21 INTRODUZIONE 1. Vitaliano e il dissidio familiare Il

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21 INTRODUZIONE 1. Vitaliano e il dissidio familiare Il
INTRODUZIONE
1. Vitaliano e il dissidio familiare
Il carme II,2,3 (Πρὸς Βιταλιανὸν παρὰ τῶν υἱῶν) di Gregorio di Nazianzo
rientra nella classificazione di "epistola poetica"1 insieme a quei componimenti che
gli editori maurini riunirono sotto l'etichetta di Poemata quae spectant ad alios2. Il
Nazianzeno scrive per conto di un figlio sventurato - l'io loquens - che è stato
cacciato da casa, insieme al fratello, dall'iroso genitore Vitaliano. Il figlio - grazie ai
versi di Gregorio - chiede al padre di placare l'ira, mostrando la sua εὐμένεια, e
consentire la riammissione nella casa paterna. Non è difficile ipotizzare che, nel
carme, il Nazianzeno abbia proiettato su Vitaliano gli antichi umori che aveva
nutrito verso il tirannico padre, Gregorio il Vecchio, che lo aveva costretto a scelte
non condivise, almeno in un primo tempo3. Il carme affronta, dunque, un
particolare, ma fondamentale aspetto delle dinamiche familiari4, cioè lo scontro
generazionale tra padre e figlio, che lo stesso Gregorio aveva vissuto in prima
persona. È una tematica presente anche nei carmina II,2,4 e II,2,5 - il dittico che si
atteggia a "scambio epistolare" tra un figlio Nicobulo junior e il padre, Nicobulo
senior, parenti di Gregorio – “una discussione in famiglia” accesa e dai toni aspri,
ma che alla fine presenta la conciliazione tra i due e mostra importanti consonanze
col nostro testo.
1
Definizione proposta da Keydell, p. 140 e comunemente accolta dagli studiosi, cfr. Wyss, Gregor II,
col. 811; Regali, Datazione, p. 373; Regali, Declamazioni, p. 529; Sykes, Reflection, p. 551.
2
I carmina che appartengono a questa sezione sono suddivisibili in due gruppi: al primo
appartengono quei componimenti che il Cappadoce indirizza ai suoi conoscenti, II,2,1 (Πρὸς
Ἑλλήνιον περὶ τῶν μοναχῶν προτρεπτικόν); II,2,2 (Πρὸς Ἰουλιανόν); II,2,6 (Πρὸς Ὀλυμπιάδα); II,2,7
(Πρὸς Νεμέσιον). Il secondo gruppo comprende quei carmi scritti per "conto di terzi": II,2,3; II,2,4
(Παρὰ Νικοβούλου πρὸς τὸν πατέρα); II,2,5 (Νικοβούλου πρὸς τὸν υἱόν).
3
Cfr. Greg. Naz. carm. II,1,11 v. 494; McLynn, Olympias, pp. 234-235 e nota 33; Van Dam, Families, p. 21
e nota 14. Sul complesso rapporto tra Gregorio e il padre, Gregorio il Vecchio, cfr. M. Corsano,
Autobiografia e tecnica poetica: gli epitaffi di Gregorio Nazianzeno al padre, Rudiae 13-14, 2001-2002, pp.
43-55; Van Dam, Families, pp.40ss.
4
Sulla famiglia nella tarda antichità si vedano, tra gli altri, M. Forlin Patrucco, Aspetti di vita familiare
nel IV secolo negli scritti dei Padri Cappadoci, in AA.VV., Etica Sessuale e Matrimonio nel Cristianesimo
delle origini, a cura di R. Cantalamessa, Milano 1976, pp. 158-179; B. D. Shaw, The family in late
antiquity: the experience of Augustine, Past & Present 115, 1987, pp. 3-51; G. S. Nathan, The family in late
antiquity. The rise of Christianity end the endurance of tradition, London-New York 2000, in part. pp.
133ss. dedicate al rapporto tra genitori e figli; M. Maritano, La famiglia "cristiana" secondo i Padri della
Chiesa, Salesianum 69, 2007, pp. 631-662; R. Alciati-M. Giorda, Famiglia cristiana e pratica monastica (IVVII secolo), Annali di Storia dell'Esegesi 27, 2010, pp. 265-290.
21
A Vitaliano sono indirizzate tre brevi missive da parte del Cappadoce (epist.
75, 193, 194) che rivelano una sicura conoscenza e frequentazione tra i due5: al
Gallay che studiò la tradizione manoscritta delle epistole del Nazianzeno e che ne
approntò l'edizione critica, si deve l'identificazione del Vitaliano destinatario di
carm. II,2,3 con quello delle epist. 193-1946, nonché dell'epist. 75.
Il confronto tra i dati che emergono da queste lettere e il carm. II,2,3 rivela
alcune connessioni interessanti in grado di fare luce sulle complesse dinamiche
religiose, sociali, pastorali e letterarie di cui fu intessuta la vita del Cappadoce,
specie negli ultimi anni. E ciò senza trascurare il carattere retorico e per più aspetti
convenzionale del componimento poetico in esame7.
L'epist. 193 si presenta come un "biglietto" in cui Gregorio si scusa per non
aver partecipato al banchetto nuziale della cara Olimpiade, allestito da Vitaliano8:
egli motiva la sua assenza con la malattia che lo affliggeva in quel periodo9,
respinge i presunti rimproveri di negligenza e pigrizia che Vitaliano gli avrebbe
avanzato10 e comunica di partecipare spiritualmente alle nozze, onorandole con le
preghiere11. Aperta è ancora la discussione sull'identità di questa Olimpiade e sul
ruolo che avrebbe caratterizzato Vitaliano. Molti studiosi12 hanno identificato la
donna con l'omonima che sarebbe diventata, a Costantinopoli, la diaconessa amica
del Crisostomo, per le cui nozze Gregorio avrebbe composto il carme II,2,6 e alla
5
Cfr. epist. 75, οὐ συνεχῶς ὁμιλοῦμέν σοι…; 193,1 dove Gregorio simula che a parlare sia Vitaliano: …
καὶ παρῆν ἐπισκόπων ὅμιλος· σὺ δὲ ἀπῆς ἡμῖν, ὁ γεννάδας. Da carm. II,2,3 vv. 235ss. si evince
chiaramente che Vitaliano ama circondarsi di un entourage sacerdotale, nel quale spicca il nome
dello stesso Gregorio, nonché quello di Bosporio di Colonia e di Anfilochio di Iconio, cari amici del
Nazianzeno, cfr. infra, comm. ad loc. McLynn, Olympias, p. 238 ha considerato le tre epistole quali
risposte a ipotetiche precedenti missive inviate da Vitaliano al Nazianzeno.
6
Cfr. Gallay, Lettres I, p. 93 nota 1; Gallay, Lettres II, p. 163 nota complementare 1, ha segnalato
l'errore dell'editio princeps dove la lettera 193 riportava nell'inscriptio τῷ αὐτῷ risultando, così,
destinata a tal Procopio. Hauser-Meury, pp. 179-180 ha distinto, sotto il nome di Vitaliano, due
personaggi: Vitalianus I, destinatario dell'epist. 75; Vitalianus II, destinatario di carm. II,2,3; Bacci, p.
33 nota 54.
7
Cfr. Regali, Datazione, p. 376.
8
Cfr. epist. 193,1 Γάμους εἱστιῶμεν, ἴσως ἐρεῖς, καὶ ταῦτα τῆς χρυσῆς Ὀλυμπιάδος καὶ σῆς…; cfr.
Bacci, p. 26 nota 11.
9
L'epistola viene collocata da Gallay, Lettres II, p. 84, nelle "Dernièrs années de Grégoire"; McGuckin,
p. 387 nota 104. Per la malattia quale causa dell'assenza di Gregorio al banchetto nuziale, cfr. epist.
193,2 …δύο ποδαλγοὶ περιφερόμενοι… .
10
Cfr. epist. 193,1 Αἰσθάνομαί σου τῶν ἐγκλημάτων καὶ σιωπῶντος… ἴσως ἐρεῖς … σὺ δέ ἀπῆς ἡμῖν, ὁ
γεννάδας, ἢ ἀπαξιώσας, ἢ κατοκνήσας; epist. 194,1 Ἀργοὶ δ᾽ ἡμεῖς, ὡς ἂν αὐτὸς εἴποις… .
11
Cfr. epist. 193,3 Ἐπεὶ τῷ γε βούλεσθαι καὶ συνεορτάζω … πρέπει γάρ,… καὶ τὴν συζυγίαν…κατὰ τὰς
κοινὰς ἡμῶν εὐχάς.
12
Si veda la rassegna riportata da Bacci, p. 25 nota 3.
22
quale Gregorio di Nissa dedicò le sue Omelie sul Cantico dei Cantici13. Inoltre,
Vitaliano, dopo che Gallay lo riconobbe quale destinatario delle epist. 193-19414, è
stato identificato con colui che fece allestire il banchetto nuziale, il tutore ovvero il
precettore di questa Olimpiade15 che, come si evince da carm. II,2,6 vv. 97ss., fu
cresciuta ed educata da Teodosia, sorella di Anfilochio d'Iconio e, dunque, cugina
del Nazianzeno16. I rapporti, in realtà poco chiari, tra Vitaliano, Teodosia e questa
Olimpiade sono stati esaminati da Bernardi17, il quale ha proposto una ricostruzione
che vuole la cugina di Gregorio, Teodosia, cognata (ne avrebbe sposato, infatti, il
fratello) della futura diaconessa Olimpiade che apparteneva ad una delle più grandi
famiglie di Costantinopoli. Questa Olimpiade figlia dell’ex comitibus Seleuco, rimasta
orfana, fu educata, secondo lo studioso, da Teodosia e affidata alla tutela di
Vitaliano che preparò il suo matrimonio col prefetto del pretorio Nebridio,
celebrato tra il 384 e il 386. Bernardi, pertanto, ha identificato l’Olimpiade che
divenne, in seguito alla precoce vedovanza, diaconessa e amica del Crisostomo, con
la destinataria di carm. II,2,6 del Nazianzeno, delle cui nozze si parla nell’epist. 193.
Tale ricostruzione si ricollega con l'ipotesi, sempre di Bernardi, che a chiamare, ad
accogliere e a sostenere a Costantinopoli Gregorio, affinché guidasse la locale
comunità di fede nicena nel 378, fossero stati dei parenti di grande prestigio - in
primis la cugina Teodosia18- che avrebbero fortemente voluto la presenza di un
13
Per l'analisi delle fonti letterarie sulla vita della diaconessa Olimpiade e delle relative posizioni
della critica si rimanda a Bacci, pp. 25-34. Più recentemente, sul carme II,2,6 si veda M. Whitby,
'Sugaring the Pill': Gregory of Nazianzus' advice to Olympias (carm. II,2,6), Ramus 36, 2008, pp. 79-98.
14
Lo studioso è propenso a considerarlo il padre della sposa di carm. II,2,6, che non identifica con la
diaconessa.
