira al Palladio. Vi si trova un’urna di
vetro con i resti di Santa Chelidonia, morta nel 1152 e dichiarata patrona di Subiaco nel 1695; le
due colonne in marmo cipollino che sostengono la tribuna d’ingresso provengono dalla villa di
Nerone. Il coro risale al XVII secolo e apparteneva alla precedente chiesa romanico-gotica, le cui
strutture murarie risultano ben visibili dal cortile dell’Assunta e dalla volta della chiesa attuale.
Sugli altari otto pregevoli tele: Trinità coi Santi Mauro e Placido e San Gregorio (entrambe di
Vincenzo Manenti, 1639 e 1646); Sant’Andrea (Mattia Preti); Santi Anatolia e Audace (Antonio
Concioli, 1775); Santi Cosma e Damiano (Pompeo De Ferrari, 1643); Angelo Custode (Stefano
Magnasco); un “caraveggesco” San Girolamo; Velazione di Santa Chelidonia (Marcello da Piacenza,
1577 circa).
Adiacente alla chiesa è la cappella della Madonna, costruita nel 1578, con affreschi di Marcello da
Piacenza. Sulla volta sono rappresentati episodi della vita della Vergine e ai lati i quattro Evangelisti
e i quattro Dottori della Chiesa latina. Sull’altare un quadro della Madonna con Bambino di fronte a
Sant’Anselmo.
Nei sotterranei si trovano inoltre le grotte dedicate a San Pietro III, a Sant’Onorato e alla Madonna
di Lourdes, precedute dalla cappella degli Angeli, risalente al XV secolo. Gli affreschi della cappella
rappresentano il Padre Eterno circondato dai cori angelici; l’Apparizione di San Michele arcangelo
nel Gargano; la Lotta tra gli angeli buoni e quelli ribelli; episodi della vita di Gesù tra cui una
Crocifissione.
Annessa al monastero è la Biblioteca di Santa Scolastica. Nel corso dei secoli, sfortunatamente, c’è
stata una forte dispersione di codici, tuttavia l’archivio-biblioteca conserva documenti e volumi di
grande valore. Attualmente custodisce circa 4.000 pergamene, 380 volumi manoscritti e 213
incunaboli. Tra questi ultimi ricordiamo quelli stampati a Subiaco: le Divinae Institutiones del
Lattanzio e due De Civitate Dei di S. Agostino, risalenti agli anni 1465-1457, quando Corrado
Sweynheym e Arnoldo Pannartz installarono la prima tipografia italiana nel monastero di Santa
Scolastica.
In alcuni locali del monastero sono infine esposti reperti risalenti alla preistoria e alla protostoria di
Roma e della campagna romana, provenienti dalla collezione privata di Luigi Ceselli, donata alla
comunità benedettina di Subiaco nel 1915 da Marco Ceselli.
Il Museo Ceselli si trova nei locali seminterrati del monastero e raccoglie oggetti di grande valore
scientifico riguardanti le scienze geologiche, archeologiche, paleontologiche ed etnologiche. È
intitolato a Luigi Ceselli, ex ufficiale del Genio pontificio e autodidatta dedito alla ricerca
archeologica. I reperti appartengono a un’epoca che va dal VI secolo a.C. all’età tardo-antica, sono
stati raccolti nella seconda metà del XIX secolo e risultano preziosi soprattutto perché molti dei siti
archeologici da cui provengono sono andati distrutti.
La collezione è stata donata al monastero di Santa Scolastica nel 1915 da Marco Ceselli, figlio del
ricercatore.
Orari di visita: ore 9.30–12.30/15.30–19
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La Rocca abbaziale
La Rocca abbaziale, anche detta “Rocca dei Borgia”, fu costruita verso la fine dell’XI secolo
dall’abate Giovanni V. Fu concepita come castello feudale, allo scopo di instaurare il dominio
monastico su Subiaco; per questo sorse sulla cima di una collina, in una posizione dalla quale fosse
possibile tenere sotto controllo l’intero castello sublacense e in particolare i ribelli. Fu munita di
fortificazioni, carceri, una torre di avvistamento, stanze, appartamenti e una piccola chiesa
dedicata a San Tommaso.
