Anno 2011 - Provincia Romana Fatebenefratelli
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Anno 2011 - Provincia Romana Fatebenefratelli
POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 2 - DCB ROMA VITAOSPEDALIERA Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana ANNO LXVI - N° 6 GIUGNO 2011 Se vuoi indicare A.F.Ma.L. (Associazione con i Fatebenefratelli per i Malati Lontani) come associazione che beneficerà del tuo 5 per mille metti nel primo settore il nostro codice fiscale e la tua firma. www.afmal.org EDITORIALE S O M M A R I O RUBRICHE 4 La sollecitudine di Gesù per i malati 5 Problemi etici e bioetici nellʼuso del Placebo 6 A proposito di arte 7 Lʼacqua è un bene di tutti 8 Unʼautentica enciclopedia medica in un rotolo di 20 metri XII - Il “papiro di Ebers” (1550 a.C., medicina dellʼAntico Egitto) 9 Stare insieme con de…coro Frenulo linguale corto 10 11-14 15 Schegge Giandidiane N. 24a Lʼarduo inizio dei primi frati a Manila Perché san Giovanni di Dio è invocato dai morenti 16 Ricerca italiana: scoperta una molecola inibente i vasi tumorali 17 Shaken baby syndrome DA L L E N O S T R E C A S E 18 Testimonianze oggi del carisma di san Giovanni di Dio 19 Cardiologia Nuove strategie diagnostiche e terapeutiche 20 Associazione GERMOGLIARE ONLUS 21 Madonna del Buon Consiglio: Madre spirituale e consigliera 22 Via Crucis vivente in Ospedale 23 Newsletter VITA OSPEDALIERA Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana A N N O LXVI Sped.abb.postale Gr. III-70%- Reg.Trib. Roma: n. 537/2000 del 13/12/2000 Via Cassia 600 - 00189 Roma Tel. 0633553570 - 0633554417 Fax 0633269794 - 0633253502 e-mail: [email protected] [email protected] Direttore responsabile: fra Angelico Bellino o.h. Redazione: Franco Piredda Collaboratori: Paolo Iavarone, fra Giuseppe Magliozzi o.h., Mariangela Roccu, Maria Pinto, Raffaele Sinno, Pier Angelo Iacobelli, Alfredo Salzano, Cettina Sorrenti, Simone Bocchetta, Fabio Liguori, Raffaele Villanacci Archivio fotografico: Fabio Fatello Orsini Segretaria di redazione: Marina Stizza, Katia Di Camillo Amministrazione: Cinzia Santinelli Grafica e impaginazione: Piero Monterotti Stampa: Fotolito Moggio Strada Galli s.n.c. - 00010 Villa Adriana - Tivoli (RM) Abbonamenti: Ordinario 15,00 Euro Sostenitore 26,00 Euro - c.c. postale n. 76697002 Finito di stampare: giugno 2011 In copertina: Trionfo di san Giovanni di Dio (olio su tela di Jean Jouvenet, eseguito per il nostro Ospedale di Parigi e datato 1691). CI VUOLE ANCHE PER NOI UNA MATTONATA? n tizio che, grazie a una promozione, s’era comprato la macchina nuova, stava guidando lungo un viale solitario, quando scorse un ragazzetto spuntare tra due auto in sosta. Per prudenza, rallentò un poco, ma quale fu la sua sorpresa nel vederlo lanciargli contro un mattone, che gli ammaccò lo sportello. Furioso, fermò di colpo, raggiunse il monello e lo bloccò contro una macchina urlandogli: “Brutto mascalzone, ma ti rendi conto del danno che mi hai fatto?”. Ma quello, piangendo, gli spiegò: “S’è rovesciata la carrozzella di mio fratello paralitico e io non ce la faccio a rimettercelo seduto. Ho fatto cenno alle macchine che passavano, ma nessuno s’è fermato. Ecco perché ho tirato il mattone…”. Ovviamente, l’ira sbollì di colpo e s’affrettò, senza più fiatare, a rimettere seduto in carrozzella il ragazzo paralitico. Poi se n’andò via pensoso e per gran tempo non volle riparare lo sportello, affinché gli ricordasse d’essere più attento a cogliere al primo accenno le richieste d’aiuto di chi era in difficoltà. Forse dovremmo chiederci se occorra anche per noi una mattonata per farci riflettere sul nostro comportamento abituale nei riguardi del prossimo. Se poi siamo cristiani, la fede ci dice che alla fine della nostra vita saremo giudicati proprio in base a quale fu, momento per momento, la nostra reazione dinanzi alle altrui necessità. Dio che è Amore e che ci ha creati a sua somiglianza affinché fossimo capaci di intuire la fiamma dell’Amore divino che avvolge anche noi, attende, infatti, la risposta del nostro cuore. Una risposta di gratitudine e di volontà di corrispondere non solo col calore del nostro affetto filiale, ma anche con l’impegno a donarGli qualcosa. C’era però il problema che teoricamente sarebbe stato impossibile donare qualcosa a Dio, che ha già tutto. La soluzione ce l’ha offerta il Figlio, che con la sua incarnazione si è reso solidale con l’intera umanità, formando un Corpo Mistico, di cui Gesù è il Capo e noi siamo le membra. Da allora, ogni volta che noi offriamo aiuto o anche solo un sorriso o un gesto d’attenzione a chiunque c’è accanto, Cristo lo considera offerto a Lui stesso, grazie allo straordinario legame vigente tra lui e ogni uomo a motivo del Corpo Mistico. L’instancabile amore, con cui san Giovanni di Dio seppe prendersi cura dei malati e di ogni bisognoso, nacque proprio come coerente frutto della sua profonda certezza della mistica presenza di Cristo in ogni sofferente, sicché aver cura dei fratelli era per lui il modo concreto di ricambiare l’immenso dono fattoci da Cristo col morire per noi in Croce e assicurarci la redenzione e il perdono dei nostri peccati. Un giorno il Santo ebbe una stupenda conferma di tale mistica presenza poiché, mentre stava lavando i piedi a un malato, questo in un fulgore di luce si trasformò in Cristo, che gli disse: “Giovanni, ogni volta che tu lavi i piedi a un malato, è a Me che li lavi!”. L’amorevole approccio di san Giovanni di Dio agli infermi gli valse, giusto 125 anni fa, che insieme a san Camillo de’ Lellis fosse proclamato da Leone XIII con Breve Apostolico del 22 giugno 1886 come Patrono universale dei malati e degli ospedali. U C H I E S A E S A LU T E LA SOLLECITUDINE DI GESÙ PER I MALATI Fra Elia Tripaldi o.h. utta l’azione pastorale della Chiesa, anche quella che viene svolta in ambito sanitario e socio-assistenziale affonda le sue radici nel Vangelo, sulle orme di Cristo, “buon pastore” che ha cura delle sue pecore e “medico” delle anime e dei corpi che ridona la salute e la salvezza a quanti gliela chiedono. Gesù è - secondo una felice espressione di Benedetto XVI all’Angelus del 12 febbraio, all’indomani della celebrazione della XVI Giornata Mondiale del Malato - “la mano di Dio tesa sull’umanità, perché possa uscirne dalle sabbie mobili della malattia e della morte”. T Scorrendo le pagine del Vangelo vediamo come la compassione di Gesù verso la sofferenza dell’uomo si manifesta facendosi avvicinare dai lebbrosi (cosa proibita ai suoi tempi!), dai peccatori e da tutti coloro che erano considerati “impuri” dai capi del popolo, dagli scribi e dai farisei. I miracoli di guarigione che egli compie, non sono soltanto la prova per credere alla sua dottrina, ma realtà che servono per indicare il “segreto messianico” - caro a Marco - di cui lui è il detentore. Il suo rapporto con i malati, oltre a essere quello di un evangelizzatore, della Parola stessa di Dio che si comunica alla persona, è lo stesso rapporto che il medico ha con il suo paziente: avvicinarlo, ascoltarlo, toccarlo per fargli sentire la sua vicinanza e la sua comprensione per il male che lo affligge. Significative sono le pagine del vangelo di Marco in cui l’evangelista descrive la “giornata tipo” di Gesù a Cafarnao il quale, dopo aver insegnato nella Sinagoga, guarisce la suocera di Pietro nella casa dell’apo- 4 stolo ed essa si mette a servire lui e i suoi discepoli (1,29-32). Di sera cura molti malati e indemoniati sulla porta della stessa casa e si ritira in preghiera solitaria, prima di andare a predicare per la Galilea. In questo racconto troviamo inoltre la descrizione di numerosi miracoli, come: la guarigione del paralitico calato dal tetto, la risurrezione della figlia di Giairo, la guarigione dell’emorroissa, quella dell’uomo con la mano inaridita, del sordomuto, del cieco di Betsaida e del lebbroso. La parola di Gesù contiene un potere tale che, a differenza dei guaritori ed esorcisti del tempo, bisognosi di incantesimi e di formule magiche, riesce a sconfiggere il maligno e a restituire il malato alla vita di ogni giorno. Così se un’azione pastorale della comunità cristiana non cura, non si pone a servizio degli altri, non è vivificata dalla preghiera e non condivide la sofferenza del prossimo, non riuscirà a riattualizzare l’azione sanante ed evangelizzante di Gesù. Matteo ci dà nel suo Vangelo un insegnamento di Gesù molto più completo di quello di Marco; egli scrive per una comunità che viene dal giudaismo per mostrare nella persona e nell’opera di guarigioni miracolose compiute da Gesù (guarigione del servo del centurione, dei due ciechi, del cieco muto e dei due ciechi di Gerico) il compimento delle scritture. In Luca, scrittore più raffinato e “medico”, Gesù nel suo lungo viaggio verso Gerusalemme, parla della risurrezione del figlio della vedova di Naim, della guarigione dell’idropico, quella della donna curva, dei dieci lebbrosi e del taglio e guarigione dell’orecchio del servo del sommo sacerdote. Infine, l’evangelista Giovanni, teste oculare e scrittore di quanto riportato nel suo vangelo, sa cogliere nei miracoli il loro significato spirituale. Essi sono denominati da lui “segni”, cioè realtà visibili che rimandano a una realtà invisibile (guarigione spirituale e remissione di peccati), come la guarigione del paralitico alla piscina di Betzatà, di un cieco e la risurrezione di Lazzaro. La frase con cui Giovanni conclude il suo vangelo: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21,25), ci dà il senso dell’attività e dell’interesse che Gesù manifesta nei riguardi dei tanti malati e sofferenti. In questi riferimenti riportati dei miracoli operati da Gesù non ho considerato gli interventi a favore di quelle povere persone possedute da spiriti immondi a causa dei quali erano emarginate e disprezzate dalla società di allora (e non solo!). L’esempio di Gesù è ancora volta un insegnamento per la Chiesa perché si impegni sempre più a liberare l’uomo dal male che lo affligge e si faccia promotrice della sua salute e della sua salvezza. BIOETICA PROBLEMI ETICI E BIOETICI NELL’USO DEL PLACEBO Raffaele Sinno l termine Placebo si fa risalire al periodo medioevale quando, durante le cerimonie funebri, i cantori recitavano il celebre versetto: “Placebo Domino in regione vivorum”. Da questa iniziale prassi di “piacerò”, o di augurale beneficio, quando oramai non si poteva far più nulla di curativo, nell’avvicinarsi dell’imminente trapasso, già nel 1775, il termine placebo assumeva le sue caratteristiche di farmaco destinato a distrarre, come veniva definito nel Motherby’s New Dictionary of Oxford. La definizione moderna e più appropriata, oggi risulta la seguente e viene indicata a metà degli anni 1980 ossia: “Ogni provvedimento, non solo farmaco, capace di influire sui sintomi e/o sulla malattia di un paziente, seppur oggettivamente privo di attività specifica nei confronti di quella malattia e di quei sintomi”. I L’analisi di questa definizione conduce a una prima considerazione etica, e in generale scientifica. Nell’analizzare il concetto di placebo si rimane prigionieri di una sorta di