15
Per una rassegna delle testimonianze cfr. Bacci, p. 33 note 54-56 e p. 34, dove la studiosa considera
"ragionevole supporre che Vitaliano abbia fatto le veci del padre della giovane allestendo il
banchetto nuziale"; Bernardi, Perspectives, p. 357. Delmaire, p. 90 crede che il φορτίον con il quale
Gregorio definisce le “seconde nozze” fatte allestire da Vitaliano (cfr. epist. 194,1) faccia pensare ad
una tutela, più che alla paternità, da riferire così anche al ruolo che l’uomo svolse per le nozze di
Olimpiade. R. Teja, Olimpiade. La Diaconessa (c. 395-408), Milano 1997, pp. 20-29 e nota 19, inquadra,
invece, la donna ancora sotto la tutela di Procopio, non accettando la proposta di Gallay di
modificare con Vitaliano il nome del destinatario delle epist. 193-194 di Gregorio di Nazianzo; lo ha
seguito L. De Angelis, Reading the βίος Ὀλυμπιάδος. Some reflections upon widowhood in the early
byzantine Empire, Hagiographica 14, 2007, pp. 40-76, in part. p. 49 e nota 21; Hauser-Meury, pp. 136137.
16
Cfr. Greg. Naz. carm. II,2,6 vv. 97ss.: Ἔστι τοι, ὦ χαρίεσσα, Θεοῦ δόσις. Ἥδε προκείσθω / παντός σοι
μύθοιο καὶ ἔργματος ἔμπνοος εἰκών, / Θηλυτέρη Χειρωνίς, ὑπὸ προπόδεσσι γάμοιο, / ἥ σ᾽ ἐκ πατρὸς
ἔδεκτο καὶ ἔπλασεν ἤθεσι κεδνοῖς, / αὐτοκασιγνήτη μέγ᾽ ἀμύμονος ἀρχιερῆος / Ἀμφιλόχου…, e la
nota ad loc. di Bacci, pp. 125ss.; Hauser-Meury, p. 167.
17
Cfr. Bernardi, Perspectives, pp. 354ss.
18
Cfr. Greg. Naz. or. 24,1; 27,17.
23
vescovo ortodosso nella capitale dove l’arianesimo occupava la posizione
dominante.
Un altro filone della critica è orientato, invece, a distinguere tra due donne
di nome Olimpiade: la diaconessa costantinopolitana e quella, ben più oscura, la
cappadoce figlia di Vitaliano, cresciuta da Teodosia e destinataria di carm. II,2,6,
delle cui nozze si parla nell'epist. 19319. Tale distinzione determina una diversa
collocazione geografica delle vicende e dei personaggi in questione, che vanno
spostati da Costantinopoli all'ambito cappadoce: è la tesi avanzata da McLynn, il
quale è partito dal presupposto che le accuse di Vitaliano20 a Gregorio sarebbero
apparse eccessive, se il vescovo, ammalato, avesse dovuto affrontare un viaggio di
circa 500 km per raggiungere Bisanzio e partecipare al banchetto nuziale21.
Anche se la ricostruzione proposta da Bernardi si fonda su basi piuttosto
fragili, non è possibile escludere che Teodosia si sia sposata a Costantinopoli con il
fratello maggiore della futura diaconessa Olimpiade, dalle cui nozze nacque quel
Seleuco22 al quale Anfilochio d'Iconio, fratello di Teodosia, dedicò i suoi Giambi:
l'autore, infatti elogia una donna di nome Olimpiade, zia del destinatario,
Ὀλυμπιάδα πρόσειπε τὴν σὴν τιτθίδα23, che già Cosma di Gerusalemme identificava
con la destinataria di carm. II,2,624. Non è da escludere, inoltre, che Gregorio, come
altri illustri prelati, abbia conosciuto l'Olimpiade futura diaconessa25. Tra il carm.
II,2,6 e II,2,3 c'è consonanza nel modo con cui il Cappadoce designa la precettrice
19
Cfr. Demoen, Gift, p. 9; McGuckin, p. 387; Regali, Declamazioni, p. 535 nota 2.
Cfr. supra, note 11-12 e infra, nota 25.
21
Cfr. McLynn, Olympias, pp. 228-230. Ma già Delmaire, pp. 90-91, pur attribuendo a Vitaliano la
tutela di Olimpiade figlia di Seleuco che, dopo la morte del marito Nebridio, sarebbe diventata
diaconessa, colloca i personaggi in questione “en Cappadoce ou à proximité”, facendo leva proprio
sul fatto che Gregorio nell’epist. 193 non rifiuta di partecipare alle nozze a causa della lunghezza del
viaggio che avrebbe dovuto compiere se il matrimonio fosse stato celebrato a Costantinopoli, ma
imputa la sua assenza alla malattia. — Indipendentemente dall'identità della donna entrambi gli
studiosi sono concordi nel riconoscere che le nozze di Olimpiade sono state celebrate dopo il 381 e
dunque quando Gregorio era già tornato in Cappadocia dopo l'esperienza costantinopolitana.
Bernardi, Perspectives, p. 357, data il matrimonio della Olimpiade poi divenuta diaconessa, tra il 384 e
il 386; mentre McLynn, Olympias, pp. 239-240, considerando la cappadoce Olimpiade abbassa la
cronologia al 381/382.
22
Cfr. PLRE s.v. Seleucus 2, e lo stemma 6 della famiglia di Olimpiade a p. 1132.
23
Cfr. Amph. Seleuc. 337: Ὀλυμπιάδα πρόσειπε τὴν σὴν τιτθίδα.
24
Cfr. Bacci, p. 27 e nota 14.
25
Si vedano a questo proposito le testimonianze di Pall. v. Chrys. 17; v. Olymp. 14, e le argomentazioni
di Bacci, pp. 29-31.
20
24
della nubenda Olimpiade 26, identificabile, senza alcun dubbio, con Teodosia sorella
di Anfilochio e definita come θηλυτέρη Χειρωνίς, e la donna che Vitaliano, come si
evince da carm. II,2,3, morta la moglie, eleva a educatrice delle figlie, individuata
come θηλυτέρης Χείρωνος27. Non ci sono tuttavia elementi per affermare che
Gregorio abbia necessariamente voluto indicare la stessa persona. Se in carm. II,2,6,
infatti, l'espressione θηλυτέρη Χειρωνίς richiama inequivocabilmente Teodosia,
che è esplicitamente nominata al v. 99 grazie al Wortspiel Θεοῦ δόσις, in carm. II,2,3,
invece, il θηλυτέρης Χείρωνος ha valenza generica, un sapore proverbiale e
paradigmatico, «un Chirone in vesti femminili». Non è necessario vedervi la cugina
Teodosia, di cui Gregorio non avrebbe mancato di ricordare la zelante personalità.
Similmente, Vitaliano28 non viene per nulla ricordato in carm. II,2,6, dove troviamo
solo un rapido accenno al padre di Olimpiade, che affidò a Teodosia l'educazione
della giovane29; così, in carm. II,2,3 non si trova alcun accenno esplicito ad
Olimpiade e alle sue nozze30 e all'eventuale ruolo esercitato dal destinatario del
carme, Vitaliano. Pertanto, pur con la dovuta cautela, si può avanzare l'ipotesi di
distinguere tra due Olimpiadi: una, la destinataria di carm. II,2,6 e futura
diaconessa; l'altra, la cappadoce figlia di Vitaliano, delle cui nozze si parla nell'epist.
193.
L'epist. 194 prende le mosse, come la 193, dall'assenza di Gregorio ad un
banchetto nuziale, quello della seconda figlia di Vitaliano31: il Cappadoce ripropone
le medesime motivazioni imputabili alle sue cattive condizioni di salute e presenta,
26
Cfr. supra, nota 15.
Cfr. carm. II,2,3 vv. 166ss.: Θρέψας ἐν θαλάμοισι δροσώδεας, ἔργ᾽ ἐδίδαξας / εὐγενέος παλάμῃσι,
διέπλασας ἤθεα κεδνά, / θηλυτέρης Χείρωνος· ὑπὸ προπόδεσσι γάμοιο. In Regali, Epitalamio, p. 91
nota 16 e Regali, Datazione, p. 380 e nota 26, l'espressione θηλυτέρη Χειρωνίς è erroneamente
interpretata come "moglie del centauro Chirone", mentre, in realtà, significa "donna chironide,
donna che possiede le qualità di Chirone", mitico precettore di Achille, come sostiene Bacci, p. 34
nota 63; McLynn, Olympias, p. 229.
28
Sembra certa l'amicizia di Vitaliano con Anfilochio: ai vv. 233ss. di carm. II,2,3 si dice che molti
sacerdoti frequentano la casa di Vitaliano, tra i quali spicca il nome dello stesso Gregorio, insieme al
suo omonimo Gregorio di Nissa, di Bosporio di Colonia e di Anfilochio d'Iconio.
29
Cfr. Greg. Naz. carm. II,2,6 v. 100 ἥ σ᾽ ἐκ πατρὸς ἔδεκτο.
30
Cfr. infra e note 32-33.
31
Cfr. epist. 194,1: Ἰδοὺ καὶ δεύτερός σοι γαμβρός … . Poiché l'epist. 194 è collocata cronologicamente
da Gallay, Lettres I, p. 85, "après la lettre 193", si può avanzare l'ipotesi che la prima figlia di
Vitaliano a sposarsi sia stata Olimpiade.
27
25
come regalo di nozze, le sue preghiere32: tale evento potrebbe essere
ragionevolmente identificato con quello descritto ai vv. 179ss. di carm. II,2,3, dal
quale i figli di Vitaliano e fratelli della nubenda, con loro grande rammarico, sono
stati esclusi33. La breve missiva offre, inoltre, alcune indicazioni interessanti:
Gregorio, infatti, afferma di aver lasciato ad altri i θόρυβοι della vita attiva ed
esorta Vitaliano a dedicarsi interamente a Dio e a trarre profitto, insieme a lui,
dalla "filosofia", dopo aver reciso ogni legame col mondo ed essersene posto al di
sopra34. L'esortazione ad intraprendere uno stile di vita dedito all'ascesi e alla
filosofia cristiana, da intendere quale appartenenza totale a Dio e rinuncia al
mondo35, si potrebbe collegare con quanto emerge dall'epist. 75, terza breve missiva
che il Nostro invia all'uomo: qui Gregorio, manifestando disapprovazione nei
confronti delle frequentazioni di Vitaliano e decidendo, pertanto, di sospendere i
rapporti con lui, si dichiara pronto a riallacciarli nel momento in cui l'interlocutore
si sarà purificato dalle sue cattive frequentazioni e avrà assunto a compagna la
virtù36. Si può scorgere una velatissima allusione a spiacevoli trascorsi di Vitaliano,
che potrebbero includere quelle cattive amicizie di cui si parla nell'epist. 75, nella
32
Cfr. epist. 194, 1-3 …ὡς δὲ ὁ ἀληθὴς λόγος, ἀσθενεῖς, οὐκ ἀργοί. … Καὶ νῦν δὲ τοῖς γάμοις
συνεισφέρομεν τὰς εὐχάς, εἰ δεῖ δωροφορεῖν ὑμῖν τὸ κάλλιστον.
