l`osservatore romano

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l`osservatore romano
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLIII n. 115 (46.359)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
lunedì-martedì 20-21 maggio 2013
.
Nella solennità di Pentecoste il Papa celebra la giornata dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e delle aggregazioni laicali
Una Chiesa che va incontro a tutti
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Il fuoco
della missione
Missione: è senza dubbio questa
la parola che meglio riassume la
conclusione del grande incontro
di Pentecoste tra il vescovo di
Roma e oltre duecentomila fedeli
appartenenti ad associazioni e
movimenti cattolici. Proprio la
realtà, necessaria e urgente, di testimoniare e predicare il Vangelo
è stata infatti al centro della lunga veglia e poi dell’omelia che
Papa Francesco ha tenuto durante
la messa sul sagrato di San Pietro, riprendendo anche temi ed
espressioni della sua predicazione
quotidiana a Santa Marta, tanto
efficace quanto coinvolgente.
Altrettanto vivide e appassionate sono state le risposte del Pontefice a quattro domande postegli. «Ci ho pensato» ha detto subito, quasi a sottolineare l’autenticità di una testimonianza in prima persona che è la chiave per
capire davvero le parole del vescovo di Roma e l’interesse che
stanno suscitando anche al di
fuori della Chiesa e dei suoi confini visibili. È infatti l’esperienza
personale — «la storia della mia
vita» — che Papa Francesco ha
subito evocato per rivolgersi ai
presenti in piazza San Pietro e a
moltissime altre persone, donne e
uomini, in tutto il mondo.
La fede? Ho avuto la grazia di
una famiglia dove questa realtà si
viveva in modo semplice e concreto, ha risposto, ed era una
donna — «la mamma di mio padre» — che «ci parlava di Gesù».
Come tante altre donne, fin dai
primi tempi della Chiesa: per
esempio, Loide ed Eunice, la
nonna e la mamma di Timoteo la
cui fede è espressamente ricordata
all’inizio della seconda lettera indirizzatagli dall’apostolo, ha osservato il Pontefice.
Su questo doppio registro, di
attenzione all’esperienza personale e di meditazione profonda della Scrittura, si fonda la testimonianza che comunica con immediatezza Papa Francesco. Che ha
presente come fosse ieri il 21 settembre 1953, quando a diciassette
anni incontrò un prete che non
conosceva e con il quale si confessò perché avvertì nitidamente
che «qualcuno l’aspettava». Così
ha citato un versetto all’inizio
della profezia di Geremia per mostrare come sia il Signore per primo, paragonato al fiore di mandorlo, ad aspettarci. O a chiamare
alla nostra porta, secondo l’immagine apocalittica; ma anche a bussare «per uscire fuori, e noi non
lo lasciamo uscire, per le nostre
sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche»
ha aggiunto il Pontefice.
In continuità con i predecessori
— Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, ricordati dal vescovo di Roma, ma anche Paolo VI, che sottolineava l’urgenza per il nostro
tempo di maestri che fossero soprattutto testimoni — Papa Francesco ha di nuovo insistito sull’importanza decisiva di una testimonianza di vita coerente: per
«vivere il cristianesimo come un
incontro con Gesù che mi porta
agli altri e non come un fatto sociale». In questo senso ha precisato che per i credenti in Cristo
la povertà «non è una categoria
sociologica o filosofica o culturale», ma teologale: cioè «la povertà che ci ha portato il Figlio di
Dio con la sua incarnazione».
Ed è proprio questa testimonianza che deve spingere la Chiesa al di fuori di se stessa, verso
tutte le periferie, esistenziali e
materiali, nel mondo di oggi. Per
una missione che abbandoni ogni
autoreferenzialità e si lasci ravvivare dalla novità e dall’armonia di
quel fuoco che raffigura lo Spirito
di Dio.
g.m.v.
È una Chiesa non richiusa su se stessa ma aperta
all’incontro con tutti e impegnata accanto ai più
poveri nelle «periferie esistenziali» del mondo,
quella che Papa Francesco propone ai movimenti,
alle nuove comunità, alle associazioni e alle aggregazioni laicali nella festa di Pentecoste. Nella
giornata loro dedicata nell’Anno della fede, il
Pontefice incontra per due volte nel giro di poche
ore i protagonisti di queste realtà ecclesiali giunti
in massa in piazza San Pietro. Durante la veglia
di preghiera, presieduta sabato sera, il vescovo di
Roma parla a lungo rispondendo a quattro domande sui temi della fede e della testimonianza
personale. «Preferisco mille volte una Chiesa incidentata — afferma — che una Chiesa ammalata
per chiusura». Da qui l’esortazione a «uscire fuori», perché c’è bisogno di testimoni autentici e
non di «cristiani inamidati». Del resto — fa notare
richiamando la presenza di Paul Bhatti, fratello
del ministro pakistano Shahbaz ucciso nel 2011 —
«ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa». E l’indomani, celebrando la messa domenicale, il Papa torna su questi temi all’omelia,
esortando tutti a essere «aperti alle sorprese di
Dio». Infine, al Regina caeli traccia un bilancio
della due giorni, definendola una «festa della fede, una rinnovata Pentecoste che ha trasformato
piazza San Pietro in un Cenacolo a cielo aperto».
PAGINE 4
E
5
Torna la calma dopo i sanguinosi scontri con la polizia ma la tensione resta alta
Sfida dei salafiti in Tunisia
TUNISI, 20. È ormai sfida senza
esclusione di colpi quella lanciata
dai salafiti al Governo tunisino dopo
il no del ministero dell’Interno al raduno nazionale che si sarebbe dovuto tenere ieri a Kairouan, enclave
della parte più dura del movimento
nella Tunisia più povera. E tra scontri dal bilancio grave ma ancora incerto (un giovane salafita è rimasto
ucciso alla periferia nord, a Citè
Ettadhamen, della Grande Tunisi e
decine di poliziotti sono rimasti feriti), spari, assalti e sassaiole, il Paese
ha vissuto ieri il punto più alto dello
scontro che i salafiti vogliono alimentare contro uno Stato di cui non
riconoscono affatto l’autorità, minacciandone gli esponenti.
È trascorsa all’insegna della calma
apparente, anche se la tensione resta
alta, la notte in Tunisia, scossa ieri
da violenti disordini tra la polizia e
gruppi di salafiti, inferociti per il divieto a tenere il raduno nazionale. Il
dispositivo approntato dal ministero
dell’Interno non è stato comunque
allentato nella notte e, come ha verificato l’agenzia Ansa, le principali
strade d’accesso alla capitale erano
sorvegliate da pattuglie miste (polizia e polizia stradale, affiancate dall’esercito), dotate anche di mezzi
blindati, che controllavano molti degli automezzi in transito. È dunque
scontro aperto senza riserve tra il
Governo tunisino e i salafiti di
Ansar Al Sharia. Il premier Ali
Larayedh, espressione degli islamisti
moderati di Ennahdha, ha accusato
la formazione di essere «un’organizzazione illegale che ha legami ed è
coinvolta nel terrorismo».
Il no del ministero dell’Interno —
guidato da poche settimane con decisione da Lotfi Ben Jeddou, ex magistrato antiterrorismo e poco incline
al dialogo senza il rispetto della legge — alla tenuta del raduno, che doveva portare a Kairouan almeno
40.000 salafiti, è stato forse il pretesto che gli estremisti di Ansar Al
Sharia cercavano da tempo per mostrare a tutti la loro capacità militare
e la loro organizzazione. Una strategia che ieri si è manifestata con evidenza quando sono scoppiati contemporaneamente tumulti in tutta la
Tunisia e, non certo per coincidenza,
vicino alle moschee che controllano
e che offrono sempre, in casi come
questo, rifugio a chi attacca le forze
dell’ordine e poi scappa.
Ma la Tunisia ufficiale sembra
avere cambiato registro e la controprova sta nel dispiegamento di forze
che Ben Jeddou ha deciso, mandando nella sola Kairouan ben undicimila uomini, con molte altre migliaia tenuti nelle caserme e fatti intervenire nei punti di crisi. Se in occasione dell’assalto all’ambasciata
statunitense dello scorso settembre i
salafiti agirono quasi indisturbati,
questa volta hanno trovato a sbarrare loro la strada migliaia di agenti,
guardie nazionali, soldati che sono
apparsi fortemente motivati e che
non hanno fatto un passo indietro.
Cosa che ha scatenato la rabbia degli estremisti di Ansar Al Sharia che
hanno attaccato, bruciato, gettato
sassi, puntualmente ricacciati indie-
Violenti combattimenti
nella provincia
siriana di Homs
PAGINA 3
Il 21 maggio 1972 un folle sfregiò
la «Pietà» di Michelangelo
Perfezione infranta
ANTONIO PAOLUCCI
A PAGINA
6
Scontri tra polizia e manifestanti nel centro di Tunisi (Reuters)
tro dalle forze dell’ordine e dai soldati. Il pugno di ferro del Governo
si è anche tradotto in un controllo
estremo del territorio e al ricorso,
contro i salafiti, di ogni mezzo. Come accaduto a Kairouan quando,
contro quelli asserragliati nella moschea che vorrebbero fare diventare
il centro del sognato califfato, sono
stati lanciati dei cani lupo addestrati
per i moti di piazza.
La polizia tunisina ha arrestato
200 salafiti nel fine settimana. Tra
questi anche Seifeddine Rais, portavoce ufficiale del gruppo fondamentalista. Negli ultimi giorni Seifeddine Rais ha partecipato a trasmissioni
in radio e televisive, in merito al raduno nazionale che Ansar Al Sharia
doveva tenere ieri a Kairouan. Da
lui erano arrivate violentissime dichiarazioni contro lo Stato e le forze
di sicurezza. Rais è stato arrestato,
hanno riferito ieri alcune emittenti
radio, mentre stava cercando di entrare a Kairouan, passando per uno
dei numerosi posti di blocco istituiti
da forze di sicurezza ed esercito intorno alla città destinata a ospitare il
raduno nazionale dei salafiti.
Secondo una fonte della sicurezza,
citata dall’emittente radio Shems, è
stata avviata una inchiesta su
Seifeddine Rais perché, nelle sue dichiarazioni, sono stati rilevati ripetuti incitamenti a uccidere giornalisti e
agenti della polizia. Dichiarazioni
prese seriamente dal sindacato dei
giornalisti tunisini che ha invitato i
cronisti che si trovano nella città di
Kairouan alla massima cautela e a
indossare le pettorine con la scritta
“Presse”. Altre raccomandazioni del
sindacato: muoversi in gruppo e, in
caso di incidenti, cercare protezione
dalle forze di sicurezza.
Il raduno di Ansar Al Sharia è
stato ufficialmente rinviato di una
settimana, ma questo ora pone gli
estremisti salafiti davanti a un dilemma: se accetteranno di chiedere l’autorizzazione significherà che riconoscono la primazia dello Stato; se
non lo faranno, rischiano d’essere
spazzati da una Tunisia ormai stanca
delle loro violenze.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina presso la «Domus Sanctae Marthae» l’Eminentissimo Cardinale Darío
Castrillón Hoyos.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza:
Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Robert
Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio «Cor Unum»;
le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori:
— Salvatore Gristina, Arcivescovo di Catania (Italia), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Siracusa (Italia),
in visita «ad limina Apostolorum»;
— Calogero La Piana, Arcivescovo di Messina - Lipari Santa Lucia del Mela (Italia),
in visita «ad limina Apostolorum»;
— Ignazio Zambito, Vescovo
di Patti (Italia), in visita «ad
limina Apostolorum»;
— Paolo Urso, Vescovo di
Ragusa (Italia), in visita «ad
limina Apostolorum»;
— Salvatore Muratore, Vescovo di Nicosia (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Antonio Staglianò, Vescovo di Noto (Italia), in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Calogero Peri, Vescovo di
Caltagirone (Italia), in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Antonino Raspanti, Vescovo di Acireale (Italia), in
visita «ad limina Apostolorum».
In data 18 maggio, il Santo
Padre ha accettato la rinuncia
al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Singapore, presentata dall’Eccellentissimo Monsignore Nicholas Chia Yeck
Joo, in conformità al canone
401 § 1 del Codice di Diritto
Canonico.
Gli succede Sua Eccellenza
Reverendissima
Monsignor
William Goh, Coadiutore della medesima Arcidiocesi.
L’OSSERVATORE ROMANO
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lunedì-martedì 20-21 maggio 2013
Verso il vertice di Bruxelles
Il governatore della Banca d’Inghilterra King punta il dito contro la finanza continentale
L’Europa serra i ranghi
nella lotta
contro l’evasione fiscale
Per la Gran Bretagna
il vero rischio è l’eurozona
BRUXELLES, 20. Il problema dell’evasione fiscale sarà uno dei temi
chiave del prossimo vertice europeo
in programma mercoledì a Bruxelles. Dopo che Austria e Lussemburgo hanno dimostrato maggiore
disponibilità al dialogo, la strada
sembra spianata verso un accordo
globale sulla trasparenza e sullo
scambio automatico dei dati. Da
tempo Bruxelles preme per una
maggiore integrazione nella lotta ai
paradisi fiscali.
A far sperare in sviluppi positivi
è una bozza delle conclusioni del
vertice anticipata da Bloomberg,
nella quale, oltre a indicare che
«sarà data priorità agli sforzi per
estendere lo scambio automatico di
informazioni a livello Ue e globale», si prefigura una posizione più
morbida su questo tema da parte
di Austria e Lussemburgo. Finora i
due Paesi non si erano mostrati disponibili all’attuazione di un network informativo, che dovrebbe
comunque prevedere un periodo
«di transizione».
Lo scenario non appariva così
ottimistico dopo l’ultimo vertice
dell’Ecofin, con Vienna e il Gran
Ducato a frenare di fronte alla proposta di un gruppo di Paesi (l’Italia insieme a Francia, Germania,
Spagna e Gran Bretagna) di chiedere a Bruxelles un sistema antievasione più stringente, simile a
quello americano. Nonostante le
aperture, tuttavia, il vertice Ue resta in salita: le divergenze e gli attriti sulla materia fiscale sono ancora tanti, troppi forse per garantire
un successo a tutto tondo.