La costruzione subì danni a causa del terremoto nel 1349, venne saccheggiata e danneggiata
anche dai sublacensi e per molti anni non fu abitabile.
Nel 1476 la Rocca fu restaurata dal card. Rodrigo Borgia, che la dotò inoltre di una torre
quadrangolare munita di merlature, feritoie, carceri e trappole, allo scopo di difendere la parte più
antica della costruzione. Il card. Rodrigo e la sua famiglia abitarono alla Rocca e, secondo alcuni
storici, qui nacquero nel 1476 e nel 1480 Cesare e Lucrezia Borgia, figli di Rodrigo e della sua
amante Vannozza Caetani.
Dopo il card. Rodrigo la Commenda passò al card. Giovanni Colonna e ad altri membri del suo
casato. Durante il dominio della potente famiglia, a causa dei rapporti difficili con la Santa Sede,
Subiaco fu teatro di scontri fra gli eserciti e la Rocca fu in parte demolita dall’esercito pontificio.
Nel 1778 l’architetto Pietro Camporese, per volere di Pio VI, effettuò dei lavori di restauro che però
eliminarono gli elementi che rendevano la Rocca un castello medievale: la torre venne dimezzata,
eliminata la trappola e le carceri; il nucleo occidentale venne dotato dell’imponente orologio. La
costruzione diventava così un palazzo moderno, adatto a essere utilizzato come residenza
dell’abate commendatario. Vi alloggiarono anche i papi Pio II, Pio VI, Gregorio XVI e Pio IX.
Dopo la soppressione della Commenda (1915) la Rocca abbaziale venne affidata all’abate di Santa
Scolastica e non fu più usata come residenza.
L’intero complesso architettonico è costituito da tre fabbricati distinti, diversi anche per epoca di
costruzione. Salendo al secondo piano dell’edificio centrale si raggiungono le sette camere che
costituiscono gli appartamenti Braschi. Gli affreschi che ricoprono le pareti delle prime tre sale
riproducono i Castelli Abbaziali, risalgono alla seconda metà del Settecento e sono opera di Liborio
Coccetti e dei fratelli Zuccari. La quinta camera, cui si accede attraverso un transetto, era la sala
del trono dell’abate commendatario. Delle decorazioni e dei dipinti originari, oggi restano gli
affreschi della volta, dove si trova il trionfo di Pio VI, circondato da sette figure allegoriche
rappresentanti la Pace, la Giustizia, la Fede, la Fortezza, la Sapienza, la Purezza e la Prudenza.
Sotto il cornicione si può ammirare una serie di scene del Vecchio Testamento.
La settima camera era la camera da letto dell’abate. È divisa in due ambienti; nel primo sono
presenti, oltre al trionfo di Pio VI, affreschi di motivi mitologici e sacri e tre piccoli affreschi
riproducenti Gesù che conferisce il primato a San Pietro, Gesù che cammina sulle acque e San
Pietro che risuscita un morto. Nel secondo ambiente, dove si trovava il letto dell’abate, si trova una
splendida volta impreziosita da nove affreschi tra i quali spicca, al centro, la Gloria di Dio e dei
Santi.
Dalla sala del trono si scende al primo piano dell’edificio, dove si trovano gli appartamenti ColonnaMacchi e la cappella palatina. Nel salone Colonna, anche detto salone “dei banchetti”, si trova una
volta affrescata con al centro uno stemma in pietra del casato.
Scendendo ancora alcuni gradini si accede alle stanze restaurate dall’ultimo commendatario, il
card. Luigi Macchi. Da queste si raggiunge la cappella palatina, ottagonale, in stile neoclassicobarocco, con presbiterio quadrato. Al centro di una cornice a raggiera si trova un quadro della
Madonna del Buon Consiglio, alla quale la cappella è dedicata. Sull’altare in marmi policromi un
ciborio in marmo giallo è impreziosito da lapislazzuli e smeraldi. Il card. Macchi fece restaurare la
cappella nel 1899, come ricorda l’epigrafe marmorea sulla porta, coronata da uno stemma del
commendatario.
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All'interno della Rocca dei Borgia è presente il Museo delle Attività Cartarie e della Stampa.
