L`avversione

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L`avversione
L’avversione
Mauro Volpi
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. V Repubblica e Stato democratico. – 3. La natura
ibrida della forma di governo. – 4. Gli squilibri fra i poteri dello Stato. –
5. Conclusioni.
1.
Premessa.
Il titolo che è stato dato a questa seconda sessione del Convegno rende necessarie due precisazioni preliminari. In primo luogo
esso richiede una periodizzazione dei diversi orientamenti assunti
dalla dottrina italiana sulla Quinta Repubblica. La fase nella quale
viene manifestata una forte critica nei confronti delle istituzioni francesi può essere fatta decorrere dall’entrata in vigore della Costituzione del 1958 fino al termine finale simbolico del 1981, anno in cui
grazie alla vittoria di Mitterrand alle elezioni presidenziali, seguita
dal successo della sinistra nelle elezioni legislative, si realizza per la
prima volta nella storia della Quinta Repubblica l’alternanza al governo. Tuttavia la periodizzazione di cui si parla non va assolutizzata
né vista a compartimenti stagni, come se ad un atteggiamento basato
esclusivamente su rilievi critici ne sia seguito un altro fondato su una
valutazione interamente positiva. In particolare, alcune delle critiche
avanzate nella prima fase sono state riprese da vari autori anche successivamente e, come si dirà meglio in seguito, continuano ad apparire fondate, tanto da rendere a mio avviso tutt’altro che auspicabile
una recezione della forma di governo francese in Italia.
In secondo luogo il termine «avversione» potrebbe far ritenere
che la critica alle istituzioni francesi sia stata interamente pregiudiziale e di tipo ideologico, ma la rilettura degli scritti degli autori italiani dimostra che ciò è avvenuto solo in misura ridotta ed impone
un giudizio più articolato, soprattutto alla luce del fatto che i contributi della dottrina italiana sono tutt’altro che sommari, risultando
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per lo più approfonditi e aggiornati (anche con riferimento alla dottrina francese coeva).
Ciò precisato, pare opportuno procedere non ad un esame successivo e separato dei contributi dei vari autori, ma all’individuazione dei principali filoni nei quali si articola la critica alla Quinta
Repubblica. Questi sono sostanzialmente tre:
la valutazione relativa all’incidenza delle istituzioni francesi sulla
natura della forma di Stato ed in particolare alla loro compatibilità
con lo Stato democratico;
il giudizio sulla natura ibrida della forma di governo, alla luce
sia delle previsioni costituzionali sia della prassi (soprattutto nella
fase golliana);
la sottolineatura degli squilibri esistenti nei rapporti fra i poteri
dello Stato ed in particolare dell’eccessiva concentrazione di poteri a
favore del Presidente della Repubblica.
2.
Quinta Repubblica e Stato democratico.
Con riferimento al primo filone, vanno prese in esame le valutazioni della dottrina sia sulle modalità di instaurazione della Quinta
Repubblica sia sull’incidenza delle nuove istituzioni sulla forma di
Stato.
Sulla prima questione risultano centrali i giudizi particolarmente tempestivi formulati da Serio Galeotti sulla fine della Quarta
Repubblica e sull’avvento della Quinta Repubblica1. Le cause che
hanno determinato il cambiamento istituzionale vengono ravvisate
sia nella crisi della forma di governo della Quarta Repubblica, definita come «tendenzialmente convenzionale», in quanto, pur accogliendo «il principio del governo parlamentare», stabiliva «una preponderanza nettissima dell’Assemblea nazionale»2, sia nel colpo di
Stato militare del 13 maggio 1958 in Algeria, che spiana la strada all’ascesa al potere di De Gaulle. Galeotti esprime la valutazione, del
tutto condivisibile, che il passaggio al nuovo ordinamento costituzionale, con l’investitura parlamentare del governo De Gaulle l’1 giu1 Cfr.
S. GALEOTTI, La nuova Costituzione francese. Appunti sulla recessione del
principio democratico nella V Repubblica, Milano, Giuffrè, 1960, che reca in appendice
l’articolo La fine della IV Repubblica, già pubblicato in Vita e Pensiero, 1958, IX, 639 ss.