diffusa convinzione: una sostanza o un effetto generato solo dalla suggestione, o al massimo indotto da fattori esterni alla procedura scientificamente accertata e valida. Le recenti ricerche sul placebo, e l’ampia letteratura al riguardo, non solo smentiscono questa semplice conclusione, e riaprono un dibattito ancora tutto da definire. In tal senso, gli studi con l’uso di placebo indotto, e la contemporanea verifica delle modificazioni Pet rilevate o FMRI di diverse aree cerebrali sia corticali sia sottocorticali, dimostrano che il nostro cervello risponde in maniera sicuramente più complessa a quelle che una volta erano definite sostanze inerti. La letteratura internazionale ha oramai sedimentato l’effetto dimostrato dal placebo, non solo in psicoterapia, ma anche su affezioni organiche, quali l’ipertensione arteriosa, la glicemia, il numero dei linfociti, l’aumento dei linfociti killer in alcune neoplasie. E sorprende per ovvi motivi etici - la presenza di una chirurgia di tipo placebo nella laparoscopia addominale, basti pensare al lavoro di lisi chirurgica in laparoscopia addominale, dove in 59 pazienti con persistenti dolori addominali venivano sottoposti a lisi delle aderenze con la tecnica su descritta, e in altri 59 dove veniva effettuata la laparoscopia senza effettuare la lisi, lo studio era ovviamente randomizzato in doppio cieco. Questo caso è utilissimo per instaurare una profonda discussione etica e bioetica, non solo sugli effetti reali o presunti del placebo, ma del suo uso in medicina e del rapporto nei trial della sperimentazione farmacologica. Una prima questione che sorge è se l’uso del placebo sia in generale da consentire. Su questo punto, nonostante qualche nostalgico del meccanicismo medico, la conclusione è quanto mai ovvia e corretta. Il placebo non solo si deve usare, ma forse è opportuno una maggiore considerazione e presa d’atto della sua importanza, poiché i rapporti tra corpo, psiche, e ambiente, sono sempre più complessi e articolati. Su tale aspetto vorrei riportare uno studio di Giorgio Dorbilla: “L’effetto del placebo si inscrive in quella documentata coreografia medica di supporto che non è meno curativa. Se dunque la fiducia nell’atto medico è fondamentale nell’evocare la reazione globalmente positiva del nostro organismo, e in primis del nostro cervello, non deve nemmeno sor- prendere che un intervento chirurgico possa far promuovere un effetto placebo di particolare importanza, dato che in genere nessuno si fa operare se non è profondamente convinto. La chirurgia è di per sé un powerful symbol of healing (un potente simbolo di guarigione)”. La questione reale è l’uso improprio, sproporzionato, futile, e non etico del placebo. Riferendoci al trail esposto sulla chirurgia laparoscopica e placebo, una prima riflessione riguarda la liceità dell’intervento, nonostante la presenza di un consenso ampio e ben documentato.Questo ci consente di discutere sulla liceità di tante sperimentazioni che si trovano in quella zona grigia etica, o come oggi si preferisce chiamarla “zona franca di applicazione”. Bisogna ricordare che ogni sperimentazione, come anche l’atto medico o una procedura innovativa, se pur indirizzata all’interesse comunitario, non può minimizzare il bene del soggetto che partecipa alla sperimentazione, se pur parzialmente protetto da una rete di difesa biogiuridica. I confini spesso sono labili, e dietro a motivazioni di scoperte sensazionali, si nascondono enormi interessi di lobby di potere o di biofinanze, pronte alla rapida e fruttuosa brevettazione. Un’ulteriore riflessione riguarda la percezione collettiva della scienza, che è ampliata dall’uso non corretto del placebo. Indurre in falsi miti di superamento di azzeramento d’ogni malattia, con prototipi di studi sperimentali, che spesso risultano nel tempo, non attuabili, né verificabili, inficia una corretta fiducia nell’operato della scienza, generando un boomerang di pessimismo nei suoi confronti. La conclusione sulla questione del placebo dovrebbe essere la seguente: maggiore considerazione nel suo utilizzo, una sperimentazione che si prefigga sempre la massima sicurezza e difesa di ogni persona umana”. 5 AT T UA L I T À A PROPOSITO DI ARTE Pier Angelo Iacobelli on una disamina, piuttosto soltanto alcune idee buttate là. L’argomento necessiterebbe di una trattazione ben più vasta, ma quella che segue vuole essere soltanto una condivisione; lasciando un’analisi più ampia, eventualmente, ad altro tempo e luogo. Da tempo immemorabile (da sempre?) si discute intorno all’arte: cos’è?, in cosa consiste?, quali gli aspetti che dovrebbe assumere?, e via dicendo. Ogni epoca possiede una propria forma di espressione artistica, e non potrebbe essere altrimenti, perché essa è manifestazione del sentire di quel contesto storico-geografico. Riproporre in forme non rigenerate quanto altri tempi (epoche) hanno elaborato, normalmente non consegue risultati lusinghieri; sostanzialmente scimmiottature, che ben poco hanno da dire ai contemporanei, ma soprattutto ai discendenti: saranno proprio essi che ne valuteranno la reale validità1. È questo il fondamento per cui i vari neo (neogotico, neoromanico…) sortiscono effetti poco affascinanti. N La nostra è l’epoca della tecnica: mai come oggi essa ha raggiunto livelli così alti. L’arte, però, (e le scienze speculative?) ne soffre, e non poco. Qualche giorno fa, stavo ascoltando una dotta disquisizione, tenuta da un docente universitario, supportata da foto, diagrammi e quant’altro, su alcune correnti di espressione artistiche. Non sono attratto dal ripresentare stili, i quali nel passato abbiano magari avuto un ruolo importante, ma che nel presente non riflettono più il modo di sentire attuale (l’ho appena scritto). Per contro, ritengo inverosimile che non si possano (e debbano) elaborare opportune scale di valutazione in merito alle diverse forme in cui l’arte si esprime. È vero che anche un bambino produce arte; anzi, in qualche modo, tutto ciò che ci circonda possiede una valenza artistica. Infatti, in un noto dizionario, alla voce “arte” si legge: “Qualsiasi forma di attività dell’uomo come riprova o esaltazione del suo talento inventivo e della sua capacità espressiva”2. Ma non si può confrontare una scultura di Michelangelo con lo scarabocchio di un fanciullo; analogamente, non si possono porre sullo stesso piano la suddetta opera con la scultura di un aborigeno: ognuna riflette la cultura e (perché non tenerne conto?) la tecnica non soltanto di colui che materialmente l’ha realizzata, ma anche della società e della comunità in cui egli è inserito. A fronte di ciò, non è corretto definire opera d’arte, col significato di capolavoro, quelle che ben poco hanno da comunicare. E siamo alle cosiddette dolenti note: si ritiene che l’importante, in tale ambito, sia la capacità di comunicare sensazioni. Fermo restando che non esiste alcunché esente dal produrre sensazioni in chi vi si rapporta; quest’ultime, però, debbono necessariamente essere sottoposte a un’opportuna valutazione: ve ne sono di valide e di non valide o addirittura dannose, in una scala che procede dall’ottimo al pessimo. Una scatola vuota (comunque meglio che piena di porcherie), una tela strappata o qualsiasi altro oggetto invia messaggi, produce sensazioni…; ma l’arte vera è in definitiva altra cosa. Condivido che il manierismo, magari perfetto nelle sue ricche elaborazioni, può essere stucchevole e amorfo; ma ancora di più può esserlo una cosiddetta forma d’arte, la quale rifiutando ogni vincolo esteriore, corre con facilità il rischio di spacciarsi per ciò che non è. In tal caso, nasce la necessità di dotti estimatori che siano in grado di rivelare al popolo plebeo quanto questi non può capire, magari, per la semplice ragione che non esiste: di qui il luogo comune dell’artista sostanzialmente fuori del mondo… In realtà, non sono così rari gli sfruttatori; in ogni tempo, ma con maggior facilità laddove non ci sia bisogno neppure di una tecnica. A tale proposito, episodi come quello del ritrovamento delle sculture di Modigliani dovrebbero far riflettere… 1 In realtà, il discorso sarebbe assai più complesso, ma non vado oltre, unicamente per semplificare. 2 G. DEVOTO - G. C. OLI, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1990, 133, col. I 6 AT T UA L I T À L’ACQUA È UN BENE DI TUTTI Franco Piredda li incontri più belli narrati nella Sacra Scrittura avvengono vicino ai pozzi, uomini che incontrano donne che danno loro da bere, come l’incontro di Gesù con la Samaritana. Abramo e Isacco erano scavatori di pozzi e la loro benedizione era che trovano sempre l’acqua: era il segno che erano assistiti dal cielo. Chi fa spuntare l’acqua dal suolo aggiunge ricchezza al mondo. L’acqua che sgorga, si incanala, trova la via, poi diventa nuvola e aggiunge altra acqua. Appartiene al mondo e chi vuole diventare padrone dell’acqua deve dimostrare di essere padrone dei ghiacciai, delle nuvole, della neve, della pioggia. Chi vuole appropriarsene sta derubando la specie umana, sta facendo danno alla vita. L’acqua dunque rappresenta la socialità ed è la risorsa vitale cui è legata la sopravvivenza del nostro pianeta. Il rischio, che la nostra società corre, è la perdita del rappor- G to e della coscienza civica, della responsabilità di ciascun individuo nella gestione e nella salvaguardia di “beni comuni” come l’acqua. L’acqua costituisce un bene comune per l’umanità perché è fonte di vita e tutta la comunità cattolica lo sostiene con vigore in ogni circostanza. A cominciare dal Papa che nell’Enciclica “Caritas in veritate” ha dichiarato che l’acqua è un diritto fondamentale inalienabile, dunque non può essere proprietà di nessuno ma piuttosto un bene equamente condiviso da tutti. Lo hanno affermato i giovani dell’Associazione “Pro Evitante Christiana” che nelle dichiarazioni nel loro Convegno di Assisi sostengono che: “Le politiche dell’acqua devono scegliere la via della gestione pubblica delle risorse idriche: devono sottrarre l’acqua alle leggi del mercato e del profitto, nazionale e globale, anteponendo alle pressio- ni delle multinazionali il grido dei poveri”. Dal Cile è il vescovo di Asgera, Luigi Infanti della Mora, che nella lettera pastorale “Dacci oggi la nostra acqua quotidiana” ricorda che la disponibilità dell’acqua è una causa di povertà: “La crescente politica di privatizzazione dell’acqua è moralmente inaccettabile. È una ingiustizia istituzionalizzata, che crea ulteriore fame e povertà, facendo sì che la natura sia la più sacrificata e che la specie più minacciata sia quella umana, i poveri in particolare”. Oggi più di un miliardo e trecento milioni di persone non dispongono dell’acqua potabile e due miliardi e mezzo sono prive di servizi igienicosanitari; a breve potrebbero diventare tre miliardi a causa della enorme disuguaglianza che c’è nell’accesso all’acqua. Le due caratteristiche dell’acqua, l’essenzialità e la scarsità, ne fanno un obiettivo economico e finanziario, la possibilità di un business garantito, un profitto garantito perennemente. Per questo nel mondo sono in corso più di 50 conflitti per la proprietà, la spartizione e l’uso dell’acqua, e dove non ci sono conflitti si vuole la privatizzazione dell’acqua e con l’affidamento al libero mercato della sua gestione, al pari di una qualunque merce. Impedire che questo avvenga diventa sempre più un problema di civiltà, che chiama in causa la politica e la società civile, e che chiede a ciascuno di assumersi la responsabilità rispetto alle generazioni viventi e future. Solo la proprietà pubblica e un governo pubblico partecipato dalle comunità locali possono garantire la tutela di questa preziosa risorsa e della sua conservazione. Ognuno di noi può diventare “portatore d’acqua” con il suo impegno, dimostrando l’indisponibilità dei diritti universali e la difesa dei beni comuni. 