finanza privata : regole e controlli prof . maria rosaria naddeo

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“FINANZA PRIVATA: REGOLE E
CONTROLLI”
PROF. MARIA ROSARIA NADDEO
Università Telematica Pegaso
Finanza privata: regole e controlli
Indice
1
GOVERNO DELLA MONETA: AUTORITÀ E POTESTÀ ---------------------------------------------------------- 3
2
L’INTERESSE PUBBLICO ALLA TUTELA DEL RISPARMIO--------------------------------------------------- 7
3
EVOLUZIONE DELL’ASSETTO DELL’ORDINAMENTO CREDITIZIO ------------------------------------- 10
4
LA DISCIPLINA PUBBLICISTICA DELL’INTERMEDIAZIONE MOBILIARE ---------------------------- 16
5
IL CONTROLLO PUBBLICO SULLE ASSICURAZIONI PRIVATE -------------------------------------------- 19
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Governo della moneta: autorità e potestà
La scienza economica individua la moneta come mezzo per gli scambi di ogni tipo, quale
bene mobile assunto come unità di misura del valore legale di tutti gli altri beni, che si concretizza
nella moneta metallica, coniata dal detentore della sovranità monetaria (lo Stato e dal 2001 l’UEM e
per essa la BCE) e dai biglietti di banca rappresentativi della moneta, emessi generalmente dalla
Banca centrale.
L’esistenza della massa monetaria (l’insieme, di diversa origine, delle monete e dei biglietti
circolanti o depositati) impone un governo pubblico della moneta, o meglio di tale liquidità, ai fini
dell’attuazione della politica monetaria.
Successivamente al Trattato di Maastricht e alla realizzazione del SEBC (Sistema europeo
delle Banche Centrali), del quale fanno parte diverse Banche centrali nazionali unitamente alla
nuova Banca Centrale Europea (BCE), la sovranità monetaria del nostro Paese si è pressoché
totalmente trasferita a questo organismo sopranazionale a base federale con sede a Francoforte.
Questa politica monetaria, ormai parzialmente realizzata a livello comunitario, non può che
influire pesantemente sulle politiche di bilancio e sull’intera finanza pubblica interna, nonché sulle
riserve valutarie di ciascuno dei Paesi aderenti, nelle quali mantiene un andamento vistosamente
decrescente il peso delle riserve auree (passato dal 50 al 10 per cento nel trentennio successivo
all’abolizione – 1971 – della convertibilità oro-dollaro); infatti, in deroga ad un accordo CEE del
1979, che prescriveva un proporzionale deposito aureo, nel 2004 si è convenuto di permettere lo
smobilizzo graduale delle riserve in oro, in modo da realizzare entrate straordinarie e una tantum
anche per questa via. Questa scelta è stata frenata, almeno per l’Italia, soltanto dall’aumento del
prezzo internazionale dei metalli nobili, che ha raggiunto, per l’oro, il 50 per cento nell’ultimo
quinquennio, rivalutando il portafoglio dei Paesi detentori. Ma il peso economico delle riserve auree
– fino a venticinque anni fa uno dei simboli di potenza delle nazioni – è oggi assai ridotto, per non
dire minimo.
Lo Stato nazionale poteva intervenire a correzione dell’economia attraverso due strumenti
fondamentali: la politica monetaria e la politica fiscale.
Si può definire la prima come l’insieme di strumenti a disposizione delle autorità monetarie,
tipicamente le Banche centrali, per regolare i tassi d’interesse e, attraverso questi, la quantità di
moneta che circola nell’economia. Valutata correttamente la domanda di denaro che si stima
corrispondente agli attesi livelli di attività economica, la scelta dei tassi da applicare e la manovra di
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immissione o ritiro delle riserve influenzano la massa circolante nella direzione che si è prefissata la
Banca centrale.
Si definisce espansiva una politica monetaria che, attraverso la riduzione di tassi d’interesse,
voglia stimolare l’offerta di moneta dalle banche alle imprese, e quindi gli investimenti e la
produzione di beni e servizi.
Al contrario, si definisce restrittiva una politica monetaria che, attraverso l’aumento dei tassi
d’interesse, riduca l’offerta di denaro e quindi renda meno conveniente investire e produrre,
realizzando così quell’obiettivo deflazionistico a cui la manovra tende.
In realtà se l’efficacia di tale sistema non può essere messa in discussione quando ha ad
oggetto fini restrittivi e deflazionistici (con effetti che però si estendono negativamente pure ai
consumi ed all’occupazione), lo stesso non può affermarsi con altrettanta sicurezza quando
l’obiettivo finale è l’espansione dell’economia, per stimolare la quale la riduzione del costo del
denaro e la disponibilità di fondi per gli investitori non bastano affatto, se non si accompagnano a
sicure aspettative di crescente consumo – interno o per l’esportazione – e quindi ricavi netti elevati
per l’imprenditore, fattori questi che dipendono da numerose variabili, anche psicologiche. La
politica monetaria permissiva non genera perciò effetti automatici come quella restrittiva,
costituendo solo una delle condizioni per lo sviluppo.