2 Ibidem, 77-78.
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gno 1958 e soprattutto con l’adozione della legge costituzionale del 3
giugno dello stesso anno, sia avvenuto per via rivoluzionaria, senza
poter vantare alcun fondamento di legittimazione nella Costituzione
del 1946, della quale viene apertamente violato il procedimento di
revisione costituzionale3. Egli ritiene inoltre che il principio di legittimazione della nuova Costituzione non sia quello democratico, fondato sull’elezione a suffragio universale di un’Assemblea costituente,
solo eventualmente seguita da un referendum popolare sul testo approvato (com’è avvenuto in Francia nel 1946, ma non in Italia nel
1948), ma un principio autocratico, basato sulla personalità di De
Gaulle quale «salvatore della patria», al quale come capo del Governo viene attribuito l’esercizio della funzione costituente. È pure
vero che l’approvazione con un referendum-plebiscito del testo adottato dal Governo vale a combinare il principio autocratico con
quello democratico, ma quest’ultimo si trova in una posizione accessoria e recessiva rispetto all’altro4.
Quanto all’incidenza sulla forma di Stato, vi è in questa fase tra
gli autori italiani una forte convergenza: si parla di «regime tendenzialmente autoritario» (Galeotti)5, di «dittatura plebiscitaria» (Bassanini)6, di «regime autoritario personalistico» (Mortati)7, di «democrazia autoritaria» (Volpi)8. Vi è certamente in questi giudizi un eccesso di valutazione critica, che non deriva però dall’adesione alla
concezione che considera il parlamentarismo come un connotato essenziale della democrazia. Così non è certamente per Galeotti e per
3 Galeotti
individua nella legge costituzionale «l’atto che giuridicamente segna la
frattura con l’ordine costituzionale della IV Repubblica e che, come tutti gli atti rivolutivi o instaurativi di un nuovo ordinamento costituzionale, ha trovato o troverà la sua legittimazione solo ex post nel consolidarsi del nuovo sistema di legalità costituzionale»,
ibidem, 72.
4 Ibidem, 11-13.
5 Ibidem, 51.
6 Cfr. F. BASSANINI, Problemi costituzionali della Quinta Repubblica francese, in Riv.
trim. dir. pubbl., 1965, 555.
7 Cfr. C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, IX ed., I, 402,
che ripropone il giudizio già formulato in precedenti edizioni del suo testo, considerando la «degenerazione in regime autoritario personalistico insita in ogni tentativo di
trapiantare in Europa forme di regime presidenziale».
8 Cfr. M. VOLPI, La democrazia autroritaria. Forma di governo bonapartista e V Repubblica francese, Bologna, Il Mulino, 1979.
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Mortati, accomunati dalla critica alla degenerazione assemblearistica
della forma di governo parlamentare e dalla propensione, più netta
nel primo9, assai più sfumata nel secondo10, per l’introduzione in Italia dell’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio. Piuttosto vi è la tendenza a ritenere che le istituzioni della Quinta Repubblica, in quanto ritagliate su misura della personalità di De
Gaulle, siano destinate a non sopravvivere alla sparizione del capo
carismatico11 e quindi a non trovare una stabilizzazione democratica,
anche se non mancano previsioni su un’eventuale evoluzione democratica, legata comunque all’allentamento dei «meccanismi autoritari» presenti nella Costituzione12. Probabilmente la sottovalutazione
dalla capacità delle istituzioni francesi di trovare una stabilizzazione
oltre De Gaulle deriva anche dalla mancata valorizzazione degli anticorpi democratici presenti nello Stato francese, certo più risalenti e
significativi di quelli caratterizzanti l’evoluzione dello Stato italiano:
basti pensare alla forza del «principio repubblicano», evocativo degli
ideali della Rivoluzione, al ruolo di una pubblica amministrazione
competente e apartitica, alla natura transeunte del regime di Vichy,
che, a differenza del fascismo in Italia, costituisce una parentesi resa
possibile dall’occupazione militare straniera.
Altre valutazioni critiche, soprattutto con riferimento alla fase
golliana, risultano fondate e convergenti con analoghe posizioni
espresse nello stesso periodo dalla dottrina francese più qualificata,
la quale sottolinea il ruolo decisivo svolto dalla prassi anche in con9 V.
S. GALEOTTI, Per il rimodellamento della forma di governo in «governo di legislatura», in Gruppo di Milano, Verso una nuova Costituzione, Milano, Giuffrè, 1983, I,
390 ss.