7 IL CAMMINO DELLA MEDICINA UN’AUTENTICA ENCICLOPEDIA MEDICA IN UN ROTOLO DI 20 METRI XII - Il “papiro di Ebers” (1550 a.C., medicina dell’Antico Egitto) Fabio Liguori “Q uando la civiltà egizia era al massimo fulgore, il popolo dell’Ellade viveva in caverne e si cibava di radici”: così Erodoto (484-425 a.C., “padre della Storia” per aver descritto numerosi Paesi in cui viaggiò) annota l’Antico Egitto come precursore della civiltà greca (che avrà infatti il suo Pantheon popolato di divinità quanto l’egizio), e dal punto di vista medico “popolo di sanissimi” grazie alla stabilità delle stagioni nella regione. Un altro storico greco, Diodoro Siculo (90-27 a.C.), riferendosi alla loro organizzazione sanitaria riporta che “…in tempo di guerra tutti i malati sono curati gratuitamente, perché i medici sono pagati dallo Stato”. Come in tutte le antiche civiltà, anche nella valle del Nilo medici inizialmente erano i sacerdoti. Da una fase magico-sacerdotale, in cui dominava una simbologia assunta dal mondo animale, si passerà a una medicina basata sull’esperienza, 8 come quando s’introduce il concetto di vasi che portano sangue e vasi che portano aria (probabilmente perché, limitandosi l’osservazione a cadaveri nel corso dell’imbalsamazione, le arterie risultavano praticamente vuote, quindi necessariamente dovevano trasportare aria). Il sistema vasale rivestiva così il ruolo di una fitta rete che distribuiva all’organismo quanto abbisognasse, consentendo ai farmaci di raggiungere la parte malata. La malattia era la conseguenza dell’ostruzione di una di queste vie. La medicina egizia era molto specializzata “… sicché l’Egitto è pieno di medici per gli occhi, altri per la testa, altri per i denti, altri per il ventre e altri ancora per le malattie occulte” (Erodoto, II, 84). La sapienza medica era racchiusa in libri sacri nascosti al pubblico e custoditi nei templi, accessibili quindi solo agli iniziati. “Maestri” nell’imbalsamazione gli egizi erano, tuttavia, poco progrediti nell’anatomia così che, nonostante il trascorrere di millenni, la medicina non faceva apprezzabili progressi. L’imbalsamazione, infatti, non era praticata dai medici-sacerdoti (ministri della “casa della vita”), ma da addetti alla “casa della morte”: una casta chiusa, capace però di far giungere intatte le loro mummie sino a noi. Le procedure chirurgiche erano di conseguenza limitate a interventi esterni (circoncisioni, tumefazioni, suture). Oltre alle iscrizioni geroglifiche, le principali fonti storiche sulla medicina egizia provengono dai papiri medici, così detti per il loro contenuto esclusivamente di carattere medico. Il più famoso è il papiro di Ebers, dal nome dell’egittologo tedesco che lo acquistò da un mercante che asserì di averlo trovato tra le gambe di una mummia. È un’autentica enciclopedia medica racchiusa in un rotolo di 20 m. e alto 20 cm. Redatto nell’epoca dell’arrivo degli ebrei in Egitto, riporta nel retro: “Festa dell’anno nuovo, 3° mese, 9° giorno, levata di Sirio del 9° anno di regno di Amenhotep I ”. Poiché le levate della stella Sirio sono calcolabili, la sua datazione è certa: 1550 a.C. Tuttavia, molte delle cognizioni in esso contenute risalgono all’Antico Impero Egizio (3300-2360 a.C.), al tempo delle piramidi di Cheope e Chefren. In questo papiro ben 877 commi trattano varie malattie, compresa la prima descrizione di tumori (“quando incontri un tumore duro come una pietra, curerai la malattia col coltello e poi brucerai col fuoco perché la ferita non sanguini troppo”). Le prescrizioni corrispondenti assommano a oltre 500 medicamenti da somministrare sotto diverse forme, tra cui l’oppio, il miele, la cicuta, l’aglio, la cipolla, l’olio di ricino, il lievito, i semi di lino. Viene pure esposta l’igiene della persona, delle vesti e della casa, il che spiega il grande uso di acqua, incenso e salnitro (nitrato di potassio) che facevano gli egizi; anche perché l’impurità era considerata generatrice di ogni malattia. A N I M A Z I O N E G I OVA N I L E STARE INSIEME CON DE…CORO Fra Massimo Scribano o.h. nusuale, ma appropriato appuntamento con alcuni ragazzi dell’Azione Cattolica di Albano Laziale, che il 14 maggio scorso sono venuti in visita all’Istituto San Giovanni di Dio di Genzano. L’incontro, organizzato con il Responsabile Diocesano dell’Azione Cattolica, il dott. Giovanni Ascione che con una quasi profetica intuizione ha voluto fare sperimentare ai suoi ragazzi una esperienza forte e significativa con i nostri Ospiti della Casa. Abbiamo scelto come attività educativa da fare insieme il Karaoke che ha visto impegnati, oltre agli Ospiti, anche gli Educatori e i Religiosi. L’esperienza canora ha avuto la preparazione degli Ospiti per una settimana di lavoro con l’ausilio dell’Équipe educativa che ha saputo preparare al meglio i nostri ragazzi. Sembra una banale attività ma che secondo il mio parere è stata di grande stimolo a tutti i partecipanti. Le sensazioni che ha suscitato l’evento nella sala convegni, non si riescono a descrivere, perché bisogna partecipare e vedere con gli occhi della fede che in queste persone non esiste solo la malattia ma e soprattutto la persona umana, fragile di sicuro, ma pur sempre un essere vivente con dei talenti che a volte vengono nascosti o ancora peggio negati. I “Qualunque cosa avrete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avrete fatta a me” con queste parole Gesù ci invita a usare misericordia e carità alle persone deboli e indifese, come i malati, i bambini e gli anziani. In un mondo dove tutti i diritti sembrano essere calpestati da tutti perché alcuni non riescono a gridare più forte, noi Religiosi Fatebenefratelli dobbiamo essere voce, mente e cuore per tutte le persone che chiedono aiuto e ci interpellano in prima persona. Questo lo possiamo fare e lo dobbiamo fare, solo se con gli occhi della fede vediamo Gesù Cristo durante il nostro servizio all’uomo sofferente. Religiosi e Collaboratori insieme dobbiamo cooperare per servire il malato e Cristo nello stesso tempo. Da quasi un anno ho ricevuto l’incarico di occuparmi di pastorale giovanile e vocazionale all’interno della nostra antica e amata Provincia Religiosa di san Pietro apostolo, rendendomi conto che esiste un reale bisogno e ricerca di Dio e della sua Parola. Il mio e quello di tutti noi che siamo al servizio delle persone che chiedono una più accurata attenzione nel discernimento, abbiamo un dovere verso di essi che spesso risulta difficoltoso e soprattutto senza un riscontro a volte positivo. I giovani sono il nostro futuro per la società e quindi dobbiamo avere cura e fiducia nelle risorse che all’interno del loro cuore esistono perché doni di Dio Padre; Lui che ha creato ognuno di noi a sua immagine e somiglianza conosce il nostro cuore. Tu Giovane e meno Giovane che hai abbandonato la via della vita, torna sui tuoi passi e ricongiungiti al Padre che ti ama di un amore immenso. “Ti ho fatto come un prodigio, sei prezioso ai miei occhi, degno di stima e io ti amo…” con queste parole Gesù ci invita a riflettere sul senso di noi esseri umani, ci ha creati per amore e quindi non dobbiamo dare alla nostra vita un senso di vuoto, ma invece cercare di scoprire il tesoro che sta in noi, che Dio Padre ci ha donato, attraverso il Suo amore infinito. Le attività di pastorale giovanile che programmiamo in sintonia con gli ospiti della Casa di Genzano, sono di ausilio alla riflessione e condivisione della nostra vita e soprattutto a un resoconto “spirituale” che il nostro cuore ci chiede. Spero che gli avvenimenti avvenuti quest’anno siano stati di completamento a livello umano e spirituale. V’informo che a luglio e ad agosto ci saranno due esperienze di servizio organizzate a Genzano di Roma; per maggiori informazioni visitate il nostro sito: www.pastoralegiovanilefbf.it. Per informazioni su discernimento vocazionale potete contattarmi al numero 338.2509061 o mandate una mail all’indirizzo: [email protected]. 9 SANITÀ FRENULO LINGUALE CORTO Dante Caliento, Melissa Zelli L a lingua è un organo muscolare estremamente mobile in grado di produrre movimenti in tutte le direzioni e di svolgere numerose funzioni. Il frenulo linguale è una plica fibro-mucosa che connette la linea mediana della superficie inferiore della lingua al pavimento del cavo orale, lo si può osservare sollevando la lingua. Nei neonati appare molto più pronunciato perché arriva quasi fino alla punta della lingua poi, durante la crescita, si ridimensiona per l’accrescimento della lingua. In alcuni bambini questa plica non si sviluppa in maniera adeguata e può presentare, sin dalla nascita, alcune malformazioni che causano problemi di mobilità della lingua stessa che viene trattenuta verso l’interno limitandone la protrusione al di là dei denti incisivi inferiori (aspetto a cuore o a omega). Il frenulo linguale corto costituisce un’anomalia congenita che solitamente colpisce il 4-5% della popolazione generale con una lieve prevalenza nei maschi (2,5: 1) e può presentarsi con diversi gradi di severità. Il frenulo corto: - potrebbe impedire di suonare certi strumenti a fiato, di leccare o masticare correttamente cibi, di baciare (con tutti i problemi psicologici e sociali che ne conseguono); - provoca l’ anchiloglossia, riduzione del movimento linguale, di grado lieve, moderato o severo (valutabile soggettivamente); - bifidità meccanica della lingua o presenza di un solco mediano in protrusione; - potrebbe ostacolare l’allattamento nei neonati in quanto questi potrebbero non essere in grado di attaccarsi al seno in maniera appropriata o di produrre una suzione efficace; - curvatura della parte intermedia della lingua che impedisce la fuoriuscita della lingua dal cavo orale. - potrebbe provocare linguoversione degli incisivi inferiori, diastemi interincisivi, beanze anteriori (impossibilità di chiudere completamente la bocca), rotazioni dentali, anomalie dello sviluppo della mandibola, sindrome degluto-posturale con conseguente squilibrio del cingolo scapolare. Le anomalie del frenulo linguale possono essere classificate entro differenti livelli di gravità, passando da una forma più rara in cui il rafe linguale è completamente fissato al pavimento della bocca, a forme più lievi in cui la mobilità della lingua è solo parzialmente ridotta. La diagnosi di anchiloglossia può essere formulata sulla base dei seguenti criteri: - impossibilità di toccare