Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni - LED

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Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni - LED
Sommario
5
SOMMARIO
Presentazione dell’edizione italiana
PARTE I
LA PACE ILLUSORIA (1919-1933)
I. – LE PRIME CONSEGUENZE DEI TRATTATI DI PACE
21
1. Le nuove frontiere della Germania
28
L’Alsazia-Lorena (p. 28) - La Saar (p. 28) - Le rivendicazioni belghe (p. 29) - La Renania (p. 30) - Lo Schleswig (p. 30) - Il corridoio di Danzica (p. 30) - Il plebiscito dell’Alta Slesia (p. 31) - Teschen (p. 31) - Memel (p. 32).
2. Le garanzie contro la Germania e le riparazioni
32
Disarmo (p. 32) - Smilitarizzazione della Renania (p. 33) - L’occupazione (p. 33) - Il
fallimento dei trattati di garanzia (p. 34) - L’alleanza franco-belga (p. 34) - Il principio
delle riparazioni (p. 35) - Le clausole del trattato di Versailles (p. 36) - La resistenza
tedesca all’applicazione del trattato (p. 36) - Lo «stato dei pagamenti» (p. 37).
3. Lo smembramento dell’Austria-Ungheria e le sue conseguenze
39
Frontiera austro-italiana (p. 39) - Smembramento dell’Austria a Nord (p. 41) - Smembramento dell’Austria ad Est ed a Sud-Est (p. 41) - Perdite territoriali dell’Ungheria
(p. 42) - Acquisizioni della Romania (p. 42) - La Jugoslavia (p. 43) - Il revisionismo
ungherese e l’appoggio francese (p. 43) - I due tentativi di Carlo I (p. 44).
4. I Balcani e lo smembramento dell’impero ottomano
45
La Macedonia (p. 45) - La politica italiana in Albania (p. 45) - Fallimento della politica italiana (p. 46) - La Turchia e il trattato di Sèvres (p. 46) - Mustafà Kemal (p. 47) - Il
trattato di Losanna (p. 48) - I mandati nei Paesi arabi (p. 48) - L’Egitto (p. 50).
5. Il problema sovietico
Politica di sostegno ai Russi bianchi (p. 51) - Il tentativo delle isole dei Principi (p.
51) - La missione Bullitt (p. 52) - La politica del «cordone sanitario» (p. 52) - Frontiera
russo-finlandese (p. 53) - Frontiera russo-estone (p. 54) - Frontiera russo-lettone (p.
55) - La pace russo-lituana (p. 55) - La guerra russo-polacca (p. 56) - La sconfitta polacca (p. 56) - Controffensiva polacca e trattato di Riga (p. 57) - La Bessarabia (p. 57)
- Le Repubbliche indipendenti di Transcaucasia (p. 58) - Riconquista della Transcaucasia da parte dei Soviet (p. 58) - Frontiera russo-iraniana (p. 59) - Il trattato russoiraniano (p. 59) - L’occupazione giapponese in Siberia (p. 60) - La Manciuria (p. 61) La Mongolia Esterna (p. 62) - La Russia sovietica resta isolata (p. 63).
51
Sommario
6
6. I problemi coloniali
64
Il sistema dei mandati (p. 64) - Ripartizione dei mandati (p. 65) - Il problema degli ex
possedimenti tedeschi in Cina (p. 66) - Il malcontento italiano (p. 67).
7. Gli esordi della Società delle Nazioni
67
71
L’evoluzione di Briand (p. 71) - Il piano di Lloyd George (p. 72) - La conferenza di
Cannes (p. 73) - Poincaré succede a Briand (p. 74) - Il fallimento del patto di garanzia (p. 74) - La conferenza di Genova (p. 75) - Il trattato di Rapallo (p. 76).
77
81
85
La sicurezza collettiva (p. 85) - Il progetto di protocollo (p. 86) - Il fallimento del
progetto (p. 86).
5. L’Europa mediterranea e orientale ed il riconoscimento dell’URSS
87
Fiume e la questione albanese (p. 87) - Rapporti dell’Italia e della Francia con la Piccola Intesa (p. 88) - Riconoscimento dell’URSS da parte dell’Inghilterra e dell’Italia (p.
89) - Riconoscimento da parte della Francia (p. 90).
91
2. Briand e Stresemann
La proposta di Briand (p. 98) - Risposta di Kellogg e trattative (p. 98) - Il patto
Briand-Kellogg (p. 99).
3. Problemi dell’Africa e del Medio Oriente
122
Le rivendicazioni coloniali italiane (p. 122) - Le trattative anglo-egiziane (p. 123) Conquista dell’Arabia da parte di Ibn Saud (p. 124) - La Gran Bretagna e l’Iraq (p.
125) - La Gran Bretagna e la Transgiordania (p. 126) - La Gran Bretagna ed il Golfo
Persico (p. 127) - La Francia, la Siria ed il Libano (p. 127) - Il problema palestinese (p.
128) - L’Iran e l’Afghanistan (p. 129).
130
L’America e la Società delle Nazioni (p. 130) - Gli interventi degli Stati Uniti in America Latina (p. 130) - La conferenza di Washington per l’America centrale (p. 131) - La
questione del Nicaragua e la rivalità Messico-USA (p. 132) - Le conferenze panamericane (p. 132) - Il conflitto di Tacna-Arica (p. 133) - Il conflitto del Chaco (p. 134) - Il
conflitto di Leticia (p. 134).
135
L’emancipazione dei «Dominions» (p. 135) - Il «Commonwealth» (p. 136) - Lo Statuto
di Westminster (p. 136).
94
V. – I PRIMI FALLIMENTI DELLA SICUREZZA COLLETTIVA (1929-1933)
Briand, apostolo della pace (p. 94) - Stresemann (p. 95) - L’incontro di Thoiry (p. 96)
- Fallimento della politica di Thoiry (p. 97).
3. Il patto Briand-Kellogg
116
L’URSS e la Cina del Sud (p. 116) - L’URSS e la Cina del Nord (p. 117) - La ferrovia
orientale cinese (p. 118) - L’applicazione degli accordi di Washington (p. 118) - L’agitazione nazionalista (p. 119) - Le potenze si allontanano dal governo di Pechino (p.
120) - La conquista dell’autonomia doganale (p. 121) - Il problema dell’extraterritorialità (p. 121).
5. L’indipendenza dei Dominions
Il progetto di garanzia della frontiera francese (p. 91) - La conferenza di Locarno (p.
92) - L’ammissione della Germania alla Società delle Nazioni (p. 93).
111
I repubblicani al potere negli USA (p. 111) - Limitazione degli armamenti navali (p.
112) - Il trattato delle quattro potenze sul Pacifico (p. 113) - Discussioni sulla Cina
(p. 113) - Le trattative cino-giapponesi (p. 115).
4. Le relazioni interamericane
III. – L’EUROPA E L’APOGEO DELLA SICUREZZA COLLETTIVA
III. (1925-1929)
1. I trattati di Locarno e l’ammissione della Germania
1. alla Società delle Nazioni
102
IV. – I PROBLEMI EXTRA-EUROPEI DAL 1921 AL 1929
2. L’Estremo Oriente dopo la conferenza di Washington
La ripresa dei negoziati sulle riparazioni (p. 81) - Il piano Dawes (p. 82) - Il problema
dell’evacuazione (p. 83).
4. Il protocollo di Ginevra
5. L’Europa orientale e mediterranea dal 1925 al 1929
1. La conferenza di Washington
La richiesta di moratoria del 12 luglio 1922 (p. 77) - L’occupazione della Ruhr e la «resistenza passiva» (p. 78) - Stresemann e la fine della «resistenza passiva» (p. 79) - Il
movimento separatista renano (p. 79).
3. La liquidazione della questione della Ruhr ed il piano Dawes
100
Il trattato di Berlino (p. 103) - Russia, Polonia e Paesi baltici (p. 103) - Tensione franco-russa (p. 104) - Tensione italo-russa (p. 105) - Tensione anglo-russa (p. 105) - Isolamento dell’URSS (p. 106) - Il primo trattato italo-albanese (p. 106) - L’alleanza franco-jugoslava (p. 106) - Il secondo trattato italo-albanese (p. 107) - Il revisionismo italiano e l’Ungheria (p. 107) - La Grecia e i suoi vicini (p. 108).
II. – I PROBLEMI EUROPEI DAL 1922 AL 1925
2. La questione della Ruhr
4. L’evacuazione della Renania ed il piano Young
7
Il problema dell’evacuazione anticipata (p. 100) - La conferenza dell’Aja (p. 101) - Il
piano Young (p. 101) - La morte di Stresemann (p. 102).
I preliminari (p. 67) - Il patto della Società delle Nazioni (p. 68) - Il fallimento del
trattato di Versailles negli Stati Uniti (p. 69).
1. Le conferenze di Cannes, di Genova e di Rapallo
Sommario
98
1. Il fallimento del progetto di Briand di Unione europea
138
Il progetto Briand (p. 138) - Le risposte ed il fallimento del progetto (p. 139).
2. Il tentativo di «Anschluss» economico
140
Sommario
8
Il progetto Curtius-Schober (p. 140) - Le reazioni francesi (p. 141) - Il fallimento del
progetto (p. 142).
3. La fine delle riparazioni
2. Le garanzie contro la Germania
142
L’applicazione del piano Young (p. 142) - Il problema dei debiti interalleati (p. 143) La moratoria Hoover (p. 143) - La conferenza di Losanna e la fine delle riparazioni
(p. 144).
4. La questione della Manciuria
Sommario
145
6. L’Asse Roma-Berlino
153
155
157
La conferenza del disarmo (p. 157) - Il piano Tardieu (p. 157) - Il piano Hoover (p.
158) - Il piano Herriot e il piano MacDonald (p. 159) - La Germania abbandona la
Società della Nazioni (p. 160) - Il piano tedesco (p. 161) - La rottura (p. 162).
162
167
205
4. La crisi cecoslovacca prima del 12 settembre 1938
206
I Tedeschi dei Sudeti (p. 206) - Il programma di Karlsbad (p. 207) - La crisi del maggio 1938 (p. 208) - Il problema dell’intervento russo (p. 209) - La missione di Lord
Runciman (p. 210).
170
5. La crisi del settembre 1938 e la conferenza di Monaco
211
Il discorso di Hitler a Norimberga (p. 211) - L’incontro di Berchtesgaden (p. 211) - La
pressione sulla Cecoslovacchia (p. 212) - L’incontro di Godesberg (p. 213) - Verso la
conferenza di Monaco (p. 214) - La conferenza (p. 214).
II. – LE CRISI DEL 1935 E 1936 IN EUROPA
La distensione apparente (p. 175) - La reintroduzione della coscrizione obbligatoria
in Germania (p. 176).
201
La conferenza segreta del 5 novembre 1937 (p. 201) - I preparativi tedeschi per
l’«Anschluss» (p. 202) - Il colpo di forza contro l’Austria (p. 203) - Le reazioni delle
potenze (p. 204).
I negoziati (p. 205) - Clausole degli «accordi di Pasqua» (p. 205).
La campagna per il plebiscito (p. 170) - Il plebiscito (p. 171) - Gli accordi di Roma (p.
172).
1. La reintroduzione della coscrizione in Germania
197
La guerra di Spagna (p. 197) - Il riavvicinamento anglo-italiano (p. 199) - Il rafforzamento dell’Asse Roma-Berlino (p. 200).
3. Il «gentlemen’s agreement» del 1938
Il patto balcanico (p. 167) - Il riavvicinamento franco-sovietico prima di Barthou (p.
167) - I progetti di Barthou (p. 168) - L’ingresso dell’URSS nella Società delle Nazioni
(p. 169).
5. Il plebiscito della Saar e gli accordi di Roma (gennaio 1935)
1. L’ «appeasement» del 1937
2. L’«Anschluss»
Il patto tedesco-polacco (p. 163) - La politica austriaca dell’Italia (p. 164) - La giornata del 30 giugno 1934 (p. 165) - L’assassinio di Dollfuss (p. 165).
4. Il progetto di patto orientale
191
L’accordo austro-tedesco (p. 191) - La nuova politica belga (p. 192) - L’Asse RomaBerlino (p. 193).
III. – L’«ANSCHLUSS» E LE CRISI CECOSLOVACCHE (1937-1939)
Il progetto di «patto a quattro» (p. 155) - Il fallimento finale (p. 156).
3. Le crisi dell’estate 1934
189
La guerra civile (p. 189) - Il non-intervento (p. 190).
I. – L’AVVENTO AL POTERE DI HITLER
I. – E IL FALLIMENTO DELLA CONFERENZA DEL DISARMO
2. Il fallimento dei piani di disarmo
184
Prima della ratifica del patto franco-sovietico (p. 184) - La ratifica (p. 185) - La rioccupazione della zona smilitarizzata (p. 186) - Le reazioni delle potenze firmatarie di Locarno (p. 187).
5. La guerra civile spagnola e i suoi aspetti internazionali
1. L’avvento al potere di Hitler e il «patto a quattro»
179
L’accordo navale anglo-tedesco (p. 179) - Gli incidenti italo-etiopici (p. 179) - L’atteggiamento inglese e l’aggressione italiana (p. 181) - Le sanzioni (p. 181) - Il piano Laval-Hoare (p. 182) - Il fallimento finale delle sanzioni (p. 183).
4. La rimilitarizzazione della Renania
PARTE II
L’EPOCA DI HITLER (1933-1945)
Introduzione
176
L’accordo di Stresa (p. 176) - Il patto franco-sovietico (p. 177) - Il patto ceco-sovietico (p. 178).
3. La questione dell’Etiopia
I privilegi giapponesi in Manciuria (p. 145) - L’intervento militare (p. 146) - La Cina fa
appello alla Società delle Nazioni (p. 146) - La questione di Shanghai (p. 147) - La
creazione del Manciukuò (p. 147) - Il rapporto Lytton (p. 148) - L’invasione del Jehol
(p. 149).
9
175
6. Lo smembramento della Cecoslovacchia
6. (30 settembre 1938 - 15 marzo 1939)
I trattati di non aggressione (p. 216) - Le annessioni polacche e ungheresi (p. 217) - Il
colpo di forza del 15 marzo (p. 218).
215
Sommario
10
7. I problemi mediterranei e la questione dell’Albania
219
Le rivendicazioni italiane (p. 219) - La vittoria di Franco (p. 221) - Il colpo di forza
contro l’Albania (p. 221).
