Titolo:Un Genio tra passato e presente Nickname (sul

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Titolo:Un Genio tra passato e presente Nickname (sul
Titolo:Un Genio tra passato e presente
Nickname (sul forum e su EFP): Lady Red Moon
Genere: Fantasy, Soprannaturale
Sottogere:Urban Fantasy, Steampunk
Rating: Arancione
Tipo di coppia: Het, Shonen ai
Oggetto: Orologio da tasca
Avvertimenti: Gender Bender
N.d.A: alcuni personaggi sono storicamente esistiti per cui
non mi appartengono ne questa storia è stata scritta a scopo
di lucro.
Sognavo di poter volare, sognavo di poter visitare un giorno Il
Nuovo Mondo, sognavo di vedere ogni meraviglia, e sognavo ancora
di volare, di svelare ogni mistero del mondo. Quando morii,
desiderai di rinascere.
E fui accontentato.
Quando presi coscienza di me il mio primo pensiero fu. . .
MA CHE CAVOLO!!
In che razza di mondo mi ero reincarnato!!
7° classificata al contest “AAA Genio cercasi”
Un Genio tra passato e presente
Avevo da poco compiuto diciassette anni quando mio padre mi
condusse nella bottega del Maestro Verrocchio.
Quando varcai quella soglia capii all’istante che quello, era il mio
posto, lì tra i colori, tele e tutto quello che l’arte mi poteva offrire.
Mentre mio padre parlava con il maestro, mi sentii osservato.
Mi guardai intorno. Molti mi fissavano incuriositi, ma i miei occhi si
incatenarono ai suoi. Sembravano due pezzi d’ambra che
splendevano alla luce del sole.
Successivamente seppi che il suo nome era. . .
Lo schiocco della verga sbattuta sul tavolo mi fece sobbalzare.
“Signorina Goral ricominci la lettura da dove eravamo arrivati
prima che lei interrompesse la lezione” la voce acuta di Suor Lucia
diventò ancora più stridula.
Mi alzai, feci per prendere il testo, ma la suora lo trattenne con la
verga.
“A memoria Goral” la guardai sfacciatamente negli occhi e
cominciai a recitare.
“Fu così che la civiltà umana arrivò al massimo del suo splendore.
Ma, quello splendore non era altro che una facciata, dietro la quale
gli uomini si lasciavano andare ai piaceri e ai vizi più deplorevoli.
Vedendo un comportamento tanto depravato da parte dei suoi figli,
il Signore gettò su di loro fuoco e lapilli, sotterrando i peccatori ”
Sorella Lucia mi guardò per un istante per poi rivolgersi ai ragazzi.
“Qualcuno di voi uomini sa dirmi quante parole contengono questi
versi”
“Cinquantotto parole per un totale di cinque righe” sentii i miei
compagni ansimare. Avevo parlato senza essere interpellata, e per di
più mentre Suor Lucia si era rivolta esclusivamente ai ragazzi.
“Le mani sul banco Goral” nei suoi occhi vidi il divertimento che le
provocava quello che stava per fare. Cinquantotto colpi di verga si
abbatterono sulla mia mano veloci, implacabili. Non mi sfuggì
neanche un gemito, non le diedi nemmeno la soddisfazione di
vedermi piangere.
Se non fosse suonata la campana, ero sicura che non si sarebbe
fermata.
L'ora di letteratura sacra era terminata, noi ragazze dovevamo
spostarci nell'aula di economia domestica. Mentre uscivo mia sorella
mi prese a braccetto.
"Era proprio necessario Leodavi?"
"Si era necessario. Cinzia ma ti rendi conto? Voleva umiliarmi"
"Tu vuoi dire addio alle tue mani, ecco di cosa mi rendo conto"
Guardai le mie mani: erano rosse, gonfie e piene di cicatrici, ma,
vecchie o nuove che fossero, sembrava proprio che Suor Lucia fosse
intenzionata a trovarmi le ossa a suon di verga.
Arrivammo alla classe di economia domestica. Suor Costanza,
donna pratica e corpulenta, mi mandò in infermeria a fasciarmi le
mani, mentre Cinzia fu costretta a rimanere in classe.