33
Regali, Datazione, pp. 375-377 e nota 11, e Regali, Epitalamio, p. 93 e nota 22, connette il matrimonio
descritto ai vv. 179ss. di carm. II,2,3 con quello di Olimpiade dell'epist. 193 (così precedentemente
Gallay, Vie, p. 230). Ma se così fosse Gregorio si sarebbe, probabilmente, espresso diversamente,
nominando Olimpiade, o, forse, avremmo trovato qualche riferimento ai giovani fratelli e alla loro
assenza al matrimonio della seconda sorella. Il dissidio familiare tra padre e figli, invece, andrebbe
ascritto al periodo delle nozze della seconda figlia di Vitaliano, dalle quali i due fratelli sono stati
esclusi, per poi essere, successivamente, cacciati da casa: cfr. McLynn, Olympias, p. 233. Alcuni versi
prima, l'io loquens, infatti, accenna ai matrimoni delle sorelle, …ὑπὸ προπόδεσσι γάμοιο / ἐσθλοὺς
ἄνδρας ὄπασσας· ἐνὶ πτολίεσσι γερήρας (vv. 168-169).
34
Cfr. epist. 194,2 Τῶν μὲν γὰρ θορύβων ἄλλοις παρεχωρήσαμεν, τῆς φιλοσοφίας δὲ ἡμεῖς
ἀπολαύσομεν, ἐπειδὰν θεῷ συσταλῇς καὶ ὅλως τῶν ἄνω γένῃ, μηδενὶ δεσμῷ κατεχόμενος. I θόρυβοι
di cui parla Gregorio sono stati connessi da McLynn, Olympias, p. 239, ai doveri pastorali relativi alla
conduzione della chiesa di Nazianzo, che egli depose nell'estate del 383, a causa della malattia che lo
affliggeva (cfr. Gallay, Vie, pp. 220ss.; McGuckin, p. 388). Con una simile terminologia il Cappadoce
esprime la sua volontà di dedicarsi a vita ritirata subito dopo il ritorno da Costantinopoli nel 381:
cfr. epist. 99 …τὸ πρὸς Θεὸν συναγαγεῖν καὶ δοῦναι γνησίως τοῖς ἄνω, πραγμάτων καὶ θορύβων
ἀπαλλαγέντας…; 164,4 …φιλοσοφοῦμεν ἐφ᾽ ἡσυχίας τῷ Θεῷ, καθ᾽ ἡμᾶς αὐτοὺς συγγινόμεθα ταῖς
εὐχαῖς, τῶν ἐν μέσῳ κλόνων καὶ θορύβων ἠλευθερώμεθα; 131,1. Per l'espressione ἐπειδὰν θεῷ
συσταλῇς che indica l'intenzione di abbracciare il cammino ascetico, cfr. McLynn, Olympias, p. 232 e
nota 25.
35
Cfr. A.-Μ. Μalingrey, Philosophia. Études d'un groupe de mots dans la litterature grecque, des
Présocratiques au IVe siècle après J.-C., Paris 1961, pp. 207-261, in part. 227-235.
36
Cfr. epist. 75: Οὐ συνεχῶς ὁμιλοῦμέν σοι. Τὸ δὲ αἴτιον, ὅτι πολλοὶ περὶ σέ, καὶ οἷς ἥκιστα χαίρομεν.
Εἰ δ᾽ ἀνακαθήραις σαυτὸν τῶν πολλῶν καὶ σύνοικον ἔχοις τὴν ἀρετήν, ὄψει καὶ χωλῶν δρόμον, ὡς ἡ
παροιμία. Τοῦτο γὰρ καὶ ὑπισχνούμεθα σὺν θεῷ καὶ πράξομεν.
26
sententia che emerge dai vv. 70-74 di carm. II,2,3, dove l'io loquens, criticando gli
uomini in cerca di δόξα terrena (tra cui, forse, precedentemente anche il padre
Vitaliano), augura al genitore di conseguire, invece, quel κλέος ἐσθλόν che gli
permetterà di superare tutti in tutto, e di sollevarsi in alto37. Tale "nobile gloria" si
assimila a quella che si ottiene accostandosi a Dio, ovvero grazie ad una πολιτεία
all'insegna dell'ascesi38. Sebbene non sia possibile stabilire con certezza la
datazione dell'epist. 7539 e dunque delineare un potenziale percorso “temporale”
che cadenzi la realizzazione di queste dinamiche, si deve notare come l'esortazione
che Gregorio rivolge a Vitaliano affinché compia una scelta di vita simile alla sua,
dedicarsi cioè all'ascesi, si manifesti diverse volte e in maniera precisa e insistente,
fino, probabilmente, a realizzarsi. Stando, infatti, ai vv. 269ss. del nostro carme, il
quadro che l'io loquens traccia delle esperienze del padre contempla le
caratteristiche tappe del cammino ascetico, cui manca solo l'ultimo tassello, il
placare, cioè, l'ira che egli nutre, ancora, verso i figli40. Si comprende perché nella
prospettiva della difficile - ma forse, addirittura, impossibile - riconciliazione che
emerge dagli ultimi versi, il vocabolo κλέος, al v. 351, finisca per assumere una
connotazione negativa giacché, utilizzato con una forte intonazione ironica,
diventa infamia che si abbatte su un padre che lascia morire i figli nell'abbandono41.
Non possediamo elementi certi per confermare o negare, magari solo
parzialmente, l'effettiva consistenza evenemenziale42 della vicenda familiare
sottesa al carme, data l'assenza di riferimenti, allusioni e richiami, in altri luoghi
dell'opera del Nazianzeno che non siano quelli già segnalati, al dissidio familiare,
37
Πολλοὶ μὲν γὰρ ἴσασιν ἀληθέα, οὐκ ὀλίγοι δὲ / δόξαν ἐποπτεύουσι, /…/ Καὶ γὰρ ἅπαντ᾽ ἐθέλω
πάντων κρατέειν γενετῆρα, /…/ καὶ κλέος ἐσθλὸν ἔχοντα μετ᾽ ἀνδράσιν, ὕψι φέρεσθαι (carm. II,2,3
vv. 70-74, cfr. infra, nota ad loc.).
38
Cfr. infra, v. 280: οἶόν σοι κλέος ἐστὶ Θεὸς μέγας; carm. I,2,2 vv. 355-357: λίην εὐσεβέειν, λίην δέ τε
μὴ βλεμεαίνειν. / κύδεος ἱμείρουσα, τάχ’ ἂν κλέος ἐσθλὸν ὀλέσσαις, / ἀνδράσι τὸ περίφαντον…; Ι,2,5
v. 10 …ὥς κεν ἔωσι διασταδὸν εὐσεβέοντες, / ἀνέρες ἠδὲ γυναῖκες, ὁμὸν κλέος οἶον ἔχοιεν; I,2,9b v.
67: κλέος ἐσθλὸν ἐπὴν θεότητι πελάζω; e similmente il gioco di parole in II,2,5: i monaci, κῦδος ἓν
οἶον ἔχοντες, ἅπαν κλέος ἐνθάδ᾽ ἀτίζειν; in ΙΙ,2,1 vv. 127-129 καὶ χθονίου ποτ’ ἄνακτος ἐν αὐλαῖς
κύδεϊ γαίων, / μεῖζον ἐν ἡμετέρῳ ἕρκεϊ κῦδος ἔχει· / Χριστῷ γὰρ βασιλῆϊ παρίσταται…; e in II,2,7 vv.
41-42 Ἀλλ᾽ οὔπω τοιόνδε τοσόνδε τε κῦδος ὄπωπα, / ὅσσον ἐπουρανίοιο Θεοῦ θεότητι πελάσσαι.
39
Gallay, Lettres I, p. 93 nota 1, non attribuisce all'epist. 75 una collocazione cronologica precisa, ma
Gallay, Vie, p. 253, ipotizza il 378.
40
Cfr. v. 287, μοῦνος δ᾽ ἐντος ἔμεινε χόλος…. .
41
Cfr. v. 351, Σὸν κλέος, εἴτε λιποίμεθ᾽ ἀκηδέες, εἴτε θάνοιμεν. Per l'accezione negativa di κλέος si
rimanda infra, nota ad loc.
42
Cfr. Demoen, Gift, p. 5; Sykes, Reflections, p. 554; McLynn, Olympias, pp. 227ss.; Regali, Datazione, p.
376.
27
all'esistenza e al destino di Vitaliano e dei suoi figli43. Inoltre, il carme per la
tematica presentata (un figlio ripudiato che si rivolge al proprio genitore in vista
della riconciliazione) e la complessa struttura retorica che lo caratterizza, si
avvicina sensibilmente ad una declamatio, adattata in chiave cristiana44. Sulla base
di tali premesse, gli studiosi hanno analizzato il componimento da diverse
angolazioni, tutte legittime, interrogandosi anzitutto sulla "realtà" della vicenda
che fa da sfondo alla poesia, quindi sul grado di finzione e di costruzione letteraria
che si regge – ed è la terza angolazione - sull'imponente struttura retorica.
Per primo, Regali ha proposto una lettura del testo che percorre due vie
parallele, ma destinate a ricongiungersi: se da un lato, lo studioso ha segnalato
minuziosamente la presenza, nel carme, di quei topoi tematici tipici delle
declamationes greche e latine, costruite sui vari casi, dal carattere fittizio, di dissidio
tra padri e figli e connesse alla pratica dell'ἀποκήρυξις e dell'abdicatio; dall'altro, ha
esaltato l'ispirazione cristiana della poesia, che non ha ritenuto di poter ridurre a
mera esercitazione retorica45. Lo studioso ha considerato, pertanto, reale la vicenda
familiare che sta alla base del componimento, attraverso il quale Gregorio, da
pastore attento alla cura del sue "gregge", voleva promuovere la riconciliazione
familiare
disapprovando,
attraverso
la
finzione
letteraria,
la
pratica
dell'ἀποκήρυξις: essa risulta inammissibile nella concezione cristiana fondata sul
rapporto speculare tra l'incondizionato amore tra Padre celeste e creature umane e
il naturale amore tra padre terreno e figlio46.
McLynn, incrociando i dati che emergono dai carmina II,2,3 e II,2,6 con le tre
epistole indirizzate a Vitaliano (75, 193, 194), ha delineato un complesso scenario
incentrato sull'ambiente cappadoce47, all'interno del quale Gregorio voleva
43
Cfr. Demoen, Gift, p. 4; McLynn, Olympias, p. 243; Demoen, Poet, p. 432.
Conflitti parentali che sfociavano nel ripudio del figlio da parte del padre, attraverso l'antico
istituto giuridico dell'ἀποκήρυξις, erano oggetto di μελέται nelle scuole di retorica sia latine che
greche, dove i giovani allievi erano chiamati a "impersonare" vicendevolmente le parti in questione.
