Labirinto Sensoriale (1)

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Labirinto Sensoriale (1)
“ IL LABIRINTO E’ UN EDIFICIO COSTRUITO ALLO SCOPO DI CONFONDERCI”
Il concetto di labirinto che ci confonde è nato da quando l’uomo non ne capì più lo scopo, affidandogli così un significato
misterioso ed inquietante…..L’etimologia è incerta, le forme varie, gli scopi,enigmi spesso indecifrabili. Eppure il labirinto
ha una forza di affascinazione quasi ipnotica che parla al profondo di ogni essere umano. Questo mito subliminale, che
ricorda con i suoi percorsi sinuosi e suscettibile di produrre smarrimento, il grembo, le viscere, la grande Madre Terra, la
morte e la vita, la resurrezione, il rinascere, o la rigenerazione che si ottiene nell’arrivare al centro di se stessi. Il vero
terrore non è quello di incontrare il Minotauro, ma quello di non avere la possibilità di incontralo…..(..se stessi..) è da
percorrere scalzi e/o ciechi e/o di notte, al crepuscolo nell’ora in cui la luce ed il buio si contendono le anime degli
uomini, le paure e le ansie vengono esorcizzate, assorbite dal labirinto che costringe a misurarsi con se stessi…ad ogni
passo una prova da superare.
“ Nel labirinto non ci si perde.
Nel labirinto ci si trova.
Nel labirinto non si incontra il Minotauro.
Nel labirinto si incontra se stessi …”
Il labirinto è un simbolo universale apparso in varie culture, in epoche diverse e in più luoghi: Perù, Egitto, India, Grecia
etc.
I primi esemplari risalgono a 3500 anni fa e avevano valore mitologico, erano realizzati su roccia, su tessuto o con sassi
sul terreno. In seguito furono costruiti labirinti a mosaico policromo e inseriti nei luoghi di culto o ripresentati nei parchi e
nei giardini.
Originariamente gli aspetti del mondo umano, materiale e spirituale, era spiegati attraverso i miti espressi in termini
archetipici: eroe, dea, messaggeri, ombre, demoni, angeli … Il mito più famoso che narra del labirinto è quello di Teseo,
eroe ateniese, uccisore del Minotauro, creatura con il corpo di uomo e la testa di toro, imprigionato nel labirinto di
Minosse a Creta e al quale il re cretese sacrificava i giovani ateniesi.
La natura realizzativa del labirinto ha permesso il suo perpetuarsi attraverso le ere. Più il labirinto è semplice, più il suo
disegno sembra inestricabile, ma quando se ne comprende il dipanarsi, allora si può riprodurre lo schema fedelmente
all’infinito.
Queste costruzioni appaiono formate da innumerevoli circonvoluzioni che hanno lo scopo di ingannare chi li percorre.
Sono composti da un’entrata, da sentieri tortuosi delineati da pareti e da un centro.Percorrere un labirinto, tanto con gli
occhi che con il dito se è disegnato in un Mandala, o percorrerlo a piedi se tracciato nel terreno, costituisce un esercizio
stimolante sia per il corpo che per lo spirito.Possiamo infatti considerare la vita stessa come un labirinto di cui l’uomo
deve possedere una mappa per raggiungere il suo centro.Il labirinto conduce all’interno di se stessi, verso una sorta di
santuario interiore e nascosto, nel quale si trova la parte più misteriosa della persona umana. Questo “tesoro” non può
essere raggiunto dalla coscienza altro che in seguito a lunghi giri, dove l’uomo deve esercitare sia le sue capacità
analitiche, sia la sua creatività, fino all’intuizione finale dove tutti si semplifica come per una illuminazione. E’ in questo
luogo segreto che si trova l’unità perduta dell’essere che si era dispersa.
L’arrivo al centro del labirinto, come al termine di una iniziazione, introduce in una dimora invisibile che gli artisti hanno
sempre lasciato nel mistero, o meglio che ciascuno poteva immaginare secondo il proprio intuito.Il labirinto diventa così
un luogo di scoperta e di crescita. Invita al viaggio per trovare un centro. Penetrarlo, accedervi, significa accettare di
perdersi per cercare di scoprirsi. Si tratta di un cammino iniziatico, di un viaggio simbolico in se, attraverso se e per se.
Esso si fonda sul concetto che l’uomo possiede dentro di sé il vero bene e il bello, che li ha dimenticati, ma che può ritrovarli.
Il labirinto sarebbe una combinazione dei due motivi della “spirale” e della “treccia” ed esprimerebbe la volontà di
rappresentare l’infinito sotto i due aspetti che esso riveste per l’immaginazione dell’uomo; cioè l’infinito perpetuamente in
divenire della spirale e l’infinito dell’eterno ritorno raffigurato dalla treccia. Più il viaggio è difficile, più gli ostacoli sono
numerosi e ardui, più l’adepto si trasforma e nel corso di questa iniziazione itinerante acquista un nuovo sé.
.