Gli obiettivi perseguiti dal SEBC sono enunciati nel Trattato (art. 105) e ripresi nello Statuto
(srt. 2). In particolare, tramite la gestione della politica monetaria, il Sistema ha anche il compito di:
svolgere le operazioni sui cambi, in linea con quanto stabilito dal Consiglio in conformità alle
disposizioni dell’art. 109 del Trattato; detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli
Stati membri; promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento; contribuire ad una
buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la
vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
Il compito sicuramente più visibile nell’esperienza della BCE è sancito dal primo comma
dell’art. 105 del Trattato, nel quale si prevede che l’autorità sopranazionale debba assicurare,
appunto, il mantenimento della stabilità dei prezzi, assumendo così il ruolo di decisore esclusivo
delle questioni relative alle politiche monetarie chiamate a garantire tale stabilità. Ciò significa che
nessun altro organo comunitario o nazionale può ingerirsi in quella materia: è quanto, del resto,
afferma l’art. 107 del Trattato che, nel ribadire la completa indipendenza della BCE espressamente
vieta alla stessa, nonché a qualsiasi Banca centrale di accettare istruzioni da altre istituzioni della
UE o dai governi o da qualsiasi altro organo degli Stati membri, fissando anche per questi ultimi,
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paletti rigidi quanto all’eventuale loro volontà di influenzare i membri degli organi decisionali della
BCE e delle Banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.
Il “Patto di stabilità”, costituito da un pacchetto di provvedimenti, prevede, in particolare,
che i Paesi evitino eccessivi disavanzi pubblici, si impegnino a mantenere il proprio bilancio in
equilibrio o in leggero avanzo, e in più, favoriscano una più forte integrazione nel coordinamento
delle politiche economiche conseguentemente alla loro partecipazione al mercato unico.
Se altri sistemi economici vedono affiancate autorità monetarie e finanziarie che
concorrono alla realizzazione di condizioni di sviluppo non inflazionistico, nell’ UEM i due
comportamenti operano su piani diversi l’uno sopranazionale, l’altro rimesso alle politiche
interne. In questa prima fase di vita dell’unione monetaria l’andamento dell’economia europea è
stato insoddisfacente rispetto a quello di altri grandi Paesi. Infatti l’unione monetaria ha
comportato l’impossibilità di effettuare politiche monetarie congiunturali nel caso di recessioni
che colpissero in modo asimmetrico i diversi paesi aderenti, cui si è aggiunta una carenza di
strumenti adeguati a livello di politiche fiscali.
Resta in capo alle singole autorità nazionali la competenza in materia di vigilanza sui
sistemi bancari e sui mercati finanziari, ferma restando la supervisione in capo al SEBC.
Alla luce dei cambiamenti in corso nel mercato bancario e, più in generale di quello
finanziario, che mostrano la tendenza delle istituzioni bancarie ad assumere dimensioni sempre
più rischiose, dovranno essere rafforzati i compiti in materia di supervisione bancaria in capo al
SEBC.
Per l’esistenza di un comprovato collegamenti tra la politica monetaria e la vigilanza sul
credito, si avverte sempre di più l’esigenza di giungere ad un sistema in grado di perseguire la
stabilità dei prezzi, ma al tempo stesso pronto ad adottare altri interventi se necessario.
Attualmente la funzione di vigilanza resta ancora saldamente attribuita alle singole Banche
centrali. A ciò si aggiunge il ruolo di tesoriere della Pubblica Amministrazione, con l’unica
limitazione, prevista dal Trattato di Maastricht, di non concedere finanziamenti, sia alle
amministrazioni centrali che a quelle periferiche. Le tesorerie possono, quindi, esclusivamente
incassare i versamenti a favore dello Stato ed eseguire pagamenti per conto dello stesso.
In Italia alla Banca centrale spetta poi l’affidamento all’IPZS (Istituto Poligrafico e
Zecca dello Stato) della stampa di banconote in euro e del conio delle monete col retrofaccia
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nazionale, nonché la raccolta e l’elaborazione delle statistiche monetarie e finanziarie, anche se
è la BCE che dovrà successivamente studiare le stesse, congiuntamente a quelle provenienti dagli
altri Paesi, al fine di conoscere le cifre aggregate per l’intera area della cosiddetta Eurolandia.
In conclusione, mentre la politica monetaria è ormai competenza esclusiva della BCE, la
politica fiscale e di bilancio e la funzione di vigilanza prudenziale restano in capo alle autorità
nazionali, con tutte le polemiche che tale assetto così raggiunto ha innescato: alcuni ritengono che si
debba nuovamente affidare ai singoli Stati decisioni in materia di governo della moneta per evitare
potenziali contrasti tra i governatori delle Banche centrali; altri sostengono, invece, che si debba
rafforzare l’autorità politica centrale, in particolare accentrando anche la politica finanziaria.