Un passo in avanti decisivo potrebbe arrivare dalla Svizzera. Secondo il quotidiano elvetico «Les
temps», l’associazione delle banche
elvetiche sarebbe pronta ad aprirsi
alla diffusione di dati e informazioni sui conti correnti cifrati dopo
“l’assedio” cui gli istituti di credito
sono stati sottoposti sia da parte
degli Stati Uniti sia da parte
dell’Unione europa.
Da segnalare anche il rinnovato
impegno di Londra. Il premier britannico, David Cameron, ha rivolto
un appello ai leader di dieci territori d’oltremare o dipendenze della
Corona britannica, a collaborare
per combattere l’evasione fiscale.
In particolare, in una lettera Cameron ha fatto riferimento al «delica-
LONDRA, 20. Il maggior rischio per
la ripresa economica della Gran Bretagna è la debolezza dell’eurozona.
La diagnosi senza appello arriva direttamente dal cuore della finanza
d’oltre Manica: il governatore della
Banca d’Inghilterra, Mervyn King.
In un’intervista a Bloomenberg
King ha detto che sarebbe necessario «un piano per la crescita di medio termine» per rimettere in carreggiata l’economia britannica. Inoltre,
nei prossimi due anni, ha aggiunto,
dovrebbe esserci una ripresa della
produzione di petrolio nel Mare del
Nord. L’Europa — ha poi sottolineato il governatore della banca d’Inghilterra — ha bisogno «in primo
luogo di un piano credibile a medio
termine per riportare le finanze pubbliche in ordine» e in secondo luogo
«che si consenta agli stabilizzatori
automatici» di avere effetto. «Questi
due principi, un piano di medio termine credibile e flessibilità, sono la
strada giusta da percorrere» ha detto
King. Dal canto suo, la Gran Bretagna deve fronteggiare in questo
momento, come tutto il resto
dell’Unione europea, una gravissima
crisi economica. Secondo l’istituto
nazionale di statistica, nel primo trimestre il tasso di disoccupazione è
salito al 7,8 per cento, ovvero un totale di due milioni e 520.000 di senza lavoro.
to tema dello scambio di informazioni sui residenti di quei territori
che grazie allo status di residenti
usufruiscono della bassa imposizione fiscale locale su redditi che invece sono stati generati altrove».
Come sapete — scrive Cameron —
«la lotta contro il flagello dell’evasione fiscale è una delle priorità del
vertice del G8 che la Gran Bretagna ospiterà il prossimo giugno»; a
un mese da questo evento, «bisogna fare ordine intanto in casa nostra: chiedo a tutti i territori d’oltremare e a tutti i territori della
Corona di proseguire la loro collaborazione con la Gran Bretagna su
due temi delicati, e cioè lo scambio
di informazioni fiscali e le leggi
sull’usufrutto». La lettera è stata
inviata ai leader delle Bermuda,
Isole Vergini britanniche, Isole
Cayman,
Gibilterra,
Anguilla,
Montserrat, Isole Turks e Caicos,
Jersey, Guernesey e Isola di Man.
All’inizio di maggio Stati Uniti,
Gran Bretagna e Australia hanno
lanciato una campagna comune
contro l’evasione fiscale con un’inchiesta su enormi conti bancari segreti, che ha preso le mosse da una
fuga di informazioni provenienti
dai paradisi fiscali. I tre Paesi hanno detto di aver condiviso soprattutto dati su conti nascosti a Singapore, nelle Isole Vergini britanniche, Isole Cayman e Isole Cook.
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PARIGI, 20. Il presidente della
Banca
centrale
tedesca,
la
Bundesbank, Jens Weidmann, si
oppone all’ipotesi di concedere
più tempo alla Francia per mettere a posto i suoi conti. «La credibilità delle nuove regole non sarà
rafforzata se si deroga dai principi concedendo flessibilità» ha
spiegato Weidmann in un’intervista a un quotidiano tedesco. La
Francia ha una responsabilità particolare nella zona euro «e deve
prendere sul serio le nuove regole
sulla riduzione del disavanzo disposte l’anno scorso» ha aggiunto
Weidmann. La Commissione europea ha concesso due anni, fino
al 2015, a Spagna e Francia per
raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit al tre per cento
del pil, come stabilito dai Trattati.
Secondo l’Eliseo, l’economia francese, attualmente in recessione
tecnica, potrebbe tornare a crescere nel secondo semestre dell’anno.
Il ministro delle Finanze, Pierre
Moscovici, si è detto fiducioso
circa il calo del tasso di disoccupazione entro la fine del 2013.
Mercoledì scorso — come riferisce
l’agenzia di stampa Ansa — i dati
dell’istituto di statistica Insee
hanno evidenziato un calo del
prodotto interno lordo dello 0,2
per cento nel primo trimestre, dopo una simile contrazione nel
quarto trimestre del 2012.
Il governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King (Reuters)
Secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia federale del lavoro
Rappresentano oltre un decimo del prodotto interno lordo
Piena occupazione
in Germania per i laureati
Le rimesse dei migranti
cruciali nei Paesi asiatici
Ballottaggi
alle elezioni
amministrative
in Croazia
ZAGABRIA, 20. A quaranta giorni
dalla adesione all’Ue la Croazia si
è recata ieri alle urne per le amministrative, considerate dagli analisti un importante test per la tenuta del Governo di centrosinistra.
Bassa la partecipazione al voto
per il rinnovo dei 555 consigli comunali e ventuno provinciali e
l’elezione diretta di altrettanti sindaci e presidenti di provincia. I
primi risultati mostrano un esito
incerto, con le sfide tra le varie
coalizioni rinviate al ballottaggio
del 2 giugno.
A Zagabria, il sindaco uscente,
Milan Bandić, ex socialdemocratico e ora indipendente, va al secondo turno con un notevole vantaggio sullo sfidante, il ministro
della Sanità, Rajko Ostojić, candidato del Partito socialdemocratico
(Sdp) del primo ministro, Zoran
Milanović. Gli exit poll danno
Bandić al 44 per cento, contro il
25 per cento di Ostojić. A Spalato, capoluogo della Dalmazia, è
previsto un testa a testa tra il candidato dell’Spd e quello dell’Unione democratica croata (conservatori), mentre esce di scena il
sindaco Željko Kerum, che si è
piazzato solo terzo con il 16 per
cento dei voti. A Rijeka, invece,
dovrebbero essere riconfermati i
socialdemocratici, che governano
la città adriatica dal 1990.
Berlino
non concede
più tempo
a Parigi
Il cancelliere tedesco Angela Merkel (Afp)
BERLINO, 20. In Germania si è arrivati in pratica alla piena occupazione per i laureati, secondo i dati raccolti dall’agenzia federale del lavoro
e pubblicati durante il fine settimana dalla «Frankfurter Allgeimene
Zeitung». Tra il 2001 e il 2011 hanno
trovato lavoro 2,5 milioni di laureati
in più rispetto al decennio precedente, con un incremento del 50 per
cento, che ha portato il totale a 7,7
milioni. La disoccupazione tra i
possessori di una laurea è di circa il
2,5 per cento. Il quotidiano tedesco
ricorda che questo, secondo le normali definizioni macroeconomiche,
corrisponde alla piena occupazione.
Il dato è comunque ulteriormente
migliorato nel 2012, durante il quale
l’agenzia ha registrato 150.000 offerte di lavoro per possessori di una
laurea, il 5 per cento in più rispetto
al 2011, e le previsioni per il 2013 sono ancora più positive.
La crescita occupazionale riguarda ogni tipo di titolo di studio accademico, ma il numero maggiore di
occupati laureati sono ingegneri, oltre 700.000. Dal rapporto governativo emerge inoltre che in caso di
perdita del posto di lavoro un laureato disoccupato su due deve
aspettare meno di tre mesi per trovarne un altro, mentre quelli costretti ad attendere più di un anno per
avere di nuovo una busta paga non
sono più del 12 per cento.
ROMA, 20. Le rimesse dei migranti
asiatici hanno un peso economico
per i Paesi d’origine superiore di
cinque volte a quello del totale degli aiuti allo sviluppo. È quanto
emerge dal rapporto «Sending money home to Asia» (mandiamo i
soldi a casa in Asia) redatto dal
Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) e dalla Banca
mondiale presentato oggi a Bangkok, dove fino al 23 maggio si terrà il Forum globale sulle rimesse
2013. Secondo il rapporto, in ben
nove Paesi le rimesse costituiscono
circa il 10 per cento del prodotto
interno lordo, con un picco del 50
per cento per quanto riguarda il
Tadjkistan. In cifra assoluta, India,
Cina, Filippine e Bangladesh sono
i Paesi che ricevono il maggior numero di rimesse. Anche perché, nel
2012, il denaro dai migranti asiatici
ha rappresentato il 63 per cento dei
450 miliardi di rimesse totali nel
mondo.
Nel 2012 il flusso totale di tali rimesse inviate alle loro famiglie dagli oltre sessanta milioni di asiatici
che lavorano all’estero ha superato
il valore di 260 miliardi di dollari,
il più alto di sempre. Il rapporto
parla di un incredibile potenziale
di tali rimesse in tempo di crisi e
sarà questo il punto chiave intorno
al quale ruoteranno i lavori del Forum. Il documento fornisce una serie di raccomandazioni tese a sfruttare il grande potenziale delle ri-
messe, il 40 per cento delle quali
va alle popolazioni rurali. Secondo
Kevin Cleaver, vicepresidente aggiunto dell’Ifad, occorre agevolare
il collegamento tra le persone che
ricevono rimesse e le istituzioni finanziarie in modo da creare opportunità di investimento soprattutto
nell’agricoltura. Presentando il rapporto, Cleaver ha aggiunto che per
migliorare gli effetti delle rimesse
andrebbe innanzitutto ridotto il costo del trasferimento del denaro.
Per rilanciare gli accordi sulla normalizzazione dei rapporti diplomatici
Il ministro degli Esteri tedesco in Serbia e Kosovo
BELGRAD O, 20. La condizione principale per ulteriori progressi della
Serbia sulla strada verso l’Ue è l’attuazione concreta dell’accordo raggiunto il mese scorso con il Kosovo.
Lo ha detto ieri il ministro degli
Esteri tedesco, Guido Westerwelle,
in visita ufficiale a Belgrado. Il capo
della diplomazia tedesca si è detto
ottimista sulla concessione alla Serbia di una data d’avvio del negoziato di adesione all’Ue nel consiglio
europeo di fine giugno. A patto, ha
sottolineato il ministro, di applicare,
non necessariamente in una volta sola, ma anche «passo dopo passo»,
l’accordo sulla normalizzazione dei
rapporti con Pristina raggiunto a
Bruxelles il 19 aprile scorso, con la
mediazione dell’Unione europea.
Trattative a livello tecnico fra delegazioni di Serbia e Kosovo sull’applicazione pratica dell’accordo non
hanno finora portato ad alcun risultato per le differenti interpretazioni
delle due parti, e per questo il capo
della diplomazia e alto rappresentante della Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Catherine
Ashton, che fa da mediatore nel negoziato, ha nuovamente convocato i
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
direttore generale
due premier, Ivica Dačić e Hashim
Thaçi, il 21 maggio a Bruxelles.
«Noi vogliamo un accordo sui
modi di attuazione, ma non possiamo accettare di applicare qualcosa
che non è previsto nell’intesa» del 19
aprile, ha spiegato Dacic, riferendosi
all’impasse tra Belgrado e Pristina.
Il parere della Germania in sede
di consiglio europeo è ritenuto fondamentale per la decisione sulla data
del negoziato con la Serbia, e per
questo la dirigenza di Belgrado tiene
molto ai contatti e ai colloqui con i
rappresentanti di Berlino. «I nostri
due Paesi sono europei, noi e voi
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siamo parte dell’Europa, e siamo
partner paritari. Voglio contribuire a
fare in modo che lo storico accordo
del 19 aprile venga ora attuato con
successo» ha precisato il ministro tedesco, che oggi si recherà anche a
Pristina. Prima di trasferirsi in
Kosovo, Westerwelle incontrerà il
presidente serbo, Tomislav Nikolić,
il premier Dačić, e il ministro degli
Esteri di Belgrado, Ivan Mrkić. Intanto, è stato confermato che
Nikolić incontrerà il 24 maggio a
Soci il presidente russo, Vladimir
Putin, con il quale firmerà un accordo di partenariato strategico.
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Napolitano
a un anno
dal sisma in Emilia
Romagna
ROMA, 20. A un anno dal terremoto che ha colpito i territori
dell’Emilia Romagna, interessando anche la Lombardia e il
Veneto, il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha rivolto oggi un messaggio «a quanti hanno subito
gravi lutti e ingenti danni personali e materiali». Simili tragedie
— si legge nella nota del Quirinale — «infliggono una ferita al
Paese intero che si deve ritrovare
unito nel dolore e nel ricordo».
In tal senso, «desidero rinnovare
il mio vivo apprezzamento per
l’esempio di forza e di coesione
offerto dalle popolazioni nel
reagire alla sciagura e il mio ringraziamento ai tanti cittadini
che spontaneamente accorsero
in aiuto prestando il loro sostegno nei momenti più difficili
con generosità e alto senso civico». Nella certezza che «lo stesso spirito continuerà ad animare
il processo di ricostruzione», ha
concluso il capo dello Stato,
«esprimo alle comunità colpite
la vicinanza mia e di tutti gli
italiani». Napolitano è intervenuto oggi, nell’anniversario
dell’uccisione di Massimo D’Antona, anche sulla situazione economica italiana, definendo la
crisi attuale «angosciante e
drammatica».