Le situazioni prospettate in queste esercitazioni erano, comunque, basate su casi fittizi: cfr. Regali,
Declamazioni, pp. 529-530; Demoen, Poet, p. 439.
45
Lo studioso si riferisce, per esempio, a quella sezione del carme (vv. 179ss.) che mostra
connessioni con il genere dell'epithalamium.
46
Cfr. Regali, Declamazioni, pp. 527ss.
47
Cfr. McLynn, Olympias, p. 237: "…Gregory drew upon a powerful theme of contemporary political
discourse, which would have been all too familiar to the Cappadocian notables who read the poem…
…The language and imagery of the poem betrayed its authorship to any readers (there cannot have
been many sufficiently qualified versifiers in the vicinity)…".
44
28
ridefinire, dopo aver fatto ritorno in patria da Costantinopoli nel 381, i rapporti con
i suoi interlocutori, cioè con la comunità di Nazianzo, e riproporre la sua leadership
religiosa e culturale. La sua, infatti, era una condizione di relativa debolezza: lo
avevano localmente accusato di aver rifiutato, per superbia, la guida della chiesa di
Nazianzo in cui era tornato. In particolare, McLynn, dichiarandosi a favore
dell'effettiva consistenza storica del dissidio tra Vitaliano e i suoi figli, ha avanzato
una lettura del carme quale espressione della volontà del Nazianzeno di affermare
la propria autorità pastorale su Vitaliano e sulla sua casa: l'intenzione di Gregorio
non sarebbe stata tanto, secondo lo studioso, quella di promuovere la
riconciliazione familiare, quanto quella di voler far apparire sotto una luce critica,
Vitaliano. La veste epica del componimento avrebbe funzionalmente amplificato i
toni della disputa familiare e la menzione degli autorevoli amici vescovi Gregorio di
Nissa, Bosporio e Anfilochio avrebbe rafforzato la posizione dello stesso
Nazianzeno48.
Diverse l'analisi e la conclusione cui è giunto Demoen, che ha letto il
componimento come una literary fiction, al di là del reale e plausibile intento
dell'autore/vescovo Gregorio di voler mediare all'interno di un conflitto familiare
di cui non viene negata la realtà storica, ma minimizzata, in quanto avrebbe fornito
solo la materia per la composizione49. Lo studioso, pertanto, accogliendo la tesi di
McLynn sulla author's self-presentation, ha proposto una meta-lettura del testo che si
48
McLynn, Olympias, pp. 227ss. 238 e 243, ha enfatizzato negativamente l'atteggiamento polemico di
Vitaliano nei confronti del clero locale che frequenta la sua casa, che emerge dai vv. 235ss. del
carme. Inoltre lo studioso ha imputato, seppur con cautela, l'avversione di Gregorio nei confronti
dell'uomo anche alla mancata decisione di Vitaliano di abbracciare la vita ascetica, dopo
l'esortazione che Gregorio gli rivolge nell'epist. 194, affermando che al momento della composizione
del carme l'uomo non risulta essere più un potenziale convertito. L'impatto sociale di un cristiano
laico che abbraccia la vita ascetica, ha ipotizzato McLynn, avrebbe ampiamente giustificato la scelta
del Nazianzeno di lasciare la guida della comunità di Nazianzo nel 383. Questa condizione potrebbe
aver pesato, secondo lo studioso, sull'atteggiamento di Gregorio a favore dei due figli di Vitaliano,
quale proiezione del contrastivo rapporto col proprio tirannico padre. - In realtà, forse, se Gregorio
avesse voluto "colpire" Vitaliano si sarebbe espresso diversamente e in maniera più dura, come fa,
per esempio, nei confronti di alcuni vescovi in carm. II,1,12, o relativamente all'affaire di Massimo.
McLynn sembra ignorare, inoltre, così i vv. 269ss. di carm. II,2,3 dove il quadro delle esperienze del
padre che l’io loquens traccia, passa in rassegna le diverse tappe del cammino ascetico. Diversamente Sykes, Reflection, p. 554, afferma che quando Gregorio scrive a nome dei figli di
Vitaliano, lo fa con convinzione, sperando in una riconciliazione.
49
Cfr. Demoen, Poet, p. 439: "Just think it highly improbable that he intervened with this poem in this
form. We know that he has carefully selected and edited his letters and speeches for publication,
sometimes many years after their actual (or fictive) sending or delivery. The same applies to his
verse".
29
fonda sull'idea dell'auto-celebrazione: Gregorio, secondo Demoen, conscio delle sue
ottime abilità letterarie e traendo spunto dalla contingente situazione familiare, ha
composto una showpiece con cui esibire la sua maestria retorica in un genere, la
declamatio, che presumibilmente apparteneva al suo bagaglio culturale50. Il
componimento si inserirebbe, pertanto, secondo lo studioso, all'interno del genere
epidittico e non di quello deliberativo, come ha sostenuto McLynn.
Acquisita come condivisibile la collocazione cappadoce della vicenda e dei
personaggi, non risulta tuttavia facile delineare i "reali" contorni del dissidio
familiare, pur ammettendone la consistenza evenemenziale. Il componimento, in
effetti, presenta significativi elementi topici delle declamazioni che hanno per
soggetto il ripudio dei figli da parte dei genitori51: il motivo dell'ira del padre nei
confronti del figlio; così pure, il tono supplichevole dell’io loquens-figlio che,
nonostante gli irregolari toni aspri che emergono nel corso del dettato52 e le note
amare degli ultimi versi che si aprono ad una rassegnata prospettiva post mortem, è
volto più alla riconciliazione che alla frattura53; nonché l'accenno ad una κακίη che,
però, il figlio condivide col genitore, e le labili ammissioni di colpa54. A questo
proposito, val la pena notare un dato interessante: la colpa dei figli di Vitaliano,
50
Cfr. Demoen, Poet, pp. 439-440. Lo studioso richiama il periodo di formazione che Gregorio
trascorse ad Atene tornato dal quale, come si evince da carm. II,1,11 vv. 265-276, diede prova della
preparazione e cultura acquisite. Cfr. anche or. 43,25 Ὡς δ’ οὖν ἐπανήκαμεν, μικρὰ τῷ κόσμῳ καὶ τῇ
σκηνῇ χαρισάμενοι καὶ ὅσον τὸν τῶν πολλῶν πόθον ἀφοσιώσασθαι· οὐ γὰρ αὐτοί γε εἴχομεν
θεατρικῶς οὐδ’ ἐπιδεικτικῶς.
51
Alcuni punti di contatto del nostro carme con le declamationes sia greche che latine che trattano
questo argomento sono stati messi in luce da Regali, Declamazioni, pp. 529ss., ai quali ne sono stati
aggiunti altri nel corso del commento.
52
Si pensi alle critiche sulle esteriori manifestazioni di fides di Vitaliano dei vv. 245ss.
53
Molto più pesanti risultano, per esempio, le accuse che il figlio Nicobulo junior rivolge al genitore,
Nicobulo senior, in carm. II,2,4 vv. 1ss. (cfr. il comm. di Moroni, pp. 193ss.) che anticipano la richiesta
di intraprendere il desiderato cursus studiorum. - K. Demoen, Poétique et rhétorique dans la poésie de
Grégoire de Nazianze, in AA.VV. «Doux remède…» Actes du IVe colloque international philologique,
Paris 23-24-25 février 2006, Paris 2009, pp. 47-66, in part. 61ss., crede che le persuasif but intratextuale
della supplica dell'io loquens deve essere considerato come une fiction littéraire. A questo proposito,
non pienamente condivisibile appare la convinzione di McLynn, Olympias, p. 237 che Gregorio abbia
voluto, attraverso il componimento, gettare una luce critica su Vitaliano, non essendo interessato
principalmente alla riconciliazione familiare. Ma se il «main purpose» dell'autore fosse stato questo,
probabilmente, il Cappadoce si sarebbe espresso diversamente, in maniera più dura e diretta.
54
Cfr. infra, vv. 65ss. …κακίῃ μὲν ἐμῇ, κακίῃ δέ τε πατρὸς, / πατρὸς δ᾽ ἐισέτι μᾶλλον, ἐπεὶ καὶ
φέρτερός ἐστιν / ἀμφότερον πολιῇ τε καὶ ἤθεσι κυδαλίμοισιν; 86ss., …εἴτε κάκιστοι, / σοὶ, πάτερ, εἴτ᾽
ἀγαθοί… / σὸν κλέος οὗτος, ἔγωγε, μακάρτατε, σὸν δὲ τ᾽ ὄνειδος, ἢ καλὸς, ἠὲ κάκιστος ἐών…; 294ss.
τοῖος σοῖς τεκέεσσι πέλοις, πάτερ, ἀφραδέουσιν, / … / …οὔτε σε μοῦνον παῖδες ἀνιάζουσιν ἀπειθέες…
e le note ad loc.; ma si veda anche il v. 330 dove l'io loquens afferma di non essersi comportato,
insieme al fratello, gli ἀφραδέοντες, profanando il letto paterno (i vv. 327ss. passano in rassegna
alcuni dei misfatti che compì Assalonne contro il padre David).
30
menzionata solo nelle battute finali del componimento, sarebbe stata solo quella di
essere fisicamente inferiori al padre, di aspetto imponente e alta statura55. Se nelle
declamationes che hanno per oggetto il dissidio tra padre e figlio, l'ira del genitore
che porta all'ἀποκήρυξις è causata, principalmente, dalla disubbidienza dei figli o
da un loro comportamento scorretto, l'argomentazione presentata qui, pur nella
irreale stravaganza dei temi e delle situazioni proprie della finzione letteraria del
genere56, sembrerebbe, nella sua artificiosità, voler nascondere qualcosa.
L'impressione è che non si sia voluto o potuto dire di più, soprattutto alla luce dei
versi successivi nei quali l'io loquens, dopo un momento di incertezza nel
continuare il discorso57, attribuisce, molto ironicamente, al genitore la
responsabilità di non aver voluto concedere ai figli una natura migliore58.
Potrebbe essere utile, per meglio caratterizzare il nostro componimento,
ricordare il "dibattito familiare" costituito dai carmina II,2,4-5: nel primo Nicobulo
junior chiede al padre di mandarlo a studiare lontano da casa; nel secondo Nicobulo
senior risponde positivamente, dopo gli iniziali rimbrotti: in conclusione, questo
55
Cfr. vv. 333-335: ἓν σέο παισὶ κάκιστον, ἀρειοτέροιο τοκῆος / χείρονες ἐξεφάνημεν… / εἶδός τε
μεγεθός τε… .