il palato con la punta della lingua a bocca aperta; - spazio sublinguale ridotto; bassi rischi per il piccolo e restituiscono alla lingua la propria piena funzionalità: - FRENULECTOMIA cioè l’asportazione parziale della membrana; - FRENULOTOMIA cioè l’incisione della membrana che veniva eseguita già nel 18° secolo quando le ostetriche erano solite farlo alla nascita per mezzo delle unghie; nei neonati con difficoltà nella suzione va praticata in anestesia locale entro la prima settimana di vita mentre nei bambini con gli altri problemi non esiste una tempistica precisa ed è il chirurgo a dover stabilire quando intervenire nell’interesse del paziente. L’intervento consiste nella sezione del frenulo con un taglio orizzontale, facendo attenzione a non coinvolgere le caruncole linguali; si ottiene così la mobilizzazione del corpo della lingua che allungandosi espone una ferita a rombo che guarirà per seconda intenzione. Non si esegue sutura della ferita onde evitare cicatrici che riproporrebbero il problema. Questa operazione chirurgica deve essere eseguita da operatori esperti al fine di evitare le rare complicanze (sanguinamento per lesione della vena profonda della lingua, danni accidentali al dotto di Wharton). Dopo l’intervento i neonati sono subito in grado di riprendere ad alimentarsi al seno. - potrebbe rendere difficile l’articolazione delle parole (disartria) e quindi rallentare lo sviluppo del linguaggio; Questa chirurgia microtraumatica permette di eseguire gli esercizi logopedici per l’allungamento del frenulo subito dopo l’intervento, oltre che naturalmente nei giorni successivi. Di recente è stato anche introdotto l’utilizzo del laser per questa pratica. - potrebbe rendere difficoltosa la pulizia orale; Questi interventi vengono solitamente eseguiti in regime di Day Hospital. 10 Esistono varie tipologie di intervento piuttosto semplici che comportano Schegge Giandidiane N. 24a L’ a r d u o i n i z i o d e i primi frati a Manila Tale manoscritto è una sintesi storica dei primi inizi della nostra antica Provincia Messicana e fu redatto a richiesta dello storico Gil González Dávila, che l’utilizzò nel libro edito nel 1649 a Madrid col titolo “Teatro Eclesiástico de la Primitiva Iglesia de las lslas Occidentales”. Nel manoscritto, che è datato 17 novembre 1643, si spiega che il punto di partenza per l’espansione dell’Ordine in America Latina fu nel- Un primo gruppo di 8 frati ebbe il 14 marzo 1603 il permesso di partire e tra loro v’era fra Bruno de Avila, un magrolino di 33 anni, buon cristiano, casto e fidato, cui poi l’arcivescovo fra Diego de Mendoza concesse di farsi prete. Morirà il 21 ottobre 1631 nel naufragio della Santa Teresa, nave capitana d’una flotta che era salpata dal Messico per la Spagna il 14 ottobre al comando dell’ammiraglio Manuel Serrano. Torneremo ancora a parlare di fra Bruno per il suo impegno nel 1622 a favore della fondazione di Manila quando aveva l’incarico di Procuratore del nostro Ordine per i territori d’oltremare, ma intanto sottolineiamo che fu lui il 12 ottobre 1608 ad ottenere la Regia Licenza per accompagnare in Messico altri 7 frati, autorizzati a Siviglia il 14 maggio 1609 ad imbarcarsi nel galeone Nuestra Señora del Juncal, che era la nave Tracciata da Petrus Kaerius nel 1598, è la prima mappa mostrante le Filippine da sole. F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 24a - L’arduo inizio dei primi frati a Manila G l’anno 1600 l’approdo nelle Isole Canarie di una flotta diretta in America e nella cui nave capitana era scoppiata una seria epidemia, per domare la quale presero a bordo fra Cristobál Muñoz, che era il Priore del nostro locale Ospedale. Egli restò nella flotta fino al rientro in Spagna, dove presentò numerose petizioni che gli erano state affidate per avere nostri Ospedali negli insediamenti d’oltremare. In risposta ad esse e con Regia Licenza del 14 agosto 1602 fu concesso “per la prima volta” che dagli Ospedali spagnoli potessero partire di loro volontà al massimo 16 frati, per fondare Ospedali nelle città di Cartagena, L’Avana, Veracruz, Panama, Portobello, Città del Messico ed altrove. 93 iunti a Manila esattamente quando stava per iniziare l’estate del 1611, fra Juan de Gamboa e fra Luca de los Angeles insistettero per ben tre lustri nel fermo intento d’avviare una stabile presenza dell’Ordine nelle Filippine. Purtroppo, furono alla fine costretti a tornarsene in Messico, ma i loro sacrifici non andarono perduti ed ispirarono altri frati a ripeterne l’impresa, questa volta con successo. In questo mese di giugno, in cui celebriamo il IV Centenario del primo arrivo dei Fatebenefratelli nelle Filippine, merita ripercorrere le vicende di quei due frati a Manila. Purtroppo su di loro negli archivi dell’Ordine non esistono relazioni ufficiali, ma interessanti dati furono trovati nell’archivio del Comune di Manila e poi anche nell’Archivio delle Indie a Siviglia e nella Biblioteca Nazionale di Madrid, dove fra Luis Ortega Lázaro scovò l’unico manoscritto antico dell’Ordine in cui si faccia accenno, anche se brevissimo, all’impresa dei due frati a Manila. altri frati a tornarvi, non solo riaprendovi il Convalescenziario, ma anche avviando altre stabili Fondazioni nelle Filippine. Una discreta narrazione delle vicende del nostro Ordine nell’Arcipelago Filippino fu pubblicata nel 1742 dal Maestro dei Novizi in Manila, fra Juan Manuel Maldonado de Puga, il quale riuscì a trovare negli archivi della capitale l’anno d’arrivo dei primi frati. Il porto messicano di Acapulco, da cui i due frati salparono il 24 marzo 1611 per Manila. 94 F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 24a - L’arduo inizio dei primi frati a Manila capitana della flotta guidata da Juan Gutierrez Garibay, uno dei migliori tra i 434 generali ed ammiragli che dal 1542 al 1740 guidarono i convogli colleganti la Spagna con l’America ed il quinto per numero di viaggi compiuti, 16 in totale tra il 1592 ed il 1613. Tra i 7 frati che Bruno de Avila guidò in America c’era fra Juan de Gamboa, che il manoscritto descrive “brusco di carattere, piccolo di statura, ma gran cristiano” ed aggiunge che “passò in Cina e fondò in Manila un Convalescenziario e poi lo chiuse e se ne tornò in Nuova Spagna, ma appena giunto pare che in castigo se ne morì”. E più avanti il manoscritto elenca altri 5 frati partiti per l’America e di cui l’ultimo è “fra Luca de los Angeles che passò in Cina con fra Juan de Gamboa e lì entrò frate di San Domenico”. Tutta qui l’informazione che il manoscritto fornisce sui due primi frati che raggiunsero le Filippine. Meglio di nulla, ma non priva di inesattezze che vanno corrette. Va anzitutto premesso che per Nuova Spagna gli spagnoli intendevano il Messico, dove i frati a partire dal 1604 ebbero modo di fondare un bel numero di ospedali. Va inoltre chiarito che gli spagnoli ritenevano Manila un avamposto della Cina, che per loro era una vaga entità geografica che includeva anche l’arcipelago delle Filippine, tanto che gli scialli di seta, che i cinesi venivano a vendere a Manila e di lì erano spediti in Europa con i galeoni, eran detti in Spagna “mantones de Manila”, dove Manila equivaleva a Cina. Puntualizzato che nell’Impero Cinese i due frati non misero mai piede, va aggiunto che oggi il Necrologio pubblicato nel 1965 dalle Province Spagnole ci offre le date di morte a Città del Messico non solo di fra Juan de Gamboa ma anche di fra Luca de los Angeles: il primo vi morì il 6 marzo 1627 e ed il secondo il 9 luglio 1629, smentendone così il presunto passaggio nell’Ordine dei Domenicani. Anche se il generoso impegno dei due frati a Manila non fu coronato di successo, spinse però Purtroppo alla fine dell’ultima Guerra Mondiale la Battaglia di Manila comportò la totale perdita degli archivi municipali, che fra Maldonado ebbe invece modo di felicemente consultare, trovando che, a breve distanza dalla data d’approdo nella baia di Manila dei tre galeoni giuntivi nel 1611, il Consiglio Municipale aveva preso in esame la petizione presentata dai due suddetti frati, come era documentato nei fogli 42-43 del Libro n. 8 delle Risoluzioni, che abbracciava le sedute tenutesi dal 13 gennaio 1611 al 16 luglio 1615. Questa la traduzione della trascrizione che fra Maldonado poté fare dai verbali delle sedute dell’8 e del 16 agosto 1611: “Nella Città di Manila il giorno otto del mese di Agosto dell’anno milleseicentoundici si riunirono negli Edifici della Giunta di Manila i Magistrati ed i Consiglieri: tra i Membri di diritto, il Sindaco Ordinario Don Lorenzo de Figueroa, e l’Ufficiale Giudiziario Maggiore, Francisco de Quinta y Naya; tra i Consiglieri Municipali, Marcos de la Cueva, Juan de Balmaseda, Luis de la Rosa, Don Antonio de Arçeo, Antonio Montero, Geronimo de Ocampo, Don Juan Alonso de Sosa, Pedro Gomez Cañete, Diego de Valdés. Avendo trattato vari argomenti della Municipalità, quelli in cui si concordarono Risoluzioni furono i seguenti: si lesse quest’oggi una Petizione Ovviamente fra Maldonado chiese alla Curia Provinciale del Messico se in Archivio ci fosse traccia dell’invio a Manila dei due frati e ne ebbe questa sinteti- ca risposta: “Da alcune Licenze che ho trovato in questo Archivio pare che i primi Religiosi che vennero a codeste Isole furono i Padri Fra Juan de Gamboa e Fra Luca de Angeles, andativi nel 1621 e che fondarono un Ospedale per Convalescenti in una Casa, o Orto, che donò loro un Signor Arcivescovo, poi lo chiusero e se ne tornarono in Nuova Spagna, morendovi dopo poco che vi giunsero, come si ricava da una Seduta di Consiglio del Padre Medrano. Questo è quanto ho potuto appurare riguardo alla Fondazione di codesta Santa Provincia”. La Baia di Manila, dove i due frati giunsero il 20 giugno 1611 (incisione del 1633). F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 24a - L’arduo inizio dei primi frati a Manila “Nella Città di Manila il giorno sedici del mese di Agosto dell’anno milleseicentoundici si riunirono negli Edifici della Giunta di Manila i Magistrati ed i Consiglieri: tra i Membri di diritto, il Sindaco Ordinario Don Lorenzo de Figueroa, il Regio Amministratore Francisco Franco de Avila, il Regio Contabile Thomas Montero, l’Ufficiale Giudiziario Maggiore, Francisco de Quinta y Naya ed il Capitano Marcos de la Cueva; tra i Consiglieri Municipali, Diego Ruiz de Ayala, Pedro de Chaves, Antonio de Montoro, Luis de Barraza, Martin de Herrera, Gonzalo de Ocampo, Juan de Balmaseda, Luis de la Rosa, Don Antonio de Arçeo, Diego de Valdés, Pedro Gomez Cañete. Sopraggiunse poi il Consigliere Don Juan Alonso de Sosa, ed il Consiglio trattò e concordò quanto segue. Il Capitano Marcos de la Cueva e Don Antonio de Arçeo riferirono d’aver trattato col Signor Governatore la questione della Fondazione che chiedono i Fratelli del Beato Giovanni di Dio ed avendolo informato delle opinioni espresse dalla Municipalità e relativi suggerimenti, rispose: che la Municipalità l’esamini e dia la risposta che ritenga conveniente. La Municipalità, presone esame, disse: che in Città non c’è posto, né prospettiva, né offerta di cittadini per nuovi Ospedali, poiché quelli che ci sono, risultano sufficienti al bisogno. E così si decida sulla loro Petizione e documentazione, affinché si dirigano al Signor Presidente e Capitano Generale”. 