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2 L’interesse pubblico alla tutela del risparmio
Che sia di interesse dello Stato il compito di accrescere la fiducia popolare nel risparmio,
non solo incoraggiando l’espansione dell’attività delle banche, ma perfino organizzando una propria
rete di raccolta capillarmente diffusa sull’intero territorio nazionale, sembra oggi cosa normale, ma
così non era a fine ‘800, al tempo della lucida analisi sostenuta da un uomo nuovo della Destra
storica, Quintino Sella che riconobbe e sostenne la necessità che fosse un’amministrazione pubblica
capillare (a quel tempo postale) a darsi carico di raccogliere il denaro nella forma di deposito, come
già avveniva nei Paesi europei più moderni, intuendo l’opportunità di uno specifico intervento
pubblico volto a incentivare e tutelare il risparmio, quale risorsa necessaria per la crescita
economica e civile della giovane nazione italiana.
Gli obiettivi di incoraggiamento al risparmio, di protezione dei depositi e di primitiva tutela
del risparmiatore, che avevano guidato la battaglia politica per l’introduzione delle Casse di
risparmio postali, non si rinvengono però negli altri interventi legislativi di poco successivi. La
disciplina comune a tutte le imprese si rinveniva all’epoca nel Codice di commercio del 1882, e
bisognerà aspettare i provvedimenti del 1926 per aver una prima normativa organica dedicata sia al
settore monetario e creditizio sia alla tutela del risparmio.
Fu poi la politica dirigista del regime fascista ad elaborare un complesso armonico e
coordinato di strumenti, ed a rendere possibile un controllo pubblico ed una integrale previsione
normativa dell’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito: il RDL 375/1936,
convertito con legge 7 marzo 1938, n. 141, meglio noto come “legge bancaria”, ha retto pressoché
immutato per oltre cinquant’anni.
L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che pure enunciava agli artt. 41 e 47
nuovi e fondamentali principi in materia economica e bancaria, non determinò, infatti, un
mutamento di indirizzo nella politica legislativa in materia creditizia. Occorre però soffermarsi
sull’interpretazione data dalla dottrina a quell’art. 47 della Costituzione, ancora oggi fondamento
del nostro ordinamento creditizio che stabilisce che: “ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio
in tutte le sue forme; disciplina coordina e controlla l’esercizio del credito”. L’art. 47, evidenziando
l’inerenza al pubblico interesse dell’attività finanziaria privata, costituisce in pratica la
giustificazione costituzionale della funzione di vigilanza pubblica sull’esercizio dell’attività
d’impresa degli intermediari che svolgono siffatta attività. La tutela del valore del risparmio, inteso
come valore economicamente e socialmente rilevante, rientra infatti nei compiti della Repubblica, la
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quale persegue tale obiettivo controllando l’intero ciclo finanziario (dalla formazione “incoraggiata”
del risparmio attraverso imprese creditizie e finanziarie).
La tutela deve essere intesa come sinonimo della difesa di stabilità monetaria, da perseguire
come fine prioritario da parte della Banca d’Italia e fattore fondamentale dell’equilibrio economico
costituzionalizzato (insieme ad altri fattori identificati negli artt. 10, 11, 81 e 4 della Costituzione).
Essa si traduce in liquidità dedotta dal rapporto risparmio-credito.
E’ stato constatato come l’art. 41 riguardi soltanto l’attività pubblica e privata e perciò solo
una parte dell’equilibrio economico generale perseguito, appunto, dall’art. 47. C’è chi ritiene che
l’impresa bancaria sia oggetto dell’art. 41, che col terzo comma consente di incidere sullo statuto
della banca, limitando, attraverso il vincolo dell’utilità sociale, l’esercizio dell’impresa bancaria.
La tutela del risparmio deve essere vista come strumentale al perseguimento dell’obiettivo di
un’esistenza libera e dignitosa dell’individuo, in attuazione dell’art. 2 della Costituzione.
Storicamente la gestione della politica monetaria e creditizia non poté che essere fortemente
influenzata da una penetrante attività di indirizzo politico-economico da parte dello Stato.
L’espressione “Repubblica” contenuta nell’art. 47 equivale al soggetto titolare dei poteri di governo
del credito, cioè alla Banca centrale, il cui Governatore costituisce, perciò, l’organo costituzionale
necessario per regolare la funzione di governo della moneta e di coordinamento del credito.
Il trattato di Maastricht, imponendo come obiettivo principale all’allora futura Banca
Centrale Europea la realizzazione della stabilità monetaria e prevedendo solo in via subordinata un
intervento a sostegno dell’economia dell’Unione, recepisce proprio l’intento di quella corrente
dottrinaria che ricercava nell’art. 47 della Cost. un obiettivo esterno: il mantenimento del valore
della moneta.
La tutela del risparmio svolge un ruolo centrale nell’ordinamento poiché è, in ultima analisi,
uno dei mezzi più efficaci
per lo sviluppo dell’economia: la ricchezza eccedentaria dei
risparmiatori si convoglia sotto forma di investimenti al settore deficitario delle imprese, che
alimentano la crescita del sistema economico.