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lunedì-martedì 20-21 maggio 2013
L’OSSERVATORE ROMANO
Cinque
autobombe
insanguinano
Baghdad
Violenti combattimenti
nella provincia siriana di Homs
BAGHDAD, 20. Strage oggi a Baghdad. In alcuni quartieri della
capitale irachena sono esplose
cinque autobombe. Pesante il bilancio delle vittime: più di quaranta i morti e oltre centosettanta
i feriti. Proprio ieri il primo ministro iracheno, Nouri Al Maliki,
aveva rivolto un appello alle comunità sciita e sunnita affinché le
violenze interconfessionali, che
negli ultimi giorni hanno insanguinato l’Iraq, non si ripetano
più. Un appello tanto più necessario perché, stando alla recrudescenza delle violenze, lo scenario,
già critico, rischia nel prossimo
futuro di deteriorarsi. E le violenze non si sono registrate solo a
Baghdad. Nella città di Bassora
due vetture cariche di esplosivo
sono state fatte deflagrare: undici
i morti. E tredici persone sono rimaste uccise, a Samarra, in un altro attentato dinamitardo. In attacchi compiuti da miliziani contro alcuni posti di blocco sono
morti 24 agenti di polizia.
Le tensioni interconfessionali
sono tornate ad acuirsi dopo la
partenza delle ultime truppe statunitensi, nel dicembre 2011. Ma
la rivalità tra sciiti e sunniti è
sempre stata una costante problematica nella storia del Paese. In
più di un’occasione, nel passato,
lo stesso presidente statunitense,
Barack Obama, ha sottolineato
l’esigenza di superare questa rivalità, nell’ottica di un processo di
ricostruzione del Paese segnato da
anni di conflitto. Negli ultimi mesi le tensioni si sono aggravate
quando nelle province a maggioranza sunnita hanno avuto luogo
proteste contro le politiche adottate dal premier sciita Al Maliki,
giudicate «discriminatorie». Addebito che il primo ministro irachen0 ha respinto al mittente.
Distruzioni dopo una battaglia nella provincia di Homs (LaPresse/Ap)
DAMASCO, 20. Cresce, secondo indiscrezioni giornalistiche, la tensione tra Siria e Israele. L’esercito
di Assad avrebbe puntato i suoi missili su Tel
Aviv, che «sarà colpita se ci saranno nuovi raid
sul territorio siriano». Israele ha ribadito che «farà tutto il possibile» per impedire il trasferimento
di armi ai miliziani di Hezbollah, il movimento
sciita libanese. Sono state fonti della stampa internazionale a rivelare il dispiegamento delle batterie di missili siriane, sulla base del monitoraggio
satellitare. Nelle scorse settimane Israele aveva
lanciato diversi raid per bloccare — come riferiscono le agenzie — convogli di armi al confine tra Siria e Libano. Questa notte colpi d’arma da fuoco
provenienti dal territorio siriano hanno raggiunto
la parte israeliana delle alture del Golan, senza
causare danni né vittime: lo ha reso noto un portavoce dell’esercito israeliano.
Intanto, in Siria proseguono i combattimenti:
nella regione di Homs le forze governative avrebbero conquistato la cittadina di Qusayr, considerata un punto strategico perché collega la capitale
alle regioni costiere. Il bilancio parla al momento
di almeno 58 morti e di circa seicento feriti, secondo gli attivisti. Fonti di stampa riferiscono di
numerose vittime anche tra le forze governative e
tra gli Hezbollah libanesi.
Sul piano politico il presidente Assad in una
recente intervista ha dichiarato che «rinunciare sarebbe fuggire», sottolineando che il futuro del
Il premier Li Keqiang in visita a New Delhi
India e Cina per un’intesa strategica
NEW DELHI, 20. Il primo ministro
cinese, Li Keqiang, è giunto ieri a
New Delhi, per la sua prima visita
all’estero. Il tour comprende anche
il Pakistan, la Svizzera e la Germania. Il premier ha definito «produttivi» i primi colloqui avuti ieri sera
con il collega indiano Manmohn
Singh. In dichiarazioni alla stampa,
oggi, Li Keqiang ha poi fatto indirettamente riferimento a divergenze
frontaliere indo-cinesi nella regione
del Ladakh: a tale riguardo, ha detto che i due Paesi «stanno cercando
di accrescere la fiducia reciproca
strategica». Il primo ministro cinese
ha quindi sostenuto che «lo sviluppo e la prosperità del mondo non
Attentato suicida
nel nord
dell’Afghanistan
KABUL, 20. I talebani non abbassano la guardia e le violenze continuano a segnare il territorio afghano. Oggi un attentatore suicida si è fatto esplodere all’ingresso della sede del Governo della
provincia di Baghlan, nel nord,
causando la morte di undici persone: tra le vittime figura il presidente del consiglio provinciale,
Mohammad Rasul Mohsini. Secondo una prima ricostruzione
dell’accaduto, l’attentatore suicida, che vestiva un’uniforme della
polizia, si è avvicinato a piedi al
gruppo di persone che accompagnava il presidente del Consiglio
provinciale e si è fatto poi esplodere fra le sue guardie del corpo.
Subito dopo l’attentato il presidente afghano, Hamid Karzai,
ha diffuso un comunicato in cui
ha espresso ferma condanna, ribadendo la determinazione a
combattere contro coloro che vogliono minare il processo di ricostruzione del Paese. Lo stesso
Karzai, nei giorni scorsi, aveva
sottolineato le sfide che attendono l’Afghanistan, anche in vista
del completo ritiro del contingente internazionale, entro il 2014. E
la sfida maggiore interpella le
forze locali che, da sole, dovranno gestire la responsabilità della
sicurezza in un territorio che
continua a essere segnato da attentati e imboscate.
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potranno avvenire senza un simultaneo sviluppo di India e Cina».
Li Keqiang, alla vigilia, aveva posto l’accento sui tre obiettivi della
visita: aumentare la fiducia reciproca, intensificare la cooperazione, affrontare le sfide del futuro. E come
rilevano gli analisti, sono obiettivi
che facilmente si riassumono in uno
solo: rilanciare l’intesa strategica tra
Cina e India, nella chiara consapevolezza che i due Paesi sono destinati a svolgere di sempre maggiore
peso nello scenario internazionale.
Il primo ministro indiano, dal
canto suo, si è detto favorevole alla
prospettiva di un rafforzamento dei
legami con Pechino. E in riferimento alle recenti tensioni frontaliere (le
autorità indiane, il 15 aprile scorso,
hanno denunciato una presunta infiltrazione dell’esercito cinese in un
territorio, nella regione dell’Himalaya, sul quale New Delhi reclama la
propria
sovranità)
Manmohan
Singh ha auspicato che eventuali
frizioni siano appianate in breve
tempo. A tale proposito, il premier
indiano ha detto che nel prossimo
futuro saranno organizzati incontri
tra le autorità competenti dei due
Paesi con l’obiettivo di raggiungere
Il presidente
del Myanmar
da Obama
WASHINGTON, 20. A conferma dell’ulteriore avvicinamento tra Stati
Uniti e Myanmar, il presidente del
Paese asiatico, Thein Sein, sarà ricevuto oggi alla Casa Bianca da
Barack Obama. La visita di Thein
— che negli ultimi anni ha avviato
una serie di riforme democratiche,
ordinando anche la scarcerazione di
numerosi detenuti politici — è la
prima di un leader della Nazione
del sud est asiatico dal 1966 e segue
quella fatta da Obama a Naypyidaw
nel novembre dello scorso anno. In
agenda ci sarà la situazione in
Myanmar e i suoi sforzi per sviluppare un sistema democratico alla luce anche delle tensioni etniche interne. Sia l’Ue che gli Stati Uniti
hanno di recente rimosso le sanzioni economiche imposte al Governo
del Myanmar, aprendo quindi una
nuova fase nelle relazioni politiche
e commerciali con Naypyidaw.
uno stabile accordo su possibili contenziosi.
Il primo ministro cinese, riferisce
la France Presse, ha detto che, in un
quadro di rispetto e fiducia reciproci, i due Paesi pensano sia opportuno migliorare «i meccanismi di politica frontaliera» così da garantire
nelle zone cosiddette sensibili un
clima di pace e tranquillità.
E per l’India l’azione diplomatica, in questi giorni, non si limita alla Cina. Nel Paese è giunto anche il
presidente afghano, Hamid Karzai.
Obiettivo della sua missione, segnala l’agenzia Reuters, è di rafforzare
l’intesa con New Delhi anzitutto sul
piano militare. E ciò proprio mentre
tra Afghanistan e Islamabad si sono
riaccese forti tensioni al confine. In
un comunicato diffuso dall’ufficio
di presidenza afghano si afferma
che Kabul punta a un rilancio dei
rapporti con l’India allo scopo di
favorire lo sviluppo di equilibrate
dinamiche a beneficio dell’intera
area. Nel 2011 New Delhi e Kabul
hanno firmato un’intesa di partnership, che prevede, tra l’altro, corsi
di formazione per le unità afghane
in vista del ritiro del contingente internazionale dal Paese entro il 2014.
popolo siriano sarà deciso nelle elezioni presidenziali del 2014. Il presidente si è poi mostrato scettico sulla possibilità che la conferenza internazionale progettata da Stati Uniti e Russia possa dare
frutti. «Credere che una conferenza possa fermare
il terrorismo sul terreno è irrealistico». I ribelli —
ha aggiunto il presidente siriano — non sono
un’entità politica compatta, ma «gruppi diversi, e
non sono decine ma centinaia». Del progetto di
conferenza internazionale che si dovrebbe svolgere sotto l’egida dell’Onu a Ginevra discuteranno i
ministri degli Esteri della Lega araba in un vertice
di emergenza che si terrà giovedì 23 maggio a
Doha. La riunione si terrà dopo l’incontro del
gruppo “Amici della Siria” in Giordania.
Forti tensioni
segnano
il clima politico
in Pakistan
ISLAMABAD, 20. Forti tensioni
stanno caratterizzando il clima
politico in Pakistan, dopo le elezioni legislative svoltesi l’11 maggio. Il leader del partito Pakistan
Tehreek-i-Insaf (Pti), l’ex campione di cricket Imran Khan, ha accusato ieri il partito Mutthida
Quami Movement (Mqm) di essere responsabile dell’omicidio del
suo vice. Zahra Shadid Hussain,
59 anni, è stata uccisa da tre uomini armati davanti alla sua casa
dopo che il suo partito aveva chiesto la ripetizione del voto in 43
distretti dove erano state denunciate numerose irregolarità. Khan,
citato dalle agenzie di stampa internazionali, ha dichiarato: «Ritengo Altaf Hussain, leader del
movimento Mqm, direttamente responsabile dell’assassinio, dal momento che aveva minacciato il Pti
e i suoi leader». Intanto, la polizia pakistana ha aperto un’inchiesta per stabilire se la matrice
dell’omicidio è politica o imputabile alla criminalità comune.
IL CAIRO, 20. Un gruppo di uomini armati ha attaccato all’alba
una base delle forze di sicurezza
egiziane nella penisola del Sinai.
Lo riferiscono fonti della sicurezza citate dalla televisione satellitare Al Jazeera, secondo le quali i
militari della base di Al Ahrash,
nel nord del Sinai, hanno risposto al fuoco. Il lungo scontro si è
concluso solo con il ritiro degli
aggressori, probabilmente legati
ai gruppi militanti islamici. In base a un primo bilancio, non si
contano vittime.
«Un atto ingiustificato»: così
un portavoce di Hamas ha qualificato la chiusura del valico di
Rafah, fra il Sinai e la Striscia di
Gaza, imposta venerdì dalle autorità egiziane che hanno chiuso ieri, nella stessa zona, anche il valico commerciale Auja.
Queste misure sono giunte dopo il rapimento di sette militari
egiziani nel Sinai settentrionale, a
quanto pare da fondamentalisti
islamici, e nel timore che gli
ostaggi possano essere trasferiti
verso Gaza. Come riferisce l’agenzia di stampa Ansa, il portavoce
di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha
fatto appello all’Egitto affinché
torni ad autorizzare il transito di
persone e merci fra la Striscia di
Gaza e il Sinai. «I problemi interni dell’Egitto — ha precisato —
vanno risolti in una maniera diversa, e non a scapito del popolo
palestinese». Il valico di Rafah,
precisano fonti locali, resta chiuso
anche oggi. Secondo Hamas questo stato di cose ha ripercussioni
gravi in modo particolare per
quegli abitanti della Striscia di
Gaza che contavano di ricevere
cure mediche in Egitto.
Offensiva dell’esercito contro Boko Haram
Scontri
nel nord est nigeriano
ABUJA, 20. Altri morti nel fine settimana nel nord est della Nigeria.
Gli scontri sono avvenuti nei tre
Stati — Borno, Yobe e Adamawa, —
dove la settimana scorsa il presidente Good Luck Jonathan aveva
proclamato lo stato d’emergenza.
Esercito e aviazione proseguono
le operazioni contro i miliziani di
Boko Haram, il gruppo di matrice
fondamentalista autore nell’ultimo
quadriennio di attentati e attacchi
armati che hanno provocato oltre
tremila
morti.
Particolarmente
preoccupante è la situazione a
Maiduguri, la capitale del Borno
dove l’esercito ha imposto il coprifuoco totale e sta effettuando perquisizioni casa per casa. A Maiduguri, secondo fonti militari, sono
stati ingaggiati scontri armati che
tra sabato e domenica hanno portato all’uccisione di 24 militanti del
gruppo islamista e all’arresto di altri 85. I portavoce dell’esercito
hanno altresì comunicato che tra i
soldati ci sono stati tre morti e sette feriti. Fonti locali citate dalle
agenzie di stampa internazionali ri-
Ban Ki-moon condanna la provocazione nordcoreana
Pyongyang lancia altri missili
PYONGYANG, 20. La Corea del Nord
ha lanciato oggi un ulteriore missile
a corto raggio dalla costa orientale,
e finito nel mar del Giappone, mostrando segnali di attività militare
per il terzo giorno di fila con un totale di 5 vettori testati. Sabato il regime comunista di Pyongyang ha
lanciato tre missili a corto raggio e
ieri ne ha testato un altro. «Siamo
molto preoccupati per questo atto
provocatorio della Corea del Nord.