Così percorsi i grigi corrodi della scuola. L'intero edificio, dormitori
compresi, non aveva né bellezza né eleganza, era semplicemente
spento e grigio, fatto di cemento e piastrelle. Assolutamente
desolato e deprimente. Se davvero esisteva Dio, solo Lui sapeva cosa
non avrei fatto per poter rivedere quegli stupendi edifici, lì dove
avevo vissuto la mia vita precedente, in un Italia dove l' arte faceva
da padrona. Ma ormai quell'Italia era letteralmente morta e sepolta
con tutte le sue bellezze, e forse era un bene.
Accompagnata da quei cupi pensieri mi ritrovai in infermeria. Il
dottor Bergman, un omone baffuto e bonaccione, mi accolse con
una smorfia.
"Fammi indovinare. Suor Lucia ti ha bacchettata di nuovo?" al mio
cenno affermativo l'uomo alzò gli occhi al cielo.
"Bah! Dove andremo a finire! Ragazza mia, per una volta non
potresti lasciarla parlare?”così dicendo incominciò a fasciare le ferite.
Le sue mani erano enormi e callose ma, inaspettatamente delicate.
Il dottore era forse l’unico uomo in tutto l’istituto che pensava che le
donne avessero un cervello a differenza di molte persone.
“Quando la smetterà di voler avere ragione lei”
Mi guardò di sottecchi per un secondo per poi sospirare.
“Ti serve il solito permesso vero?”
“Adesso sa leggere nel pensiero?”
“Semplicemente ti conosco bene. Quando vuoi andare in biblioteca
ti fai bacchettare. È pericoloso. . .” lo interruppi prima che potesse
continuare.
“Ne sono perfettamente consapevole, ma, non intendo rinunciare al
mio scopo per colpa di qualche bigotto misogino e ignorante” mi
guardò per qualche secondo, scribacchiò il permesso con la solita
scrittura illeggibile da medico, e me lo consegnò.
“Prometti che farai attenzione”
“Non si preoccupi, ho ideato un nuovo trucchetto”
“Un’altra delle tue diavolerie?”
Mi limitai a sorridergli. Arrivai velocemente in classe, consegnai il
permesso a Suor Costanza che mi mandò in camera mia.
Attraversai a grandi falcate i grigi corridoi per arrivare nel
dormitorio femminile. Due studentesse per stanza, i bagni erano in
comune e si andava a dormire alle nove.
Arrivai nella stanza che condividevo con Cinzia. Era ammobiliata
con l'essenziale: due letti, due armadi, due comodini e due scrivanie.
Il tutto circondato da quelle pareti grigie, e due squallide tendine
giallognole a dare un minimo di colore.
Una sola parola mi veniva in mente: deprimente.
Non mi soffermai oltre, dovevo sbrigarmi. Spostai leggermente il
letto, sollevai una delle mattonelle, e vi trovai il mio marsupio. Lo
allacciai sotto l'ampia gonna della divisa e uscii.
Senza fretta mi diressi verso il bagno, un comportamento troppo
agitato avrebbe insospettito le suore che sorvegliavano i dormitorio.
Arrivai nei bagni delle ragazze e mi guardai intorno. Come previsto
a quell'ora era deserto.
Mi infilai in una delle cabine delle docce e mi cambiai velocemente.
La divisa maschile era semplice tanto quanto quella femminile:
pantaloni neri, giacca nera, camicia bianca e un nastro rosso al collo
fermato con una spilla con inciso lo stemma della scuola.
Aprii la spilla. All’interno c’era una rotella di rame a cui era fissato
un piccolo diapason di ferro con su incise delle rune.
Ur per il cambiamento e la forza.
Ansuz per la comunicazione e lo studio.
Raido per il suono e il viaggio.
Feci un respiro profondo, ci avevo messo mesi a progettarla. Cinzia
aveva procurato i materiali e con le sue doti di orafa l’aveva
costruita in modo magistrale.
Picchiettai il diapason che emise una nota, subito dopo la rotella
cominciò a girare. La richiusi e l’appuntai al nastro. Nascosi il
marsupio con la mia divisa femminile sotto un’altra mattonella
vuota, e uscii.