56
Cfr. Lib. decl. 27, dove un padre dyscolos ripudia il figlio che si era messo a ridere nel vedere il
genitore cadere; decl. 33, dove un padre avaro disereda il figlio che come premio della vittoria aveva
chiesto solo una corona di ulivo; decl. 46, dove un figlio viene ripudiato per essersi rifiutato di
risposarsi dopo la morte della moglie durante un naufragio; decl. 47, dove un figlio viene
ἀποκηρυττόμενος per aver ingannato il padre che, in punto di morte, gli aveva chiesto di inserire
solo il suo nome nel testamento, mentre egli aveva inserito anche il nome del fratello; in decl. 48,
infine, un figlio chiede di essere diseredato perché il padre si era rifiutato di concedergli, come
premio della vittoria, la riammissione nella casa paterna del fratello precedentemente
ἀποκηρυττόμενος. In Luc. Abdic. si tratta di un caso di "una seconda ἀποκήρυξις": il figlio,
precedentemente ripudiato viene riaccolto in casa dopo aver curato il padre dalla malattia mentale,
ma quando si ammala la matrigna, poiché si rifiuta di curarla, viene nuovamente diseredato; ma non
tutte le ragioni sono considerate ammissibili, cfr. Luc. Abdic. 8 e 20 e Sen. ben. 3,37,4.
57
Cfr. vv. 335-336 …λόγος δ᾽ οὐκ εὔδρομος ἡμῖν· / γλῶσσα δὲ δεσμὸν ἔχει… . Queste parole sono
state viste da Regali, Declamazioni, pp. 532-533 come una reale specificazione dell'inferiorità dei figli
che non avrebbero goduto di quella forbita loquela in grado di competere con l'élite sociale
frequentata dal padre Vitaliano. I due giovani sarebbero stati, pertanto, così rozzi da far sfigurare il
loro genitore che li avrebbe allontanati da sé e da casa, per non minare la sua onorabilità. Le due
accuse, secondo lo studioso, darebbero a Gregorio la possibilità di ritornare su un ideale tipico del
mondo greco consistente nella naturale aspirazione che un figlio ha di superare il padre, il
cosiddetto locus de nobilitate che ritorna diverse volte e con diverse accezioni nell'opera del
Cappadoce. In realtà, tale interpretazione mostra di non tener conto della cosiddetta sezione
epitalamica (vv. 198ss.) in cui l'io loquens si vanta di essere un ἀοιδῆς … ἴδρις ἐὼν.
58
Cfr. vv. 336-337 …Τίπτ᾽ ἤλιτον; / ἢ σύ, φέριστε, οὐκ ἐθέλων τεκέεσσιν ἀρείονα φύσιν ὀπάσσαι, a cui
segue l'espressione Στήσομεν ἐνθάδε μῦθον, con la quale viene dato l'avvio all'epilogo. In questi
versi, dal tono fortemente ironico, emerge la “voce autoriale” di Gregorio che non è sempre
distinguibile da quella dell’’io loquens. E l’ironia sembra appartenere più ad un uomo anziano che a
un giovane, per quanto disilluso come l’io loquens del carme.
31
dittico presenta una rassicurante e «conciliante chiusura»59, del tutto difforme da
quanto leggiamo nelle battute conclusive di II,2,3. È possibile che ci sia mai stato magari solo allo stadio di semplice abbozzo - un secondo componimento in cui il
Nazianzeno avrebbe messo in bocca a Vitaliano le risposte alla richiesta di
riconciliazioni avanzata dai figli? Non lo sappiamo né lo sapremo mai. È comunque
probabile che il carme in esame, con la chiusa pessimisticamente sconsolata che
presenta, intendesse siglare il rifiuto assoluto da parte di Vitaliano, di voler
comunicare e interagire, anche visivamente, con i figli. In altri termini,
sembrerebbe proprio che si sia lasciata deliberatamente sospesa e inascoltata ogni
domanda dei figli. Appare convergere in tale direzione l'ironica prospettiva post
mortem in cui l’io loquens proietta la speranza di ottenere le lacrime del padre
finalmente divenuto benevolo60.
2. La data di composizione
Il carm. II,2,3 non sembra contenere chiari elementi per una datazione
precisa: la difficoltà, come si è già detto, di provare l'effettiva consistenza
evenemenziale della vicenda che sottende il componimento, nonché l'assenza, nel
resto dell'opera di Gregorio, di maggiori indicazioni su Vitaliano e sui figli rendono
ancora più arduo il tentativo. La nomina di Anfilochio tra gli ἱερῆες dei vv. 235ss. e
in part. al v. 242, consente di fissare, con certezza, solo il termine post quem al 374,
dopo la sua elezione al seggio episcopale61; probabilmente, sulla base di tale
indicazione i Maurini datarono il componimento al 37562, così come il Gallay che
propose il breve scarto temporale tra il 374 e il 375.
Spunti interessanti, tuttavia, sono forniti proprio dalla menzione, ai vv.
240ss. del carme, dei quattro vescovi sostenitori della Trinità: i due Gregorii,
Bosporio e Anfilochio63. In particolare, la menzione di Bosporio, vescovo di Colonia,
tra i sostenitori della Trinità insieme ad Anfilochio, è stata valorizzata dagli
studiosi come indizio di una puntuale più cronologia. Regali, da un lato, ha
59
Cfr. Regali, Datazione, p. 375.
Cfr. v. 352: δάκρυα πατρὸς ἔχοιμεν ἐς ὕστερον εὐμενέοντος.
61
Sul personaggio cfr. Hauser-Meury, pp. 30-32.
62
Cfr. PG 37,1179.
63
Cfr. vv. 240-244: Γρηγορίω πρώτιστον ὁμωνυμίῃ τε βίῳ τε, / συζυγέα στομάτεσσιν ἑρευγομένω
θεότητα· / Βοσπόριος δ᾽ ἄρ᾽, ἔπειτα καὶ Ἀμφίλοχος, μεγαθύμω, / οἷς ἄρα καὶ στυγερὴ νούσων
ὑποδάμνατ᾽ ἀνίη / εὐχαῖς τε Τριάδος τε σεβάσματι, καὶ θυέεσσι.
60
32
inquadrato il componimento all'interno dell'intensa attività pastorale del
Nazianzeno alla guida della comunità cittadina subito dopo la morte del padre
avvenuta all'inizio del 374, quale espressione dell'interesse e della cura del pastore
nei confronti del suo gregge - al quale apparterrebbe, dunque, anche la famiglia di
Vitaliano - e ha connesso la menzione dei due vescovi, Bosporio e Anfilochio,
all'impegno profuso da costoro a favore dell'ortodossia durante il periodo di
scontri tra Ariani e Niceni dopo la divisione della Cappadocia in due provincie,
voluta dall'imperatore Valente nel 37264. McLynn, invece, che ha ascritto il carme al
periodo successivo al ritiro di Gregorio dalle attività pastorali legate alla
conduzione della chiesa di Nazianzo nel 383, ha riconosciuto nella menzione di
Bosporio, in primo luogo, la volontà del Cappadoce di rafforzare la sua posizione,
inserendo nei suoi ranghi due vecchi amici, nonché vescovi autorevoli che
operavano in sedi a lui vicine. Inoltre, lo studioso vi ha intravisto un tentativo del
Nostro di scagionare l'amico dall'accusa di eresia che gli venne mossa tra la fine del
383 e l'inizio del 384, e di cui emergono alcuni contorni dal carteggio gregoriano
(epist. 183, 184, 185)65. Lo studioso, pertanto, analizzando congiuntamente carm.
II,2,3, II,2,6 e le epist. 193 e 194, ha proposto la seguente "sequenza" cronologica di
composizione delle suddette opere: carm. II,2,6 Ad Olympiadem; epist. 193; epist. 194;
infine, il carme II,2,3 Ad Vitalianum, collocando tra il 381 e il 382 le nozze di
Olimpiade, e dopo il 383 quelle della sorella di cui si parla nell'epist. 194 e in II,2,3.
Grazie alla tradizione manoscritta, che ha permesso di recuperare i duali
Γρηγορίω … ἐρευγομένω ai vv. 240-241, si dispone ora di ulteriori elementi per la
datazione del carme. Chi sono "i due Gregori che col nome e la vita fanno
prorompere dalla bocca la concorde Trinità66"? Da un lato, infatti, essi possono
64
Cfr. Regali, Datazione, pp. 377ss. Tale proposta di datazione non è condivisa da Demoen, Gift, p. 5
nota 18 che, sebbene propenda per una datazione tarda (382-383), non vede nella menzione dei due
vescovi amici del Nazianzeno una prova della loro lotta a favore dell'ortodossia.
65
McLynn, Olympias, p. 244 e note 69-74; cfr. anche Métivier, pp. 212-213. - Dalla lettura di queste
epistole apprendiamo che il Cappadoce si prodigò perché venisse riconosciuta l'infondatezza di
questa accusa, adducendo la sua personale testimonianza, e che chiese la collaborazione dei
destinatari delle tre missive, affinché intervenissero nella questione (una di esse, la 184, è
indirizzata ad Anfilochio). Per la vicenda legata all'accusa di eresia ai danni di Bosporio si veda,
inoltre, infra, note ai vv. 240-244 e 242.
66
Cfr. carm. II,2,3 vv. 240-241: Γρηγορίω πρώτιστον ὁμωνυμίῃ τε βίῳ τε / συζυγέα στομάτεσσιν
ἐρευγομένω θεότητα.
33
essere identificati con lo stesso Nazianzeno e col padre, Gregorio il Vecchio67,
morto all'inizio del 374. Dall'altro, vi si possono scorgere sempre il Nazianzeno, e,
insieme, Gregorio di Nissa, amico del Cappadoce, nonché fratello di Basilio di
Cesarea. Sebbene l'identificazione "dell'altro" Gregorio con Gregorio il Vecchio
coinciderebbe all'incirca con la nomina di Bosporio e di Anfilochio al soglio
episcopale, rispettivamente di Colonia e di Iconio nel 37468, va detto che,
probabilmente, il Nostro si sarebbe espresso diversamente se avesse voluto porgere
al genitore, morto da poco tempo, un tributo di affetto. Più plausibile sembra,
invece, l'identificazione del "secondo" Gregorio col Nisseno, cui il Nazianzeno
scrive diverse lettere (11, 72, 73, 74, 76, 81, 182, 197) e cui indirizza l'or. 1169,
pronunciata in occasione della visita che il neo vescovo di Nissa gli fece, nel corso
dell'estate del 372, probabilmente per convincerlo, per conto di Basilio, a prendere
possesso della sede episcopale di Sasima. In questo discorso, al termine di un
elogiativo ritratto dell'amico e vescovo, Gregorio Nisseno viene definito τὸν
ὁμώνυμον ἐμοὶ καὶ ὁμόψυχον (or. 11,2), locuzione che consuona con il Γρηγορίω
πρώτιστον ὁμωνυμίῃ τε βίῳ τε, che leggiamo in carm. II,2,3 v. 40. Dall'epistola 8170
che il Nazianzeno invia al suo omonimo, inoltre, si apprende che il Nisseno viaggiò
parecchio (κατὰ Θεὸν ἡ περίοδος): il dato è stato messo in relazione con l'incarico
che egli ebbe di ispezionare le diverse chiese della diocesi pontica come garante
dell'ortodossia intorno al 38171. Se, allora, il "secondo" Gregorio è il Nisseno, ci
rendiamo conto che i quattro personaggi - il Νazianzeno, il Nisseno, Bosporio e
Anfilochio, tutti sottoscrittori del concilio costantinopolitano del 38172 - si
67
Sul profilo del personaggio cfr. Hauser-Meury, pp. 88-90.