Mi auguro che Pyongyang si astenga dal continuare con questo genere
di azioni», ha dichiarato ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon dopo un incontro a Soci con
il presidente russo Vladimir Putin.
«È tempo di riprendere il dialogo e
di placare le tensioni. Le Nazioni
Unite sono pronte a fare la loro parte», ha aggiunto auspicando che la
«la Russia utilizzi i suoi contatti per
abbassare la tensione e rafforzare il
dialogo con la Corea del Nord».
Gruppo armato
attacca nel Sinai
le forze di sicurezza
egiziane
Missili nordcoreani lanciati dalla costa orientale (Afp)
feriscono che la popolazione della
città, chiusa in casa, teme ora la penuria alimentare. Sembrano cioè
avere conferma i timori espressi da
diversi osservatori dopo l’annuncio
dello stato d’emergenza e il via libera dato all’esercito sulle conseguenze che l’operazione è destinata ad
avere sulle popolazioni civili. Tra l’
altro, diversi soggetti internazionali
ritengono attendibili le denunce secondo le quali le forze di sicurezza
nigeriane stanno commettendo gravi
violazioni dei diritti umani nel corso
dell’offensiva contro i ribelli.
Si riaccendono
le violenze
nel Burundi
BUJUMBURA, 20. Nelle complesse
e intricate crisi della regione dei
Grandi Laghi, la violenza torna a
colpire anche il Burundi, dove
sabato tre civili sono stati uccisi e
una decina sono stati feriti in
un’imboscata contro un autobus
nei pressi di Gatumba, a una decina di chilometri a nord della
capitale Bujumbura. Alcuni sopravvissuti hanno raccontato a
fonti di stampa locali che autori
dell’agguato sono stati una quindicina di uomini pesantemente
armati. Secondo testimoni citati
dal sito d’informazione indipendente Iwacu, si trattava di ribelli
delle Forze nazionali di liberazione (Fnl), il gruppo guidato da
Agathon Rwasa, passato alla
clandestinità più di due anni fa,
dopo le contestate elezioni del
2010, vinte dal presidente Pierre
Nkurunziza e da allora spostatosi
oltre frontiera, nella Repubblica
Democratica del Congo. Tale
versione è stata poi confermata
da fonti di polizia che hanno attribuito l’assalto — il primo del
genere da più di un anno, dopo
che nei mesi precedenti c’erano
stati più di quattrocento morti —
a un gruppuscolo di ribelli arrivati appunto dal territorio congolese, dove avrebbero ripiegato
dopo il sanguinoso agguato.
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L’OSSERVATORE ROMANO
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La veglia di preghiera presieduta da Papa Francesco in piazza San Pietro in occasione della Giornata dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e delle aggregazioni laicali per l’Anno della fede
Una Chiesa che va incontro a tutti
Pubblichiamo il testo del discorso
pronunciato da Papa Francesco
in risposta a quattro domande
rivoltegli durante la veglia
di Pentecoste presieduta in piazza
San Pietro sabato sera, 18 maggio.
Buonasera a tutti!
Sono contento di incontrarvi e
che tutti noi ci incontriamo in questa piazza per pregare, per essere
uniti e per aspettare il dono dello
Spirito. Io conoscevo le vostre domande e ci ho pensato — questo,
quindi, non è senza conoscenza! Primo, la verità! Le ho qui, scritte.
La prima — «come lei ha potuto
raggiungere nella sua vita la certezza
sulla fede; e quale strada ci indica
perché ciascuno di noi possa vincere
la fragilità della fede?» — è una domanda storica, perché riguarda la
mia storia, la storia della mia vita!
Io ho avuto la grazia di crescere
in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto; ma
è stata soprattutto mia nonna, la
mamma di mio padre, che ha segnato il mio cammino di fede. Era una
donna che ci spiegava, ci parlava di
Gesù, ci insegnava il Catechismo.
Ricordo sempre che il Venerdì Santo
ci portava, la sera, alla processione
delle candele, e alla fine di questa
processione arrivava il «Cristo giacente», e la nonna ci faceva — a noi
bambini — inginocchiare e ci diceva:
«Guardate, è morto, ma domani risuscita». Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio da questa
donna, da mia nonna! È bellissimo,
questo! Il primo annuncio in casa,
con la famiglia! E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e di
tante nonne nella trasmissione della
fede. Sono loro che trasmettono la
fede. Questo avveniva anche nei primi tempi, perché san Paolo diceva a
Timoteo: «Io ricordo la fede della
tua mamma e della tua nonna» (cfr.
2Tm 1, 5). Tutte le mamme che sono
qui, tutte le nonne, pensate a questo! Trasmettere la fede. Perché Dio
ci mette accanto delle persone che
aiutano il nostro cammino di fede.
Noi non troviamo la fede nell’astratto; no! È sempre una persona che
predica, che ci dice chi è Gesù, che
ci trasmette la fede, ci dà il primo
annuncio. E così è stata la prima
esperienza di fede che ho avuto.
Ma c’è un giorno per me molto
importante: il 21 settembre del ’53.
Avevo quasi 17 anni. Era il «Giorno
dello studente», per noi il giorno
della Primavera — da voi è il giorno
dell’Autunno. Prima di andare alla
festa, sono passato nella parrocchia
dove andavo, ho trovato un prete,
che non conoscevo, e ho sentito la
necessità di confessarmi. Questa è
stata per me un’esperienza di incontro: ho trovato che qualcuno mi
aspettava. Ma non so cosa sia successo, non ricordo, non so proprio
perché fosse quel prete là, che non
conoscevo, perché avessi sentito questa voglia di confessarmi, ma la verità è che qualcuno m’aspettava. Mi
stava aspettando da tempo. Dopo la
Confessione ho sentito che qualcosa
era cambiato. Io non ero lo stesso.
Avevo sentito proprio come una voce, una chiamata: ero convinto che
dovessi diventare sacerdote. Questa
esperienza nella fede è importante.
Noi diciamo che dobbiamo cercare
Dio, andare da Lui a chiedere perdono, ma quando noi andiamo, Lui
ci aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo, abbiamo una parola che spiega bene questo: «Il Signore sempre
ci primerea», è primo, ci sta aspettando! E questa è proprio una grazia
grande: trovare uno che ti sta aspettando. Tu vai peccatore, ma Lui ti
sta aspettando per perdonarti. Questa è l’esperienza che i Profeti di
Israele descrivevano dicendo che il
Signore è come il fiore di mandorlo,
il primo fiore della Primavera (cfr.
Ger 1, 11-12). Prima che vengano gli
altri fiori, c’è lui: lui che aspetta. Il
Signore ci aspetta. E quando noi Lo
cerchiamo, troviamo questa realtà:
che è Lui ad aspettarci per accoglierci, per darci il suo amore. E questo
ti porta nel cuore uno stupore tale
che non lo credi, e così va crescendo
la fede! Con l’incontro con una persona, con l’incontro con il Signore.
Qualcuno dirà: «No, io preferisco
studiare la fede nei libri!». È importante studiarla, ma, guarda, questo
solo non basta! L’importante è l’incontro con Gesù, l’incontro con Lui,
e questo ti dà la fede, perché è proprio Lui che te la dà! Anche voi parlavate della fragilità della fede, come
si fa per vincerla. Il nemico più
grande che ha la fragilità — è curioso, eh? — è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, e lo sappiamo. Ma Lui è più forte! Se tu vai
con Lui, non c’è problema! Un bam-
bino è fragilissimo — ne ho visti tanti, oggi —, ma era con il papà, con la
mamma: è al sicuro! Con il Signore
siamo sicuri. La fede cresce con il
Signore, proprio dalla mano del Signore; questo ci fa crescere e ci rende forti. Ma se noi pensiamo di poterci arrangiare da soli... Pensiamo
che cosa è successo a Pietro: «Signore, io mai ti rinnegherò!» (cfr. Mt
26, 33-35); e poi ha cantato il gallo e
l’aveva rinnegato per tre volte! (cfr.
vv. 69-75). Pensiamo: quando noi abbiamo troppa fiducia in noi stessi,
siamo più fragili, più fragili. Sempre
con il Signore! E dire con il Signore
significa dire con l’Eucaristia, con la
Bibbia, con la preghiera... ma anche
in famiglia, anche con la mamma,
anche con lei, perché lei è quella che
ci porta al Signore; è la madre, è
quella che sa tutto. Quindi pregare
anche la Madonna e chiederle che,
come mamma, mi faccia forte. Questo è quello che io penso sulla fragilità, almeno è la mia esperienza.
Una cosa che mi rende forte tutti i
giorni è pregare il Rosario alla Madonna. Io sento una forza tanto
grande perché vado da lei e mi sento forte.
Passiamo alla seconda domanda.
«Penso che tutti noi qui presenti
sentiamo fortemente la sfida, la sfida
della evangelizzazione, che è al cuore delle nostre esperienze. Per questo
vorrei chiedere a Lei, Padre Santo,
di aiutare me e tutti noi a capire come vivere questa sfida nel nostro
tempo, qual è per lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti, associazioni e comunità dobbiamo
guardare per attuare il compito cui
siamo chiamati. Come possiamo comunicare in modo efficace la fede di
oggi?».
Dirò soltanto tre parole.
La prima: Gesù. Chi è la cosa più
importante? Gesù. Se noi andiamo
avanti con l’organizzazione, con al-
tre cose, con belle cose, ma senza
Gesù, non andiamo avanti, la cosa
non va. Gesù è più importante.
Adesso, vorrei fare un piccolo rimprovero, ma fraternamente, tra noi.
Tutti voi avete gridato nella piazza
«Francesco, Francesco, Papa Francesco». Ma, Gesù dov’era? Io avrei voluto che voi gridaste: «Gesù, Gesù è
il Signore, ed è proprio in mezzo a
noi!». Da qui in avanti, niente
«Francesco», ma «Gesù»!
La seconda parola è: la preghiera.
Guardare il volto di Dio, ma soprattutto — e questo è collegato con
quello che ho detto prima — sentirsi
guardati. Il Signore ci guarda: ci
guarda prima. La mia esperienza è
ciò che sperimento davanti al sagrario [Tabernacolo] quando vado a
pregare, la sera, davanti al Signore.
Alcune volte mi addormento un pochettino; questo è vero, perché un
po’ la stanchezza della giornata ti fa
addormentare. Ma Lui mi capisce. E
sento tanto conforto quando penso
che Lui mi guarda. Noi pensiamo
che dobbiamo pregare, parlare, parlare, parlare... No! Làsciati guardare
dal Signore. Quando Lui ci guarda,
ci dà forza e ci aiuta a testimoniarlo
— perché la domanda era sulla testimonianza della fede, no? Primo
«Gesù», poi «preghiera» — sentiamo
che Dio ci sta tenendo per mano.
Sottolineo allora l’importanza di
questo: lasciarsi guidare da Lui.
Questo è più importante di qualsiasi
calcolo. Siamo veri evangelizzatori
lasciandoci guidare da Lui. Pensiamo a Pietro; forse stava facendo la
siesta, dopo pranzo, e ha avuto una
visione, la visione della tovaglia con
tutti gli animali, e ha sentito che
Gesù gli diceva qualcosa, ma lui non
capiva. In quel momento, sono venuti alcuni non-ebrei a chiamarlo
per andare in una casa, e ha visto
come lo Spirito Santo era laggiù.
Pietro si è lasciato guidare da Gesù
per giungere a quella prima evange-
lizzazione ai gentili, che non erano
ebrei: una cosa inimmaginabile in
quel tempo (cfr. At 10, 9-33). E così,
tutta la storia, tutta la storia! Lasciarsi guidare da Gesù. È proprio il
leader; il nostro leader è Gesù.
E terza: la testimonianza. Gesù,
preghiera — la preghiera, quel lasciarsi guidare da Lui — e poi testimonianza. Ma vorrei aggiungere
qualcosa. Questo lasciarsi guidare da
Gesù ti porta alle sorprese di Gesù.
Si può pensare che l’evangelizzazione dobbiamo programmarla a tavolino, pensando alle strategie, facendo
dei piani. Ma questi sono strumenti,
piccoli strumenti. L’importante è
Gesù e lasciarsi guidare da Lui. Poi
possiamo fare le strategie, ma questo
è secondario.
Infine, la testimonianza: la comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è
l’amore. Non con le nostre idee, ma
con il Vangelo vissuto nella propria
esistenza e che lo Spirito Santo fa
vivere dentro di noi. È come una sinergia fra noi e lo Spirito Santo, e
questo conduce alla testimonianza.
La Chiesa la portano avanti i Santi,
che sono proprio coloro che danno
questa testimonianza. Come ha detto Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI, il mondo di oggi ha tanto
bisogno di testimoni. Non tanto di
maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita:
la coerenza di vita, proprio la coerenza di vita! Una coerenza di vita
che è vivere il cristianesimo come un
incontro con Gesù che mi porta agli
altri e non come un fatto sociale.
Socialmente siamo così, siamo cristiani, chiusi in noi. No, questo no!
La testimonianza!
La terza domanda: «Vorrei chiederle, Padre Santo, come io e tutti
noi possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri. In che modo
l’uomo sofferente è una domanda
per la nostra fede? Noi tutti, come
movimenti, associazioni laicali, quale
contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società
per affrontare questa grave crisi che
tocca l’etica pubblica» — questo è
importante! — «il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo
modo di essere uomini e donne?».
Riprendo dalla testimonianza. Prima di tutto, vivere il Vangelo è il
principale contributo che possiamo
dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. Noi non
siamo una ONG, e quando la Chiesa
diventa una ONG perde il sale, non
ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. E in questo siate furbi,
perché il diavolo ci inganna, perché
c’è il pericolo dell’efficientismo. Una
cosa è predicare Gesù, un’altra cosa
è l’efficacia, essere efficienti. No,
quello è un altro valore. Il valore
della Chiesa, fondamentalmente, è
vivere il Vangelo e dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è
chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo
fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore
fraterno, della solidarietà, della condivisione. Quando si sentono alcuni
dire che la solidarietà non è un valore, ma è un «atteggiamento primario» che deve sparire... questo non
va! Si sta pensando ad un’efficacia
soltanto mondana. I momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo —
ma tu hai detto prima che «siamo in
un mondo di menzogne» —, questo
momento di crisi, stiamo attenti, non
consiste in una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale. È
una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi
è l’uomo! E ciò che può essere distrutto è l’uomo! Ma l’uomo è immagine di Dio! Per questo è una crisi profonda! In questo momento di
crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella
solitudine, nello scoraggiamento, nel
senso di impotenza di fronte ai problemi. Non chiudersi, per favore!