Giorni di apertura: Tutti i sabato e domenica
Orari di visita: ore 10.00–20.00
Via degli Opifici
La stradina denominata via degli Opifici è un luogo che conserva ancora un aspetto tipicamente
medievale. Conduce verso la parte di Subiaco a ridosso del fiume Aniene, dove si trovavano i
mulini, che utilizzavano appunto le acque del fiume, un pastificio, un frantoio, i forni a legna e le
botteghe dei fabbri.
Nelle pareti esterne di alcune abitazioni della zona sono presenti tre edicole: un affresco della
Madonna dei Ferrari, un’edicola di San Benedetto abate e, in una via vicina, un dipinto su tavola
della Madonna col Bambino.
Si incontra infine un ponte in cardellino a tutto sesto, che ha sostituito nel XVIII secolo quello
medievale a sesto acuto documentato da alcune stampe del Settecento.
La piazzetta di Pietra Sprecata
Nei secoli XIV-XVI la piazzetta di Pietra Sprecata era un luogo molto importante perché situato alla
confluenza delle principali strade di Subiaco. Inoltre il primo abate commendatario, Giovanni
Torquemada, abitò nel palazzetto più antico della piazza.
Proprio da questa abitazione Torquemada emanò degli importanti atti giuridici, come lo statuto di
Subiaco e Castelli Abbaziali del 1456.
La piazzetta è stata restaurata nel 1954, dopo i gravi danni subiti a causa dei bombardamenti del
1944.
I motivi architettonici medievali fanno della piazzetta di Pietra Sprecata un luogo altamente
suggestivo. Su uno dei due archi gotici si trova un affresco del XIV secolo che ritrae il Salvatore tra
San Benedetto e San Francesco d’Assisi.
Un altro arco gotico si trova a sinistra di un pilastro in muratura. Su di esso si nota un’edicola con
tettoia che dalla fine del 1700 custodisce l’effigie della Madonna della Pietà. La venerazione dei
sublacensi nei confronti di questa effigie è dovuta al ricordo di un miracolo verificatosi il 19 luglio
1796.
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Chiesa e convento di San Francesco
Quando Francesco d’Assisi visitò il monastero di San Benedetto, nel 1223, l’abate di Santa
Scolastica Giovanni VI gli donò un oratorio denominato San Pietro in desertis, sul quale Francesco
costruì un ospizio per i suoi frati.
Nel 1327, sul vecchio oratorio, sorse l’attuale complesso costituito dalla chiesa e dal convento
intitolati al Santo fondatore.
La chiesa è a navata unica con soffitto a capriate. Il dipinto principale è il grande trittico che
sovrasta l’altare maggiore, datato 2 ottobre 1467 e firmato da Antoniazzo Romano. Vi sono
rappresentati la Vergine col Bambino e, ai lati, San Francesco e Sant’Antonio da Padova. Nella
parte superiore è presente un altro trittico, aggiunto nel Seicento, con al centro l’Eterno Padre e ai
lati due Angeli in adorazione. Dietro l’altare maggiore è possibile ammirare un coro in noce
intarsiato, opera cinquecentesca di un francescano reatino.
Lungo la parete destra sono presenti tre grandi altari in legno con cornici e colonne barocche, su
ognuno dei quali è presente un quadro: San Francesco che riceve le stimmate sul monte della
Verna, attribuito a Sebastiano del Piombo; un quadro dell’Immacolata di autore ignoto e lo
Sposalizio della Vergine, attribuito a Giulio Romano.
Sul lato sinistro della chiesa ci sono tre cappelle. La prima è ricca di affreschi attribuiti al Sodoma e
presenta, sull’altare, una Natività del Signore che potrebbe essere opera del Pinturicchio, ma che
alcuni esperti ritengono attribuibile anch’essa al Sodoma. Nella seconda cappella troviamo un
Crocifisso del 1685 scolpito su legno, opera del frate Stefano da Piazza Armerina.
Annesso alla chiesa è il convento. Il chiostro settecentesco, restaurato nel 1893, è decorato da
affreschi sulla storia di Francesco d’Assisi e di religiosi dell’ordine francescano. A un lato è presente
il pozzo e al centro una colonna di marmo della villa di Nerone. Il refettorio è decorato da affreschi
secenteschi di autore ignoto; sulla parete di fronte all’ingresso è presente l’Ultima cena di Gesù con
gli apostoli.