Vi sono due tipi di labirinti: uno sinistrorso che si svolge da destra a sinistra
Labirinto sinistrorso e l’altro destrorso con andamento da sinistra a destra.
Labirinto destrorso
I labirinti possono avere da tre a quindici circonvoluzioni.
Per creare il Mandala da percorrere inserite il labirinto in un quadrato inscritto nel cerchio, come nelle figure qui sotto. Il
mandala con il labirinto sinistrorso serve per preparare la mente a risolvere quesiti ove occorrano ragionamento e
logica.
Quello con il labirinto destrorso è utile da percorrere per fornire un aiuto alla mente per situazioni che richiedono una
buona dose di intuitività e creatività.
Il Mandala va disegnato a mano, colorato e percorso per qualche minuto con l’indice seguendo accuratamente il
tracciato.
1. Labirinto e riti di passaggio
L’immagine del labirinto solitamente ci riconduce ad un luogo in cui facilmente ci si può perdere.
Ciò che non sappiamo è che questa è un’immagine recente del labirinto.
L’immagine più archetipica, invece, è quella del labirinto come luogo in cui ci si perde e ci si ritrova : ci si perde come
bambini e ci si ritrova come adulti. Infatti in tutto il bacino del Mediterraneo, così come in molte altre parti dell’Europa, in
epoca preistorica il labirinto era, come hanno dimostratogli archeologi, il luogo principe dei riti di passaggio dall’età
infantile all’età adulta : luogo elettivo di rinascita psicologica
1.
3. Educazione sessuale e rito di passaggio
Cosa si dicevano gli iniziati e gli iniziandi nel momento della cerimonia?
Nelle società di cacciatori i segreti della caccia, in quella agricole quelli che potevano fare del giovane un buon
contadino; e per le ragazze le attese di ruolo connesse con il loro ingresso nella casa come buone madri e buone
custodi del focolare domestico.
Ma, a fianco di queste informazioni, ve n’erano certo altre più legate alla sessualità e quindi alla ridefinizione di quella
che era l’identità pre-pubere in quella che stava per diventare l’identità adulta .
Il labirinto era cioè il luogo della rivelazione dei misteri più profondi inerenti il mondo della produzione e della
riproduzione : misteri che, una volta rivelati, sancivano l’ingresso in una nuova dimensione sia del corpo che dell’anima
dell’iniziando, che veniva così in\segnato delle stigmate (spesso reali, oltre che simboliche : pensiamo alla circoncisione)
che attestavano la nuova appartenenza.
1.
4. La proposta di ripristino del labirinto
Deriva da questa riflessione la nostra proposta di ripristinare un labirinto a Montebelli, o meglio di adattarlo alle nostre
esigenze di veicolo sensoriale per esperienze di alta elevatura spirituale e fisica…
E’ chiaro che la reinvenzione del labirinto non adempie pienamente alle esigenze connesse al passaggio all’età adulta
( si intende evoluta) oggi, e perciò non esime gli adulti (e prima di tutto noi stessi ) da un ulteriore ripristino : quello di
riprendere su di sé le funzioni di sacerdoti del rito di passaggio in maniera autocosciente e conseguente. Può essere,
però, un provocatorio memento che ci obbliga all’impegno e ci conduce ad una riflessione su noi stessi.
Un luogo che abbia le forme di un contenitore uterino, avviluppante, “conchigliare”, all’interno del quale poter entrare da
soli, o al massimo in coppia o in piccolissimo gruppo; un luogo che permetta, sul piano della mimesi, di rappresentare
ironicamente ed iconicamente la cerimonia del passaggio, con tutta la trasmissione di misteri e di competenze .Un luogo
proprio del tutto simile al modello preistorico……un labirinto iniziatico.
Ciascuno di noi costruisce il proprio labirinto. Incontrando numerosi ostacoli nel corso della vita e tentando di superarli,
non facciamo altro che iniziare un percorso di crescita entrando e uscendo di continuo da labirinti quotidiani. Il
messaggio iniziatico del labirinto è presente in ogni istante del nostro vivere: l’iniziazione con il suo carico simbolico è la
chiave per comprendere questo tema, e vuol dire rinascere una volta raggiunta l’uscita, dopo aver superato una sorta di
simbolica morte temporanea. Ma, tra i molti interrogativi che possiamo porci, uno merita particolare attenzione: qual è
l’uscita del labirinto?
Scopriamo che questo mondo è, con il suo caos, il risultato di un processo mentale che viene da lontano, dal passato
remoto. Il centro di questo meccanismo è situato a Creta, nel secolo II a.C., nel Tempio di Cnosso, un luogo denso di
contenuti misterici. Pensando a Cnosso evochiamo subito il labirinto come forma simbolica perché rappresenta un vero
e proprio mito: è il labirinto onirico che si traduce in realtà perduta nei secoli e in archetipo dell’architettura intricata
creata dall’uomo. Come un sogno del passato, Cnosso è la conseguenza dell’inconscio umano che ragiona
“labirinticamente”. E, d’altra parte, il dedalo è una forma primaria della mente, un contenuto celebrale. Il labirinto è
“un’idea” che, solo in un secondo momento, prende forma estetica attraverso la materia: è il percorso dell’uomo che
insegue la conoscenza. Il dedalo è, dunque, la vita stessa.