10 V. C. MORTATI, intervista nel dibattito su La Costituzione e la crisi, in Gli Stati,
10, gennaio 1973, nella quale l’Autore esprime riserve sulla capacità di un sistema ad
elezione diretta del vertice dell’esecutivo di garantire «un’armonica e coerente direzione
politica» e ritiene che in caso di conflitto tra Governo e Parlamento debba attribuirsi al
Capo dello Stato (e non al Presidente del Consiglio) la decisone di ricorrere allo scioglimento.
11 Così F. BASSANINI, op. cit., 552-553, parla di «una dittatura ‘plebiscitaria’… indissolubilmente legata alla persona dell’attuale Capo dello Stato, e quindi per ciò stesso
essenzialmente contingente e transitoria», anche se poi aggiunge, sulla scorta delle vicende politiche successive al 1958, che sia «non peregrino il timore che l’attuale regime
possa durare, mutatis mutandis, anche al di là della persona dell’attuale Capo dello
Stato».
12 V. S. GALEOTTI, La nuova Costituzione, cit., 51.
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traddizione con le previsioni costituzionali13, giungendo nei primi
anni a dubitare della natura pienamente democratica del regime14.
Così è difficile contestare il ruolo di tipo weimariano, nell’accezione schmittiana del termine, attribuito in origine al Presidente
della Repubblica quale rappresentante dell’unità dello Stato in contrapposizione al pluralismo rappresentato dal Parlamento e dai partiti15. D’altronde tale concezione del ruolo del Capo dello Stato corrisponde pienamente a quella manifestata dallo stesso De Gaulle sia
prima16 che dopo17 l’accesso al potere. Essa inoltre risulta esplicita13 Basti
citare le due opere fondamentali di P. AVRIL, Le régime politique de la Ve
République, Paris, LGDJ, 1967 e di J. GICQUEL, Essai sur la pratique de la V République,
Paris, LGDJ, 1968.
14 Così G. Vedel qualifica la Costituzione come fondata su un «compromesso tra
lo Stato liberale e lo Stato autoritario», cfr. Droit constitutionnel et institutions politiques, Paris, Licence, 770. Anche M. Duverger fino al 1962 mette in discussione la natura democratica del regime, paventandone l’evoluzione verso un presidenzialismo di
tipo sudamericano, cfr. Institutions politiques et droit constitutionnel, Paris, PUF, VII éd,
1963, 561.
15 V. con particolare chiarezza A. GIOVANNELLI, Aspetti della V Repubblica da De
Gaulle a Mitterrand, Milano, Giuffrè, 1984, 53 ss.
16 Nel famoso discorso di Bayeux del 16 giugno 1946 De Gaulle come compensazione alla «perpetua effervescenza politica» espressa dai partiti e dalla Camera elettiva
propone una seconda Camera territoriale e corporativa, non direttamente elettiva, e soprattutto l’affidamento del potere esecutivo ad un «capo dello Stato, posto al di sopra
dei partiti, eletto da un collegio che comprenda il Parlamento ma molto più largo e
composto in modo di fare di lui il Presidente dell’Unione francese così come quello
della Repubblica», chiamato in particolare a svolgere la funzione di «arbitro al di sopra
delle contingenze politiche, sia in tempi normali tramite il consiglio [dei ministri], sia
nei momenti di grave confusione, invitando il paese a fare conoscere con le elezioni la
sua decisione sovrana», cfr. Annexe II, in D. CHAGNOLLAUD, J.-L. QUERMONNE, Le gouvernement de la France sous la Ve République, Paris, Fayard, 1996, 826.
17 Nella Conferenza stampa del 31 gennaio 1964 De Gaulle afferma che «il Presidente è l’uomo della nazione, da questa scelto per rispondere del suo destino; il presidente, che sceglie il Primo ministro, che lo nomina così come gli altri membri del governo, che ha la facoltà di cambiarlo… il presidente che decreta le decisioni prese nei
Consigli, promulga le leggi, negozia e firma i trattati, decreta, o no, le misure che gli
vengono proposte, è il capo delle forze armate, nomina agli impieghi pubblici; il presidente, che in caso di pericolo deve assumersi il compito di fare tutto quel che è necessario; il presidente è evidentemente il solo a detenere e a delegare l’autorità dello
Stato…… deve essere chiaramente affermato che l’autorità indivisibile dello Stato è affidata tutta intera al presidente dal popolo che l’ha eletto, che non ne esiste nessun’altra, né ministeriale, né civile, né militare, né giudiziaria, che non sia conferita e detenuta
da lui, infine che gli spetta di definire la suprema sfera di competenze che gli è propria
rispetto a quelle di cui attribuisce la gestione ad altri»; ibidem, 845.