La Basilica di Sant’Andrea
Nella piazza centrale della città, dove ora si erge la chiesa di Sant’Andrea nella sua maestosità e
imponenza, originariamente sorgeva la piccola chiesa di Sant’Abbondio, forse costruita prima del
Mille. Nel XVI secolo la chiesa di Sant’Abbondio venne abbattuta e al suo posto ne venne costruita
un’altra, dedicata a sant’Andrea apostolo.
La costruzione dell’attuale chiesa iniziò nel maggio 1776 per volere di Pio VI, che decise di far
demolire la chiesa cinquecentesca per farne sorgere una nuova e di dimensioni maggiori. La nuova
chiesa venne inaugurata nel 1789, dopo tredici anni di lavori. Nel corso degli anni fu dotata di
oggetti e decorazioni preziose; nel 1884 fu restaurata e decorata in oro e nel 1912 furono rinnovati
i pavimenti.
I bombardamenti del 1944 hanno in parte danneggiato la chiesa, ricostruita tra il 1945 e il 1952,
anno in cui è stata riaperta e riconsacrata da mons. Simone Lorenzo Salvi.
La facciata, in stile neoclassico, risale al 1795 ed è su due livelli. Al primo si trovano i tre portali
attraverso cui si accede alla chiesa, al secondo la loggia delle benedizioni, dalla quale i papi Pio VI,
Gregorio XVI e Pio IX benedissero il popolo di Subiaco. In alto si trova il timpano con al centro uno
stemma del papa Braschi e, lateralmente, due campanili, uno dei quali contiene il “campanone”.
La superficie interna della chiesa, a croce latina, si sviluppa lungo 64 m, con una larghezza di 22
m. Il soffitto raggiunge un’altezza di 20 m. Si notano delle differenze architettoniche tra i settori
usciti illesi dalle vicende belliche, in stile neoclassico-barocco, e quelli ricostruiti in seguito, che
presentano caratteristiche neoclassiche moderne (transetto, abside e presbiterio).
In fondo si trovano il trono papale, il coro in noce e un grande organo elettrico inaugurato nel
1955. L’altare papale, ricostruito nel secondo dopoguerra con marmi pregiati, presenta quattro
stemmi in bronzo di Pio VI lungo le due facciate.
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A destra e a sinistra del transetto si trovano, rispettivamente, la cappella del Sacramento e la
cappella di Sant’Andrea. Nella cappella del Sacramento si trovano una tela di Sebastiano Conca
raffigurante la Pesca miracolosa, restaurata dal pittore sublacense Benedetto Tozzi, e un Crocifisso
scolpito in legno. L’altare con il tabernacolo della cappella del Sacramento e l’altare che si trova
nella cappella di Sant’Andrea sono stati entrambi costruiti utilizzando marmi provenienti dalla villa
traianea di Arcinazzo.
Dalla cappella del Sacramento è possibile accedere al tempietto votivo della Madonna Immacolata,
a pianta ottagonale, dove si trova una tela del ’700, opera di Sebastiano Conca, raffigurante la
Madonna Immacolata.
Lateralmente alla navata centrale si trovano tre cappelle a sinistra e, a destra, la cappellina della
Madonna del mare seguita da altre tre cappelle. Ognuna di esse custodisce un altare e delle tele.
Ne citiamo alcune: San Giuseppe svegliato dall’Angelo del Cavallini; Morte di Santa Scolastica di
autore ignoto; Estasi di Santa Chelidonia del Nocchi; un Gesù Salvatore dei secoli XV-XVI di autore
ignoto; una Madonna del Rosario e le quattordici tele della Via Crucis, anch’esse di autore ignoto.
Anche nella sacrestia sono conservate diverse tele, citiamo le due più interessanti: una Madonna
col Bambino attribuita al Dolci e un ritratto settecentesco di Pio VI.
Chiesa di San Pietro
L’attuale chiesa è la ricostruzione, effettuata negli anni 1949-1950, di una chiesa preesistente
distrutta nel 1944 dai bombardamenti. Il campanile, invece, non è stato danneggiato dagli eventi
bellici.