Questo è un pericolo: ci chiudiamo
nella parrocchia, con gli amici, nel
movimento, con coloro con i quali
pensiamo le stesse cose... ma sapete
che cosa succede? Quando la Chiesa
diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per
un anno; quando tu vai, c’è odore di
umidità, ci sono tante cose che non
vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa
cosa: è una Chiesa ammalata. La
Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali,
qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù
ci dice: «Andate per tutto il mondo!
Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!» (cfr. Mc 16, 15).
Ma che cosa succede se uno esce da
se stesso? Può succedere quello che
può capitare a tutti quelli che esco-
Hanno trasformato piazza San Pietro
in «un cenacolo a cielo aperto», gli
oltre duecentomila fedeli giunti da
ogni latitudine per partecipare sabato sera alla veglia e domenica mattina alla messa in occasione della
Giornata dei movimenti, delle nuove
comunità, delle associazioni e delle
aggregazioni laicali con il Pontefice.
Una folla immensa, in rappresentanza di almeno 150 differenti realtà ecclesiali, ha vissuto con il Santo Padre
l’appuntamento di Pentecoste organizzato dal Pontificio Consiglio per
la promozione della Nuova Evangelizzazione in occasione dell’Anno
della fede.
A parlare dell’incontro come una
grande «festa della fede» è stato lo
stesso Papa Francesco quando, al
Regina caeli cantato al termine della
celebrazione domenicale, si è rivolto
ai tantissimi gruppi presenti, salutandoli come «un dono e una ricchezza
nella Chiesa». Poco prima l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del
dicastero per la nuova evangelizza-
zione, prendendo la parola, aveva
descritto la Giornata come «un’ulteriore tappa nel cammino iniziato con
il Vaticano II» e aveva rinnovato la
disponibilità dei movimenti e delle
associazioni a impegnarsi nella
«grande missione di cui il successore
di Pietro ci ha investiti: essere discepoli e missionari del Signore Risorto,
perché tutti gli uomini in lui trovino
la vita».
Preparata dalla recita del rosario,
la messa è iniziata con il rito
dell’aspersione dell’acqua benedetta.
Prima della proclamazione del Vangelo, la Cappella Sistina ha cantato
insieme all’assemblea la sequenza Veni, sanctae Spiritus. Le intenzioni della preghiera dei fedeli sono state in
portoghese per la Chiesa, in tedesco
per i laici e quanti vivono al servizio
del Vangelo, in francese per i peccatori, gli increduli e i dubbiosi, in polacco per i ragazzi e i giovani, in
swahili per i governanti e gli uomini
di buona volontà. A conclusione del
rito, dopo aver salutato iniziatori,
no di casa e vanno per la strada: un
incidente. Ma io vi dico: preferisco
mille volte una Chiesa incidentata,
incorsa in un incidente, che una
Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! Pensate anche a
quello che dice l’Apocalisse. Dice
una cosa bella: che Gesù è alla porta
e chiama, chiama per entrare nel nostro cuore (cfr. Ap 3, 20). Questo è il
senso dell’Apocalisse. Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è
dentro e bussa alla porta per uscire,
per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze,
perché tante volte siamo chiusi in
strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi
figli di Dio? In questa «uscita» è
importante andare all’incontro; questa parola per me è molto importante: l’incontro con gli altri. Perché?
Perché la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri.
Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, una cultura in cui quello che
non mi serve lo getto via, la cultura
dello scarto. Ma su questo punto, vi
invito a pensare — ed è parte della
crisi — agli anziani, che sono la saggezza di un popolo, ai bambini... la
cultura dello scarto! Ma noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo
creare con la nostra fede una «cultura
dell’incontro»,
una
cultura
dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare
anche con quelli che non la pensano
come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la
stessa fede. Tutti hanno qualcosa in
comune con noi: sono immagini di
Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la
nostra appartenenza. E un altro
punto è importante: con i poveri. Se
usciamo da noi stessi, troviamo la
povertà. Oggi — questo fa male al
cuore dirlo — oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia.
Oggi è notizia, forse, uno scandalo.
Uno scandalo: ah, quello è notizia!
Oggi, pensare che tanti bambini non
hanno da mangiare non è notizia.
Questo è grave, questo è grave! Noi
non possiamo restare tranquilli!
Mah... le cose sono così. Noi non
possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati,
che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No!
Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che
sono proprio la carne di Cristo,
quelli che sono la carne di Cristo!
Quando io vado a confessare — ancora non posso, perché per uscire a
confessare... di qui non si può uscire, ma questo è un altro problema —
quando io andavo a confessare nella
diocesi precedente, venivano alcuni e
sempre facevo questa domanda:
«Ma, lei dà l’elemosina?» — «Sì, padre!». «Ah, bene, bene». E gliene
facevo due in più: «Mi dica, quando
lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?» — «Ah, non so, non me ne
sono accorto». Seconda domanda:
«E quando lei dà l’elemosina, tocca
la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?».
Questo è il problema: la carne di
Cristo, toccare la carne di Cristo,
prendere su di noi questo dolore per
i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o
filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima
categoria, perché quel Dio, il Figlio
di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla
strada. E questa è la nostra povertà:
la povertà della carne di Cristo, la
povertà che ci ha portato il Figlio di
Dio con la sua Incarnazione. Una
Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di
Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire
qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore.
E questo non è facile. Ma c’è un
problema che non fa bene ai cristiani: lo spirito del mondo, lo spirito
mondano, la mondanità spirituale.
Questo ci porta ad una sufficienza, a
vivere lo spirito del mondo e non
quello di Gesù. La domanda che facevate voi: come si deve vivere per
affrontare questa crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo,
la politica. Siccome questa è una crisi dell’uomo, una crisi che distrugge
l’uomo, è una crisi che spoglia l’uomo dell’etica. Nella vita pubblica,
nella politica, se non c’è l’etica,
un’etica di riferimento, tutto è possibile e tutto si può fare. E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita
pubblica faccia tanto male all’umanità intera.
Vorrei raccontarvi una storia. L’ho
fatto già due volte questa settimana,
ma lo farò una terza volta con voi. È
la storia che racconta un midrash biblico di un Rabbino del secolo XII.
Lui narra la storia della costruzione
della Torre di Babele e dice che, per
costruire la Torre di Babele, era necessario fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare, impastare il
fango, portare la paglia, fare tutto...
poi, al forno. E quando il mattone
era fatto doveva essere portato su,
per la costruzione della Torre di Babele. Un mattone era un tesoro, per
tutto il lavoro che ci voleva per farlo. Quando cadeva un mattone, era
una tragedia nazionale e l’operaio
colpevole era punito; era tanto prezioso un mattone che se cadeva era
un dramma. Ma se cadeva un operaio, non succedeva niente, era
un’altra cosa. Questo succede oggi:
se gli investimenti nelle banche calano un po’... tragedia... come si fa?
Ma se muoiono di fame le persone,
se non hanno da mangiare, se non
hanno salute, non fa niente! Questa
è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per
i poveri va contro questa mentalità.
La quarta domanda: «Davanti a
queste situazioni, mi pare che il mio
confessare, la mia testimonianza sia
timida e impacciata. Vorrei fare di
più, ma cosa? E come aiutare questi
nostri fratelli, come alleviare la loro
sofferenza non potendo fare nulla o
ben poco per cambiare il loro contesto politico-sociale?».
Per annunciare il Vangelo sono
necessarie due virtù: il coraggio e la
pazienza. Loro [i cristiani che soffrono] sono nella Chiesa della pazienza. Loro soffrono e ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della
Chiesa; più martiri! Fratelli e sorelle
nostri. Soffrono! Loro portano la fede fino al martirio. Ma il martirio
non è mai una sconfitta; il martirio è
il grado più alto della testimonianza
che noi dobbiamo dare. Noi siamo
in cammino verso il martirio, dei
piccoli martìri: rinunciare a questo,
fare questo... ma siamo in cammino.
E loro, poveretti, danno la vita, ma
la danno — come abbiamo sentito la
situazione nel Pakistan — per amore
a Gesù, testimoniando Gesù. Un cristiano deve sempre avere questo atteggiamento di mitezza, di umiltà,
proprio l’atteggiamento che hanno
loro, confidando in Gesù, affidandosi a Gesù. Bisogna precisare che tante volte questi conflitti non hanno
un’origine religiosa; spesso ci sono
altre cause, di tipo sociale e politico,
e purtroppo le appartenenze religiose vengono utilizzate come benzina
sul fuoco. Un cristiano deve saper
sempre rispondere al male con il bene, anche se spesso è difficile. Noi
cerchiamo di far sentire loro, a questi fratelli e sorelle, che siamo profondamente uniti — profondamente
uniti! — alla loro situazione, che noi
sappiamo che sono cristiani «entrati
nella pazienza». Quando Gesù va
incontro alla Passione, entra nella
pazienza. Loro sono entrati nella pazienza: farlo sapere a loro, ma anche
farlo sapere al Signore. Vi pongo la
domanda: pregate per questi fratelli
e queste sorelle? Voi pregate per loro? Nella preghiera di tutti i giorni?
Io non chiederò ora che alzi la mano colui che prega: no. Non lo chiederò, adesso. Ma pensatelo bene.
Nella preghiera di tutti i giorni diciamo a Gesù: «Signore, guarda
questo fratello, guarda a questa sorella che soffre tanto, che soffre tanto!». Loro fanno l’esperienza del limite, proprio del limite tra la vita e
la morte. E anche per noi: questa
esperienza deve portarci a promuovere la libertà religiosa per tutti, per
tutti! Ogni uomo e ogni donna devono essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia.
Perché? Perché quell’uomo e quella
donna sono figli di Dio.
E così, credo di avere detto qualcosa sulle vostre domande; mi scuso
se sono stato troppo lungo. Grazie
tante! Grazie a voi, e non dimenticate: niente di una Chiesa chiusa, ma
una Chiesa che va fuori, che va alle
periferie dell’esistenza. Che il Signore ci guidi laggiù. Grazie.
L’omelia della messa di Pentecoste
Aperti alle sorprese di Dio
«Novità, armonia e missione» sono i
tre temi affrontati da Papa Francesco
all’omelia della messa di Pentecoste,
celebrata sul sagrato della basilica
Vaticana domenica mattina, 19
maggio, in occasione della Giornata
dei movimenti.
Cari fratelli e sorelle,
in questo giorno noi contempliamo e riviviamo nella liturgia l’effusione dello Spirito Santo operata
da Cristo risorto sulla sua Chiesa;
un evento di grazia che ha riempito il cenacolo di Gerusalemme per
espandersi nel mondo intero.
Ma che cosa avvenne in quel
giorno così lontano da noi, eppure
così vicino da raggiungere l’intimo
del nostro cuore? San Luca ci offre
la risposta nel brano degli Atti degli
Apostoli che abbiamo ascoltato (2,
1-11). L’evangelista ci riporta a Gerusalemme, al piano superiore della
casa nella quale sono riuniti gli
Apostoli. Il primo elemento che attira la nostra attenzione è il fragore
che improvviso viene dal cielo,
«quasi un vento che si abbatte impetuoso» e riempie la casa; poi le
«lingue come di fuoco» che si dividevano e si posavano su ciascuno
degli Apostoli. Fragore e lingue infuocate sono segni precisi e concreti che toccano gli Apostoli, non solo esteriormente, ma anche nel loro
intimo: nella mente e nel cuore. La
conseguenza è che «tutti furono
colmati di Spirito Santo», il quale
sprigiona il suo dinamismo irresistibile, con esiti sorprendenti: «Cominciarono a parlare in altre lingue
nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». Si apre
allora davanti a noi un quadro del
tutto inatteso: una grande folla si
raduna ed è piena di meraviglia
perché ciascuno sente parlare gli
Apostoli nella propria lingua. Tutti
fanno un’esperienza nuova, mai accaduta prima: «Li udiamo parlare
nelle nostre lingue». E di che cosa
parlano? «Delle grandi opere di
D io».
Alla luce di questo brano degli
Atti, vorrei riflettere su tre parole
legate all’azione dello Spirito: novità, armonia, missione.
La novità ci fa sempre un po’ di
paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo,
se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra
vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso
lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile
abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito
Santo l’anima, la guida della nostra
vita, in tutte le scelte; abbiamo
paura che Dio ci faccia percorrere
strade nuove, ci faccia uscire dal
nostro orizzonte spesso limitato,
chiuso, egoista, per aprirci ai suoi
orizzonti. Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela
porta novità — Dio porta sempre
novità —, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui: Noè costruisce un’arca deriso da tutti e si
salva; Abramo lascia la sua terra
con in mano solo una promessa;
Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà; gli Apostoli, timorosi e chiusi
nel cenacolo, escono con coraggio
per annunciare il Vangelo. Non è
la novità per la novità, la ricerca
del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tem-
Come un grande cenacolo a cielo aperto
fondatori e responsabili di alcuni
movimenti e i cardinali concelebranti, il Pontefice ha percorso con la
jeep la piazza e gran parte di via della Conciliazione, per poi soffermarsi
a lungo con i malati e i disabili.
Hanno concelebrato 22 porporati,
fra i quali i cardinali Re, Saraiva
Martins, Tomko e Ruini, che sono
saliti con il Papa all’altare al momento della consacrazione; 18 presuli, tra
i quali gli arcivescovi Becciu, sostituto, e Fisichella; circa 400 sacerdoti
provenienti da diversi Paesi. Era presente il cardinale Lajolo. Ad accompagnare il Pontefice gli arcivescovi
Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, e Pozzo, elemosiniere, i monsignori Xuereb e Sapienza, reggente
della Prefettura della Casa Pontificia,
e il medico Polisca. Ha diretto il rito
monsignor Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie.