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mente dall’attribuzione dei poteri straordinari in situazione di grave
crisi prevista dall’art. 16 della Costituzione. La dottrina italiana considera tale disposizione come l’equivalente dell’art. 48 della Costituzione di Weimar, ma sottolinea che la debolezza delle condizioni previste dall’art. 16, quali i pareri non vincolanti del Primo ministro, dei
Presidenti delle Camere e del Presidente del Consiglio costituzionale
e la convocazione di diritto, accompagnata dal divieto di scioglimento, del Parlamento, il quale però non può revocare i provvedimenti adottati, e l’assenza della controfirma sui provvedimenti presidenziali attribuiscano al Presidente francese una discrezionalità più
accentuata di quella riconosciuta al Presidente tedesco18. A supporto
di tale interpretazione vi sono le modalità dell’unica applicazione
concreta dell’art. 16, della quale vengono sottolineati il «prolungamento arbitrario del periodo di assunzione dei poteri straordinari…
anche dopo che il putsch militare di Algeri era stato domato» e «l’interpretazione restrittiva data ai poteri del Parlamento… nel senso di
disconoscere ad esso la potestà di proporre in tale periodo mozioni
di sfiducia contro il Governo»19.
Evidente è l’impronta plebiscitaria del regime golliano, basata
sul ricorso al «referendum come questione di fiducia posta di fronte
all’intero corpo elettorale» e sul «totale scavalcamento degli intermediari (partiti e gruppi parlamentari)»20. Non si vede pertanto come si
possa far rientrare quello di De Gaulle in un «plebiscitarismo
buono» che «sale dagli elettori al leader»21. A parte l’inconsistenza
scientifica di una distinzione del plebiscitarismo (come di qualsiasi
altra categoria teorica) a seconda che lo si consideri «buono» o «cattivo», l’opinione in questione è in evidente contrasto con la prassi
della Quinta Repubblica, nella quale sia nelle modalità della sua instaurazione sia in quelle successive di appello al popolo come questione di fiducia personale si è verificato esattamente il percorso inverso: il ricorso del leader agli elettori in sostegno alle sue scelte istituzionali e politiche.
18 V. S. GALEOTTI, La nuova Costituzione, cit., 37-38 e C. Mortati, Le forme di governo, Lezioni, Padova, Cedam, 1973, 255.
19 Cfr. C. MORTATI, op. ult. cit., 271.
20 Cfr. L. ELIA, Governo (forme di), in Enc. dir., Milano, Giuffrè, XIX, 1970, 668.
21 Cfr. G. PASQUINO, Prefazione, in G. PASSATELLI, Monarchi elettivi Dinamiche presidenziali in Francia e Portogallo, Bologna, Bononia University Press, 2008, 17.
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In conclusione per quanto attiene alla forma di Stato, l’evoluzione della Quinta Repubblica ha fugato i dubbi sulla compatibilità
delle istituzioni francesi con lo Stato democratico. Va comunque rimarcato che la stabilizzazione democratica delle istituzioni è avvenuta non senza modificazioni importanti dell’originaria impostazione: l’abbandono da parte dei successori di De Gaulle della tecnica
del ricorso plebiscitario al popolo, la riconquista di un ruolo significativo da parte dei partiti, e in particolare del partito maggioritario,
decisivo per garantire la preminenza politica del Presidente, la strutturazione bipolare del sistema politico, resa possibile anche dalla
rifondazione del partito socialista operata a Epinay nel 1971 da Mitterrand22. Inoltre è del tutto legittimo continuare ad interrogarsi sulla
qualità della democrazia francese in relazione alle altre democrazie
consolidate, visto che parte della stessa dottrina francese considera il
«presidenzialismo francese» meno democratico delle «altre forme di
potere praticate» in altri ordinamenti europei e americani e rispetto
ad alcuni di questi (come il regno Unito e la Germania) anche meno
efficace23. Ma tale questione va opportunamente collocata nel terzo
filone critico attinente allo squilibrio fra i poteri dello Stato.
3.
La natura ibrida della forma di governo.