Il mito greco del labirinto e del Minotauro di Cnosso si colloca tra la leggenda e l’allegoria, non è quindi un racconto
verosimile ma evoca comunque figure e situazioni elevabili a simboli carichi di significato. Non abbiamo a che fare con
una storia già conclusa ma con un simbolo che conserva ancor oggi la sua efficacia, cosa che influisce naturalmente
anche sulla nostra visione. C’è una connessione cruciale tra i miti arcaici e i simboli prodotti dall’inconscio: ciò consente
di identificare e di interpretare questi simboli in un contesto che conferisce loro prospettiva storica non meno che
significato psicologico. La mente inconscia dell’uomo moderno conserva tuttora quella capacità simboleggiatrice che un
tempo trovava espressione nelle credenze e nei rituali primitivi: e tale capacità svolge ancora un ruolo di vitale
importanza psichica. La tradizione ellenica narra che Pasifae moglie del sovrano di Creta Minasse si invaghì , istigata da
Poseidone, di un meraviglioso toro bianco e confessatolo a Dedalo, riuscì ad essere posseduta dal magnifico animale
accovacciandosi all’interno di una giovenca lignea, che il geniale forgiatore costruì per lei. Minasse, dopo che il frutto del
connubio nacque, il Minotauro, un essere mostruoso dal corpo d’uomo e dal capo taurino, per nascondere l’onta agli
abitanti dell’isola, commissionò al talentuoso artista la costruzione di un labirinto dove nessuno avrebbe potuto
raggiungerli e poi tornare. Dedalo, iniziato da Atene a tutte le invenzioni dell’arte e dell’industria, costruì un palazzo a
forma di labirinto: il labirinto di Crosso, che doveva essere un inestricabile susseguirsi di camere, corridoi, sale, finti
ingressi e finte porte, luogo dove perdersi e da cui fosse impossibile uscire. Il figlio di Minosse Androgeo , giunse ad
Atene per misurarsi con i giovani ateniesi nei giochi tauromachici, ma rimase ucciso dal toro di maratona. Il padre, pazzo
di dolore, si strappò la corona dalla fronte accusando gli ateniesi di quell’omicidio. La morte di Androgeo doveva portare
loro sfortuna e da lì in poi dovettero pagare un orribile tributo: ogni nove anni Minosse esigeva che mandassero a Creta
sette giovani fanciulli e sette vergini, in sacrificio al Minotauro. Teseo,figlio del sovrano di Atene, per sciogliere la sua città
dal sacrificio dei quattordici fanciulli di cui il Minotauro si cibava, si nascose fra loro per introdursi nel labirinto. Arrivato a
Creta rimase abbagliato dalla bellezza di Arianna, figlia di Minosse, che gli procurò l’espediente per entrare e uscire dalle
infinite vie abitate dal mostro. Teseo tramite un fuso, che lasciò all’entrata, riuscì a raggiungere il Minotauro, ucciderlo e
uscire seguendo il filo che aveva srotolato dietro di sé. Teseo prese la via del ritorno con Arianna che aveva promesso di
sposare dopo l’uccisione del mostro. Invece, l’abbandonò sull’isola di Naxos per lasciarla a Dioniso . Teseo proseguì in
direzione di Delo, dove ballò una danza che imitava le sinuosità del labirinto. Nella confusione , si dimenticò di cambiare
le vele nere con quelle bianche . Il padre Egeo vedendo quel segno di sventura si uccise gettandosi nel mare.
L’avventura del labirinto ha un significato di morte simbolica, un viaggio nel mondo degli inferi, un viaggio nell’aldilà. La
via verso l’interno simboleggia al tempo stesso anche la via verso il basso e l’uscita vittoriosa dal labirinto può essere
paragonata al riemergere dalla superficie del mare. Teseo penetra da solo nel labirinto, sostiene la lotta col Minotauro,
riesce anche a uscire dal labirinto mediante l’astuzia e la prudenza (filo di Arianna); superata questa prova diventa re e
fondatore di città.
Nel labirinto si nota una materializzazione pressoché perfetta del processo di iniziazione. Al centro del labirinto, l’
iniziando è solo con la sua realtà interiore, vi incontra se stesso, un principio divino, un Minotauro o qualsiasi altra cosa
possa essere rappresentata da un “centro”. In ogni caso con il centro si intendono anche il luogo e la possibilità di una
conoscenza così fondamentale da richiedere un mutamento di direzione radicale. Chi vuole tornare fuori dal labirinto,
deve fare dietrofront e ripercorrere i suoi passi. Un mutamento di direzione significa il massimo allontanamento possibile
dal proprio passato. L’inversione del moto al centro non significa perciò solo la rinuncia all’esistenza passata, ma anche
un nuovo inizio. Chi esce dal labirinto, ne esce non come il vecchio, ma come rinato in una nuova fase o piano
dell’esistenza. Al centro hanno luogo la morte e la rinascita. La via verso il centro del labirinto simboleggia la via verso il
mondo sotterraneo, dove il ritorno alla madre Terra è connesso con la speranza di una rinascita. Il dedalo sembra
assumere la forma di uno scambio simbolico in cui la morte e la vita sono lo sdoppiamento di una stessa realtà.