Cfr. Series episcoporum ecclesiae catholicae, quotquot innotuerunt a beato Petro apostolo. A multis
adiutus edidit P. Pius Bonifacius Gams, fotorist. Graz 1957, pp. 440 e 451; Gallay, Vie, p. 124 nota 6.
69
Cfr. Hauser-Μeury, pp. 91-92; Calvet-Sebasti, p. 96.
70
Cfr. epist. 81: Δυσχεραίνεις τῇ περιόδῳ καὶ ἀστατεῖν σεαυτῷ φαίνῃ, καθάπερ τῶν ξύλων ἃ καθ’
ὕδατος φέρεται. Μηδαμῶς, ὦ θαυμάσιε, μὴ οὕτως ἔχε. Τῶν μὲν γὰρ ἀκούσιος ἡ φορά, σοῦ δὲ κατὰ
Θεὸν ἡ περίοδος, καὶ πάγιον τὸ τοὺς πολλοὺς εὖ ποιεῖν, κἂν εἰ μὴ τῷ τόπῳ πεπήγοις. Εἰ μὴ καὶ τὸν
ἥλιον αἰτιῷτό τις ὅτι περιτρέχει σπείρων τὴν ἀκτῖνα καὶ πάντα ζῳογονῶν ὅσα ἐπέρχεται, ἢ καὶ τῶν
ἀστέρων τοὺς ἀπλανεῖς ἐπαινῶν κακίζοι τοὺς πλάνητας, ὧν καὶ τὸ πλάνον ἐναρμόνιον. Gallay,
Lettres, p. 104 e nota 1 data l'epistola "verse 381".
71
Cfr. Hauser-Meury, p. 92 e nota 185; J. Daniélou, Grégoire de Nysse à travers les lettres de Saint Basile et
de Saint Grégoire de Nazianze, Vigiliae Christianae 19, 1965, pp. 31-41, in part. pp. 39-40 ha messo in
relazione, invece, l'epist. 81 con i viaggi compiuti da Gregorio di Nissa nell'inverno tra il 379 e il 380,
quando, cioè Gregorio di Nazianzo si trovava ancora a Costantinopoli.
72
Cfr. J.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, vol. III, coll. 569-570, Florentiae
1759.
68
34
qualificano a buon diritto quali campioni di una ortodossia riaffermata con forza e
proclamata saldamente da poco. Come buona parte della sua produzione poetica,
anche il nostro carme andrà, allora, ascritto all'ultimo periodo della vita del
Nazianzeno, dopo il suo ritorno, nel 381, nella patria cappadoce73.
3. Struttura e tematiche
Il carme risulta cadenzato da motivi ricorrenti che ne tessono la trama e ne
costituiscono le fondamenta, come la menzione del vitium, il χόλος, che affligge il
destinatario, e le suppliche che l'io loquens rivolge al genitore affinché lo deponga
(vv. 134. 146. 176. 201. 287. 292. 326), e manifesti, invece, la χάρις e l' εὐμένεια nei
confronti dei figli. In particolare va detto che i vv. 75-104 sono fondati sul concetto
di benevolenza che un uomo deve mostrare verso i figli, soprattutto se sono κακοί,
in virtù dell’esemplare θεοῖο χάρις, che trova massima espressione nel sacrificio di
Cristo a favore dell'umanità peccatrice74. Il componimento è, inoltre, caratterizzato
da apostrofi ed interrogative retoriche che donano espressività e vivacità al
dettato, conferendo un'impressione di spontaneità e di oralità legata ad una
occasione performativa75.
L'incipit altisonante che si avvale della similitudine che intercorre tra Padre
celeste e padre terreno procede secondo la tecnica della captatio benevolentiae: l'io
loquens si rivolge al genitore chiamandolo θεός e gli riconosce nei confronti dei figli
lo stesso dominio che Cristo ha sul mondo (vv. 1-8). Il locus de nobilitate che
interessa i vv. 14-15 offre alcune informazioni sulla persona di Vitaliano che viene
descritto come uno zelante cristiano, appartenente ad una famiglia dalla condotta
integra76. Segue lo schema della Priamel che veicola il locus de fortuna: l'elencazione
73
Di tale avviso è anche Demoen, Poet, pp. 432 e 438-440.
La sezione mostra delle significative concordanze con carm. II,2,4-5 per cui si rimanda a infra, nota
ai vv. 97-98. Il concetto di χάρις è qui prettamente cristiano, posto ad un livello superiore rispetto ai
beneficia di Sen. ben. 3,30ss. che i genitori elargiscono ai figli (lo scrittore latino discute, inoltre, sulla
possibilità che un figlio possa ripagare i beneficia ricevuti dal genitore: cfr. F. Di Garbo, La relazione
pater/filius come paradigma di autorità. Alcune considerazioni su un sistema di rappresentazione e sulle sue
implicazioni funzionali, in G. Picone (a cura di), Clementia Caesaris. Modelli etici, parenesi e retorica
dell'esilio, Palermo 2008, pp. 259-279, in part. 270ss.).
75
Cfr. vv. 6. 161-162. 177-178. 335-336. Puntando sulla forma stilistica del carme, quale "piece of
epideictic rhetoric", Demoen, Poet, pp. 432ss., propone la seguente suddivisione: vv. 1-10 Exordium;
11-49 Narratio; 50-136 Argumentatio; 137-176 Narratio; 216-337 Argumentatio; 338-352 Peroratio.
76
Ai vv. 245ss verrà messa in risalto, con una sfumatura polemica, la fides di Vitaliano che si esplica
in esteriori manifestazioni cultuali in onore dei martiri.
74
35
delle varie sventure alle quali Vitaliano, per grazia divina, è scampato culmina nel
riferimento alla vicenda di Policrate, che esprime la convinzione dell'esistenza di
leggi ed equilibri superiori, ai quali l'uomo non può comunque sottrarsi. Come il
tiranno di Samo non riuscì a sfuggire all'invidia divina, così la casa di Vitaliano, che
non ha ancora concesso nulla allo φθόνος, è sprofondata in un oscuro abisso (vv.
20-49)77.
La sezione mitologica (vv. 50-64), costituita dall'allusione ad exempla con
chiaro valore negativo (Narciso, Medea, Agave e Penteo e Atteone) che sono
accomunati dal tema dello sguardo, rifiutato o negato, fa da pendant oppositivo a
quella biblica contenuta ai vv. 105-126: le parabole del figliol prodigo e della
pecorella smarrita, quali espressioni dell'amore e della misericordia divina, sono
presentate in chiave parenetica affinché Vitaliano mostri, nei confronti dei figli, la
stessa forgiveness del padre e del pastore delle parabole. Similmente, gli exempla
auctoritatis fondati sulla μετάνοια del fariseo dell'omonima parabola, del re
Manasse, degli abitanti di Ninive e del pubblicano Zaccheo devono esortare
Vitaliano alla μίμησις dei loro comportamenti penitenti e remissivi78.
La narrazione prosegue offrendo un vivido quadro coloristico della casa di
Vitaliano, dalla quale l'io loquens e il fratello sono stati cacciati79; costretti a vagare
in cerca di ristoro, così come il povero Lazzaro della parabola, non godono più del
sostentamento paterno, dei beni e dei benefici che Vitaliano elargisce a tutti con
grande generosità (vv. 137-160). L'analisi delle dinamiche familiari è, poi, condotta
attraverso un “salto all’indietro” che ripercorre i tempi dell'educazione delle figlie
femmine affidata, morta la madre, ad un Chirone in vesti femminili (vv. 165-170)80,
fino al matrimonio di una di loro dal quale i due fratelli sono stati esclusi: si tratta
della cosiddetta "sezione epitalamica", che si intreccia con il genere del
77
Il tema dell'invidia ritorna in riferimento al diverso comportamento che Vitaliano tiene nei
confronti delle figlie femmine (vv. 165ss.) e al temine della cosiddetta "sezione epitalamica" (vv.
179-215): qui l'io loquens, non avendo potuto intonare l'epitalamio in onore delle nozze della sorella,
col quale sperava di placare l'ira del genitore, concede all'invidia il suo silenzio, δώσω καὶ τόδε σοι,
μογερὲ φθόνε. Λήξατ᾽, ἀοιδαί (cfr. infra, nota ai vv. 207-215 e 215).
78
Ai vv. 65-67 l'io loquens attribuisce al genitore una maggiore responsabilità e colpa del dissidio
familiare: …κακίη μὲν ἐμή, κακίη δέ τε πατρός, πατρὸς δ᾽ εἰσέτι μᾶλλον, ἐπεὶ καὶ φέρτερός ἐστιν
ἀμφότερον πολιῇ τε καὶ ἤθεσι κυδαλίμοισιν.
79
Al v. 175 l'io loquens afferma espressamente: …καὶ δώματος ἐκτὸς ἐλαύνεις.
80
L'espressione θηλυτέρης Χείρωνος di v. 168 è simile a quella che Gregorio usa per designare la
precettrice Olimpiade in carm. II,2,6 v. 99, cfr. infra, nota ad loc.
36
paraclausithyron81 (vv. 179-215). Questo pezzo di "metapoesia", che mescola
plausibili situazioni reali (la varietà sociale degli invitati, la presenza dei sacerdoti)
a topoi letterari (la descrizione della bellezza dei due sposi, la menzione di Espero e
Lucifero, i due piccoli medaglioni che descrivono il gruppo di giovani che danzano
intorno allo sposo, e quello delle donne che adornano la sposa, la riflessione
pessimistica sulla crudeltà dell'esistenza), dà vita ad un quadro letterariamente
compiuto che eleva il tono del componimento, opera di un ἀοιδῆς ἴδρις.
Segue un ritratto critico della fides esteriore di Vitaliano, zelante cristiano
che ama circondarsi di un entourage elevato di ecclesiastici - tra cui spicca il nome
di Gregorio stesso che si autocelebra insieme al Nisseno, a Bosporio e Anfilochio,
quale baluardo e sostenitore instancabile della Trinità82- e che fa mostra di pietas,
elargendo grandi donativi in occasione delle commemorazioni dei martiri (vv. 233257).