Nella fase iniziale tutti gli autori italiani sottolineano la natura
ibrida della forma di governo, costituita da elementi parlamentari ed
elementi presidenziali, ma anche il ruolo determinante attribuito al
Capo dello Stato.
Costantino Mortati fonda la preminenza del Capo dello Stato
sull’indebolimento sia del Parlamento sia del Governo e definisce la
Quinta Repubblica come «un sistema a tendenza presidenziale».
Nello stesso tempo sottolinea le differenze, ritenute illogiche, rispetto sia al sistema di governo di Weimar, fondato su «un equilibrio
dualistico razionalmente impeccabile», sia a quello nord-americano,
nel quale il potere del Capo dello Stato deriva dall’elezione popolare
22 Va ricordato che lo stesso Mitterrand, che divenuto Presidente della Repubblica nel 1981 utilizzerà appieno la Costituzione del 1958, era stato autore nella fase golliana di un pamphlet ferocemente critico verso il nuovo regime; v. F. MITTERRAND, Le
coup d’Etat permanent, Paris, Plon, 1964.
23 Cfr. O. DUHAMEL, Une démocratie à part, in Pouvoirs, 2008, n. 126, 26.
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o, detto in altri termini, una sola elezione, e non due come in Francia, decide chi debba essere alla guida del Governo. L’Autore prende
in esame anche l’evoluzione successiva al 1958, derivante in particolare dalla revisione costituzionale del 1962 con l’introduzione dell’elezione popolare del Presidente della Repubblica, per giungere alla
conclusione che, nonostante la riaffermazione della responsabilità
politica del Governo, la rivalutazione del ruolo del Senato e il rispetto di «una sfera di competenza propria del Governo», il sistema
si configuri come una «diarchia ineguale», nella quale il Capo dello
Stato svolge «una funzione di direzione politica attiva». Inoltre Mortati coglie la novità rappresentata dal fait majoritaire, emerso a partire dalle elezioni legislative del 1962, sottolineando la funzione stabilizzatrice «assicurata dalla presenza di una forte maggioranza parlamentare favorevole alla politica presidenziale»24.
Su quest’ultimo aspetto insiste Leopoldo Elia, che definisce la
forma di governo «a componenti presidenziali e parlamentari» e ritiene che il suo funzionamento «nel suo senso più originale» richieda
la coincidenza «tra maggioranze aggregate per elezioni diverse», il che
determina una «scommessa sulla congiuntura piuttosto che sulla
struttura»25. L’Autore sottolinea il ruolo svolto dal partito maggioritario come trait d’union tra esecutivo e Parlamento e come fattore di superamento dell’originaria impostazione gollista, che pone nel nulla
«l’assurda pretesa del generale De Gaulle di mantenere strutturalmente distinte le due elezioni» e garantisce la «sopravvivenza del sistema alle dimissioni del presidente-fondatore»26. In pratica il funzionamento ordinario della Quinta Repubblica implica una concentrazione di poteri nelle mani del Presidente, il quale viene ad assommare
quelli del Presidente statunitense con quelli del Premier britannico.
Su tale aspetto insiste anche Galeotti, il quale ritiene che dalla
forma di governo parlamentare e da quella presidenziale siano state
attinte «tutte quelle caratteristiche che potessero, assommate insieme,
rendere più forte l’esecutivo e in esso la posizione del suo capo», con
il risultato che il Presidente della Repubblica «rischia di essere più
potente di quello di una repubblica presidenziale, poiché qui esso
non è limitato dal gioco molteplice dei checks and balances che si ri24 Cfr.
C. MORTATI, Le forme di governo, cit., 274.
L. ELIA, Governo, cit., 665 ss.
26 Ibidem, 667.
25 Cfr.
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trovano in quel regime, e che discendono soprattutto dalla presenza
di un legislativo indipendente rispetto all’esecutivo e munito di forti
poteri di freno sull’azione presidenziale»27. La coerenza di tale valutazione troverà riscontro a distanza di tempo nell’audizione che Galeotti terrà nel 1997 di fronte al Comitato forma di governo della
Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, nella quale egli
utilizzerà il termine di «iperpresidenzialismo», analogo a quello impiegato da vari autori francesi28, per qualificare la natura della forma
di governo nell’ipotesi di coincidenza tra le maggioranze29.