Per lungo tempo, tuttavia, i risparmiatori si sono limitati a depositare i propri risparmi presso
le banche che provvedevano autonomamente a reinvestirli sopportando i rischi del buon andamento
degli investimenti. Solo successivamente, nella fase del “risparmio consapevole”, i privati hanno
iniziato ad interessarsi direttamente ad effettuare scelte in merito al collocamento dei propri
risparmi. E’ stata quindi avvertita la necessità di introdurre forme di controllo anche nel settore del
mercato mobiliare, sia per colmare la disparità di trattamento tra le banche (già soggette alla
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vigilanza della Banca d’Italia), sia per garantire la stabilità e la correttezza degli altri intermediari
finanziari.
Si giunse così alla ricordata istituzione della Consob (1974-75) le cui funzioni di vigilanza
sono andate sempre aumentando ed articolandosi. La L. 77/83 ha sottoposto al controllo della
Consob ogni forma di sollecitazione del pubblico risparmio diretta all’investimento in valori
mobiliari, mentre la legge 1/91 ha stabilito la riserva di attività di intermediazione mobiliare per le
società di intermediazione mobiliare (SIM) e ne ha ancora una volta affidato il controllo alla
Consob.
Infine con il D.Lgs. 415/96, in attuazione degli orientamenti comunitari, si è provveduto alla
privatizzazione dei mercati regolamentati ed all’attribuzione della gestione degli stessi ad apposite
Società di Gestione del Risparmio (SGR), aventi forma di s.p.a. e sottoposte al controllo della
Consob.
Costituiscono i principali riferimenti normativi in materia il Testo Unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria (D. LGS. 58/98) e il Testo Unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia. Le funzioni vengono, quindi, ripartite tra Banca d’Italia e Consob, cui si
affiancano in ragione delle rispettive competenze, ISVAP, COVIP e Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato.
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3 Evoluzione dell’assetto dell’ordinamento
creditizio
Nell’evoluzione storica della legislazione bancaria, di suole distinguere grosso modo tre
periodi.
Il primo periodo risale dall’Unità d’Italia (1861) al 1926, anno dell’emanazione della prima
“legge bancaria”; un secondo periodo inizia a decorrere dalla seconda legge bancaria (1936) e
giunge fino all’emanazione del Testo Unico bancario (1993); un terzo periodo, caratterizzato da un
intenso processo di rinnovamento, è quello dell’ultimo decennio, che parte dalla predisposizione di
un Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. LGS. 1 settembre 1993, n. 385, in
vigore dal 1 gennaio 1994-TUB) e comprende il recepimento di diverse direttive comunitarie nella
materia.
L’inizio è caratterizzato dall’assenza di una disciplina speciale dell’attività bancaria, ma per
alcuni settori creditizi, c.d. “specializzati”, come ad esempio quelli del credito fondiario e del
credito agrario, ma anche per determinati tipi di aziende, quali le Casse di risparmio e i Monti di
pegno, furono predisposti appositi testi normativi.
Sottoposto ad un penetrante controllo, poi, fu l’esercizio, da parte di sei importanti banche,
del potere di emettere carta moneta, risalente all’epoca preunitaria. L’erede Stato italiano portò
successivamente gli istituti di emissione a tre (1893).
Nello stesso anno (1893) venne costituita, con statuto approvato con regio decreto, la Banca
d’Italia in forma di società per azioni. Essa nasceva dalla fusione tra le banche d’emissione aventi
struttura societaria che, precedentemente, erano confluite nella Banca Nazionale del Regno d’Italia
e da un’ulteriore aggregazione di imprese bancarie.
Se è vero che per una parte importante delle attività bancarie già esistevano, in quegli anni,
precisi controlli pubblici (importante è il TU del 1910) è comunque altrettanto vero che le banche
potevano essere liberamente costituite ed assolutamente libero era pure l’esercizio dell’attività
bancaria. Ciò comportò il moltiplicarsi incontrollato del numero delle banche ed la conseguente
crisi delle stesse, sia per l’inadeguatezza degli strumenti patrimoniali di cui erano dotate, sia la loro
stretta connessione tra il proprio capitale e quello delle imprese debitrici.
Con RDL 7 settembre 1926, n. 1511 e RDL 6 novembre 1926, n. 1830, venne introdotto nel
nostro ordinamento la prima legge generale per le imprese bancarie, allo scopo di realizzare quel
risanamento del settore bancario, che costituiva il necessario completamento del risanamento
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monetario, perseguito anche con l’unificazione completa degli istituti di emissione avvenuta con
RDL 6 maggio 1926, n. 812, con il quale si riconosceva finalmente alla sola Banca d’Italia la
facoltà di emissione dei biglietti di banca. Essa venne individuata quale struttura di vertice a cui
affidare la vigilanza bancaria.