IV. – LA CRISI POLACCA E LA DICHIARAZIONE DI GUERRA
1. Le minacce tedesche contro la Polonia e le garanzie franco-britanniche 223
Cambiamento dell’atteggiamento inglese (p. 223) - Prime minacce contro la Polonia
(p. 224) - Sviluppo della crisi dopo il 15 marzo 1939 (p. 225) - Le garanzie alla Polonia (p. 225) - Le garanzie agli altri Paesi minacciati (p. 226) - L’iniziativa del presidente Roosevelt (p. 227).
2. Il patto d’acciaio
228
230
233
237
V. – LA FASE EUROPEA DELLA GUERRA (1939-1941)
243
246
Il tentativo di pace di Hitler (p. 246) - Il tentativo dei piccoli Stati neutri (p. 247) - La
«guerra d’inverno» russo-finlandese (p. 248) - La guerra di Norvegia (p. 249).
3. La sconfitta della Francia e l’armistizio
La sconfitta militare (p. 250) - Le richieste di aiuto all’Inghilterra (p. 251) - Ultimi negoziati con l’Italia (p. 252) - L’entrata in guerra dell’Italia (p. 253) - Negoziati francoinglesi per l’armistizio (p. 254) - Gli ultimi Consigli supremi interalleati (p. 255) - La
giornata del 16 giugno (p. 256) - Le due note inglesi (p. 256) - Il progetto d’unione
franco-britannica (p. 257) - La richiesta d’armistizio (p. 258) - Le discussioni anglofrancesi (p. 258) - I negoziati d’armistizio (p. 259) - L’armistizio con l’Italia (p. 260) Clausole degli armistizi (p. 261).
7. Il rafforzamento dei legami anglo-americani
277
278
L’accordo sui cacciatorpediniere americani (p. 279) - Gli «affitti e prestiti» (p. 280) Eden al «Foreign Office» (p. 281) - L’aiuto alla Russia (p. 282) - L’incontro dell’Atlantico (p. 282).
1. Il Medio Oriente
250
285
La ripresa dei negoziati anglo-egiziani (p. 285) - Il trattato anglo-egiziano del 1936
(p. 286) - Il nuovo Statuto degli Stretti (p. 287) - La questione palestinese (p. 288) Gli altri Paesi del Medio Oriente prima del 1939 (p. 290) - La questione dell’Iraq
(1941) (p. 291) - La questione della Siria e del Libano (p. 292).
2. La politica americana: neutralismo e «buon vicinato»
La vittoria tedesca e l’intervento russo (p. 243) - La spartizione della Polonia (p. 244)
- Lo stabilimento delle basi sovietiche nei Paesi baltici (p. 245) - L’atteggiamento italiano (p. 245) - Il rafforzamento dei legami franco-britannici (p. 246).
2. La «drôle de guerre»
272
Le ambizioni italiane (p. 272) - L’attacco italiano contro la Grecia (p. 272) - Negoziati
con la Russia (p. 273) - Il viaggio di Molotov a Berlino (p. 273) - Hitler si sforza d’isolare l’URSS (p. 274) - L’attacco contro la Jugoslavia (p. 275) - La spartizione della Jugoslavia (p. 276).
VI. – I PROBLEMI EXTRA-EUROPEI DAL 1933 AL 1941
Gli incidenti di frontiera (p. 237) - La crisi (p. 238) - Il tentativo di pace franco-inglese (p. 240) - Il tentativo di pace di Mussolini (p. 241).
1. La sconfitta polacca
262
La decisione di Hitler (p. 277) - L’attacco tedesco (22 giugno 1941) (p. 278).
I primi passi (p. 233) - La decisione tedesca (p. 234) - La Germania affretta la conclusione dell’accordo (p. 235) - Il trattato di non aggressione (p. 236) - Il protocollo segreto (p. 236).
5. La dichiarazione di guerra
11
L’URSS annette gli Stati baltici (p. 262) - L’URSS annette la Bessarabia (p. 263) - Acquisizioni bulgare e ungheresi (p. 263) - Il patto tripartito (p. 264) - Negoziati con la
Spagna (p. 264) - L’atteggiamento del governo Pétain (p. 266) - Le operazioni inglesi
contro la flotta francese (p. 266) - Le relazioni anglo-francesi prima della questione
di Dakar (p. 267) - Negoziati Hoare - de la Baume (p. 267) - Montoire (p. 268) - La
missione Rougier (p. 269) - Gli accordi Halifax-Chevalier (p. 269) - Gli Anglosassoni
e Vichy all’inizio del 1941 (p. 270) - I protocolli di Parigi (maggio 1941) (p. 271).
6. L’attacco tedesco alla Russia
Le esitazioni dell’URSS (p. 230) - I negoziati politici (p. 230) - Il negoziato di un accordo militare (p. 232).
4. I negoziati tedesco-sovietici e il trattato del 23 agosto 1939
4. L’Inghilterra sola contro l’Asse
5. Le questioni della Grecia e della Jugoslavia
Preliminari (p. 228) - La conclusione del trattato (p. 229) - La questione del Tirolo
meridionale (p. 229).
3. I negoziati delle democrazie con l’URSS
Sommario
293
Roosevelt e Cordell Hull (p. 293) - Lo stabilimento delle relazioni diplomatiche con
l’URSS (p. 294) - Il «buon vicinato» (p. 295) - La conferenza di Montevideo (p. 296) Cuba, Haiti e Panama (p. 297) - Fine della guerra del Chaco (p. 297) - La Commissione Nye (p. 297) - La prima legge di neutralità (p. 298) - La seconda legge di neutralità
(p. 299) - La legge speciale di neutralità per la Spagna (p. 299) - La terza legge di neutralità (p. 299) - La conferenza di Buenos Aires (1936) (p. 300) - La conferenza di
Lima (1938) (p. 301).
3. L’espansione giapponese e gli inizi della guerra contro la Cina
3. (1934-1939)
302
Gli armamenti navali (p. 302) - La conferenza navale di Londra (p. 303) - La ripresa
dell’espansione in Cina (p. 304) - Negoziati con l’URSS (p. 304) - Il patto anti-Komintern (p. 305) - L’inizio della guerra cino-giapponese (p. 306) - La guerra (p. 306) - I
tentativi di pace (p. 307) - L’atteggiamento degli USA (p. 308) - La Società delle Nazioni e la conferenza di Bruxelles (p. 309) - L’atteggiamento dell’URSS (p. 309).
4. Il contrasto tra il Giappone e gli Stati Uniti e la rottura (1939-1941)
L’evoluzione della politica giapponese (p. 311) - I progetti di espansione verso il Sud
310
Sommario
12
(p. 312) - L’occupazione del Tonchino e la risposta americana (p. 313) - Il patto tripartito (p. 314) - Lo sviluppo della cooperazione anglo-americana nel Pacifico (p.
315) - Le esitazioni giapponesi (primavera 1941) (p. 316) - Le decisioni giapponesi
(giugno-luglio 1941) (p. 317) - Gli ultimi negoziati e il loro fallimento (p. 319) - Pearl
Harbor (p. 321).
Introduzione
323
329
L’occupazione giapponese delle Filippine (p. 330) - Le Indie olandesi (p. 331) - La
Birmania (p. 332) - La Malesia britannica (p. 332) - Il Siam o Thailandia e l’Indocina
francese (p. 333) - L’India (p. 334) - L’«esercito nazionale indiano» (p. 335) - La Cina
(p. 335).
3. Le relazioni tra gli Alleati dal 1942 al 1944
336
344
350
6. Il Medio Oriente e la guerra totale
354
L’occupazione dell’Iran (p. 354) - Gli inizi della rivalità tra gli Alleati in Iran (p. 356) La Palestina (p. 357) - L’Egitto (p. 357) - Siria e Libano (p. 358).
7. La sconfitta tedesca (1944-1945)
359
I successi militari e la liberazione della Francia (p. 359) - Gli armistizi in Europa
orientale (p. 360) - Il riavvicinamento ceco-sovietico (p. 360) - La Francia e gli Alleati
(p. 361) - L’alleanza franco-sovietica (p. 362) - Le difficoltà fra gli Alleati alla fine del
1944 (p. 363) - La conferenza di Yalta (p. 364) - La capitolazione tedesca (p. 366).
8. La conferenza di Potsdam e la sconfitta giapponese
L’offensiva alleata contro il Giappone (p. 366) - Il fallimento dei negoziati in Cina (p.
368) - La tensione crescente tra Russi e Anglosassoni (p. 369) - L’ultima missione di
Hopkins a Mosca (p. 370) - La conferenza di Potsdam (p. 371) - La bomba atomica e
l’intervento sovietico contro il Giappone (p. 373) - La capitolazione giapponese (p. 374).
390
La «Commissione Consultiva Europea» (EAC) (p. 391) - Lo stabilimento delle zone
d’occupazione (p. 391) - La Francia, potenza occupante (p. 392) - Le rivendicazioni
territoriali (p. 393) - I problemi politici (p. 394) - I problemi economici (p. 395).
396
Procedura del negoziato (p. 396) - Il problema di Tangeri (p. 396) - L’elaborazione
dei trattati (p. 397) - Il trattato italiano (p. 397) - Il trattato romeno (p. 399) - Il trattato
bulgaro (p. 400) - Il trattato ungherese (p. 400) - Il problema degli Ungheresi di Slovacchia (p. 401) - Il riavvicinamento russo-cecoslovacco (p. 402) - Le frontiere polacche (p. 402) - Il governo polacco (p. 403) - Il problema del Danubio (p. 405) - Il trattato finlandese (p. 406).
4. La Lega araba, il Medio e Vicino Oriente
La sconfitta italiana (p. 350) - Le dimissioni di Mussolini, (p. 351) - I negoziati d’armistizio (p. 352) - La reazione tedesca (p. 353).
381
L’iniziativa americana (p. 381) - Le conferenze di Dumbarton Oaks (settembre-ottobre 1944) (p. 382) - Il problema del veto (p. 382) - Le decisioni di Yalta (p. 383) - La
conferenza di San Francisco (p. 383) - La Carta delle Nazioni Unite (p. 384) - Gli organi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (p. 385) - L’Assemblea generale (p. 386)
- Il Consiglio di sicurezza (p. 386) - L’ammissione dei nuovi membri (p. 388) - Le prime difficoltà (p. 388) - Il problema dell’energia atomica (p. 390).
3. I trattati coi satelliti della Germania
Preparativi politici dello sbarco alleato in Africa (p. 345) - La questione di Saint-Pierre e Miquelon (p. 346) - Negoziati con Giraud (p. 346) - L’intermezzo Darlan (p. 347)
- Il ristabilimento dell’unità (p. 349).
5. Il crollo dell’Italia
1. La creazione e gli esordi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite
2. L’occupazione della Germania
La conferenza di «Arcadia» o di Washington (p. 336) - L’alleanza anglo-sovietica (p.
337) - Le conferenze della Casa Bianca, di Mosca e di Anfa (p. 338) - La tensione tra
Anglosassoni e Russi (p. 339) - Le conferenze «Tridente» e «Quadrante» (p. 340) - La
conferenza dei tre ministri a Mosca (p. 341) - La prima conferenza del Cairo (p. 342)
- La conferenza di Teheran (p. 343) - La seconda conferenza del Cairo (p. 344).
4. Gli inizi del risollevamento francese
379
I. – IL FALLIMENTO DELLE GRANDI CONFERENZE
I. – INTERNAZIONALI (1945-1947)
Il patto tripartito (p. 324) - L’Ungheria (p. 324) - La Romania (p. 326) - La Bulgaria (p.
326) - La Jugoslavia e l’Albania (p. 327) - L’Europa occidentale (p. 328).
2. Il «nuovo ordine» giapponese in Estremo Oriente
13
PARTE III
IL SECONDO DOPOGUERRA (1945-1962)
VII. – LE RELAZIONI INTERNAZIONALI
VII. – DURANTE LA FASE MONDIALE DELLA GUERRA (1941-1945)
1. Il «nuovo ordine» in Europa
Sommario
407
Origini della Lega araba (p. 407) - La Carta e la Lega (p. 408) - La questione della Siria
e del Libano (p. 408) - Il fallimento dei negoziati anglo-egiziani (p. 410) - I negoziati
anglo-iracheni (p. 412) - I rapporti anglo-transgiordani (p. 412) - L’URSS e l’Iran (p.
413) - L’URSS e la Turchia (p. 415) - La questione greca (p. 416).
5. L’Estremo Oriente alla fine del secondo conflitto mondiale (1945-1947) 417
L’organizzazione dell’occupazione del Giappone (p. 417) - Il territorio giapponese
(p. 418) - Gli accordi cino-sovietici del 14 agosto 1945 (p. 419) - L’URSS e la Manciuria
(p. 420) - Aspetti internazionali della guerra civile cinese (p. 421).
6. La nascita dei due blocchi (1947)
422
La «dottrina Truman» (p. 422) - La conferenza di Mosca (p. 423) - Il piano Marshall:
aspetti politici (p. 424) - Il Cominform (p. 426) - La conferenza di Londra (p. 426).
366
II. – LA GUERRA FREDDA E CONFLITTI LOCALIZZATI (1948-1953)
1. Il problema tedesco e l’Europa occidentale nel 1948 e 1949
Il blocco di Berlino (p. 430) - La Francia e la Saar (p. 431) - Il Consiglio d’Europa (p.
432) - La conferenza di Parigi e la fine del blocco di Berlino (p. 434) - Gli accordi di
429
Sommario
14
437
L’ammissione della Germania e della Saar al Consiglio d’Europa (p. 437) - Il problema sarrese dopo la creazione della Repubblica federale di Germania (p. 438) - Negoziati per l’unità tedesca (p. 439) - Il piano Schuman: aspetti politici (p. 440) - Il piano
Pleven e il problema del riarmo tedesco (p. 442).
3. L’Alleanza atlantica
III. – L’EVOLUZIONE DELLA GUERRA FREDDA (1953-1957)
1. L’amministrazione repubblicana e il «New Look» diplomatico
449
454
463
7. Le crisi del Medio Oriente
467
8. L’emancipazione dell’Asia Sud-orientale
L’occupazione della Corea e il 38° parallelo (p. 488) - La Commissione mista russoamericana (p. 489) - L’intervento delle Nazioni Unite (p. 489) - La creazione di due
Stati coreani (p. 490) - Lo scoppio della guerra di Corea e l’azione del Consiglio di
sicurezza (p. 491) - L’intervento americano (p. 491) - La guerra di Corea fino all’inter-
523
Il fallimento della CED e il «rilancio europeo» (p. 523) - Mercato Comune ed Euratom
(p. 524) - Il regolamento del conflitto sarrese (p. 526).