95 del Fratello Geronimo de Gamboa, dell’Ordine del Beato Giovanni di Dio, in quanto è venuto a fondare Ospedali in queste Isole e su ciò presentò della documentazione. Esaminato dal Consiglio di Manila, si stabilì che il capitano Marcos de la Cueva e Don Antonio de Arçeo verifichino le Istruzioni date al Padre Geronimo de los Rios quando si recò a Corte e vedano se ebbe ordine di trattare la venuta dei suddetti Fratelli; ed in conformità a quanto risulterà in esse ed ai pareri espressi in questo Consiglio, ne riferiscano punto per punto a sua Signoria e l’opinione della Municipalità, in modo che sua Signoria vi provveda a ciò che vada fatto; e finché non trattino di ciò con sua Signoria non si prenda alcuna decisione sulla Petizione e documentazione presentata”. era sita fuori della Città Murata, nella zona chiamata Bagumbaya; e precisa che era di modesto valore, sicché pur essendo nel frattempo la zona andatasi popolando assai di più, la rendita fruttava appena 18 pesos all’anno. Dettaglio del quadro commemorativo dell’arrivo dei primi due frati a Manila. 96 F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 24a - L’arduo inizio dei primi frati a Manila Questi dati avuti dal Messico lasciarono un po’ perplesso fra Maldonado per le divergenze riguardo all’anno, indicato come 1621 invece che 1611, e riguardo al nome di fra Gamboa, che era Juan invece che Geronimo, come riportavano i verbali municipali. Riguardo al nome, di certo fu frutto della poca accuratezza di chi redasse tali verbali, come dimostra il fatto che quando vi si menziona colui che fin dal 1605 era il Procuratore, vale a dire colui che rappresentava a Corte il Consiglio di Manila, lo si cita come Padre Geronimo de los Rios, mentre invece si chiamava Hernando de los Rios; ed anche alcuni cognomi dei presenti sono trascritti in maniera errata. Le mie ricerche nell’Archivio delle Indie hanno confermato non solo che fra Gamboa si chiamava davvero Juan, ma anche che era presente a Manila almeno già dal 1615, sicché l’indicazione del 1621 o fu un lapsus per 1611 o si riferiva non all’arrivo a Manila, ma ad iniziative presevi nel 1621. Per inciso, fra José de Medrano, che era Provinciale quando nel 1643 fu inviata a Gil González Dávila l’accennata sintesi storica della Provincia, non ebbe modo di veder partire i due frati per Manila in quanto egli entrò nell’Ordine in Messico solo nel 1613, quando aveva appena quindici anni; fu invece proprio lui ad organizzare un secondo invio di frati nelle Filippine, che riuscirono questa volta a restarvi stabilmente, e nella Patente del 27 febbraio 1641 con cui li autorizzò a partire, rievocò così il primo tentativo: “In anni passati i Religiosi del nostro Ordine e Istituto furono chiamati nella Città di Manila per farvi fondazioni; e furono in virtù di ciò inviati Fra Juan de Gamboa e Fra Luca de los Angeles, che fondarono nella suddetta Città di Manila un Ospedale, intitolato dei Convalescenti, in un Orto e Case, che dicono donò loro un Signor Arcivescovo della suddetta Città di Manila”. In effetti, quando a distanza d’un secolo fra Maldonado scrive il suo libro, attesta che tale donazione dell’arcivescovo di Manila, mons. Diego Vazquez de Mercado, era ancora in loro possesso ed In una successiva puntata ci soffermeremo sulle benemerenze che i due frati si guadagnarono gestendo il Convalescenziario donato loro dall’arcivescovo e che sono attestate da deposizioni giurate, da me scovate a Siviglia nell’Archivio delle Indie ed oggi in parte disponibili anche in rete. Per ora basti solo accennare che il rifiuto del Consiglio Comunale ad appoggiare la petizione dei due frati fu dovuto ad una certa rigidezza nel seguire le norme per l’insediamento di Comunità Religiose nei territori d'oltremare, che andavano previamente autorizzate dal Re, sicché la prassi era che fossero le Autorità locali a presentargli richiesta. Se accolta, era il sovrano che precisava al rispettivo Istituto quanti frati poteva inviare e per essi andava presentata la richiesta nominativa d’imbarco e specificata la destinazione: seguiva il rilascio di una Regia Licenza, che andava mostrata alle Autorità locali. Nel caso dei nostri frati, nel 1606 e 1607 il Fiscale di Manila e le Autorità Diocesane avevano supplicato d’affidare ai nostri frati gli Ospedali di Manila ed il Re aveva invitato la nostra Comunità di Madrid ad inviarvene quattro, ma non fu richiesta la Licenza per carenza al momento di frati disponibili. Solo nel 1611 se ne resero disponibili due in Messico, ma l’ingenuità fu di farli partire senza prima chiedere la Licenza: come si vedrà, furono vani i tentativi di chiederla da Manila. (Continua nel prossimo numero) “ I L M E LO G R A N O ” PERCHÉ S. GIOVANNI DI DIO È INVOCATO DAI MORENTI Fra Giuseppe Magliozzi o.h. i compiono il 22 di giugno 25 lustri dacché Leone XIII con Breve Apostolico del 22 giugno 1886 incluse nelle Litanie degli agonizzanti l’invocazione a San Giovanni di Dio e San Camillo de’ Lellis, che col medesimo Breve erano inoltre proclamati Patroni dei malati e degli ospedali. Era stato già Sant’Alfonso Maria de’ Liguori nell’assai noto manuale di devozione “Le Glorie di Maria” a divulgare un dettaglio della morte di San Giovanni di Dio che lo proponeva come paradigma a chi confidava nell’aiuto della Madonna per affrontar serenamente la morte. Così, parafrasando la biografia del Govea, egli descrive l’episodio: “San Giovanni di Dio stando in morte aspettava la visita di Maria, di cui era molto divoto; ma non vedendola comparire ne stava afflitto, e forse anche se ne lagnava. Ecco, quando fu tempo, le apparve la divina Madre, e quasi riprendendolo della sua poca confidenza gli disse queste tenere parole, che servono ad animare tutti i servi di Maria: Ioannes, non est meum, in hac hora meos devotos derelinquere. Come gli dicesse: Giovanni mio, e che pensavi? Ch’io ti avessi abbandonato? E non lo sai ch’io non so abbandonare nell’ora della morte i divoti miei? Non son venuta prima, perché non era ancora venuto il tempo: ora che S è giunto, eccomi son venuta a prenderti, andiamocene al paradiso. E poco dopo il santo spirò, volando al cielo a ringraziare per sempre la sua amantissima Regina”. Invocare San Giovanni di Dio in punto di morte significa perciò aver fiducia che la Vergine certamente verrà in aiuto, come fece con quel santo, ed aiuterà anche noi a volare al cielo. Da poco in Francia han ultimato il restauro del magnifico dipinto, riprodotto anche nella copertina di questo La tela dipinta da Jean Jouvenet nel 1691. mese e raffigurante appunto il glorioso arrivo in cielo di San Giovanni di Dio. Ne è autore uno dei più popolari pittori francesi d’arte sacra, Jean Jouvenet, nato nel 1644 a Rouen e morto nel 1717 a Parigi, dove fu membro e poi rettore dell’Accademia di Pittura. La tela, che è larga m. 2,45 ed è alta m. 3,20, è firmata e porta la data del 1691. Commissionata in occasione della Canonizzazione di San Giovanni di Dio per l’Ospedale della Carità che i Fatebenefratelli avevano a Parigi, fu poi confiscata durante la Rivoluzione Francese e data alla città di Aix-en-Provence nel 1821; dal 1974 era nella Chiesa dell’Ordine di Malta, ma appariva deteriorata, per cui fu velinata ed infine inviata a Marsiglia, dove dal 2003 al 2009 è stata sottoposta ad un lungo ma impeccabile restauro, che le ha restituito lo splendore dei colori originari e la finezza della composizione. La tela raffigura in alto Cristo e Dio Padre, splendenti della luce dello Spirito Santo e che accolgono San Giovanni di Dio, trionfalmente scortato dagli angeli che reggono nelle mani i tradizionali simboli del santo: il crocifisso sintetizzante la sua viva devozione alla Passione, lo scudo recante il motto Charitas, il giglio della purezza, la melagrana con cui il Bambinello lo indirizzò a Granada, la corona di spine con cui la Madonna gli predisse le prove da sostenere ed infine la corona di fiori che ora ne premia la santità. 15 SANITÀ RICERCA ITALIANA: SCOPERTA UNA MOLECOLA INIBENTE I VASI TUMORALI Raffaele Villanacci l termine “tumore” o “cancro” risuona con sempre maggiore frequenza e la sua sconfitta rappresenta una delle grandi sfide della medicina. Per combattere un nemico così infido, però, bisogna conoscerlo al fine di attivare quei sistemi di attacco atti a fronteggiarlo con la speranza di distruggerlo. Fino a pochi decenni orsono le speranze di sopravvivere a un tumore erano scarse e riposte quasi tutte nella capacità terapeutica chirurgica. Le altre branche della medicina (oncologia, diagnostica per immagini, radioterapia, ecc.) potevano supportare la preziosa opera del chirurgo ma difficilmente riuscivano, con il loro modesto contributo, a modificare il corso della malattia. Oggi le cose sono cambiate e si affronta la malattia tumorale avendo a disposizione molte armi in più. L’arrivo di metodiche diagnostiche come la TC, la RMN, la TAC/PET, l’ecografia, la diagnostica di laboratorio e l’istopatologia hanno permesso di tracciare, paziente per paziente, un tragitto personalizzato lungo il quale, in modo strategico, si stabiliscono le tappe necessarie a porre diagnosi, terapia e i controlli necessari e utili per salvaguardare la vita di tutti i pazienti. A ciò si affiancano tecniche chirurgiche all’avanguardia, trattamenti radioterapici sempre più mirati e protocolli oncologici innovativi. Tutto ciò anche grazie alla ricerca tesa a scoprire presidi diagnostici e terapeutici sempre più efficaci. È pertanto, con estrema soddisfazione poter leggere, sugli organi di informazione scientifica, la notizia che i ricercatori del San Raffaele di Milano hanno pubblicato nel mese di aprile 2011, sulla prestigiosa rivista I 16 internazionale “Cancer Cell”, il risultato di una scoperta frutto di una ricerca tutta Made in Italy. Il lavoro è stato coordinato dal dott. Michele De Palma, ricercatore del San Raffaele, e dal professor Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San RaffaeleTelethon per la Terapia Genica e docente presso l’Università VitaSalute San Raffaele. L’oggetto dello studio è stato quello di dimostrare che si può ridurre la formazione di vasi sanguigni tumorali, ritardando la crescita della massa neoplastica. Infatti il gruppo di ricerca ha dimostrato come una molecola prodotta dai tumori, l’angiopoietina-2 (ANG2), sia uno stimolo alla formazione di vasi sanguigni tumorali. Gli studiosi, quindi, hanno evidenziato come la funzione “pro-angiogenica” (a favore della formazione e crescita dei vasi sanguigni tumorali) sia possibile inibirla attraverso una molecola farmacologica specifica. Tutti noi sappiamo, infatti, che una delle caratteristiche dei tumori è quello di avere una crescita molto accentuata e che per ottenere tale risultato i tumori hanno bisogno di incrementare la quantità di sangue a disposizione. I tumori, tale risultato, lo ottengono inducendo la creazione dei vasi sanguigni. Ove fosse possibile bloccare tale processo la malattia tumorale si potrebbe arrestare