Mi guardai allo specchio, e osservai con soddisfazione che, così
conciata nessuno avrebbe potuto dire che ero una ragazza. Ora c’era
solo da provare quell’aggeggio, che in teoria, avrebbe dovuto
modificarmi la voce.
“Vediamo. . .” mi bloccai un attimo. Provai altre due, tre volte, la mia
voce risultava indubbiamente maschile.
Dovetti trattenermi per non gridare di gioia.
Posai la mano sulla superficie fredda dello specchio e questi,
cominciò a tremolare fino a che la mia mano non vi affondò come
se fosse stata immersa in acqua.
"Bagno maschile" così dicendo scavalcai il lavello, e mi immersi
completamente nello specchio.
Cap 2
Sbucai direttamente nel bagno maschile. Non persi tempo a
guardarmi intorno, e mi diressi verso la mia destinazione.
Il dormitorio maschile era grigio e anonimo come quello
femminile ma, c’era una piccola sostanziale differenza, una grande,
enorme biblioteca dove i ragazzi andavano a studiare. Inutile dire
che a noi ragazze era proibito l’accesso, e cose come matematica,
storia, musica e arte erano parole che sentivamo per caso. Ci
insegnavano a leggere e a scrivere ma non di più, perché come
diceva il preside e molti altri: Una donna deve pensare solo alle cose
di casa, di chiesa e di suo marito.
Pff! Stupidaggini! Neanche nel Rinascimento eravamo così bigotti!
Per lo meno io, ed ero pure un uomo cavolo! Per la mia conoscenza
attuale dovevo solo ringraziare la mia vita precedente. Cinzia, la mia
cara sorella, abituata a fare tutto quello che le pareva, come, vestirsi
da uomo e fare un lavoro da uomo, era rimasta sconvolta quando
aveva recuperato la sua memoria.
L’odore familiare dei libri e della carta, mi distrassero da quei
pensieri poco felici. C’era di tutto, dalle fiabe ai testi storici o sacri,
da quelli che parlavano di musica, matematica o arte. Ma quel
giorno ero andata per un libro in particolare. Il libro di alchimia e
magia di Nicholas Flamel(il mio vecchio amico me lo aveva fatto
trovare sotto l’albero) che per ovvie ragioni avevo nascosto in una
mensola cava su uno scaffale in alto di una libreria nell’angolo più
nascosto della biblioteca.
Il suddetto scaffale però mi stava dando non pochi problemi. Con il
mio metro e sessanta di altezza non ci arrivavo, infatti ero costretta a
impilare dei libri su una sedia e arrampicarmi per raggiungere lo
scaffale. Mentre spostavo il pannello, la torre di libri su cui ero
appoggiata incominciò tremare pericolosamente e il mio corpo si
sbilanciò all’indietro. Istintivamente mi aggrappai allo scaffale, ma
il libro mi venne in mano e caddi rovinosamente a terra.
D’istinto chiusi gli occhi ma, invece del freddo pavimento caddi su
qualcosa di morbido.
“Ragazzo, è vero che sei leggiero ma, questa posizione è alquanto
scomoda ed equivoca” ci misi qualche secondo a capire di essere
caduta tra le braccia di qualcuno.
“Hei ragazzo stai ben. . .” si bloccò a meta frase quando alzai lo
sguardo per guardarlo in faccia.
Il mio cuore mancò un battito
Due occhi color ambra mi guardavano incuriositi.
“Sa. . .Sandro?” era l’unica cosa che riuscii ad articolare.
Il ragazzo sbatté le palpebre due, tre volte.
“Ci conosciamo?” in quel momento mi resi conto di essergli
letteralmente finita in braccio. Mi scostai velocemente e l’aiutai a
rialzarsi.
“Mi dispiace io. . .”
“Fa niente. Ripeto la domanda, ci conosciamo?”
“Eh?” feci finta di non capire.
“Mi hai chiamato per nome”
“Ah quello. Ti ho scambiato per un’altra persona” così dicendo
incominciai a raccogliere il libri caduti per terra. Speravo che se ne
andasse ma, il biondo incominciò ad aiutarmi. Con grande orrore
notati che aveva preso in mano il libro di Flamel. Il suo sguardo
andò dal libro, alla mensola cava, e poi si fermarono su di me.