Il gioco del labirinto ha un significato rituale: serve a scongiurare – rappresentandola – la paura della morte, l’angoscia
dell’uomo di fronte alla nullificazione di tutte le cose. E’ un percorso in due tempi: l’entrata nel labirinto e il faccia a faccia
col mistero costituiscono la prima parte, in cui gli attori del gioco sperimentano la perdita di sé. Il ritorno alla luce
rappresenta una nuova nascita, attesta la continuità della vita, che di generazione in generazione rinnova se stessa. Il
“cuore” del labirinto assomiglia a un utero materno e il filo di Arianna ad un cordone ombelicale. Il Minotauro è un
embrione, un germoglio
nel ventre della madre: ombra inquietante di possibilità inespresse, con cui, ciascuno è
chiamato a confrontarsi.
Nella mitologia dunque ritroviamo il toro in veste di Minotauro, al centro del labirinto: il Minotauro è la versione negativa
del toro, suggestiva rappresentazione del male da sconfiggere per superare la prova, per raggiungere uno status
superiore, per procedere all’iniziazione. Il toro è al centro del dedalo e viene sacrificato: con il suo sangue genera vita e
prosperità e scaccia via il negativo temuto tanto nel passato quanto nel presente. Il toro rappresenta, forse, la nostra
stessa immagine al negativo, l’alter ego malefico di ciascuno di noi. Jung parla del Minotauro come dell’archetipo
dell’immagine materna divorante e del percorso dell’anima verso l’equilibrio del proprio sé: esso è nella maggior parte
dei casi espressione della brutalità, dell’istintualità irrazionale che non conosce morale , della violenza al di là del bene e
del male. Il labirinto permette, attraverso la nostra guida, Arianna, di ritornare a tale componente di noi stessi, di
prenderne atto, di rielaborarla per giungere ad un nuovo equilibrio. Noi stessi siamo artefici, cause efficienti della
costruzione del dedalo al fine di isolare in un serrato ambito le nostre soverchianti angosce. Il Minotauro sostituisce
allora l’angoscia libera originaria e allorchè la situazione diviene costrittiva, claustrale e il soggetto non ha possibilità di
fuga, la conseguenza può essere il panico. Infatti, per coloro che soffrono di attacchi di panico è fondamentale avere nel
loro percorso, fuori da casa , dei punti di riferimento familiari che creano come un filo conduttore rassicurante rispetto al
perdersi nel mondo.
Il labirinto può essere interpretato anche come il tentativo, vano, da parte di Minosse di mascherare le proprie
incoerenze, ipocrisie: il Minotauro è la rappresentazione antinomica del lato umano di Minosse, mistificato da quello
politico. Dentro il labirinto vive, metaforicamente, lo stesso Minosse, che non vuole rinunciare al sé alienato della sua vita
privata, nonché alla finzione di una vita pubblica irreprensibile. Il mito del Minotauro è il tentativo di celare il fallimento
della politica scissa dall’etica, e quindi è di fatto un mito istituzionalizzato. E’ la rappresentazione simbolica del definitivo
passaggio da una forma sociale comunitaria-primitiva a una chiaramente schiavistica. Minosse si rifiuta di sacrificarlo
perché antepone al sé collettivo il sé privato.L’uccisione del Minotauro non è che l’espressione di una impossibilità,
quella di poter continuare a celare ai cittadini del regno la dicotomia tra leggi giuste e società ingiusta. E’ la presa di
coscienza della debolezza intrinseca del potere, un colpo inferto alla sua apparente legalità e stabilità. Nell’intreccio del
mito Minosse non avrebbe mai potuto uccidere il Minotauro, perché sarebbe stato come uccidere se stesso, cioè la
coscienza alienata. Il Minotauro cerca di fuggire dal labirinto ma non può, perché il labirinto è diventata la sua seconda
casa, in cui può vivere la sua seconda natura.
Nel labirinto, nel rito iniziatico, non c’è puro amore e mera fratellanza, bensì alleanza e violenza. C’è sostanzialmente
una struttura negativa da cui tutto discende. L’amore è il frutto proibito, al centro del dedalo, un episodio all’interno di una
complessiva impalcatura che comunica violenza. L’amore è la rosa tanto agognata dall’uomo, l’irraggiungibile bellezza a
cui il genere umano mira per riscattarsi. Così Arianna rappresenta molto di più di un’aiutante che dona un mezzo fatato
(il filo) a Teseo, per condurlo sano e salvo all’uscita del labirinto. Arianna è la rosa del labirinto, l’amore stesso. L’uomo,
immerso nella violenza, sempre la cerca, la vuole. Arianna è l’eterno segreto della vita, fonte indispensabile che
allontana i fantasmi e le paure.