Vi è da rilevare che soprattutto nelle argomentazioni di Elia
viene adombrata la possibilità della cohabitation, derivante dalla possibile dissociazione degli esiti delle elezioni presidenziali e di quelle
parlamentari, ma questa viene vista come una deviazione rispetto al
funzionamento ordinario della Quinta Repubblica e come un «rischio congiunturale», il cui verificarsi è parzialmente ridotto dall’adozione per entrambe le elezioni di un sistema maggioritario a due
turni. L’Autore ritiene invece che la riduzione della durata del mandato presidenziale e l’abbinamento delle due elezioni non escluderebbero il verificarsi della dissociazione tra maggioranze, portando
ad esempio quel che si verifica negli Stati Uniti. Elia quindi anticipa
la valutazione sostanzialmente negativa della cohabitation, considerata come produttiva di un appannamento della chiara attribuzione
della responsabilità di governo e causa di disfunzionamento della
forma di governo, valutazione che sarà successivamente ripresa da
gran parte della dottrina francese e di quella italiana. In particolare
nella già citata audizione del 1997 Galeotti sosterrà che la cohabitation rende la governabilità «gravida di frizioni e di impasse, di paralisi possibili30.
27 Cfr.
S. GALEOTTI, La nuova Costituzione, cit., 50.
per tutti G. Vedel, il quale parla di regime «ultrapresidenziale», in Cinquième
République, in O. DUHAMEL, Y. MENY (dir.), Dictionnaire constitutionnel, Paris, PUF,
1992, 138-139.
29 V. S. GALEOTTI, Audizione al Comitato forma di governo, in Nomos. Le attualità
nel diritto, 1997, n. 1, 234.
30 Ibidem, 232. In termini analoghi si esprimeva, un anno prima di essere folgorato sulla via di Parigi dalle presunte virtù della cohabitation, anche G. Pasquino, Mandato popolare e Governo, Bologna, Il Mulino, 1995, dove sosteneva che in caso di cohabitation «la democrazia maggioritaria viene vulnerata non nel punto vitale della competizione elettorale, ma in quelli altrettanto importanti, e forse più, della funzionalità del
28 V.
70
4.
LA V REPUBBLICA FRANCESE
Gli squilibri fra i poteri dello Stato.
Nell’analisi dei rapporti intercorrenti fra i poteri la dottrina italiana individua tre tipi di squilibrio.
Il primo riguarda il rapporto fra esecutivo e Parlamento. I forti
meccanismi di razionalizzazione, previsti a vantaggio del Governo
dalla Costituzione del 1958, non sono visti di per sé come negativi.
Così Galeotti afferma che quelli relativi al procedimento legislativo
costituiscono «la parte più moderna e interessante della nuova costituzione, quella più conforme alle esigenze attuali del governo parlamentare, quali si sono rivelate dalla feconda evoluzione che questa
forma di governo ha ormai subito nel sistema britannico»31. Evidentemente tale valutazione si muove nel quadro interpretativo di uno
dei tre filoni che ha dato vita al testo costituzionale, rappresentato dal
Guardasigilli Michel Debré, che proponeva una forma di governo
parlamentare razionalizzata, tale da garantire la stabilità del Governo
e l’attuazione politica del suo programma in presenza di un Parlamento che si immaginava frammentato e privo di una solida maggioranza32. Ora, non solo la Costituzione del 1958 era il frutto piuttosto
ambiguo della combinazione dei tre diversi orientamenti, ma l’evoluzione successiva, con l’introduzione nel 1962 dell’elezione popolare
del Presidente della Repubblica e con l’emergere del fait majoritaire,
finiva per esaltare oltre misura i meccanismi di razionalizzazione
dando vita ad un forte squilibrio tra Governo e Parlamento.
Non a caso Antonio Cervati, in uno scritto successivo alle innovazioni citate, relativo ad uno dei più significativi congegni di raziogoverno e della responsabilità politica» (p. 19) e che dall’esistenza di due maggioranze
diverse sarebbero derivati, «a seconda dei casi: uno stallo, uno scontro permanente, una
crisi istituzionale» (60), per concludere che «il semi-presidenzialismo francese non appare comunque un modello da imitare» (61). Solo un anno dopo lo stesso Autore, in
Duetti e duelli: l’adattabilità dei semipresidenzialismi, in S. CECCANTI, O. MASSARI, G. PASQUINO, Semipresidenzialismo. Analisi delle esperienze europee, Bologna, Il Mulino, 1996,
tesseva le lodi della cohabitation e concludeva che occorresse in Italia «di gran lunga
preferire il semipresidenzialismo al cancellierato» (134 ss.).