e/o farla regredire. Lo studio effettuato dai ricercatori italiani ha dimostrato tutto questo e in più ha evidenziato anche un altro elemento di importanza fondamentale: la mancata assuefazione o resistenza della molecola inibitrice nelle terapie prolungate. Spiega il dott. De Palma, infatti: “L’importanza della scoperta sta nell’aver dimostrato che l’inibizione dell’ANG2 non induce resistenza al trattamento, anche a seguito di trattamenti prolungati nel tempo”. Quindi la scoperta è valida anche, e soprattutto, per quei tumori che presentano resistenza. La partita non è ancora conclusa, però, in quanto dalla fase della ricerca si deve passare a quella della sperimentazione e applicazione terapeutica clinica attraverso i protocolli e i canali indicati dall’attuale normativa, al fine di poter valutare e analizzare gli effetti derivanti dall’inibizione neoangiogenetica della molecola sull’uomo. Un primo passo importante è stato fatto e si ci accinge, attualmente, a proseguire lungo il percorso difficile e arduo della battaglia contro i tumori avendo a disposizione un’arma in più. SANITÀ SHAKEN BABY SYNDROME Mariangela Roccu l termine “Shaken baby syndrome” fu coniato nel 1972 da John Caffey, un radiologo pediatrico, mentre Zimmerman e Bruce già nel 1946 segnalavano per la prima volta il quadro clinico tipico di questa sindrome; questo termine è ora usato per indicare l’insieme di segni clinici e radiologici di bambini sottoposti ad abusi. La sindrome da scossone nel bambino costituisce circa il 24% dei traumi cranici in bambini in età inferiore ai 2 anni. Questo trauma è frequente nei neonati e nei bambini sotto ai 2 anni, raramente però si superano i 6 anni e rappresenta il risultato di scuotimenti forzati e in parte associati ad altre lesioni più lievi, in un’età in cui la costituzione corporea è più fragile. I L’abuso fisico o trauma non accidentale è la causa principale di un grave trauma cranico nei lattanti e rimane una causa significativa di morbilità e mortalità dei bambini. Gli autori di queste violenze sono prevalentemente: i padri, i conviventi uomini, le baby sitter femmine e le madri. Anche i bambini facenti parte di una minoranza etnica e in particolare i bambini di colore sono più frequentemente vittime di violenze rispetto ad altre etnie. Questi dati possono essere soggetti a dei “biases” in quanto oltre alla mancata denuncia, questa sindrome è difficile da definire e da individuare, poiché molte delle lesioni non sono dimostrabili. Alcune ricerche mettano in luce che le normali attività di cura del bambino o del lattante (a esempio il dondolio), o le cadute a terra da basse altezze non sono sufficienti a causare la sindrome. È tuttavia sottile la linea di confine che permette di arrivare a quello che è definito un “abuso”, ed è frequente l’episodio di genitori che, di fronte al pianto insistente del bambino, sconfortati, giungano all’impeto di“scuotere” il proprio figlio. La Sindrome del Bambino Scosso (SBS) si caratterizza per danni neurologici che variano dal coma fino alla morte e indica una varietà di segni e di sintomi secondari allo scuotimento violento o a traumi della testa. Possono essere presenti febbre, letargia, irritabilità, ridotta suzione e vocalizzazione, difficoltà respiratorie e apnea, convulsioni, vomito, fratture della teca cranica ridotto stato di coscienza o incoscienza nei casi più gravi. I danni a carico di bambini abusati possono interessare anche altri organi: l’addome, dove sono colpiti generalmente il fegato, il duodeno, il pancreas, il mesentere e la milza. Sarà importante, quindi, valutare l’intensità e localizzazione del dolore fisico, nel cui trattamento sono indicate terapie cognitive-comportamentali, queste demandate allo psicologo, l’utilizzo di esercizi di rilassamento o ipnosi, mentre per distrarre il piccolo paziente dal dolore l’infermiere può utilizzare le tecniche d’immaginazione. Con il bambino in fase preadolescenziale sono suggerite le strategie di coping, tecniche di visualizzazione, di distrazione. L’assistenza clinica infermieristica di questi piccoli pazienti non sarà diversa da un normale trauma cranico o politrauma; differente sarà invece l’approccio, di tipo multidisciplinare, che vedrà coinvolti non solo l’infermiere, che potrebbe assumere un ruolo di case manager, gli specialisti medici, ma anche lo psicologo, l’assistente sociale. Sin dal primo ricovero sarà bene denunciare alle autorità competenti il sospetto caso di abuso e nello stesso tempo sostenere la famiglia e il bambino in questo percorso. Sebbene un caso d’abuso nel bambino non sia un accesso frequente nei Dipartimenti d’Emergenza, l’attenzione scrupolosa, la formazione e la sensibilizzazione del personale medico e infermieristico possono migliorare la risposta ai bisogni di natura clinico-assistenziale, sociale ed educativa di questi piccoli pazienti. Diviene quindi necessario, attivare numerose risorse e professionisti in grado di migliorare le capacità educative dei genitori e quei comportamenti sociali che hanno portato al maltrattamento, senza mai dimenticare il rispetto e la tutela dei diritti del bambino. Anche la North American Nursing Diagnosis Association (NANDA) identifica tra le diagnosi infermieristiche il “Coping inefficace della famiglia correlato a fattori ambientali o personali”, che si può manifestare con l’abuso dei bambini e dove l’infermiere pediatrico può intervenire in maniera autonoma, identificando i fattori di rischio, promuovendo un ambiente terapeutico sul problema di abuso, educando i genitori e la comunità. 17 O S P E DA L E S A N P I E T R O - R O M A TESTIMONIANZA OGGI DEL CARISMA DI SAN GIOVANNI DI DIO Frosinone, 21 Maggio 2011 Preg.mo DIRETTORE GENERALE OSPEDALE SAN PIETRO VIA CASSIA, 600 - 00189 ROMA (RM) E p.c. Preg.ma RENATA POLVERINI PRESIDENTE REGIONE LAZIO VIA CRISTOFORO COLOMBO, 112 - 00147 ROMA Gentile Direttore Le scrive una cittadina italiana nata in Colombia, che vide la sua vita sconvolta quando un anno fa le fu diagnosticato un tumore al seno. Una malattia che mi ha buttata nel più profondo dei bui. Oggi ho finito soddisfattoriamente gran parte del mio percorso oncologico. E inizio a fare un bilancio di quest’ultima e importante parte della mia vita. Mi rendo conto che sin dall’inizio sono stata una persona molto fortunata, non solo perché ho trovato il tumore in tempo ma, soprattutto, perché mi sono rivolta a una struttura come la vostra dove il paziente non è solo quello ma un essere umano che ha bisogno di essere accompagnato in quel momento così particolare. All’Ospedale San Pietro ho avuto la fortuna di incontrare due persone che sono state determinanti nel mio processo di guarigione: i professori Simone Vita e Damiano Bertucci, che sono intervenuti con celerità e hanno messo tutta la loro conoscenza ed esperienza a mia disposizione. Un anno dopo solo posso che esprimere il mio più sincero ringraziamento per tutto quello che avete fatto per me. Ai professori Vita e Bertucci per l’immensa disponibilità con cui mi hanno accolta, al personale infermieristico per tutte le cure ricevute e al personale in generale dell’Ospedale per aver fatto sì che i miei giorni di degenza fossero meno grigi. Senza il vostro valido contributo sono certa che il mio percorso oncologico sarebbe stato molto diverso. Di nuovo, grazie mille. Ximena Rosa Nino Roma 23 maggio 2011 Gent.ma Sig.ra Ximena Rosa Nino Gentile Signora Rosa La ringrazio per le belle parole che ha voluto tributare al nostro Ospedale e al nostro 0rdine ospedaliero. Per fortuna riceviamo molto attestati di stima e di plauso per 1’attività sanitaria che giornalmente svolgiamo. Purtroppo i mass media sembrano più interessati a divulgare i fatti negativi, meglio ancora se scandalistici, piuttosto che divulgare lettere come la sua dove si ricorda la cura e la passione che giornalmente prestiamo alle decine di migliaia di pazienti che visitano le nostre strutture. Per questo motivo siamo molto felici quando qualcuno riconosce i nostri meriti, ma soprattutto riconosce nel nostro operato una “diversità” che trae origine non solo nella terapia ma nella umanizzazione della assistenza. La ringrazio per le sue bellissime parole. Mi sono rimaste scolpite nella mente e nel cuore la sua frase “sono stata una persona fortunata..... (...) perché mi sono rivolta a una struttura come la vostra dove il paziente non è solo quello ma un essere umano che ha bisogno di essere accompagnato in quel momento”. Molti confratelli e molti collaboratori non potranno fare a meno di leggere nelle sue parole i dettami del nostro Fondatore san Giovanni di Dio e perché non penseranno agli insegnamenti di molti nostri confratelli che in periodi di “relativismo sanitario” sono divenuti paladini della “umanizzazione della cura”. Leggere che Lei ha recepito nella nostra struttura il carattere “umanizzante” della assistenza ci riempie di orgoglio e ci sprona a continuare per questa strada, anche e soprattutto tra le mille difficoltà, con i budget sempre più penalizzanti e con risorse economiche sempre più limitate. In conclusione nel ringraziarla anche a nome dei miei confratelli e di tutti i nostri collaboratori, ovviamente in primis tutti gli operatori sanitari, il dott. Vita e il dott. Bertucci che l’hanno curata, la saluto ricordando che quello che abbiamo fatto a lei e a molti altri pazienti non è altro che il nostro dovere e che per noi “ Il malato è il centro della nostra vita.... è la nostra scuola, la nostra università “ Fraternamente Il Direttore generale Fra Gerardo D’Auria o.h. 18 O S P E DA L E S AC R O C U O R E D I G E S Ù - B E N E V E N T O CARDIOLOGIA Nuove strategie diagnostiche e terapeutiche Alfredo Salzano ’Ospedale Sacro Cuore di Gesù Fatebenefratelli di Benevento - Dipartimento di Medicina e Cardiologia, ha organizzato venerdì 6 maggio, presso il Teatro di Palazzo De Simone, il congresso annuale “CARDIOLOGIA 2011: nuove strategie diagnostiche e terapeutiche. L L’evento di quest’anno è stato interamente focalizzato su 4 argomenti: n n n il post-infarto; la rivascolarizzazione “guidata” dalla presenza di ischemia, la valvuloplastica aortica; la presentazioni di nuovi farmaci. Il primo argomento, ha dichiarato il dott. Bruno Villari - direttore dell’unita complessa di cardiologia e del Dipartimento Medicina, è stato dedicato alla gestione dei pazienti con infarto miocardico acuto dopo la loro dimissione, e in particolare, all’individuazione dei pazienti ad “alto rischio”, mi riferisco a quei soggetti che con maggiore probabilità avranno eventi nel follow-up: identificare i marcatori di rischio rappresenta un elemento importante per ottimizzare la terapia farmacologica e stabilire controlli molto più stretti nel tempo. Tuttavia uno dei maggiori problemi della gestione dei pazienti nel post-infarto è rappresentato dalle complicanze farmacologiche e la scarsa adesione dei pazienti, per una serie di fattori sociali, culturali che sono stati analizzati dettagliamente in diverse relazioni. Il secondo argomento affrontato ha proseguito Bruno Villari - è stato la rivascolarizzazione “guidata” dal riflesso oculo-stenotico o guidata