5. L’Africa
528
Il problema tunisino (p. 528) - Il problema marocchino (p. 529) - Il problema algerino (p. 531) - Le reazioni dell’ONU e la questione Ben Bella (p. 532) - Libia e Sahara
(p. 534).
475
6. Il Medio Oriente
L’India e il Pakistan (p. 476) - La questione del Kashmir (p. 478) - Il problema dell’Haiderabad (p. 479) - Il Tibet (p. 479) - L’indipendenza birmana (p. 480) - L’indipendenza delle Filippine (p. 481) - I negoziati olandesi-indonesiani (p. 482) - La politica di forza degli Olandesi (p. 483) - L’indipendenza dell’Indonesia (p. 484) - La
questione dell’Indocina (p. 485).
9. La questione della Corea
516
L’armistizio di Corea (p. 516) - La conferenza di Berlino (p. 517) - La prima conferenza di Ginevra e l’armistizio in Indocina (p. 518) - Il trattato di Stato austriaco (p. 520)
- La conferenza dei quattro capi di governo a Ginevra (luglio 1955) (p. 521) - Il viaggio del cancelliere Adenauer a Mosca (p. 521) - La conferenza dei ministri degli Esteri a Ginevra (27 ottobre - 16 novembre 1955) (p. 522).
4. L’Europa occidentale
L’unità della Grande Siria (p. 467) - La difesa del Medio Oriente (p. 468) - L’aspetto
politico del problema petrolifero (p. 469) - La questione dell’Iran (p. 470) - L’Inghilterra e l’Egitto (p. 471) - La Lega araba e l’Africa del Nord (p. 472) - La sorte delle colonie italiane (p. 473) - L’indipendenza libica (p. 474).
507
La morte di Stalin (p. 507) - Le prime conseguenze: il «triumvirato» (p. 508) - Le democrazie popolari nell’«era Malenkov» (p. 509) - L’«équipe» Krusciov-Bulganin e la Jugoslavia (p. 510) - L’alleanza di Varsavia (maggio 1955) (p. 511) - Il XX congresso
del partito comunista dell’Unione Sovietica (p. 512) - Il colpo di Stato polacco (p.
513) - La rivoluzione ungherese (p. 514) - La reazione dell’URSS (p. 515).
3. Le relazioni fra i due blocchi dal 1953 al 1957
Il piano Morrison (p. 463) - Il piano di spartizione dell’Organizzazione delle Nazioni
Unite (p. 464) - La guerra di Palestina (p. 465) - Il piano del mediatore e il suo fallimento (p. 465) - Il problema dei rifugiati arabi (p. 466).
501
«New Look» strategico e diplomatico (p. 501) - La Comunità Europea di Difesa (p.
502) - La pressione americana e il fallimento della CED (p. 503) - Verso una «soluzione
di ricambio» (p. 504) - L’Unione dell’Europa Occidentale (p. 505) - L’Organizzazione
del trattato dell’Asia del Sud-Est (SEATO o OTASE) e gli altri trattati asiatici (p. 506) - I
Balcani, Trieste e Cipro (p. 506).
2. L’URSS e le democrazie popolari
La zona d’influenza sovietica (p. 454) - L’instaurazione dei regimi filo-comunisti (p.
455) - Il «colpo di Praga» (25 febbraio 1948) (p. 456) - Lo «scisma» jugoslavo (p. 457) La fine della guerra in Grecia (p. 459) - La Finlandia (p. 459) - I trionfi del comunismo cinese (p. 460) - La Cina comunista e l’URSS (p. 461) - La Cina comunista e le
potenze occidentali (p. 462).
6. La questione di Israele e le sue conseguenze
497
444
Le conferenze interamericane dal 1945 (p. 450) - Le delusioni della politica degli Stati
Uniti in America Latina (p. 451) - Gli Stati Uniti e la Repubblica argentina (p. 452) - Le
Repubbliche latine e le colonie europee d’America (p. 453) - La conferenza dei Caraibi (p. 454).
5. Il blocco sovietico
10. Il trattato di pace giapponese
La politica americana in Giappone (p. 497) - La conferenza di San Francisco (p. 498).
Il patto di Bruxelles (p. 444) - Patto atlantico: i negoziati (p. 444) - La pubblicazione
del testo (p. 445) - Le proteste sovietiche (p. 446) - La firma (p. 447) - L’assistenza
militare (p. 447) - L’istituzione degli organi del patto (p. 448) - L’allargamento del
patto (p. 449).
4. Le relazioni interamericane
15
vento cinese (p. 492) - Seconda fase: l’intervento cinese (p. 493) - Terza fase: dopo la
revoca di MacArthur (p. 495) - I negoziati d’armistizio (p. 496).
Washington sulla Germania (p. 435) - La Costituzione di Bonn e la creazione della
Repubblica federale di Germania (p. 436).
2. La politica tedesca e l’Europa dal 1950 al 1952
Sommario
534
L’Egitto di Nasser e il trattato con la Gran Bretagna (p. 534) - L’Iran (p. 536) - Il patto
di Baghdad (p. 536) - La nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez (p.
538) - La guerra d’Israele (p. 539) - L’intervento franco-britannico e il suo fallimento
(p. 540) - Il trionfo di Nasser e la dottrina Eisenhower (p. 542).
488
7. L’Estremo Oriente e l’Asia del Sud-Est
Le relazioni cino-sovietiche (p. 543) - La questione di Formosa (p. 544) - L’alleanza
con Chiang Kai-shek e la crisi del 1955 (p. 545) - L’evoluzione della politica estera
giapponese (p. 546) - La politica estera dell’India (p. 548) - La conferenza di Bandung (p. 549).
543
Sommario
16
8. Le relazioni interamericane
551
L’Organizzazione degli Stati Americani (p. 551) - La questione del Guatemala (p. 552)
- La questione della Costa Rica (p. 553).
3. La guerra del Vietnam
556
La questione dell’Iraq (p. 556) - La crisi di Formosa (p. 558).
2. La crisi di Berlino (1958-1961)
559
Lo scoppio della crisi (p. 559) - Il periodo dell’«ultimatum» (p. 560) - Il superamento
dell’«ultimatum» (p. 561) - Il viaggio di Krusciov negli Stati Uniti (p. 562) - La conferenza di Parigi e il suo fallimento (p. 562) - Il muro di Berlino (p. 563).
3. Le crisi cubane del 1961 e del 1962
564
575
581
Decolonizzazione dell’Africa nera inglese (p. 581) - La decolonizzazione dell’Africa
nera francese fino al 1958 (p. 584) - L’azione del generale de Gaulle in Africa nera (p.
586) - L’indipendenza del Congo belga (p. 588) - La crisi congolese e l’ONU (p. 590) Le «province portoghesi» (p. 591) - Il generale de Gaulle torna al potere (1° giugno
1958) (p. 592) - Il generale in Algeria (p. 594) - La guerra d’Algeria dal 1958 al 1962
(p. 594) - Gli accordi di Evian (p. 596).
I preliminari della politica gollista prima del 1962 (p. 603) - Il «grande disegno» del
presidente Kennedy (p. 605) - La risposta del generale de Gaulle (14 gennaio 1963)
(p. 607) - La crisi del Mercato Comune (p. 609) - Gli «ultimatum» francesi (p. 609) Verso un rilancio europeo (p. 611) - Crisi dell’organizzazione atlantica (p. 612) - La
Francia abbandona l’organizzazione militare dell’Alleanza atlantica (p. 613) - La tensione franco-americana (p. 615) - L’attacco contro il dollaro (p. 617) - Dopo le dimissioni del generale (p. 619).
641
L’aiuto ai Paesi sottosviluppati (p. 641) - L’aiuto americano verso il 1960 (p. 642) L’aiuto sovietico verso il 1960 (p. 643) - L’aiuto delle medie potenze: Francia e Regno
Unito verso il 1960 (p. 644) - Evoluzione dell’aiuto dopo il 1960 (p. 645) - Il terzo
mondo e l’arma commerciale: la conferenza di Ginevra (1964) (p. 645) - La conferenza di Nuova Delhi del 1968 (CNUCED II, o UNCTAD in sigla inglese) (p. 647) - La conferenza di Santiago del Cile (1972) o CNUCED III (p. 648) - Il metodo dell’unione dei
produttori (p. 648).
649
Conflitti africani (p. 650) - La crisi del Biafra (p. 651) - Il fallimento della secessione
(p. 652) - Conflitti in Asia (p. 654) - Il conflitto del Kashmir (seguito) e la guerra
indo-pakistana del 1965 (p. 655) - Il conflitto del Bangladesh (p. 656) - La guerra
indo-pakistana del 1971 e la secessione del Bangladesh (p. 657).
4. Un conflitto maggiore. La terza guerra arabo-israeliana
(5-10 giugno 1967)
601
603
658
I preliminari del conflitto arabo-israeliano (p. 658) - La guerra dei sei giorni (p. 659) Le grandi potenze e le conseguenze della guerra (p. 660) - L’azione dei Palestinesi
(p. 661).
5. La quarta guerra arabo-israeliana (6-24 ottobre 1973)
I. – LE DIFFICOLTÀ DEI DUE BLOCCHI (1962-1969)
1. Il gollismo e l’indebolimento del campo occidentale
634
Il non allineamento (p. 634) - La conferenza di Belgrado (1961) (p. 634) - Le conferenze del Cairo (1964) e di Algeri (1973) (p. 636) - Il problema del raggruppamento
(p. 637) - Raggruppamenti africani (p. 638) - Gruppi in Medio Oriente e nell’Asia del
Sud-Est (p. 639) - Gruppi in America Latina (p. 640).
3. I conflitti limitati
PARTE IV
LA FRAGILE DISTENSIONE (1962-1975)
Introduzione
626
II. – IL TERZO MONDO NELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
II. – DAL 1962 AL 1973
2. I problemi del terzo mondo: il fattore economico
L’era delle buone relazioni apparenti (1949-1957) (p. 575) - La crisi nascosta (p. 576)
- La questione dell’Albania (p. 577) - La rottura dichiarata in occasione del XXII congresso (p. 578) - La crisi si amplifica (p. 579).
5. La decolonizzazione dell’Africa e la fine della guerra d’Algeria
619
Lo sviluppo della guerra sotto la presidenza di Johnson (p. 627) - L’offensiva del Tet
(p. 629) - L’apertura dei negoziati (p. 630).
1. I problemi del terzo mondo: Alleanze e raggruppamenti
La rivoluzione cubana (p. 565) - La rottura tra Cuba e gli Stati Uniti (p. 566) - La preparazione di un intervento a Cuba (p. 567) - La questione della Baia dei Porci (p.
568) - L’Alleanza per il progresso (p. 569) - Gli inizi dell’intervento sovietico (p. 569)
- La decisione del presidente Kennedy (p. 570) - L’annuncio della decisione (p. 572)
- La decisione di Krusciov (p. 572) - La soluzione della crisi (p. 573).
4. Gli inizi della tensione cino-sovietica
2. L’indebolimento del campo sovietico
17
La caduta di Krusciov (p. 619) - Le difficoltà con la Romania (p. 620) - La disputa con
la Cina (p. 622) - Gli inizi della crisi cecoslovacca (p. 623) - La reazione sovietica (p.
624) - I negoziati russo-cecoslovacchi (p. 625).
IV. – L’ERA DELLE CRISI (1957-1962)
1. Le crisi in Asia dal 1958 al 1962
Sommario
663
La sorpresa (p. 663) - Le origini immediate della guerra (p. 663) - Le operazioni militari e il cessate il fuoco (p. 665) - La crisi sovietico-americana e gli accordi militari (p.
666).
III. – LA DISTENSIONE: SPERANZE E DELUSIONI (1969-1973)
1. I grandi negoziati: con l’URSS
Le difficoltà interne dei due Grandi (p. 669) - Gli sforzi del disarmo (p. 670) - I due
trattati (p. 671) - I negoziati tra i due Grandi: il SALT I (p. 672) - L’allargamento del
669
Sommario
18
Mercato Comune (p. 674) - L’accordo tra le due Germanie («Ostpolitik»), (p. 675).
2. I grandi negoziati: in Estremo Oriente
Sommario
3. La dissoluzione dell’URSS. L’aspetto ideologico ed istituzionale
677
19
721
Veduta complessiva (p. 721) - Ideologia e Storia (p. 722) - Il grande conflitto Gorbaciov-Eltsin (p. 723) - Il grande anno 1991 (p. 724).
La fine della guerra del Vietnam (p. 677) - La Cina nel concerto mondiale (p. 680).
4. La dissoluzione dell’URSS
PARTE V
LA GRANDE CRISI UNIVERSALE E IL CROLLO DEL COMUNISMO
Introduzione
685
I. – GLI ULTIMI ANNI DEL MONDO BIPOLARE
1. Le debolezze dell’Occidente
692
6. La crisi del comunismo cinese ed il fallimento degli anti-comunisti
732
La morte di Mao Tsé-tung e le sue prime conseguenze (p. 732) - L’apertura economica della Cina (p. 734) - Verso la distensione cino-sovietica (p. 735) - La grande crisi
cinese (aprile-giugno 1989) (p. 736) - La repressione (p. 736).
1. Il Mediterraneo
699
3. Il Golfo Persico
706
4. La guerra del Golfo
709
La «Perestrojka» e la «Glasnost» (p. 710) - Le riforme economiche di Gorbaciov (p.
710) - La liberalizzazione all’interno (p. 711) - L’era Reagan-Gorbaciov e le premesse
del disarmo (p. 712).
755
La politica francese in Africa (p. 756) - L’indipendenza del Sahara spagnolo. Il «Fronte Polisario» (p. 757) - L’indipendenza delle colonie portoghesi (p. 758) - Gli Stati
Uniti e l’Africa (p. 759) - Il ruolo particolare della Libia. Il Ciad (p. 760) - Il Sudan (p.
761) - Gli Occidentali ed il «Corno d’Africa» (p. 762) - Il problema dell’«apartheid» in
Sudafrica (p. 762).