Nell’attività di vigilanza rientrava il compito di esaminare le “situazioni periodiche” ed i
bilanci delle imprese ed il potere di svolgere inchieste. Venne attribuito, invece, all’allora Ministero
delle finanze il potere di autorizzare l’ingresso sul mercato di nuove imprese bancarie, l’apertura di
nuove filiali, la fusione tra aziende e la revoca dell’autorizzazione.
Risale a tale periodo la distinzione tra istituti ed aziende di credito e il vincolo del limite di
fido, che consisteva in un rapporto determinato dall’ammontare complessivo degli affidamenti che
le banche avrebbero dovuto concedere ed il patrimonio dell’impresa. Tutto ciò a conferma che
scopo dei controlli pubblici sulle imprese bancarie fu soltanto la realizzazione di un mercato
bancario che fosse quanto più possibile stabile ed efficiente.
Con la successiva legge del 1936 furono definiti con chiarezza anche gli scopi, i mezzi e i
limiti dell’intervento pubblico sull’ordinamento bancario. E’ indispensabile tener conto della realtà
economica e politica del Paese in quel periodo storico. Il regime fascista si stava avviando sempre
più verso un modello di organizzazione dell’economia fortemente accentrato e si assisteva ad una
crescente “pubblicizzazione” del settore bancario. Tra le vicende che si verificarono dopo
l’istaurazione della dittatura totalitaria (1925-26), grande rilievo ebbero la maggiori banche italiane
che avevano finanziato lo sviluppo industriale italiano e che vennero travolte dalla crisi degli anni
’30.
Tra le principali novità apportate dal RDL 375/26, convertito nella legge 7 marzo 1938,
n.141, meglio nota come “legge bancaria” e che si struttura come una legge del controllo sia sulle
banche che sul mercato creditizio nel suo complesso, si ricorda la distinzione tra “enti raccoglitori
di risparmio a breve termine” (aziende di credito) ed “enti raccoglitori di risparmio a medio e lungo
termine” ( istituti di credito), che venivano assoggettati ad una diversa disciplina; l’attribuzione del
controllo sull’attività bancaria ad un Comitato di ministri, composto dal Capo del governo e dai
ministri economici, alle cui dipendenze venne posto un organo burocratico denominato Ispettorato
per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito, a capo del quale era il Governatore della
Banca d’Italia, con poteri ampiamente discrezionali; il riconoscimento alla struttura societaria della
Banca d’Italia della natura di ente di diritto pubblico, con funzione di tramite tra governo e sistema
bancario. L’organizzazione introdotta dalla legge bancaria si differenzia nettamente da quella
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prevista dalla precedente legge del 1926: il controllo sulle imprese bancarie non è più attribuito al
binomio Ministro delle finanze-Banca d’Italia, ma ad un organo burocratico (l’Ispettorato –
soppresso nel 1944) alle dipendenze di un organo politico. La mancanza di un’adeguata struttura
operativa dell’Ispettorato fece sì che la vigilanza sul sistema bancario rimanesse affidata alla Banca
d’Italia, che la esercitò anche attraverso i propri uffici periferici.
Agli organi di vigilanza fu riconosciuto un potere fortemente discrezionale, di regolare
l’ingresso delle imprese sul mercato, di controllare la loro struttura e la loro espansione sul
territorio, oltre a quello di fissare penetranti limiti alla loro gestione. Alla duplice autorizzazione
(alla costituzione e all’inizio dell’attività) si accompagnava, infatti, l’approvazione degli statuti e la
successiva autorizzazione all’apertura di sportelli, attuando in sostanza un riscontro anche
qualitativo oltre che quantitativo sull’accesso.
Il DLCP 691/1947 istituì il tuttora esistente CICR (Comitato Interministeriale per il Credito
ed il Risparmio), presieduto dall’allora Ministro del tesoro e composto oggi anche dal Ministro
delle attività produttive, da quello delle Politiche agricole e da quello delle Infrastrutture e dei
trasporti, la cui competenza si estende all’alta vigilanza in materia di tutela del risparmio e di
esercizio della funzione creditizia e valutaria. Lo stesso provvedimento assegnò le funzioni
dell’Ispettorato alla Banca d’Italia.
L’assetto del sistema creditizio è rimasto invariato sino ai primi anni ’80, in conseguenza
della mutata situazione economica.
In quel periodo cominciò ad apparire evidente che era necessario per le banche operare un
processo di despecializzazione istituzionale ed operativo, che permettesse loro, attraverso il mutuo
riconoscimento, di rendersi maggiormente competitive.
Altro fattore che ha contribuito al cambiamento è stato l’avvio del processo di riassetto delle
partecipazioni detenute dallo Stato nel settore creditizio. Con legge 30 luglio 1990, nota come legge
Amato, gli istituti di credito di diritto pubblico furono trasformati in società per azioni e
successivamente lo Stato cedette alcuni grandi banche controllate dal settore pubblico.