Sabato pomeriggio la veglia è stata preceduta da un momento di festa
sul tema: «Io credo! Aumenta in noi
la fede». L’hanno scandita testimo-
nianze, coreografie e musiche. Intanto piazza san Pietro andava riempiendosi sempre più di gente che ha
finito con lo strabordare lungo tutta
via della Conciliazione. E un lungo
tratto di questa strada il Papa ha voluto percorrerlo a bordo della papamobile, girando per più di mezz’ora
tra gli striscioni, le bandiere, i foulard, le magliette e i berretti e i palloncini che coloravano l’assemblea.
Quando il Papa ha raggiunto il sagrato della basilica Vaticana, la festa
ha lasciato il posto al raccoglimento
per la veglia di Pentecoste, preceduta
dal saluto dell’arcivescovo Fisichella.
«L’Anno della fede non poteva fare
a meno della loro presenza» ha detto
definendoli
«evangelizzatori
del
mondo contemporaneo» e paragonandoli all’apostolo Giovanni all’indomani della Pasqua. «La giovinezza
e la freschezza dell’amore — ha spiegato — li fa correre più spediti; ma
non corrono da soli. Vanno più veloci di altri discepoli, forse più stanchi
e affaticati per il peso degli anni.
Sanno comunque che solo insieme e
in comunione con tutti l’annunzio è
efficace».
Dal centro della piazza è poi partita una processione di giovani che
hanno recato accanto alla cattedra
papale l’icona della Salus populi romani, rimasta anche per la messa domenicale. Il Papa stesso ha guidato
l’applauso alla Madonna, prima della
proclamazione di un passo del Nuovo Testamento, di un salmo e di un
brano del trattato Contro le eresie di
sant’Ireneo. Con le testimonianze
dello scrittore irlandese John Waters
e del medico pakistano Paul Bhatti,
fratello del ministro Shahbaz, ucciso
nel 2011, la veglia ha vissuto uno dei
momenti più toccanti. Il primo ha
parlato della propria esperienza di rinascita dopo la caduta nel baratro
dell’alcolismo. Il secondo delle persecuzioni subite dai cristiani del suo
Paese e della speranza che sopravvive
grazie all’impegno di uomini di fede
come suo fratello, la cui Bibbia è
conservata nella basilica romana di
San Bartolomeo all’isola Tiberina.
Il clima di condivisione creatosi ha
favorito il successivo dialogo del
Santo Padre con gli interlocutori
scelti per formulargli quattro domande: Martino Feyles, di Comunione e
liberazione; Maria Malvarosa, del
Rinnovamento nello Spirito Santo;
Paola Cardellicchio, della comunità
di Sant’Egidio; Margy e Stefano Comazzi, del movimento dei Focolari.
Papa Francesco ha parlato per ben
38 minuti. Molti applausi hanno segnato i passi più significativi del discorso, nel quale ha offerto ricordi e
confidenze personali, a volte con tono scherzoso, altre di correzione. Come quando ha rivolto ai presenti un
piccolo rimprovero per aver invocato
il nome di Francesco invece che
quello di Gesù. Per questo al termine, mentre venivano liberati in volo
alcuni palloncini colorati, a lungo
l’assemblea ha scandito il nome di
Gesù.
Un altro piccolo fuori programma
c’è stato alla professione di fede,
quando sulla scia emotiva della testimonianza di Bhatti il Papa ha aggiunto al testo liturgico del rinnovo
delle promesse battesimali un’ulteriore domanda: «Volete vivere e morire
in questa fede?». La risposta è stata
un sì echeggiato in tutti i settori della piazza.
Accanto a Papa Francesco sedevano gli arcivescovi Fisichella e Gänswein e i monsignori Marini e Xuereb. In posti riservati erano, tra gli
altri, i cardinali Ryłko, presidente del
Pontificio Consiglio per i Laici, Vallini, vicario di Roma, Tauran, De
Giorgi e Sgreccia; alcuni presuli, tra i
quali il sostituto Becciu, i segretari
dei dicasteri della nuova evangelizzazione, l’arcivescovo Ruiz Arenas, e
dei laici, il vescovo Clemens; monsignor Sapienza e il medico Polisca.
La veglia si è conclusa con il canto
delle intercessioni e la benedizione
impartita dal Pontefice ai presenti.
po. La novità che Dio porta nella
nostra vita è ciò che veramente ci
realizza, ciò che ci dona la vera
gioia, la vera serenità, perché Dio
ci ama e vuole solo il nostro bene.
Domandiamoci oggi: siamo aperti
alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello
Spirito Santo? Siamo coraggiosi
per andare per le nuove strade che
la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche
che hanno perso la capacità di accoglienza? Ci farà bene farci queste
domande durante tutta la giornata.
Un secondo pensiero: lo Spirito
Santo, apparentemente, sembra
creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi,
dei doni; ma tutto questo invece,
sotto la sua azione, è una grande
ricchezza, perché lo Spirito Santo è
lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei
Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto: lo Spirito
Santo “ipse harmonia est”. Lui è
proprio l’armonia. Solo Lui può
suscitare la diversità, la pluralità, la
molteplicità e, nello stesso tempo,
operare l’unità. Anche qui, quando
siamo noi a voler fare la diversità e
ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo
noi a voler fare l’unità secondo i
nostri disegni umani, finiamo per
portare l’uniformità, l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare
dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai
conflitto, perché Egli ci spinge a
vivere la varietà nella comunione
della Chiesa. Il camminare insieme
nella Chiesa, guidati dai Pastori,
che hanno uno speciale carisma e
ministero, è segno dell’azione dello
Spirito Santo; l’ecclesialità è una
caratteristica fondamentale per
ogni cristiano, per ogni comunità,
per ogni movimento. È la Chiesa
che mi porta Cristo e mi porta a
Cristo; i cammini paralleli sono
tanto pericolosi! Quando ci si avventura andando oltre (proagon) la
dottrina e la Comunità ecclesiale —
dice l’Apostolo Giovanni nella sua
Seconda Lettera — e non si rimane
in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cfr. 2Gv v. 9). Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando
ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e
con la Chiesa?
L’ultimo punto. I teologi antichi
dicevano: l’anima è una specie di
barca a vela, lo Spirito Santo è il
vento che soffia nella vela per farla
andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la sua spinta, senza la
sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare
nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto; ci
spinge ad aprire le porte per uscire,
per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo. Lo Spirito Santo è
l’anima della missione. Quanto avvenuto a Gerusalemme quasi duemila anni fa non è un fatto lontano
da noi, è un fatto che ci raggiunge,
che si fa esperienza viva in ciascuno di noi. La Pentecoste del cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un
inizio che si prolunga. Lo Spirito
Santo è il dono per eccellenza di
Cristo risorto ai suoi Apostoli, ma
Egli vuole che giunga a tutti. Gesù, come abbiamo ascoltato nel
Vangelo, dice: «Io pregherò il Pa-
dre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14, 16). È lo Spirito Paràclito, il «Consolatore», che dà il
coraggio di percorrere le strade del
mondo portando il Vangelo! Lo
Spirito Santo ci fa vedere l’orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di
Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi
stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra
alla missione. Ricordiamo oggi
queste tre parole: novità, armonia,
missione.
La liturgia di oggi è una grande
preghiera che la Chiesa con Gesù
eleva al Padre, perché rinnovi l’effusione dello Spirito Santo. Ciascuno di noi, ogni gruppo, ogni
movimento,
nell’armonia
della
Chiesa, si rivolga al Padre per chiedere questo dono. Anche oggi, come al suo nascere, insieme con Maria la Chiesa invoca: «Veni Sancte
Spiritus! — Vieni, Spirito Santo,
riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen.
Al Regina caeli
Una festa
della fede
«Una rinnovata Pentecoste».
Così Papa Francesco ha definito
la «festa della fede» vissuta
a Pentecoste, al Regina caeli
recitato con i fedeli presenti
alla messa di domenica 19.
Il Pontefice ha anche ricordato
il sisma che un anno fa ha colpito
l’Emilia Romagna.
Cari fratelli e sorelle,
sta per concludersi questa festa della fede, iniziata ieri con la
Veglia e culminata stamani
nell’Eucaristia. Una rinnovata
Pentecoste che ha trasformato
Piazza San Pietro in un Cenacolo a cielo aperto. Abbiamo rivissuto l’esperienza della Chiesa
nascente, concorde in preghiera
con Maria, la Madre di Gesù
(cfr. At 1, 14). Anche noi, nella
varietà dei carismi, abbiamo
sperimentato la bellezza dell’unità, di essere una cosa sola.
E questo è opera dello Spirito
Santo, che crea sempre nuovamente l’unità nella Chiesa.
Vorrei ringraziare tutti i Movimenti, le Associazioni, le Comunità, le Aggregazioni ecclesiali. Siete un dono e una ricchezza nella Chiesa! Questo siete voi! Ringrazio, in modo particolare, tutti voi che siete venuti
da Roma e da tante parti del
mondo. Portate sempre la forza
del Vangelo! Non abbiate paura! Abbiate sempre la gioia e la
passione per la comunione nella
Chiesa! Il Signore risorto sia
sempre con voi e la Madonna vi
protegga!
Ricordiamo nella preghiera le
popolazioni dell’Emilia Romagna che il 20 maggio dell’anno
scorso furono colpite dal terremoto. Prego anche per la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia.
Dopo la recita dell’antifona
mariana il Papa ha così concluso.
Fratelli e sorelle, grazie tante
per il vostro amore alla Chiesa!
Buona domenica, buona festa e
buon pranzo!
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
Messa del Papa a Santa Marta
Il 21 maggio 1972 un folle sfregiò a martellate la «Pietà» di Michelangelo a San Pietro
La preghiera
fa miracoli
I miracoli esistono ancora oggi. Ma
per consentire al Signore di compierli c’è bisogno di una preghiera
coraggiosa, capace di superare quel
«qualcosa di incredulità» che alberga nel cuore di ogni uomo, anche
se uomo di fede. Una preghiera soprattutto per coloro che soffrono a
causa delle guerre, delle persecuzioni e di ogni altro dramma che scuote la società di oggi. Ma la preghiera deve «mettere carne al fuoco»,
cioè coinvolgere la nostra persona e
impegnare tutta la nostra vita, per
superare l’incredulità. È questa la
raccomandazione affidata da Papa
Francesco a quanti hanno partecipato alla messa celebrata la mattina
di lunedì 20 maggio, nella cappella
della Domus Sanctae Marthae.
Nell’omelia il Pontefice ha svolto
una riflessione sull’incredulità a
partire dal racconto del vangelo di
Marco (9, 14-29) su un giovane
posseduto dallo spirito maligno e
liberato da Cristo. «Non è la prima
volta — ha detto il Santo Padre —
che Gesù si lamenta dell’incredulità: O generazioni incredule! Tante
volte l’ha detto»; e ha sofferto molto per questa incredulità verso le
sue parole, il suo messaggio. «Gli
volevano bene, la folla andava a salutarlo. Gli volevano bene ma fino
a un certo punto. Non rischiavano
troppo nella loro fede nei confronti
di lui. Non rischiavano. E Gesù
soffriva per questo, no? È forte
quello che dice oggi: O generazione incredula, fino a quando sarò
con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?».
Il Papa ha poi notato che Gesù è
serio nel suo rimprovero. Anzi, si
rivolge deciso ai discepoli e chiede
di portare il giovane posseduto davanti a lui. «Prende le cose in mano» e quando «Gesù prende le cose in mano, vanno bene». Ma come
si fa perché il Signore prenda le cose in mano? Certo non è facile,
proprio perché entra in gioco l’incredulità. «Ma perché questa incredulità?» si è chiesto ancora il Papa.
«Tutti vedevano che Gesù faceva
dei miracoli, tante cose belle. Le
parole di Gesù erano tanto belle e
arrivavano al cuore». Ed è proprio
una questione di cuore: «Credo —
ha infatti detto il vescovo di Roma
— che sia proprio il cuore che non
si apre, il cuore chiuso, il cuore che
vuol avere tutto sotto controllo».
Abbiamo «paura di fallire». Il Pontefice ha ricordato in proposito
quanto avvenuto la domenica della
risurrezione, «quando Gesù viene
tra i suoi discepoli nel cenacolo.
Luca dice: Era tanta la gioia che
non potevano credere. Avevano
paura che questa gioia fosse un sogno, fosse una fantasia, che non
fosse Gesù...».
Tornando all’episodio evangelico,
il Santo Padre ha riproposto la domanda dei discepoli che non erano
riusciti a scacciare lo spirito maligno dal giovane: «Ma perché noi
non abbiamo potuto cacciarlo?
Questa specie di demoni, spiega
Gesù, non si può cacciare in alcun
modo se non con la preghiera». E
il padre del fanciullo «ha detto:
Credo Signore, aiuta la mia incredulità». La sua è stata «una preghiera forte; e questa preghiera,
umile e forte, fa sì che Gesù possa
fare il miracolo. La preghiera per
chiedere un’azione straordinaria —
ha spiegato il Pontefice — deve essere una preghiera che ci coinvolge
tutti, come se impegnassimo tutta
la nostra vita in quel senso. Nella
preghiera bisogna mettere la carne
al fuoco».
Il Pontefice ha poi raccontato un
episodio avvenuto in Argentina:
«Mi ricordo una cosa che è successa tre anni fa nel santuario di
Luján». Una bambina di sette anni
si era ammalata, ma i medici non
trovavano la soluzione. Andava
peggiorando sempre, sino a quando, una sera, i medici dissero che
non c’era più niente da fare e che le
rimanevano poche ore di vita. «Il
papà, che era un elettricista, un uomo di fede, è diventato come pazzo. E spinto da quella pazzia ha
preso il bus ed è andato al santuario di Luján, due ore e mezzo di
bus, a settanta chilometri di distanza. È arrivato alle nove di sera e ha
trovato tutto chiuso. E lui ha cominciato a pregare con le mani aggrappate al cancello di ferro. Pregava e piangeva. Così è rimasto tutta
la notte. Quest’uomo lottava con
Dio. Lottava proprio con Dio per
la guarigione della sua fanciulla.