6. L’Oceano Indiano ed il Pacifico
713
752
Gli obiettivi degli avversari (p. 752) - Negoziati e operazioni militari (p. 753) - La
sconfitta dell’Iraq (p. 753) - Perché il presidente Bush ha fermato così velocemente il
combattimento? (p. 754) - Curdi e sciiti (p. 754).
5. L’Africa incompiuta
Gli oppositori della «Perestrojka» prima della grande scossa del novembre 1989 (p.
713) - Le prime liberalizzazioni (p. 715) - La Polonia (p. 715) - L’Ungheria (p. 716) Lo spettacolare capovolgimento della Cecoslovacchia (p. 717) - Il grande avvenimento simbolico: la caduta del muro di Berlino (p. 718) - La riunificazione della Germania (p. 719) - Romania e Bulgaria (p. 719) - Gorbaciov e l’Afghanistan (p. 720) L’evacuazione (p. 721).
749
La rivoluzione iraniana (p. 749) - La guerra Iran-Iraq (p. 749) - Chi sostiene i due avversari? (p. 750) - Il problema del Golfo Persico (p. 751).
II. – IL CROLLO DEL COMUNISMO SOVIETICO
2. La fine del «sipario di ferro» e la «desatellizzazione»
741
Suez e il Sinai (p. 741) - I Palestinesi (p. 742) - L’iniziativa di Sadat (p. 744) - Il dramma libanese (p. 745) - La fase cristiano-palestinese (p. 745) - La fase siriano-cristiana
(1978-1981) (p. 746) - La fase israeliana (p. 746) - La fase delle fazioni (p. 747).
I disordini in Afghanistan prima dell’invasione sovietica (p. 706) - L’invasione sovietica (p. 706).
1. Gorbaciov e la «Perestrojka» fino al 1989
739
Il Mediterraneo nel conflitto Est-Ovest (p. 739) - La questione di Cipro (p. 740).
2. Il mondo arabo
La conferenza di Helsinki (p. 699) - La conferenza di Belgrado (p. 700) - Le conversazioni SALT II (p. 701) - La questione degli euromissili (p. 703) - La «guerra stellare» (p.
704).
4. L’aggressione sovietica contro l’Afghanistan e la resistenza
(fino al 1985)
730
III. – LE MISERIE DEL TERZO MONDO
Breznev e i suoi successori (p. 692) - L’era Breznev: l’URSS e i PC europei. La conferenza di Berlino (p. 693) - L’illusione dell’eurocomunismo (p. 694) - La crisi polacca:
le sue origini (p. 695) - La creazione della federazione sindacale «Solidarnosc» (p.
696) - Lo «stato di guerra» in Polonia ovvero la forza per salvare la dottrina (p. 698) Le altre Repubbliche socialiste sotto l’era Breznev (p. 698).
3. La lenta continuazione dei negoziati Est-Ovest
5. L’esplosione della Jugoslavia e la guerra fra gli Slavi del Sud
687
Il governo degli Stati Uniti (p. 687) - La paralisi della costruzione europea prima del
1985 (p. 688) - Il Portogallo e la Spagna aderiscono alla democrazia (p. 690).
2. L’«era Breznev» in Unione Sovietica
725
Il risveglio delle nazionalità e l’esplosione (p. 725).
763
L’importanza dell’Oceano Indiano (p. 763) - L’India e l’ASEAN (p. 764) - Il Pakistan (p.
765) - Lo Sri Lanka (Ceylon) (p. 765) - Le Filippine (p. 766) - Le due Coree (p. 766) Il Pacifico (p. 768).
7. Il ruolo particolare del Giappone
Il Giappone, seconda potenza economica (p. 769) - Il problema del riarmo giapponese (p. 770) - Gli scandali del 1989 (771).
769
Sommario
20
8. L’America Latina
771
I conflitti tradizionali (p. 771) - I conflitti ideologici (p. 772) - Due conflitti eccezionali: A. La questione delle Malvine (p. 774). B. La questione dell’isola di Grenada
(1983) (p. 775) - L’America Latina e la democratizzazione (p. 775) - I recenti conflitti
in America centrale (p. 776) - Il pericolo della droga (p. 777).
9. I rischi dell’influenza comunista nel terzo mondo
778
L’URSS e Cuba in Africa (p. 778) - L’Angola. I Cubani e la guerra civile (p. 779) - Verso
la pace in Angola (p. 780) - Il conflitto Somalia-Etiopia ed il «Corno d’Africa» (p. 780)
- La Corea del Nord (p. 782) - L’unificazione del Vietnam (p. 783) - Cambogia e Vietnam (p. 783) - Verso la pace in Cambogia (p. 784) - Fidel Castro e Cuba (p. 785).
IV. – VERSO UNA NUOVA DIPLOMAZIA. INCERTEZZE E MINACCE
1. I pericoli dell’«esplosione» demografica
788
Il fattore demografico: l’accrescimento numerico globale e differenziale (p. 788) - Le
correnti migratorie (p. 789) - I «boat people» (p. 792).
2. Il ruolo crescente della diplomazia economica e la confusione
2. crescente dell’economia mondiale
792
A. I drammi del petrolio: Il petrolio principale fonte di energia (p. 793) - La decisione
dell’ottobre 1973 ed il primo «choc petrolifero» (p. 794) - Principali conseguenze delle decisioni dell’OPEC (p. 796) - Il secondo «choc petrolifero» (p. 797) – B. Il dramma
delle monete fluttuanti: Il disordine monetario (p. 798) – C. Il dramma dell’indebitamento (p. 802) – D. Il dramma dei tassi d’interesse e dei cambi. Il crollo del Sistema
monetario europeo (p. 804).
3. Nazionalismo, razzismo, fanatismo
806
L’ondata del nazionalismo (p. 806) - I nazionalismi presso gli ex satelliti (p. 807) .- Le
ondate razziste (p. 807) - Il fanatismo (p. 808) - Il fanatismo terroristico (p. 809).
4. L’Europa smarrita
810
Il nuovo rilancio europeo e l’«Atto unico» (p. 810) - Le elezioni del giugno 1989 al
Parlamento europeo (p. 811) - Il trattato di Maastricht (p. 812) - Qualche punto essenziale: dalla «Comunità Economica Europea» (CEE) alla «Comunità Europea» (CE)
(p. 813) - Politica estera e difesa (p. 814) - Sostenitori ed avversari (p. 814).
5. L’inefficacia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite
815
La moltiplicazione degli «Stati» (p. 815) - L’azione locale a favore della pace (p. 816) Le ammissioni all’ONU (p. 817) - La diplomazia multilaterale (p. 820) - L’impotenza
dell’ONU (p. 821).
Indice dei nomi geografici
823
Indice dei nomi di persona
847
Introduzione
21
PRESENTAZIONE
Nell’ottobre 1992, Jean-Baptiste Duroselle firmava la prefazione all’undicesima e ultima edizione della sua Histoire diplomatique de 1919 à nos jours, ad
appena tre anni dalla precedente. Aveva avvertito l’esigenza di riprendere la
penna in mano, a così breve distanza di tempo, perché nel ’92 non era più à nos
jours un manuale che non considerasse né la caduta del muro di Berlino né la
scomparsa dell’Unione Sovietica, eventi tanto inattesi quanto conclusivi della
storia delle relazioni internazionali del nostro secolo. La vita non si ferma e
nemmeno quindi la storia che la tramanda, ma i sei anni finora trascorsi da
quegli eventi per quanto anch’essi densi di avvenimenti, possiamo ancora dire
che sono «i nostri giorni», il tempo in cui presentemente viviamo. Non si poteva
dire lo stesso se l’esposizione fosse rimasta interrotta al 1989.
L’autore è riuscito a vedere questa svolta decisiva nella storia del mondo in
età ormai avanzata, e a poco tempo dalla sua scomparsa, e non si è lasciato
sfuggire l’occasione di registrarla, dando un senso storicamente compiuto al suo
manuale sugli accadimenti internazionali del Novecento, che non aveva certo
immaginato di poter dare quando, all’inizio degli anni Cinquanta, aveva intrapreso la sua fatica.
J.-B. Duroselle, che era allievo ed allora assistente di Pierre Renouvin, s’era
proposto di comporre un manuale, destinato ai giovani, che «esponesse i fatti e
mostrasse il loro concatenamento», secondo una prassi dell’insegnamento universitario di tempi ormai passati, che assegnava agli assistenti il compito di presentare agli studenti le notizie, le nozioni di quel che era accaduto ed ai professori quello di svolgere un discorso critico intorno al tema o al periodo da studiare. E infatti il suo progetto si collegava con i corsi che Renouvin teneva alla
Sorbona e con i relativi volumi dell’Histoire des relations internationales che
pubblicò nel 1957 e 1958.
Con il tempo questo collegamento si ruppe, perché da un lato Renouvin
concluse la sua Histoire al 1945, e dall’altro Duroselle continuò la sua oltre la
data del 1952, ch’era il limite cronologico della prima edizione. Pur aumentando, dagli iniziali sette, gli anni che rimanevano privi di una storia interpretativa
generale delle relazioni internazionali cui la sua opera doveva fare da supporto,
Duroselle non ne mutò la caratteristica fondamentale di manuale che presentava
22
Parte terza – Il secondo dopoguerra (1945-1962)
ordinatamente la trama dei fatti diplomatici all’attenzione dello studente dei corsi di storia delle relazioni internazionali. Era, nel frattempo, a sua volta divenuto,
succedendo a Renouvin, il titolare dell’insegnamento nella cattedra parigina, ma
non proseguì l’opera generale del suo maestro. Le ragioni apparenti furono due:
un’opera di interpretazione e spiegazione degli avvenimenti se vuol essere storica, e non frutto di pregiudizi, fantasie, o mode del tempo, ha bisogno di poter
disporre di fonti significative che, per questo settore, sono in primo luogo rappresentate dalla documentazione originale sull’attività dei governi e degli altri
attori della scena internazionale, quella che correntemente chiamiamo «documenti diplomatici». Ora, se fino al 1945 si poté presto disporre di una quantità
sufficiente, se non esauriente, di questo materiale (ossia almeno gli archivi dei
paesi vinti) per gli anni successivi a quella data la pubblicazione delle grandi
collezioni di documenti diplomatici, quando s’è avviata, non ha assunto ancora
ritmi incoraggianti, e l’accesso agli archivi, dove è realmente consentito agli studiosi, sottostà alla regola che è visibile il materiale fino ai trent’anni precedenti;
ma le eccezioni, in senso negativo, sono molte. La seconda ragione è di natura
metodologica, e consiste nel progressivo abbandono da parte di Duroselle del
canone interpretativo, detto delle «forze profonde», come moventi principali della storia, che aveva reso celebre il suo maestro. Lo si può dedurre facilmente
leggendo le ultime righe di questo volume, ma anche le opere principali che
Duroselle ha prodotto negli anni della sua maturità scientifica: La décadence e
L’abîme, i due bei volumi sulla politica estera della Francia dal 1932 al 1944, e la
biografia di Clemenceau, che è in sostanza la storia della Francia nella Grande
Guerra. Non avrebbe potuto fare altrettanto se si fosse dedicato a continuare
l’opera di Renouvin. Valga un solo, ma significativo, esempio sul piano documentario. Chi avrebbe potuto immaginare che l’osannato John F. Kennedy fosse
proprio l’uomo dell’operazione «mangusta» (Cuba) che le Foreign Relations americane pochi mesi fa hanno fatto conoscere in tutti i particolari al mondo scientifico?
Il volume di Duroselle è già noto al lettore italiano. Ne uscì, nel 1972, la
traduzione della quinta edizione, che raggiungeva la fine degli anni Sessanta,
promossa dal desiderio mio e di altri colleghi di mettere a disposizione degli
studenti un valido strumento di lavoro per i corsi universitari. L’iniziativa ebbe
successo perché su quella trama, ricca e complessa, dei fatti, il docente poteva
poi svolgere nelle lezioni il suo compito di approfondimento, critica, inquadramento, aggiornamento storiografico, di vicende, periodi e problemi, che dovrebbe essere tipico di un corso accademico, senza essere vincolato dal condizionamento di un’interpretazione predeterminata. Con il passare degli anni, e la
necessaria estensione nel tempo del periodo trattato nei corsi, il manuale era
però ormai cronologicamente invecchiato e rispondeva meno bene al suo scopo. Se la scuola, almeno a livello universitario, fosse divenuta più «europea» nel
senso di familiarizzarsi con le principali lingue dei paesi europei con cui diciamo di volerci unire per non incorrere nel biblico disastro della torre di Babele,
sarebbe stato naturale indicare agli studenti d’abbandonare il vecchio testo ita-
I – Il fallimento delle grandi conferenze internazionali (1945-1947)
23
liano e di utilizzare l’ultima edizione francese. Nella realtà attuale, la soluzione
del problema era data da un’altra traduzione che, per ragioni editoriali, non
poteva essere che dell’intero volume. Mi sono assunto quest’onere confortato
dalla collaborazione di allievi ed amici che hanno proceduto a predisporre una
prima bozza di traduzione che ho poi interamente riveduto riscontrandola sull’originale ed uniformando il testo. Non voglio dire lo stile, perché si tratta di
lavoro compiuto non da traduttori di professione bensì da giovani studiosi che si
sono attenuti al criterio di rendere in italiano, nel modo più fedele e aderente
possibile, cioè letteralmente, il testo francese, per non fargli perdere uno dei
suoi pregi maggiori, la chiarezza. Sì che l’unica differenza che questa edizione
presenta rispetto all’originale è costituita dalla mancanza della lunga bibliografia
(31 pagine). L’ho soppressa perché quanti desiderano vederla per ampliare le
proprie conoscenze nel campo delle fonti o della storiografia esistenti sono naturalmente in grado di consultarla nell’edizione francese.
I collaboratori che hanno condiviso con me questo lavoro sono stati nell’ordine dei brani del volume da ciascuno tradotti, Luca Riccardi, Luca Micheletta,
Andrea Gabellini, Matteo Luigi Napolitano, Luciano Monzali, Federico Scarano e
Fabrizia Toscano. Quest’ultima, insieme a Micheletta, Napolitano e Scarano, ha
inoltre curato la parte editoriale del volume, ossia la grafia dei nomi stranieri,
l’indice dei nomi di persona e di quelli geografici e svolto tutte le altre incombenze che un prodotto preparato artigianalmente in casa comporta. Li ho menzionati senza titoli accademici perché hanno lavorato, con notevole sacrificio
personale, tutti indistintamente come miei amici personali e di questo sono loro
particolarmente grato.