Si prosegue con una sezione che si distingue per significative
argomentazioni antropologiche e teologiche: la breve digressione sulle tre
γενέθλαι dell'uomo - la prima legata alla carne e al sangue, la seconda al battesimo,
la terza alla penitenza - prepara il campo alla rassegna delle esperienze di
Vitaliano, che realizzano quella μεγαλήτωρ βουλή cui lo aveva invitato Gregorio. Il
quadro, impregnato di riferimenti e citazioni bibliche (Lot che fugge da Sodoma, la
parabola del mercante e della perla preziosa, la cacciata dei Protoplasti dal paradiso
terrestre) ripercorre le varie tappe del cammino ascetico che trae linfa dalla lode
della Trinità e culmina nella θεωρία Θεοῦ. Il compimento di questo percorso è
ancora ostacolato dal χόλος che tormenta l'uomo (vv. 260-292). Un’ ira così grande
appare, tuttavia, ingiustificata agli occhi dei figli che, dopo aver passato in
rassegna, in una climax, le più comuni colpe giovanili (l'eccessiva dedizione al
gioco, l'ubriachezza, gli amori illeciti, le parole audaci, le percosse al genitore, vv.
299-303), affermano l'esistenza di una ἀδίδακτος ἀνάγκη che fa placare la collera
dei genitori, facendo loro assumere un atteggiamento più accomodante nei
confronti delle malefatte dei figli (vv. 305-317). La pietas paterna è, infatti, capace di
81
Durante il banchetto nuziale i due fratelli sono εἰρχθέντες κατὰ δῶμα (v. 191); pertanto la cacciata
da casa apparterrebbe ad un momento successivo alle nozze.
82
La menzione di sé, oltre ad essere espressione di autorevolezza, imprime al componimento una
σφραγίς d'autore.
37
perdonare qualsiasi disubbidienza, come testimonia l'exemplum biblico di David che
si dimostrò mite anche con il figlio Assalonne, insorto contro di lui (vv. 297-324):
eppure colpe paragonabili a quelle di cui si macchiò Assalonne avrebbero potuto
ben giustificare l’ira di un genitore (vv. 325-332). L'unica colpa di cui si sarebbero
macchiati i figli di Vitaliano è, in realtà, quella di apparire fisicamente inferiori
rispetto all'ottimo genitore, sul quale viene riversata, molto ironicamente, la
responsabilità di non aver concesso alla prole una ἀρείων φύσις.
La
conclusiva
supplica
a
Cristo,
perché
avvenga
finalmente
la
riconciliazione, riprende, all’incirca, le stesse espressioni dell' exordium del carme,
dove il figlio si rivolge al genitore perché si mostri conciliante: secondo i canoni
della Ringkomposition ci si riallaccia all’incipit, con la similitudine tra Padre celeste e
padre terreno.
Il componimento si chiude con la richiesta di intercessione alla madre
defunta, unita alla speranza, magari in una prospettiva post mortem, di un ritorno
alla εὐμένεια da parte del padre (vv. 338-352).
4. Genere e stile
Il carme II,2,3, un'epistola poetica83, si inserisce all'interno di un quadro
stilisticamente molto articolato, giacché si avvale di un ipotesto fatto di citazioni e
allusioni omeriche, nonché di locuzioni che attingono con ampiezza alla poesia
lirica, alla tragedia e ad autori dell'età ellenistica. Tematicamente, la poesia si
avvicina, per il quadro etico e normativo che deve regolare i rapporti padri-figli, al
Plutarco - ovvero Ps.-Plutarco - del de liberis educandis, e intreccia un alto numero di
riferimenti mitologici ad altrettanti paralleli scritturistici. insieme ad un ampio
ventaglio di figure retoriche. Per la tematica trattata - un figlio abdicatus che,
cacciato da casa, si rivolge al genitore affinché deponga l'ira nei confronti di sé e
del fratello e li riaccolga presso la casa paterna - il carme è stato accostato a quelle
declamationes connesse all'antico istituto giuridico dell'ἀποκήρυξις greca e
dell'abdicatio romana, divenuto tema ricorrente delle esercitazioni retoriche e
scolastiche sia latine che greche (declamatio di un padre che ripudia il figlio, ovvero
83
Cfr. supra, nota 1 e Moroni, pp. 45-46.
38
difesa del figlio che si ribella alla decisione del padre)84. Similmente, l'impostazione
formale e retorica avvicina il componimento ad un altro esercizio scolastico,
l'ἠθοποιΐα85 che, come la declamatio, può basarsi su eventi del mito o, comunque,
fittizi, assumendo la connotazione di mera μελέτη. Il carme, inoltre, interseca al
suo interno il genere dell' epithalamium e del paraclausithyron (vv. 178ss.).
All'interno di questa rigida cornice il Cappadoce si muove abilmente,
rielaborando motivi tradizionalmente topici (ad esempio l’elencazione delle
tradizionali malefatte giovanili dei vv. 300-303) e adattandoli ad una sensibilità di
matrice biblico-cristiana (ai misfatti di Assalonne, capaci di suscitare l’ira di
qualunque padre fa da pendant la pietas paterna di David, vv. 318ss.), con
l'atteggiamento proprio del pastore-letterato che, giocando con lo strumento della
letteratura, veicola un messaggio non solo «from son to his father, but… from an
author to a wider audience, his reading public»86. Si può ipotizzare, infatti,
l'esistenza di un pubblico che avrà potuto offrire al Cappadoce, dopo il suo ritorno
a Nazianzo nel 381, spunti per delle performance letterarie, delle quali si può forse
risentire l'eco nella oralità simulata della redazione scritta87. Pure in questo carme,
84
Numerosi i punti di contatto con le declamationes di Libanio, con l'Abdicatus di Luciano, con le
declamationes di Quintiliano e con le controversiae di Seneca il Retore, segnalati da Regali,
Declamazioni, pp. 529ss., che rileva come il tema dell'ἀποκήρυξις/abdicatio sia usato anche dagli
scrittori cristiani all'interno della polemica antipagana, antigiudaica e antieretica (cfr. Wurm, pp.
96ss.; Albertoni, pp. 69ss.). Ai luoghi segnalati da Regali, ne sono stati aggiunti altri nel corso del
commento. — Per un'analisi delle strutture declamatorie nelle orazioni del Cappadoce si rimanda a
Č. Milovanović, Sailing to Sophistopolis: Gregory of Nazianzus and Greek Declamation, JECS 13, 2005, pp.
187-232.
85
Cfr. Demoen, Poet, pp. 439-440; G. Agosti, Cristianizzazione della poesia greca e dialogo interculturale,
Cristianesimo nella Storia 30, 2009, p. 317 e nota 14. Sull'etopea si veda G. Agosti, L'etopea nella poesia
greca tardo antica, in E. Amato-J. Schamp, ΗΘΟΠΟΙΙΑ. La représentation des charactères dans la littérature
de l'Antiquité Tardive, Fribourg-Salerno 2005, pp. 34-60..
86
Demoen, Poet, p. 438.
87
Cfr. C. Crimi, Parola e scrittura in Gregorio Nazianzeno, in R. Radice - A. Valvo (a cura di), Dal Logos dei
Greci e dei Romani al Logos di Dio. Ricordando M. Sordi, Milano 2011, p. 354 : «Quando il Cappadoce torna
in patria nel 381, trova - o ritrova- un altro suo pubblico, una piccola cerchia, sulla quale siamo
informati grazie alle epistole e ad alcune poesie che ci rivelano la fisionomia locale del Nazianzeno,
ormai privato della grande ribalta della capitale. Non è difficile immaginare, intorno al grande
personaggio, un piccolo theatron di ascoltatori, primo nucleo di una cerchia allargata di lettori,
provenienti dal notabilato locale, imbevuti più o meno profondamente di quella cultura alta che
funzionava da marca distintiva ed elitaria, utile status symbol da far valere nei rapporti sociali. Un
gruppo di familiari, amici, ecclesiastici, dotti della regione, in grado di interagire con lo scrittore
secondo dinamiche performative di lettura ad alta voce e di disamina dei testi, note alla cultura di
età imperiale e, poi, a quella bizantina. Nell'ipotizzare questo theatron, non facciamo altro che tirare
le conseguenze dal fatto che il Nazianzeno, nell'ultimo periodo della sua vita compose numerose
epistole e poesie per orecchie ed occhi assai vicini a lui, pronti ad ascoltarlo e a leggerlo»: Cfr. anche
G. Agosti, La voce dei libri: dimensioni performative dell'epica greca tardo antica, in E. Amato (a cura di),
39
come in molti altri del Nazianzeno c'è un evidente intreccio di motivi didattici
legati a quelli di matrice autobiografica. Anche se qui siamo alla presenza di una
poesia scritta “per altri”, l’esposizione in prima persona rivela un evidente modello
di scrittura autobiografica: la posizione del Nazianzeno è sbilanciata in favore dei
figli a tal punto che la voce autoriale spesso non si distingue da quella dell’io
loquens88. La rielaborazione retorica, inoltre, amplifica e, in un certo senso,
drammatizza i toni della disputa familiare che travalica, così, la sfera della
contingenza quotidiana per proiettarsi in una dimensione di rispecchiamento di
paradigmi biblici ma anche classici in vista di una presentazione letterariamente
“alta”.
5. La metrica
5.1. La metrica esterna
Il carme II,2,3, con i suoi 352 versi, presenta 15 forme di esametro delle
“almeno 21” segnalate da Gonnelli in base al campione di 3000 versi preso in
esame89.
Le forme sono le seguenti:
ddddd
116
32.95%
sdddd
88
25.00%
dsddd
56
15.91%
dddsd
32
9.09%
sddsd
17
4.83%
ddsdd
13
3.69%
ssddd
10
2.84%
dsdsd
9
2.56%
dddds
2
0.57%
sdsdd
2
0.57%
Approches de la Troisiéme Sophistique. Hommage à J. Schamp, Bruxelles 2006, pp. 45-62, in part. p. 46
nota 54: McLynn, Olympias, p. 237. Sulla predicazione del Nazianzeno precedente al soggiorno
costantinopolitano si veda N. McLynn, Among the Hellenists: Gregory and the Sophists, in Børtnes-Hägg,
pp. 213-238
88
Per la connessione tra autobiografia e poesia didattica in Gregorio cfr. Garzya, pp. 197ss.; C.
Milovanović, Gregory of Nazianzus's de rebus suis and the tradition of epic didactic poetry, Recueil des
travaux de l'Institute d' études byzantines 45, 2008, pp. 43-56.
89
Tra i quali sono contemplati i primi 120 versi del nostro carme II,2,3 Ad Vitalianum.
40
dssdd
2
0.57%
sddds
2
0.57%
dsdds
1
0.28%
sssdd
1
0.28%
ssdsd
1
0.28%
Già Gonnelli aveva evidenziato il più marcato andamento dattilico del
nostro carme rispetto ad altri carmi del Nazianzeno parlando di “corsa dattilica”90;
e infatti, la ratio media d:s riscontrata è del 5.2291. In dettaglio, va rilevata
un’occorrenza del dattilo per verso pari al 4.20 e dello spondeo per verso pari allo
0.8092. La forma maggiormente ricorrente è quella olodattilica con una frequenza
del 32.95%, e quella con incipit spondaico con una percentuale pari al 25.00%. Anche
nel nostro carme Gregorio infrange quello che poi sarà un tabù nonniano ed
ammette spondei in quinta sede in 5 esametri: vv. 111 (clausola esasillabica), 159
(clausola
quadrisillabica),
187
(clausola
quadrisillabica),
272
(clausola
quadrisillabica) e 321 (clausola quadrisillabica), mentre gli esametri con tre spondei
sono solo due (vv. 96, 245); sono presenti, infine, 10 esametri con due spondei di
seguito (vv. 35. 139. 156. 185. 189. 249. 256. 263. 304. 323).