Poi alle sei di mattina è andato al
terminal e ha preso il bus. È arrivato all’ospedale alle nove, più o meno. Ha trovato la moglie che piangeva e ha pensato al peggio: cosa è
successo? Non capisco. Cosa è successo? Sono venuti i dottori, gli ha
risposto la moglie, e mi hanno detto che la febbre è scomparsa, respira bene, non c’è niente... La terranno ancora solo due giorni. Ma non
capiscono quello che è successo. E
questo — ha commentato il Papa —
succede ancora. I miracoli ci sono.
Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle
preghiere per cortesia: Ah, io pregherò per te! Poi un Pater Noster,
un’Ave Maria e mi dimentico. No!
Ci vuole una preghiera coraggiosa,
come quella di Abramo che lottava
con il Signore per salvare la città;
come quella di Mosè che pregava
con le mani in alto e si stancava
pregando il Signore; come quella di
tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega».
La preghiera fa miracoli, «ma —
ha concluso Papa Francesco — dobbiamo crederlo. Io penso che noi
possiamo fare una bella preghiera,
non una preghiera per cortesia, ma
una preghiera con il cuore, e dirgli
oggi per tutta la giornata: Credo
Signore! Aiuta la mia incredulità.
Tutti noi abbiamo nel cuore qualcosa di incredulità. Diciamo al Signore: Credo, credo! Tu puoi! Aiuta la
mia incredulità. E quando ci chiedono di pregare per tanta gente che
soffre nelle guerre, nelle loro condizioni di rifugiati, in tutti questi
drammi preghiamo, ma con il cuore, e diciamo: Signore, fallo. Credo,
Signore. Ma aiuta la mia incredulità».
Tra i presenti alla messa, un
gruppo di dipendenti della Radio
Vaticana, guidati dal direttore padre Federico Lombardi, e i dipendenti dell’Ufficio sistemi informatici
del Governatorato.
lunedì-martedì 20-21 maggio 2013
Perfezione infranta
Una giornata di studio ripercorre la storia del restauro del capolavoro
di ANTONIO PAOLUCCI
Di fronte alla Pietà di San Pietro
che Michelangelo firmò nel 1499 a
ventiquattro anni, la prima impressione, fulmineamente esatta, è quella
registrata da Giorgio Vasari nella
prima edizione delle Vite (1550). «È
un miracolo che un sasso, da principio senza forma nessuna, si sia mai
ridotto a quella perfezione che la
natura a fatica suol formare nella
carne». Lo stupore di Giorgio Vasari
ta, lucente. Ammiriamo lo splendore
degli incarnati, il prodigio dei panneggi trattati con infinita perizia e
pensiamo, come l’autore delle Vite,
che oltre, nell’arte dello scolpire, è
impossibile andare. Noi siamo costretti a riconoscere — con il Vasari
— che se l’arte è la metamorfosi che
trasforma un sasso in mimesi del vero e in visibile immagine dell’idea,
questa scultura è un miracolo nel
senso letterale della parola, nel senso cioè di cosa mai vista prima, di
Nel volto della Madonna appare
totale, le parti lesionate del volto
della Vergine. In questo modo il in tutta la sua evidenza l’idea di
trauma del 1972 non ha offuscato «il “bellezza spirituale” perseguita da
levigato e lunare pallore di quella Michelangelo. Vista di fronte Maria
ci appare grave e pensosa; la sua
testa inobliabile» (Brandi 1994).
In qualsiasi altra scultura la visibi- giovinezza sembra senza età, è antilità della lesione, ancorché dolorosa, ca come il mondo. Vista di profilo,
sarebbe stata tollerata. Non nella la Vergine tradisce un’ombrosa timiPietà Vaticana perché la finitezza dezza di bambina chiamata a conformale — il “miracolo” tanto ammi- templare un mistero più grande di
rato da Giorgio Vasari — è il caratte- Lei.
Solo negli affreschi del Beato Anre distintivo di quest’opera, è la ragelico nel San Marco di Firenze (afgione principale del suo fascino.
Il volto della Vergine è quello di freschi che certo Michelangelo vide
una donna assai giovane, quasi una e ammirò) troviamo rappresentaziobambina, certo assai più giovane ni della Vergine così profondamente
dell’uomo che tiene sulle ginocchia spirituali e al tempo stesso così vere;
e che pure è suo figlio. A chi gli fa- vere nel senso di una pura commoceva notare l’incongruenza (come vente semplicità, a tutti comprensipoteva essere che il Cristo apparisse bile. Non è certo un caso se la Pietà
più vecchio della madre?) Michelan- di San Pietro, al pari dell’Annunciata
gelo rispondeva — la testimonianza del Beato Angelico, ha attraversato i
è ancora del Vasari — che giovinezza secoli affermandosi come figura base
è specchio e figura di verginità e che della devozione popolare, ancora
nel dare a Maria l’immagine di una oggi molto diffusa e molto amata.
fanciulla adolescente, egli voleva
A questo punto è necessario chiesottolineare l’incontaminata purezza dersi come si colloca nel percorso di
della Madre di Dio.
Michelangelo quel miracolo di “artiLa giustificazione teologica della ficio” e di “grazia” (per usare gli aticonografia
inusuale
(di norma nell’arte sacra d’occidente Maria
ai piedi della croce o
in contemplazione del
Cristo morto ha sem«La Pietà di San Pietro. In memoria del 21
pre le sembianze di
maggio 1972. Storia di un restauro» è il titolo
donna attempata) è
della giornata di studio che si svolge martedì
del tutto convincente.
21 maggio nei Musei Vaticani. Il direttore dei
Essa è, del resto, la
Musei ha anticipato al nostro giornale parte
traduzione in figura
della sua relazione introduttiva. Durante
dei celebri versi di
la giornata viene riproposto il filmato
Dante che MichelanLa violenza e la Pietà realizzato da Brando
gelo conosceva bene:
Giordani all’indomani del folle gesto
«Vergine Madre, figlia
vandalico del 1972 mentre una serie di
del tuo figlio, umile
relazioni ripercorreranno la storia e i dettagli
ed alta più che creatura» (Paradiso, XXXIII,
di uno dei più importanti interventi
1-2).
di restauro nella storia dell’arte.
Questo per dire che
I lavori pomeridiani saranno introdotti
un’altissima riflessione
dal cardinale Angelo Comastri,
religiosa vive nel volto
presidente della Fabbrica di San Pietro.
della Vergine. È un
volto che deve essere
vero: l’immagine di
una fanciulla supremamente bella tributi di cui la qualificano gli autori
che nessuno ha mai visto prima antichi) rappresentato dalla Pietà
d’ora ma che tuttavia sapremmo ri- Vaticana? Qual è l’universo culturale
conoscere se la incontrassimo; è un e stilistico dal quale la Pietà ha prevolto che deve sembrare eterno per- so forma? Quali i precedenti che la
ché la Madonna è una icona senza giustificano? Sono domande alle
tempo, ed è figura della Chiesa che quali non è facile rispondere perché,
vive ed è santa in virtù del Corpo di al primo impatto, la scultura di San
Cristo; è un volto che deve significa- Pietro in Vaticano, si presenta a noi
re, nella pensosa mestizia di una come un luminoso meteorite caduto
madre bambina concepita di Spirito da un altro mondo. Tale è la sua
Santo, il dolore di tutte le madri del perfezione formale, quell’effetto di
cosa mai vista prima descritto dal
mondo.
Il volto della Vergine nella Pietà Vasari, che verrebbe voglia di dire
di San Pietro è quindi un esempio che la Pietà si spiega solo con se
di bellezza spirituale. La mimesi del stessa. È una suggestione comprenVero (un Vero che idealizza e trasfi- sibile ma pericolosa dalla quale è
gura la Natura) diventa veicolo di necessario guardarsi. Perché nessuno
significati teologici profondi: l’Im- è fuori dalla storia, neanche Michemacolata concezione, il Verbo che si langelo. È dunque necessario collofa carne, il mistero della morte di care la Pietà nel suo tempo, cercanDio, Maria-Chiesa testimone e cu- do di capire le ragioni storiche che
stode del Corpus Domini.
hanno portato a questo risultato.
Ai Musei Vaticani
Il 25 marzo 1973, dopo l’Angelus per la solennità dell’Annunciazione
Paolo VI fece un atto di devozione alla Vergine sostando davanti alla «Pietà» appena restaurata:
«Come — disse il Papa — è stato riparato con espertissima cura il folle oltraggio a questo
capolavoro dell’arte, così auspichiamo che sia restaurata negli animi degli uomini del nostro tempo
la figura ideale di Maria, capolavoro della grazia»
è lo stesso che, più di cinque secoli
dopo, provano le migliaia di turisti
che ogni giorno sfilano davanti a
quella scultura. Per noi, come per il
Vasari, la Pietà è un miracolo, un
miracolo di suprema bravura.
La scultura sta davanti ai nostri
occhi come un gioiello: pura, leviga-
Le notizie di Fides
viaggiano
sull’app «Missio»
Le notizie dell’agenzia Fides, organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie (Pom),
sono disponibili ora anche
sull’applicazione per smartphone
Missio. Realizzato in otto lingue
— inglese, spagnolo, italiano, tedesco, francese, portoghese, cinese e arabo — il nuovo servizio è
stato inaugurato da Papa Francesco il 17 maggio scorso, durante
l’udienza con i direttori nazionali
delle Pom e con il personale
dell’agenzia. Il Pontefice ha cliccato su un iPad, lanciando l’applicazione realizzata da padre
Andrew Small, degli oblati di
Maria Immacolata, direttore nazionale delle Pom negli Stati
Uniti. L’applicazione, che può essere scaricata gratuitamente su
iTunes App Store e Google Play,
contiene le notizie pubblicate sul
sito news.va, foto, filmati e omelie
del Papa, oltre a numerose informazioni sulla Chiesa nel mondo.
perfezione mai raggiunta in precedenza.
Credo che il primo a essere convinto di aver raggiunto un risultato
impareggiabile, almeno in termini di
finitezza formale, sia stato Michelangelo stesso, il quale per questo
volle firmare la Pietà. Volle firmarla,
scrive il Vasari, come «cosa nella
quale e soddisfatto e compiaciuto
s’era per se medesimo». Questa frase appare soltanto nella prima edizione delle Vite. Nella seconda
(1568) è sostituita da una notizia abbastanza banale e poco convincente
che vorrebbe giustificare l’apposizione della firma con la volontà di autenticare la paternità di un’opera
che qualcuno intendeva attribuire ad
altri. Io propendo per la prima versione. Sono parole che sigillano l’orgoglio e la consapevolezza di un miracolo giovanile. In quella firma la
fiduciosa acerbità del ventiquattrenne Michelangelo poteva compiacersi
soddisfatta.
Se il proprio della Pietà di San
Pietro è la sua intatta perfezione
(una suprema e luminosa finitezza
di pelle che non è un sovrappiù ma
un modo di esprimere l’idea intellettuale e spirituale) allora si capisce
perché l’atto vandalico del 1972,
quando uno psicopatico massacrò a
martellate la punta del naso e l’occhio sinistro della Vergine, sia stato
da tutti considerato una devastazione terribile. Si capisce anche perché
il restauro (contravvenendo per una
volta ai principi consacrati) abbia
puntato, riuscendoci felicemente, alla restituzione perfettamente mimetica dell’immagine violata.
I calchi esistenti hanno permesso
di restituire, con approssimazione
Il cardinale Baselios Cleemis Thottunkal
ha preso possesso del titolo
di San Gregorio VII al Gelsomino
Conferita dal cardinale Bertone a Santiago de Compostela
L’ordinazione episcopale di José Rodríguez Carballo
Ha percorso a piedi il tratto di strada che separa la basilica di San Giacomo il Maggiore dal convento di San Francesco, circondato da una folla di persone, amici, conoscenti, fedeli e molti confratelli dei frati minori
venuti da ogni parte della Galizia, della Spagna e dal resto dell’Europa.
È stata una gioiosa testimonianza di affetto quella ricevuta dall’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, al termine del rito
di ordinazione episcopale presieduto sabato pomeriggio, 19 maggio, a
Santiago de Compostela, dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di
Stato. Tra i presenti, anche numerosi fedeli di Santa María, la parrocchia
di Lodoselo, suo paese natale.
Proprio in occasione della celebrazione, monsignor Rodríguez Carballo ha rilasciato un’intervista al quotidiano spagnolo «Abc» — pubblicata
nel numero di sabato 18 maggio — nella quale ha rilanciato il valore della
vita consacrata. Senza la quale, ha affermato rispondendo alla domanda
del giornalista Enrique Beotas, la Chiesa «sarebbe una Chiesa senza cuore o senza uno dei suoi polmoni. La Chiesa ha bisogno della vita religiosa come la vita religiosa ha bisogno della Chiesa».
Quanto a Papa Francesco, il presule ne ha parlato come di «una persona semplice, affascinante e profonda, che va all’essenziale. È un pastore che, per utilizzare una sua espressione, “odora delle pecore”. Ci si sente sempre a proprio agio conversando con lui, questa è stata la mia recente esperienza nell’udienza concessami due giorni dopo la mia nomina,
e che conferma quanto vissuto dal 2004, quando ci siamo conosciuti».
Nel pomeriggio di domenica 19 maggio, il cardinale indiano Baselios
Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi, ha preso solennemente possesso del titolo di San Gregorio VII al
Gelsomino. Dopo il rituale bacio del crocifisso — portogli dal parroco
francescano Paolo Maiello sulla soglia della chiesa romana di via del
Cottolengo — il porporato ha presieduto la liturgia della Parola.