Mi resta da dire che la soluzione al problema dell’invecchiamento della traduzione precedente poteva essere un’altra, il suo abbandono. Infatti, mano a
mano che essa invecchiava, sono comparsi nel panorama librario altri manuali,
uno soprattutto. La Storia delle relazioni internazionali 1918-1992 di Ennio Di
Nolfo. È un bel libro, che si colloca per contenuto quasi a mezza via tra l’impostazione di Duroselle e quella di Renouvin e può quindi senz’altro soddisfare
anche le esigenze didattiche dei miei corsi. Ma, presentandosi l’occasione offerta
dall’editrice LED di pubblicare una nuova traduzione completa, ho ritenuto che
non fosse giusto far scomparire dall’Italia un manuale ormai storico e tuttora
adottato in molti parti d’Europa, … per invecchiamento. Era anche un modo per
rendere omaggio alla memoria di uno studioso che ho sempre molto apprezzato
e che, reciprocamente, ha tenuto buon conto della scuola romana di Mario Toscano.
Pietro Pastorelli
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
599
PARTE QUARTA
LA FRAGILE DISTENSIONE
(1962-1975)
600
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
601
INTRODUZIONE
L’anno 1962 può apparire in retrospettiva come il simbolo della fine di un’epoca. Certo, lo storico non ignora che gli sconvolgimenti profondi non sono mai
segnati da date precise. Perciò usiamo la parola simbolo. È nel 1962 che si sono
prodotti gli avvenimenti essenziali che segnano in qualche modo la fine del
dopoguerra: indipendenza dell’Algeria e successo della dissuasione americana
nella questione dei missili di Cuba. Se si ammette che i due grandi eventi del
dopoguerra sono stati la decolonizzazione e la guerra fredda, si può dire che
l’indipendenza dell’Algeria annuncia la fine degli imperi e che la decisione del
presidente Kennedy nell’ottobre 1962 dimostra l’efficacia della dissuasione e
mette fine a quell’insieme di crisi a volte drammatiche conosciute sotto il nome
di «guerra fredda». Né la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra del Vietnam,
né i conflitti tra le piccole potenze, compreso quelle del Medio Oriente, causeranno tra le due superpotenze tensioni pericolose.
La fine degli imperi coloniali si presenta sotto una forma grandiosa: l’accesso all’indipendenza di più di 100 Stati di tutte le dimensioni. Si utilizza, per
indicarli globalmente, una definizione lanciata verso il 1957 dall’economista Alfred Sauvy e dal sociologo Georges Balandier: quella di «terzo mondo».
Avendo acquistato una forte maggioranza alle Nazioni Unite, i Paesi del
terzo mondo, malgrado la loro debolezza militare in termini convenzionali,
esercitano una influenza crescente: prima dominati, poi semplice posta in gioco
della lotta tra i due campi, i nuovi Stati diventano isolatamente e soprattutto
collettivamente, dei soggetti attivi della politica mondiale.
602
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
603
I.
LE DIFFICOLTÀ DEI DUE BLOCCHI
(1962-1969)
1. IL GOLLISMO E L’INDEBOLIMENTO DEL CAMPO OCCIDENTALE
I preliminari della politica gollista prima del 1962
Come abbiamo visto 1, è stato un episodio particolarmente drammatico della
guerra d’Algeria, la rivolta del 13 maggio 1958 ad Algeri, che ha riportato il
generale de Gaulle al potere: presidente del Consiglio, poi presidente della Repubblica.
Allontanato dal potere dopo le sue brusche dimissioni del 19 gennaio 1946,
il generale de Gaulle vi ritorna dunque dopo un’eclissi di 12 anni per realizzare
la sua ambizione fondamentale che è di sviluppare la politica estera della Francia per far avere a questo Paese, sebbene i suoi mezzi siano limitati, un ruolo
essenziale nella diplomazia mondiale.
Durante i primi quattro anni, questo ruolo non può essere che sfumato,
precisamente a causa della guerra d’Algeria che priva in qualche modo il generale della sua libertà d’azione. Nondimeno nel 1958 vengono prese due iniziative spettacolari. La prima concerne il Mercato Comune, che deve entrare in
vigore il 1° gennaio 1959 in virtù del trattato di Roma che abbiamo studiato in
precedenza 2. Il generale de Gaulle era conosciuto come un avversario dichiarato della sovranazionalità europea e la maggor parte dei suoi partner credono che egli agisca per impedire al Mercato Comune di nascere. Ma si verifica
proprio il contrario. Il generale de Gaulle incontra il cancelliere tedesco Konrad
Adenauer nel settembre 1958 e sembra essersi messo d’accordo con lui per di1
2
Vedere parte III, cap. IV, § 5, p. 593.
Vedere parte III, cap. III, § 4, p. 524.
604
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
fendere il Mercato Comune contro la principale minaccia allora esistente. Questa
proviene da una proposta dell’Inghilterra che, inquieta di vedersi creare una
zona commerciale privilegiata della quale peraltro non vuole far parte, propone di sovrapporvi una vasta zona di libero scambio raggruppante tutti i Paesi
europei occidentali. Se la zona di libero scambio fosse creata, i vantaggi doganali dei Paesi esterni al Mercato Comune sarebbero uguali a quelli dei membri
dell’organizzazione, il che avrebbe per effetto di diluirlo e di impedire di conseguire la sua specifica vocazione che è la realizzazione d’una Comunità economica che vada ben al di là della semplice unione doganale. Grazie agli
sforzi congiunti del generale de Gaulle e del cancelliere Adenauer, la proposta
britannica di una grande zona di libero scambio è infine abbandonata. I Britannici saranno obbligati ad accontentarsi di creare, di fronte al Mercato Comune, una piccola zona di libero scambio, l’European Free Trade Association
(EFTA), che raggruppa oltre il Regno Unito sei altri Paesi: Svizzera, Austria,
Portogallo, Danimarca, Norvegia, Svezia, più tardi Finlandia.
Inoltre, nel settembre 1958, il generale de Gaulle scrive al presidente Eisenhower una lettera nella quale gli chiede di sostituire alla direzione puramente americana della NATO, una direzione tripartita composta dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra e dalla Francia. Gli Stati Uniti, che dispongono della quasi totalità
delle forze nucleari strategiche dell’Alleanza atlantica, sono ostili a questo disegno e il presidente Eisenhower lo fa sapere al generale de Gaulle che, da allora,
resta silenzioso sull’organizzazione dell’Alleanza. Bisogna aggiungere che la
Gran Bretagna non è molto più favorevole. Essa perderebbe il ruolo d’alleata
privilegiata degli Stati Uniti, unita a questo Paese da «legami speciali». Quanto
agli altri alleati, quali la Repubblica federale di Germania e l’Italia, essi vedrebbero di cattivo occhio una soluzione che li escludesse dal potere supremo. Il
tentativo del generale de Gaulle dunque fallisce e bisogna attendere il 1963
perché egli lo riprenda sotto altre forme. Così, durante il periodo relativamente
poco attivo della politica gollista, fino agli accordi di Evian del marzo 1962, che
concedono l’indipendenza all’Algeria, i problemi essenziali sono stati posti. Il
generale de Gaulle è favorevole al Mercato Comune ma, come dimostra nella
primavera del 1962, egli è ostile a un’integrazione politica che allarghi l’integrazione economica. Pur essendo favorevole a una certa organizzazione dell’Europa sul piano della cooperazione, non vuol vedere sacrificata l’indipendenza
nazionale francese alla creazione di un super-Stato dell’Europa occidentale.
Quanto all’Alleanza atlantica, egli esprime le più grandi riserve sull’organizzazione esistente e sul dominio totale che vi esercitano gli Stati Uniti. Malgrado le
discrete pressioni degli Stati Uniti e l’opposizione dichiarata dell’ONU, de Gaulle
ordina la continuazione del programma atomico sperimentale. Il 13 febbraio
1960, la prima bomba atomica esplode a Reggane, nel Sahara algerino ancora
sotto controllo francese. La seconda esplosione avrà luogo in aprile, la terza in
dicembre, la quarta nell’aprile 1961. Dalla fase sperimentale, il generale de Gaulle decide che si passerà alla fase militare, e una legge quadro è adottata nel 1960
sulla force de frappe francese.
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
605
Il «grande disegno» del presidente Kennedy
Durante il periodo della presidenza di Eisenhower, il governo americano aveva
subito gravi delusioni in Europa. Il rifiuto della «Comunità Europea di Difesa» da
parte della Francia, il 30 agosto 1954, e la vicenda di Suez nel 1956 ne furono le
tappe principali. Così si è potuto notare che la politica americana dell’epoca di
Eisenhower e di Dulles era stata orientata a vantaggio dei Paesi esterni all’Europa più che verso l’Europa stessa. Il presidente Kennedy invece s’interessò vivamente del continente europeo e dell’Alleanza atlantica. All’inizio della sua presidenza, nella primavera del 1961, egli fece un importante viaggio in Europa.
Incontrò il generale de Gaulle e le relazioni tra i due uomini sembrava fossero
buone. Il generale, certo, aveva la più grande stima ed amicizia per il suo ex
compagno di battaglia Eisenhower, ma essendo egli anche un filosofo, uno storico e un pensatore, fu felice di scoprire un’alta cultura intellettuale nel giovane
presidente americano, ex allievo dell’Università di Harvard e membro dell’élite
intellettuale e finanziaria di Boston. D’altra parte, fin dal luglio 1961, la Gran
Bretagna, certamente influenzata da una forte pressione americana, decise di
porre la sua candidatura al Mercato Comune.
Il presidente Kennedy non si fermò lì. Elaborò sulle nuove relazioni transatlantiche una dottrina coerente che è definita il suo «grande disegno». Dopo aver
parlato di una Comunità atlantica che si sarebbe sovrapposta alla Comunità europea allargata, egli abbandonò questo termine e, in un importante discorso del
4 luglio 1962, presentò una teoria che sembra essere stata ispirata largamente
dal francese Jean Monnet, presidente del «Comitato d’azione per gli Stati Uniti
d’Europa». Di fronte ai potenti Stati Uniti d’America stabiliti sulla riva occidentale
dell’Atlantico, si dovevano costruire sulla riva orientale degli Stati Uniti d’Europa, inglobanti una grande parte dell’Europa occidentale. Si sarebbero così avuti
da una parte e dall’altra dell’Atlantico due solidi «pilastri», uniti da stretti legami
di differente natura, politici, economici, culturali e strategici. Questi legami costituivano quello che Jean Monnet e Kennedy chiamavano la «partnership atlantica». I due pilastri sarebbero stati uguali, ma su un punto d’importanza capitale gli Stati Uniti avrebbero tuttavia mantenuto un monopolio essenziale: quello
della forza nucleare e termonucleare. La dottrina McNamara della «risposta flessibile», che abbiamo analizzato sopra 3, implicava in effetti l’eventualità di decisioni molto delicate che, agli occhi del suo autore, non potevano essere prese che
da una sola autorità. Dunque poiché era vitale per gli Stati Uniti difendere l’Europa occidentale contro un’aggressione comunista, era inutile e perfino nocivo
che i Paesi europei o l’Europa unificata si fornissero di una forza atomica.
Sarebbe stato sufficiente per l’Europa avere un esercito convenzionale per il
quale gli Americani le chiedevano di accrescere il proprio sforzo finanziario.
Non ci doveva essere secondo McNamara e Kennedy che «un solo dito sul gril-
3
Vedere parte III, cap. IV, § 3, p. 574.
606
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
letto». Questo implicava che si sarebbe cercato d’assorbire nell’enorme forza
nucleare americana la piccola forza britannica e la forza, allora embrionale, della
Francia. Su tutti gli altri punti l’uguaglianza sarebbe stata completa. Conformemente a quello che sembrava essere uno dei voti del generale de Gaulle, si
sarebbe potuto anche estendere la responsabilità dell’Alleanza atlantica dalla
zona del Nord Atlantico all’insieme delle regioni del mondo, il che significava
che gli Stati Uniti avrebbero consultato prima i loro alleati sulla politica da seguire in Estremo Oriente, in Medio Oriente, in Africa. Nell’ottobre 1962, Kennedy
allargò questo programma ottenendo dal Congresso l’approvazione di una legge
doganale denominata Trade Expansion Act. Questa prevedeva che gli Europei e
gli Americani avrebbero negoziato una riduzione reciproca del 50% dei loro
diritti di dogana, in modo da stimolare il commercio tra le due rive dell’Atlantico. Inoltre, per tutti i prodotti di cui l’80% fosse stato fabbricato dai membri
del Patto atlantico ed eventualmente da qualche altro Paese sviluppato, i diritti
di dogana sarebbero stati praticamente soppressi. Ciò implicava che l’Inghilterra
aderisse al Mercato Comune.
Formulato compiutamente questo piano, il presidente Kennedy cercò subito
di realizzarlo. Come de Gaulle, egli credeva che, nelle democrazie, per mantenere l’unione tra i cittadini fosse necessario offrire loro delle realizzazioni
grandiose. Nella sua campagna elettorale, aveva proposto agli Americani quello
che lui chiamava la «nuova frontiera», che consisteva nel preparare in comune
un vasto sforzo per la conquista dello spazio. Agli Americani e agli Europei
proponeva il suo «grande disegno». Nello stesso mese d’ottobre 1962, nel quale
aveva riportato una vittoria decisiva nella questione dei missili sovietici a Cuba e
mostrato la sua capacità di decisione, il suo ottimismo si rinforzò ed egli dichiarò che gli Stati Uniti dovevano esercitare una «leadership» nel mondo occidentale. L’uso di questa parola presentava un certo pericolo. «Leader» vuol dire sia
guida che capo. È probabile che Kennedy presentasse gli Stati Uniti come la
guida intellettuale, morale e spirituale del mondo atlantico; ma per certi europei
sospettosi, e in particolare per il generale de Gaulle, questo non voleva dire che
gli Americani rivendicavano di diritto un’egemonia che nei fatti apparteneva
loro? In ogni caso il progetto sembrava presentarsi bene. Il generale de Gaulle
ricevette il primo ministro Harold Macmillan a Rambouillet e quest’ultimo credette che il generale accettasse senza difficoltà l’ingresso dell’Inghilterra nel
Mercato Comune. Poco dopo l’incontro di Rambouillet, dal 18 al 21 dicembre
1962, il presidente Kennedy e Macmillan si incontrarono a Nassau nelle isole
Bahamas. Il presidente annunciò ai Britannici che per ragioni finanziarie gli Stati
Uniti avevano deciso di abbandonare la produzione dei missili terra-aria Skybolt,
che i Britannici gli avevano richiesto per la loro forza d’urto. In cambio avrebbero fornito ai Britannici i missili Polaris utilizzabili dai sommergibili. Questo doveva essere un primo passo verso l’assorbimento della piccola forza strategica
britannica nell’enorme forza americana.