Una linea dunque unisce vari aspetti del labirinto e su di essa viaggiano i frammenti principali della concettualizzazione
sul dedalo: il rito e il culto, la danza rituale, il sacrificio e l’iniziazione, l’amore e l’uscita dal labirinto. In tutte le civiltà il
labirinto sta a rappresentare in una guisa contorta e confusa il mondo della coscienza patriarcale; esso può essere
penetrato solo da coloro che siano preparati a ricevere una speciale iniziazione al mondo misterioso dell’inconscio
collettivo. In particolare, la via della conoscenza interiore proposta dal simbolo del labirinto ha rappresentato lo
spostamento di Creta dalla cultura matrilineare a quella patriarcale.
Dopo aver superato questa prova rischiosa, Teseo porta in salvo Arianna, una fanciulla in pericolo. Questo salvataggio
simboleggia la liberazione della figura dell’Anima dall’aspetto divorante dell’immagine materna. Finché essa non si è
realizzata l’uomo è incapace di entrare positivamente in rapporto con le altre donne.
L’esperienza del labirinto ci propone un processo di iniziazione che ci conduce verso il Centro, dove siamo soli di fronte
alla nostra realtà interiore per prenderne coscienza. Qui ci possiamo perdere , perché il labirinto è luogo di
mascheramenti e d’intransitabili nostalgie. Dove la maschera è l’ennesimo, inesorabile, travestimento dello stesso nulla,
dello stesso vuoto, insondabile presenza e lontananza del mistero.
L’ARCHETIPO DEL LABIRINTO NELL’ARTE CONTEMPORANEA
L’emblema del labirinto è un tema che accompagna da sempre la storia dell’uomo, apparso in varie culture, epoche e
luoghi della terra: un simbolo antichissimo che si manifesta attraverso una millenaria tradizione figurativa.
Sin dall’epoca in cui è nata la saga legata ai miti di Dedalo, di Teseo, di Arianna e del Minotauro nella leggendaria Creta
del re Minosse, questa immagine è stata fonte di numerosissime citazioni letterarie e poetiche, nonché protagonista di
una vastissima iconografia che, iniziando dal periodo preistorico (dal Neolitico), giunge fino al mondo contemporaneo.
La storia del labirinto è testimone di una notorietà che non è certamente dovuta al caso. In effetti, la forza primigenia
profondamente radicata in sé ha permesso a questo segno iconografico di significare un’idea archetipica universale e
assoluta. Il labirinto evidenzia cioè, nella sua stessa forma figurale, quell’itinerario mentale che ha accompagnato l’uomo
nella storia e nel suo tortuoso cammino di conoscenza.
Il labirinto contemporaneo altro non è che l’idea del labirinto come opera d’arte. L’artista abita di diritto la realtà del
linguaggio; egli è il solo a possedere l’astuzia e la tecnica necessarie per attraversare e sfidare tutti i suoi percorsi.
Questo impegno è assunto dall’artista e viene praticato continuamente nel corso dell’opera al fine di giungere al centro,
di accedere all’ambiguità dell’inconscio. Così come Teseo , munito della spada, del gomitolo, del filo, nonché del proprio
coraggio, percorre i meandri del labirinto, uccide la bestia, portatrice di una doppia natura e infine riemerge alla luce.
Nel labirinto l’artista non ha bisogno dello sguardo del mondo, l’oscurità non è più assenza di luce bensì qualcosa di più
tangibile, quasi palpabile, è una continua sperimentazione, è consapevolezza, disvelamento, è insomma la “verità
irresistibile” dell’arte. In questa condizione, l’opera che l’artista contemporaneo crea è essa stessa un labirinto e, per
analogia, costituisce l’irrazionale della ragione, lo scarto che mette a nudo la verità delle cose.
L’arte contemporanea vive dunque tutta sotto il segno del labirinto: essa, più che dare delle risposte propone delle
domande, opera sulla verità, non si abbandona al tempo ma lo precede. L’arte pratica il labirinto, sentito come governato
da un’erranza assoluta, un nomadismo che l’artista assume come modalità. . L’arte destruttura la sua mentalità
tradizionale per accedere al mito, fonda un territorio magico, il luogo della totalità, diventa lo strumento che consente di
aprire il reale verso relazioni inedite ed imprevedibili. I grandi cambiamenti culturali avvenuti all’inizio del ‘900 hanno
prodotto un totale capovolgimento del punto di vista da cui osservare il mondo e le esperienze che lo abitano. Cadute le
ultime certezze si rivela sempre più insufficiente una visione della realtà limitata agli aspetti fenomenici, ma si aprono
nuovi labirinti ben più confusi e intricati. Il che implicherà, per questa ragione, una ristrutturazione del linguaggio pittorico,
che passa attraverso lo sconvolgimento della visione naturalistica della realtà. All’ordine che aveva caratterizzato fino a
quel momento la ragione occidentale, si sostituisce un disordine labirintico che si rivelerà estremamente stimolante e
fecondo dal punto di vista artistico: Balla, Mondrian,Klee, Manritte, De Chirico, Ricasso sono gli artisti che hanno calcato
le scene in quel periodo. In particolare Picasso, si è concentrato sulla simbologia del Minotauro rappresentandone la
duplicità, attraverso elementi pittorici riferiti sia all’aggressività, sia alla tenerezza.
