La ricerca: il mio mondo senza confini

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La ricerca: il mio mondo senza confini
CORRIERE CANADESE
SPECIALE
MARTEDì 14 aprile 2009 PAG. 15
«La ricerca, il mio mondo senza confini»
Il fisico Andrea Damascelli: una carriera di successo tra l’Olanda, la California e il Canada e con uno sguardo all’Italia
Ricercatori italiani
in Canada
CATERINA ROTUNNO
TORONTO - Un percorso formativo che comincia in Italia ma che si sviluppa e si perfeziona tra l’Europa, gli Stati
Uniti e il Canada, trasformandosi in una carriera professionale di successo; ed è proprio a
Vancouver, nella Università della British Columbia, che il fisico
Andrea Damascelli dirige una
equipe di ricercatori ed è Associate Professor del Dipartimento di Fisica e Astronomia. Si
laurea all’Università di Milano,
con una tesi sperimentale presso
il Laboratorio Europeo di Spettroscopie non Lineari (LENS),
del Dipartimento di Fisica dell’Università di Firenze. Per il
dottorato di ricerca, si trasferisce in Olanda presso l’Università di Groningen:« Subito dopo
la laurea, non riuscivo a trovare in Italia un centro dove poter
condurre un progetto di ricerca
che rispecchiasse i miei interessi scientifici - racconta il Prof.
Damascelli - inoltre mi si prospettavano problemi di carattere burocratico, per i quali avrei
dovuto attendere l’anno successivo per poter partecipare ad un
concorso, con un numero molto
limitato di posti». All’Università di Groningen, ancor prima di
terminare la tesi di laurea, Andrea Damascelli sostiene un colloquio durante il quale presenta
il suo curriculum, l’attività svolta e il progetto sperimentale che
avrebbe voluto realizzare. Una
settimana dopo essersi laureato, viene ammesso a partecipare
al dottorato di ricerca. «Avevo
molta voglia di fare un’esperienza all’estero ed esplorare il
mondo della ricerca oltre confine e il dottorato in Olanda rispondeva pienamente alle mie
aspettative. Una volta terminato il Ph.D, tuttavia, mi ripromettevo di tornare in Italia». Ma è
proprio la voglia di continuare
ad esplorare e conoscere nuovi ambienti di ricerca, che porta
il Prof. Damascelli ad accettare
un’offerta molto interessante tra
le tante che riceve da Paesi come la Svizzera, la Germania, il
Canada e gli Stati Uniti, in relazione al lavoro svolto a Groningen. L’Università di Stanford in
California - che ha un centro di
ricerca molto importante simile
al sincrotrone Elettra di Trieste
- gli offre una posizione di postdottorato ed un lavoro di ricerca molto interessante che gli
permette di apprendere anche
delle nuove tecniche. Dopo tre
anni, la tappa professionale successiva era la posizione di Assistant Professor: «Anche allora
ho analizzato le varie proposte
che mi erano pervenute - continua nel suo racconto - e la scelta
è stata influenzata sia dall’ambiente di lavoro, dallo stile e
dalla tipologia della ricerca,
che dai fondi che mi venivano offerti. Ho escluso
gli Stati Uniti, sia perché
non condividevo lo stile
della ricerca troppo aggressivo ed anche perché
già si avvertivano i primi
segnali della crisi economica, con la diversione
dei fondi dalla ricerca alle spese militari e il Paese già appariva molto sbilanciato nel rapporto tra
entrate e uscite. Avevo
ricevuto un’altra offerta
anche dall’Olanda dove,
tuttavia, avevo avvertito un cambiamento verso
una ricerca più applicata, mentre il mio campo
verte maggiormente sulla ricerca fondamentale.
Sono seguite altre offerte
dalla Svizzera e anche dall’Italia, dal sincrotrone di Trieste,
dove però sarebbe stato neces-
Dirige un’equipe all’Università della British Columbia con finanziamenti per i prossimi dieci anni
«In Italia
ci sono docenti
e scienziati
di grandissima
professionalità»
«Ho sempre
avuto voglia
di esplorare
nuovi ambienti
di ricerca»
sario fare un concorso. A quel
punto la mia attenzione è ricaduta sul Canada, che stava cercando di diventare più competitivo sul piano internazionale e
dove si stava attuando una politica di investimenti molto significativi nel campo scientifico:
finanziamenti non più a pioggia
come nel passato, ma con una
maggiore valutazione dei risultati e con prospettive future a
lungo termine di notevole interesse». L’UBC (Università della British Columbia )
a Vancouver, offre ad
Andrea Damascelli la posizione di Assistant Professor e,
al tempo stesso, anche quella di Canada Research Chair
con la direzione di
un gruppo di ricerca
che, proprio lo scorso anno, ha messo a
punto una scoperta a
livello internazionale
per lo studio e lo sviluppo dei superconduttori.