I Britannici per di più accettavano di non utilizzare la loro forza d’urto se
non in accordo con gli Americani attraverso l’organizzazione atlantica, salvo in
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
607
casi assolutamente eccezionali. Alla Francia si proponeva di agire ugualmente.
Questa sarebbe stata la «forza multinazionale». Avrebbe contribuito a sviluppare
la disuguaglianza, poiché se l’essenziale delle forze nucleari dell’Inghilterra e
della Francia dovevano essere integrate nelle forze atlantiche, sarebbe stato del
tutto diverso per gli Stati Uniti che avrebbero continuato a mantenere l’essenziale della loro forza strategica sotto comando puramente americano. Solo una
forza americana uguale alla forza britannica sarebbe posta sotto comando NATO.
Ben presto si aggiunse a questo programma quello di una «forza multilaterale»
(MLF), al fine di dare una soddisfazione simbolica a certi alleati privi di armi
nucleari, in particolare alla Germania, che si era impegnata nel 1954 a non dotarsi di armi atomiche, e all’Italia. Navi da guerra, eventualmente di superficie,
sarebbero state dotate di armi atomiche fornite dagli Americani. I loro equipaggi
sarebbero stati binazionali, per esempio americani e tedeschi. Ci sarebbe stato
bisogno dell’accordo dei due Paesi per lanciare le bombe. Insomma, la «forza
multinazionale» avrebbe dato agli Americani il controllo delle forze d’urto francesi e inglesi, mentre la «forza multilaterale» avrebbe portato gli Americani a
rinunciare a disporre liberamente delle loro bombe solamente per una frazione
minima, non dando agli alleati il diritto di utilizzarle senza l’assenso americano.
Poiché le navi di superficie erano molto vulnerabili, questo progetto complicato
appariva evidentemente come una sottigliezza politica e non come una questione militare.
La risposta del generale de Gaulle (14 gennaio 1963)
Come il presidente Kennedy, anche il generale de Gaulle aveva il suo «grande
disegno». Nella prima pagina del primo volume delle sue Memorie evoca infatti
la necessità di «grandi imprese» per eliminare i «fermenti di dispersione» che
agitano il popolo francese. Ma il suo grande disegno era completamente diverso
da quello del presidente Kennedy. Sul piano dell’unificazione europea, il generale de Gaulle rifiutava la creazione di un’Europa integrata o di Stati Uniti d’Europa nei quali le parti costituenti sarebbero state private della loro indipendenza. Quello che egli voleva era una sorta di confederazione, una «Europa degli
Stati» che si sarebbero concertati per cercare di seguire una politica estera comune. Questa politica estera sarebbe stata fondata essenzialmente su una cooperazione franco-tedesca. Con il cancelliere Adenauer, egli iniziò a negoziare un
trattato di cooperazione franco-tedesco che doveva essere firmato il 22 gennaio
1963 e che prevedeva incontri regolari tra i capi di Stato e di governo, tra i
ministri degli Esteri, tra i ministri di diverse altre branche, particolarmente Difesa, Istruzione e Gioventù, per favorire lo sviluppo di scambi economici e culturali.
La politica estera comune degli Stati europei, evidentemente ispirata dalla
Francia, doveva consistere in un accrescimento dell’indipendenza europea di
fronte agli Stati Uniti. Ricordandosi forse delle cattive relazioni che aveva intrattenuto con il presidente Roosevelt e Cordell Hull durante la seconda guerra
608
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
mondiale, il generale sospettava gli Stati Uniti di nutrire disegni di egemonia e
voleva liberarne gli Europei e soprattutto la Francia. Dopo l’incontro di Rambouillet con Macmillan, egli aveva creduto che anche l’Inghilterra fosse desiderosa di liberarsi della supremazia degli Americani. La conferenza di Nassau sembra dunque aver provocato in lui una completa delusione. L’Inghilterra aveva
immediatamente ceduto nella sostanza alle proposte americane. Questa era dunque la prova che, invece di venire a rinforzare un’Europa che mantenesse le
distanze riguardo agli Stati Uniti, la Gran Bretagna voleva entrare nella Comunità
europea come il «cavallo di Troia» degli Americani.
In una conferenza stampa del 14 gennaio 1963, che segna una svolta nella
storia del mondo occidentale, il generale de Gaulle stroncò il grande disegno di
Kennedy. Per prima cosa annunciò che era contrario all’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato Comune, almeno nelle circostanze presenti. Il suo ministro
degli Esteri, Couve de Murville, doveva spiegare questo «veto» agli alleati della
Francia qualche giorno dopo, durante una riunione a Bruxelles. Il generale de
Gaulle, che non aveva consultato i suoi cinque partner, si limitò a dare a questo
rifiuto delle spiegazioni economiche: «La questione è di sapere se la Gran Bretagna, attualmente, può prendere posto nel continente, e come possa, all’interno
di una tariffa che sia veramente comune, rinunziare ad ogni preferenza riguardo
al Commonwealth, cessare di pretendere che la sua agricoltura sia privilegiata e
ancora considerare decaduti gli impegni che ha preso con i Paesi della sua zona
di libero scambio ... Non si può dire che tale questione sia attualmente risolta.
Lo sarà un giorno? Evidentemente solo l’Inghilterra può rispondere». Inoltre
l’adesione dell’Inghilterra e di altri Paesi alla Comunità avrebbe trasformato profondamente la struttura del Mercato Comune. «Quello che si costruirebbe a undici, poi a tredici e poi forse a diciotto non somiglierebbe granché, senza alcun
dubbio, a quello che hanno costruito i sei».
Oltre al rifiuto della candidatura britannica, il generale de Gaulle espresse
nella stessa conferenza stampa la sua totale opposizione al progetto del presidente Kennedy di unificare in qualche modo le forze strategiche dell’alleanza
sotto la direzione americana. «Io ripeto, dopo averlo detto spesso, che la Francia
intende avere in proprio la sua difesa nazionale. I princìpi e la realtà si accordano nel condurre la Francia a dotarsi di una forza atomica che le sia propria. Ciò
non esclude del tutto ben inteso che l’azione di questa forza sia combinata con
quella degli alleati, ma per noi, nella fattispecie, l’integrazione è una cosa inimmaginabile ... È assai spiegabile che questa iniziativa francese non sembri molto
soddisfacente a certi ambienti americani. In politica e in strategia, come in economia, il monopolio appare naturalmente a chi lo detiene come il miglior sistema possibile. La Francia ha preso atto dell’accordo anglo-americano delle Bahamas. Dato il modo in cui è stato concluso, senza dubbio nessuno si meraviglierà
che non possiamo sottoscriverlo».
Le conseguenze del doppio rifiuto gollista aprivano una grave crisi sia nel
Mercato Comune, sia nell’Alleanza atlantica.
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
609
La crisi del Mercato Comune
Non consultati, i cinque soci della Francia reagirono con indignazione al veto
del generale de Gaulle. Alcuni di loro, soprattutto la Germania e i Paesi Bassi,
avevano commercialmente un interesse maggiore all’ingresso dell’Inghilterra nel
Mercato Comune. L’Italia e i Paesi del Benelux temevano di vedere, in seguito al
trattato franco-tedesco del 22 gennaio 1963, un «direttorio franco-tedesco» esercitare la sua egemonia sull’Europa. Se un’egemonia era necessaria, essi preferivano di gran lunga quella degli Stati Uniti che almeno si basava su una enorme
potenza economica e militare. L’opinione pubblica tedesca era divisa. La maggioranza del Bundestag non ratificò il trattato franco-tedesco, nel maggio 1963,
se non con l’aggiunta di un preambolo che ne diminuiva considerevolmente la
portata. La Germania applicherà il trattato, ma non abbandonerà la sua politica
tradizionale: «integrazione delle forze degli Stati membri dell’organizzazione atlantica, unificazione dell’Europa secondo la via tracciata dalla creazione delle
Comunità europee ammettendovi la Gran Bretagna e gli altri Paesi desiderosi
d’aderirvi». I cinque soci della Francia cominciarono con il ritardare la firma
della convenzione che rinnovava l’associazione dei Paesi africani e malgascio,
ex colonie francesi, al Mercato Comune.
La crisi del Mercato Comune non è però immediatamente legata all’esclusione della Gran Bretagna. In effetti, le elezioni britanniche dell’ottobre 1964
portarono al potere i laburisti con Harold Wilson come primo ministro. Il partito
laburista era considerato più ostile dei conservatori all’unificazione europea. Il
primo governo di Wilson lasciò poco spazio ai filo-europei. Ma a partire dal
1965 si constatò una evoluzione nel pensiero di Wilson e la sua conversione
all’idea europea. Alle elezioni del 1966 i laburisti riportarono un grande successo. Da 5 seggi la loro maggioranza passò a quasi 100 e, nell’agosto 1966, George
Brown, considerato come il leader dei filo-europei del partito laburista, fu nominato ministro degli Esteri.
Gli «ultimatum» francesi
Dal 1963 al 1966, la crisi del Mercato Comune verté sulle rivendicazioni francesi
in materia agricola. Il trattato di Roma del 1957 aveva previsto un piano di unione doganale concernente i prodotti industriali, ma era stato poco esplicito per
quel che riguardava l’agricoltura. La Francia era la principale potenza agricola
del Mercato Comune e la sua popolazione agricola raggiungeva ancora il 17%
del totale. L’agricoltura francese era in piena modernizzazione e la produzione
aumentava. Agli occhi del governo francese era dunque essenziale che il Mercato Comune potesse contribuire a risolvere il problema dell’esportazione delle
eccedenze agricole. Ma, sebbene i prezzi agricoli fossero più bassi in Francia,
nei Paesi Bassi e soprattutto in Italia che in Germania, essi restavano superiori ai
prezzi mondiali; fare del Mercato Comune una zona privilegiata per i prodotti
610
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
francesi corrispondeva evidentemente all’interesse nazionale della Francia. Mentre fino a quel momento i negoziati tra i membri del Mercato Comune s’erano
svolti in un’atmosfera di cooperazione, è questa nozione dell’interesse nazionale
a dominare ormai i dibattiti. Nel corso dei negoziati, d’altronde estremamente
tecnici e complicati, la Francia utilizzò il sistema degli ultimatum, che, in generale, portarono in extremis a dei compromessi in seguito a discussioni logoranti
cui si è attributo il nome di «maratone agricole».
Il primo ultimatum fu lanciato nel gennaio 1962. Si decise il passaggio alla
seconda fase del trattato (abbassamento delle barriere doganali sui prodotti industriali) dopo la firma di accordi agricoli che istituivano organizzazioni europee di mercato per certi prodotti: cereali, prodotti trasformati, frutta, legumi,
vini, e che definivano un regolamento finanziario secondo il quale i Paesi che
importavano una parte del loro nutrimento da fuori, vale a dire dalle zone esterne al Mercato Comune, avrebbero dovuto sostenere le esportazioni agricole dei
loro soci. Così veniva stabilita una responsabilità finanziaria comune. Un secondo ultimatum francese portò alla seconda maratona agricola che terminò il 23
dicembre 1963. Furono stabiliti nuovi mercati agricoli europei per i prodotti del
latte, la carne bovina e il riso. Un terzo ultimatum francese portò il 15 dicembre
1964 alla conclusione di una terza maratona agricola: la realizzazione del Mercato Comune agricolo sarebbe stata accelerata per i cereali e i prodotti trasformati
e la libera circolazione di questi prodotti sarebbe avvenuta il 1° luglio 1967
grazie all’adozione di un prezzo unico. La Commissione doveva presentare entro il 1° aprile 1965 delle proposte sul finanziamento della politica agricola comune per il 1965-1970 e delle proposte per il finanziamento del mercato unico a
partire dall’entrata in vigore dei prezzi comuni per i diversi prodotti agricoli.
La Commissione europea di Bruxelles fece conoscere i suoi progetti il 31
marzo 1965. Essa propose al Consiglio dei ministri che il Mercato Comune fosse
realizzato per il 1° luglio 1967. Durante un periodo di due anni precedente
questa data, la politica agricola comune sarebbe stata finanziata con contributi
forfettari degli Stati membri. A partire dal 1° luglio 1967 la Comunità Economica
Europea avrebbe disposto di risorse proprie: i diritti doganali della tariffa comune e i prelievi agricoli. Essa sarebbe stata controllata dall’Assemblea parlamentare europea i cui poteri sarebbero stati così accresciuti. La Commissione di Bruxelles intendeva altresì disporre di risorse finanziarie cospicue, che l’avrebbero
fornita di considerevoli poteri sovranazionali. Il Consiglio dei ministri della Comunità si riunì il 15 giugno 1965 e la Francia si oppose subito al progetto della
Commissione, proponendo al contrario il finanziamento con contributi nazionali
calcolati in funzione delle importazioni agricole degli Stati membri. Il 1° luglio
1965 la Francia aprì la crisi più grave che il Mercato Comune avesse conosciuto
fino ad allora, annunciando che essa non avrebbe più partecipato alle riunioni
di Bruxelles. La Francia dunque lasciava momentaneamente il Mercato Comune.
Il 9 settembre 1965, il generale de Gaulle indicò le condizioni per il rientro della
Francia nella Comunità. Esigeva una riduzione del ruolo della Commissione, che
egli considerava come composta da «tecnocrati internazionali», a vantaggio dei
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
611
ministri nazionali. Inoltre le regole del Mercato Comune, le quali prevedevano
che allo scadere di un certo termine le votazioni all’unanimità sarebbero state
sostituite con quelle a maggioranza, erano respinte dalla Francia. La maggioranza implica infatti un potere sovranazionale mentre l’unanimità lo esclude. Il Mercato Comune sarebbe scomparso? I cinque soci della Francia accettarono un
compromesso per riportarla nella Comunità. Dopo la rielezione del generale de
Gaulle a presidente della Repubblica nel dicembre 1965, il governo francese
attenuò la sua intransigenza e accettò di partecipare nel gennaio 1966 alla riunione del Consiglio dei ministri del Mercato Comune. In questa riunione i poteri
della Commissione furono di fatto ridotti. I cinque soci della Francia rimasero
fedeli al principio della maggioranza per certe decisioni, ma, opponendosi la
Francia, era evidente che in avvenire l’unanimità sarebbe rimasta indispensabile.