LA LETTERATURA DEL LABIRINTO
1.
MINOTAURUS: GLI SPECCHI DEL LABIRINTO DI DURRENMATT
Durrenmatt riporta il dedalo alla sua dimensione letteraria. È un labirinto di specchi nel quale il feroce Minotauro diviene
una vittima, innocente, inconsapevole della sua essenza malefica e terribile. Durrenmatt immagina il labirinto come
un’immane foresta di specchi, in cui la creatura misteriosa vede moltiplicata all’infinito la propria immagine riflessa. Una
folla d’immagini, di doppi speculari, circonda il Minotauro: ma egli è solo. E il suo problema è quello di uscire fuori da
questa presa del doppio, per incontrare l’altro, “non soltanto un Io, ma anche un Tu”.
Minotauro è l’assassino buono, omicida solamente perché ignora il mondo, rinchiuso nel suo universo di specchi. La sua
immagine è riflessa infinite volte. Visioni diverse si affacciano inaspettate e lo guardano: moltiplicazioni del suo volto.
Viene ucciso dalla sua stessa immagine, il Minotauro. Teseo (con il volto coperto da una maschera, la finzione)
sconfigge il negativo, il Minotauro, indossando una testa di toro. Finge e vince la sua battaglia contro il labirinto. Il toro è
un dannato, suo malgrado. Simbolo perenne del male, il Minotauro è in realtà innocente, ma carcerato. Figlio del
peccato contro gli dèi è l’affronto supremo. Non ha colpa per la sua esistenza: vive e basta nel labirinto. L’essere vede il
suo volto, decine e decine di volte, danza e comprende che gli altri esseri danzano come lui. L’estetica del frammento di
vetro appare svelata. Un intrigo di riflessi uguali, moltiplicazione di spazio identico nel labirinto. Sembra di assistere a
una lotta tra l’essere e se stesso, come se ciascuno di noi fosse al centro di un ambiente fatto di immagini diverse e
uguali al tempo stesso. Solo una tra queste icone è vera, le altre sono riflesse fin dove l’occhio può vedere. Gli specchi
sono, nel racconto di Durrenmatt, frammenti labirintici inseriti a loro volta nel grande intrigo di Cnosso. Si tratta di una
lotta: una battaglia di Teseo per riconquistare l’uscita. Ma l’uomo lotta contro le sue chimere e le chimere combattono
contro se stesse. Il Minotauro è sconfitto da se stesso, un eroe cattivo, nella mitologia. Una creatura buona, in
Durrenmatt. Questo rende il suo racconto eterno e necessario per descrivere qualsiasi labirinto.
Dunque l’uomo trova, in qualche stanza della sua vita, un Minotauro da sconfiggere. Le chimere ingannano come il
labirinto di specchi: l’immagine riflessa confonde. Ma l’uomo è dotato dell’”astuzia di Ulisse” e distingue la propria
immagine da quella riflessa. L’uomo deve riconoscere le proprie chimere, prima o poi, per ucciderle nella mente.
Cnosso e il Minotauro sono metafore per comprendere la psiche archetipica di ciascuno di noi, una sorta di conoscenza
inconscia che genera immagini oniriche e successivamente reali, rendendoci schiavi della visione labirintica del mondo.
1.
IL VIAGGIO MODERNO NEL DEDALO: LA SFIDA AL LABIRINTO DI ITALO CALVINO
Italo Calvino individua nel labirinto la figura-principe della contemporaneità che si presenta come magma informe e privo
di significato. Ebbene, per Calvino si tratta di entrare nel labirinto, cioè di essere all’altezza della problematicità e della
complessità dell’oggi, ma nello stesso tempo di non restare prigionieri del suo fascino, di sforzarsi di conoscerlo e di
uscirne. È questa la Sfida al labirinto dei nostri giorni. La centralità del tema del labirinto deriva dalla complessità del
mondo contemporaneo e dall’impossibilità dell’uomo di acquisire tutte le conoscenze per comprenderlo e per
padroneggiarlo; e anche dalla percezione crescente della insignificanza della vita e della incapacità di orientarne il corso
secondo principi e valori. Di qui la tendenza che Calvino chiama di “resa al labirinto”: il fascino del labirinto può trionfare
in noi e indurci a compiacerci (non senza esisti irrazionalistici o mistici) della stessa insignificanza e dell’ oscurità in cui
viviamo e a rappresentarle come orizzonte unico e necessario dell’esistenza umana. Se è sbagliato sia far finta che il
labirinto non esista, sia fornire a esso risposte riduttive e semplificanti, è sbagliata anche la “resa al labirinto”. Insomma
bisogna vivere sino in fondo la condizione di problematicità e contraddittorietà del presente senza chiudersi in facili
formule che si limitano a esorcizzare il labirinto senza farci davvero i conti; e nondimeno, nello stesso tempo, pur
consapevoli dei limiti dell’uomo in generale e delle nostre conoscenze in particolare, non ci si può sottrarre alla
responsabilità della ragione giudicante e di una valutazione del mondo in termini storici e morali.