Quali problemi o
difficoltà ha dovuto
superare nelle procedure di assunzione nel trasferirsi da
un centro di ricerca
ad un altro ?
«Non ho mai avuto grandi difficoltà o tempi di
attesa lunghi, nel momento in
cui ho deciso di accettare nuove offerte di lavoro. Dopo alcuni anni che ero a Stanford per il
post-dottorato, ho incontrato un
gruppo di ricercatori della UBC
in visita a Stanford quali, dopo
essersi informati sulla ricerca
che stavo realizzando, mi hanno invitato a Vancouver dove ho
incontrato i responsabili dei dipartimenti di Fisica e di Chimica. Successivamente, ho presentato i risultati del lavoro svolto
fino ad allora e uno studio del
progetto che avrei voluto realizzare di fronte a tutti i membri del dipartimento, circa 3040 professori, i quali dovevano
valutare ed eventualmente approvare la mia assunzione. Dopo pochi mesi mi sono trasferito
a Vancouver con la nomina ad
Assistant Professor e l’incarico
Sopra: Andrea Damascelli nel laboratorio della UBC con il suo collega
George Sawatzky.
A sinistra: con alcuni studenti del
suo gruppo di ricerca
(foto Martin Dee)
di direttore di un mio gruppo di
ricerca.
Durante il suo percorso
professionale ha mai pensato
di tornare in Italia?
«C’è stato un momento in
cui l’offerta che proveniva dal
sincrotrone - Elettra di Trieste,
per una posizione di Primo Ricercatore, mi è apparsa molto
interessante, in particolar modo
per le persone di altissima qualità e professionalità che vi lavoravano. Tuttavia, oltre a dover partecipare ad un concorso
pubblico, necessario per l’assegnazione del posto, ma che
avrebbe comportato un allungamento dei tempi, ciò che più
mi preoccupava era la consistenza e la garanzia per il futuro del finanziamento per il progetto che avrei dovuto dirigere.
Era il 2002 e, di lì a poco, Elettra si è visto ridurre drastica-
mente i fondi; questo è stato veramente un grande danno per
la ricerca italiana e per l’ eccezionale professionalità e qualità degli scienziati che vi lavorano. Ad oggi, qui in Canada,
ho trovato il luogo ideale dove
poter realizzare le mie ricerche:
dirigo un’equipe di dodici persone: un ingegnere, un tecnico,
tre ricercatori e sette studenti di
dottorato. Nel frattempo sto costruendo un laboratorio a Saskatoon, con altre figure professionali come ingegneri, meccanici,
ottici: nel complesso si parla di
investimenti per quasi 17 milioni di dollari, che offrono garanzie di ricerca di punta per i prossimi dieci anni. A questo punto,
con vari progetti in fase molto
avanzata e il livello di supporto
garantito per i prossimi anni, mi
sembra impensabile di potermi
spostare, per esempio, per far
rientro in Italia».
Che cosa maggiormente l’ha interessata del mondo
della ricerca canadese?
«Fin dall’inizio sono stato
attirato da questo Paese perché
mi hanno fatto capire chiaramente che il Sincrotrone Canadese cercava esperti in una certa
area e io avrei potuto proporre
una ricerca nella direzione che
più mi interessava. Così è avvenuto: su un centinaio di progetti,
presentati da UBC ad un panel
composto da esperti internazionali del settore, dopo varie fasi
di selezione, ne sono stati scelti
sei, di cui due erano stati proposti da me e sono stati finanziati nell’ambito del Programma
CFI (Canada Foundation for Innovation). Questo programma è
iniziato circa dieci anni fa, con
il precedente governo, ma continua anche con l’attuale e prevede l’immissione, ogni due o tre
anni, di varie centinaia di milioni di dollari di investimento.
Anche ultimamente, nonostante
la crisi economica ci abbia fatto
temere possibili riduzioni, i finanziamenti sono stati regolarmente erogati secondo quanto
previsto dal programma, e anzi
ci sono stati anche degli incrementi».