Il ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, Luns, escogitò una soluzione sottile.
«Quando nel caso di una decisione suscettibile di essere presa a maggioranza, su
proposta della Commissione, saranno in gioco degli interessi molto importanti
di uno o più soci, i membri del Consiglio si sforzeranno entro un lasso di tempo
ragionevole di arrivare a soluzioni che potranno essere adottate da tutti i membri del Consiglio nel rispetto dei loro interessi e di quelli della Comunità». Detto
altrimenti, non si prenderanno delle risoluzioni a maggioranza senza essere certi
che alla fine esse saranno accettate all’unanimità!
Verso un rilancio europeo
A partire dal rientro della Francia nella Comunità nel 1966, l’atmosfera restò
tesa, ma si poté constatare qualche progresso. L’8 aprile 1965 era stato firmato
a Bruxelles un trattato che prevedeva la fusione [degli esecutivi] delle tre Comunità esistenti: la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, l’E URATOM e
il Mercato Comune. Il 1° luglio 1968, entrò in vigore l’abolizione di tutti i diritti
di dogana all’interno dei sei ed una tariffa con l’estero che era la media delle
tariffe con l’estero di ciascuna di esse, diminuita dell’8% nel 1962 in seguito a
negoziati con gli Stati Uniti e del 16% nel 1967 in seguito ai negoziati detti
«Kennedy Round» con gli stessi Stati Uniti (conseguenze del Trade Expansion
Act dell’ottobre 1962 già menzionato). Infatti, il Mercato Comune, che era così
divenuto una zona di libero scambio interna, era allora ben lontano dal realizzare il suo scopo sul piano economico poiché la cooperazione economica
funzionava male in numerosi punti. Anche se le tariffe doganali erano state
abolite, esistevano numerose possibilità non doganali di bloccare gli scambi
all’interno del Mercato: regolamenti sanitari, regolamenti di sicurezza e norme
di fabbricazione, ecc. D’altra parte il fisco era differente nei diversi Paesi malgrado l’adozione tra i sei del sistema francese dell’«Imposta sul Valore Aggiunto» (IVA). Infatti le IVA adottate erano differenti a seconda dei Paesi. Soprattutto
non si era trovata una vera soluzione al problema agricolo. Ci si contentava di
prelievi fatti proporzionalmente alle importazioni provenienti dall’esterno del-
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
612
la Comunità, ma i grandi Paesi importatori, come la Germania, erano scontenti
di dover subire il peso principale delle spese e i prezzi agricoli del Mercato
Comune non erano competitivi.
Era possibile renderli competitivi? Sì sul piano teorico. Il vicepresidente
olandese della Commissione dei sei, Mansholt, propose un piano: «Il memorandum sulla riforma dell’agricoltura nella Comunità Economica Europea» (18
dicembre 1968). Secondo lui, bisognava riformare profondamente la struttura
dell’agricoltura nel Mercato Comune: «La superficie media delle aziende agricole
della Comunità non è che di circa 10 ettari». L’optimum sarebbe stato da 80 a 120
ettari per i cereali, da 40 a 60 mucche per il latte, ecc. Così si sarebbero ottenuti
una più elevata produttività e un abbassamento dei prezzi, ma ciò implicava
una diminuzione considerevole del numero degli agricoltori; questi erano 15
milioni alla fine degli anni ’50, 10 milioni nel 1969. Sarebbe occorso ridurre la
cifra a 5 milioni per il 1980. E ciò presupponeva un vasto esodo rurale e, di
conseguenza, un problema economico e politico. Sarebbe stato necessario trovare degli impieghi per gli agricoltori spinti così verso l’industria e il terziario,
sarebbe stato necessario che tutto ciò fosse avvenuto senza creare un malcontento inammissibile. Fino alle dimissioni del generale de Gaulle, il 28 aprile
1969, la Comunità Economica Europea non aveva fatto nuovi progressi. A partire dal 1967 si era posto di nuovo il problema dell’ingresso della Gran Bretagna
nel Mercato Comune. La risposta del generale era rimasta simile a quella del
1963, vale a dire un’opposizione inesorabile alla candidatura britannica, caldeggiata invece dagli altri cinque soci della Francia.
Crisi dell’organizzazione atlantica
La Francia aveva fermamente respinto il progetto di forza nucleare multilaterale (MLF) proposto dagli Americani. Al presidente Kennedy, assassinato a Dallas in Texas il 22 novembre 1963, successe il vicepresidente Lyndon Johnson,
rieletto nel 1964. A differenza di Kennedy, Johnson s’interessava molto meno
dei problemi europei: la sua preoccupazione principale era la guerra del Vietnam di cui parleremo più avanti 4. Si vedrà come il governo francese, sotto
l’impulso del generale de Gaulle, abbia preso una serie d’iniziative visibilmente
ispirate da un desiderio d’indipendenza rispetto agli Stati Uniti. Queste iniziative
dovevano suscitare un vivo malcontento non solamente negli Stati Uniti, ma
anche tra i partner della Francia e soprattutto in Germania. Quest’ultimo Paese
sapeva che la sua difesa, e in particolare quella di Berlino Ovest, dipendeva
essenzialmente dalla presenza delle truppe americane sul suo territorio. Il cancelliere Adenauer, che aveva perseguito con energia una politica di riconciliazione con la Francia, e che era un europeista convinto, fu accusato da numerosi
4
Vedere § 3, p. 626 e segg.
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
613
avversari di non tenere nel dovuto conto queste realtà. Dovette promettere di
dimettersi, e, nell’ottobre del 1963, gli successe alla cancelleria il suo ministro
dell’Economia Erhard. Il nuovo ministro degli Esteri Schröder attuò una politica
filo-americana e non manifestò alcuna simpatia nei confronti della Francia. Il
trattato franco-tedesco del gennaio 1963 si ridusse a poca cosa.
Dal 1963 al 1966 la politica anti-americana della Francia si manifestò con
una serie di gesti d’importanza relativamente minore. Nel gennaio 1964, la Francia riconobbe la Cina comunista e dovette così rompere le relazioni con la
Repubblica cinese di Formosa sostenuta dagli Stati Uniti. Nel marzo 1964, il
generale de Gaulle si recò in Messico, dove ebbe un’accoglienza entusiastica,
ma ciò sembrò a molti Americani come un’incursione in quell’emisfero occidentale dove essi si riservavano, fin dalla dottrina di Monroe del 1823, l’influenza
maggiore. Nell’aprile 1964, ad una riunione del Consiglio della SEATO, la Francia
propugnò la neutralizzazione del Vietnam del Sud, cosa contraria alla politica
americana. Poi la Francia abbandonò il suo seggio al Consiglio del Trattato del
Sud-Est Asiatico. Sempre nel 1964, il generale de Gaulle, ricordando che non lo
si era fatto partecipare alle decisioni concernenti lo sbarco in Normandia del 6
giugno 1944, rifiutò di assistere alla commemorazione di questo grande evento
militare, che pure era stato il preludio della liberazione della Francia da parte
delle truppe alleate. Quanto alla forza multilaterale, il generale de Gaulle continuò a respingerla. È vero che essa non suscitava entusiasmo né da parte dell’Italia, né dell’Inghilterra, né da quella della stessa Germania, e che gli Stati Uniti
dovettero abbandonarla definitivamente nel 1965. Inoltre, il generale de Gaulle
abbozzò in questi anni un riavvicinamento all’Europa dell’Est, ed auspicò per un
avvenire indeterminato la creazione di un’Europa «dall’Atlantico agli Urali». Certamente, egli non provava nessuna simpatia per il regime sovietico e chiamava
l’URSS «l’ultima e la più grande potenza coloniale di quest’epoca». Tuttavia, manifestando una tendenza a un relativo neutralismo, dichiarò nella conferenza
stampa del 23 luglio 1964: «La ripartizione dell’universo in due campi guidati
rispettivamente da Washington e da Mosca risponde sempre meno alla situazione reale ... Secondo noi, Francesi, bisogna che l’Europa si faccia per essere
europea».
La Francia abbandona l’organizzazione militare dell’Alleanza atlantica
Dopo la rielezione relativamente difficile del generale de Gaulle nel dicembre
1965, si poté credere che egli avrebbe adottato un atteggiamento più conciliante. Invece si verificò il contrario. Il 7 marzo 1966, il ministro francese degli
Esteri, Couve de Murville, consegnò all’ambasciatore americano Charles Bohlen
un messaggio personale del generale de Gaulle al presidente Johnson. In questo
messaggio, il generale annunciava che la Francia, pur restando fedele all’Alleanza atlantica, decideva di ritirare le sue truppe dalle forze militari integrate in
seno all’organizzazione che si sovrapponeva all’Alleanza: la NATO. «La Francia si
614
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
propone di recuperare sul proprio territorio l’intero esercizio della sua sovranità, attualmente intaccata dalla presenza permanente di elementi militari alleati e
dall’uso del suo cielo, di cessare la sua partecipazione al comando integrato e di
non mettere più forze a disposizione dell’organizzazione atlantica».
La Francia restava dunque alleata degli Stati Uniti e degli altri membri del
Patto atlantico, ma rifiutava l’integrazione in tempo di pace che era stata instaurata fin dalla fine del 1950 per gli eserciti degli Stati continentali dell’Alleanza e
per le forze britanniche e americane stanziate in Germania. Il 10 marzo un memorandum francese, che enunciava lo stesso principio, fu consegnato a tutti gli
altri membri dell’Alleanza.
La decisione francese poneva numerosi e gravi problemi. Per prima cosa,
essa implicava l’evacuazione delle basi americane e canadesi stabilite in Francia.
Essa sembrava indicare che gli aerei della NATO non avrebbero potuto sorvolare
il territorio francese. D’altronde si era già avuto un incidente allorché aerei americani avevano sorvolato la fabbrica produttrice di uranio arricchito di Pierrelatte. Ora, essendo la Svizzera un Paese neutrale come pure l’Austria, se non si
poteva sorvolare la Francia, la parte Nord e la parte Sud dell’Europa atlantica
sarebbero state separate l’una dall’altra. Inoltre, c’erano circa sessantamila soldati francesi in Germania che fino ad allora facevano parte delle truppe integrate
dello SHAPE. La Germania desiderava vivamente il mantenimento di queste truppe sul suo territorio come complemento alle truppe americane e britanniche, ma
le sarebbe stato giuridicamente possibile accettare di mantenerle al di fuori della
NATO? La Francia era una grande via di comunicazione per il rifornimento delle
basi americane in Germania con oleodotti, depositi di materiale, linee di trasporto, ecc. Tutte queste installazioni avrebbero dovuto essere evacuate. Infine, a
livello psicologico, non c’era dubbio che si trattava di un indebolimento dell’Alleanza. Alcuni credevano che, nell’aprile 1969, in occasione del 20° anniversario
del Patto atlantico, la Francia avrebbe approfittato dei termini del trattato per
denunciarlo. Ci si domandava se la Francia non stesse evolvendo verso il neutralismo o perfino verso un rovesciamento delle alleanze che l’avrebbe avvicinata
all’URSS. I quattordici alleati della Francia adottarono però atteggiamenti differenti. Tre di loro, Norvegia, Danimarca e Portogallo si dichiararono ostili a recriminazioni violente. Il presidente Johnson, il 23 marzo, rispose lungamente al
generale de Gaulle e cercò di confutare i suoi argomenti. Il modo di vedere
«secondo il quale la presenza delle forze militari alleate sul suolo francese lede
la sovranità francese mi lascia perplesso; le forze vi si trovano su invito della
Francia, secondo un piano comune per aiutare a garantire la sicurezza della
Francia e dei suoi alleati». I Britannici domandarono al governo francese d’intraprendere dei negoziati per una riorganizzazione della N ATO, la quale aveva
mantenuto la sua struttura del 1950 che, evidentemente, dopo quindici anni,
non era più perfettamente adatta alla situazione. I Tedeschi auspicarono il mantenimento del quadro della NATO e del sistema dell’integrazione, ma accettarono
un negoziato per il problema dello stazionamento delle truppe francesi in Germania. Il 1° luglio 1966 queste cessarono di essere subordinate alla NATO, così
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
615
come le altre forze aeree e navali francesi. Il personale francese distaccato
presso il comando alleato integrato sarebbe stato ritirato e rimpiazzato da semplici missioni di collegamento. Il comando supremo in Europa, lo SHAPE, il comando Centro Europa, e il Collegio di Difesa della NATO sarebbero stati trasferiti
fuori del territorio francese alla data del 1° aprile 1967. Lo S HAPE doveva essere
trasferito a Bruxelles e il Collegio di Difesa della NATO a Roma. Infine, tutte le
basi e le installazioni militari americane e canadesi dovevano lasciare il territorio
francese per il 1° aprile 1967, salvo qualche proroga che poteva essere considerata. La moderazione del tono dei comunicati ufficiali non poteva nascondere la
violenta reazione dell’opinione pubblica americana e di quella degli altri alleati.
Ancora una volta il generale de Gaulle aveva agito unilateralmente; ancora una
volta il successo diplomatico che egli riportava era di carattere negativo. La sua
politica pareva indebolire gravemente, almeno sul piano psicologico, la capacità
di resistenza della NATO. Il 3 maggio 1966, il governo francese dichiarò che le
autorizzazioni al sorvolo del territorio francese da parte degli apparecchi alleati,
che erano concesse fino allora su base annuale, sarebbero state ora concesse
solo su base mensile e avrebbero potuto essere ritirate con un preavviso di 30
giorni. Il governo americano, a titolo di protesta, si limitò a vietare l’esportazione in Francia delle calcolatrici elettroniche giganti (Control Data) utili per
la preparazione della bomba all’idrogeno francese. Gli Americani si rassegnarono ad accettare le decisioni francesi e, mediante diverse stipulazioni finanziarie,
l’evacuazione del territorio francese da parte delle truppe alleate fu compiuta
alla data prevista dell’aprile 1967. Gli Americani praticano una politica del tutto
differente da quella dei Sovietici verso i loro alleati, come vedremo a proposito
della questione cecoslovacca. La caduta del cancelliere Erhard in Germania, in
seguito alle dimissioni di quattro ministri liberali e la sua sostituzione con il democratico-cristiano Kurt Kiesinger, nel novembre 1966, contribuirono ad attenuare i
disaccordi tra Francia e Germania. Il ministero degli Esteri passò da Schröder,
relativamente anti-francese, che divenne ministro della Difesa, a Willy Brandt,
ex sindaco di Berlino, e il 21 dicembre 1966 fu firmato l’accordo sullo stazionamento e lo statuto delle forze francesi in Germania. Una visita di Kiesinger e
Brandt a Parigi, nel gennaio 1967, confermò questo miglioramento.