Infine è da sottolineare come fattore di cambiamento la necessità di recepire le numerose
direttive comunitarie in materia, in particolare la prima e la seconda direttiva (Dir. CEE 77/780 e
Dir. CEE 89/646) che eliminando i poteri discrezionali di cui godevano le autorità creditizie nel
rilasciare l’autorizzazione all’esercizio all’attività bancaria, ponevano le basi per un’ampia
liberalizzazione del mercato bancario.
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La prima direttiva configurava l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria come un
atto dovuto al ricorrere di requisiti oggettivi. Con l’attuazione della seconda direttiva, invece, con il
D.LGS 14 dicembre 1992, n. 481 si è affermato anche in Italia il principio dell’home country
control, cioè di controllo rimesso al Paese d’origine della banca. Esso si basa sulla c.d. “licenza
unica”: l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria rilasciata dalle autorità di vigilanza di
ciascun Paese comunitario vale come autorizzazione all’esercizio delle attività, purché consentite
nel Paese d’origine, sull’intero territorio comunitario (c.d. principio del mutuo riconoscimento).
La legge 2 gennaio 1991 n. 1 che istituì le Società di Intermediazione Mobiliare (SIM),
riconosceva agli enti creditizi la possibilità di svolgere tutte le attività di intermediazione.
Inoltre, con provvedimento del CICR,nel 1993, cadde un altro principio: quello della
separatezza tra banche ed imprese industriali. Le banche ora potevano investire in partecipazioni
somme non superiori al 15 per cento del capitale dell’impresa partecipata e non potevano detenere
una quota maggiore del 15 per cento. Maggiori limiti erano previsti per taluni enti o gruppi.
Il TUB fissa, inoltre, i cardini del nuovo ordinamento.
Esso introduce pienamente la banca c.d. universale, intesa come banca non soggetta a limiti
legislativi di specializzazione.
Altro elemento essenziale del TUB è la volontà di incidere sul rapporto tra le banche e le
imprese non bancarie, coordinando strumenti già esistenti e introducendone di nuovi.
In questi ultimi anni si sono verificate nel mercato finanziario, e in quello bancario, in
particolare, vicende di notevole rilevanza anche sul piano istituzionale, prima fra tutte la
prosecuzione del processo di privatizzazione delle società bancarie nelle quali si erano trasformate
le banche pubbliche.
Alcune marginali modifiche ad altre disposizioni del TUB sono derivate anche dal D.LGS.
213/1998 che ha previsto disposizioni speciali per le banche in seguito all’introduzione dell’euro.
Infine di recente ulteriori cambiamenti sono stati apportati in conseguenza di una serie di
decreti legislativi che hanno riformato il diritto societario e il TUB oltre che il Testo Unico
dell’intermediazione finanziaria.
Il TUB attribuisce funzioni di vigilanza non solo alla Banca d’Italia, ma anche al Ministero
dell’economia e delle Finanze e al CICR. In particolare quest’ultimo può emanare anche direttive
generali cui la Banca d’Italia di deve uniformare e decide eventuali reclami presentati avverso i
provvedimenti della Banca d’Italia.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Una complicazione sembrerebbe derivare dagli assetti proprietari della Banca Centrale: nel
lontano 1893 essa ha assunto la forma di società anonima, i cui maggiori azionisti sono proprio
alcune delle principali banche italiane. Successivamente, trasformata in istituto di diritto pubblico
(1936), la forma societaria non è mutata per cui sarebbe ipotizzabile un conflitto d’interessi, che
vede dei controllati che nominano i controllanti, ed in particolare il Governatore.
La funzione di vigilanza si articola nelle tre forme della vigilanza informativa, ispettiva e
regolamentare ed è finalizzata al perseguimento degli obiettivi indicati all’art. 5 TUB.
Tra i soggetti vigilati rientrano, oltre alle banche, le SIM, le SGR, le SICAV (Società di
Investimento a Capitale Variabile) e i fondi comuni.
I provvedimenti che possono essere adottati da questa autorità sono riconducibili a tre
categorie: i regolamenti ( atti generali e astratti, da adottare nei casi previsti dalla legge e nel
rispetto delle direttive del CICR, la cui violazione inficia anche gli atti posti in essere nei confronti
di terzi); le istruzioni (atti amministrativi generali, vincolanti solo per i soggetti vigilati); i
provvedimenti particolari (diretti nei confronti di soggetti particolari e caratterizzati dall’obbligo di
motivazione).
Contro tutti i provvedimenti è ammesso reclamo al CICR. Alla Banca d’Italia, inoltre, sono
riconosciute funzioni propositive nei confronti delle altre autorità creditizie, nonché funzioni
consultive per l’adozione di determinati provvedimenti.
Per il corretto e completo esplicarsi della vigilanza è fondamentale che si instaurino sempre
più stretti rapporti collaborativi tra le varie autorità di vigilanza economiche, anche a livello
sopranazionale e mondiale.