Per Calvino resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alle loro difficoltà ed è vero inoltre che la letteratura
non può fornire la chiave per uscire dal labirinto. La letteratura, prosegue Calvino, può solamente definire
l’atteggiamento migliore per trovare la via d’uscita, anche se questa via d’uscita non sarà altro che il passaggio da un
labirinto all’altro. Ecco quindi il senso della Sfida al labirinto, la sfida al sistema, condotta con le regole della
partecipazione, dell’accettazione di una simile condizione esistenziale. La letteratura e la passione indescrivibile che
talvolta suscita è il mezzo, la mappa per affrontare quel labirinto che è la realtà che ci circonda.
1.
LA MALEDIZIONE DEL LABIRINTO, OVVERO L’UNIVERSO COME BIBLIOTECA IN J.L. BORGES E IL
TEMPO NEL GIARDINO DEI SENTIERI CHE SI BIFORCANO
Il mondo di Borges è dominato da biblioteche infinite, le interminabili scaffalature di Babele, in cui sono custoditi tutti i
libri scritti e non scritti, i libri del passato e quelli del futuro: borgesiano significa «mondo di carta». Ma borgesiani sono
anche gli specchi che moltiplicano la realtà. E borgesiani sono i labirinti accentrati, spazi in cui ci si sperde senza
possibilità di uscita. Antico e nuovo sussistono in Borges, divengono la forma e il contenuto della sua opera, si fondono
in questa,
si trasformano nella sua arte. In un’arte singolare perché capace di perdersi nel “labirinto” delle irrealtà e
ritrovarsi vera, reale. Non solo ciò che esiste ma anche ciò che non esiste, non si vede, non si tocca acquista, con
Borges, diritto di essere ed agire. E’ questo il “labirinto” nel quale si muove il moderno uomo di Borges: è il vortice dei
suoi pensieri, il dramma che gli è derivato dalla constatazione della precarietà di ogni azione, della vanità di ogni
decisione, della fragilità di ogni vita, dell’impossibilità di ogni sostegno o riferimento e, quindi, di ogni liberazione da tale
stato.
Non solo il presente e il passato ma anche il futuro risulta privato, nella scrittura di Borges, di speranze o aspirazioni
poiché anche queste vengono sacrificate all’interminabile e inarrestabile espansione di quel “labirinto” nel quale l’uomo e
lo scrittore si sono avventurati e ne hanno constatato l’infinità.
La semplicità della finzione di Borges riporta a un mondo immaginario del passato, un universo-biblioteca, un labirinto
infinito: è un macrocosmo inventato in cui l’uomo (“questo imperfetto bibliotecario”) vive nelle gallerie esagonali del
labirinto. La biblioteca presenta così una struttura essenzialmente labirintica, metafora globale di un mondo come libro e
come labirinto di cui è impregnata la cultura moderna. La metafora della Biblioteca è utilizzata non soltanto per
rappresentare l’Universo, ma anche per delineare i rapporti tra finitezza e immortalità, contingenza e necessarietà; tra
uomo e Dio.
La biblioteca si presenta in un ordine geometrico, perfetto e disumano, che in realtà nasconde il caos e l’insensatezza (e
infatti rinvia, già nel nome, alla confusione delle lingue della biblica torre di Babele). Il mondo è un insieme di segni
apparentemente ordinati e in realtà indecifrabili. La biblioteca, perfettamente ordinata e razionale, è destinata a oggetti
insensati. Così l’ordine del cosmo, con le sue leggi fisiche maschera l’assurdo. L’uomo che abita questo universo è solo
un “imperfetto bibliotecario” che cerca invano di dare un’organizzazione e un significato a ciò che vede e cataloga. Si
chiarisce così il motivo di fondo della ricerca di Borges: quella del senso della vita e della sua scommessa, sempre
tentata e mai vinta.
Così tra i corridoi della Biblioteca di Babele si sviluppa un labirinto che in Borges assume un’illusorietà più marcata.
L’obiettivo è quello di affrontare un labirinto tangibile, presente alla luce di categorie o possibilità di lettura e di critica di
cui la letteratura è abile ed originale portatrice. Una capacità critica che dovrebbe accompagnare chiunque da un
labirinto ad un altro, da un esagono all’altro di quell’immensa biblioteca che è il vivibile.