dall’ischemia. Recentemente, in un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine, è stato dimostrato che circa 1/3 degli esami coronarografici sono rappresentati da coronarie normali. Inoltre, un aumento così importante degli esami diagnostici invasivi non ha portato nessun vantaggio in termini di mortalità. Il terzo tema, è stato poi dedicato al trattamento della stenosi valvolare aortica per via percutanea. La stenosi valvolare aortica degenerativa è la patologia valvolare più frequente nella popolazione adulta e la sostituzione valvolare chirurgica rimane il trattamento di scelta per questi pazienti. Tuttavia, ha proseguito nella sua intervista il dott. Villari quando l’intervento chirurgico è considerato troppo a rischio o è controindicato per una severa comorbidità tale da renderli “inoperabili” per l’intervento chirurgico tradizionale, è disponibile una nuova tecnica non chirurgica di sostituzione valvolare percutanea, che viene effettuata, quindi, interamente in sala di emodinamica. Infine, nell’ultima sessione - ha proseguito il direttore organizzativo del Congresso Bruno Villari, abbiamo presentato 4 nuovi farmaci, utilizzati per combattere le malattie vascolari che rappresentano la prima causa di morte, di recente entrati in commercio o che stanno per essere introdotti nella nostra Nazione come: il Dronedarone, il Dabigratan, l’Aliskiren e la Ranolazina. Si tratta di farmaci innovativi, assolutamente unici, che necessitano di essere portati assolutamente a conoscenza dei Dott. Bruno Villari. medici perché rappresentano una soluzione concreta per le patologie cardiologiche molto critiche. “In chiusura posso affermare - ha dichiarato il dott. Bruno Villari - di essere più che soddisfatto della riuscita del Congresso del 6 maggio, per la qualità delle relazioni di alto profilo medico sostenute nel corso della giornata dagli illustri professori provenienti da ogni parte d’Italia. È stato ribadito, infine, anche in sede di dibattito, che l’obiettivo è quello di riuscire a coordinare correttamente e con attenzione la terapia da somministrare in Ospedale a un paziente infartuato, con quello che accade in fase di follow up; sappiamo, infatti, che gran parte dei benefici che si acquisiscono in una prima fase, quasi sempre si perdono successivamente nel “continuum” assistenziale. Pertanto, ci proponiamo, come Ospedale Fatebenefratelli di Benevento, di avere un ruolo guida per i degenti anche in una fase di riabilitazione nel post-infarto, in maniera scrupolosa e attenta, tenendo fede ai risultati brillanti ottenuti dalla nostra Divisione di Cardiologia dal 1999 a oggi. L’appuntamento con un nuovo Congresso dedicato alla Cardiologia è già fissato per il 2012 con ulteriori novità. 19 O S P E DA L E B U O N C O N S I G L I O - N A P O L I ASSOCIAZIONE GERMOGLIARE ONLUS Antonello Grasso abato 7 maggio 2011, all’Ospedale Buon Consiglio è stata presentata al pubblico l’Associazione GERMOGLIARE onlus. La cerimonia inaugurale è stata presieduta dal padre superiore, fra Alberto Angeletti. S Nel suo discorso di apertura, fra Alberto ha sottolineato il grosso valore di quest’iniziativa e dell’ambizioso progetto che si propone, ossia di creare la prima banca del latte materno umano donato. “Se per un germoglio di grano - ha proseguito il Superiore - l’uomo è capace di fare del suo meglio per garantire una crescita sana e vigorosa, tanto meglio può e deve fare, affinché a un suo simile sia garantita la migliore assistenza nella primissima delicata fase della sua vita”. Germogliare onlus è un’Associazione senza scopo di lucro, nata su iniziativa di genitori di neonati che hanno avuto necessità di cure intensive nell’Ospedale Buon Consiglio e lavora per aiutare gli operatori sanitari a offrire ai neonati, alle loro mamme e alle loro famiglie servizi, tecnologie e competenze che possano rispondere ai loro bisogni, nei momenti di maggiore fragilità. Il principale progetto che l’Associazione si propone di realizzare è quello dell’organizzazione della prima banca del latte umano donato della Regione Campania. Da sempre il latte materno ha rappresentato l’alimento ideale per i neonati a termine come per quelli nati pretermine. Il latte materno per i neonati prematuri, oltre a essere un alimento biologico formidabile per la crescita e lo sviluppo psicomotorio, rappresenta la migliore difesa contro le infezioni. Quasi sempre però, proprio le mamme dei bambini prematuri non riescono a produrre il latte per nutrire il proprio bambino, perché la necessità di assistenza del neonato in incubatrice fa mancare la stimolazione del seno materno, necessaria per il mantenimento della secrezione di latte. Alcune mamme di bimbi nati dopo gestazione completa, però, hanno la fortuna di produrre molto più latte di quanto serva al proprio bambino e possono donarne una piccola quantità, da conservare in una banca del latte ospitata presso un reparto di Neonatologia, che potrà poi destinarlo a neonati che ne hanno bisogno. Le banche del latte umano donato sono disponibili in molti Ospedali del Centro Nord Italia, quasi nessuna al Sud. Germogliare onlus conta sulla solidarietà delle mamme e dei papà che hanno vissuto da vicino i successi e le frustrazioni, l’impegno e le speranze che animano il lavoro di infermieri e medici in una Terapia Intensiva Neonatale e di quanti vorranno contribuire con un po’ del loro tempo a trovare risorse da impiegare per poter offrire cure sempre migliori ai piccoli neonati in difficoltà. Contatti: Presidente: dott. Gennaro Salvia Codice fiscale: 95134150630 Tel.: 0815981758 Fax: 0812144358 E-mail: [email protected] Sito internet: www.germogliare.it Per sostenere l’associazione: È possibile effettuare donazioni per sostenere le iniziative di Germogliare onlus, mediante versamento sul c/c n° 100000016503 di BANCA PROSSIMA S.P.A., filiale di MILANO (tutte le donazioni a favore di una onlus sono deducibili dalle tasse). È possibile destinare il 5 x mille della dichiarazione dei redditi a Germogliare onlus, inserendo il codice fiscale 95134150630 e apponendo la firma nell’apposito riquadro presente sul modello di dichiarazione fiscale. 20 O S P E DA L E B U O N C O N S I G L I O - N A P O L I MADONNA DEL BUON CONSIGLIO: MADRE SPIRITUALE E CONSIGLIERA Roberta De Luca a solennità della Madonna del Buon Consiglio ricorre il 26 aprile fin dal 1787 quando Pio VI la fece inserire come memoria nel calendario proprio dell’Ordine di Fatebenefratelli. Mentre quest’anno la ricorrenza della Madonna del Buon Consiglio è stata rinviata al 2 maggio in quanto le feste dei Santi, compresa la Madonna, perché coincidente quest’anno con l’ottava di Pasqua. La popolarità della devozione alla Madonna del Buon Consiglio è dovuta in modo particolare a fra Orsenigo che ottenne da Leone XIII nel 1903 di inserirLa nelle Litanie Lauretane che usiamo recitare al termine del Rosario: Madre del Buon Consiglio, prega per noi. Le Litanie Lauretane, assieme a quelle per l’incoronazione d’una immagine della Madonna, sono le uniche figuranti oggi nei libri liturgici del Rito Romano. I testi liturgici della Messa in onore della Madonna del Buon Consiglio, specie l’orazione, delineano il senso del titolo mariano in modo solenne. La Madonna del Buon Consiglio è riconosciuta dai fedeli come madre spirituale e consigliera. Tutti si rivolgono a Maria per trovare in Lei consiglio e aiuto nelle necessità temporali e più ancora in quelle spirituali. La festa della Madonna del Buon Consiglio ha soprattutto, come obiettivo, di fomentare la devozione dell’Ordine ospedaliero di san Giovanni di Dio e dei fedeli verso la Beata Vergine Maria e di invocare con rinnovata insistenza il suo aiuto materno. Nella mattinata è stata concelebrata la solenne messa presieduta dal cappellano Padre Giacinto Caronia L con fra Narciso e altri sacerdoti delle chiese locali. Nella cappella erano presenti i collaboratori ospedalieri, i pazienti e i loro parenti. Molti partecipanti si sono soffermati a leggere una lapide che riporta che nel febbraio 1958 in occasione del centenario della Madonna di Lourdes, il Papa Pio XII, la volle esposta sul suo altare privato per celebrare il S. Sacrificio della messa. Nello stesso anno è stato organizzato una solenne peregrinatio con il quadro della Madonna del Buon Consiglio in tutta le Case della Provincia Romana conclusasi nel mese di novembre. Dopo la solenne concelebrazione, nello spazio antistante al bar, il superiore fra Alberto Angeletti, in occasione della ricorrenza della Patrona dell’Ospedale di Napoli da cui prende il suo nome “Buon Consiglio”, ha voluto ricordare che dall’8 marzo 2011 all’8 marzo 2012 viene celebrato un anno giubilare di tutta la Famiglia di san Giovanni di Dio e cioè dai religiosi dell’Ordine, da tutti i collaboratori, dai volontari, dai benefattori e dagli stessi pazienti, presenti nei Centri dell’Ordine nei cinque continenti. Gli incontri e gli eventi organizzati, in quest’anno, serviranno a rinvigorire la diffusione del carisma dell’ospitalità secondo lo spirito di san Giovanni di Dio affinché i malati e le persone bisognose potranno continuare a beneficiare di questa stretta collaborazione e condivisione di valori tra l’Ordine e i laici. Da sempre l’Ordine ha fatto affidamento sui collaboratori nell’esercizio dell’ospitalità che si traduce in un servizio accogliente che permette ai pazienti di recuperare la propria autonomia. I festeggiamenti si sono conclusi con un rinfresco. 21 O S P E DA L E B U C C H E R I L A F E R L A - PA L E R M O VIA CRUCIS VIVENTE IN OSPEDALE Cettina Sorrenti uccesso di pubblico e di consensi per la prima edizione della Via Crucis vivente, che si è svolta all’interno dell’Ospedale la sera della Domenica delle Palme. Tutti gli angoli della struttura sono stati trasformati per fare da splendido scenario alla Sacra rappresentazione che ha fatto rivivere la Passione di Cristo. Organizzata dal nostro servizio di cappellania, con la regia di suor Valentina, l’iniziativa ha coniugato l’aspetto mistico della Passione di Cristo, con le belle coreografie che si sono snodate all’interno dell’Ospedale. Le scene hanno avuto inizio davanti il Convento dei Frati, con la rappresentazione dell’ultima cena. La celebrazione della Via Crucis è stato guidata da fra Luigi Gagliardotto - superiore dell’Ospedale accompagnato dal narratore. “La croce di Cristo è la nostra gloria, ha affermato il Sacerdote durante la preghiera di apertura - in essa l’uomo ha trovato la speranza per rico- S 22 minciare ogni giorno a vivere nella gioia; ad affrontare la vita non con sentimenti negativi ma positivi. Dietro la croce c’è la Risurrezione, la vita e l’uomo ogni giorno sono chiamati a risorgere. La settimana santa deve essere vissuta in profondità, attingendo dai vari riti dell’intera settimana quel necessario aiuto spirituale per celebrare degnamente la Pasqua del Signore con cuore rinnovato e con la gioia nel cuore, contro ogni cultura di stanchezza, noia, angoscia e morte alimentata erroneamente da chi non ha fede in Dio e non ha speranza nel domani”. Un cast d’eccezione per la serata, con la partecipazione straordinaria dei collaboratori