A questo scopo è stato istituito nel 1974 il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, in
origine formato dai governatori delle Banche centrali dei Paesi facenti parte del c.d. G 10, ma al
quale partecipano attualmente i rappresentanti delle Banche centrali nazionali. Esso elabora solo
standards generali di condotta per gli organi vigilanti, senza garantire tempi e modalità degli
interventi necessari per un effettivo coordinamento.
Una importantissima funzione svolta dal Comitato di Basilea è quella di garantire solidità e
stabilità al sistema creditizio internazionale attraverso l’individuazione di adeguati criteri di
vigilanza prudenziale e di idonei coefficienti di solvibilità, per realizzare i due principi secondo cui
nessuno stabilimento di una banca straniera deve poter sfuggire alla supervisione , la quale deve
essere adeguata.
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Il Comitato ha adottato nel tempo numerosi documenti, di cui il più importante è l’Accordo
sui requisiti minimi di capitale del 1988.
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4 La disciplina pubblicistica dell’intermediazione
mobiliare
Il mercato mobiliare ha trovato la propria regolamentazione sistematica nel TU delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (D.LGS. 24 febbraio 1998 n. 58, il cui
acronimo è TUF) nel quale sono state originariamente trasfuse diverse normative europee in
argomento.
Per l’intermediazione finanziaria sorvegliano sulle finalità dei soggetti autorizzati la Banca
d’Italia per il contenimento del rischio e per la stabilità patrimoniale, la CONSOB per la trasparenza
e la correttezza dei comportamenti.
L’intermediario mobiliare si limita a metter in contatto il risparmiatore-investitore
(eseguendo le autonome scelte di questi ovvero gestendone discrezionalmente in toto il patrimonio
affidatogli mediante delega ad hoc) con le imprese che collocano sul mercato alcuni strumenti
finanziari, facendo stipulare direttamente tra i due interlocutori un contratto finanziario, senza
alcuna assunzione di rischio da parte del mediatore.
Questi servizi di investimento sono riservati ad intermediari, le cui attività sono disciplinate
da diverse fonti precettive (direttive comunitarie, leggi, regolamenti delle autorità indipendenti
preposte al settore, quali la CONSOB e la Banca d’Italia), che regolano i soggetti abilitati, i mercati
e l’emissione dei prodotti finanziari.
Il TUF detta precise disposizioni in primo luogo in riferimento alla nozione di strumento
finanziario, che costituisce l’oggetto dei servizi di investimento e determina il regime speciale cui
sono soggetti gli emittenti, e, al fine di consentirne il collocamento e lo scambio, prevede i mercati
regolamentati.
Il TUF, inoltre, individua e disciplina anche i soggetti abilitati: quelli iscritti in appositi
elenchi, le imprese di investimento, le Poste Italiane S.p.a., le società fiduciarie, gli agenti di
cambio, le società di gestione del risparmio (SGR). L’art. 1 stabilisce che l’esercizio professionale
dei servizi di investimento nei confronti del pubblico è riservato alle banche: nella prima categoria
rientrano le SIM e le imprese di investimento.
Viene esaminata anche la tipologia di servizi (negoziazione, collocamento, gestione,
consulenza, servizi accessori) oltre, ovviamente, all’offerta e ai contratti, specie quelli riguardanti la
gestione collettiva del risparmio effettuata dalle accennate SGR, autorizzate a promuovere ed anche
a gestire patrimoni altrui, ovvero dalle “società di investimento a capitale variabile”(SICAV).
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L’autorizzazione ad operare sui mercati finanziari, subordinata all’esistenza di determinate
condizioni (forma di s.p.a., ammontare minimo del capitale sociale,ecc.) e a particolari requisiti di
onorabilità
e professionalità degli esponenti aziendali, a norma dell’art. 19 TUF spetta alla
CONSOB, sentita la Banca d’Italia, per gli intermediari non bancari, mentre compete direttamente
alla Banca d’Italia per le banche e gli intermediari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107
TUB (società finanziarie, società di factoring, società per la cartolarizzazione dei crediti,merchant
banks).
Il TUF è stato emanato a completamento del processo di riorganizzazione sistematica del
mercato dei capitali, in attuazione della delega contenuta negli artt. 8 e 21 della L. 52/96 ed è
entrato in vigore il 1 luglio 1998.
Sin dagli inizi del XX secolo, in Italia aveva prevalso il modello pubblico della borsa valori.
Il D.LGS. 415/96 optava per un modello privatistico in cui l’organizzazione e la gestione dei
mercati borsistici avesse carattere d’impresa e fosse affidata a speciali s.p.a. (società di gestione).
Questo assetto è stato confermato e perfezionato nel Testo Unico, che disciplina agli artt. 61-90 i
mercati e la gestione accentrata di strumenti finanziari. Restano affidate alle autorità pubbliche
(CONSOB) le funzioni di vigilanza, esercitate al fine di assicurare la trasparenza del mercato ,
l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori.
Il TUF distingue, a seconda dell’importo minimo dei lotti, tra mercati al dettaglio e mercati
all’ingrosso, e all’interno di questi ultimi tra mercati di titoli di Stato (MTS) e mercati di titoli
diversi da quelli dello Stato.