Ma la struttura simbolica che regge il sistema mitico è sicuramente il Tempo: esso ha un percorso denso di strade di cui
difficilmente si può carpirne il centro o il principio o la fine, la sua uscita. È un universo immaginifico fatto di simboli e di
archetipi che lascia la libertà di immaginare l’inesistente (perché non visibile adesso) monumento-labirinto della
Biblioteca borgesiana come vogliamo. Il tempo è bloccato: il passato e il futuro si confondono, le vie temporali si
moltiplicano con i sentieri che si biforcano. Il tempo e lo spazio sono labirintici, e le loro strade si ramificano, intricate.
Nel racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano” Borges sostiene che la nostra esistenza individuale è solo una
delle innumerevoli esistenze che potrebbero venirsi a determinare se, in alcune circostanze, gli eventi si svolgessero in
un modo anziché in un altro. La realtà effettiva è solo un filo nella sconfinata ragnatela delle infinite possibili realtà. Il
concetto di tempo è reso con una metafora, quella di un giardino in cui ogni sentiero (evento) si dirama in un altro e
questo in un altro ancora, senza che lo spettatore del primo evento riesca a trovarne lo sbocco definitivo e, soprattutto, a
tornare indietro sino al momento in cui esso ebbe luogo. Dunque un labirinto senza via d’uscita. L’idea centrale del
racconto è dunque un tempo plurimo e ramificato in cui ogni presente si biforca in due futuri, in modo da formare una
rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Una tale concezione del tempo è cara a Borges
perché è quella che regna nella letteratura, anzi è la condizione che rende la letteratura possibile.
1.
NEL LABIRINTO DEL SAPERE: IL NOME DELLA ROSA DI UMBERTO ECO
Le biblioteche fanno parte del nostro immaginario collettivo, che per secoli si è nutrito, forse più che della frequentazione
di questo luogo, spesso poco accessibile, delle descrizioni che di esse si trovano nei libri.
Nel Nome della rosa l’azione si svolge prevalentemente nella grande biblioteca del monastero: un labirinto di scienze
universali, descritto come La biblioteca di Babele di J.L. Borges. Dunque nel romanzo il labirinto è la biblioteca del
monastero, luogo centrale e disorientante, che custodisce il sapere e insieme i segreti e i misteri, riservato solo agli
addetti e agli esperti, che solo la sagacia e l’acutezza riuscirà a percorrere e comprendere.
La biblioteca non interessa tanto come luogo fisico, quanto come proiezione ideale di un’idea estetica o di uno spunto
filosofico. Da Borges a Eco, su tutti aleggia il minaccioso archetipo della “Biblioteca Universale” e l’angoscia
antropologica di un confronto perso in partenza.
L’opera ha chiaramente un valore simbolico ed allegorico, ambiti cari ad Eco: la biblioteca è simbolo da un lato del
fascino della cultura, dall’altro dell’enorme pericolosità in essa insita a causa del “peccato d’intelletto”, tratto tipico della
mentalità medioevale. ( * )
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita. 3
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura! 6
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte. 9
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai. 12
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto, 15
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Prendere contatto /immaginare il proprio labirinto interiore attraverso il disegno: è un lavoro in silenzio, in
solitudine, alla ricerca di un percorso consapevole tra difficoltà, vicoli ciechi e vie d’ uscita .
” Questa è la mia vita, il mio labirinto è l’ immagine di come la sto costruendo “, potrebbe essere la frase che
descrive un tema comune.
Dopo una breve pausa, la performance prevede la condivisione con un altro partecipante e la COcostruzione di un nuovo labirinto , un labirinto a due autori , nello stesso spazio grafico
“E questa è la nostra storia, la storia della nostra collaborazione, la storia del nostro contatto, la storia di una
mia particolare difficoltà/facilità di contatto, in questo momento” :è il tema intimo della seconda parte.
Ad Andretta non lo abbiamo eseguito, a causa dei ritardi.
Il secondo tempo si svolge e si è svolto in notturna : dopo il disegno che solletica intimità e fantasia, i
partecipanti vengono chiamati a confrontarsi con un labirinto concreto, nello spazio.
L’ impegno è lieve e grave nello stesso tempo.
Si procede a coppie con una privazione sensoriale : uno dei due partecipanti viene obbligato a bendarsi gli
occhi; l’ altro viene caldamente consigliato di bendarsi la bocca : abbandonare per poco tempo lo strumento
visivo, trasforma in labirinto qualsiasi campo d’ azione.
E’ una rinuncia che può generare divertimento, sperimentazione, ma anche angoscia, richiamo a situazioni
non risolte…là inizia il lavoro terapeutico e di consapevolezza.
L’ altra persona , nella coppia, ha il compito di non parlare, di affidarsi solo al linguaggio dei gesti per
comunicare con l’ altro e guidarlo: solo apparentemente ha un compito più facile, perché dalla propria
capacità di comunicare dipende la fiducia e la tranquillità dell’ altro, il non vedente
FABRIZIO CIANCALEONI