L’omelia è stata tenuta dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della
Congregazione per le Chiese Orientali, che ha partecipato insieme al vescovo di Mavelikara dei siro-malankaresi, Joshua Ignathios Kizhakkeveettil, e a sacerdoti e religiose della comunità indiana residente a Roma.
Ha letto la bolla monsignor Vincenzo Peroni, cerimoniere pontificio, che
ha diretto il rito.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 20-21 maggio 2013
pagina 7
Il seminario promosso a Istanbul dal Patriarcato ortodosso di Costantinopoli e Ccee
Per il cardinale Koch l’unità dei cristiani è necessaria all’integrazione continentale
Libertà religiosa
aspirazione fondamentale
L’Europa in crisi ha bisogno
di moneta spirituale
ISTANBUL, 20. «Tanto la Chiesa cattolica quanto le Chiese ortodosse
considerano la libertà religiosa come
un prezioso fondamento e una sacra
aspirazione della loro dottrina sociale e disciplina canonica»: è quanto
si sottolinea in un comunicato giunto al termine del seminario sulla libertà religiosa che il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha promosso a Istanbul, in collaborazione
con il Consiglio delle Conferenze
episcopali europee (Ccee). L’incontro, svoltosi dal 17 al 18 maggio, ha
avuto come sfondo la celebrazione
dei millesettecento anni dell’editto
di Milano, con il quale l’imperatore
Costantino concesse libertà a tutti i
culti.
Nel comunicato si richiamano in
particolare le parole che Papa Francesco ha voluto rivolgere al cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del
Ccee, in occasione dell’apertura del
seminario, in un messaggio indirizzato ai partecipanti attraverso il cardinale segretario di Stato, Tarcisio
Bertone. Il Pontefice ha voluto fra
l’altro esortare le autorità civili, alla
luce del decreto di Costantino, «a
rispettare ovunque il diritto dei credenti a vivere liberamente il proprio
culto e a esprimere pubblicamente
la loro fede». Al contempo, il Papa
ha anche invitato tutti i cittadini europei «a riconoscere il ruolo che il
cristianesimo ha avuto nel formare
la nostra cultura, e rimanere aperti
al contributo continuo che i credenti cristiani possono dare in questo
senso». Il comunicato riprende inoltre le parole del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, che ha ricordato come i diritti umani fondamentali
«comprendono i valori spirituali che
l’imperatore Costantino aveva seminato all’interno del governo e delle
strutture del suo impero, perché
aveva riconosciuto e previsto che
questo era l’unico modo di assicurare il progresso e preservare la pace».
Nel testo prodotto al termine
dell’incontro si passa poi alle relazioni tra Stato e Chiesa su questo
specifico tema. Al riguardo si ribadisce che «Stato e Chiesa sono distinti ma non scollegati fra loro» e
che «la reciproca indipendenza e
autonomia, nonché la cooperazione,
sono principi fondamentali delle loro relazioni». Lo Stato, prosegue il
comunicato, deve rispettare la libertà religiosa di tutti i credenti e delle
loro comunità nel promuovere un
ordine sociale basato sulla giustizia». Nei contesti poi «in cui una
religione specifica gode di una protezione di favore da parte dello Stato; la libertà religiosa delle minoranze deve essere garantita». Lo Stato,
si legge ancora, «non deve favorire
il proselitismo a favore di un credo
specifico, ma ha l’obbligo di tutelare il bene comune e l’armonia fra i
cittadini delle diverse religioni».
Il comunicato si conclude riaffermando il sostegno delle Chiese alla
Attesi oltre due milioni di partecipanti
I giovani si preparano
all’incontro
di Rio de Janeiro
La Croce dei giovani è arrivata ieri, domenica, a Icarai, in Brasile per una
celebrazione preparatoria della Giornata mondiale della Gioventù. La Croce e un icona della Vergine Maria hanno viaggiato lungo diciotto città del
Brasile, a partire da gennaio di quest’anno. A Rio de Janeiro, dove la
Giornata sarà celebrata alla presenza di Papa Francesco, si prevede, tra il
23 e il 28 luglio prossimi, l’affluenza di circa due milioni di giovani provenienti da tutto il mondo.
Convenzione per i diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966,
nella quale si afferma la responsabilità delle autorità pubbliche nei confronti del pubblico esercizio della libertà religiosa.
La Convenzione, è spiegato, definisce la stessa libertà religiosa includendovi anche «il diritto di ogni comunità di fede di gestire delle scuole confessionali, al fine di educare i
propri membri sulla base dei propri
valori e delle credenze religiose» e
la stessa tutela «si applica all’amministrazione di ogni Chiesa e comunità religiosa, all’estensione della
parità di diritti in materia di attività
di beneficenza e di assistenza sociale, così come alla garanzia di protezione per legge delle proprietà religiose».
In apertura del seminario il cardinale Erdő aveva sottolineato che nel
contesto storico attuale «sono ancora numerosi gli ambiti nei quali la
libertà religiosa deve essere ricordata
e difesa» e aveva aggiunto che
l’epoca attuale «possiede delle caratteristiche che rende particolarmente pressante interrogarci sul tema della libertà religiosa». I partecipanti all’incontro hanno anche
pregato per i due vescovi siriani di
Aleppo, rapiti quasi un mese fa: il
metropolita greco ortodosso Boulos
Yazigi e il metropolita siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna
Ibrahim.
VIENNA, 20. Il processo di riunificazione ecumenica può essere considerato come «il più ampio contributo
del cristianesimo attuale al futuro
politico dell’umanità, in particolare
del mondo occidentale»; la riconquistata unità delle Chiese cristiane
darebbe infatti un importante impulso al progetto di integrazione europea attualmente in crisi. Lo ha affermato — riporta Kathweb (Katholische Presseagentur Österreich) — il
cardinale Kurt Koch, presidente del
Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, intervenuto venerdì scorso alla giornata
conclusiva del dialogo di Pentecoste
sulla visione degli Stati Uniti d’Europa tenuto nel centro ecclesiale di
Schloss Seggau, in Austria. Nella
sua relazione sui fondamenti spirituali dell’Europa, il porporato ha
fra l’altro sottolineato che la secolarizzazione e la privatizzazione del
fatto religioso, che oggi caratterizzano l’Europa con sviluppi molto
preoccupanti per l’umanità, sono
«una conseguenza imprevista ma
tragica» dello scisma occidentale del
XVI secolo e delle relative sanguinose guerre di religione. Le lotte tra
cattolici e protestanti hanno fatto sì
che in Europa — ha spiegato Koch
secondo quanto si legge in una traduzione dell’articolo diffusa da
www.finesettimana.org — non si sia
tenuto conto delle differenze confessionali e soprattutto del cristianesimo nella costruzione della pace sociale.
In questo le Chiese sono state insieme colpevoli della precaria situazione della religione nella società
moderna. Secondo le parole del teologo cattolico tedesco Johann
Baptist Metz, si tratterebbe di una
«privatizzazione del cristianesimo
causata all’interno delle religioni
stesse» che non ha tenuto conto
della sua esigenza di avere efficacia
sociale.
Secondo il presidente del Pontificio consiglio, il movimento ecumenico, che vorrebbe rimuovere i contrasti che si frappongono all’unità
dei cristiani voluta da Cristo, ha
svolto la funzione di faro nel mare
dell’Europa insanguinata del ventesimo secolo. Anche il concilio Vaticano II ha visto la necessità di contribuire a ricostituire l’unità dei cristiani come uno dei suoi compiti
principali. Ma «solo se le Chiese
riescono a riconciliarsi» e sono disposte al pentimento e all’espiazione, possono operare in maniera credibile al mantenimento, alla promozione e al rinnovamento della pace
sociale. E proprio questo devono fare, «vivere e agire per l’unità degli
uomini», secondo quanto espresso
dal concilio, in un mondo così lacerato da divisioni, inimicizie e contrastanti interessi.
L’Europa, per il cardinale Koch,
ha bisogno di una “moneta di riferimento spirituale”. Anche se la nuova evangelizzazione dell’Europa nelle moderne condizioni di libertà
non porterà a una grande Chiesa
popolare ma piuttosto a una “Chiesa della diaspora”, lo Stato con una
visione del mondo neutrale ha comunque bisogno delle Chiese e delle comunità religiose per fondare e
difendere valori fondamentali. Ha
poi espresso la convinzione che il
vecchio continente non potrà esistere solo come comunità di interessi
economici: accanto all’euro è necessaria appunto una “moneta di riferimento spirituale”. Anche senza una
religiosità esplicita, l’essere umano
«crede». E citando Martin Lutero,
che definiva adoratore di Mammona
l’uomo che si fondava su denaro e
ricchezza, il porporato ha aggiunto:
«Chi riconosce l’esistenza di Dio, e
ritiene di dovergli rendere conto, è
prima di tutto difeso dal cadere in
quel crepuscolo degli dei che può
sempre tornare quando delle realtà
umane vengono messe al posto di
Dio e quindi divinizzate». Questo
avviene in molteplici casi e lo si vede chiaramente dal fatto che perfino
Nella prolusione del presidente della Cei all’assemblea generale
L’unica cosa seria da fare
ROMA, 20. «Pensare alla gente», senza «populismi inconcludenti e dannosi» è «l’unica cosa seria» che i
politici possono fare per l’Italia, in
un momento in cui il Paese si trova
nel «vortice dell’emergenza», tanto
che, soprattutto da parte chi non ha
più un lavoro, le «richieste di aiuto
si moltiplicano a dismisura» nelle
parrocchie, nei centri d’ascolto, nelle mense e nei centri di recupero gestiti dalla Chiesa. È quanto afferma
il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), Angelo Bagnasco, nella prolusione per
l’apertura a Roma dei lavori
dell’Assemblea generale, che si concluderà venerdì prossimo. Le vicende che di recente hanno segnato
l’Italia sul piano politico e istituzionale, secondo il presidente della
Cei, «devono fare riflettere e innescare un serio esame di coscienza»
che se deve essere generalizzato non
può però essere «assolutorio» soprattutto «se si portano responsabilità pubbliche», anche perché in
questi tempi, «ad alti livelli», accanto a «gesti e disponibilità esemplari» che devono ispirare tutti, si sono
anche viste «situazioni intricate e
personalismi che hanno assorbito
energie e tempo degni di ben altro
impiego, vista la mole e la complessità dei problemi che assillano famiglie, giovani e anziani». Ai vescovi
italiani, spiega il cardinale Bagnasco, «sta a cuore non una formula
specifica ma i princìpi che devono
ispirare la vita politica e più in generale il vivere sociale» e a questo
proposito si evidenzia «il segno triste e sconfortante» di un clima di
ostinata contrapposizione che, a
momenti alterni, si deve registrare
tanto a livello privato che pubbli-
co» mentre «dopo il responso delle
urne, i cittadini hanno il diritto che
quanti sono stati investiti di responsabilità e onore per servire il Paese,
pensino al Paese senza distrazioni,
tattiche o strategiche che siano».
Per il cardinale Bagnasco occorre
un «forte e deciso piano industriale» per uscire dalla crisi economica,
perché «se tutto rallenta» — si chiede il porporato — «fino a quando»
le «pesanti politiche fiscali potranno raccogliere risorse?». La preoccupazione è per le famiglie che,
«ancora una volta hanno dato prova
di sé» come presidio «non solo della vita» ma anche «della tenuta sociale ed economica del Paese».
Quella stessa famiglia che non può
essere «umiliata e indebolita» da
«rappresentazioni similari che in
modo felpato costituiscono un vulnus progressivo della sua identità».
Per il presidente della Cei è necessaria in Italia anche una «bonifica
culturale», al fine di discernere «le
categorie concettuali e morali che
descrivono o deformano l’alfabeto
dell’umano, con i suoi fondamentali
come la persona, la vita e l’amore,
la coppia e la famiglia, il matrimonio e la libertà educativa, la giustizia» e per affrontare fenomeni gravi
come quelli del gioco d’azzardo
«che divora giovani, anziani e famiglie» e la «ricorrente violenza sulle
donne». In quest’ottica, è necessaria
«una grande alleanza educativa»
che passa anche attraverso il riconoscimento del «diritto dei genitori di
educare i figli secondo le proprie
convinzioni», mentre sempre di più
«sono costretti a rinunciare sotto la
pressione della crisi e la persistente
latitanza dello Stato». La crisi, però
non deve far dimenticare «il fronte
delicatissimo e fondativo della vita
umana». La recente raccomandazione, ricorda il cardinale Bagnasco,
che la Corte dei diritti umani a
Strasburgo ha fatto circa il suicidio
assistito «è l’ulteriore prova del progetto di una società senza relazioni», dove ognuno, in definitiva, «è
solo»: «impedire il cancro della solitudine» è perciò «la prima e fondamentale risposta che la società
deve dare alla sofferenza dei suoi
membri».
le automobili vengono curate meglio delle persone morenti o dei
bambini non ancora nati: «Dove
Dio viene allontanato dalla vita sociale, è forte il pericolo che anche la
dignità umana venga calpestata», ha
ammonito Koch. Anche la religione
è una irrinunciabile risorsa per la
solidarietà, che nasce, ha detto citando il teologo cattolico austriaco
Paul
Zulehner,
«innanzitutto
nell’orbita della speranza della risurrezione».
Nel dibattito a conclusione
dell’incontro — riferisce Kathweb —
il cardinale ha parlato di paralleli
tra le discussioni sull’Europa e quelle sull’ecumenismo. Tutti si dichiarano a favore dell’Europa, o rispettivamente a favore dell’ecumenismo,
ma il disaccordo sorge poi nella
concretizzazione: in pratica «ci sono
tante idee di unità quante sono le
Chiese». Il presidente del Pontificio
Consiglio
per
la
Promozione
dell’Unità dei Cristiani ha aggiunto
che la politica europea deve diventare più “cattolica”, nel senso di tendente a una trasformazione universale, e di essere riconoscente per il
fatto che Papa Francesco proviene
dall’America latina, il che rende evidente che anche da un punto di vista ecclesiale l’Europa non è più
“l’ombelico del mondo” e che il futuro del cristianesimo sarà in America latina, in Africa, in Asia.