In Italia attualmente esiste un’unica borsa valori, mercato regolamentato dove avviene la
quotazione e la negoziazione ufficiale di strumenti finanziari; essa ha sede a Milano, è gestita dalla
Borsa Italiana S.p.a. ed è articolata in sette comparti: mercato telematico azionario (MTA); mercato
telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato (MOT); mercato telematico delle euroobbligazioni, delle obbligazioni di emittenti esteri e delle asset-backed securities (EUROMOT);
mercato telematico di contratti a premio (MPR); mercato ristretto; mercato dei derivati (IDEM);
mercato delle spezzature.
Il Testo Unico si limita ad elencare le attività appartenenti alla categoria dei servizi di
investimento e a quella dei servizi accessori, non fornendo una definizione esplicita degli stessi.
I servizi d’investimento, insieme di attività riservate agli operatori finanziari aventi ad
oggetto strumenti finanziari, comprendono ad esempio attività quali la negoziazione per conto
proprio e per conto terzi e il collocamento. I servizi accessori, ovvero l’insieme delle attività
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espletate dagli intermediari finanziari, che non hanno come oggetto strumenti finanziari ma che
sono ad essi collegate, ricomprendono, invece, custodia ed amministrazione di strumenti finanziari,
locazione di cassette di sicurezza, consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari, ecc.
I soggetti abilitati all’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria devono
conformarsi a tutta una serie di regole, miranti alla tutela del risparmiatore ed alla trasparenza delle
operazioni realizzate, seguendo quella che viene definita una “sana e prudente gestione”.
Il TUF predispone un apparato di norme volto a disciplinare le situazioni di crisi e a
sanzionare comportamenti scorretti degli operatori, che possono sfociare anche in ipotesi di reato.
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5 Il controllo pubblico sulle assicurazioni private
Un
tipo
di
intermediazione
finanziaria
diffuso
negli
ultimi
tempi
è
quello
dell’intermediazione assicurativa, laddove il premio versato ad un’impresa di assicurazione non
mira a proteggersi da un rischio, ma costituisce una forma di accantonamento del risparmio per
assicurarsi un certo capitale al verificarsi di una scadenza prefissata ( morte, pensionamento,
maggiore età del figlio , ecc. ). In questo caso la compagnia di assicurazione impiega la raccolta in
uno o più strumenti finanziari, ad esempio collegando la polizza a fondi comuni di investimento o a
gestioni parametrate ad indici di mercato. Le caratteristiche finanziarie di questa intermediazione
messa in essere dalle società di assicurazione non ne annullano, tuttavia, la natura assicurativa,
permanendo l’aleatorietà dell’evento e l’accollo all’assicurazione delle possibili perdite : queste
garanzie e le buone performance raggiunte hanno contribuito alla diffusione di questi investimenti,
pubblicamente vigilati, come del resto tutta l’attività assicurativa privata.
L’apparato di sorveglianza sulle assicurazioni private è stato sostanzialmente rivisto dal
D.LGS 13 ottobre 1998, n° 373, a seguito del quale la determinazione delle linee di politica
assicurativa viene rimessa direttamente al Governo.
Da oltre un ventennio il controllo ministeriale sulle assicurazioni private è stato conferito ad
un’autorità sostanzialmente indipendente, l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private (
ISVAP ) , mediante la legge 576/82 che gli dette la forma di ente pubblico e gli attribuì funzioni di
vigilanza di vari aspetti della gestione tecnica, economica e finanziaria di tali imprese, nonché il
potere di autorizzare l’esercizio delle attività assicurative, che non è libero, ma è soggetto specifici
vincoli cautelativi nell’interesse della collettività.
La legge 363/98 ha definitivamente trasferito all’Istituto quasi tutte le competenze residue in
materia assicurativa ancora residuate al Ministero delle Attività Produttive , fatta eccezione del
potere di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa, per lo scioglimento degli
organi dell’impresa in caso di amministrazione straordinaria , che restano adottati con decreto
motivato del Ministero su proposta dell’ISVAP.
La sfera dei poteri di controllo dell’Istituto è stata ulteriormente ampliata con il D.LGS
239/2001, emanato in attuazione della Direttiva comunitaria n° 98/78 in materia di vigilanza sulle
imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo, che ha introdotto un regime di vigilanza
supplementare sul gruppo assicurativo, al fine di evitare che l’inserimento di un’impresa di
assicurazione nell’ambito di un gruppo possa pregiudicarne la funzionalità e la solidità.
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L’evoluzione normativa dell’Istituto , dalle origine fino ad oggi, è avvenuta sempre nella
direzione del riconoscimento ad esso di una sempre più marcata autonomia nell’esercizio della
vigilanza sul settore.
La Legge 229/03 ha disposto il riassetto della disciplina delle assicurazioni, attraverso
l’adozione dello strumento normativo del Codice delle Assicurazioni.
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