Precedentemente al posto dell’attuale c’era un tempietto settecentesco e, prima ancora, una
chiesa delle stesse dimensioni dell’attuale, probabilmente della stessa epoca del campanile.
La chiesa, con tetto a capriate, riprende lo stile romanico del campanile. Quest’ultimo risale ai
secoli XI-XII ed è l’elemento che conferisce importanza alla chiesa. Termina con cuspide a
piramide ottagonale ed è strutturato in quattro zone: due a parete piena e due munite di bifore
divise da colonnine di pietra.
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La villa di Nerone
Nella vicenda della costruzione della Villa di Nerone, o villa Sublaqueum, il fiume Aniene costituisce
un elemento fondamentale e caratterizzante. La villa dell’imperatore, infatti, fu costruita sulle rive
di tre laghi artificiali, ottenuti tramite lo sbarramento in tre punti della valle e la realizzazione di
altrettante dighe. A destra e a sinistra dei tre laghi, denominati simbruina stagna, si levarono i
padiglioni della villa, lungo una superficie di circa due chilometri e mezzo; la villa era dunque
costituita di più nuclei. Univa i padiglioni un grande ponte di marmo.
La villa fu costruita nei primi anni dell’impero di Nerone, nel 54-55 d.C., ed è possibile che gli
architetti siano stati Celere e Severo. Lo schema utilizzato è aperto, “a festone”, lo stesso della
celebre Domus Aurea a Roma e della posteriore Villa Adriana a Tivoli. I vari nuclei si inserivano nel
paesaggio naturale sfruttandone le caratteristiche e la bellezza e contemporaneamente
plasmandolo e dominandolo con soluzioni architettoniche singolari.
Secondo la narrazione di Tacito negli Annales, l’imperatore abbandonò la villa nel 60, dopo che un
fulmine colpì la tavola proprio mentre Nerone stava mangiando. Tutte le dighe crollarono durante il
Medioevo.
I resti della villa imperiale affiorano in diverse zone del sublacense. Nei nuclei della villa situati più
in alto, rinvenuti nel 1883-84, furono ritrovate due statue: l’Efebo di Subiaco del IV secolo a.C. e
una testa di fanciulla dormiente, conservate nel Museo Nazionale Romano. Tale nucleo è
interpretato dagli archeologi come padiglione-belvedere.
Le tracce più evidenti si trovano poco più in basso, sulla riva destra dell’Aniene, in località San
Clemente, e sono interessanti anche perché riguardano il nucleo della villa che S. Benedetto
utilizzò per costruire la casa-madre, il primo dei monasteri da lui fondati. Si tratta di un’area di m
70x20, scoperta parzialmente nel 1883 e portata alla luce tra il 1994 e il 1999, realizzata in
muratura di piccoli elementi piramidali (opus reticulatum). È un fabbricato compatto, salvo che per
una cisterna rettangolare, isolata dal resto, che si trova nel punto più alto. Più in basso ci sono gli
altri ambienti, circa venti vani, isolati dalla roccia per mezzo di un corridoio che li circonda.
Risulta difficile stabilire quali funzione avessero i diversi ambienti, tuttavia quasi certamente cinque
di essi fungevano da terme: sono stati individuati un locale per il bagno caldo e la relativa camera
di combustione. Un altro vano rettangolare corrisponde a un ninfeo ed è stata individuata anche
una vasca ellittica forse destinata ad allevamento ittico.
Il monastero di San Clemente
Gli scavi condotti nel 1994-96 nel nucleo della villa neroniana in località San Clemente hanno
portato alla luce i resti del primo monastero fondato da S. Benedetto. Egli, al termine
dell’esperienza eremitica, fondò dodici monasteri lungo la valle. La casa-madre, il monastero
direttamente governato da S. Benedetto, fu ricavato utilizzando edifici della villa di Nerone che
dunque, agli inizi del VI secolo, doveva essere già abbandonata.
Il protocenobio è comunemente ricordato col nome di San Clemente.
Dalle analisi condotte sui resti del fabbricato, si è appurato che vennero riutilizzati un ninfeo per la
chiesa e gli ambienti circostanti per il monastero. In un vano che fu utilizzato come cucina sono
stati ritrovati numerosi frammenti di vasellame risalenti ai secoli V-VII.