In linea con l’andamento della poesia esametrica tardoantica, il Nazianzeno
del nostro carme preferisce la cesura femminile (B2) rispetto a quella maschile (B1),
associate alla cesura eftemimere (C1) e alla dieresi bucolica (C2). In dettaglio: B2
ricorre con una percentuale pari all' 84.38%, e combinata con la dieresi bucolica si
colloca al 48.86%. B1 ha una frequenza pari al 13.35% e in unione alla dieresi
bucolica scende a 10.80%. I versi incisi dalla sola cesura principale sono
rispettivamente: con B1 l’ 2.56%93, con B2 il 22.44%.
90
Non si trascuri il fatto che l'analisi dello studioso si basa su circa un terzo dei versi totali del
carme.
91
Sebbene la ratio media d/s da lui calcolata si fermasse al 4.40, egli riscontrava l’esistenza di carmi
(tra cui il nostro) in cui essa superava addirittura il 5.4: cfr. Agosti-Gonnelli, pp. 372ss.
92
Per un confronto con altri carmi esametrici del Nazianzeno si veda Moroni, pp. 61ss., dove si
riscontrano percentuali significativamente diverse per II,2,4-5 in quanto la ratio media d/s è pari a
3.41 per il primo carme, e di 3.68 per il secondo (occorrenze dattilo rispettivamente 3.87 e 3.93;
spondeo 1.13 e 1.07); Bacci, p. 55, dove per II,2,6 la ratio è pari a 4.55; Gregorio Nazianzeno, Virtù, p. 22,
dove si riscontra una ratio media pari a 5.07 e 4.15 per I,2,9 a/b.
93
Contro la tendenza "moderna" accolta da Nonno secondo la quale un verso inciso da B1 presenta
sempre una cesura secondaria C1, C2, o entrambe: cfr. Agosti-Gonnelli, p. 379.
41
I versi tetracoli sono 8 (vv. 82, 115, 117, 173, 200, 224, 241, 266) con una
percentuale di 2.27% e una ratio pari a 1:4494.
5.2. La metrica interna
Le violazioni al ponte di Hermann sono per la maggior parte apparenti (vv.
15 δέ γε, 157 γε μὲν, 217 δέ με, 237 σέ γε, 247 καὶ ἀπείρονι, 263 ἔπειτα δὲ, 276 δέ τε,
319 δέ τε; si riscontrano, però, alcuni casi di violazioni effettive ai vv. 274 τε σὸν,
293 αὐτὸς ἐϋμενέοντος.
Le violazioni al ponte di Hilberg sono tutte apparenti: vv. 47 καὶ, 96 καὶ, 98
ποῦ, 101 καὶ, 179 καὶ, 193 μὴ, 196 τὸν, 212 μὴ, 258 καὶ, 304 καὶ, 343 δὸς.
Le violazioni al ponte di Naeke sono tutte apparenti: vv. 3 καὶ, 37 καὶ, 41 καὶ,
49 καὶ, 59 καὶ, 63 καὶ, 66 καὶ, 80, καὶ, 122 καὶ, 158 ἢ (in iato con il successivo ἄλκαρ),
162 μὴ, 163 καὶ, 199 καὶ, 216 μήδ’, 219 καὶ (in iato con il successivo ὑψόσ’), 287 καὶ
(in iato con il successivo ἡδὺς), 320 καὶ, 335 οὐκ.
Le violazioni alla seconda norma di Meyer sono le seguenti95: vv. 78
κλεινῇσι, 130 παρδαλιάς τε, 206 ὰγαθός τις, 232 συζυγίη τε, 255 καὶ γὰρ ἅπαντα, 301
ὀλοοῖσι, 312 τεκέεσσι.
Si segnala al v. 293 ἐϋμενέοντος l'applicazione della 1a legge di Schulze (in
tempo forte, in una serie di sillabe brevi si allunga la terzultima).
Per quanto riguarda il trattamento di fine verso, si devono segnalare 12
versi chiusi da monosillabo, 10 dei quali con monosillabo breve vv. 14 δὲ, 70 δὲ, 149
περ, 152 δὲ, 156 γὰρ, 181 δὲ96, 221 γὰρ, 226 δὲ, 240 τε, 278 δὲ, 280 τε, e 2 con
monosillabo lungo: vv. 125 τοὺς97, 253 χθών98.
94
Gonnelli definisce questo tipo di verso una “speciale risorsa metrico-retorica” per Gregorio, cfr.
Agosti-Gonnelli, p. 381.
95
Per la formulazione di questa norma, cfr. Gonnelli (Agosti-Gonnelli, pp. 385-386: « …parole che
inizino prima del secondo longum non terminano con il secondo trocheo»). Il primo caso è segnalato
anche da Gonnelli, (cfr. Agosti-Gonnelli, p. 386), il quale riscontra come Gregorio sia “meno
controllato” nel rispettare questa norma rispetto a Callimaco e agli autori imperiali che hanno
percentuali molto più basse.
96
Si noti la uguaglianza di ciò che precede i monosillabi finali dei vv. 14, 70, 149, 152 e 181
rispettivamente: οὐκ ὀλίγος, οὐκ ὀλίγοι, οὐδ’ ὀλίγας, οὐκ ὀλίγοι, οὐκ ὀλίγος.
97
Gonnelli nota come la clausola del v. 125 ἀλλ’ ἄρα καὶ τούς sia un adattamento di Hom. Il. 19.94
ἀλλ’ ἄρα καὶ τόν, cfr. Agosti-Gonnelli, p. 387.
98
Gonnelli ricorda che χθών è monosillabo finale omerico, e sottolinea che in questo caso esso è
preceduto da un epiteto coriambico οὐδ’ ὀπόσα χθών, cfr. Agosti-Gonnelli p. 387.
42
Da un punto di vista prosodico si verificano i seguenti casi di allungamento in
tempo forte di sillaba finale breve uscente in vocale davanti a parola che inizia con
due consonanti o con consonante doppia:
nel II longum vv. 124 ἐνὶ πτολίεσσι, 149 ἐπὶ σχεδίῃσι, 241 συζυγέα
στομάτεσσιν, 244 τε Τριάδος, 256 δὲ ψυχῆς, 273 δὲ κτεάνον;
nel IV longum vv. 7 ἐνὶ σπλάγχνοισιν, 71 σε φράζεσθαι, 101 ἀπὸ χθονὸς, 127
δὲ βροτέοιο, 136 ἐνὶ φρεσὶ; 146 ἐπὶ χρόνον, 168 ὑπὸ προπόδεσσι, 169 ἐνὶ πτολίεσσι,
193 ἐνὶ σπλάγχνοισιν, 203 ὑπὸ πλοκάμοισι, 209 ἀπὸ σκοπέλων, 215 μογερὲ φθόνε,
228 ἔπι πρώτοισιν, 233 ἐνὶ σπλάγχνοισιν99, 326 ἐνὶ φρεσὶ;
nel V longum100 v. 87 ὁ στάχυς;
nel VI longum v. 253 ὁπόσα χθὼν.
Si segnala un solo caso di allungamento in tempo forte di sillaba finale breve
uscente in vocale davanti a parola che inizia con consonante semplice:
nel II longum v. 335 τε̄ μέγεθος101;
così pure ricorre un solo caso di allungamento in tempo forte di sillaba finale breve
uscente in ν davanti a parola che inizia con vocale:
nel II longum v. 164 ὅσον ἐπέοικε.
La correptio epica è applicata soprattutto alla congiunzione καὶ (vv. 2, 6, 9, 25, 30, 32,
64, 69, 93, 104, 110, 131, 140, 144, 180, 195, 223, 238, 242, 247, 254, 261, 262, 265, 269,
283, 292, 293, 301, 322, 324, 343, 344, 348) e nei seguenti casi: vv. 10 ἴξεται, 23
ὑποδέξεται, 26 κεύθεται, 149 δυσάμμοροι, 177 φθέγξομαι.
La correptio attica interessa diversi gruppi consonantici: vv. 11. 21. 260 (βρ); 99. 106.
145. 153. 238. 272 (πρ); 119. 265 (κρ); 140. 148. 150102. 153. 164. 201. 231. 265. 284.
314103 (τρ); 166. 289 (δρ); 220 (κλ); 259 (θρ); 277 (πλ); 315 (φλ).
L’iato si verifica nelle seguenti posizioni:
tra I e II metro v. 57;
tra III e IV metro; v. 36
99
Si noti l'identica espressione collocata nella stessa sede metrica dei vv. 7. 193. 233 e investita dallo
stesso fenomeno prosodico.
100
Si noti il fenomeno applicato al V elementum longum che è invece “cosa del tutto esclusa nell’uso
moderno”, cfr. Agosti-Gonnelli p. 397.
101
Cfr. carm. II,2,4 v. 122 e Moroni, p. 66; Agosti-Gonnelli, p. 394.
102
La parola è la stessa per i tre vv. 140. 143. 150: τράπεζα, τραπέζαις, τραπέζης.
103
Stessa parola per i vv. 153. 154. 201. 231. 314: πατρός.
43
tra le brevi del III biceps bisillabico vv. 103;
tra IV e V metro; vv. 158, 163, 219, 287, 323, 342;
tra V longum e biceps bisillabico v. 327;
tra le brevi del V biceps bisillabico vv. 18, 20, 41.
Infine, si rilevano alcuni casi di “false quantities”: sillaba breve anziché lunga, v. 13
Ἐρῐνύς104; vv. 14 e 297 ἔφῠς105; sillaba breve posizionata in tempo forte, v. 298
ἀνῑάζουσι106, vv. 142 e 264 ὕδωρ (con ῡ)107, 337 φύσιν (con ῡ)108; sillaba lunga anziché
breve, v. 345 λῑταῖς109.
104
Il termine ricorre anche ai vv. 228 e 303 in clausola con la quantità classica Ἐρῑνύς, cfr. LSJ s.v.
Per la prosodia di un’altra forma dello stesso verbo cfr. Moroni, p. 68.
106
La ι è breve o lunga a seconda delle necessità metriche già in Omero: cfr. Oberhaus, p. 28 nota
126, e LSJ s.v. ἀνιάζω.
107
Per lo stesso trattamento della parola cfr. carm. II,2,3 v. 621, e Crimi-Kertsch, p. 104 nota 352.
108
Ai vv. 20 e 73 la parola rispetta la quantità classica: cfr. Oberhaus, p. 29.
109
Cfr. LSJ s.v.
105
44