31 Cfr. S. GALEOTTI, La nuova Costituzione, cit., 32.
32 Tale impostazione puntava a creare le condizioni costituzionali per rendere possibile la trasposizione nel contesto francese del modello britannico. Gli altri due filoni
erano rappresentati dalla concezione presidenzialistica di De Gaulle, volta a fare del
Capo dello Stato la chiave di volta del sistema di governo, e da quella parlamentaristica
dei Ministri di Stato, favorevole soprattutto alla previsione di meccanismi tali da favorire il «governo di legislatura».
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nalizzazione, il voto bloccato, previsto dall’art. 44 c. 3 della Costituzione, giunge alla conclusione di carattere generale secondo la quale
in Francia non si determina una semplice preminenza del Governo,
analoga a quella che si verifica in altri paesi democratici, ma si attua
«la più rigorosa e piena subordinazione delle assemblee a tutto vantaggio dell’esecutivo»33. All’eccessivo indebolimento del Parlamento
contribuiscono l’evanescenza delle funzioni di controllo ad esso attribuite, il ruolo solo tribunizio assegnato all’opposizione parlamentare e il compito originariamente affidato al Conseil constitutionnel
non tanto «di garantire la costituzionalità delle leggi, o quello di tutelare i diritti fondamentali dei cittadini», quanto di risolvere «i conflitti che possono insorgere tra legislativo ed esecutivo nell’esercizio
delle rispettive competenze», compito che diviene meramente consultivo nei confronti degli atti del Capo dello Stato e delle sue eventuali invasioni di competenza34.
In secondo luogo viene in considerazione lo squilibrio all’interno del potere esecutivo tra Presidente della Repubblica e Primo
ministro, che la dottrina rileva non solo sotto la presidenza di De
Gaulle, ma anche sotto quella di Pompidou. Così in un ampio e documentato studio, che «non si propone di analizzare compiutamente
quella sorta di neo-bonapartismo che è stato il fenomeno gollista»,
ma solo di individuare i meccanismi che regolano la determinazione
dell’indirizzo politico nella Quinta Repubblica, Dario Georgiacodis
ricava dalla prassi delle due prime presidenze la conclusione che è il
Capo dello Stato a formare i governi, e in particolare a scegliere liberamente il Primo ministro e a revocarlo dalla carica, a ricorrere ai
rimpasti di governo, a decidere l’indirizzo politico, lasciando al
Primo ministro «il primato del coordinamento in senso amministrativo»35. La stessa teoria del «domaine réservé», elaborata da Chaban
Delmas nel 1959, si rivela sempre più inadeguata a racchiudere una
prassi nella quale il Presidente tende ad occuparsi sempre di più
della politica quotidiana, erodendo i margini di autonomia del Primo
ministro (e tale tendenza, già evidente con Pompidou, si accentuerà
33 Cfr. A.A. CERVATI, Appunti sul procedimento di approvazione delle leggi con
«voto bloccato» nella Quinta Repubblica francese, in Giur. cost., 1969, 2735.
34 Cfr. S. GALEOTTI, La nuova Costituzione, cit., 47-48.
35 Cfr. D. GEORGIACODIS, Il Presidente della Repubblica e il Governo nella prassi
della V Repubblica francese, in Giur. Cost., 1973, 2752 ss., per le citazioni 2753 e 2811.
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con gli altri successori di De Gaulle). L’analisi compiuta porta l’Autore a concludere che in Francia «dopo il 1958 l’esecutivo è monocefalo e fa capo al Presidente della Repubblica», tesi costantemente
sostenuta dal fondatore della Quinta Repubblica, anche se pare più
corretto parlare di un dualismo diseguale che, nei periodi di coincidenza delle maggioranze, diventa di tipo gerarchico. Altra notazione
interessante è che la riduzione a cinque anni del mandato presidenziale proposta da Pompidou va collocata nella prospettiva «di
confermare l’autorità presidenziale attraverso un voto popolare più
frequentemente espresso», tale da consentire, insieme all’eventuale
ricorso libero allo scioglimento dell’Assemblea nazionale di abbandonare l’uso plebiscitario del referendum36.