Alla fine del VII secolo il monastero fu colpito da un incendio, nel IX secolo fu gravemente
danneggiato dalle invasioni dei Saraceni e successivamente ricostruito. Da allora in poi si chiamò
monastero dei Santi Cosma e Damiano. Nel XIII secolo gran parte del fabbricato precipitò nel
fiume a causa di un potente terremoto.
Colonne e marmi sono stati successivamente recuperati e utilizzati per la costruzione del chiostro
cosmatesco di Santa Scolastica.
La catacomba di Suriva
In contrada Suriva, località nei pressi della chiesa di San Lorenzo, è stata scoperta una catacomba
risalente al IV secolo, grande circa m 10x6. Vi si trovano alcuni loculi e un importante graffito sulla
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parete. La catacomba assume rilievo perché testimone del primo nucleo abitato di Subiaco, sorto
appunto intorno all’antica chiesetta di San Lorenzo Martire.
I resti archeologici non sono facili da individuare e si trovano all’interno di una proprietà privata.
Il ponte di San Francesco
Il ponte di San Francesco è così denominato a causa della sua vicinanza al convento omonimo, ma
originariamente era chiamato ponte di Campo d’Arco.
Tradizionalmente, la storia della sua costruzione è legata a un episodio bellico verificatosi nel 1356,
quando le truppe sublacensi, guidate dall’abate feudatario Ademaro, sconfissero le truppe tiburtine
presso Campo d’Arco, località vicina al convento di San Francesco. Il riscatto pagato dai tiburtini
per i prigionieri sarebbe stato destinato da Ademaro alla costruzione del ponte.
Il ponte consente l’attraversamento pedonale delle acque dell’Aniene in uno scenario naturale
molto suggestivo. È costituito da una sola arcata a tutto sesto di circa 37 m di lunghezza e 20 di
altezza ed è munito di una torretta quadrangolare di controllo. Ha una linea tipicamente
trecentesca ed è in pietra cardellino di colore ocra scurito dagli anni.
Nel 1786, per volere di Pio VI, fu restaurato radicalmente. Fortunatamente non è stato
danneggiato dagli eventi del secondo conflitto mondiale, dunque conserva inalterata la struttura
originaria.
L’Arco trionfale
Progettato dall’architetto Pietro Camporese, fu costruito tra il 1788 e il 1789. Il monumento è la
testimonianza della gratitudine che la comunità sublacense volle dimostrare a papa Pio VI per aver
tanto contribuito allo sviluppo urbanistico e industriale della città; fu inaugurato il 18 maggio 1789
alla presenza di Pio VI con una solenne cerimonia. Originariamente l’Arco trionfale era
completamente isolato dalle abitazioni, e questo permetteva di metterne in luce la solennità e
l’imponenza.
Costruito in pietra locale, è sovrastato da un grande stemma di Pio VI. L’Arco è in stile neoclassico,
con colonne ioniche e arcata unica a tutto sesto.
Itinerario
Villa di Nerone - Monastero di San Benedetto
L’itinerario si prende dalla scalinata accanto all’area archeologica della Villa di Nerone (costruita
54-55 d.C), prima tappa del percorso. Nella prima parte del tragitto, attraversando l’imponente
lecceta, è possibile ammirare due piccole cappelle, la prima, quella di San Clemente, prende il
nome dal primo monastero fondato da San Benedetto di cui sono visibili i resti all’interno della
stessa area della villa neroniana. Continuando lungo la scalinata si arriva al Monastero di Santa
Scolastica, dov’è possibile effettuare visite guidate. Terminata la visita, è possibile riprendere
l’itinerario uscendo dall’ingresso di Santa Scolastica, girando a destra e continuando sino a che si
incontrerà una scalinata, lungo le quali è possibile ammirare la piccola cappella di Santa Crocella
(XII sec.), luogo di grande importanza per il percorso spirituale di San Benedetto, poiché qui
ricevette l’abito monastico. Proseguendo, attraversata la strada, si accede ultima parte del
percorso, che conduce al Monastero di San Benedetto, ultima tappa dell’itinerario.
Punto di partenza: Parcheggio area archeologica di Villa di Nerone
Punto di arrivo: Monastero di San Benedetto
Lunghezza: 2,6 km – Andata e ritorno
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