“Questo lib. . .” non gli diedi modo di continuare.
“L’ho trovato per caso, lo giuro”
“Ti sei quasi spezzato l’osso del collo per prendere un libro trovato
per caso?”
Quella situazione stava andando di male in peggio. Avrei dovuto
seguire il consiglio del dottore, e restarmene in camera mia.
Il ragazzo si sedette con molta nonchalance a terra, con la schiena
appoggiata sulla libreria, e il libro aperto sulle gambe.
“Che stai. . .”
“Mi sembra abbastanza palese che anche tu devi leggere questo
libro” disse solamente, e con la stessa calma con cui si era messo a
leggere mi invitò a sedermi vicino a lui.
“Aspetta! Tu sapevi che quel libro era nascosto lì?”
“Sì, e pensavo di essere l’unico a sapere della sua esistenza”
Quando mi decisi a sedermi anche io mi tese una mano.
“Alexandre De Paris. Sandro per gli amici” l’afferrai.
“Leonardo. Chiamami Leo. Allora Sandro, come mai vuoi consultare
un libro di alchimia?”
“Tu perché vuoi farlo?”
“Curiosità” risposi semplicemente.
“Una ricerca. E poi per lo sfizio di fare qualcosa alle spalle di quei
rincoglioniti”
“Una ricerca su cosa?” oramai eravamo a questo punto, tanto valeva
continuare per non parlare che somigliava troppo al mio Sandro.
“Su questo” così dicendo tirò fuori un articolo di giornale. Mi si
mozzò il fiato in gola.
Macchina infernale al Santo Collegio Cattedrale
Così recitava il titolo e sotto una foto che ritraeva un pezzo della
suddetta macchina. Era l’ala della macchina.
La mia macchina.
Era stato circa un mese fa, quando avevo avuto l’insana idea di
costruire quella diavoleria, un incrocio tra magia e meccanica. E
aveva funzionato, fin troppo bene anche, quella cosa aveva sfondato
la porta dello sgabuzzino dove la stavo costruendo e si era messa a
scorrazzare per un’ora buona prima di fermarsi.
“E perché fai ricerche sulla magimeccanica?” non appena ebbi
pronunciato quelle parole desiderai di strapparmi la lingua a morsi.
“Sai che cos’è?” mi domandò stupito.
“Hem sì, vai a pagina 350” quel tomo era grande tanto quanto
un’agendina, ma aveva quasi più di mille pagine.
“ Questa pagina non c’era quando l’ho sfogliato un mese fa”
Ovvio che non c’era l’avevo scritto io quel capitolo
“Possiedo questo libro da quasi due anni, e spunta sempre qualcosa
di nuovo come se si aggiornasse costantemente” si limitò a
guardarmi in silenzio.
“Quindi questo è tuo?”
“Sì me l’anno mandato per posta dentro una finta Bibbia, non so chi
sia il mittente. Tornando a noi, perché vuoi sapere come funziona?”
“Veramente voglio scoprire chi l’ha costruita”
Un brivido freddo mi corse l’ungo la schiena.
“Come mai tanta curiosità?”
“E me lo chiedi anche? Chiunque l’abbia costruito è un genio”
“Un genio che avrebbe dovuto progettare meglio l’anatomia di
quelle ali”
“E perché?” era sinceramente incuriosito.
“La forma dell’ala è simile a quella dei gabbiani, adattissime per
volare in spazi aperti. Chi l’ha costruita avrebbe dovuto modellarle
su quelle dei passeri adatte agli spazi piccoli, per non parlare degli
inserti di metallo tra gli scapolari che hanno appesantito la
macchina e. . .” mi bloccai quando mi accorsi che mi stava fissando.
“Che c’è? Che ho detto?”
“Credo che se non sapessi che quella cosa è partita dal dormitorio
delle ragazze, potrei pensare che l’ahi fatta tu” per la seconda volta
desiderai strapparmi la lingua. Per svincolarmi da quella situazione
scoppiai a ridere.
“Chi? Io? Costruire una cosa del genere? Scherziamo? Non sono
capace di fissare un chiodo” per mia fortuna se la bevve.
“E tu? Perché volevi consultare il libro?”