Mantiene ancora dei rapporti con l’Italia nell’ambito
del suo settore?
«Sì, ho delle collaborazioni con centri di ricerca italiani
e con alcune università. Cerco
LO STUDIO
I fisici dell’UBC sviluppano la tecnica “impossibile”
per studiare e sviluppare i superconduttori
Rappresentazione del cambiamento
del numero degli elettroni sulla
superficie di un superconduttore
Gli scienziati erano tutti concordi nel dire che era impossibile. Ma un’equipe di ricercatori dell’Università della British
Columbia, diretta dal fisico Andrea Damascelli, ha sviluppato una tecnica che controlla il numero degli elettroni sulla superficie dei superconduttori a temperatura elevata. I superconduttori, materiali che trasmetttono elettricità senza alcuna resistenza, sono usati nelle apparecchiature mediche per la
risonanza magnetica, le linee di alimentazione dei treni, e sono da ritenersi l’aspetto chiave dello svilupppo futuro dei chip
elettronici dei computer e delle linee di alimentazione elettrica senza perdite di energia. I superconduttori ad alta temperatura sono difficili da studiare e utilizzare a causa della loro
superficie che tende ad essere instabile e difficile da controllare. «Lo studio che abbiamo realizzato - ha affermato il Prof.
Damascelli- ha richiamato l’attenzione e il riconoscimento del
mondo scientifico internazionale poichè è un modo particolarmente efficace per capire realmente che cosa succede all’interno di questi superconduttori e apre la strada a ulteriori e importanti progressi della ricerca in questo campo».
(estratto dall’articolo apparso sul Vancouver Sun del 24 giugno 2008)
Distribuzione dei livelli elettronici in un
superconduttore ad alta temperatura
misurata con spettroscopia elettronica
di far venire studenti dall’Italia
perché a mio parere lo studente
europeo, e in particolare quello
italiano, ha una buona preparazione di base, superiore a quella degli studenti americani o
canadesi: questi ultimi iniziano l’università un anno prima
e inoltre, il percorso di laurea
di base a volte non ha un focus
particolare su una determinata
specializzazione, ma è più generico rispetto a quello europeo.
Le cose cambiano con il Ph.D
che nel Nord America dura molto di più, anche fino a sei anniotto anni, e a quel punto gli studenti raggiungono un alto grado
di specializzazione».
A suo parere risponde a verità il fatto che, in Italia, dopo
la laurea, se si vuole continuare una formazione scientifica
di un certo livello, è necessario andare all’estero, come è
avvenuto nel suo caso?
«Personalmente non penso che il problema sia in questi
termini. Specialmente nel campo scientifico è necessario poter differenziare le proprie esperienze formative. Anche ai miei
studenti, specialmente quelli di
particolare capacità e con spiccato interesse, consiglio di fare il Ph.D, oppure il post-dottorato, in un’altra università, così
da poter fare nuove esperienze,
conoscere metodologie e “scuole di pensiero” differenti e confrontarsi con nuovi docenti. Per
fare questo, si cercano i posti di
eccellenza nel settore , anche se
risulta più difficile per un americano scegliere le università
europee mentre, è più usuale,
osservare il flusso contrario dall’Europa verso i centri di ricerca
americani, dove il sistema è più
vasto e omogeneo».
Potrebbe delineare le caratteristiche che differenziano
il mondo dei docenti universitari italiani da quelli nordamericani?
«Nelle università italiane abbiamo docenti di grandissima
professionalità, come per esempio alcuni dei professori e ricercatori con cui ho avuto la fortuna di studiare e lavorare nel
corso della mia carriera, specialmente negli anni formativi
del corso di laurea e della tesi.
Riescono a raggiungere risultati incredibili affrontando mille
difficoltà e problemi di natura
sia finanziaria che organizzativa. Inoltre, sono costretti a fare un numero di
ore di insegnamento molto più elevato di quello
che facciamo noi, avendo
quindi meno tempo per la
ricerca. In Canada le posizioni come la mia di Canada Research Chair, ad
esempio, sono pensate
per essere finalizzate alla ricerca, di conseguenza comportano un numero ulteriormente ridotto
di ore di insegnamento da
fare nel corso dell’anno
accademico. Nonostante ciò, i ricercatori italiani sono spesso in grado di
portare avanti programmi
di ricerca competitivi a livello internazionale; bisognerebbe chiedersi cosa riuscirebbero a realizzare se fossero
messi in condizioni di poter lavorare al meglio».