Infine lo squilibrio più forte, e anche il più contraddittorio, che
la dottrina mette in luce è quello tra il ruolo politico attribuito al
Presidente della Repubblica e la proclamazione della sua irresponsabilità per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. Questa
costituisce l’aporia più evidente della Quinta Repubblica, in quanto,
come rileva Galeotti, il principio della irresponsabilità, caratteristico
della forma di governo parlamentare, «si giustifica solo in quanto implichi l’estraneità di quest’organo dalla determinazione della direttiva politica» e quindi porta nel contesto francese «ad una palese accumulazione di potere politico irresponsabile, cioè ad una struttura
autocratica»37. Lo stesso Autore nel 1997 parlerà del «pericoloso deficit democratico» della Costituzione francese, «con la dualità di un
esecutivo in cui al potere dell’organo sovrastante… non corrisponde
una correlativa responsabilità politica, bensì in irrazionale asimmetria, solo la responsabilità politica dell’organo secondario»38. Peraltro
tale contraddizione nella fase che ci interessa viene rilevata anche da
autori che analizzano in modo asettico e neutro le istituzioni francesi39. Paradossalmente essa diviene ancora più intollerabile dopo
l’abbandono da parte dei successori di De Gaulle del ricorso al referendum-plebiscito, in occasione del quale il Presidente metteva in discussione il proprio mandato e si dimetteva in caso di esito negativo
36 Ibidem,
2812.
S. GALEOTTI, La nuova Costituzione, cit., 45.
38 Cfr. S. GALEOTTI, Audizione, cit., 233.
39 V. ad es. P.G. LUCIFREDI, Appunti di diritto costituzionale comparato. 1. Il sistema
francese, Milano, Giuffrè, 1972, 40-41.
37 Cfr.
MAURO VOLPI
73
(come avvenne nel 1969). Allo stesso tempo la dottrina mette l’accento sulla debolezza e sull’improbabilità dell’unica forma di responsabilità prevista, quella giuridico-penale dell’«alto tradimento»,
sia per la gravosità del procedimento (messa in stato d’accusa da entrambe le Camere a maggioranza assoluta e con scrutinio pubblico,
Alta Autorità competente formata pariteticamente da senatori e deputati) sia per la mancata definizione della fattispecie di reato40.
5.
Conclusioni.
Dalla rassegna compiuta emerge che la dottrina italiana in una
prima fase esprime certamente un timore sulla deriva autoritaria del
regime, che alla luce dell’evoluzione successiva appare eccessivo, ed
una sottovalutazione della sua capacità di stabilizzazione democratica
oltre De Gaulle. Ma essa fornisce un’analisi corretta delle istituzioni e
dei problemi posti sia dalla natura ibrida della forma di governo sia
dai significativi squilibri che ne caratterizzano il funzionamento. Tali
squilibri sono tali non da pregiudicare la natura della forma di Stato,
ma certamente da ridurne la qualità democratica, anche alla luce di
una comparazione con i più importanti ordinamenti democratici.
Molte delle valutazioni della dottrina italiana sono risultate talmente
fondate e attuali da essere state poste al centro in Francia della riflessione che ha portato alla più consistente revisione costituzionale nella
storia della Quinta Repubblica con la legge costituzionale n. 2008-724
del 23 luglio 2008. Non a caso il testo preparatorio del Comitato Balladur si proponeva nel suo stesso titolo di dare vita ad una «Quinta
Repubblica più democratica»41. Ma è difficile sostenere che il risultato finale, anche se ha recepito qualche novità interessante, abbia
pienamente soddisfatto tale nobile proposito, superando le incertezze
della forma di governo e gli squilibri nei rapporti fra i poteri42.
40 V. sul punto i rilievi critici di S. GALEOTTI, La nuova Costituzione, cit., 45-46 e
G. MORELLI, Il Capo dello Stato nella teoria e nella prassi della V Repubblica francese, in
Jus, 1969, 171-174.
41 Cfr. Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des institutions de la Ve République, Une Ve République plus démocratique, Paris,
Fayard-La Documentation française, 2008.
42 Per una valutazione ampia rinvio a M. VOLPI, La forma di governo in Francia
alla luce della riforma costituzionale del luglio 2008, in Dir. pubbl. comp. eur., 2008, 1961
ss., destinato agli Scritti in onore di Angel Antonio Cervati.