Inventai una scusa sul momento: “I versi di pagina 100 mi
incuriosivano.”
“L’avidità altrui causò la caduta di cenere e lapilli che oscurarono il
cielo e portarono il gelo per tre anni. Fu così che l’umano essere
cercò conforto nella religione e ne fece uno scudo che teneva fuori
sia le malvagità che le bellezze del mondo e cancellando le
vergognose cose successe in passato” mi guardò per un lungo
momento come se mi stesse valutando.
“Non è molto diverso da quello che ci fanno leggere a scuola”
“Posso dirti la mia teoria senza che tu mi dia dell’eretico?”
“ Stai leggendo un libro di alchimia e magia, insieme a un tipo che
contesta continuamente il professore per farsi bacchettare e
mandare in infermeria a prendere un permesso per sgattaiolare in
biblioteca” solo allora notai le fasciature sulle sue mani. Alzai le mie
sorridendo.
Feci un respiro profondo
“Secondo me quella che viene considerata la punizione divina non è
altro che una catastrofe naturale, causata dall'eruttazione
simultanea di più supervulcani. La lava e il fango hanno sotterrato
tutto, la cenere e i pulviscoli oscurato il cielo impedendo alla luce
del sole di penetrare, causando un inverno durato tre anni, durante i
quali metà della popolazione mondiale è morta di stenti. La razza
umana si è aggrappata a qualsiasi cosa, è sopravvissuta ma aveva
bisogno di una guida e chi meglio della religione che ha cancellato
diversi aspetti della storia. La cosa che non mi spiego è che da come
lo è scritto sembra sia stato causato. Quindi le soluzioni sono due: o
davvero è una punizione divina o l’hanno scatenata i nostri antenati
“ a quel punto lo vidi sbiancare.
“Hei? Stai bene?”
“Hem sì, solo non l’avevo mai vista così” a quel punto la campanella
che segnava la fine di tutte le lezioni suonò.
“Cavolo è già così tardi? Il tempo è volato” così dicendo si alzò di
scatto e qualcosa gli scivolò dalla tasca. Era un orologio da tasca con
uno stemma sopra.
Avrei voluto urlare.
Quello stemma ormai era stato dimenticato da tempo, ma io non
avrei mai potuto dimenticarlo: un giglio fiorentino con sei palle
rosse sul petalo centrale. Una sola cosa mi veniva in mente.
I Medici.
Guardandolo più attentamente notai che sui petali laterali c’erano
incise le iniziali VM mentre sulla sinistra una falce di luna in quarzo
circondava quasi tutto il coperchio. La sinistra rappresentava la
donna, il quarzo era la pietra dell’amore associata a Venere. Le
iniziali erano VM : Venus Mater.
In quel momento ne fui certa.
“Molto bello. Un regalo di tua madre?”
“Hem sì come fai a. .. “
“Solo una donna sceglierebbe una cosa così e tu non sembri tipo da
fronzoli” glielo resi.
“Ci pensi tu a metterlo a posto?”
“Non preoccuparti vai” dopo di che lo vidi andarsene. Mentre
rimettevo a posto il libro non facevo altro che pensare a lui. Che
strano scherzo del destino, quello stupido semidio si era reincarnato,
a Cinzia sarebbe venuto un colpo.
Pov Sandro
Percorsi velocemente i corridoi del dormitorio. Quando arrivai nella
mia stanza aprii con uno scatto l’orologio.
“L’hai sentito?” la voce di Raf mi giunse disturbata dall’apparecchio.
“Certo che l’ho sentito. Credi che sia la volta buona?”
“Certo che lo credo. Ci sono troppe coincidenze, il nome, il suo
modo di pensare”
“Speriamo bene, abbiamo bisogno di lui qui sotto le cose si stanno
facendo complicate”
“Mi ha chiamato per nome prima ancora che glielo dicessi”
“Ricordo inconscio eh? Sarà difficile” sorrisi involontariamente.
“Non ti preoccupare. Lascia fare a me” e con questo staccai la
conversazione.
Gli avrei fatto ricordare di essere Leonardo Da Vinci. Avremmo
sistemato questa faccenda una volta per tutte.
Insieme
To Be Continued. . .