La tensione franco-americana
Nel giugno-luglio 1966, i rapporti tra Francia e Stati Uniti si deteriorarono ulteriormente in seguito a due viaggi del generale de Gaulle: il primo ebbe luogo in
URSS dal 20 giugno al 1° luglio; pur rimanendo molto fermo, in particolare sul
non riconoscimento della RDT, il generale de Gaulle riteneva che fosse possibile
un riavvicinamento con i Paesi dell’Est. Il viaggio a Mosca fu particolarmente
caloroso e il comunicato ufficiale annunciò la creazione di una Commissione
mista franco-sovietica per la cooperazione economica e scientifica e in particolare per il lancio di un satellite francese da parte dell’Unione Sovietica. Molti Ame-
616
Parte quarta – La fragile distensione (1962-1975)
ricani temettero che si trattasse del preludio a un rovesciamento delle alleanze.
Un secondo viaggio, dal 25 agosto al 12 settembre, condusse il generale de
Gaulle a Gibuti, in Etiopia e in Cambogia. In quest’ultimo Paese, nello stadio di
Phnom Penh, egli fece, il 1° settembre 1966, una dichiarazione sulla guerra del
Vietnam che fu giudicata assai offensiva da molti Americani: trascurando il fatto
che le truppe nord-vietnamite s’infiltravano in territorio sud-vietnamita, egli
sembrò attribuire l’intera responsabilità della guerra ad un intervento americano
e raccomandò la neutralizzazione del Vietnam del Sud sul modello della neutralità cambogiana. «Mentre il vostro Paese, disse ai cambogiani, riusciva a
salvaguardare il suo corpo e la sua anima, perché rimaneva padrone in casa
propria, si vide l’autorità politica e militare degli Stati Uniti installarsi a sua volta
in Vietnam e nello stesso tempo rianimarsi la guerra ... La posizione della Francia è presa; essa condanna gli avvenimenti attuali». In breve, egli sembrava accusare gli Americani di essere i soli responsabili della crudele guerra che devastava
il Vietnam.
Nel 1967, la tensione non fece che aumentare. Durante la guerra dei sei
giorni tra Israele e i Paesi arabi (giugno 1967), il generale de Gaulle prese deliberatamente le parti degli Arabi e gli Americani lo accusarono di essersi così
allineato ai Sovietici. Nei due grandi conflitti che agitavano il mondo: Vietnam e
Medio Oriente, la posizione della Francia si distaccava dalla posizione americana. La crisi si accentuò ulteriormente alla fine di luglio 1967, quando il generale
de Gaulle compì una visita in Canada. Grazie a un accordo faticosamente concluso con il governo federale canadese, egli aveva ottenuto l’autorizzazione a
fermarsi prima nel Québec e a Montréal, dove predomina la lingua francese.
Accolto da una folla delirante, il generale de Gaulle andò molto oltre un’esaltazione dei legami culturali tra la Francia e la sua antica colonia canadese che
aveva perduto nel 1763. Il 24 luglio a Montréal, in una allocuzione improvvisata,
reclamata dalla folla, egli diede alle sue parole un carattere nettamente politico:
«Questa sera, qui e lungo tutto il percorso, mi trovo in un’atmosfera uguale a
quella della Liberazione ... la Francia intera sa, vede e comprende quello che
succede qui. Viva Montréal, viva il Québec, viva il Québec libero, viva il Canada
francese, viva la Francia». L’espressione «viva il Québec libero», quella «i francesi
del Canada» al posto di «canadesi francofoni» riecheggiavano la propaganda della minoranza indipendentista del Québec. Il governo federale canadese, diretto
dal liberale Lester Pearson, vi vide un intervento negli affari interni del Canada:
mostrare di difendere i fautori dell’indipendenza di una delle province di uno
Stato federale è in effetti un atto poco compatibile con la sovranità di un Paese
straniero. Il 25 luglio, il governo federale pubblicò un comunicato nel quale
qualificò come «inaccettabili» le dichiarazioni del presidente de Gaulle. La reazione del generale fu immediata: nella notte dal 25 al 26 luglio, invece di recarsi
ad Ottawa, decise di lasciare Montréal e di rientrare direttamente in Francia.
Questo discorso creò un vivo malcontento non solamente nella maggior parte
dei Canadesi anglofoni, ma anche nei Britannici, poiché il Canada è un Dominion, e presso gli Americani di cui i Canadesi sono i vicini prossimi e che non
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tollererebbero di vedere questo Paese disintegrarsi in più pezzi. Per contro
esso fu in generale molto ben accolto dalla popolazione francofona del Québec, poiché appoggiava le rivendicazioni in favore di una più completa uguaglianza con gli anglofoni. Il generale de Gaulle mantenne la sua posizione e,
nella sua conferenza stampa del 27 novembre, esaltò la volontà dei «francesi»
del Québec «di prendere in mano i lori affari» e parlò di una «solidarietà della
comunità francese da una parte e dall’altra dell’Atlantico».
Infine, sul finire del 1967, il generale Ailleret, capo di Stato Maggiore dell’esercito francese, pubblicò nella Revue de Défense nationale, un articolo intitolato: «Difesa diretta e difesa in tutte le direzioni». Il generale Ailleret dichiarava che la Francia doveva utilizzare il suo armamento atomico contro qualsiasi
avversario. Questo sembrava indicare che l’avversario potenziale non era più
unicamente l’Unione Sovietica, ma avrebbero potuto essere eventualmente gli
stessi Stati Uniti. Inoltre, il generale Ailleret subordinava l’utilizzo di tutte le
armi a quello della bomba atomica, il che era tutto il contrario della strategia
della risposta flessibile sostenuta dagli Americani.
L’attacco contro il dollaro
Quello che più irritò gli Americani fu probabilmente l’offensiva che il generale
de Gaulle intraprese, a partire dal 1965, contro il sistema monetario mondiale:
quello del gold exchange standard. Il commercio internazionale era infatti basato sull’uso come moneta di scambio sia dell’oro, sia di due monete il cui valore
in rapporto all’oro era considerato come stabile: il dollaro e, secondariamente,
la sterlina. Ma, se l’economia americana negli anni ’60 conosceva una prosperità
e un’espansione straordinaria, le enormi spese che gli Americani dovevano sostenere all’estero per l’aiuto ai Paesi sottosviluppati, per il mantenimento delle
loro truppe d’occupazione, per la guerra del Vietnam ecc. ... insieme alle esportazioni dei capitali delle imprese americane all’estero, avevano portato dopo il
1958 a una perdita costante di oro; mentre c’erano 28 miliardi di dollari in oro
nelle riserve americane nel 1957, questa riserva era scesa nel 1968 a 14 miliardi.
Se si fosse improvvisamente manifestata una perdita di fiducia generalizzata nei
confronti del dollaro, gli Americani non avrebbero disposto di riserve sufficienti
per rimborsare in oro i possessori di dollari. Inoltre, per assicurare l’espansione
economica dopo un periodo di leggera recessione, il presidente Kennedy aveva
deciso di presentare al Congresso dei bilanci in deficit che sarebbero stati coperti con l’emissione di dollari. Poiché questo coincideva con un periodo di vasti
investimenti all’estero, si poteva pensare che questi investimenti venissero finanziati in qualche modo dal deficit americano. Le somme che le banche o le
grandi società non pagavano sotto forma di imposte erano disponibili per gli
investimenti in Europa. Il generale de Gaulle se la prese con questo sistema
nella sua conferenza stampa del 4 febbraio 1965. «Le condizioni che hanno potuto far nascere il “gold exchange standard” si sono modificate ... Le monete del-
618
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l’Europa occidentale sono oggi risanate a tal punto che il totale delle riserve
d’oro dei sei equivale oggi a quello degli Americani ... Questo significa che la
convenzione che attribuisce al dollaro un valore trascendente come moneta internazionale non è più fondata sulla sua base iniziale, vale a dire il possesso da
parte dell’America della maggior parte dell’oro del mondo. Ed inoltre, il fatto
che numerosi Stati accettano per principio i dollari allo stesso titolo dell’oro per
compensare, all’occorrenza, il deficit che presenta a loro profitto la bilancia americana dei pagamenti, porta gli Stati Uniti ad indebitarsi gratuitamente nei confronti
dell’estero. Infatti, ciò che essi devono, lo pagano per lo meno in parte con dei
dollari, che spetta solo ad essi emettere, invece di pagare totalmente con dell’oro il
cui valore è reale» ... «Questa facilitazione unilaterale che è attribuita all’America
contribuisce a far diffondere l’idea che il dollaro sia un segno imparziale e internazionale degli scambi mentre non è che un mezzo di credito adatto ad uno Stato».
Queste dichiarazioni suscitarono un enorme scalpore, tanto più che la Francia si affrettò a trasferire in oro tutti i dollari che possedeva nelle sue riserve. Il
prezzo dell’oro salì in rapporto al dollaro. Esso era ufficialmente di 35 dollari
l’oncia e aumentò fino a 40 dollari. Il governo americano dovette reagire frenando in tutti i modi possibili questa svalutazione di fatto del dollaro e cercando di
agire sul deficit della sua bilancia dei pagamenti e sulle sue uscite in oro. Ne
risultò un disagio la cui responsabilità apparteneva senza dubbio essenzialmente
al sistema monetario mondiale, ma che il generale de Gaulle aveva contribuito
ad accentuare.
In effetti, questa lotta del franco contro il dollaro era quella del vaso di
coccio contro il vaso di ferro. Fu sufficiente la crisi interna francese del maggiogiugno 1968 per distruggere totalmente la fiducia nel franco. Da parte americana, dopo una certa soddisfazione superficiale nel vedere l’impresa del generale
de Gaulle sopraffatta dagli avvenimenti, la stampa finì con il temere di vedere la
Francia cadere nell’altro campo in seguito a una rivoluzione improvvisa. La fuga
dal franco suscitò diverse crisi che abbassarono brutalmente il valore reale di
questa moneta: una nel luglio 1968, l’altra in novembre. Il 23 novembre 1968, si
temette che il franco stesse per essere svalutato. Il generale de Gaulle, che quindici giorni prima aveva dichiarato che questa svalutazione «sarebbe assurda»,
decise il 24, tra la sorpresa generale e con grande soddisfazione del presidente
degli Stati Uniti, che il franco non si sarebbe mosso. Il governo americano si
rallegrò di questa decisione e delle misure di austerità prese dal governo francese. Gli alleati fornirono un aiuto alla Francia, il che non impedì che la svalutazione diventasse indispensabile nell’agosto 1969. Sul piano politico, di cui qui ci
occupiamo, si può dire che le relazioni franco-americane furono profondamente
turbate dal vano e illusorio attacco del franco contro il dollaro e che il riavvicinamento franco-americano si delineò non dopo l’abbandono del potere da parte
del generale de Gaulle, bensì prima, allorché nel novembre 1968 il generale
comprese di aver bisogno dell’appoggio americano per sostenere il franco francese. Questo non significa, come vedremo, che il presidente francese non avesse visto giusto prevedendo una crisi del dollaro.
I – Le difficoltà dei due blocchi (1962-1969)
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Dopo le dimissioni del generale
Avendo il referendum del 27 aprile 1969 prodotto una maggioranza di no, il
generale de Gaulle rassegnò immediatamente le dimissioni. Il suo successore
alla presidenza della Repubblica, Georges Pompidou, annunziò che avrebbe
seguito una politica di continuità e di apertura. Questo significava un cambiamento importante sul piano della politica internazionale? Frenato dalla resistenza dei gollisti tradizionali, il nuovo presidente si dovette limitare a qualche
impercettibile cambiamento. Tuttavia è da notare che il tono delle relazioni
franco-americane cambiò in modo apprezzabile nel senso della cordialità; l’arrivo al potere del repubblicano Nixon negli Stati Uniti nel gennaio 1969 era già
stato salutato con soddisfazione dal generale. L’iniziativa principale fu soprattutto la convocazione, chiesta dalla Francia, della conferenza al vertice che si
doveva riunire all’Aja all’inizio del dicembre 1969 per cercare di rilanciare i
problemi europei. Due questioni erano all’ordine del giorno: l’ammissione
dell’Inghilterra nel Mercato Comune e la messa in atto definitiva del Mercato
Comune agricolo alla data del 1° gennaio 1970. Le elezioni dell’ottobre 1969 in
Germania portarono al potere una coalizione di socialdemocratici e di liberali.
Il partito cristiano-democratico era allontanato dal potere per la prima volta
dopo venti anni. Il nuovo cancelliere Willy Brandt e il presidente Pompidou
raggiunsero un compromesso che costituiva un’apertura verso lo sviluppo dell’unificazione dell’Europa. Da una parte il presidente Pompidou abbandonò il
veto assoluto del generale de Gaulle all’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato Comune, a condizione che il mercato agricolo comune fosse realizzato il
1° gennaio 1970. Nella primavera seguente si aprirono dei negoziati con l’Inghilterra. D’altra parte, Willy Brandt accettò di mantenere certi sacrifici della
Germania nel finanziamento delle eccedenze agricole del Mercato Comune.
Dopo un lungo periodo di crisi, coincidente con la volontà d’indipendenza
nazionale del generale de Gaulle, il Mercato Comune, e di conseguenza l’unificazione dell’Europa, entravano timidamente in una nuova fase di progresso.
2. L’INDEBOLIMENTO
DEL CAMPO SOVIETICO
Durante gli stessi anni in cui le iniziative golliste e l’allontanamento del pericolo di guerra sembravano indebolire la coesione dell’Alleanza atlantica, anche il «campo socialista» subì delle gravi scosse.
La caduta di Krusciov
La politica estera di Krusciov aveva portato a delle crisi, ma i suoi successi non
erano stati evidenti. Inoltre non erano state risolte le difficoltà agricole dell’U RSS .