dell’Ospedale: dai medici agli infermieri, dagli ausiliari agli amministrativi, e ancora dagli addetti alla manutenzione ai giovani che frequentano la Chiesa, al Direttore sanitario. Ben 85 sono stati i figuranti che nei giorni precedenti la rappresentazione hanno trasformato alcune parti dell’Ospedale in un palcoscenico per le prove della rappresentazione. Costumi, scenografie (curati da suor Serena con la collaborazione di persone volenterose), impianti elettrici e testi: ogni particolare è stato curato dagli organizzatori con intensa passione, realizzando artigianalmente tutti gli apparati scenici e i costumi utilizzati per l’evento. La rappresentazione ha ripercosso i momenti salienti della Vita di Cristo tra musiche e narrazioni che hanno creato atmosfere affascinanti. Numerosi i personaggi chiamati a recitare: Gesù, gli Apostoli, Maria, la Veronica, Pilato, Barabba, i soldati romani, le pie donne e i ladroni. Il programma dopo l’Ultima Cena ha previsto la cattura di Gesù nell’orto degli ulivi dopo il tradimento di Giuda, a cui è seguito il giudizio dinanzi ai sommi sacerdoti dell’antico tribunale sacerdotale ebraico, il Sinedrio. Il quadro scenico si è spostato poi innanzi al procuratore romano Ponzio Pilato, il quale, su incitamento della folla, ha condannato il Cristo alla morte. A questo punto ha avuto inizio il maestoso e commovente corteo che, attraverso i viali dell’Ospedale, ha condotto Gesù, caricato della pesante croce, guidato dai soldati romani e seguito dalla Madre, dalla Veronica, dalle pie donne e dai discepoli, verso il luogo del Golgota, inscenato dietro la Chiesa. Qui sono state erette tre enormi croci lignee, sulle quali si è consumata la crocifissione del Cristo e dei due ladroni, uno alla sua destra, l’altro alla sua sinistra. Il rito sacro si è concluso con la deposizione di Gesù dalla croce e con la sua risurrezione. MISSIONI FILIPPINE NEWSLETTER S A N R I C C A R D O PA M P U R I Poiché coincideva con l’ottava di Pasqua, quest’anno la festa di San Riccardo Pampuri è stata posposta al due maggio e le nostre Comunità, come di consueto, si sono riunite ad Amadeo per celebrarvela assieme, ma è dovuta restare al primo maggio l’annuale Rinnovazione di Voti di fra Riccardo S. Nelson, fra Rocco T. Jusay e fra Aroldo I. Alquicer nelle mani del Delegato Provinciale fra Ildefonso de Castro, fungendo da testimoni il Priore di Manila e fra Vittorio Paglietti. La Rinnovazione dei Voti dei tre Confratelli Scolastici è avvenuta durante la Messa Vespertina che ha celebrato nella nostra Cappella di Manila don Giorgio Kallumkal, alla presenza anche delle due Comunità di Manila delle Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù. Proprio alla stessa ora ha avuto luogo in Roma la Beatificazione del Papa Giovanni Paolo II e la coincidenza è stata sentita come un invito a vivere la nostra Consacrazione al Signore con la stessa sorridente fiducia del coraggioso pontefice polacco. All’indomani ad Amadeo la Messa Solenne è stata presieduta da mons. Teodoro J. Buhain, ausiliario emerito di Manila, e con lui ha concelebrato il Parroco locale, don Oliver L. Genuino. Pur essendo giorno feriale, è stata numerosa la partecipazione dei nostri vicini del Barrio Salaban e del piccolo mondo che ruota attorno al nostro Centro di Riabilitazione per ragazzi disabili. Ai disabili ha fatto riferimento mons. Buhain nell’omelia, invitando ad imitare San Riccardo Pampuri nel difendere la dignità d’ogni essere umano, specie se sofferente o menomato, assistendolo con amore in ogni suo bisogno. Nel presbiterio, che quest’anno è stato decorato con grande solennità, troneggiava una reliquia di San Riccardo Pampuri, che al termine del Rito Eucaristico è stata offerta al bacio dei fedeli. nati momenti di riflessione guidata e di preghiera, nonché opportune pause di svago, fino alla Messa di chiusura, che ha celebrato il nostro amico vescovo e affiliato all’Ordine, mons. Teodoro J. Buhain. C A M P O VO C A Z I O N A L E Sotto l’auspicio della Madonna di Fatima ed in collaborazione con le Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù è stato organizzato il venerdì 13 ed il sabato 14 maggio nella nostra Casa di Amadeo un Incontro Vocazionale Giovanile cui ha partecipato un gruppo misto di 65 persone, in gran parte di Manila, ma con una discreta rappresentanza del comprensorio di Amadeo: quasi tutti sono attivamente impegnati in Parrocchia e la loro età è compresa tra i 16 ed i 30 anni. L’incontro è iniziato con una presentazione della personalità e spiritualità di San Giovanni di Dio e l’invito a raffigurare con gruppi plastici viventi i cinque episodi centrali dell’epopea del Santo. Si sono poi alter- Fra Pio con la toga da diplomato. F E S TA D I D I P LO M A Quest’anno sono stati quattro i Confratelli che hanno concluso i loro studi professionali: l’ultimo è stato fra Pio A. Troyo, che ha conseguito a Manila il diploma biennale di Infermiere Generico presso la Scuola Infermieri di Sant’Agostino. La solenne cerimonia di consegna dei diplomi c'è stata il 25 maggio. L’IMPRESA DI MENNI La Rinnovazione dei Voti di fra Rocco. A Manila nello Juniorato delle Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù è stata organizzata anche quest’anno una giornata di studio sulla figura del loro Fondatore San Benedetto Menni. C’è stata il 28 maggio e l’ha animata il Priore di Manila, focalizzando la fiduciosa docilità del Santo ai piani del Signore, nonché gli obiettivi e le difficoltà che incontrò nel far rifiorire l’Ordine Ospedaliero nel mondo ispano-lusitano, dove dette vita ad una Provincia ispirata ai principi di riforma, personalmente indicatigli dal Beato Pio IX. 23 I FATEBENEFRATELLI ITALIANI NEL MONDO I Fatebenefratelli d'ogni lingua sono oggi presenti in 52 nazioni con circa 290 opere. I Religiosi italiani realizzano il loro apostolato nei seguenti centri: CURIA GENERALIZIA www.ohsjd.org • ROMA Centro Internazionale Fatebenefratelli Curia Generale Via della Nocetta 263 - Cap 00164 Tel 06.6604981 - Fax 06.6637102 E-mail: [email protected] Ospedale San Giovanni Calibita Isola Tiberina 39 - Cap 00186 Tel 06.68371 - Fax 06.6834001 E-mail: [email protected] Sede della Scuola Infermieri Professionali “Fatebenefratelli” Fondazione Internazionale Fatebenefratelli Via della Luce 15 - Cap 00153 Tel 06.5818895 - Fax 06.5818308 E-mail: [email protected] Ufficio Stampa Fatebenefratelli Lungotevere deʼ Cenci 4 - Cap 00186 Tel 06.68219695 - Fax 06.68309492 E-mail: [email protected] • CITTÀ DEL VATICANO Farmacia Vaticana Cap 00120 Tel 06.69883422 Fax 06.69885361 • PALERMO Ospedale Buccheri-La Ferla Via M. Marine 197 - Cap 90123 Tel 091.479111 - Fax 091.477625 www.ospedalebuccherilaferla.it • MONGUZZO (CO) Centro Studi Fatebenefratelli Cap 22046 Tel 031.650118 - Fax 031.617948 E-mail: [email protected] • ALGHERO (SS) Soggiorno San Raffaele Via Asfodelo 55/b - Cap 07041 • ROMANO DʼEZZELINO (VI) Casa di Riposo San Pio X Via Cà Cornaro 5 - Cap 36060 Tel 042.433705 - Fax 042.4512153 E-mail: [email protected] MISSIONI • FILIPPINE San Juan de Dios Charity Polyclinic 1126 R. Hidalgo Street - Quiapo 1001 Manila Tel 0063.2.7362935 - Fax 0063.2.7339918 E-mail: [email protected] Sede dello Scolasticato e Postulantato della Delegazione Provinciale Filippina San Ricardo Pampuri Center 26 Bo. Salaban Amadeo 4119 Cavite Tel 0063.46.4835191 - Fax 0063.4131737 E-mail: [email protected] Sede del Noviziato della Delegazione Provinciale Filippina PROVINCIA ROMANA PROVINCIA LOMBARDO-VENETA www.provinciaromanafbf.it www.fatebenefratelli.it • ROMA Curia Provinciale Via Cassia 600 - Cap 00189 Tel 06.33553570 - Fax 06.33269794 E-mail: [email protected] Centro Studi e Scuola Infermieri Professionali “San Giovanni di Dio” Via Cassia 600 - Cap 00189 Tel 06.33553535 - Fax 06.33553536 E-mail: [email protected] Sede dello Scolasticato della Provincia Centro Direzionale Via Cassia 600 - Cap 00189 Tel 06.3355906 - Fax 06.33253520 Ospedale San Pietro Via Cassia 600 - Cap 00189 Tel 06.33581 - Fax 06.33251424 www.ospedalesanpietro.it • GENZANO DI ROMA Istituto San Giovanni di Dio Via Fatebenefratelli 3 - Cap 00045 Tel 06.937381 - Fax 06.9390052 www.istitutosangiovannididio.it E-mail: [email protected] Sede del Noviziato Interprovinciale • PERUGIA Centro San Niccolò Porta Eburnea Piazza San Giovanni di Dio 4 - Cap 06121 Tel e Fax 075.5729618 • NAPOLI Ospedale Madonna del Buon Consiglio Via A. Manzoni 220 - Cap 80123 Tel 081.5981111 - Fax 081.5757643 www.ospedalebuonconsiglio.it • BENEVENTO Ospedale Sacro Cuore di Gesù Viale Principe di Napoli 14/a - Cap 82100 Tel 0824.771111 - Fax 0824.47935 www.ospedalesacrocuore.it • BRESCIA Centro San Giovanni di Dio Via Pilastroni 4 - Cap 25125 Tel 030.35011 - Fax 030.348255 [email protected] Sede del Centro Pastorale Provinciale Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico San Giovanni di Dio Via Pilastroni 4 - Cap 25125 Tel 030.3533511 - Fax 030.3533513 E-mail: [email protected] Asilo Notturno San Riccardo Pampuri Fatebenefratelli onlus Via Corsica 341 - Cap 25123 Tel 030.3501436 - Fax 030.3530386 E-mail: [email protected] • CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI) Curia Provinciale Via Cavour 2 - Cap 20063 Tel 02.92761 - Fax 02.9241285 Sede del Centro Studi e Formazione Sede Legale Milano: Via San Vittore 12 - Cap 20123 e-mail: [email protected] Centro SantʼAmbrogio Via Cavour 22 - Cap 20063 Tel 02.924161 - Fax 02.92416332 E-mail:a [email protected] • SAN COLOMBANO AL LAMBRO (MI) Centro Sacro Cuore di Gesù Viale San Giovanni di Dio 54 - Cap 20078 Tel 037.12071 - Fax 037.1897384 E-mail: [email protected] • SAN MAURIZIO CANAVESE (TO) Beata Vergine della Consolata Via Fatebenetratelli 70 - Cap 10077 Tel 011.9263811 - Fax 011.9278175 E-mail: [email protected] Comunità di accoglienza vocazionale • SOLBIATE (CO) Residenza Sanitaria Assistenziale San Carlo Borromeo Via Como 2 - Cap 22070 Tel 031.802211 - Fax 031.800434 E-mail: [email protected] Sede dello Scolasticato • TRIVOLZIO (PV) Residenza Sanitaria Assistenziale San Riccardo Pampuri Via Sesia 23 - Cap 27020 Tel 038.293671 - Fax 038.2920088 E-mail: [email protected] • VARAZZE (SV) Casa Religiosa di Ospitalità Beata Vergine della Guardia Largo Fatebenefratelli - Cap 17019 Tel 019.93511 - Fax 019.98735 E-mail: [email protected] • VENEZIA Ospedale San Raffaele Arcangelo Madonna dellʼOrto 3458 - Cap 30121 Tel 041.783111 - Fax 041.718063 E-mail: [email protected] Sede del Postulantato e dello Scolasticato della Provincia • CROAZIA Bolnica Sv. Rafael Milosrdna Braca Sv. Ivana od Boga Sumetlica 87 - 35404 Cernik E-mail: [email protected] MISSIONI • ERBA (CO) Ospedale Sacra Famiglia Via Fatebenefratelli 20 - Cap 22036 Tel 031.638111 - Fax 031.640316 E-mail: [email protected] • ISRAELE - Holy Family Hospital P.O. Box 8 - 16100 Nazareth Tel 00972.4.6508900 - Fax 00972.4.6576101 • GORIZIA Casa di Riposo Villa San Giusto Corso Italia 244 - Cap 34170 Tel 0481.596911 - Fax 0481.596988 E-mail: [email protected] • TOGO - Hôpital Saint Jean de Dieu Afagnan - B.P. 1170 - Lomé Altri religiosi Fatebenefratelli sono presenti in: • BENIN - Hôpital Saint Jean de Dieu Tanguiéta - B.P. 7